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Dettaglio seduta n.16 del 30/10/80 - Legislatura n. III - Sedute dal 9 giugno 1980 al 11 maggio 1985

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI


Argomento: Programm. e promoz. attivita" socio-assist. (assist. minori, anziani, portat. handicap, privato sociale, nuove poverta") - Assistenza sanitaria (prevenzione - cura - riabilitazione)

Dibattito sui problemi socio-sanitari


PRESIDENTE

La seduta è aperta. Riprende il dibattito sul tema socio-sanitario.
La parola al Consigliere Acotto.



ACOTTO Ezio

Signor Presidente, signori Consiglieri, le relazioni degli Assessori Cernetti e Bajardi ed il dibattito che oggi svolgiamo sui temi della salute e dei servizi socio - assistenziali rappresentano quanto di più opportuno potesse fare il Consiglio regionale per riannodare tutti i fili di un processo di riforma di interesse generale qual è quella socio-sanitaria. Il ruolo che la Regione è chiamata a svolgere in questo campo è del tutto primario e, perciò, dirò subito che la nostra avversione è netta nei confronti di orientamenti e progetti di legge di origine governativa tendenti a stabilire un conferimento diretto delle risorse dallo Stato alle U.S.L., rispolverando con ciò un mai sopito antiregionalismo che non trova giustificazione nell'attività che la Regione Piemonte ha saputo sviluppare su questo e su altri terreni, negli anni che ci stanno alle spalle, e che sta ora proseguendo intensamente. Il modo migliore di rispondere a queste spinte, a dir poco elusive dei veri problemi che ci stanno di fronte, è del resto quello di rilanciare il nostro ruolo, evitando dispute astratte sull'istituto regionale e concentrando, invece, le energie su quegli obiettivi che in questo settore le relazioni degli Assessori e la nostra realtà regionale ci invitano ad esaminare. Partire da qui significa inoltre, saldare il momento istituzionale alla cui concreta definizione le comunità locali si stanno accingendo attraverso l'elezione delle U.S.L.
con quello dei contenuti, con i temi specifici della tutela della salute di tutti i cittadini, facendo emergere per questa via l'importanza del necessario approntamento di quegli strumenti di governo locale in capo ai quali stanno i compiti attuativi di una riforma che, giova ripeterlo, tocca da vicino la vita di tutti. E' anche alla luce di questo appuntamento ormai prossimo che la nostra discussione acquista un particolare valore. Si apre una specifica e fondamentale fase costituente, che vede per la prima volta nella storia della nostra democrazia i Comuni protagonisti di una profonda trasformazione culturale e sociale nella loro qualità di costruttori di un nuovo sistema della salute. Questo è lo spirito ed il concreto atteggiamento politico con cui guardiamo all'impresa che sta di fronte a noi e a tutta la comunità regionale, convinti che l'autonomo giudizio delle forze politiche sta soprattutto nel vagliare, nel sostenere, o nel correggere il modo con cui chi ha responsabilità diretta di governo, ai diversi livelli, attua, per la parte che gli compete, un progetto di riforma al cui interno tutti ci siamo riconosciuti in un momento significativo di intesa, pur muovendo da esperienze e radici culturali e sociali diverse. Ci pare che la Giunta non solo sia in sintonia con l'ispirazione politica che ci viene richiesta dai valori generali a cui prima accennavo, ma che i contenuti delle relazioni degli Assessori traducano compiutamente le esigenze di un programma di governo corrispondente a tali valori. L'Assessore Bajardi (al cui intervento mi riferirò in particolare) ha sottolineato come non disponiamo ancora di numerosi elementi di conoscenza che ci consentirebbero analisi più dettagliate, ma i dati già in nostro possesso sono sufficienti per definire quella che l'Assessore chiama "strategia generale" rispetto alla quale i progetti - obiettivo rappresentano una scelta di priorità. Tale scelta, che ha riscontro nei documenti di piano in discussione a livello nazionale trae origine dalla realtà e dalle interpretazioni in chiave programmatoria.
In altri termini, nel programma presentato dall'Assessore alla sanità vi sono i tratti caratterizzanti di quella rilevante operazione condotta avanti nella precedente legislatura consistente nell'elaborazione della proposta di piano socio-sanitario della nostra regione, ci sono gli elementi essenziali, quelli che potremmo definire strutturali, i capisaldi dell'attuazione di un nuovo sistema di salute. La proposta di piano ha questo significato essenziale, su cui voglio richiamare l'attenzione poiché è su di essa che dobbiamo far leva se vogliamo affronta re positivamente un appassionato dibattito che già si è aperto nella comunità regionale. A questo riguardo mi pare opportuno osservare che è molto positivo il poter disporre di un'elaborazione tecnica complessiva che attraverso il confronto con la realtà, potrà pervenire alle necessarie modificazioni.
Mi preme qui sottolineare alcuni aspetti di contenuto e cogliere quegli stimoli alla riflessione a cui l'Assessore ci ha invitati. La prima sottolineatura la vorrei fare in relazione al progetto - obiettivo della tutela della salute dei lavoratori. La relazione puntualizza questo tema e ne dà una congrua sistemazione che non lo isola affatto, ma anzi, lo integra con tutti gli altri momenti del sistema sanitario; mentre la proposta di piano ne specifica i relativi contenuti. Questa è un'operazione coerente con la strategia generale, che nulla toglie, ma valorizza il significato di tante lotte che vedono protagonista la classe operaia entro e fuori l'ambiente di lavoro, una classe operaia che non accetta passivamente un rapporto uomo-ambiente, un'organizzazione del lavoro che la crisi sembra rendere più difficilmente modificabile ma che invece proprio la crisi impone di cambiare. Non si tratta qui di vantare o attribuire primogeniture circa l'origine della riforma, ma non vi è dubbio che proprio da quelle lotte è venuto avanti un bisogno impellente di una profonda trasformazione della sanità più in generale, della società. Questo è un terreno concreto su cui la classe operaia ha dimostrato di essere classe generale, ed è a questo ruolo che noi guardiamo anche nella fase di attuazione della riforma.
Con questa consapevolezza, che significa sostanzialmente avere le carte in regola, ci rivolgiamo a quelle che comunemente vengono identificate come le categorie o, al limite, le corporazioni. La relazione dell'Assessore a questo proposito è molto propositiva, sia nella direzione del dare che in quella dell'avere. Si avverte, in particolare, l'esigenza di costruire in itinere un progetto - obiettivo di formazione che offra al personale del sistema sanitario gli strumenti affinché tutti possano diventare artefici della riforma svolgendo specifici e qualificati ruoli. Ciò significa chiedere al personale, ed in particolare ad alcune categorie, di non star fermi, di non attardarsi in sterili battaglie di retroguardia, ma di guardare agli spazi effettivi che si aprono per nuove e rinnovate competenze a fronte degli obiettivi che la riforma si propone.
Il tema della funzione medica ha una importante appendice nel rapporto tra servizi pubblici e privati. L'Assessore tratta l'argomento definendolo in modo ineccepibile e ci invita ad una riflessione a cui non ci sottraiamo. Si parte dal dato di fatto di un servizio pubblico che comprende realtà convenzionali e private; può darsi che il rapporto tra queste attività non sia sempre felice in ragione delle pressioni che vi sono state nell'approvazione stessa della legge. Esiste, comunque un'attività convenzionale che va mantenuta nel senso proposto dall'Assessore. Questo è un limite realistico basato non solo sui principi astratti di pluralismo e sulla peculiarità della funzione medica, ma anche sui rapporti con i cittadini. Il servizio pubblico si può affermare infatti, soprattutto qualificandolo: va però detto con chiarezza che cit non va confuso con l'accettazione di speculazioni o li parassitismi che vanno invece combattuti, in primo luogo abituandoci a valutare i servizi in base a come essi rendono nei confronti della generalità della popolazione.
Si giunge così anche per questa via ad identificare il fulcro di tutto il sistema territorialmente periferico della salute, che viene giustamente individuato nella attività distrettuale. La lettura dei documenti di piano a cui l'Assessore ci rinviava e la stessa legge sulla organizzazione funzionale delle U.S.L. credo abbiano convinto tutti del ruolo primario che è chiamato a svolgere l'insieme dei servizi di base su quel fronte si combatte una battaglia decisiva per la salute; se non si regge lì si rischia di perdere su tutta la linea. Ma, fuor di metafora, ci preme sottolineare proprio il fatto che l'organizzazione dei servizi di base e quel controllo e quella valutazione quotidiana di come rendono quei servizi a cui abbiamo prima accennato, si può realizzare principalmente a livello distrettuale. E' necessario individuare a quel livello, accanto al coordinamento ed all'integrazione dei servizi di base sanitari e socio assistenziali, dei momenti che siano espressione dell'autorità, pubblica sanitaria locale. Di tale autorità è investito il Sindaco del Comune singolo, che però quasi mai coincide con l'ambito distrettuale. Si pu perciò pensare che l'insieme dei Sindaci dei Comuni facenti parte del distretto, tra loro coordinati, costituiscano le figure cardine di un preciso punto di riferimento politico a dimensione distrettuale. Questa riflessione, che sottoponiamo all'attenzione del Consiglio e della Giunta riteniamo possa essere ulteriormente arricchita ed adeguatamente perfezionata nel momento in cui andremo a definire i contenuti dello statuto tipo della U.S.L., impegno questo che proponiamo di sottoscrivere come uno dei risultati operativi dell'odierno dibattito.
Un'ultima considerazione ci pare non rinviabile: chi conosce l'Assessore Bajardi sa che cosa vuol dire, in termini di lavoro e di impegno, aderire come facciamo noi ad un programma di attività della Giunta proposto dall'Assessore per un settore in cui egli ricopre responsabilità di primo piano. Il volume e la qualità del lavoro che è stato prospettato sono molto rilevanti; non è sufficiente ribadire qui il nostro contributo a sostegno di tale sforzo attuativo, ma occorre un tiro d'assieme di tutta la comunità regionale, occorre una grande tensione unitaria e, infine, occorre per dirla con un linguaggio che ci è familiare e che non va , frainteso qualificare la coscienza sanitaria delle masse. Ecco perché proponiamo, in conclusione, una viva e articolata azione di informazione e di divulgazione su tutta la materia della salute, da estendere a tutti i cittadini del Piemonte per renderli consapevoli e protagonisti del nuovo che stiamo tutti quanti insieme già costruendo. Su questo chiediamo un impegno specifico della Giunta.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Gastaldi.



GASTALDI Enrico

Signor Presidente, signori Consiglieri, sulla relazione dell'Assessore alla sanità, molto complessa ed articolata, il nostro Gruppo intende fare alcune osservazioni.
Certamente colpisce l'alto indice di mortalità in Piemonte relativamente a quello nell'Italia (11% - 9,7%). Di fronte a questo dato viene spontanea la domanda se ciò sia conseguenza di una maggiore insufficienza delle strutture e dell'assistenza medica in Piemonte rispetto al resto dell'Italia. L'Assessore dice che il rischio di morte è più elevato per un cittadino del Piemonte colpito da certe malattie (tumori malattie del sistema circolatorio). Potrebbe non esserlo; le statistiche si sa, hanno i loro limiti e vanno valutate in tutti gli elementi che ne determinano i valori. Si dovrebbe, qui conoscere quale influenza hanno sull'11% della statistica gli altri elementi, che in parte l'Assessore ricorda nella relazione, quali il numero degli infortuni, industriali ed agricoli specialmente, la densità della popolazione, l'industrializzazione e la distribuzione delle sue strutture nella Regione, la meccanizzazione agricola, l'aumento dell'età media della vita, ecc. Sono necessari uno studio maggiore e un'analisi più completa dei vari elementi statistici per poter individuare le cause di un così alto indice di mortalità: ciò che oggi è difficile perché mancano le strutture adeguate.
Sarà quindi necessario ed utile il sistema informativo e l'Osservatorio epidemiologico regionale, proposti dall'Assessore. Essi saranno per operativamente funzionali solo quando sarà attuata la riforma sanitaria quando cioè si potranno avere dalle strutture di base, i dati necessari da analizzare e da rapportare tra di loro. Solo allora si potranno anche ricavare gli indirizzi per l'azione della base stessa.
Un'altra osservazione vogliamo fare sui criteri base per la riforma sanitaria in Piemonte e sull'organizzazione strutturale dei servizi. I criteri base, non elencati in forma scolastica nella relazione dell'Assessore, che si ricavano estrapolandoli dai vari capitoli sono: sostituzione del concetto di malattia con quello di salute, non solo come bene privato ma come bene per la collettività uguaglianza di prestazioni per tutti gli utenti preferenza per le strutture pubbliche, perché possono garantire prestazioni più complete di quelle private, e per quelle nazionali, non escludendo a priori né le private né le estere evitare e rifiutare tutte le speculazioni sulla malattia e quelle che potrebbero sorgere sulla prevenzione cooperazione, al di fuori di ogni interesse o corporativo o di partito, di tutti: utenti, amministratori, università, non sono nelle sue facoltà mediche, e personale medico integrazione della parte sanitaria con quella sociale economia della gestione senza ledere gli interessi degli operatori.
Nella relazione sono presentate le strutture dei servizi nel loro disegno sia in verticale (U.S.L., poliambulatori, ospedali di zona e soprazonali con sempre maggior specializzazione) sia in orizzontale nelle varie unità dei servizi (infermiera territoriale, medico di base a rapporto diretto o convenzionato, pediatri, guardia medica ecc.).
Il giudizio del nostro Gruppo sui concetti base dell'attuazione della riforma sanitaria in Piemonte è positivo. Sulla struttura dei servizi, in questa fase nella quale la proposta non può essere che sommaria e generale il giudizio non può che essere positivo: sarà poi nella fase attuativa di essa che vi potrà essere campo ad assensi o dissensi.
Ancora un'osservazione sui tempi di attuazione della riforma sanitaria.
La relazione dell'Assessore prevede, all'ultima pagina, per la metà dell'anno '81 l'entrata in funzione delle U.S.L. Vorremmo che fosse vero e che tale promessa fosse realizzata nei tempi previsti. Si sa però che non tutto dipende dalla Regione: la legge 833, infatti, ha dettato, per la fase di attuazione del servizio nazionale, un sistema di competenze articolate tra il potere centrale (Stato) e quello locale (Regioni e Comuni). Lo Stato, per l'instabile situazione politica del Governo, per le difficoltà economiche e disagio sociale della vita del Paese, è in ritardo; mancano i decreti delegati che la 833 ha conferito allo Stato (è stato attuato soltanto quello relativo all'art. 47, relativo allo stato giuridico del personale dipendente dalle U.S.L.); manca il riordinamento del ministero della Sanità, necessario perché parte dei suoi compiti attuali sono stati trasferiti agli Enti locali. Non è ancora stato approvato dalle Camere il piano sanitario nazionale triennale. Questi ritardi condizionano naturalmente gli adempimenti di competenza regionale provocando ritardi nell'intero processo attuativo della riforma sanitaria. In più, bisogna riconoscerlo, né la legge 833 né il piano sanitario nazionale, nel suo progetto, indicano un modello di U.S.L., e le Regioni sono quindi costrette ad inventare in loco tale modello con perdita di tempo per lo studio di esso (per le consulenze e consultazioni necessarie, non solo intraregionali, ma interregionali per ottenere una certa uniformità nella sua attuazione).
Anche la nostra Regione quindi, che si colloca nella riforma sanitaria con la tempestività permessa degli adempimenti statali, risente di questa situazione statale: si trova ora soltanto alla terza scadenza per quanto riguarda il servizio sanitario locale, che la 833 prevedeva per il 31 dicembre 1979 con la proposta di legge 441, che si sta esaminando in Commissione, restano da regolare e definire i rapporti delle U.S.L. con il personale del servizio sanitario sia dipendente che convenzionato.
Inviterei l'Assessore a preparare e presentare presto questa legge. Il personale dipendente infatti, gli attuali ufficiali sanitari, i medici condotti e i dipendenti degli uffici soppressi vivono in attesa della loro definitiva collocazione, assillati dall'incertezza sulle funzioni cui saranno destinati e dalla minaccia di trasferimento di sede.
E' questa una condizione psicologica ed umana che provoca e spiega lo stato attuale del servizio nelle SAUB, che non è certamente dei migliori.
Anche il personale convenzionato vive in una situazione irregolare per le inadempienze nell'individuazione e attuazione dei massimali ed ottimali delle scelte, nella specificazione e regolamentazione del lavoro di gruppo nell'univoca convenzione sulla quota capitarle per tutte le categorie dei cittadini (ad esempio 8.000 mila lire per i coltivatori diretti e 16.000 per gli addetti al commercio). Questi motivi provocano nei medici convenzionati uno stato di disagio, non solo dettato da interessi economici, ma psicologici nei rapporti medico-mutuato e che si faranno sentire in modo esasperato nel periodo della ricusazione. Quali saranno, ad es., i criteri per un medico condotto di un paese agricolo con un carico attuale di 3.300 scelte di cui 1500 coltivatori diretti? Per la ricusazione dovrà usare i criteri ingrati dell'interesse economico (ricusando i coltivatori diretti perché rendono meno) o quelli, meno pratici, del rapporto umano e di amicizia stabilitosi magari dopo 30 anni di attività medica? Sulla questione del finanziamento del servizio sanitario un giudizio esatto è difficile e prematuro prima che tutto sia organizzato. Se si facessero paragoni con quanto è stato stanziato nelle altre Nazioni si dovrebbe dire che lo stanziamento per la spesa sanitaria in Italia è inadeguato (basti considerare che in Italia la spesa sanitaria per 1'80 rappresenta il 5,7% del prodotto in terno lordo, di fronte al 6,6 % della Francia e all'8,1% della Germania già nel '78). In questo momento si pu solo raccomandate oculatezza per non disperdere in zone o in strutture l'assistenza che magari, a costituzione realizzata, si troverebbero mal localizzate e quindi, mal utilizzabili.
Prima di concludere, vorrei ancora fare una osservazione anche se di importanza relativa e marginale alla riforma sanitaria vera e propria vorrei cioè richiamare l'attenzione dell'Assessore in questa fase di attuazione della riforma, sul fenomeno della pletora medica e sulla possibile disoccupazione soprattutto dei medici giovani. Se infatti è giusto l'ottimale del rapporto medico - assistito di 1/600, in Piemonte siamo già al di fuori di tale rapporto (1/400 rispetto a 1/656 del 1970) e se tale rapporto continua a peggiorare con l'incidenza detta, sarà fonte in un prossimo futuro, di notevoli preoccupazioni per l'Assessore al lavoro, anche perché per i medici non si può porre la questione della mobilità esterna dato che la preparazione specifica viene raggiunta a 26/27 anni, quindi non è possibile una loro collocazione al di fuori del campo specifico della loro competenza. Nel futuro remoto con provvedimenti esterni alla riforma sanitaria (ad esempio l'attuazione del numero chiuso di iscrizioni alle Facoltà di medicina) il fenomeno potrà trovare rimedio ed essere riportato nel normale tournover dei neo laureati e dei pensionati, ma è necessario trovare anche all'interno della riforma soluzioni per le difficoltà occupazionali attuali. Ad esempio, si potrebbe migliorare la Guardia Medica non solo nell'organizzazione (personale al telefono nella sede della Guardia, medici dotati di radio ricetrasmittenti), ma anche aumentando il numero dei medici ed estendendo tale servizio a quei casi in cui si determinano situazioni di particolare emergenza che i medici generici e locali non possono fronteggiare (quale l'assistenza nelle zone turistiche nei periodi di maggior affollamento). Un altro aiuto potrà venire dalle specializzazioni dei medici, che l'Assessore auspica con altre motivazioni, specializzazioni che dovrebbero essere estese ad un maggior numero di medici e che dovrebbero essere utilizzate nei campi individuati come "progetto obiettivo" nella riforma, la pediatria per la lotta alla mortalità infantile, la geriatria per l'assistenza agli anziani, le specializzazioni per l'assistenza agli handicappati, agli emarginati e ai tossico-dipendenti, per l'istruzione e l'educazione san i tana nelle scuole e per la tutela dei lavoratori nell'ambiente di lavoro.
Assistenza Dalla relazione dell'Assessore all'assistenza si ricava la difficoltà nella quale l'Assessore si è trovato nell'analisi della situazione assistenziale in Piemonte il che spiega la genericità delle proposte fatte.
E non poteva essere altrimenti. Se l'Assessore alla sanità risente delle manchevolezze della legge quadro ed è costretto ad inventare soluzioni ai problemi sanitari, cosa si deve dire dell'Assessore all'assistenza che si trova le mani legate addirittura dalla mancanza di una legge quadro ? Le eventuali promesse e le individuazioni di soluzioni potrebbero o non trovare i finanziamenti necessari o trovarsi addirittura in contrasto con le proposte di una futura legge nazionale. E' così spiegabile perchè l'Assessore sia stato costretto a limitarsi a proposte di studio, con analisi, statistiche e individuazioni generiche di campi di intervento preparatori di quegli interventi che si potranno attuare solo successivamente ad una legislazione statale adeguata.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Montefalchesi.



MONTEFALCHESI Corrado

Prendo atto volentieri del fatto che la relazione dell'Assessore Bajardi non contiene toni trionfalistici, ma, semmai, toni problematici. E' un dato positivo, che si congiunge però a molte omissioni sulla situazione sanitaria della Regione e ad alcune ambiguità che vorrei far rilevare perché siano superate.
Le omissioni riguardano i dati che l'Assessore ci ha comunicato. Non pare credibile fondare una programmazione, in questo come in altri settori su dati che si riferiscono a sei anni fa, per la maggior parte raggiungendo in pochi casi anni più recenti (1977 e 1978). Al di là di questi scarni dati, tutto il resto è assente dalla relazione: non sappiamo come viene ripartita la spesa sanitaria, a quanto ammonta la spesa farmaceutica degli ospedali e dei cittadini, quale sia il consumo e spesso l'abuso di farmaci, quali specialità farmaceutiche siano più diffuse e se sono ritenute specialità fondamentali oppure in buona parte inutili, quanti siano i medici ospedalieri a tempo pieno e quanti a tempo parziale, e così via di seguito. Una serie di dati, cioè, che invito l'Assessore a fornire nei prossimi giorni, perché mi sembrano decisivi per capire la realtà delle strutture e dei consumi sanitari in Piemonte. Sono, è vero, dati che si riferiscono in maggior parte ad una deprecabile, e giustamente deprecata dall'Assessore, "industria della malattia", ma sono dati necessari per poter fare dei confronti nei prossimi anni, se davvero vogliamo ridurre il peso dell'"industria della malattia".
L'altra serie di dati mancanti si riferisce invece alla prevenzione.
Occorre un giudizio della Giunta, politico prima di tutto, su come hanno funzionato una serie di servizi che hanno come obiettivo la prevenzione.
Quale ruolo hanno avuto i consultori pubblici, le unità di base, i servizi territoriali? Dove sono state costruite mappe di rischio e dove è quindi possibile continuare un'azione di prevenzione che coinvolga lavoratori e cittadini, che si dia precisi obiettivi (eliminazione dei rischi) e che possa sottoporli a verifica? Quale sostegno ha dato la Regione ed ha chiesto agli altri Enti locali per favorire queste attività di prevenzione aiutando le unità di base ad entrare nelle fabbriche, superando le preclusioni che Confindustria e padronato hanno posto all'ingresso in fabbrica di questi servizi? Come si è rapportata la Regione con le unità di base per quanto riguarda le attrezzature ? Ha davvero evitato di concorrere alla formazione di una inutile "industria della prevenzione", fornendo gli strumenti richiesti sulla base di precisi programmi di intervento? A noi risulta che non sempre questo insieme di impegni si sia verificato, che l'azione delle unità di base sia stata frammentaria, che siano stati affidati a questi servizi strumenti importanti per alcune rilevazioni, ma inutili o inadeguati per altre. Non è solo un problema tecnico, ma un problema politico. Questo Consiglio regionale sa bene che il rumore prodotto dalla mia voce è diverso a seconda che l'ascoltatore stia al centro di questa sala o con l'orecchio vicino all'altoparlante. Il rumore di una macchina, la polvere, ecc., si possono misurare stando al centro dell'ambiente di lavoro, con gli strumenti forniti alle unità di base. Ma i lavoratori non stanno al centro dell'ambiente: stanno vicino alla macchina ed è il posto di lavoro che vogliamo risanare, non il centro dell'ambiente dove magari non sta nessuno. Occorrono allora strumenti diversi, più agili in quanto all'uso, ed egualmente precisi in quanto a capacità di misurazione. Questo esempio serve solo a manifestare l'esigenza che gli interventi, anche finanziari e di bilancio, si misurino con effettivi programmi di intervento in grado di far crescere una reale partecipazione dei lavoratori e dei cittadini sul terreno della difesa e del mantenimento della propria salute. Non chiediamo all'istituzione Regione di fare le lotte in fabbrica, ma di fornire strumenti di conoscenza, di analisi, di intervento, legati ad esigenze che, anche per la salute, non sono interclassiste.
Le rilevazioni di alcune omissioni presenti nella relazione dell'Assessore, di fatto mi hanno già portato a fare delle proposte. Queste possono essere condensate in una scelta di fondo che occorre compiere: privilegiare l'attività di prevenzione legata ad interventi di risanamento ambientale, riducendo in questo modo le spese per curare la malattia (se si eliminano i fattori di rischio si riducono, se non si eliminano, le malattie da questi prodotte) e per la riabilitazione. Se questa scelta presente nella relazione dell'Assessore Bajardi, è davvero prioritaria, noi siamo per sostenerla e per verificarne programmi, strumenti, risultati.
Anche qui facciamo un esempio: si dice in relazione che l'indice di frequenza in Piemonte degli, infortuni nel settore dell'agricoltura è di 25,1, contro un indice medio nazionale di 24,3. Capire le ragioni di questi infortuni può anche significare, ad esempio, giungere alla conclusione che buona parte di questi avviene a causa dell'inadeguatezza delle macchine agricole attualmente prodotte per affrontare terreni collinosi o in pendenza, poiché l'industria meccanica propone mezzi adeguati alle grosse estensioni della pianura. Si pone allora un problema di ricerca scientifica, di rapporto con la produzione industriale, che non è immediatamente sanitario, ma che lo è in un'ottica di sicurezza del lavoro e di prevenzione, e che va ad investire altri settori importanti.
Un' azione in questa direzione, coordinata dalla Giunta regionale diventa quindi necessaria anche quando si va a discutere di ricerca scientifica e di riconversione industriale. Soprattutto, è un'azione che non richiede un intervento medico e che dimostra come gli interlocutori sul terreno della salute possano e debbano essere innanzitutto altri, che non siano l'attuale personale sanitario e le loro corporazioni. E' allora possibile, al di là degli esempi già fatti, avviare una programmazione che non sia solo di carattere sanitario, o, ci arriverò più avanti, di carattere sociale. Certo sono utili i laboratori, ma soltanto se sono finalizzati anche essi all'opera di prevenzione. Una capillare diffusione dei laboratori, altrimenti, si traduce certo in un servizio ai cittadini ma solo a cittadini che troppo spesso sono malati e che si prevede rimangano tali. In un'ottica di prevenzione, compito dei laboratori di sanità pubblica è, ad esempio, svolgere un'opera attiva contro le sofisticazioni, di analisi dei prodotti alimentari, dei prodotti usati in agricoltura, delle materie prime utilizzate dall'industria e della composizione chimica dei prodotti finiti. Una relazione sull'attività che svolgeranno questi servizi ci pare doverosa, per verificare la loro reale capacità di incidenza.
C'è, infine, tutto il grosso problema degli operatori sanitari e all'interno di questi, dei medici. L'assenza dei dati quantitativi, che lamentavo all'inizio di questo intervento, non è marginale. Se, infatti, ci sono caratteristiche comuni, come l'Assessore rilevava, è anche vero che ci sono caratteristiche differenti, e non di poco conto. Differenze notevoli di retribuzione per gli operatori che sono a rapporto diretto al loro interno, per cui è economicamente più vantaggioso il tempo parziale del tempo pieno per i medici, ad esempio, rispetto al personale convenzionato.
Anche qui occorre scegliere, privilegiando il personale a rapporto diretto e a tempo pieno e superando le convenzioni che ancora ci sono. Non si pu infatti negare che, per quanto riguarda i medici, siamo in presenza di corporazioni e di baronie, di legami con l'industria farmaceutica, di isole e non sempre le isole sono piccole, di resistenza rispetto alla stessa riforma sanitaria, di intensi rapporti con strutture sanitarie private. Gli esempi sono così numerosi che potrebbero sprecarsi, e tutti noi li conosciamo. Non mi pare corretto, dunque, ipotizzare maggiori motivazioni alla professione, maggior qualificazione professionale, maggior impegno sociale, ecc, in maniera indifferenziata. Si possono, e si devono, chiedere questi impegni al personale che svolge un servizio pubblico, che è da questo retribuito. Si devono, però, battere con decisione le tendenze alla privatizzazione di strutture e servizi sanitari, sia eliminando le convenzioni con strutture private, sia controllando con maggior rigore quelle esistenti. E' vero, ed è un dato nazionale, che il 50% circa degli esami di laboratorio sono imprecisi, ma lo sono anche nelle strutture private; è vero che nove antibiotici su dieci sono prescritti inutilmente se non erroneamente, ma li prescrivono anche i medici non mutualistici; è vero che la maggioranza dei farmaci sono di fatto inutili, ma tocca all'intervento pubblico ridurli almeno negli ospedali attraverso il prontuario terapeutico ospedaliero. Se chiediamo questi interventi, e li crediamo possibili, è perché siamo di fronte ad una Giunta di sinistra che come tale, deve intervenire a difesa della salute e non a favore dei profittatori della malattia. Le ambiguità presenti nella legislazione nazionale possono in Piemonte essere superate, può essere nei fatti sconfitta l'ipotesi della 833 che vede ancora l'ospedale come centro dell'intervento sanitario; può essere ridotto il consumo di farmaci, non soltanto attraverso gli interventi normativi possibili con il prontuario terapeutico ospedaliero, ma anche attraverso un'azione di informazione e di denuncia; può essere esteso il numero di esperienze che in qualche modo sono maturate in questi anni in alcune piccole isole del territorio regionale nelle quali le unità di base, i consultori, l'individuazione di mappe di rischio, sono diventate realtà effettivamente utili per la conoscenza e la prevenzione.
Un ultimo aspetto volevo sottolineare. Ci sono esperienze importanti di servizi socio-sanitari che meritano un approfondimento, pena una loro regressione. Si tratta dei servizi psichiatrici e dei servizi per il trattamento delle tossicodipendenze, rispetto ai quali occorre considerare l'intervento sanitario come intervento eccezionale, necessario in casi di crisi acute, ma da superare per evitare a persone che non riescono a rispondere a difficoltà di vita e di rapporti interpersonali una pericolosa medicalizzazione. Mi limito a richiamare questi problemi all'attenzione della Giunta nel suo complesso, poiché le radici di queste difficoltà stanno nel territorio, nella città, nell'emarginazione prodotta dall'industria, nelle condizioni di vita delle campagne. Stanno, cioè, sia pure in misura differenziata, in tutti quei settori nei quali l'intervento regionale è e deve essere presente. Con un'attenzione, questo è il mio richiamo, anche a questi problemi, se non vogliamo delegarli sono ad interventi "a valle" dei processi e, quindi, senza voler togliere nulla al ruolo dell'assistenza sociale e sanitaria o delegarli ai soli Assessori che si occupano degli effetti disastrosi che il capitalismo produce sul territorio e sugli abitanti.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Reburdo. Ne ha facoltà.



REBURDO Giuseppe

Le relazioni degli Assessori Cernetti Bertozzi e Bajardi sono ricche di spunti e di proposte tali da permettere di rilevarne il reciproco coordinamento e per molti aspetti integrazione, in modo da creare i presupposti per un dibattito ed un approfondimento culturale e politico che va colto in tutta la sua valenza e portata.
La riforma sanitaria e quella dei servizi socio-assistenziali traggono origine da una precedente insostenibile situazione ove il inalato ed il "diverso" (descritto in vari modi e comunque rispondente alla logica di difendere il tessuto sociale da elementi passivi e parassitari) venivano considerati come soggetti passivi e subordinati, tali da richiedere interventi tesi quasi esclusivamente ad isolare e settorializzare, e sui quali si innestavano interessi economici, politici ed anche culturali non solo discutibili ma di ordine chiaramente speculativo.
Per superare questa situazione sono stati necessari ampi movimenti di lotta culturale e politica che, attraverso faticose ma stimolanti iniziative, hanno innescato profondi processi di cambiamento le cui componenti essenziali sinteticamente sono: il territorio per garantire, in tutte le zone urbane e rurali, la disponibilità di uguali risorse in fatto di servizi per i bisogni essenziali, cioè valorizzazione del territorio in stretto rapporto con la valorizzazione delle risorse umane la partecipazione attraverso una concezione diversa del potere a livello locale, cioè una cultura diversa nel far politica per la ricerca del "bene comune" la programmazione dei servizi e degli interventi.
Il movimento operaio del nostro Paese, nel sviluppare le proprie proposte e le conseguenti iniziative, ha sempre posto al centro delle proprie richieste di cambiamento l'uomo, il lavoratore con le ,sue esigenze di sviluppo, promozione, liberazione individuale e collettiva.
Realizzare questi obiettivi significa quindi avviare una politica di profonde riforme strutturali e la rifondazione di un tessuto di valori e di ideali capaci di ridare senso, speranza, motivazioni all'impegno personale e collettivo, senza i quali la crisi che stiamo attraversando rischia di travolgerci tutti.
E' a partire da queste valutazioni che, credo, si possa trovare un fecondo terreno di lavoro e di impegno per realizzare e portare ad un primo compimento la riforma sanitaria ed il disegno ancor più ambizioso della politica di servizi sociali (o servizi comunitari) che secondo Carlo Trevisan del Centro Studi della Fondazione Zancan vengono intesi come "quell'arco di prestazioni specifiche, fornite da personale qualificato e da adeguate attrezzature, volte a tutelare il cittadino, la famiglia, la comunità locale, a sviluppare le risorse personali e comunitarie, a favorire la socializzazione, eliminando gli ostacoli - oggettivi e soggettivi - in tal senso".
Ecco quindi "intuita" una politica sociale che deve sempre più acquisire i seguenti connotati: unitaria, locale, globale, partecipata programmata.
Se si parte da un'ottica istituzionale, culturale e politica di questo tipo, la 833 ha in se stessa un valore di portata storica: segna il definitivo tramonto del sistema mutualistico per realizzare la promozione della salute e coinvolge da vicino il nodo della governabilità democratica.
Infatti le trasformazioni progettate dalla legge 833 e quelle avviate con la 382 ed i suoi decreti applicativi (616, ecc.) possono assumere un rilievo politico straordinario: attribuiscono competenze e risorse notevoli alle autonomie locali e regionali, aprono un discorso nuovo sul decentramento del potere locale e sul governo del territorio attraverso la rete delle Unità Locali, vincolano ad una gestione sociale di questo potere attraverso la programmazione e la partecipazione, consentono di sviluppare un rapporto nuovo fra la sfera del pubblico e quella del privato.
La riforma sanitaria ed una nuova politica socio-assistenziale sono dunque un'occasione politica e sociale molto importante che può e deve spingere avanti una fase nuova del processo di costruzione dello "stato delle autonomie" che sia in grado di contribuire veramente ad una scelta politica verso la trasformazione, verso una società più giusta ed umana.
D'altro canto ci rendiamo ben conto che il disegno riformatore tracciato dalla 833 e dalle altre leggi sui temi socio-assistenziali è molto complesso e difficile da realizzare perché assieme all'opera di trasformazione vi è da compiere un'opera di risanamento e da superare le storiche carenze di cultura, di organici, di capacità progettuale degli apparati pubblici, la forte pressione corporativa presente nel settore.
Possiamo a ciò forse aggiungere una sottovalutazione che certe forze politiche e sociali hanno fatto rispetto alla posta in gioco nella riforma sanitaria, trascurando che sul terreno della strategia delle riforme la piena attuazione della 833 è elemento sollecitatore di fasi riformatrici più avanzate.
Infatti, come non vedere che dentro a questa riforma sanitaria sono coinvolti bisogni vitali, valori significativi, possibilità concrete di collegare iniziative per la salute e iniziative per una nuova qualità della vita e del lavoro, rilancio di partecipazione e riforma democratica dello Stato? Le politiche di sicurezza e di promozione sociale possono dare quindi un contributo notevole ad un recupero di legittimità da parte delle istituzioni democratiche e al rilancio di nuovi e più avanzati processi economici e politici.
E' dall'interno di questa ottica che istituzioni, partiti, sindacati forze sociali e culturali sono chiamate ad individuare una strategia realistica per una efficace attuazione e per promuovere un movimento che affronti il nodo di fondo della gestione sociale della salute.
Si tratta quindi di agire in tre direzioni: 1) puntare ad una reale capacità gestionale e programmatrice degli organismi di governo, soprattutto a livello locale 2) realizzare organismi, procedure, strumenti di reale partecipazione 3) sviluppare un collegamento costante con gli operatori del settore con il volontariato, con tutte le associazioni democratiche.
Questi obiettivi "orizzontali" sono significativamente contenuti nelle relazioni dell'Assessore Bajardi e dell'Assessore Cernetti Bertozzi, che compiono un positivo e rilevante sforzo innovativo, pur nella non trascurabile continuità con il passato, per ancorarli ad una piattaforma di contenuti precisi, specificando ulteriormente le proposte e le linee contenute nello schema del piano regionale socio-sanitario che andrà alla verifica ed alla consultazione nei prossimi mesi. E questo elemento va pur definito come rilevante scelta politica, come occasione per tutta la comunità piemontese per rendersi partecipe e protagonista del proprio avvenire in campi e settori essenziali per la difesa e sviluppo della vita.
Vorrei a questo punto permettermi un inciso per sottolineare come nella relazione Cernetti Bertozzi vi sia continuità, concettuale e politica, con la passata amministrazione, e pur apprezzandone lo sforzo teso ad accelerare la fase attuativa potendo infatti utilizzare un patrimonio di esperienze, di sperimentazione, di alternativa ai vecchi servizi, assai ricco e stimolante.
I tre progetti-obiettivo (tutela della maternità ed infanzia, tutela degli anziani, tutela della salute dei lavoratori) hanno permesso di indirizzare investimenti strutturali ed umani innescando elementi di deistituzionalizzazione (vedi anziani, ecc.) con servizi articolati ed organici sul territorio che hanno avviato al superamento la settorializzazione e l'emarginazione.
La stessa politica degli asili nido va riconfermata attualizzandola ai bisogni delle aree con domanda ancora insoddisfatta e avviando una politica di verifica in quelle aree ove la domanda è soddisfatta e, per situazioni limitate, ove essa è inferiore alle strutture esistenti.
Si pone proprio qui il problema del riutilizzo delle strutture che va comunque sempre finalizzato al soddisfacimento dei bisogni emergenti dalle aree infantili.
Fatto questo inciso possiamo continuare sottolineando come l'accento strategico della riforma si sposta quindi dalla cura di chi è già malato alla prevenzione per eliminare via via le cause personali, ambientali sociali della malattia ed ancor più liberando e sviluppando l'insieme delle facoltà umane. Quindi una politica di promozione sociale.
L'impegno è quello di passare quindi dal settorialismo ad una integrazione crescente tra l'insieme dei servizi sociali, all'interno di una vera e propria strategia territoriale dello sviluppo, ricercando una giusta sintesi tra esigenze della realtà locale e risorse disponibili.
Le relazioni Bajardi e Cernetti Bertozzi sviluppano quindi delle proposte che saldano l'organizzazione sanitaria con il coordinamento dei servizi sociali. La legge ed i decreti già esistenti, dunque, permettono ed impegnano ad operare in questo senso, anche se va rivendicata con forza e con urgenza la riforma dell'assistenza per rendere più pregnante la programmazione unitaria sul territorio, sia dei servizi che delle politiche sociali.
Infatti, se è vero che la riforma sanitaria resta pur sempre un intervento settoriale, è anche vero che consente di muoversi dentro un orizzonte più vasto. Essa è, di fatto la prima traduzione organica di quel ruolo nuovo assegnato alle autonomie locali ed in specifico ai Comuni con la legge 382 e con il decreto 616 che l'ha attuata.
Una situazione di questo tipo consente di arrivare alla conclusione che Regioni e Comuni già possono - fare molto sulla via di una programmazione territoriale delle politiche e dei servizi sociali.
A questo trasferimento di competenza non sempre ha però corrisposto un adeguato trasferimento di risorse.
Il fatto che manchi ancora la più volte annunciata riforma delle autonomie locali e del loro assetto finanziario, incide negativamente sulla possibilità di avviare un discorso compiuto ed organico. Comunque lo spazio di lavoro esiste e le proposte oggi in discussione ne sono la testimonianza reale.
Se vogliamo poi soffermarci sul significato della "novità" e della "svolta" che si determina nell'attuazione dei concetti di superamento dell'emarginazione, dell'obiettivo della sicurezza sociale eguaglianza solidarietà, giustizia, non possiamo non rilevare come essi siano il frutto di una evoluzione storica che pone per la prima volta lo Stato, il pubblico potere, le istituzioni, in condizioni di dare una risposta finalizzata alla salvaguardia e sviluppo della persona umana.
Di qui nasce l'elemento di grande novità e di svolta rispetto al vuoto del vecchio stato liberale e alla sua scelta di non dare risposta ai bisogni emergenti dalla società civile, la quale per tanti anni ha per fortuna svolto un'azione ed una presenza di supplenza senza però poter rispondere adeguatamente al crescere dei bisogni di cui lo Stato doveva nell'interesse di tutti, farsene carico.
E' essenziale quindi approfondire con interesse critico la presenza organizzata dei credenti, dei laici, dei socialisti (Case del popolo ecc.), al fine di poter cogliere l'importanza del ruolo da essi svolto e la grande azione sollecitatrice per una presenza promozionale, pluralista e coordinata dello Stato.
E' anche da questa esperienza storica, da come si è formata, da come si è sviluppata e realizzata, da quanto oggi può e deve ancora dare nell'ambito del processo riformatore in atto, che possiamo cogliere tutti gli elementi di grande novità che si stanno attuando nelle istituzioni e nella società civile.
Quindi è anche a partire di qui che si può e si deve dare corpo e sostanza, uscendo da un vuoto e molte volte strumentale verbalismo, ad un esperimento di pluralismo inteso in particolare, ma non solo, nel favorire l'inserimento di iniziative non pubbliche, che abbiano un riconosciuto valore sociale, all'interno della gestione democratica e partecipata di politiche e servizi pubblici.
Prende corpo anche attraverso a queste Impostazioni la realizzazione dello Stato delle autonomie, della pluralità di istituzioni, ricondotte ad un preciso quadro di insieme attraverso la programmazione e la direzione pubblica.
Nella sostanza il processo riformatore avviatosi essenzialmente con la 833 e con la 382, pone questioni di assetto istituzionale, sollecita la riorganizzazione, il riadeguamento, la creazione di strutture funzionali alla promozione della salute e ad un sistema di sicurezza sociale dove i valori fondamentali dei singoli e della collettività, non solo vengono salvaguardati, ma possano crescere e consolidarsi.
Se questo è vero, come credo fermamente, questo processo riformatore sollecita tutti, a partire dalle istituzioni e dai partiti democratici (ma non limitandosi ad essi), ad una verifica dello stato di attuazione di questa riforma ed alla definizione di un quadro unitario di impegni, dentro il quale ognuno può e deve mantenere la propria originalità ed il proprio ruolo, richiamando però costantemente alla nostra attenzione il senso di "umanità", di eguaglianza, di giustizia che deve permeare ogni nostro atto.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bergoglio Cordaro.



BERGOGLIO Emilia

La relazione dell'Assessore all'assistenza ad una prima lettura dà l'impressione di essere troppo sintetica; in qualche parte può apparire scarna nella sua enunciazione di linee programmatiche, tanto da far pensare che la Regione Piemonte sia ancora in una fase di impostazione, nonostante ormai da parecchi anni siano in funzione ed operanti i servizi di uno specifico Assessorato. Ma, leggendo tra le righe, ci sono una serie di affermazioni di principio, di linee di intervento di carattere generale quelle che vengono definite "linee programmatiche a maglia larga" - che fanno pensare che l'attuale Assessore abbia trovato poche realizzazioni nell'Assessorato all'assistenza, diverse certamente da quello che è insieme di realizzazioni e di programmi che l'Assessorato alla sanità ha potuto fornire. Le carenze macroscopiche, già da noi evidenziate nella scorsa legislatura 1975/1980 , trovano anche in questa occasione puntuale conferma.
Al di là di alcune affermazioni di principio, sulle quali siamo mi pare d'accordo, già stamattina il collega Beltrami ha fatto una serie di puntuali considerazioni nel merito di alcune specifiche differenze di impostazione politica che contraddistinguono la Democrazia Cristiana rispetto ad altre forze politiche presenti in questo Consiglio. E' indubbio che oggi la situazione legislativa è riguardo al settore sanitario più precisa, più puntuale, ci consente dei riferimenti più sicuri per impostare ed organizzare una rete organica e razionale di servizi sanitari, mentre nel campo dell'assistenza - nonostante tanti piccoli pezzetti di riforma in questi anni si siano venuti a determinare, tanto che oggi la Regione ha una serie di precise competenze - non siamo ancora in presenza di una legge quadro ed a riferimenti legislativi che sarebbero auspicabili per una riforma complessiva di tutto il settore. Tuttavia, alcune considerazioni devono e possono essere fatte. Voglio, innanzitutto, chiedere agli Assessori competenti come intendono sciogliere, per esempio, il nodo delle strutture per anziani non autosufficienti e per gli handicappati gravi e gravissimi, perché da un lato - su questi temi il dibattito è stato lungo si parla di sopprimere gli attuali cronicari (e questo credo sia un punto abbastanza assodato, in quanto certe strutture sono superate e vanno modificate e trasformate) e dall'altro lato si dice che non ci devono essere aumenti di reparti per cronici negli ospedali comuni, perché questo vorrebbe dire rendere l'ospedale comune da struttura sanitaria di pronto intervento a struttura fissa, dove l'ammalato si ricovera per non essere più allontanato fino al momento del decesso. Spesso, quando si tratta di questi problemi, incontriamo delle teoriche enunciazioni riguardanti la prevenzione e la riabilitazione, che sono certamente problemi da affrontare con maggiori strutture, ma, nel caso che ho voluto in particolare cogliere siamo in presenza di esigenze reali di ricovero per lunghi periodi; c'è dal punto di vista demografico un aumento della fascia della popolazione molto anziana, non soltanto quella considerata la terza età tradizionalmente intesa, ma la fascia degli ultraottantenni, persone che presentano esigenze assistenziali e sanitarie di particolare gravità.
Questo è un problema da affrontare, l'Assessore Cernetti Bertozzi scrive, in un punto della sua relazione, che si dovranno riconvertire le strutture di asili nido in strutture per anziani! Occorre in questo campo chiarirci le idee e intervenire al di là delle forme e al di là delle etichette che cambiano, in modo che si giunga ad una soluzione, C'è anche un altro aspetto di questo problema, che credo sia interessante sottolineare in questa occasione, quello della spesa che, essendo considerata ancora una spesa di assistenza, viene fatta gravare a carico delle famiglie o, quando queste non siano in grado di poterle sopportare, a carico dei Comuni, in base alla legge di assistenza del 1980 (per il famoso "domicilio di soccorso").
Sappiamo che esiste già una delibera della Regione Piemonte per intervenire nel pagamento dei ricoveri in queste strutture (nella città di Torino, per esempio), ma è comunque una delibera ancora soltanto parziale: occorre che si arrivi a definire il concetto che queste spese per lungodegenti anziani, o handicappati gravi, sono spese sanitarie e, in quanto tali, devono far parte di un bilancio complessivo a carico della comunità. Ciò anche perché, occorre ricordano, di fatto le famiglie non sono in grado di pagare le rette o comunque di far fronte a qualsiasi altra forma di pagamento per questi ricoveri e, quindi, gravano poi sui bilanci degli Enti pubblici, siano essi Stato, Comuni e Regioni, fanno sempre carico alla collettività, si paga attraverso essi Enti locali quello che dovrebbe essere stabilito come un diritto alla tutela della salute dei cittadini. Ma il bilancio consolidato della spesa pubblica in questo settore, sommando gli interventi dei Comuni, Province, IPAB, Stato è in sostanza unico e quindi il provvedimento di assorbire queste spese a carico del bilancio della sanità alle alleggerirebbe il bilancio assistenza dei Comuni e l'impegno complessivo di spesa pubblica non muterebbe di molto. Ma sarebbe stabilito, lo sottolineo ancora, un importante principio di tutela della salute in ogni situazione reale.
Un altro aspetto, sia pure non intendendo andare a fondo, ma che emerge leggendo il resoconto di alcuni giornali, riguarda un convegno recentemente tenutosi sulla questione dei trapianti: è un problema marginale, se vogliamo, rispetto a quello della sanità in generale, ma del resto il collega Beltrami ha già parlato di quasi tutti i problemi sul tappeto e quindi, credo sia opportuno da parte mia cogliere qualche aspetto più specifico del problema. La Regione Piemonte, di fatto, ha iniziato alcune esperienze di prelievo di organi, ma non si è andati oltre. E' bene dunque, proprio approfittando degli spazi che ci dà l'applicazione della legge 833 in tema di istituzione di nuovi servizi, che anche questo problema venga affrontato una volta per tutte in termini concreti. Pensiamo alla possibilità riabilitante psicologica, fisica, e della salute in generale di molti cittadini oggi costretti ad estenuanti cure, nonché di questo continuo rinviare; alle strutture di dialisi, per esempio, che sono insufficienti e richiedono la costituzione continua di nuovi reparti.
Quando si parla dell'esigenza di farci carico dei problemi dell'assistenza, dell'esigenza di creare una rete integrata di servizi socio-sanitari, non si deve confondere il diritto all'intervento per tutti con un sistema efficiente, razionale e nuovo raggiungibile soltanto assegnando all'Ente pubblico, sotto qualsiasi forma lo si voglia considerare, ogni compito e ogni funzione, in altri termini, con la gestione dei servizi e degli interventi, da parte del solo Ente pubblico territoriale, escludendo l'apporto e la partecipazione attiva della gente che da ogni parte viene invocata. Da un lato occorre garantire l'efficienza, la non duplicazione, la globalità dell'intervento per tutti dall'altro, occorre garantire la differenza e la personalizzazione dell'intervento. Sono problemi che implicano certamente funzioni di programma, di indirizzo, di coordinamento e di gestione della Regione, dei Comuni, degli Enti locali, ognuno per la propria competenza, ma che necessariamente presuppongono l'esistenza di altre strutture, di altri gruppi, di altri servizi, tra i quali scegliere, a livello personale, le soluzioni più rispondenti alle esigenze.
Al fondo di ogni problema di servizio c'è l'uomo, l'essere umano con le sue esigenze (non voglio affrontare un tema che porterebbe molto lontano).
E' vero che i servizi e che l'unità territoriale dei servizi sono un punto di riferimento (le leggi nazionali sono state approvate con l'apporto determinante del nostro partito), però è anche vero che c'è il problema dell'inserimento in una comunità viva ed affettiva: l'anziano l'handicappato, il minore devono avere in questa visione globale dei servizi, un punto di riferimento o nella famiglia o in una comunità di affetti. A queste esigenze cercano di rispondere, per esempio l'affidamento dei minori, l'aiuto economico alle famiglie, le comunità alloggio, i servizi per favorire i compiti di educazione e di allevamento che vanno visti anche nell'ambito della famiglia-comunità, in rapporto all'ambiente nel quale è inserita, scuola, quartiere, ambiente di lavoro ecc.
Questo obiettivo è più facile enunciarlo teoricamente che non realizzarlo in concreto.
Tra le proposte c'è quella dell'affidamento familiare dell'anziano. Più che di affidamento si dovrebbe parlare di espulsione dalla famiglia dell'anziano. Ecco allora che il problema è un altro: è un problema di educazione, di rispetto, di accettazione dell'anziano nella società. E' anche un problema economico, un problema di riforma del sistema pensionistico, è un problema di estensione di aiuti e di sussidi sostitutivi dei ricoveri per gli anziani o per i non autosufficienti. Non è solo questione di impostazione politica, ma è questione di sensibilità, di sfera morale ed umana. Non sembrino fuori luogo queste considerazioni in relazione al compito e al ruolo che viene svolto dal volontariato in un momento in cui l'insieme della legislazione sembra andare verso una gestione esclusivamente pubblica. La Regione e le associazioni dei Comuni devono fare uno sforzo per recuperare l'esistente, ossia quelle strutture che hanno svolto e che continuano a svolgere un tipo di attività che non può essere genericamente considerata superata, ma che deve essere ristrutturata e riqualificata.
Non dimentichiamo che a Torino le Opere di Don Bosco e del Beato Cottolengo sono state a suo tempo antesignane in tutta una serie di trasformazioni della realtà sociale. E queste realtà non possono essere considerate in posizione di supplenza, in attesa di un qualche cosa di tutto pubblico e di tutto gestito dall'Ente locale, ma devono essere integrate, in tempi e modi diversi, superando difficoltà ed errori selezionando quanto funziona bene da quanto non funziona o non serve, per recuperare in senso attivo e reale la partecipazione alla gestione dei servizi e delle strutture sociali che, per quanto perfette, per quanto teoricamente programmate, se non tengono conto della partecipazione e del ruolo del volontariato, sono soltanto calate dall'alto e in ritardo rispetto alle esigenze mutevoli dei cittadini.
Entrando ora nel merito di altri specifici problemi, avendo già svolto alcune considerazioni sul problema anziani, lungodegenti e cronici ed handicappati gravi e gravissimi, resta ancora da sollecitare l'attenzione sul problema degli anziani cosiddetti autosufficienti.
Per molti, accanto al problema economico di cui ho già accennato in altra parte del mio intervento, esistono anche esigenze di usufruire di servizi reali ed efficienti per poter continuare a vivere nella propria casa, con quegli aiuti e servizi di cui hanno necessità.
Ma quanta strada è ancora da fare per raggiungere obiettivi soddisfacenti! Così poco si è fatto per passare dalle enunciazioni programmatiche alle realizzazioni concrete! Anche perché le esigenze sono tante e l'Ente pubblico, quand'anche fosse efficiente, non può arrivare a tutto. Non si sono sperimentate né valorizzate iniziative di collaborazione con gruppi volontari ed associazioni che di fatto già svolgono, in molti casi, servizi ed assistenza a persone anziane, bisognose di aiuto domiciliare, di sussidi economici e di altri servizi. Ma nella sua ansia di rinnovare, di trasformare, di considerare l'intervento privato (e qui mi riferisco ad associazioni e gruppi cattolici in particolare, quali S.
Vincenzo, Caritas, attività parrocchiali e di istituti che hanno tentato esperienze aperte e a domicilio) solo come momento di supplenza, e non come esperienze ed energie utili, da considerare ed incentivare inserendole, pur nel rispetto della loro autonomia ed indirizzo, nel programma e nella struttura complessiva dei servizi. In altre parole, considerandole come parte integrante dei nuovi servizi e non solo momenti temporanei in attesa di meglio! Manca, dobbiamo dirlo, nella relazione ogni riferimento a volontari associazioni e gruppi. Non viene neppure loro assegnata la funzione di stimolo e proposta per l'istituzione - individuazione e gestione dei servizi.
Ed è altresì preoccupante, ma qui ci riferiamo al discorso dei servizi complessivi e non solo a quelli per anziani, che accanto all'esigenza di riordino e di programmazione generale, non si faccia anche riferimento ad una altrettanto necessaria flessibilità del sistema dei servizi sociali al mutare delle esigenze e dei problemi.
Mi sono soffermata un po' più a lungo su questo tema, perché è in realtà quello che più direttamente è investito delle ipotesi di rinnovamento. Già in sede di dibattito in occasione della votazione della legge 3/1980, il Gruppo della D.C. aveva richiesto che si inserisse tra i primi obiettivi programmatici il progetto anziani ed handicappati. Allora queste nostre proposte furono respinte, oggi l'Assessore, a pochi mesi di distanza, le propone nella sua relazione. Siamo soddisfatti nel vedere accettato oggi quello che poco fa era considerato non accettabile! Ci farebbe piacere conoscere i motivi di tali mutamenti.
Ma occorre ribadire che il rinnovamento non può essere solo individuato nel passaggio dal privato al pubblico. Perché abbiamo già esperienze negative in alcune realtà di servizi per anziani gestite da Comuni, in particolare a Torino, dove tale passaggio è stato caratterizzato da aumenti massicci di costi e di personale, non certo da mutamenti qualitativi e migliorativi dell'assistenza offerta e fornita.
E' ora di cambiare! Lo diciamo anche noi. Bisogna passare dalla fase dei convegni, che costano molte decine di milioni, dalla fase delle enunciazioni alle realizzazioni. Occorre, trasformare, certo, ma anche recuperare in positivo e valorizzare le esperienze che esistono - passare dall'assistenza "parlata" di questi servizi ai servizi sociali - dando certezza di diritto e dando certezze di livelli di servizio.
Non è più sufficiente , ma l'Assessore nella sua relazione lo fa parlare di indagini conoscitive. Non vi è stato altro in questi ultimi cinque anni! Per quanto riguarda i minori, le carenze della relazione sono ancora più macroscopiche, la brevità e la genericità delle affermazioni e l'unico impegno esistente di fare (ancora? ) un'indagine qualitativa e quantitativa del settore.
Ma i minori in stato di abbandono rispetto alla famiglia d'origine, o gli orfani, o quei ragazzi che, pur avendo una famiglia, per molte ragioni non possono o non vogliono restarvi? Gli esempi sarebbero tanti! I servizi di affidamento, alternativi ecc., in realtà non sono che poche esperienze.
Le tanto vantate comunità alloggio, poche isole, spesso non felici, e sempre molto costose. Mentre continuano a funzionare i sempre vituperati istituti che, pur con carenze e limitazioni in alcuni casi, hanno per svolto nel complesso una funzione indispensabile per garantire aiuto ed assistenza a ragazzi e giovani in difficoltà.
Vanno adeguati alle mutate esigenze, vanno adattati ad altre forme di servizio e trasformati. Non possiamo accettare il generico ed ingiusto giudizio di inefficienza, quando in realtà sono ancora l'unica soluzione per molte situazioni.
Ed allora, se da un lato non siamo fautori del mantenimento dello status quo, non siamo neppure peraltro tra coloro che desiderano spazzare via tutto per sostituirlo con un nuovo modello, non ben identificato n definito, solo in alcuni casi sperimentabile, con esigenze finanziarie notevolmente superiori alle possibilità reali di spesa dell'Ente pubblico e della collettività in generale.
Per quanto riguarda poi gli handicappati gravi e gravissimi, valgono in genere molte delle considerazioni già svolte per gli anziani, ma con una preoccupazione in più! Perché tra gli handicappati gravi e gravissimi ci sono persone che presentano deficit intellettuali così elevati, oltre che difficoltà motorie, da renderli incapaci di provvedere a se stessi.
Risulterà però difficile stabilire il confine tra questi deficit e le malattie psichiatriche propriamente dette. Così si assiste da un lato all'affermazione del principio di diritto all'assistenza e alla dichiarazione di volontà di istituire servizi specifici per queste persone e dall'altro, con una interpretazione talvolta non comprensibile, dimette da istituti e case protette, rimandando a totale carico delle famiglie ogni assistenza reale.
Non accenno in questa sede ai problemi dei tossicodipendenti e loro famiglie, perché la complessità di essi richiede spazio ed attenzione particolari e dovranno essere oggetto di singolo ed approfondito dibattito.
Non penso che la discussione odierna esaurisca i temi complessi che ho cercato di tratteggiare. Ciascun argomento è legato a enormi problemi umani, familiari e sociali.
La capacità di questo Consiglio, delle forze politiche, sia di quelle di governo regionale che di opposizione di affrontare con efficacia ed efficienza il tema dei servizi sociali e sanitari, sarà la reale prova della nostra scelta di schierarci dalla parte dei più deboli, dei più emarginati, dei più soli. E' su questi temi che si misura la volontà e l'impegno di un paese civile e democratico di essere veramente tale, è su questi temi che si misura la nostra capacità di far crescere una società che ponga al centro l'uomo con i suoi problemi, esigenze ed ideali.
Su questo piano la D.C. è disponibile a misurarsi e a confrontarsi, su questi temi con molta umiltà siamo disponibili, nell'attuale ruolo di opposizione e di critica costruttiva, ad assicurare il nostro apporto e contributo per tutte quelle scelte che sapranno garantire pluralismo autonomia, attenzione ai bisogni reali della gente e gestione corretta dei servizi socio-sanitari.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Carazzoni.



CARAZZONI Nino

Dedicheremo la prima parte alla valutazione politica delle Unità Sanitarie Locali e delle elezioni previste per il 21 dicembre prossimo dei loro organi di gestione ordinaria; riserveremo invece la seconda e la terza a considerazioni sintetiche, rispettivamente alla relazione dell'Assessore Bajardi ed a quella dell'Assessore Cernetti Bertozzi, rinviando un più analitico e approfondito esame delle materie al dibattito ormai imminente sul programma della Giunta.
Nell'ultima riunione della conferenza dei Presidenti di Gruppo si è giustamente ricordato che questo discorso in origine era stato promosso e sollecitato anzitutto per provocare dalle forze politiche un pronunciamento sull'importante scadenza elettorale relativa alla U.S.L. Se questo era in effetti lo scopo principale, in origine, del confronto qui apertosi dobbiamo dire di non avere alcuna difficoltà a pronunciarci sull'argomento.
Ricorderemo pertanto la posizione fortemente critica ed il voto contrario dato dal M.S.I., alla legge 833, ritenuta demagogica, velleitaria ed anacronistica in quanto, tra l'altro, esclude dalla formazione e dalla gestione del servizio sanitario nazionale la professionalità medica e paramedica che detto servizio dovrà, o dovrebbe, in ipotesi assicurare. In particolare, ci opponemmo a livello parlamentare all'istituzione delle U.S.L. criticando soprattutto la burocratizzazione delle strutture sanitarie che i nuovi organismi prefiguravano. A quella impostazione siamo tenuti a rifarci adesso, pur prendendo atto tuttavia che la legge 833 è oggi operante e che le previste elezioni del 21 dicembre rappresentano un adempimento dovuto, ai quale anche il Movimento Sociale Italiano deve sottostare, magari invocando il rispetto assoluto dell'art. 15 della legge stessa, laddove si prevede e si esplicita, com'è noto, la tutela del diritto delle minoranze. Ciò non ci esime, però, dal ripetere nell'occasione il nostro giudizio negativo sulle U.S.L. e dire adesso che comunque sarebbe stato preferibile un sistema elettivo diverso, non un sistema quale quello che si segue, ma un sistema che uscisse dalla logica purtroppo abituale, dell'elettoralismo partitico ed indifferenziato sarebbe stato preferibile attribuire le cariche di gestione per un terzo alla libera scelta dei cittadini, per un terzo al personale medico e paramedico, per un terzo alla designazione politica. Del resto mentre non si esita a sbandierare l'importanza del voto dei genitori per l'elezione degli organi scolastici, al fine - si dice - di salvare la scuola, perch allo stesso modo non si deve ritenere indispensabile l'apporto diretto ed anche qualificato dei cittadini, in un settore certamente non meno importante come quello sanitario? Pensiamo a questo punto di avere chiarito a sufficienza quale sia il nostro pensiero critico sulle U.S.L. e quali le nostre motivate perplessità in ordine alla loro capacità operativa.
Relazione dell'Assessore Bajardi. Noi abbiamo attentamente letto il lungo documento presentatoci: è senza dubbio uno studio accurato ed interessante, che testimonia un impegno personale dell'Assessore nell'affrontare questa delicata materia. Esso offre finalmente dati precisi di riferimento sulle risorse a disposizione del Piemonte per la sanità e soprattutto, ha il pregio di avviare nel settore un discorso più meditato e più cautamente responsabile rispetto a precedenti impostazioni cui ci avevano abituati altri documenti programmatici dell'Assessorato, tuttavia nonostante questi obiettivi riconoscimenti, noi non riteniamo di dover dedicare alla relazione altro che un commento generale e di principio.
Siamo stati vivamente interessati, ed anche allarmati, dalla lettura del capitolo I, nel quale si incomincia a delineare il quadro sanitario della Regione pur non disponendo di attendibili strumenti scientifici (ha ragione l'Assessore nell'attribuire un valore relativo alle statistiche degli istituti mutualistici e dell'ISTAT). Non possiamo non essere allarmati dicevamo - per tutte le risultanze che ne emergono, vuoi per l'invecchiamento della popolazione, vuoi per la caduta delle nascite e per l'aumento della mortalità natale e prenatale (a questo proposito vorremmo chiedere all'Assessore se non ritiene opportuno predisporre dei controlli sui molti presidi di ostetricia che agiscono in Piemonte), vuoi per il tasso di mortalità che nella nostra Regione è più alto dei valori nazionali, soprattutto per malattie del sistema circolatorio e per affezioni tumorali. Su questo punto serve indubbiamente un'indagine più approfondita, che ci permettiamo di raccomandare all'Assessore di voler al più presto predisporre, la quale consentirebbe di avere a disposizione dati certi sullo stato di salute dei cittadini piemontesi.
Ugualmente meritevole di attenzione sono i capitoli III e IV sul finanziamento del servizio sanitario nazionale e regionale e sul programma di attività, specie per ciò che riguarda il completamento del quadro legislativo con il varo delle leggi regionali attuative della 833. Non è dunque per leggerezza o per disattenzione che noi non ci soffermeremo analiticamente sulla relazione di Bajardi; il fatto è che da essa ci separa, e ad essa ci contrappone, una riflessione di fondo: se la costruzione dialettica dell'Assessore nel settore sanitario può avere una sua validità teorica, essa - a nostro giudizio - si svuota di ogni suo contenuto e di ogni valore quando la si dovrà calare nella realtà pratica.
Teoricamente è giusto che il decentramento sanitario si attui in modo che come si ipotizza a pagina 14 - al cittadino piemontese, indipendentemente dalla sua collocazione abitativa nel territorio regionale, siano garantite omogenee e ragionevoli opportunità di potersi compiutamente avvalere dei servizi di volta in volta necessari. Ma, chiediamo all'Assessore, come pensa che sia possibile realizzare questa astratta enunciazione? Ci si risponde: con i distretti socio-sanitari di base, anche - pagina 32 della relazione - per ridimensionare l'insieme di richieste che oggi si polarizzano indebitamente a livello di istituzioni ospedaliere. Questa è pura teoria, come velleitario è il proposito della Giunta regionale di impegnare su questo progetto le unità sanitarie. Passiamo infine ad alcuni dati incontrovertibili: le U.S.L. vivono, da circa un anno, in una situazione di sbando per la mancanza di personale qualificato e per la mancanza di uffici capaci di prendere in carico le nuove strutture e perché, soprattutto, i medici e gli infermieri non sono stati coinvolti direttamente. Orbene, su queste già carenti basi si vogliono costruire i distretti socio-sanitari, la cui équipe dovrebbe prevedere un medico generico, un'infermiera territoriale, un pediatra, un ostetrico, un operatore di medicina pubblica. Noi domandiamo dove mai si potrà trovare tutto questo personale che dovrà essere, oltre tutto, altamente qualificato e specializzato. Questo della formazione del personale è il vero nodo da sciogliere del problema. Pensiamo, per esempio, alla grave mancanza di personale infermieristico non formato dalle attuali scuole professionali, o alle difficoltà di avere dei medici specialisti, che rimarranno difficoltà fino a quando non saranno modificati i meccanismi di accesso alle scuole di specializzazione. Andrà a finire, pertanto, che dei distretti socio sanitari resterà soltanto la vecchia figura del medico condotto, e questo fatalmente porterà di nuovo alla centralità dell'istituzione ospedaliera ospedale, quindi, non come semplice struttura delle U.S.L., come si vorrebbe, ma ospedale quale è sempre stato, come centro delle U.S.L. per competenza e per strumentazione. E qui torniamo all'origine: se tutto questo si verificherà, come escludere il coinvolgimento del personale medico e paramedico? E, ancora: verificandosi tutto questo, è stata veramente ispirata a criteri di razionalità la rete ospedaliera prevista dalla Regione? Quali garanzie di efficienza e funzionalità può dare dal lato tecnico e dal lato economico un ospedale ipotizzato, come in Piemonte per 40-50 mila utenti, quando è noto e comprovato che la dimensione ottimale deve essere per un minimo di 200 mila unità? Concludendo questa parte, non esitiamo a dire che la relazione Bajardi è impostata secondo un'ottica completamente al di fuori della realtà. In questa programmazione si doveva tener più conto di una gestione veramente tecnica della medicina, fatta da operatori competenti. Ma, lo abbiamo già detto, il personale non si improvvisa: è da formare prima e da tenere informato poi. Non averlo fatto, rende inattendibile il documento e crea le premesse per mantenere nel caos, nella demagogia e nel velleitarismo l'organizzazione sanitaria piemontese.
Relazione dell'Assessore Cernetti Bertozzi: pochi rilievi critici. In almeno cinque passi diversi si comunica il proposito dell'Assessorato di tradurre in concreto le molte indagini culturali sin qui svolte. Andrebbe benissimo se, giunti al termine del documento, non ci si venisse a dire che tutto si deve limitare, per il momento, all'annuncio di tale proposito. "E' bene però precisare - così si scrive - che queste sono linee programmatiche a maglia larga e che altre, più dettagliate e specifiche, saranno in seguito presentate". Siamo, dunque, ancora ,e sempre di fronte ad un'astratta ed accademica dichiarazione di intenti. Quindi, per ora, parole e consultazioni che saranno anche le armi ideali, -Assessore Cernetti Bertozzi, di questa democrazia ideologizzata e soffocante (verso la quale però, i piemontesi stanno dando segni di stanchezza), ma che restano appunto, parole e consultazioni, senza lasciar intravvedere la loro traduzione in norme ed infrastrutture, cioè nei soli strumenti idonei ad avviare a soluzione un problema vasto quale è quello assistenziale. Certo concordiamo con l'Assessore quando lamenta il vuoto legislativo dovuto alla mancata approvazione della legge sulla riforma dell'assistenza: ma, alla carenza in campo nazionale, quante carenze vanno ad aggiungersi in campo regionale, quanti sono i disegni di legge, magari su temi settoriali, che ove fossero stati presentati, avrebbero costituito momenti di realizzazioni certe e di non poca importanza per la soluzione globale del problema? D'accordo anche sulla necessità dell'integrazione dell'assistenziale con il sanitario e sulla loro difficoltà di incontro sul terreno.
D'accordo, infine, che - citiamo testualmente - "i problemi di finanziamento delle attività socio-assistenziali non sono facili, in carenza di una legge che porti alla unificazione della materia". Ma, dato questo per vero, vogliamo passare dalle enunciazioni ai fatti? Perch anziché scrivere: "tutto ciò, evidentemente, nel quadro di una programmazione che tenga conto delle esigenze che emergono dai piani zonali tesi alla realizzazione di un articolato programma di interventi", non ci viene presentato finalmente "questo" programma di interventi? (Per la verità, il "finalmente" non riguarda l'Assessore che da troppo poco tempo è in carica per meritarselo, ma si riferisce alla continuità politico amministrativa cui tutta la relazione si richiama). Che cosa impedisce, per esempio, di istituire subito i corsi per la formazione degli operatori assistenziali, i quali devono essere già pronti quando le strutture cominceranno a funzionare? Si parla di un censimento per gli handicappati utilissimo, non c'è dubbio (bisogna vincere, però, le resistente da parte delle famiglie, già verificatesi in altre Regioni). Tuttavia, noi domandiamo: questo censimento non poteva essere già stato fatto? Ancora: se una legge nazionale ha concesso finalmente un assegno mensile di sostegno per gli invalidi totali, perché mai la Regione Piemonte non ha ritenuto di affrontare il problema dell'inserimento dell'handicappato nei posti di lavoro, come già nel passato noi stessi avevamo chiesto, con la proposta di legge n. 19 del 4 maggio 1976 e come ha legiferato, ad esempio, la Regione Lombardia? Su questo tema vogliamo rivolgere un consiglio ed una preghiera all'Assessore Cernetti Bertozzi: controlli la Regione il funzionamento o il non funzionamento delle comunità terapeutiche per la rieducazione degli handicappati, con particolare riguardo a quelle esistenti nella sua e nella nostra Provincia.
Altro punto toccato nella relazione: gli asili nido. Questo è un capitolo che dimostra l'incapacità totale del regime a promuovere una seria programmazione. E' successo in Piemonte - e ci intendiamo meglio se il riferimento lo rivolgiamo a Novara - che in un piano regolatore, vecchio di non ancora 20 anni, non fossero previste aree per la costruzione di asili nido; ma poi, essendosi scoperto di colpo che anche le donne dovevano andare a lavorare, essendosi dimenticato, invece, che negli ultimi dieci anni si è registrata una diminuzione costante delle nascite sino alla crescita zero; è successo, dicevamo, che con sacro o interessato entusiasmo, venissero creati un numero di posti-bambino negli asili nido superiore alle richieste.
Sulla crescita zero andrebbe aperta una parentesi, perché se è problema che sta cambiando connotazione alla nostra società, che investe i settori del lavoro, della previdenza, della scolarizzazione, del costume, e che troverà ancora una volta impreparati politici ed amministratori, è sicuramente anche problema che riguarda molto da vicino il settore socio assistenziale, a cominciare dalle iniziative che andranno prese a favore della terza età. A proposito della quale con il piano degli anziani si sono dette e scritte milioni di parole, ma ben poco si è sperimentato e soprattutto si è realizzato. Tuttavia su questo argomento non ci soffermeremo per ora, riservandoci di presentare nelle prossime settimane un programma preciso che rispecchi la tesi del Movimento Sociale Italiano e che rappresenti un nostro concreto contributo.
Sempre nella relazione Cernetti Bertozzi leggiamo che "è necessario studiare le possibilità di una mappa completa della situazione minorile nella Regione anche per minori devianti e delinquenti". Chiediamo allora perché mai non si sia accolta la proposta che, con lettera indirizzata ai Presidenti del Consiglio e della Giunta, allora Sanlorenzo e Viglione formulammo il 30 gennaio 1979 alla Regione, anche in considerazione del fatto che quello era l'anno dedicato al fanciullo, perché "si provvedesse a svolgere un'indagine conoscitiva sulla devianza minorile allo scopo di fornire un organico contributo alla conoscenza qualitativa e quantitativa del grave fenomeno in preoccupante aumento attraverso la raccolta dei dati più significativi che vi si riferiscono ed avendo come obiettivo la formulazione di proposte specifiche per ridurlo o quanto meno contenerlo".
Se questa nostra richiesta fosse stata accolta si sarebbero guadagnati due anni e oggi forse potremmo contare su qualche risultato concreto già acquisito.
Quando infine nella lettura del documento siamo posti di fronte all'affermazione che: "un deciso passo avanti deve essere fatto sulla strada della prevenzione delle tossicodipendenze, prevenzione che, partendo da una corretta informazione, formi ed accresca nella massa e specie nelle masse giovanili, una coscienza del problema", allora crediamo di avere il diritto, senza iattanza bene inteso, ma con decisione, nulla avendo proprio da rimproverarci .in proposito, di accusare tutti i partiti che si sono susseguiti nell'esecutivo regionale di avere quanto meno chiuso gli occhi davanti all'allucinante "escalation" della droga. E' vero, si sono fatte indagini spettacolari, si sono scritti volumi, disegnati grafici e dette tante parole, ma non una sola iniziativa concreta è stata presa, non diciamo nel campo della cura, dove le contraddittorie leggi nazionali con la liberalizzazione delle droghe leggere e il metadone in farmacia e le ritardate attuazioni regionali hanno permesso i drammi che oggi viviamo; ma neppure nel campo della prevenzione, che è la sola autentica cura per questa spaventosa malattia.
Rivendichiamo al Movimento Sociale Italiano di avere posto per primo all'attenzione e alla sensibilità del Consiglio regionale il problema con un'interpellanza, presentata nel 1972 all'allora Assessore Armella, quando sarebbe stato ancora possibile circoscrivere il triste fenomeno, nella quale chiedevamo, tra l'altro, che la Regione si facesse promotrice in tutte le scuole piemontesi di una vasta campagna informativa e preventiva della droga e degli allucinogeni. Evidentemente l'attenzione e la sensibilità del Consiglio regionale, allora come oggi e come le molte altre volte che il Movimento Sociale Italiano è tornato sull'argomento, erano impegnate altrove: così i nostri ragazzi hanno continuato ad autodistruggersi e chi è padre non può non tremare ogni giorno per questo pericolo. Avere letto parole, e niente più che parole, anche su questo angoscioso problema, è forse quanto, Assessore Cernerti Bertozzi, ci lascia più perplessi ed insoddisfatti.
Signor Presidente, con questa amara riflessione, chiudiamo il nostro intervento, che non sarà degnato probabilmente di alcuna considerazione perché a questa faziosità vi costringe, colleghi, la logica del vostro aberrante arco costituzionale; ma che tuttavia ha rispecchiato, tanto nella parte relativa alla relazione dell'Assessore alla sanità quanto in quella relativa alla relazione dell'Assessore all'assistenza, convinzioni in cui fermamente crediamo ed anche - consentitecelo - stati d'animo sentiti convinti, precisi, persino sofferti.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Mignone.



MIGNONE Andrea

Signor Presidente, signori Consiglieri, il Gruppo socialdemocratico ha letto con particolare attenzione le relazioni predisposte dall'Assessorato alla sanità ed all'Assessorato all'assistenza, poiché le ritiene di fondamentale importanza, nella misura in cui rappresentano le linee guida attorno alle quali si dovrà muovere la politica regionale nel prossimo quinquennio. Noi abbiamo, peraltro, anche apprezzato lo sforzo e l'impegno profuso dagli Assessori nel predisporre una relazione ampia ed articolata che ha toccato tutte le varie problematiche discendenti da un lato dall'attuazione della riforma sanitaria e, dall'altro, dall'integrazione dei servizi socio-assistenziali e sanitari, pur in carenza di una legge quadro nazionale.
Ancora una volta dalle relazioni viene dimostrato come non si debbano attendere effetti miracolistici dalla riforma sanitaria, ma che essa deve essere intesa come un processo graduale che, mentre cerca di recuperare quanto di positivo vi era in termini di esperienza e di volontariato nella situazione precedente, cerca nel contempo di razionalizzare l'esistente, di rapportarlo verso obiettivi di un servizio migliore, meglio diffuso sul territorio, più razionale ed omogeneo, tenendo conto anche del tentativo di giungere a dei bilanci consolidati che consentano di evitare spese immotivate e sperpero di risorse. Ovviamente, non ci addentriamo attorno alla tematica generale della riforma sanitaria, peraltro già ampiamente dibattuta anche da questo consesso nella precedente legislatura; vogliamo solo precisare che la posizione del Gruppo socialdemocratico è diversa da chi ritiene una iattura la riforma sanitaria e il ruotare di tutto il servizio sanitario e socio-assistenziale attorno alle U.S.L. Per noi le U.S.L. costituiscono una conquista di fondamentale importanza, perch vedono anche la partecipazione dell'Ente locale che non è più ridotto a mero erogatore di finanziamenti; perché vedono la partecipazione dei cittadini e degli operatori nella gestione del momento sanitario e socio assistenziale. Certamente uno dei primi problemi è quello dell'integrazione fra momento sanitario e momento socio-assistenziale, anche perché non vi è stata la contemporanea definizione delle leggi di riforma dell'assistenza anche se, tuttavia, vi è nella legge 833, all'art. 10, un richiamo a questa integrazione.
Mentre si vanno definendo gli elenchi per l'inserimento nei ruoli regionali del personale sanitario, noi esprimiamo alcune preoccupazioni in quanto sappiamo che non vi è omogeneità di comportamento da parte dei vari Enti che devono fornire gli elenchi stessi, per cui certe figure che sono al confine fra il sanitario ed il socio-assistenziale sono inserite negli elenchi, altre non lo sono (pensiamo a tanti operatori della Provincia, o degli stessi ospedali, o dei Comuni, che operano nei consultori ed in altre strutture affini).
Certamente il processo di inserimento definitivo delle U.S.L. nella gestione della materia sanitaria è un momento non facile e noi, appunto ritenevamo che le relazioni degli Assessori si incentrassero su di esso comunque bene hanno fatto ad allargare il campo, perché è giusto che ci confrontiamo su tutti i problemi. Riteniamo che questo sia il momento più difficile, perché da un lato non vogliamo che si arrivi alla sanitarizzazione del settore socio-assistenziale; dall'altro non vogliamo che si corra il rischio di ospedalizzare il territorio oppure - mi pare peraltro che questo pericolo sia già stato avvertito e dichiarato dall'Assessore - che si arrivi ad avere le U.S.L. che costruiscono delle mura in cui ciascuno si chiude, pronto a resistere agli assedi che gli vengono dall'esterno. Guai se arrivassimo a questa interpretazione della riforma sanitaria che, invece, vuole aprirsi al territorio ed alla partecipazione.
Questo processo deve anche sostanziarsi in un quadro normativo ed attuativo della legge di riforma sanitaria. E sappiamo che l'Assessore è già impegnato per realizzare completamente la legge sanitaria, anche se dobbiamo riconoscere che non tutti gli adempimenti sono stati rispettati entro i limiti stabiliti dal Governo.
L'altro pilastro attorno al quale deve ruotare questo complesso tema è quello della definizione del quadro di programmazione, che ovviamente deve sostanziarsi con un bilancio consolidato. Mi pare che dalla relazione dell'Assessore Bajardi già vengono alcune indicazioni.
La riforma si realizza attraverso la riqualificazione delle strutture e alla ricomposizione delle figure professionali. Una particolare attenzione deve essere posta al distretto sanitario. Riteniamo che è a quel livello che si gioca, in particolare, la stessa riforma e gli obiettivi che la riforma si è data. Quindi, particolare attenzione alla strutturazione, alla capacità del lavoro in èquipes degli operatori che operano all'interno del distretto sanitario.
Per quanto riguarda l'accenno fatto nella relazione in ordine al medico di base, non siamo del tutto d'accordo nell'individuare in questa figura che peraltro va recuperata per i suoi aspetti di ricca e lunga esperienza territoriale, "l'animatore e il coordinatore delle altre figure professionali presenti nel distretto"; questo si discosta da quanto proposto nel piano socio-sanitario regionale e dalla legge sull'organizzazione e funzionamento delle U.S.L., senza contare il rischio di una medicalizzazione reale di tutti i servizi, specie di quelli più delicati e privilegiati di base. Quella affermazione denuncia la necessità che si ponga attenzione anche sul piano formale ai modi in cui si fa l'integrazione e ai contenuti che ad essa si attribuiscono.
Se i servizi sociali contribuissero alla realizzazione di una parte degli obiettivi della sanità, non è detto che la Regione Piemonte non possa fare un passo avanti ed affermare che i servizi sociali nella loro autonomia possono venire integrati con l'apporto di altri contributi. Per esempio nel piano si parla di servizi sociali da svolgere "in modo integrato", ma non si parla di servizi sanitari da svolgere in modo integrato. Infatti vi è l'elenco degli uni e non degli altri. Non è tollerabile che il servizio sociale e quello assistenziale siano visti in posizione subordinata a quelli sanitari.
Per quanto riguarda il sistema informativo, riteniamo che debba essere sciolto il nodo costituito dal ruolo che si vuol far svolgere alle U.S.L.: puri terminali di piani elaborati altrove o luogo di autonomia e di programmazione locale; in questo secondo caso occorre porre in mano alle U.S.L. una serie di strumenti e di conoscenze in modo che la programmazione si basi su dati e strumenti concreti.
Per quanto riguarda i servizi socio-assistenziali si può essere d'accordo in linea di massima con le difficoltà sul tema dell'integrazione dei servizi con quelli sanitari, difficoltà di ordine vario, istituzionali di personale, di riforma generale. Si è assistito ad una produzione legislativa non sempre chiara al riguardo: quindi i prossimi atti dovranno essere più puntuali, precisi e rispettosi del principio in questione.
Infatti si è visto nascere l'Unità Sanitaria Locale per gli aspetti amministrativi, sanitari e socio-assistenziali lasciando aperto il grosso problema della utilizzazione del personale che passa alle Unità Sanitarie in quanto appartenente ai servizi sanitari, ma con professionalità e compiti tipici dell'area socio-assistenziale; per cui, se quanto prima non si provvederà a sciogliere il nodo, si potrebbe assistere alla sovrapposizione sul territorio di operatori gestiti dai Comuni singoli e gestiti dalle U.S.L.; senza contare poi che i servizi, quali il consultorio o le varie équipes, pur nella diversa organizzazione dei servizi, non più per settori, verrebbero ad essere costituiti da personale in parte gestito dal Comune e in parte gestito dall'Unità Sanitaria, a seconda della materia di appartenenza.
E' anche vero che vi è carenza di una normativa statale che deve trovare una risposta nella legislazione regionale creando ipotesi di lavoro, chiamando al confronto le parti interessate, allargando al massimo il processo informativo tra gli operatori stessi.
Siamo favorevoli al censimento degli handicappati anche se, com'è noto esiste già un sostanzioso materiale. Il censimento sarebbe utile a livello di Unità Sanitaria Locale perché programmatoriamente sarebbe più corretto stimolare quest'ultima e privilegiare la formazione di piani e di programmi nell'ambito del programma generale dell'U.S.L., in coerenza con il piano socio-sanitario regionale.
Per quanto riguarda gli anziani riteniamo che occorra privilegiare al massimo l'Unità Sanitaria, stimolandola affinché nei programmi di avvio preveda le prime concrete iniziative rapportate alle esigenze locali lasciando alla Regione il compito di guida programmatoria. Siamo d'accordo che alcune iniziative debbano essere proposte dalle U.S.L. e non dai singoli Comuni.
Lo stesso vale per gli asili nido. Prima di procedere ad ulteriori finanziamenti sarà opportuno attendere la definizione dei programmi di lavoro dell'Unità allargando il termine socio-assistenziale.
Anche in ordine alla devianza minorile si dovranno effettuare i censimenti.
Tutte queste iniziative vanno raccordate all'interno del settore socio assistenziale di ogni Unità Sanitaria e collegate con le attività dei vari centri sociali, delle iniziative e dei servizi in essere nel campo della tutela minorile. A questo proposito sarebbe opportuna una chiarificazione in ordine ai rapporti tra Comune e Tribunale dei minorenni, dato che quest'ultimo ha assicurato un'ampia disponibilità e collaborazione. Molte volte però il volontariato non basta. Molte volte tali rapporti non sono riconosciuti dagli operatori degli Enti locali. La materia è di estrema delicatezza sia nel settore delle devianze minorili sia nel settore degli affidamenti familiari e delle adozioni.
Sia per quanto attiene al discorso della devianza minorile sia per quanto attiene alle tossicodipendenze e alla prevenzione, si dovrebbe formulare un progetto-giovani, in qualche modo già avviato con la legge 83 andata ad esaurimento lo scorso anno e che ha indicato reali possibilità di intervento.
Il mondo della scuola dovrebbe sempre di più rivolgersi agli Enti locali e ai CMAS i quali dovrebbero uscire dall'ombra per diventare un servizio aperto alle comunità locali.
Su queste brevi riflessioni, che abbisognano di approfondimento, avremo occasione di confrontarci più ampiamente.
Riteniamo sia fondamentale avviare rapidamente le procedure per l'adozione definitiva del piano socio-sanitario regionale, poiché al di fuori di esso ogni discorso programmatorio di riordino dei servizi e di riqualificazione degli operatori, risulterebbe in gran parte vanificato.
L'adozione del piano socio-sanitario dovrà avvenire attraverso un'ampia consultazione che dovrà anche eliminare incertezze e diffidenze ancora esistenti anche perché gli stessi programmi di zona che alcune U.S.L.
stanno avviando rischiano di essere carenti di un quadro di riferimento regionale sicuro.
Concludiamo auspicando che si proceda con tutti gli strumenti perché la gestione della materia sanitaria e socio-assistenziale passi alle U.S.L.
con la gradualità necessaria e che nel contempo si definisca il quadro programmatorio regionale.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marchini.



MARCHINI Sergio

Il mio intervento sarà estremamente grigio ed incolore: non ho trovato storie parallele sulla sanità dagli Aztechi ad Enrietti, anche perché forse le ricerche degli Aztechi erano dirette in altre direzioni; né ho approfondito la storia politica del nostro secolo per verificare se effettivamente scopo fondamentale dello stato liberale sia stato quello di non provvedere al soddisfacimento dei bisogni sociali, come si è detto a sinistra.
Il giudizio sul documento presentato dall'Assessore alla sanità è estremamente positivo e quasi di gratitudine perché è il primo documento meritevole di essere tenuto nel cassetto dei nostri lavori, al di là dell'uso che ne facciamo oggi, quanto meno aiuterà molti di noi e gli operatori a capire lo stato della vicenda; e ci fa pensare a quelle cartine geografiche dei francesi: in questa materia ho sempre l'impressione di avere davanti la cartina, ma non ho mai capito dove sono io. In questo senso la relazione dell'Assessore, soprattutto con quelle appendici su quanto dobbiamo fare, è esemplare e mi auguro che vengano fatti altri lavori di questo genere.
Apprezziamo lo sforzo nel denunciare la carenza di strumenti di informazione per conoscere e tenere sotto controllo questo complesso e delicato fenomeno. Fa torto a questo impegno intellettuale qualche incidente, per esempio, dove si dà per scontato, che lo stato degli immigrati crei nella nostra Regione una mortalità più alta che negli altri Paesi. Non ne sono così certo. Diciamo piuttosto che su una realtà come quella piemontese questo fenomeno non è una causa, ma è semplicemente la rappresentazione di una realtà. Una riflessione va fatta sulla diminuzione della percentuale della popolazione attiva, sulla mortalità infantile quasi a livello di Paese sottosviluppato e sull'aumento della popolazione anziana. Peraltro sarebbe opportuno che queste notazioni fossero supportate da valutazioni statistiche non soltanto di apprendimento, ma anche di proiezione perché sappiamo che questi fenomeni determinano a loro volta una serie di altri fenomeni differiti nel tempo, che sono abbastanza preferibili: l'utilizzo della nota statistica- per la previsione degli eventi futuri ci aiuta a riconsiderare molti dati.
L'atteggiamento della Giunta viene molto più evidenziato da espressioni umorali, tipiche dell'Assessore, che non da considerazioni linguistiche forse più preziose. Quindi la frase, che altri colleghi hanno ripreso, e cioè che l'Assessore non apprezza e soprattutto non riesce a capire come mai ognuno di noi debba trascorrere tre anni di vita in ospedale, mi pare significativa e sta a indicare in che ottica e in che logica si muove l'Assessore. Queste frasi "umorali" ci illuminano, al di là dei documenti e delle cifre. Indubbiamente non possiamo non stupirci anche noi che si passi ogni anno tre giorni della vita all'ospedale. Passare un centesimo della nostra vita all'ospedale vuol dire fare un torto alla vita, che è la negazione dell'ospedale.
Il capitolo secondo della relazione ci introduce sulle scelte di piano e ci richiama ai tipici progetti-obiettivo che abbiamo già esaminato nella passata legislatura e che andremo ad esaminare cori maggior dettaglio quando parleremo, in termini non così positivi, della relazione del collega addetto alla sanità. Il giudizio è positivo sull'ipotesi di lavoro che l'Assessorato intende coltivare in ordine al raccordo tra l'Università ed il Politecnico. Altrettanto stimolante ci sembra il proponimento, che si conclude con l'intuizione di carattere intellettuale, laddove si dice che si deve tendere all'unitarietà della prevenzione, della cura e della riabilitazione. Qui si sottintende una polemica, che l'Assessore avrebbe fatto in modo più pungente se non fosse stato costretto dal tipo di strumento che deve usare, cioè l'atto consiliare.
Accettiamo la proposta finale di non sostituire l'industria della malattia con l'industria della prevenzione e, soprattutto, di tendere ad ottenere risultati di tipo culturale e cioè che il momento preventivo sia un ragionamento condiviso da tutti gli operatori sanitari e da tutti quelli che in materia sanitaria devono decidere. Personalmente sono d'accordo anche sulla valutazione critica a proposito dei reparti di riabilitazione "ultima categoria", direbbe Kant, che ci vengono descritti come l'ultima spiaggia a cui approdano tutte le proposte che non hanno ottenuto risultati positivi. Di qui viene fuori una polemica astiosa ed una sottovalutazione del ruolo che può ancora giocare in questo campo l'imprenditoria privata.
La funzione "vicariante" che si riconosce all'imprenditoria privata la chiamerei stimolante, concorrente, perché è chiaro che una imprenditoria privata che non sappia utilizzare una maggiore snellezza delle sue procedure, una più immediata disponibilità di risorse finanziarie ed intellettuali e una capacità decisionale per provvedere alle esigenze verrebbe certamente meno alla sua funzione.
Non possiamo accettare un giudizio così tranchant. Concordiamo sul fatto che la Giunta persegua il risultato di utilizzare prevalentemente le strutture pubbliche, ma questa è una valutazione che, essendo fatta dall'Assessorato, rischia di diventare una valutazione compiuta dall'istituzione sul ruolo dell'imprenditoria nella sanità, così ridotto e così stigmatizzato e questo non può che trovarci molto critici. Il collega democristiano ci ha invitato a riflettere sulla problematica che c'è dietro ai ricoveri dei cittadini piemontesi nelle altre regioni e all'estero: è una considerazione attenta ed uno stimolo per tutti. Non vorrei però che si giocasse al campanilismo al contrario. Questa mattina qualcuno ha usato un esempio non producente su quanto è avvenuto a Torino, almeno nella logica dell'opposizione e cioè che la tradizione degli interventi sul cuore si è rivelata meno grossa di quello che non sembrasse: non vorrei che quella fosse la giustificazione per dire che quello che riteniamo sufficiente per provvedere ai nostri bisogni lo sia poi veramente; questo è da dimostrare in positivo e in negativo. E vorrei fare una considerazione di tipo umanistico.
Diceva Beltrami che la malattia è come l'assicurazione sulla vita, un tentativo, una scommessa per sopravvivere un giorno di più o per vivere meglio quel giorno di più. Ritengo che sarà difficile negare al cittadino piemontese che, per distorta informazione, ritenga di poter avere un mese di vita in più in una struttura fuori della nostra Regione.
In Epicuro vi sono delle massime non di tipo tecnico, ma di tipo etico e l'Assessore ha voluto sottilmente disquisire sulla differenza tra etico e moralistico e ci sembra abbastanza giusto. Non si tratta di riprendere il problema della medicina e degli operatori in termini moralistici, ma si tratta di riprenderlo in termini etici. Mi consenta, Assessore; quando si richiama l'etica in medicina bisogna cercare di motivare la classe medica in termini anche e non soltanto economici. Allora, il ruolo della classe medica in questa relazione non può essere ridotto. Voglio pensare che sia stato ridotto per motivi di ordine legislativo, si trattava di portare all'esame dei Consiglieri una serie di iniziative che la Giunta intende prendere nell'ambito obbligato della legge nazionale, che richiede degli interventi specifici. Peraltro, fin quando la classe medica (che, a mio avviso, è rappresentata in un primo luogo dai medici, poi magari mi adeguerò alla concezione nuova che ha qualificato certi operatori non più come un tempo, ma come personale paramedico) avrà una sua funzione etica non potremo in un dibattito liquidare tale funzione con il richiamo agli orticelli che la categoria continuerebbe a coltivare; soprattutto non si può pensare che sia sempre nostalgica del passato e sia tentata continuamente di arroccarsi su posizioni di conservazione ed in formule corporative.
L'Assessore ha concluso la sua reprimenda alla classe medica riconoscendo che ciò che la unisce alla classe politica e alla collettività, nel processo di trasformazione, reso obbligato dalla riforma è più forte delle resistenze che potrà avere nei confronti di questo fenomeno.
Ho apprezzato il riferimento che si è voluto dare all'associazionismo.
Non è problema di marche politiche: l'associazionismo di stampo cattolico ha una certa tradizione, mentre l'associazionismo di tipo laico ha un'altra tradizione. Alla base dell'associazionismo esiste quella componente etica che abbiamo richiamato: in sostanza il momento della vita che passa, la vita che modifica in peggio, richiama tutti ad una maggiore solidarietà.
Meno approfondita, e più di occasione, è la relazione della collega Cernetti Bertozzi. Non si può non consentire sull'opportunità che le forze politiche si muovano a livello nazionale affinché venga promulgata li legge quadro e ricordiamo come il Ministro Altissimo sia stato il primo che ha cercato di incardinare l'assistenza nella riforma sanitaria. Così come non si può non concordare sulla necessità che la Regione individui, con legge riesumando magari le proposte giacenti in Commissione, il ruolo delle istituzioni locali.
I progetti-obiettivo ci fanno sorgere alcune perplessità.
In ordine al problema dell'anziano, direi che è aria fritta. Con molta correttezza la collega lo ammette dicendo che questa Amministrazione si muove nella continuità delle decisioni e delle programmazioni precedenti quindi, non ci stupiamo che la terminologia usata in passato per la presentazione di questi documenti venga ripresa dall'attuale Assessore.
Tuttavia, un attento esame del fenomeno da parte delle strutture regionali avrebbe potuto portare alla constatazione, per esempio, che tutta la polemica sulla individuazione del livello di autosufficienza degli anziani ha allargato la fascia di utilizzo delle case di ospitalità. Un tempo i non autosufficienti appartenevano a certe categorie (per noi che veniamo dalla campagna era questione di piani, nelle case di riposo) adesso è diventata una questione così indefinita e indefinibile da far sì che cittadini, non solo, ancora pienamente se stessi, ma in grado di partecipare alla vita sociale nel senso più ampio del termine, si riducano alla casa di ospitalità per il timore che qualunque minima invalidità li faccia cadere in una categoria diversa. A mio avviso, fare letteratura su questi argomenti da parte dei politici, che va a cadere sulle preoccupazioni e anche sulle ansie di intere categorie di cittadini, è una esercitazione che sarebbe opportuno mantenere in termini più corretti.
Altrettanto si può dire sulle tossicodipendenze. Ho apprezzato nella relazione dell'Assessore Cernetti Bertozzi, la volontà di tentare di ricomporre e di riqualificare la qualità della vita di ognuno di noi: tutto quanto consente di far sì che la vita, intesa nella sua pienezza di soddisfazione e di impegno, non si esaurisca con il pensionamento, ma dia la possibilità di essere protagonisti di noi stessi e della società il più a lungo possibile, è sicuramente un obiettivo da perseguire.
Sulla tutela della madre e del bambino la relazione è estremamente carente. I casi sono due: o il progetto asili nido è elefantiaco o non si fa sufficiente attenzione alle ragioni per cui questo tipo di servizio non viene utilizzato. Mi sembra una fuga dalla realtà, anche se una coraggiosa fuga dalla realtà, la decisione di riciclarlo per utilizzarlo per gli anziani. Sono state fatte a livello regionale delle indagini tanto che si è in grado di dire, con la quasi certezza di non sbagliare, che la non utilizzazione dell'asilo nido è significativa e indicativa di un tipo di società estremamente arretrata o in via di ulteriore decomposizione. Ad avviso di chi questo argomento ha studiato a fondo, le cause del non utilizzo di questa struttura sono in primo luogo di carattere culturale e in secondo luogo, contrariamente a quanto si ritiene, nel livello di prestazione, che è appena mediocre. Ecco allora che questa fuga dalla realtà mi preoccupa e mi spaventa. Poiché stiamo parlando di sperimentazione, forse sarebbe opportuno incominciare ad inserire questo tipo di struttura addirittura nell'assistenza nel primo anno di vita del bambino presso il domicilio: probabilmente sarebbe un modo per avvicinare questa struttura alla realtà. Non sono mai stato fautore del paracadutismo sul territorio di queste strutture, certamente questa potrebbe essere la conseguenza di atti e di decisioni che la Giunta ha già assunto. Prima di fare coraggiose fughe in avanti o indietro, andrei molto cauto.
Sul problema degli handicappati la relazione mi sembra estremamente riduttiva e concettualmente di retroguardia. Intanto l'uso del termine "handicappato" per chi ha questi problemi, anche se non in prima persona, è inaccettabile. Il termine che si usa attualmente è quello di "avente invalidità" (l'handicap significa difficoltà permanente); gli handicappati ai quali si riferisce la Giunta sono persone che hanno un tipo di invalidità, ma non hanno ritardi: sono due situazioni diverse che portano a conseguenze politiche diverse. L'intenzione della Giunta è di voler procedere all'indicazione di elenchi degli handicappati e questo veramente fa ritenere che non li considera persone aventi una invalidità, ma handicappati veri e propri (se li ritenesse aventi invalidità probabilmente sarebbe più producente la proposta fatta dal Consigliere missino e cioè di operare in modo che la società si renda conto che sono persone portatrici di invalidità). Si lamenta, per esempio, la mancanza di strutture per handicappati non autosufficienti. Se mi consente, Assessore questi sono gli obiettivi ovvi. E' ovvio che una società deve crearsi le strutture in cui ricoverare queste persone con un alto livello di insufficienza, l'obiettivo politico della Giunta e di una società che si pone di fronte a questi fenomeni è, oltre a quello di ridurre le cause, a monte, anche quello di risolvere il problema dell'inserimento di questi concittadini, non tanto creando degli istituti e delle strutture (dando immediatamente in pasto all'opposizione quello che l'opposizione vuole sentirsi dire), ma dando una corretta informazione, avendo a monte una profonda conoscenza; ma, per avere una profonda conoscenza del problema, ci vuole un altissimo grado di indipendenza (presenterò un progetto di legge quanto prima che dovrebbe mettere qualcuno in condizioni di indipendenza tali da poter dare informazioni corrette su questo argomento). Chiunque abbia esperienza di queste vicende sa bene che il carico di sofferenza degli handicappati è fatto di due zaini, uno procurato dalla natura l'altro dalla società che è lo zaino che pesa veramente con tutte le esperienze e le delusioni che l'handicappato ha dovuto soffrire per interventi non significativi o addirittura per interventi che hanno aggravato la situazione. Su questo aspetto la relazione della collega è estremamente riduttiva ed evasiva.
Altrettanto dire sul problema, oggi di moda, dei tossicodipendenti.
Rilevo, tra l'altro, che i tossicodipendenti sono chiamati "drogati" e anche "diversi" e questo in un documento regionale non mi sembra corretto.
Sono per chiedere di voler modificare il testo della relazione perch personalmente, mi sento a disagio nel leggere in un atto ufficiale della Regione Piemonte, qual è la relazione dell'Assessore, il termine "diverso": è un problema di linguaggio che potrebbe far emergere anche qualche cosa di diverso. In primo luogo il drogato non è un diverso; secondo me, né per pigrizia, né per disponibilità politica, né per disattenzione, si deve accedere a questa facilità di soluzione del problema uscendo dal dramma di dover esaminare il problema del tossicodipendente mettendolo in un'unica categoria con il fumatore e con l'alcolista. E' chiaro che i costi sociali e politici, per la categoria dell'alcool sono superiori a quelli delle tossicodipendenze ma, se vogliamo mettere alla base del nostro lavoro il fatto etico così come ci ha indicato l'Assessore, dobbiamo considerare il baratro psicologico che c'è dietro al tossicodipendente, che da un lato rifiuta la vita come sensazione, come emozione e come impegno e dall'altro rifiuta la "non vita" e questo baratro è molto più significativo e molto più impegnativo di quanto siano le insufficienze sociali, affettive familiari che sono dietro agli altri due fenomeni.
Mi auguro che soprattutto la collega Cernetti Bertozzi non vorrà risentirsi di queste mie considerazioni che sono dettate da spirito squisitamente costruttivo. Nei confronti di questo problema il nostro Gruppo si atteggia esattamente come ebbe ad atteggiarsi il nostro Ministro il quale, essendo esponente di una forza politica che più di altre si era battuta contro la riforma, quando è stato investito della responsabilità di governo con senso dello Stato ha fatto quanto era nelle sue possibilità (cioè tutto) per far sì che la riforma, si attuasse. Quindi, anche per la parte molto più modesta che svolgiamo in Consiglio regionale, riteniamo che non si debba rimettere in discussione niente, questo è provincialismo e revanscismo, ma si debba operare con realismo per perseguire i risultati possibili.
Gli obiettivi, le linee laser che utilizzeremo per giudicare i comportamenti e i provvedimenti della Giunta saranno in primo luogo di verifica che il cittadino abbia dignità e una assoluta libertà di decisione e di scelta. In un convegno recente ho detto che forse saremmo approdati alla riforma quando in ospedale in tutti i reparti si darà del "lei" a tutti. Questo non avviene ed è significativo. Lo diceva prima la collega democristiana: quelli che sono meno fortunati, nel momento in cui sono meno fortunati, devono subire, oltre alla sofferenza fisica, il calo del livello di dignità sociale e di libertà. Questo - se me lo consente l'amico che polemizzava sul sistema liberale - è uno dei capisaldi dell'etica liberale.
Valuteremo se il sistema che andiamo ad impiantare tende anche a fungere da cortina fumogena rispetto alle responsabilità, anche individuali, - della classe medica, degli operatori e degli amministratori.
Non saremmo favorevoli a norme, che dietro a questo moloc che è il sistema che tutto finisce per permettere e per assolvere, diano la possibilità ad ognuno di non rispondere in prima persona di quanto avviene. La responsabilità individuale ci sembra ancora una delle questioni da tutelare in primo luogo.
L'ultima verifica del comportamento della Giunta sarà il grado di burocratizzazione su questa materia. Su queste linee daremo alla Giunta il massimo contributo, consapevoli come siamo che le dichiarazioni dei diritti dell'uomo e del cittadino di Oxford sono ancora carenti in questa parte.
Probabilmente il nostro Paese ha risolto per gran parte i problemi che ci facevano scrivere sulla libertà dal bisogno, ma c'è anche la libertà dalla sofferenza e la libertà dalla paura, temi non secondari ma tipici della nostra società. Una forza politica come la mia, che ha avuto grande attenzione per i problemi economici non solo in Consiglio regionale, è tra quelle più consapevoli che la società post industriale dovrà rispondere a queste esigenze della storia. Forse la rivoluzione che è incominciata con l'umanesimo si compirà proprio quando tutti i cittadini, in modo eguale potranno godere di servizi pubblici adeguati e di qualità tali da remunerare il senso della vita, resi a costi accettabili in regimi di economicità, soprattutto considerando che alla base della vicenda che attiene all'assistenza e alla sanità, c'è un profondo impegno etico di solidarietà nei confronti degli altri.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Revelli.



REVELLI Francesco

Ringrazio gli Assessori Bajardi e Cernetti Bertozzi che con le loro relazioni ci hanno proposto temi, già conosciuti, ma con chiarezza e scadenze precise, in modo che da esse si evince un programma di lavoro prezioso per questo Consiglio. Condivido molte delle osservazioni sin qui svolte nel dibattito e non riprendendole voglio invece soffermarmi su alcuni punti più generali inerenti l'attuazione della riforma sanitaria e la scadenza delle elezioni delle nuove U.S.L.
Noi comunisti crediamo che la riforma sanitaria si inserisca - così come l'abbiamo concepita e per il contributo che abbiamo dato alla sua elaborazione ed approvazione - in una strategia più generale della trasformazione del nostro Paese e che, quindi, essa, abbia delle implicazioni generali e specifiche sulle quali occorre, pur se brevemente soffermarsi.
Intanto è questa, una riforma varata, sul piano legislativo, in un momento particolare della vita politica italiana da una maggioranza molto ampia come mai si era realizzata. In secondo luogo è una riforma che ha tratto una sua ragione da un decennio di grandi lotte; da una domanda organizzata di cambiamento che partiva dai problemi della gente, dei lavoratori e che si proiettava come interesse generale per la società ed il Paese. In terzo luogo quella sanitaria è una riforma che incontra resistenze, che ingenera difficoltà e disguidi ed anche divisioni profonde.
Non sfugge a nessuno di noi la portata della posta in gioco.
Vi sono forze contrarie alla riforma sanitaria, altre, invece, temono (e concordo con Beltrami) il "nuovo" perché vogliono vedere più in là dell'immediato, perché capiscono che questa riforma ne comporta altre e la temono, dunque, come sempre si teme ciò che non si è avuto modo di conoscere meglio. Tale timore è anche alimentato da reali inefficienze, da lentezze, da quella critica "culturale", più che politica, che con tanta attenzione Beltrami ha rivolto alla classe politica, ma anche, credo, nei confronti dei governi che si sono succeduti, così come alle punte spontaneiste dei movimenti che in questo decennio si sono prodotti.
Ma vorrei ricordare al collega Beltrami ed al suo partito, la Democrazia Cristiana, alcuni altri fatti. Le difficoltà che abbiamo di fronte nell'applicazione della riforma sanitaria sono dovute anche alla mancanza di una riforma profonda, secondo quanto previsto dalla Costituzione, delle autonomie locali, per cui questa grande conquista settoriale, la riforma sanitaria appunto insieme ad altre importanti riforme settoriali si presentano come "spezzoni di riforma", non collegati tra loro da un disegno unificante di cui sentiamo l'estrema urgenza e che tarda a realizzarsi per le spinte conservatrici presenti nel Paese. E' questa mancanza che impedisce una riforma "del potere", del modo con cui si governa, poiché ogni "sistema di potere" riesce a sopportare una certa dose di riforme, ma oltre un certo limite, quando il processo "riformatore" mette in discussione il "vecchio potere", allora le resistenze da sottili ritardatrici, si fanno accanite, diventano tutte "politiche", si giocano sul terreno immediato degli egoismi corporativi, tentando di far smarrire i fini generali.
Per questo non dobbiamo dimenticare che la campagna che si era scatenata all'indomani dell'approvazione della riforma sanitaria ha avuto un peso nel disorientare le coscienze. Ugualmente oggi notiamo una certa tendenza ad attribuire alle imperfezioni, alle contraddizioni che pure esistono nella legge 833, tutti i mali passati, presenti e forse anche quelli futuri dell'organizzazione sanitaria del nostro Paese. Non dobbiamo alimentarla questa tendenza! Il giudizio sui mali della situazione sanitaria nazionale è proprio la ragione che ha portato forze, anche così diverse tra loro, a varare questa riforma con grandi progressi nella coscienza delle masse e nell'unità tra le forze politiche democratiche su questo fondamentale problema.
Dobbiamo, semmai, guardare con preoccupazione ad una nuova contraddizione che si estende sempre più, al conflitto che si ingenera tra questa crescita della coscienza unitaria ed il contemporaneo aggravamento della situazione più generale, che incide sulla questione sanitaria (basti pensare all'uso delle risorse, ai problemi della spesa pubblica). Tutto ci comporta la necessità, di elevare questa coscienza, questo filo tenue che lega le forze politiche democratiche su un problema di tale portata, a livelli superiori di concretezza, verso fronti più vasti di azione.
Tre questioni presenti, sia nella relazione di Bajardi che in quella della collega Cernetti Bertozzi, vanno sottolineate: i tempi dell'azione di riforma, gli obiettivi prioritari da conseguire, le forze che devono guidare questo processo.
I due Assessori hanno, esposto un programma di lavoro (carente quello dell'assistenza, non per gli elementi che mancano nella relazione, ma essenzialmente perché si devono fare i conti con i ritardi della riforma in quel settore) che ci richiama tutti a passare dagli articoli e dai commi pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale alle cose, ai problemi, alle certezze che occorre dare alla comunità regionale.
La Regione Piemonte può e deve rispettare i tempi nella chiara consapevolezza, però, che nessun giacobinismo o volontarismo pu sostituirsi ai bisogni, alle esigenze, alla realtà dei fatti. Un atteggiamento di pragmatica prudenza deve essere finalizzato ad evitare vuoti di assistenza medica, di controllo ambientale, di risposte concrete immediate, ai bisogni della gente. Proprio per questo occorre che i tempi siano rispettati da noi e dal Governo centrale.
Sono in molti a chiedersi - leggendo la relazione di Bajardi, che termina con tutta una serie di titoli di leggi che devono essere fatte "tutto questo lavoro a cosa serve? Questa mole di leggi e di regolamenti, a che servono? ".Dobbiamo rispondere con chiarezza che è un lavoro indispensabile: che un quadro normativo, il più snello possibile mi auguro è necessario per dare certezze a tutti gli operatori. Non faremo nulla di importante se non ci fossero questi riferimenti legislativi. Ma è altrettanto chiaro che le aspettative, la tensione ideale, di cui la riforma ha bisogno per realizzarsi, non possono essere rinchiuse nelle aule consiliari, né, tanto meno, apparire ai cittadini come un mero passaggio di competenze, una parcellizzazione del "sistema di potere precedente", una redistribuzione più equa di influenza tra le varie forze politiche. Il Consiglio regionale del Piemonte è chiamato ad una attività legislativa complessa, urgente. Deve rispondere positivamente in avanti, ma deve anche saper rispondere dando vita ad un rapporto più diffuso tra le istituzioni e la comunità regionale sottolineando l'originalità della riforma nel nostro Paese rispetto ad altre esperienze europee, e cioè il fatto che essa è stata preceduta, accompagnata da un vasto movimento culturale, sindacale politico, pluralistico, di cui sono stati e debbono essere ancora partecipi milioni di cittadini.
E' comunque questo movimento che ha alimentato la volontà riformatrice delle varie forze politiche, che ha permesso un giudizio più preciso sulla crisi della vecchia organizzazione sanitaria ed assistenziale, che ha distinto chiaramente tra le ipotesi conservatrici e le giustificate prudenze che si sono manifestate tra le forze politiche a livello parlamentare.
E' anche di qui che è venuto un nuovo impulso a capire il reale stato di salute della popolazione. Sotto questo profilo sono allarmato dal fatto che denuncia Bajardi nella sua relazione e cioè che tutti i dati che sono in nostro possesso sulla salute in Piemonte e sull'incidenza delle malattie sono estremamente parziali poiché derivati solo da pochi strumenti in nostro possesso. Anche in questo vi è un nodo di fondo da sciogliere, il mancato raccordo tra Stato e Regioni, tra i vari strumenti in possesso di ogni livello di governo per capire e cogliere in tutta la loro portata le incidenze quantitative e qualitative del fattore malattia.
In questi anni abbiamo appreso con più serenità e concretezza a riconoscere che la salute è un bene comune (certo, distribuito in modo ineguale tra le regioni del paese e tra le classi), per molti aspetti indivisibile, e come non sia possibile rinchiudere un fenomeno collettivo quale è la malattia nel solo rapporto, pur fondamentale, tra medico e paziente, separando il campo delle cure da quello della prevenzione.
Questa è la ragione per cui chiamiamo il nuovo servizio "Servizio Sanitario Nazionale". E' un servizio, non un nuovo ente, un feudo, o un altro corpo abnorme che prolifera separato dal corpo statale. E' sanitario perché non è solo medico - terapeutico ma preventivo - ambientale. Nessuno si prefigge di sconfiggere, debellare definitivamente la malattia, nessuno di noi è ancorato ad un mito ottocentesco del progresso, ma riconosciamo che l'aspirazione alla salute è un diritto ed un dovere fondamentale del cittadino, è un bene per tutta la comunità. E' nazionale - questo servizio perché tende ad una unitarietà, anche se amministrato in modo decentrato corrispondente al sistema delle autonomie su cui si fonda il nostro Stato.
Di qui deriviamo la convinzione che la riforma sanitaria - e quella dell'assistenza - possono essere un terreno d'azione, aperto alla partecipazione ed al controllo democratico dei cittadini, non solo per assistere meglio gli italiani, ma per unirli in un'opera di rinnovamento che ha implicanze più vaste che nessuno può ignorare.
Non si tratta, dunque, soltanto di una razionalizzazione, pur necessaria ed urgente. Essa ci pone il tema di quella riforma "intellettuale e morale" che ci porti a superare il tradizionale distacco la divaricazione tra la cultura (intesa nel senso più ampio del termine) e la realtà, i problemi veri della gente. Questa divaricazione è stata corretta solo in parte, con le conquiste come questa riforma sanitaria, dal movimento popolare e riformatore del nostro Paese; perché l'attenzione di questo movimento non si è rivolta, sufficientemente, andando al di là della battaglia delle idee, in cui si è impegnato con .forza e successo, alla cultura non esplicita, a quella che si annida tra le pieghe profonde del costume e determina la condotta reale di ognuno e quindi anche i suoi bisogni. Ciò che occorre osservare ed aver presente, a nostro avviso, è che la riforma sanitaria mette in evidenza come questa riforma morale culturale e le riforme economiche e gli indirizzi politici si presentino in un intreccio strettissimo.
La crisi esige che alcuni atteggiamenti culturali cambino, che siano abbandonate abitudini che oggi sono di spreco (di risorse umane e materiali), che siano superati e vinti atteggiamenti corporativi, che le risorse siano commisurate alle esigenze complessive, agli investimenti alla riforma.
Questa riforma ci porta a rimettere in discussione il modo di produrre di consumare e di vivere: coinvolge le abitudini quotidiane dei cittadini le sottopone ad una critica. Di qui quei timori, quelle preoccupazioni che ricordava poco fa Marchini. Ed in questo quadro vengano fuori, emergono alla luce del sole i guasti, provocati non certo dalle riforme, ai quali si riferiva la collega democristiana Bergoglio. Proprio per queste ragioni abbiamo sempre parlato di "austerità", come sviluppo nel cambiamento quando abbiamo affrontato il discorso delle fondamentali riforme di cui ha bisogno il Paese.
Per questo ci siamo chiesti: è possibile confrontarsi con i destinatati delle riforme, i lavoratori, gli intellettuali, i giovani, gli emarginati senza essere portatori di nuove certezze unitarie? Ciò che è certo è che sui temi sanitari, che rappresentano l'aspetto più emergente, perché immediatamente tangibile come sofferenza o come benessere del rapporto globale uomo - natura - società, la sfasatura tra leggi e cultura, convinzioni radicate e di massa, è molto profonda. Noi stessi, partito comunista, siano soltanto agli inizi di un lavoro che pu rivelarsi estremamente fertile. Scontiamo la tendenza a sottovalutare le scienze e la tradizione che impropriamente chiamiamo umanistica. E' auspicabile che la riforma unitaria valga anche a questo: a sollecitare un moto culturale o degli approfondimenti necessari a farci comprendere il significato della promozione della salute.
Ma la riforma ci richiama ad altri problemi immediati di trasformazione, ai quali non possiamo sfuggire, pena la vanificazione della riforma stessa, e riguardando temi che cito solo in titoli; la pubblica amministrazione, il rapporto cittadini - Stato, pubblico - privato. Li ha trattati, credo con molta proprietà, il collega Reburdo nel suo intervento ed è su questi temi che non ho inteso bene la critica di Bel trami. Lo Stato non mi pare "appaltabile", come garante di diritti e di doveri, né mi pare peraltro che la riforma proponga una mortificazione del "privato" se non di quella parte del privato che ha usurpato il ruolo dello Stato e che ha puntato sulla sua cronica incapacità di governare i processi e la domanda sociale per sussistere e che oggi continua a puntare sulle disfunzioni e le inefficienze, sulla non-riforma, per garantirsi un avvenire.
Di qui anche le altre questioni di grande portata per avere un rapporto corretto tra partiti e nei confronti dell'esecutivo regionale: la questione del pluralismo, che ricorre nella relazione Cernetti Bertozzi e che è un argomento che è stato trattato a lungo dall'Assessore Vecchione nella scorsa legislatura. C'è stato un confronto con le confessioni religiose con il volontariato, con le forze sociali. E' uscito un messaggio specifico e cioè che il primo compito della riforma oltre che avviare la prevenzione è quello di umanizzare e qualificare le cure. Se non raggiungessimo questo risultato immediato, al quale peraltro in Piemonte si è lavorato con attenzione, sarebbe davvero un fallimento.
A questo compito non sono chiamati soltanto coloro che esercitano o che dovranno esercitare, dopo le elezioni delle nuove U.S.L., i poteri trasferiti, ma tutti gli operatori sanitari: i medici, i tecnici, gli infermieri. Questa legge offre loro una prospettiva molto più ambiziosa e nobile di quella che fino ad oggi hanno esercitato, cioè non soltanto curare le malattie, ma prevenirle. Questi operatori svolgono un lavoro tra i più delicati; dalla loro opera quotidiana dipende la validità o la vita di altri uomini; dovrebbero essere ben qualificati e ben pagati, cosa che non avviene nel nostro sistema. La loro capacità professionale è stata invece fiaccata spesso dalla concezione dell'ospedale come macchina di poteri, di profitto, in cui il servizio, la scienza, la formazione hanno avuto spesso solo funzioni accessorie. Anche con queste forze occorre un confronto più serrato perché dobbiamo riconoscere pienamente che contro queste forze la riforma non si fa.
Partiamo da una constatazione che può sembrare ovvia nel nostro tempo ma non è: gli ospedali sono fatti per gli ammalati, i trasporti per chi viaggia, le scuole per gli alunni, i tribunali per chi chiede giustizia, lo Stato per servire i cittadini. Siamo qui anche per questo, con le responsabilità della Regione, dell'intero sistema delle autonomie piemontesi.
Tutto ciò dimostra che la riforma sanitaria non è soltanto costituita da norme procedurali, da decreti, da mutamenti istituzionali, anche se di grande rilevanza.
Al di là di ciò che faranno i partiti per il 21 dicembre nella loro autonomia, si tratta comunque di sapere se migliaia di Consiglieri comunali saranno mobilitati intorno a questi grandi temi, così come quelli di circoscrizione, i protagonisti della vita sindacale, dei movimenti femminili, giovanili, sapendo qual è la portata della sfida. Che potrebbe avvenire, invece, se prevalesse, al di là delle giuste distinzioni tra maggioranza ed opposizione, un clima confuso, se si rompesse ogni filo unitario riformatore che tiene insieme quelle forze che hanno voluto questo atto di riforma. Se dominassero e prevalessero gli egoismi di partito, gli interessi di categoria, di gruppo, di zona.
Noi dobbiamo avere chiari quattro punti che con grande lucidità richiamava in un recente convegno l'on. Giovanni Berlinguer: 1) il decentramento più sostanziale avviene dallo Stato (o parastato) verso i Comuni. Proprio la patologia emergente oggi, e i moderni orientamenti della prevenzione, richiedono infatti un "potere globale" della popolazione sui fattori di malattia o di salute, e sull'insieme dei servizi pubblici. E' chiaro che la Regione è una cerniera essenziale, e le U.S.L. lo strumento principale dell'azione sanitaria.
2) Gli ospedali e gli altri presidi specializzati delle U.S.L., i presidi multinazionali, le Università, le sedi cioè dove si concentra la maggiore esperienza ed attrezzatura - tecnico scientifica acquistano maggiore rilievo, proprio nella fase in cui si tende ad avvicinare l'assistenza e la prevenzione ai cittadini nei luoghi di vita, di studio e di lavoro. Guai, infatti, se questo avvicinamento significasse decadimento della qualità e dispersione delle forze, i ponti funzionali, i canali formativi, lo scambio di esperienze e conoscenze devono perci moltiplicarsi, per assicurare ad ogni capillare intervento il necessario retroterra didattico e scientifico.
3) Il decentramento regionale e comunale può significare aderenza alle realtà locali, stimolo alle iniziative del personale, impulso alla partecipazione democratica. Ma può anche esprimersi - in molte parti lo sta già diventando - come condiscendenza a interessi settoriali, spinta ai campanilismi, emulazione nelle concessioni anziché nella qualità dei servizi, e perfino come accentuazione di speculazioni affaristiche e politiche sulla pelle dei cittadini. Ritardi e distorsioni nell'applicazione della riforma ne sono testimonianza. La lotta, ormai, è solo marginalmente fra accentramento e decentramento, fra statalisti e regionalisti. E' sui metodi, sui programmi, sui fatti.
4) Proprio perché gran parte dei compiti sanitari sono ormai affidati alle Regioni e ai Comuni, si richiede allo Stato un impegno più ampio e qualificato. Un tempo, e forse qualcuno ne è nostalgico, esso agiva essenzialmente per via amministrativa. Ora deve influire con la chiarezza dei programmi, con le capacità tecnico - scientifiche, con i contributi formativi che sono indispensabili per sostenere l'azione regionale e locale. Come è pensabile, per esempio, fare i piani delle Regioni e delle U.S.L. se non viene approvato il Piano Sanitario Nazionale? Come si pu garantire la qualità dei servizi senza formare adeguatamente i medici? Come è possibile pensare al futuro quando la ricerca biomedica è la cenerentola della scienza, e al suo coordinamento nazionale provvedono ben quattro Commissioni che, essendo collocate in enti e ministeri diversi, si ignorano a vicenda? Come si può immaginare di far fronte al rischio maggiore, che il servizio sanitario accentui, anziché attenuare gli squilibri fra Regioni e zone del paese, senza una guida governativa autorevole e senza coerenze di comportamento, almeno fra i partiti che hanno voluto la riforma? Anche per questo la discussione di oggi è proficua e ci permette di andare a fondo. Non ho sentito voci che hanno negato la validità di ciò che è stato proposto dagli Assessori.
Il Governo indubbiamente deve fare la sua parte con chiarezza, deve mettere a disposizione i fondi, non deve fare giochi come quello che ci ha proposto Forlani di scavalcare le Regioni e il sistema delle autonomie magari per anticipare i tempi di una riforma delle autonomie che ancora non è, anche se ci auguriamo che venga presto, dando i fondi direttamente alle U.S.L.
Capisco che chi ha delle preoccupazioni di bilancio, di fare chiarezza nell'amministrazione dello Stato, forse crede che questa sia una soluzione ma sarebbe un gravissimo fatto poiché impedirebbe non solo la forma del controllo, ma anche dell'equilibrio e riporterebbe indietro le Regioni da dove sono venute. Sarebbe un attacco frontale al ruolo e all'autonomia di tutto il sistema su cui si basa lo Stato italiano.
Si delinea, con le elezioni delle U.S.L., un disegno della rappresentanza, del rapporto tra periferia e Regioni. Ciò che conta l'abbiamo detto più volte, è che il generale prevalga sul scrutinale, il politico sul corporativo, il pubblico sulle lottizzazioni. La fase che si apre è una fase costituente, non perché eleggiamo un nuovo organismo, è una fase costituente nella gestione.
Si tratta di rendere più efficiente e più democratico ciò che sino ad oggi abbiamo criticato e abbiamo definito non essere tale. Quindi ritorno al tema del fatto che il decentramento non deve essere l'occasione di ulteriore conflittualità ed inefficienza. Nè si può immaginare che esso sia un attacco da parte dello Stato, delle Regioni, degli stessi Comuni alle libertà dei singoli o dei gruppi.
Sappiamo anche che i vari attentati alle libertà invece avverrebbero se l'inefficienza continuasse, perché questi attentati, quando l'amministrazione non funziona, si rivolgono, come qui è già stato ricordato, contro il cittadino solo, inerme, sconosciuto, indifeso, e le inefficienze in Italia - lo dimostra l'esperienza di questi anni - è antidemocrazia, perché chi ha mezzi finisce in qualche modo per arrangiarsi.
Le U.S.L., così i distretti, di cui ha parlato oggi pomeriggio Acotto sono quindi un'occasione per definire con esattezza il rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione, tra cittadino e personale statale tra cittadino e servizio, ed anche tra Consiglio e Giunta. Non credo che tutto ciò possa essere garantito solo dal governo regionale, né da un solo partito né da una maggioranza che sostiene questo governo, neanche dalla buona volontà dei Comuni. Occorre una unità più vasta e un impegno di tutti, P.C.I. e P.S.I. hanno voluto, promosso e sostenuto con grande forza la riforma sanitaria, hanno avuto un ruolo che non può essere dimenticato proprio oggi che apriamo un dibattito che durerà due mesi nella società civile, nel confronto con le comunità locali in vista del 21 dicembre hanno avuto un ruolo nel rendere culturalmente vincente ed organizzativamente matura contro resistenze, spinte ritardatrici e deformatrici l'istituzione del servizio sanitario nazionale, insieme ai socialdemocratici ed ai repubblicani. Ma è pur vero che, quando nella D.C.
è prevalsa la cultura della riforma, questo partito ha dato un contributo attingendo a un retroterra complesso e ricco di tradizioni. Per questo credo che vada accolto l'appello unitario espresso dall'on. Danilo Morini nella sua relazione al convegno ANCI-FIARO di Assisi del 28 ottobre 1980.
Si è detto tanto sulla questione delle U.S.L. C'è chi le vuole già come nuovi Comuni, c'è chi crede già di fare un'operazione di questo tipo, c'è già chi getta una luce particolare su ciò che saranno le deleghe della Regione, e via discorrendo. Non siamo favorevoli ad una interpretazione del genere. Ritengo che ci devono essere maggioranze e minoranze ovunque, come è giusto - come dice appunto l'on. Morini - perché nelle U.S.L. si rifletta la dialettica che c'è nei Comuni, ma è altrettanto vero che, in questo momento di fase costituente, per impiantare una nuova organizzazione, per valorizzare tutto ciò che di riformatore ogni forza politica è in grado di fare, forse sarebbe bene che con un metodo, caro alla D.C., quello della "concordia discors" si trovassero delle linee unitarie per affrontare il confronto con la comunità regionale.
Credo che la Regione debba svolgere un grande compito di informazione possa anche essere la sede in cui le forze politiche al di là dei propri interessi e del ruolo che avranno in queste elezioni, siano in grado di redigere un appello unitario rivolto alla comunità regionale.



PRESIDENTE

La parola alla signora Vetrino.



VETRINO Bianca

Prima di intervenire sulla relazione dell'Assessore Cernetti Bertozzi sulla quale è peraltro intervenuto, in coda al suo intervento, il collega Gastaldi, vorrei dire alcune cose relativamente alla relazione dell'Assessore Bajardi, scusandomi se, per il tempo, non ho l'opportunità di dare sfogo alle molte sollecitazioni che da questa relazione venivano ma, l'Assessore ci ha promesso che nei prossimi mesi dovremo varare trenta leggi, quindi penso che avremo ampia occasione in quest'aula di dibattere i vari temi che avrei voluto toccare anche in questa giornata. Il primo dei due argomenti relativamente alla sanità, sui quali voglio soffermarmi brevemente riguarda la spesa sanitaria, anzi, più precisamente, il governo della spesa sanitaria. A livello nazionale i repubblicani, in occasione dell'approvazione della riforma sanitaria, pur solennizzando la storicità dell'avvenimento, si erano astenuti, proprio perché in quell'occasione non erano state fornite loro le garanzie sufficienti sul controllo della spesa sanitaria. Non vorremmo che questa incertezza si trasferisse anche a livello regionale. Infatti, pensiamo che se si vogliono fissare dei criteri politici e strutturali che consentano contemporaneamente una maggiore razionalizzazione della spesa sanitaria ed un effettivo miglioramento del servizio, è necessaria una politica regionale saldamente ancorata ad una programmazione nazionale e regionale, che deve non solo fissare la misura nella quale la spesa sanitaria potrà crescere rispetto al reddito nazionale, ma anche fare tutto il possibile perché tale misura sia rispettata e, nello stesso tempo, stabilire in quali attività e secondo quali criteri e modalità la Regione e le U.S.L. spenderanno i soldi che sono loro attribuiti. Non dimentichiamo che l'assegnazione media è di 1.200 miliardi nei prossimi tre anni, lo credo che gestire questa somma non dovrà essere un gioco e su questo specifico argomento è auspicabile un dibattito anche in Consiglio, nei prossimi tempi.
Vorrei brevemente soffermarmi sulle U.S.L., ricordando che effettivamente, il motivo principale per cui si è andati ad un anticipo della discussione del programma relativamente alla sanità in questa giornata è proprio quello di stabilire un dibattito all'interno del Consiglio, in vista delle elezioni del 21 dicembre e, possibilmente arrivare ad un momento di impegno unitario del Consiglio a questo riguardo.
Relativamente alle U.S.L. le nostre critiche risalgono a molto lontano.
Avevamo infatti espresso fortissime riserve sulla legge regionale 41/76 sulla zonizzazione che, per esempio, per quanto riguarda Torino divide la città in 23 U.S.L. e noi avevamo invece indicato, come modello decimale di U.S.L. metropolitane, un ambito territoriale di almeno 200 mila utenti.
La stessa struttura ospedaliera, peraltro, della città di Torino presenta una eccessiva concentrazione di ospedali in alcuni quartieri, per esempio Nizza - Millefonti, a scapito di altri che ne sono del tutto sprovvisti (ad esempio il quartiere S. Rita). Ciò non consente un decentramento e può creare i presupposti di un abnorme potere politico gestionale da parte di alcune U.S.L., rispetto al Comune, che può portare secondo noi, a pericolosi contrasti. Ora c'è la legge n. 3 del 1980 e con essa, praticamente, ci troviamo di fronte ad un caso esattamente opposto cioè l'insediamento di un'Unità Sanitaria che concentra, in sé tutti i poteri in materia socio-sanitaria e che dovrebbe esercitare le funzioni che erano in passato del Comune e della Regione e degli Enti mutualistici. Oggi l'Assessore ci annuncia il "Progetto Torino", che dibatteremo e vedremo nei prossimi tempi.
In questo avvio di costituzione importante - come è stato osservato anche adesso dal Consigliere che mi ha preceduta - assume certamente importanza quello che l'Assessore chiama la funzione di indirizzo e coordinamento che la Regione deve esercitare nei confronti delle autonomie locali.
Non vorremmo, però, che questo indirizzo non rispondesse se non ad una logica di burocratizzazione del rapporto, ma vorremmo, invece, che trovasse il suo perno su un indirizzo organizzativo chiaro, con una funzione di supporto che, specialmente nella prima fase, sarà pressoché indispensabile: bisogna cioè fornire quel modello organizzativo che la relazione dell'Assessore invoca, ma che ancora non esiste.
La verità è che solo se le modalità di gestione saranno snelle e non burocratizzate (per questo avremmo potuto tenerci le mutue) e solo all'interno di un chiaro sistema organizzativo, e per le funzioni amministrative e per l'attività sanitaria, potremo risolvere i gravi problemi che ancora si frappongono per l'attuazione concreta della riforma.
Ecco perché le leggi che il Consiglio si appresta ad istruire e ad approvare per il perfezionamento della riforma dovranno avere come modello ispiratore che quello che abbiamo in mano non è un Ente economico, una banca o una cooperativa, ma la nostra salute e, quindi, va abbandonata, per contro, la logica dell'U.S.L. quale mezzo per assicurare agli organi locali di partito una gestione politica in una visione indefinita di appiattimento e di deresponsabilizzazione particolarmente desolante, ma perci suscettibile di mediazioni politiche. Ecco perché avremmo visto con favore una presenza maggiore di tecnici all'interno delle Unità Locali dei Servizi, anche se la facoltà dell'assemblea di cooptare nel Comitato di gestione rappresentanti anche non Consiglieri comunali, garantisce la nostra preoccupazione di assicurare agli esperti una loro insostituibile presenta gestionale nella U.S.L. E' per noi un fatto fondamentale coinvolgere nei programmi sanitari l'esperienza del medico, del biologo del farmacista, del chimico, dell'economista, al fine di rendere sempre più stretti i rapporti interdisciplinari tra i diversi settori della scienza sanitaria e socio-economici.
Detto questo, vorrei passare alla relazione dell'Assessore all'assistenza. Effettivamente le linee programmatiche per i servizi socio assistenziali dell'Assessore Cernetti Bertozzi risentono, a nostro avviso di un vizio di fondo, non imputabile all'Assessorato competente, ma che di fatto impedisce una visione completa del problema sociale del Piemonte, non disponendo di tutti quei chiarimenti che la finora mancata riforma nell'assistenza avrebbe, invece, consentito.
La lunga battaglia autonomistica che le forze politiche hanno fatto per la 382, battaglia che ha portato al chiarimento delle competenze dello Stato e delle Regioni e che ha individuato nel Comune l'unico soggetto responsabile nei confronti della comunità, ed il trasferimento dei poteri previsti dai decreti attuativi, non sono stati da soli momenti sufficienti per fare completamente ordine in quest'ampia e dinamica materia.
Il D.P.R. 616, pur riconoscendo l'assistenza sociale, pur riconducendola ad una corretta opera di "pulizia istituzionale dei Comuni" non può esprimersi se non nel più vasto quadro della riforma nazionale dell'assistenza. I vari convegni sui servizi sociali e sanitari hanno sempre portato alla conclusione che i problemi delle riforme su materie specifiche cadevano e cadono davanti a problematiche di carattere politico istituzionale attinenti all'assetto dello Stato ed invocano soprattutto la riforma delle autonomie e della finanza locale.
Ciò non significa che la lunga elaborazione più che ventennale non ci abbia fatto fare molti passi avanti. Ci ha portato all' "unificazione" della questione sociale ed alla sua collocazione decentrata.
La vasta materia dei servizi sociali si colloca perciò nell'ambito dell'Unità Locale, a livello distrettuale, nell'alveo logico dei distretti sanitari di base, definiti chiaramente dalla 833. L'integrazione di questa finalità si può esprimere solo mediante due aspetti fondamentali: 1) un'estrema chiarezza istituzionale - finanziaria 2) con metodi di lavoro integrati, che comprendano l'informazione, la conoscenza profonda del territorio su cui si opera (mappa di rischi e dei bisogni), il riequilibrio delle risorse, il coinvolgimento delle forze sociali nelle scelte e nelle verifiche; la percezione da parte della popolazione che qualcosa cambia in efficienza ed efficacia.
Abbiamo piena coscienza che ci stiamo muovendo verso un'aggregazione tattica, progressiva e che l'obiettivo è globale. Per ora, nonostante le leggi regionali, com'è giusto, aggancino la "politica sociale" a quella sanitaria, mancano in gran parte le condizioni per creare un vero equilibrio e una più corretta conoscenza della "differenza": prevenzione cura - riabilitazione, intervenendo sull'ambiente modificando i rapporti sociali ed una utilizzazione del personale in funzione di questa "differenza".
In questo quadro instabile riteniamo che compito essenziale di una programmazione dell'assistenza sia innanzitutto quello di accogliere sì l'ambito sanitario quale sovrapposizione ed integrazione del sociale, ma coglierlo con estrema attenzione nel suo ruolo separato. Il rischio è infatti, che il settore dei servizi sociali possa risultare dalla sovrapposizione o dall'integrazione con il settore sanitario, indebolito proprio dall'accentramento e dal monopolio che i servizi sanitari vengono ad assumere nelle costituende unità. Non solo, ma, mentre il settore sanitario attinge ad una spesa storica che opportunamente incrementata è già certa, i servizi sociali sono in una fase di finanziamento più incerta poiché annualmente prevedibile in presenza di servizi organizzati e definiti. Non solo, ma mentre taluni servizi di intervento sociale sono conseguenza diretta di un precedente servizio sociale, esistono numerosi servizi (sociali tout court) che nel loro svolgersi non interferiscono mai nel sanitario. Chiarito questo aspetto che per noi è fondamentale riteniamo che i progetti evidenziati dall'Assessorato, di intervento prioritario sugli handicappati e sugli anziani, siano sostanzialmente condivisibili. Tale priorità credo che non risponda alla logica di dover adeguare un impegno regionale ai programmi internazionali che su questo tema si vanno delineando, ma che dovrebbero finalmente forse poter onorare impegni che la precedente Giunta aveva preso, anche enfaticamente, su questi argomenti. Ricordo il convegno sugli anziani, dell'inizio dell'anno svoltosi in questa sala, con l'intervento di specialisti in geriatria di tutta Europa e con una partecipazione dell'utenza veramente straordinaria.
Indubbiamente, il progetto anziani è un progetto che occorre prevedere poiché esso è un programma in ascesa, stanti le prospettive di incremento del la popolazione anziana. Il problema fondamentale resta quello di assicurare agli anziani quell'indipendenza economica che il livello delle attuali pensioni non consente certamente. Le altre iniziative in tema assistenziale che l'Assessore elenca appaiono ormai come cose risapute dopo alcuni anni di dibattito e anche, diciamolo pure, di realizzazioni.
Crediamo che ormai si debba passare alla fase pratica. Facendo un bilancio di quelle esperienze che a livello comunale si sono acquisite, vorrei chiedere all'Assessore, visto che nella relazione non c'è, una statistica su questi interventi: quanti anziani sono stati interessati, per esempio dall'assistenza domiciliare, quanti dai centri di incontro, quanti dalle case albergo, quanti dalle comunità albergo. Un discorso più cauto va fatto a proposito degli handicappati, di cui si è molto parlato, ma poco realizzato, anche se esistono difficoltà oggettive di intervento.
Come conclusione direi che, purtroppo, oggi la realtà è che quando si tratta di dimettere un handicappato o un minore con difficoltà da un istituto psico - medico - pedagogico per inserirlo nuovamente sul territorio, non si trova un'équipe funzionante e nemmeno le strutture adeguate. Questo presuppone anche il discorso fondamentale della preparazione dei quadri che non vanno solo coperti sulla carta, ma fatti funzionare nel territorio. Questo presuppone, comunque, a monte, un censimento che per quanto difficile, va perfezionato. Spero che l'Assessorato abbia al proposito maggiori dati rispetto a quelli che appaiono nella relazione. Personalmente avevo fatto parte di una Commissione che ha lavorato per due anni presso l'Assessorato all'assistenza nella scorsa legislatura, e credo che in quella fase si fosse già arrivati ad una serie di dati importanti che andavano, appunto perfezionati in vista di un programma successivo, che vorremmo operativo a questo punto.
Vorrei inoltre soffermarmi sugli asili nido i cui posti bambino - c'è scritto nella relazione - che pure sono costati investimenti considerevoli da parte della Regione, non vengono completamente utilizzati. Credo che occorra chiaramente dirci che aver costruito delle strutture che oggi addirittura si , pensa di utilizzare per degli anziani, è stata una follia.
E' vero che diventando anziani si diventa bambini, ma io invito tutti a visitare un asilo nido e a vedere se le strutture sono trasferibili in quelle necessarie per anziani. In prospettiva credo che vada avvalorato il principio che la dislocazione di asilo nido deve essere coerente con una dislocazione di scuola materna, proprio in funzione anche di una eventuale utilizzazione della struttura se inutilizzata. Il discorso, però, della frequenza dell'asilo nido è prevalentemente un discorso culturale. Si accede ancora oggi alla convinzione che l'affidamento del piccolo in mani più familiari (magari anziane ed anche affaticate) sia preferibile all'affidamento alle mani esperte delle puericultrici di una struttura pubblica, organizzata, efficiente e sicura anche sotto il profilo sanitario. Sono personalmente convinta che il bambino debba rimanere nei primi anni di vita, quando possibile, affidato alle cure materne, ma poiché la donna lavoratrice ha il più delle volte l'esigenza di riprendere il lavoro dopo l'interruzione obbligatoria, questa sua esigenza deve essere soddisfatta con l'affidamento del bambino alle strutture pubbliche. Le U.S.L., che attualmente, per ora (faccio l'esempio dell'U.S.L. n. 30) non si occupano delle strutture asili nido, dovranno agire anche, a questo riguardo, in un'ottica di Unità dei Servizi e, laddove le distanze sono di qualche chilometro, favorire un servizio di Unità Locale esteso ai Comuni interessati.
Sulla droga chiediamo all'Assessorato quello che abbiamo chiesto alla Regione già un anno fa, e cioè un'analisi campione sull'età in cui ha inizio l'uso della droga, sul tipo di droga che viene usata, sulla saltuarietà e continuità del suo uso e, inoltre, una relazione sul funzionamento dei pochi centri attivati della Regione, un'analisi dei metodi usati dal tipo di popolazione che a questi centri fanno capo e dei risultati finora conseguiti. Sarebbe poi auspicabile un dibattito più teso e più responsabile su questa piaga che, se oggi non ci colpisce a livello di comunità regionale ancora pesantemente, perché i "casi" sembrano quantitativamente irrilevanti, quando i casi fossero di più il problema sarebbe veramente irrisolvibile.
La relazione dell'Assessore Cernetti Bertozzi, che è pregevole nei principi che enuncia e nelle linee programmatiche che sviluppa, manca, a nostro avviso, di concretezza, non basandosi su dati e statistiche di partenza che riterremmo indispensabili. La tanto decantata "mappa dei bisogni" è rimasta ancora "aria fritta". L'intento organizzativo che la relazione si ripropone è fondamentale se veramente si vogliono creare o razionalizzare i servizi sociali in Piemonte. Qualunque riforma che non sappia farsi guidare nel suo sviluppo attraverso i necessari supporti organizzativi e che non abbia opportunamente preparato gli operatori e predisposto gli utenti, cade, purtroppo, inesorabilmente nel vuoto.



PRESIDENTE

La parola per l'ultimo intervento al Consigliere Viglione.



VIGLIONE Aldo

Giunti a quest'ora, propongo che si proseguano gli interventi domani mattina.



PRESIDENTE

Signor Consigliere, la ringraziamo per questa sua richiesta, perché gli Assessori questa sera non replicavano.


Argomento: Trattamento economico dei Consiglieri

Proposta di iscrizione di un punto all'ordine del giorno


PRESIDENTE

Avrei ora da proporre l'iscrizione all'ordine del giorno del progetto di legge n. 21: "Modifiche alle leggi regionali 13 ottobre 1972 n. 10, 10 novembre 1972 n. 12, 30 giugno 1977 n. 33, 12 giugno 1978 n. 32".
Chi è d'accordo che si inserisca all'ordine del giorno la proposta di legge n. 21? Il Consiglio concorda all'unanimità.


Argomento: Tutela dagli inquinamenti idrici

Esame deliberazione Giunta regionale n. 93-1051 relativa a: "Modifiche ed intestazioni della delibera del Consiglio regionale 24 maggio 1979, n. 469/3826 relativa a determinazione delle tariffe relative ai servizi di raccolta, allontanamento, depurazione e scarico delle acque (articoli 16 e 17 della legge 10 maggio 1976, n. 319)"


PRESIDENTE

Passiamo ora all'esame della deliberazione della Giunta regionale n. 93 1051 relativa a: "Modifiche ed integrazioni della delibera del Consiglio regionale 24 maggio 1979, n. 469/3826 relativa a determinazione delle tariffe relative ai servizi di raccolta, allontanamento, depurazione e scarico delle acque (articoli 16 e 17 della le: 10 maggio 1976, n. 319)".
L'Assessore competente ha facoltà di illustrare la deliberazione.



SALERNO Gabriele, Assessore alla tutela dell'ambiente

La politica per la tutela ed il risanamento delle acque nel territorio piemontese ha sempre avuto ampi spazi dalla nascita istituzionale della nostra Regione.
Le leggi regionali n. 32 del '74 e n. 23 del '75 hanno addirittura anticipato le analoghe iniziative dello Stato. La legge regionale n. 32 del '74, aggiornata dalla legge n. 49 del '77, si riproponeva di regolamentare tutti gli scarichi liquidi inquinanti delle aziende produttive, difendendo il territorio anche con pesanti sanzioni amministrative per i trasgressori. Ora questa legge deve cedere il campo alla normativa statale, ma possiamo ben dire che essa ha raggiunto notevoli risultati in questi anni ed ha costituito un utile strumento per gli Enti locali, soprattutto in presenza dei continui slittamenti della legge n.
319.
Con la legge n. 23 del '75, integrata dalla legge n. 22 del '79 invece, la Regione Piemonte ha varato il primo piano regionale di risanamento delle acque nelle aree maggiormente urbanizzate ed industrializzate del Piemonte. Il piano di risanamento, che prevedeva originariamente una spesa di 164 miliardi per la realizzazione di collettori ed impianti di trattamento consortili, oggi richiede ancora un intervento finanziario di oltre 400 miliardi che vanno sommati ai circa 110 miliardi a tutt'oggi impegnati ed in parte spesi. Un altro intervento finanziario massiccio sta per essere realizzato con i fondi attribuiti alla nostra Regione con la delibera del CIPE dell'8 agosto 1980, ai sensi dell'art. 4 della legge 650. Le cifre citate indicano abbastanza vistosamente quale sia la volontà della nostra Regione per la soluzione del problema dell'inquinamento dei nostri corsi d'acqua causato soprattutto dallo sviluppo urbanistico e produttivo verificatosi nell'ultimo ventennio.
Ora è necessario che l'opinione pubblica entri nell'ordine di idee che la risorsa acqua è da considerare sempre più un bene economico e, in quanto tale, occorre proteggerla ed utilizzarla con la convinzione che il tempo in cui l'acqua era abbondante e bastava andare a prenderla, è ormai finito e si è invece verificata una fase caratterizzata da una forte carenza, per la scarsa disponibilità di questa risorsa. E' importante precisare che il contributo della collettività può e deve essere stimolato dagli Enti preposti alla gestione dei servizi che riguardano il ciclo dell'acqua dal suo prelievo al suo scarico. La Regione, per quanto attiene alle sue competenze, sta provvedendo ad aggiornare il primo piano di risanamento delle acque, il quale dovrà contenere, tra l'altro, norme per un razionale uso dell'acqua, volte cioè ad evitarne gli sprechi, fissando standard di consumo riferiti ai possibili vari utilizzi civili ed industriali. E' comunque indispensabile che a questi sforzi si accompagni una vera e propria coscienza della gravità della situazione attuale e della necessità di porvi rimedio a tutti i livelli. E' poco utile, infatti, che vengano spesi decine di miliardi per predispone impianti ed organizzare strutture se questo impegno non viene compreso dalle popolazioni.
L'Assessorato all'ambiente, che in questa legislatura ha assunto tra le sue competenze anche l'energia, ha voluto in questo modo chiudere il discorso sulla tutela dell'ambiente affrontando il problema del risparmio delle risorse ambientali e, fra esse, certamente l'acqua è quello che necessita le maggiori e più solerti cure. L'applicazione, quindi, degli artt. 16 e 17 della legge 319 non deve rappresentare solo grattacapi di carattere amministrativo che pure sono presenti e per la cui soluzione si sta presentando questa proposta al Consiglio, ma, in generale, deve essere considerata un modo attraverso il quale la collettività collabora alla gestione dei servizi ormai indispensabili nell'attuale nostra società, ed i cui costi devono essere necessariamente suddivisi fra i suoi fruitori. Non giova certamente, a tale proposito, la superficialità con cui alcuni hanno trattato questo argomento definendo questo canone semplicemente come "tassa della pioggia", contribuendo, quindi, a creare un senso di diffidenza nei confronti di questa richiesta di denaro che si aggiunge a molte altre già esistenti. Tanto più che, se è vero che all'ammontare del canone concorrono le spese di gestione della rete fognaria e dell'eventuale impianto, è vero altresì che l'incidenza dei suddetti costi non supera mai il 20/25 % del totale. I Comuni ed i Consorzi ai quali principalmente spetta l'applicazione di questa normativa, devono dal canto loro impegnarsi ad una corretta gestione dei servizi in esame, nonché all'accantonamento delle somme occorrenti per la ricostituzione delle opere. E' importantissimo che questi principi stiano alla base dell'operato degli Enti gestori, perch solo attraverso un simile atteggiamento può essere giustificata la riscossione di questo canone.
Gli artt. 16 e 17 della legge del 10 maggio 1976, n. 319, prevedono per i servizi di raccolta, allontanamento, depurazione e scarico delle acque di rifiuto ricadenti dalle superfici dei fabbricati privati e pubblici, ivi inclusi stabilimenti ed opifici industriali a qualunque uso adibiti, il pagamento di un canone o diritto da determinarsi con le formule pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale n. 232 del 26 agosto 1977 con D.P.R. del 14 maggio 1977.
Nell'arco di tempo intercorso dalla pubblicazione della deliberazione del Consiglio regionale n. 469 del 24 maggio 1979, sono state fatte molte considerazioni e diversi esempi di applicazione, il più portante dei quali è stato fatto per il Comune di Torino. La formula per gli usi civili relativa a tutti gli insediamenti civili, prevede la tassazione in funzione del volume di acqua prelevata dall'acquedotto e ridotto del 20%. Per le acque meteoriche, invece, è prevista una tassazione a parte, con formule apposite, la cui applicazione comporta la denuncia di una serie di dati non a tutti facilmente reperibili (per esempio: superfici coperte, superfici a verde, altezze medie di piovosità e via di seguito). Dalle considerazioni suesposte si è potuto constatare la possibilità di semplificare in modo determinante l'applicazione delle tariffe in oggetto conglobando - ed è questa la proposta - la tassa per le acque meteoriche che confluiscono in fognatura in quel 20 % di riduzione del volume di acqua prelevato dall'acquedotto. Adottare tale soluzione comporta esclusivamente la rivalutazione del coefficiente R. che è uguale a 0,8, portandolo a valori pari a 1. L'applicazione di tale accorgimento, da conteggi fatti, comporta una riduzione di introito per gli Enti beneficiari che va dal 3,65% per il Comune di Torino ad un 6/7 % per gli altri Comuni. D'altra parte, però, con tale accorgimento si semplificherebbe e renderebbe più agevole l'applicazione della formula per usi civili, che si ridurrebbe ad una somma di due addendi variabili in funzione diretta della quantità di acqua prelevata, consentendo all'utente con adeguati conteggi di controllare l'esistenza dell'iscrizione a ruolo a suo carico da parte del Comune.
Secondariamente, poi, la riduzione in termini reali del canone teorico, se da un lato favorirebbe gli utenti, d'altro lato non costituirebbe una diminuzione secca del gettito prevedibile, poiché bisogna tener conto sia dell'incidenza del suolo pubblico (a Torino è pari al 18%, della superficie globale), che in ogni caso dovrebbe essere conteggiata autonomamente, sia dell'economia di costo e di tempo che l'Ente pubblico realizzerebbe applicando una sola formula ed effettuando l'iscrizione a ruolo di una sola partita. D'altronde, mentre la parte del canone per usi civili non presenta difficoltà applicative, insolubili ed è universalmente accettata dagli utenti, quella per le acque meteoriche solleva resistenze, perplessità e notevoli dubbi interpretativi in ordine sia all'oggetto del canone, ossia all'individuazione di fatto delle superfici scolanti le cui acque possono essere considerate direttamente o indirettamente affluenti alla rete fognaria - si pensi, per esempio, alla varietà dei sistemi adottati dai costruttori edili per smaltire le acque piovane, nonché all'impossibilità oggettiva di stabilire un criterio logico ed univoco atto a distinguere le aree permeabili tassabili da quelle che possono essere considerate uso agricolo come orti, giardini, parchi e via di seguito - sia in ordine alle norme dei regolamenti igienico sanitari che, non essendosi ancora adeguati alle norme della 319, tollerano pozzi perdenti per lo smaltimento delle acque meteoriche o cisterne per la raccolta ed il riciclo o, più semplicemente, lo scarico diretto in corsi d'acqua superficiali, in dipendenza della sussistenza o meno della fognatura mista comunale.
Orbene, finendo, se è pur vero che successive evoluzioni legislative o dettagliate direttive in merito potranno dare soluzione adeguata a tali difficoltà oggettive, appare opportuno, in sede di prima applicazione del canone e, in via sperimentale, limitatamente agli usi civili, prevedere per gli Enti pubblici la possibilità di adottare una determinazione forfettaria del canone per le acque meteoriche, mediante l'elevazione del coefficiente per scarichi civili R da 0,8 ad 1.



PRESIDENTE

Dopo l'illustrazione svolta dall'Assessore, voglio comunicare che la Commissione ha approvato la delibera riguardante l'integrazione della deliberazione del Consiglio regionale 24 maggio 1979, che recita: "Il Consiglio regionale vista la deliberazione della Giunta regionale 7 ottobre 1980, n.
93/1051 viste le considerazioni di premessa in essa contenute sentita la competente Commissione consiliare delibera di approvare le seguenti variazioni alla delibera del Consiglio regionale 24 maggio 1979, n.. 469/CR/3826: a) al punto 2 è aggiunta la frase: 'Il criterio per la concreta determinazione delle tariffe sarà in ogni caso quello del raggiungimento dell'equilibrio del bilancio dei detti servizi'.
b) E' soppressa al punto 5 dell'allegato E) la seguente frase: 'L'aggio esattoriale sarà corrisposto dai Comuni o loro Consorzi a valere sulle somme introitate con i canoni'.
c) L'allegato C) è integralmente sostituito dal seguente testo: 'Situazioni particolari e transitorie' 1) Determinazione semplificata delle tariffe per i servizi di fognatura e depurazione.
I Comuni con popolazione residente non superiore a 4.000 abitanti ed i loro Consorzi con popolazione complessiva non superiore a 6.000, possono adottare una tariffa semplificata da determinarsi, attribuendo ai parametri che figurano nelle formule di cui al D.P.R. 14 maggio 1977 (Gazzetta Ufficiale n. 232 del 26 agosto 1977) i valori non superiori a quelli riportati nella tabella che segue, e comunque rispondente ai criteri di cui al n. 2 della delibera (pareggio del bilancio).
L'adozione di tale tariffa è esclusa qualora siano allacciate ai servizi pubblici di fognatura nera industrie di dimensione superiore ai 50 addetti ciascuna o se comunque il numero totale degli addetti delle industrie allacciate ai suddetti servizi è superiore alle 300 unità.
2) Determinazione forfettaria della tariffa per le acque meteoriche applicata a carico degli utenti di scarichi civili.
I Comuni od i loro Consorzi, qualora sussistano oggettive difficoltà di applicazione delle formule per le acque meteoriche, possono in via sperimentale e temporanea, determinare forfettariamente il canone per le acque meteoriche dovuto in concomitanza a quello per scarichi civili aumentando il coefficiente R della formula per usi civili da 0,8 ad 1'.
La presente deliberazione è dichiarata immediatamente esecutiva ai sensi dell'art. 49 della legge 10 febbraio 1953, n. 62".
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
La deliberazione è approvata all'unanimità dei 38 Consiglieri presenti in aula.


Argomento: Trattamento economico dei Consiglieri

Esame progetto di legge n. 21: "Modifiche alle leggi regionali 13 ottobre 1972 n. 10, 10 novembre 1972 n. 12, 30 giugno 1977 n. 33, 12 giugno 1978 n. 32"


PRESIDENTE

Passiamo ora all'esame del progetto di legge n. 21 che il Consiglio ha accettato di iscrivere all'ordine del giorno.
La parola al relatore, che è la collega Bianca Vetrino Nicola.



VETRINO Bianca, relatore

Signor Presidente, signori Consiglieri, la proposta di legge regionale n. 21, dal titolo "Modifiche alle leggi regionali 13 ottobre 1972 n. 10, 10 novembre 1972 n. 12, 30 giugno 1977 n. 33 e 12 giugno 1978 n. 32" presentata dall'ufficio di Presidenza ed approvata all'unanimità dalla I Commissione nella seduta del 29 ottobre, porta praticamente degli aggiornamenti alle cifre e percentuali previste nelle varie leggi che ho elencato.
In particolare, l'art. 1 prevede un aggiornamento della misura del rimborso attraverso una serie di fasce con riferimenti chilometrici.
L'art. 2 si riferisce all'aggiornamento del contributo di cui alla lettera a) dell'art. 3 della legge regionale 10 novembre 1972 n . 12 modificato con l'art. 4 della legge 20 giugno 1977.
L'art. 3 aggiorna le adempienze che devono svolgere i Gruppi relativamente alla gestione del contributo loro assegnato. In particolare è previsto che entro il 31 gennaio di ogni anno i Presidenti dei Gruppi consiliari devono presentare all'Ufficio di Presidenza una nota riepilogativa circa l'utilizzazione dei fondi, ecc.
L'art. 4 si riferisce al fondo amministrato dall'Ufficio di Presidenza per cui è prevista l'integrazione di un rappresentante di ogni Gruppo consiliare che non sia a sua volta membro dell'Ufficio di Presidenza, per la gestione di questo fondo.
Riguardo all'art. 5 va considerato una comma che nell'ultima stesura non è stato inserito, cioè quello che adegua l'art. 5 all'art. 20. Il comma recita: "La frazione di anno di effettivo esercizio in carica non inferiore ai sei mesi e un giorno viene computata come anno intero, quella minore non è considerata".
L'art. 6 fissa la misura del premio di solidarietà, mentre l'art. 7 garantisce la copertura finanziaria di questi provvedimenti che sono stati presi e l'art. 8 dichiara l'urgenza della legge, ai sensi dell'art. 45 dello Statuto.
Si proceda alla votazione della le e compresa la variante suggerita.
Articolo 1 - "La misura del rimborso spese di cui all'art. 2 della legge regionale 13 ottobre 1972 n. 10, modificato dall'art. 2 della legge regionale 20 giugno 1977 n. 33 è fissata nella seguente misura mensile a far tempo dal l° ottobre 1980: L. 250.000 per i Consiglieri regionali che abitano nel Comune di Torino L. 325.000 per i Consiglieri regionali che abitano in Comuni la cui distanza da Torino non superi i 25 chilometri L. 400.000 per i Consiglieri regionali che abitano in Comuni la cui distanza da Torino è compresa tra i 25 e i 50 chilometri L. 475.000 per i Consiglieri regionali che abitano in Comuni la cui distanza da Torino è compresa tra i 50 e i 75 chilometri L. 550.000 per i Consiglieri regionali che abitano in Comuni la cui distanza da Torino è compresa tra i 75 e i 100 chilometri L. 625.000 per i Consiglieri regionali che abitano in Comuni la cui distanza da Torino è compresa tra i 100 e i 125 chilometri L. 700.000 per i Consiglieri regionali che abitano in Comuni la cui distanza da Torino supera i 125 chilometri".
Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti 42 hanno risposto SI 42 Consiglieri L'articolo 1 è approvato.
Articolo 2 - "Il contributo di cui alla lettera a) dell'art. 3 della legge regionale 10 novembre 1972 n. 12 modificato dall'art. 4 della legge regionale 20 giugno 1977 n. 33 è fissato in L. 1.000.000 a far tempo dal l ottobre 1980. Dalla stessa data il contributo di cui alla lettera b) dello stesso articolo è fissato in L. 300.000".
Si proceda alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti 42 hanno risposto SI 40 Consiglieri si sono astenuti 2 Consiglieri L'articolo 2 è approvato.
Articolo 3 - "L'art. 4 della legge regionale 10 novembre 1972 n. 12 è sostituito dal seguente: 'Ogni Gruppo provvede autonomamente in base ad apposito Regolamento interno ed a cura dei propri organi direttivi alle spese inerenti il proprio funzionamento.
A tal fine ciascun Gruppo consiliare individua le iniziative da porre in essere, e con propri atti interni provvede alla gestione del fondo costituito con i contributi di cui all'art. 3.
In particolare sono a carico di detto fondo: le spese postali, di cancelleria e telefoniche le spese per l'acquisto di libri e riviste le spese per l'attività svolta dai Gruppi funzionalmente collegate ai lavori del Consiglio e alle iniziative dei Gruppi stessi le spese di stampa effettivamente sostenute per l'attività dei Gruppi le spese per eventuali consulenze qualificate o collaborazioni professionali di esperti necessari per lo svolgimento delle funzioni istituzionali dei Gruppi.
Entro il 31 gennaio di ogni anno i Presidenti dei Gruppi consiliari presentano all'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale una nota riepilogativa circa l'utilizzazione dei fondi loro erogati nell'anno precedente articolata per categorie e per voci. L'Ufficio di Presidenza allega tali notizie alla rendicontazione prevista dall'art. 5 della legge 6 dicembre 1973, n.. 853.
La disposizione di cui al comma precedente si applica a far tempo dal 1° gennaio 1981.
Il mancato adempimento di tale prescrizione comporta la sospensione della corresponsione dei contributi di cui alla presente legge' ".
Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti 42 hanno risposto SI 42 Consiglieri L'articolo 3 è approvato.
Articolo 4 - "Il primo comma dell'art. 2 della legge regionale 12 giugno 1978 n. 32 è sostituito dal seguente:'Il fondo è amministrato dall'Ufficio di Presidenza del Consiglio integrato da un rappresentante per ogni Gruppo consiliare non rappresentato nel predetto ufficio ed è alimentato dai contributi obbligatori dei Consiglieri in carica, dai contributi volontari dei Consiglieri cessati dal mandato o loro aventi causa, dagli interessi maturati sulle somme di proprietà del fondo stesso e da eventuali elargizioni' ".
Si proceda alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti 42 hanno risposto SI 42 Consiglieri.
L'articolo 4 è approvato.
Articolo 5 - "La tabella riportata al primo comma dell'art 12 della legge regionale 12 giugno 1978 n. 32 è sostituita dalla seguente: anni di contribuzione perc. mensile versati lorda 5 25 6 30 7 35 8 40 9 45 10 50 11 53 12 56 13 59 14 62 15 65 16 68 17 71 18 74 19 77 20 (ed oltre) 80 La signora Vetrino Nicola presenta il seguente emendamento aggiuntivo: "La frazione di anno di effettivo esercizio in carica non inferiore ai sei mesi ed un giorno, viene computata come anno intero, quella minore non è considerata".
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
L'emendamento è approvato all'unanimità dei 40 Consiglieri presenti in aula.
Passiamo ora alla votazione dell'art. 5 così emendato.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti 40 hanno risposto SI 40 Consiglieri L'articolo 5 è approvato.
Articolo 6 - "Il primo comma dell'art. 20 della legge regionale 12 giugno 1978 n. 32 è sostituito dai seguenti: 'L'ammontare del premio di solidarietà dovuto ai Consiglieri regionali è fissato nella seguente misura: l'ultima mensilità dell'indennità consiliare lorda percepita in carica dal Consigliere cessato moltiplicata per ogni anno di effettivo esercizio del mandato fino ad un massimo di dieci anni per gli anni successivi al decimo, la misura è fissata nel 50 dell'indennità di cui sopra.
Per gli effetti di cui al comma precedente, la frazione di anno di effettivo esercizio in carica, non inferiore ai sei mesi ed un giorno viene computata come anno intero, quella minore non è considerata' ".
Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti 40 hanno risposto SI 40 Consiglieri L'articolo 6 è approvato.
Articolo 7 - "Agli oneri derivanti dall'attuazione della presente legge si provvede con le disponibilità esistenti ai capitoli n. 10 e n. 50 dello stato di previsione della spesa per l'anno finanziario 1980 e per ciascuno degli anni finanziari successivi".
Si proceda alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti 40 hanno risposto SI 40 Consiglieri L'articolo 7 è approvato.
Articolo 8 - "La presente legge dichiarata urgente ai sensi dell'art.
45 dello Statuto ed entra in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione".
Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti 40 hanno risposto SI 40 Consiglieri L'articolo 8 è approvato.
Passiamo ora alla votazione sull'intero testo della legge.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione presenti e votanti 39 hanno risposto SI 39 Consiglieri Il progetto di legge n. 21 è approvato.
La seduta è tolta.
(La seduta ha termine alle ore 19,15)



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