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Dettaglio seduta n.154 del 21/09/82 - Legislatura n. III - Sedute dal 9 giugno 1980 al 11 maggio 1985

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI


Argomento:

Sull'ordine dei lavori


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Convoco i Capigruppo per definire l'ordine dei lavori della seduta odierna).



(La seduta, sospesa alle ore 9,45 riprende alle ore 10,40)



PRESIDENTE

Colleghi Consiglieri, nella riunione dei Capigruppo si è stabilito di esaminare il punto decimo all'ordine del giorno: "Esame mozioni e ordini del giorno sulla situazione internazionale".
Le mozioni e gli ordini del giorno sulla situazione del Libano sono momentaneamente ritirati per essere aggiornati secondo gli ultimi gravissimi fatti successi.


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale


PRESIDENTE


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale

Argomento:

a) Congedi


PRESIDENTE

In merito al punto terzo all'ordine del giorno: "Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale", rendo noto che hanno chiesto congedo i Consiglieri: Astengo - Bajardi - Carazzoni - Ferraris - Gastaldi - Genovese Majorino - Paganelli - Penasso.


Argomento:

b) Presentazione progetto di legge


PRESIDENTE

E' stato presentato il seguente progetto di legge: N. 249: "Modifiche ed integrazioni alle leggi regionali 56/1977 e 50/1980 per i Comuni classificati sismici con D.I. n. 82 del 4 febbraio 1982" presentato dai Consiglieri Chiabrando, Picco, Ratti e Sartoris in data 14 settembre 1982.


Argomento: Questioni internazionali

Esame mozioni e ordini del giorno sulla situazione internazionale


PRESIDENTE

Passiamo al punto decimo dell'ordine del giorno "Esame mozioni e ordini del giorno sulla situazione internazionale". La parola al Consigliere Revelli.



REVELLI Francesco

Signor Presidente e colleghi, a qualche giorno dal nuovo fatto gravissimo successo in Libano, caratterizzato non solo da un eccidio militare, ma essenzialmente da quello che giustamente è stato definito un grave delitto contro l'umanità su popolazioni inermi nei campi palestinesi l'esecrazione, l'orrore sono stati espressi ampiamente da tutta la comunità nazionale e piemontese con la manifestazione di ieri sera, estremamente composta e responsabile.
Vorrei fare tre considerazioni che hanno motivato il nostro ordine del giorno, prima ancora del tragico evento di sabato sera.
La prima è questa: "Non abbiamo mai condiviso la politica dei governanti di Israele in questo ventennio.
Il Partito Comunista ha avuto modo di criticare e di opporsi con mezzi legittimi, con prese di posizione nei dibattiti in Parlamento e nelle assemblee elettive, anche con le manifestazioni di massa, insieme ad altre forze, alle politiche seguite dal Governo di Israele". Oggi però si tocca il limite. Quando chiediamo un ultimatum per fermare il Governo di Begin non facciamo solo delle considerazioni, come quelle di tipo politico, che ha fatto Berlinguer nel discorso di domenica al Festival dell'Unità, ma cerchiamo di andare più a fondo, di capire e di scavare all'interno della buona o della cattiva coscienza, per molti o per pochi, sulla vicenda ebraica da un lato e sulla vicenda dei Palestinesi dall'altro.
Non abbiamo condiviso la politica di molti governi di Israele, ma abbiamo sempre capito e affermato che era un problema vero l'esigenza di Israele quando proclamava che la sola cosa non negoziabile era l'esistenza di quello Stato.
L'abbiamo sempre difesa questa esigenza, anche nei momenti più duri. Ma il problema palestinese è sempre stato visto di riflesso a questo problema.
Il problema palestinese non è certo scevro da contraddizioni che riguardano tutto il mondo arabo e la politica dei blocchi.
Nel 1967, poco dopo la guerra dei sei giorni, c'è stato il vertice arabo di Kartum. In quel vertice, ancora una volta, la posizione del fronte del rifiuto si accompagnava ad atti incerti anche nei confronti della politica internazionale e fece sì che i Palestinesi, costituendo l'O.L.P.
che per l'80 è fatto da Al Fatah, fece sì che l'O.L.P. dovesse assumere cacciata dai giordani in Libano una posizione politica che aveva il senso del riscatto più generale dei Paesi arabi, che aveva quella punta rivoluzionaria di trasformazione di quei regimi moderati e spesso feudali che ha tanto interessato il movimento di quegli anni. Ma, ripeto, Kartum era segnato dall'impotenza. Fu così che da allora, come già nella guerra dei sei giorni, Israele ha praticato sempre la guerra preventiva e sviluppato una concezione della sua sicurezza che andava ben oltre le esigenze della salvaguardia di quello Stato, così come si era costituito. E Begin ne è l'ultima espressione, la punta più avanzata in senso negativo.
Begin, che appartiene a quella frazione del sionismo da sempre minoritaria all'interno stesso del movimento sionista, fin da quando si costituì e mise radici, anche nella comunità ebraica polacca, ha una concezione, insieme a Sharon e ad altri membri di quel Governo, ben diversa da quella dell'ebraismo internazionale e in generale del sionismo. Ed è paradossale ma significativo - ed è questo su cui bisogna riflettere - che nel momento in cui i Palestinesi, cosiddetti guerriglieri, lasciano Beirut, secondo una trattativa a cui aderisce anche Israele, alla presenza di una forza multinazionale come quella americana, italiana e francese, e si celebra il vertice di Fez, forse da molti giudicato moderato, ma che arriva ad un riconoscimento per molti aspetti non ancora dettagliato, preciso della realtà di Israele, che ha qualche segno di ambiguità, come è stato detto da alcune parti, ebbene nel momento in cui può scoppiare ed espandersi la pace, inizia la tragedia. Perché? Perché la guerra preventiva non è più giustificata, perché le aggressioni per la sicurezza non sono più giustificate, perché tutta la costruzione psicologica e politica che ha retto in questo ultimi tempi il Governo di destra, che è alla destra di Israele, si trova profondamente scoperta. Con Fez si apre la possibilità non solo di un nuovo protagonismo dell'O.L.P., che ha rivisto molte delle sue posizioni, si apre la possibilità diplomatica, il ritorno alla politica, alla ragione. In questo senso, più che mai, sono messe in discussione quelle conquiste che la politica di sicurezza e di guerra preventiva, praticata in questi ultimi anni da Begin, credeva ormai vincente.
La Cis-Giordania dovrà essere restituita probabilmente; probabilmente Israele dovrà abituarsi a convivere con altri, con i Palestinesi. Si apre quella strada che la comunità internazionale, superate le cattive coscienze del passato, vede, pur tra mille contraddizioni, come l'unica strada possibile da battere e da percorrere. Ecco il grande pericolo che si apre di fronte a noi. Ecco perché, nel momento in cui più vicina è la pace, chi fa la guerra non sa fare altro, non si sa riconvertire. Lo sta capendo la sinistra israeliana, lo capisce non solo il Partito Comunista israeliano che non è fatto di molti israeliani di per sé, è fatto anche di molti arabi che risiedono in Israele, ma lo capisce quel vasto schieramento di sinistra, che, pur sionista per molti aspetti e pur non rinunciando a definire ancora con la parola terroristi l'attualità dell'O.L.P., sa che quando scoppia la pace i cannoni debbono tacere, e che questa riconversione è la cosa più dolorosa e più difficile per un Paese come Israele.
La seconda considerazione che voglio fare riguarda l'atteggiamento della Comunità internazionale. Non aggiungo molte considerazioni a quelle fatte dal mio Partito in questi giorni e ampiamente conosciute. E' paradossale che l'unica scommessa che non vince Begin è quella con chi gli ha dato in qualche misura mandato di essere un capo di governo che porti la pace occidentale ed americana, nel senso tradizionale e meno corretto del termine, in quella regione. Begin poteva credere di aver vinto tutte le scommesse, quella di aver ottenuto che i Palestinesi guerriglieri l'esercito dell'O.L.P., se ne andassero dal Libano; che il Libano potesse essere uno strumento più o meno docile nelle sue mani (anche se lo stesso Bechir Gemayel non accettava del tutto questa posizione, ed era l'espressione di un risorgente nazionalismo per l'unità di quel Paese) poteva aver vinto anche la scommessa di aver costretto il vertice di Fez alla pace e quindi suo implicito riconoscimento, ma non ha vinto la scommessa più importante, quella che fossero gli stessi americani a fermarli. E come Reagan ha cambiato politica in campo economico, è costretto a prendere le misure rispetto a quella pax americana che aveva creduto troppo facile in Medio Oriente. Oggi Begin rischia di non avere più l'appoggio di quella stessa potenza che l'aveva mandato ad essere la forza che regolava i rapporti in Medio Oriente.
La terza considerazione è questa. Che cosa fa l'Europa? L'Europa ha assecondato con i suoi Governi per lungo tempo la politica americana e assecondando la politica americana, in qualche misura assecondava anche la politica sovietica, assecondava la logica dei blocchi. Oggi l'Europa pu essere protagonista, oggi l'Europa può essere l'unico vero elemento che porti una pace stabile in Medio Oriente, che avvii una trattativa che sia non soltanto volta a fermare la guerra ed i massacri, ma che abbia la forza politica e culturale per quelle riconversioni che debbono fare i vincitori ed i vinti, gli oppressori e gli oppressi, rifacendosi alle loro culture.
E' nella radice dell'Europa che nasce e cresce il sionismo, è nella radice dell'Europa che nasce, anche e soprattutto dalla sinistra, l'appoggio ai movimenti di liberazione nazionale.
Quindi è stonato che nel nostro Paese vi siano forze che pensino che il movimento dell'O.L.P., come ha detto Reagan in passato per tutti i movimenti di liberazione, sia soltanto terrorismo. Questa è un'aberrazione che sta contro i dati di fatto. Non neghiamo i fatti terroristici, non neghiamo le vicende di questi ultimi anni e degli anni passati. Quello che è certo è che la situazione è cambiata. Non saperne prendere atto, e non cogliere l'occasione da parte dei Governi europei ed in primo luogo da parte del Governo italiano, che vede un leader come Arafat giungere in Italia accolto dal Paese reale, anche interpretato da Pertini, ma non ufficialmente dal Paese legale, in cui Spadolini non lo riceve e quindi non riconosce ancora ufficialmente l'O.L.P., è un passo nel senso dell'intransigenza, non del cedimento. Perché non allinearsi sulla diplomazia, diciamo pure moderata e ragionevole, di Fez vuol dire alimentare da un lato le spinte che ci saranno ancora in Israele psicologiche e politiche, alle guerre preventive, alle aggregazioni per la difesa, e per altro verso non riconoscere la realtà palestinese e non dare una sistemazione accettabile a questo popolo che lotta malgrado tutto per avere una sua terra, un suo Stato, delle sue istituzioni, un'organizzazione politica e civile.
Ed infine vorrei aggiungere, rispetto alle richieste che abbiamo avanzato nell'ordine del giorno, che è stato presentato prima della vicenda tragica di sabato, una considerazione di tipo diverso.
Il pericolo è che risorga una forma di anti-semitismo. Per anti semitismo io non intendo essere contro gli ebrei, l'anti-semitismo è essere contro i semiti, l'anti-semitismo è anche contro i palestinesi, l'anti semitismo è il rifiuto di una cultura, dell'essere diversi, magari di minoranze di popoli che sono tali e che sono minoranze nel quadro internazionale. Guai se non vedessimo nella coscienza degli ebrei del mondo ciò che è diverso dagli ebrei di Israele, che guidano questo governo; guai se non sapessimo cogliere nella storia la vicenda che Begin giunge al governo di quel Paese dopo che la tradizione ashkenazita è stata in parte disciolta e sconfitta e diventa minoritaria.
C'è invece la tradizione di chi è venuto dai Paesi mussulmani, ebrei, a lungo protetti da quello che la stessa religione mussulmana impone nei confronti dei cristiani, degli ebrei, di proteggere le religioni monoteiste e quindi spesso di soffocarle con dei controlli troppo ravvicinati. Guai se non sapessimo stare, più che con le affermazioni facili sul monoteismo con l'ellenista di un tempo - che oggi può sembrare troppo ottimista ma che aveva ragione - quando diceva che quando gli dei si combattono, lasciano stare in pace gli uomini. Nelle religioni monoteiste non è così. In Libano si combattono mussulmani, cristiani ed ebrei e si alleano di volta in volta gli uni contro gli altri. Questo se lo ricordi anche Papa Wojtyla. Hadad lotta in nome di quel Cristo, con quella croce stermina, magari sotto lo sguardo e la concessione dell'esercito israeliano. Non dimentichiamo questo, così come in Giordania, o prima in Libano, a El Zaatar, furono i mussulmani ad uccidere i loro fratelli. E' una considerazione che non ha nulla a che vedere con la politica, ma ha a che vedere con le coscienze con le alleanze, per far sì che il governo Begin se ne vada, perché Israele abbia diritto ad un altro governo, quello dell'altro Israele; così come l' O.L.P. ha trovato un capo in Arafat e ha scelto la logica diplomatica quella di Fez, e quindi diventa protagonista nelle masse, quindi cancella anche un passato che è stato a volte tragico. Sotto questo profilo, metto in guardia anche coloro che oggi vivono questo dramma dei facili amici.
Noi non siamo mai stati dei facili amici, come comunisti, anche delle comunità ebraiche in certi momenti. Abbiamo avuto il coraggio delle nostre posizioni nel '67 e negli anni successivi; perseguiamo una linea politica non una linea morale o essenzialmente una linea culturale. Siamo Per la pace e quindi per la trattativa, perché ci sia scongelamento tra i due blocchi, comprensione; quando invece sentiamo facilmente coloro che si schierano da un lato e dall'altro in nome di principi, spesso falsi, ci viene in mente invece di pensare che troppe organizzazioni politiche in Europa, ed anche nel nostro Paese, sentono soltanto il richiamo della superpotenza, a cui guardano come limite, come punto di riferimento. Avete guardato, e lo dico per alcuni Partiti, al neoliberismo di Reagan come alle cose essenziali per uscire dalla crisi. Avete guardato le guerre nel mondo secondo quanto dicevano l'America o l'Unione Sovietica e non vi hanno chiesto il permesso per cambiare politica.
Ecco l'ora del riscatto dell'Europa secondo la sua cultura; l'idea di una sinistra, di una nuova classe dirigente che, anche su questo terreno anche nei conflitti del Medio Oriente, può dimostrarsi tale per il nostro Continente, pena l'emarginazione, pena l'esser messi da un canto su ogni piano politico, economico e sociale. Non chiediamo dunque una affermazione da parte del governo italiano. Rinviare, se è il caso, la forza di pace come mi pare che venga detto in questi giorni, saper discernere, nella politica, tra le idee politiche degli uni e degli altri, fare in modo che torni il primato della politica e questo vuoi dire aprire la strada alla pace, alla ragionevolezza. Contro ogni altra casa noi ci batteremo, così come abbiamo detto in una grande manifestazione di massa, concludendo il Festival dell'Unità, attraverso le parole del nostro Segretario e non concedendo spazio a nessuna speculazione facile o d'occasione.
In questo senso invitiamo le altre forze del Consiglio a cercare una strada unitaria, per dire una voce univoca al nostro Governo, attraverso un ordine del giorno che, depurato da ogni sentimento, vada sodo, vada dritto agli obiettivi, quello di conseguire una pace non stabile, ma possibile quella oggi possibile nel Medio Oriente.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARCHIARO



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Vetrino.



VETRINO Bianca

Signor Presidente e colleghi, vorrei intanto osservare che questa mattina, nel pervenire ad un accordo circa il modo col quale presentarci questa mattina al Consiglio regionale per parlare del terribile crimine che in questi giorni l'umanità ha dovuto registrare, alla Presidenza è probabilmente sfuggito che nel parlare di crimini e di vittime, sarebbe stato doveroso rivolgere innanzitutto un momento di raccoglimento a quei bambini, a quelle donne, a quegli anziani, a quelle persone che sono morte in questi giorni trucidate. Per questo mi permetto di rivolgermi al Presidente affinché, prima di proseguire nella riunione, il Consiglio abbia questo minuto di raccoglimento.
Grazie.



PRESIDENTE

Accolgo l'invito della Signora Vetrino e prima di proseguire il dibattito invito i colleghi ad un minuto di raccoglimento per le vittime.



(L'Assemblea ed i presenti osservano un minuto di silenzio)



VETRINO Bianca

Papa Wojtyla dopo l'eccidio al quale abbiamo assistito, ha fatto un'affermazione che credo debba essere condivisa da tutti; non esistono parole nel vocabolario di nessuna lingua del mondo per condannare quello che i criminali di Beirut hanno compiuto contro tutta l'umanità.
Gli assassinii perpetrati nei giorni scorsi, e forse ancora in questo momento si stanno consumando orrori, chissà cosa stia ancora succedendo in quel Paese, hanno segnato una tappa storica tragica, le cui ripercussioni sull'intera area medio orientale saranno incalcolabili.
Sembrava che l'assassinio del neo-eletto Presidente Gemayel potesse essere l'ultimo atto, la partenza delle organizzazioni palestinesi da Beirut, il ritiro delle truppe siriane sembravano gettare le premesse per la ricostruzione del Paese nella prospettiva del ritiro integrale delle forze israeliane. Ora sì che le speranze di pace appaiono molto lontane.
Mentre tutto il mondo democratico è sdegnato e indignato per quanto accaduto, e fa voti che mai più questi fatti abbiano a ripetersi, Arafat ha dichiarato ieri: la nostra gente e la nostra nazione puniranno tutti coloro che hanno contribuito a spargere il sangue dei palestinesi e dei libanesi.
Devo confessare che devo usare assai più il cuore che il cervello per non dargli ragione. E questo dico, pur essendo consapevole che il sig.
Arafat non rappresenta tutti i palestinesi e che l'aver appreso che egli abbia voluto entrare a Montecitorio con le sue armi, nonostante che la sua sicurezza fosse del tutto garantita dall'imponente spiegamento di forze della polizia e dei servizi di sicurezza italiana, mi ha dato un brivido di freddo per non parlare di disgusto, quando si apprende che soltanto dopo alcune collutazioni con i nostri agenti, si è finalmente riusciti, a convincere i gorilla del leader dell'O.L.P. a rinunciare al loro proposito di perquisire chiunque entrasse alla Camera dei Deputati. Ma la visita di Arafat a Roma è conclusa, diceva giustamente Marchini questa mattina nella riunione dei Capigruppo, siamo in un altro capitolo assai più grave e le ombre dell'eccidio e le immagini di torture disumane sono lì, ancora una volta, ad esaltare il dominio della follia e della violenza sulla ragione.
Alla quale ragione anche noi cerchiamo di ricondurci in questi momenti per evitare, come ben scrive un notista sulla "Stampa" di ieri "di dare giudizi che tagliano con l'accetta torti o ragioni, grovigli di passioni ed odii che da troppo tempo hanno superato le soglie dell'inestricabile e consentono soltanto schieramenti faziosi, sospesi tra malafede e irrazionalità". E' proprio quello che noi dobbiamo evitare, colleghi nell'affrontare questi problemi e nel formulare un sentimento comune di condanna, ma anche un impegno unitario per far prevalere la voce della ragione su quella della passione, affinché anche con i nostri comportamenti possiamo incoraggiare il processo della pace.
Tra le materie del contendere c'è anche il riconoscimento dell'O.L.P.
Ebbene, incoraggiare il processo di pace significa anche impegnarsi per la trasformazione dell'O.L.P. in un organismo politico capace di svolgere un ruolo costruttivo nel negoziato. Noi crediamo che questo dibattito debba necessariamente concludersi con un ordine del giorno che - l'ha auspicato Revelli, ma lo auspico io stessa - possa raccogliere il massimo dei consensi nel Piemonte tutto, esprimendo tutta la propria riprovazione, lo sdegno, la condanna per gli artefici di questi delitti; e credo che debba essere nostro compito, anche se la politica estera fa parte di un'altra sede, ma noi abbiamo il compito di portare al Governo i sentimenti, le richieste, le necessità, le esigenze delle comunità locali e di sollecitare ad assumere singolarmente, se è il caso, o di concerto con gli altri Paesi della Comunità Europea, un'iniziativa urgente e decisiva per contribuire ad una soluzione pacifica e negoziabile della crisi in Medio Oriente.
Io credo che a questo riguardo dovremmo davvero impegnarci tutti. Gli atroci assassinii di sabato scorso aggiungono sofferenza e disperazione a sofferenza e disperazione e seguono tra l'altro di pochi giorni un altro crimine, ma mettono in evidenza anche un'altra fondamentale esigenza quella della necessità di pervenire all'indipendenza del Libano da tutte le occupazioni. Io credo che in questo senso il Consiglio regionale debba impegnarsi anche per la richiesta della rinnovata forza di pace, se già non è stato fatto, da rinviare nel territorio libanese, affinché tutte queste iniziative possano fare in modo che quei tragici fatti lungi dall'apparire capaci di annullamento di ogni spazio di speranza, possano invece rappresentare un monito a proseguire senza incertezze e con maggiori responsabilità da parte di tutti sull'irta, difficile e tormentata via della pace.
Grazie.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Viglione.



VIGLIONE Aldo

Colleghi Consiglieri, stamani i Capigruppo hanno deciso di accantonare per il momento la discussione degli ordini del giorno che erano stati presentati nei giorni addietro e che riguardavano i fatti di Polonia e i fatti del Libano, per affrontare, in una discussione che avesse la solennità e la proprietà di un'ulteriore condanna, fatti che già avevano visto in questo Consiglio regionale un'ampia discussione, ma che, per la situazione che si è creata nelle giornate di mercoledì, di giovedì e di venerdì, merita appropriate discussioni. E' per questo che abbiamo ritenuto di non accomunare fatti, pure rilevanti ai fini della pace nel mondo, come quelli ipotizzati negli ordini del giorno dei Gruppi politici, e affrontare esclusivamente un argomento che, per la sua drammaticità e 'la sua tragicità, merita un separato giudizio da parte del Consiglio regionale.
Anche il Gruppo Socialista, in questo momento di discussione, non pu fare a meno di ribadire l'ulteriore condanna di quei fatti. Mi pare di cogliere in questa vicenda un significato tuttaffatto diverso.
Non soltanto l'ulteriore aggravamento di una situazione, già così compromessa come quella della guerra di Israele portata a Beirut, ma di una situazione che potrebbe diventare per gli uomini della guerra quasi un emblema, un significato diverso, cioè la ripresa del filo conduttore di sterminio che aveva trovato già negli anni '39, '40, fino al 1945, momenti che tutti noi abbiamo vissuto. A chi non li ha vissuti glielo ha ricordato la storia del mondo. La preoccupazione nostra è che da questo fatto possano scaturire ulteriori momenti analoghi a quello del campo profughi di Beirut che il massacro organizzato di intere popolazioni possa essere riprodotto come momento di terrore o di tensione in tutte le altre parti del mondo.
Stamane il collega Marchini con preoccupazione guardava la vignetta di Forattini sulla "Stampa" quasi a ripensare che non soltanto il nazismo con la sua ideologia è stato all'origine dei fatti terribili di sterminio di intere popolazioni ma il mondo stesso in alcuni momenti è riproduttore di quelle ideologie e di quei massacri come fatto terrorizzante di tensione all'interno dello schieramento mondiale. Questo significa un salto nella strategia del terrore e della tensione.
Noi condanniamo l'uso delle armi, noi condanniamo l'esercito israeliano che occupa Beirut e con le sue armi spara ed uccide con la determinazione di colpire degli inermi e dei disarmati nei campi profughi.
Questa strategia potrebbe riprodursi in Asia, nei Paesi del Terzo Mondo, nel Sud America e in altre parti della stessa Europa e generare nuovamente dei fenomeni che credevamo sconfitti per sempre.
E domani tutto questo potrebbe riprodursi attraverso la strumentazione bellica chimica moderna su centinaia di milioni di cittadini del mondo.
La nostra non è soltanto una solidarietà umana per chi è stato colpito ma è anche un momento attivo delle istituzioni affinché questo dramma non abbia mai più a ripetersi.



PRESIDENTE

La parola al collega Montefalchesi.



MONTEFALCHESI Corrado

Signor Presidente, signori Consiglieri, dobbiamo prendere atto con soddisfazione che la popolazione torinese ieri sera ha risposto in massa alla manifestazione che molto opportunamente gli enti locali e le organizzazioni sindacali hanno indetto.
E' la testimonianza che la coscienza civile non si appanna. Credo che vadano riaffermati il diritto all'esistenza dello Stato di Israele e il diritto alla costituzione dello Stato palestinese. Quale ruolo possono svolgere i Paesi occidentali per arrivare a questo obiettivo? Perché questo genocidio? Perché questa atrocità da parte dei governanti di Israele? Non mi sembra importante dissertare se le mani che hanno ucciso sono di mercenari fatti affluire appositamente. La responsabilità del genocidio ricade sui governanti di Israele. Perché, con rabbia, Sharon si è scagliato contro le popolazioni inermi, per attuare la soluzione finale che voleva attuare quando ancora c'erano combattenti palestinesi che difendevano le loro famiglie? La risposta fin troppo ovvia è naturalmente nella volontà dei governanti di Israele di impedire la costituzione di uno stato palestinese.
La risposta sta nella capacità che l'O.L.P. e il suo Presidente hanno dimostrato in questi ultimi anni, nel saper disciplinare il suo popolo, nel saper tenere fede agli accordi, nella capacità di ricercare alleanze diplomatiche a livello internazionale, come la conferenza interparlamentare di Roma ha confermato.
Credo sia importante rafforzare il tipo di rappresentatività che l'O.L.P. ha saputo creare con la volontà di risolvere il problema palestinese attraverso le trattative. Questo presuppone una scelta cosciente e coerente, per la costituzione di uno Stato palestinese, da parte dei governanti occidentali e di tutti i governi democratici del mondo.
Possiamo fare qualche cosa per evitare che il popolo palestinese conosca soltanto la strada del terrorismo, e ciò è, possibile con il riconoscimento dell'O.L.P. quale legittimo rappresentante del popolo palestinese , da parte del governo italiano.
Tale scelta è maturata politicamente, infatti tra i 351 Deputati del Parlamento italiano che si sono espressi per il riconoscimento dell'O.L.P.
ritroviamo nomi di appartenenti a quasi tutti i partiti.
Non possiamo non sottacere la responsabilità degli Stati Uniti per aver fatto di Israele uno Stato imperialista, gendarme di quella parte del mondo che, oggi nemmeno più loro riescono a controllare.
Con quali misure possiamo fermare la mano assassina di Begin e di Sharon? Come possiamo imporgli di lasciare il Libano? Il nostro Partito ha chiesto a livello nazionale, dal momento dell'invasione del Libano il ritiro dell'Ambasciatore italiano a Tel Aviv e la rottura dei rapporti diplomatici.
Su questa posizione è arrivato anche il Partito Comunista.
Sembra di scorgere però un senso di impotenza verso l'intransigenza e l'arroganza di Begin. Ma è proprio vero che c'è poco da fare per costringere Begin a lasciare il Libano? Chi arma le truppe di Begin potrebbe dare una risposta. Il governo italiano si faccia promotore in seno alla comunità internazionale di un embargo delle forniture militari verso Israele. La Comunità internazionale ed il nostro Paese si facciano anche promotori di sanzioni economiche e commerciali nei confronti di quel Paese, finché non avrà scelto la strada della trattativa e del riconoscimento della legittimità del popolo palestinese.
In questa situazione c'è il rischio che risorgano sentimenti e atteggiamenti antisemitici, in questo senso vorrei ricordare l'importanza delle reazioni che si sono avute nel mondo e all'interno della comunità ebraica, contro l'atteggiamento del governo Begin.
Questo ci induce a dover fare una distinzione profonda tra il popolo ebraico ed i suoi governanti, distinzione che deve contribuire ad approfondire il solco tra un popolo e quei governanti che non lo rappresentano adeguatamente. Queste considerazioni sono raccolte nell'ordine del giorno che abbiamo presentato, sul quale chiediamo l'espressione delle altre forze politiche.
E' stata aperta una sottoscrizione e credo che in questa sede dobbiamo assumere l'impegno di Consiglieri regionali e di Gruppi consiliari ed allargarla.
Il PDUP naturalmente sottoscrive subito e si augura che le altre forze politiche facciano altrettanto.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marchini.



MARCHINI Sergio

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, questa vicenda che ci ha riempito gli occhi, la mente ed il cuore ci porta su questi banchi combattuti dai sentimenti e dalle esigenze di rappresentare le istituzioni.
Questa è una vicenda dell'uomo, della civiltà, della storia. La solidarietà si esprime a qualcuno che non è coinvolto, nella vicenda di Beirut non siamo protagonisti non spettatori, non siamo estranei, ma facciamo parte della famiglia umana che ha subito il dramma. Quindi non solidarietà, ma presa di coscienza che di questo fatto inaudito di violenza siamo vittime e responsabili.
E' una vicenda della famiglia umana della quale siamo protagonisti in termini attivi perché l'abbiamo in qualche misura provocata e ne siamo vittime nella misura ih cui la subiamo.
Non solidarietà, ma riflessione su quanto abbiamo compiuto e su quanto è avvenuto.
Mi sembra fuori luogo considerare questa vicenda un fatto di politica internazionale, se così fosse certamente saremmo qui a proporre gli argomenti che proponevamo fin quando il fatto era un problema di politica internazionale. Ci saremmo chiesti con fermezza se la politica estera del nostro Paese va fatta dal Governo o dal Presidente della Repubblica.
Ci saremmo chiesti se la pietà dell'uomo e la solidarietà dei valori religiosi sono ben distribuiti quando ignorano che si ha davanti alla mano benedicente qualcuno che dice di reggere un Paese in base ad uno statuto che tra le sue finalità ed i suoi obiettivi precisi, documentati, non soltanto intenzionali e culturali, ha la distruzione dello Stato di Israele non come istituzione, ma come realtà etnica.
Ci saremmo chiesti che senso ha avuto la sceneggiata dei migliori eserciti che poteva esprimere l'Occidente pacifista che, guarda caso, dopo la vittoria dei guerriglieri, hanno abbandonato il campo, ignorando quasi che si sarebbe scatenato il caos.
Ci saremmo chiesti, per esempio, perché né in questa sede né in altra si è fatto grande rumore sul fatto che è stato ucciso in un attentato il Presidente incaricato del Libano. Avremmo, per esempio, chiesto al Consiglio di riflettere su cosa significano gli attentati alle sinagoghe in Europa.
A questo punto avremmo anche ricordato che durante una manifestazione sindacale un gruppo di sindacalisti ha inscenato una manifestazione davanti alla sinagoga di Roma.
Ci saremmo chiesti per esempio se è coerente in questo momento rimproverare per omissione Israele, immaginando che esistesse lo Stato del Libano con un esercito in grado di garantire l'ordine pubblico quando se ne fosse andata la forza di pace.
Questo Consiglio non deve giudicare, non deve avallare, non deve n difendere né condannare, ma deve partecipare. La collettività piemontese deve in primo luogo scindere la vicenda dell'istituzione Israele dalla vicenda israelita in senso ampio.
Non è consentito a nessuno coinvolgere i due fatti. Abbiamo detto che il linguaggio, la terminologia e gli argomenti che vengono usati contro Israele-istituzione sono gli argomenti, i ragionamenti, i metodi e le accuse che sono stati usati nei confronti dei persecutori di Israele, come entità culturale, etnica e storica.
Questo non è consentito.
Se qualcuno merita questi giudizi, utilizziamoli anche nei confronti di altri Paesi che usano questi sistemi. Incominciamo però a ragionare tenendo presente che Israele è uno Stato, che come tale, ha una politica che pu essere pacifista e imperialista e che deve essere giudicato per quello che fa, per quello che commette come istituzione.
E' estremamente preoccupante che le tre fonti, alle quali ognuno di noi rivolge le proprie riflessioni, tre autorevoli voci della cultura italiana una di stampo conservatore, l'altra di sinistra, l'altra radicale, si sono fatte riprendere dal morbo oscuro dell'antisemitismo.
Montanelli scriveva: "C'è del marcio in Danimarca". Questa frase Shakespeariana fa giustizia di questo fenomeno.
Perché dobbiamo utilizzare nei confronti dei fatti che coinvolgono Israele la terminologia, gli argomenti, i fantasmi del passato che è stato contro Israele? Questo mi sembra illegittimo.
Esiste un Paese di alcuni milioni di individui, che ha una sede più o meno legale, più o meno riconosciuta, più o meno accettata, che fa una sua politica.
Scalfari su "Repubblica" non ha alcun ripensamento nel chiamare Israele una malattia. I libri che sono stati scritti dopo Auschwitz ed i documenti dove Himmler, Eichmann ed altri giustificavano il genocidio, fanno riferimento al "morbo israelita". Ma Israele non è una malattia. Israele non è gli ebrei, Israele non è la responsabilità storica che la cultura occidentale ha nei confronti di Israele da secoli.
Radio radicale ha addirittura ricordato che i primi carri armati usati da Israele erano di produzione nazista perché erano il pagamento dei debiti di guerra fatti dalla Germania ad Israele.
Su questo versante la coscienza del mondo, la politica può fare altro.
E' scritto su un giornale questa mattina che nei confronti dei figli di Abramo abbiamo un grosso debito e probabilmente è stato un errore pensare di pagarlo con moneta altrui e non con la nostra, sottraendo probabilmente spazio ad un'altra entità etnica che aveva acquisito la legittimità, i palestinesi.
Questo debito rimane totale perché è nelle nostre coscienze.
Evidentemente non si può pensare che il Paese che ha prodotto Goethe e Beethoven possa in tre anni creare la cultura dell'antisemitismo.
Questo evidentemente è nei recessi più profondi della nostra anima della nostra cultura, della nostra tradizione e ci coinvolge tutti.
Il retroterra di Goethe e di Beethoven è estremamente radicato.
Chiarirà la storia se gli ebrei in questa vicenda hanno o non hanno fatto abbastanza, Se non hanno fatto loro e probabilmente qualcuno non si è preoccupato di fare al posto loro. Per questo mi sento coinvolto.
E' la famiglia umana che è responsabile di quanto è avvenuto, se poi nella famiglia umana la responsabilità è di molti si vedrà. Qualcuno si chiede che cosa potrà fare l'Europa.
L'Europa potrà fare molto se si muovono alcuni elementi di rigidità nella scacchiera. In questo momento gli elementi di rigidità che si stanno muovendo per una soluzione sono proprio in casa israeliana.
La discussione degli ebrei rispetto a Israele istituzione, o addirittura rispetto a Israele governo deve portare alla conseguenza che questo avvenga anche nel fronte opposto.
Ma fin quando Arafat è soltanto un capo guerrigliero, fin quando Arafat gira soltanto armato, questo non avviene.
Se vi è disponibilità dalle due parti, possiamo dire che la tragedia di Beirut tale rimane, ma quanto meno, come sempre avviene in qualunque famiglia, ha posto le premesse per la soluzione dei problemi.
Sarebbe errore ritenere di isolare Israele.
Anche perché non ritengo che in questo momento sia facile distinguere l'isolamento politico dall'isolamento culturale.
Nel momento in cui le regola della guerra sono state violate, che questa violazione non comporti, come diceva Viglione, il ritorno al genocidio.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Mignone.



MIGNONE Andrea

Il Gruppo P.S.D.I. con il Gruppo socialista, avevano già presentato un ordine del giorno che è superato alla luce delle ultime vicende, nel quale già si esprimevano forti preoccupazioni per la situazione che si andava delineando nel Libano, partendo dal principio che da sempre regge le nostre decisioni in materia di politica internazionale, il richiamo alla politica di pace e di convivenza pacifica tra i popoli che deve essere alla base dei rapporti fra i Paesi e le Nazioni.
Anche noi ci uniamo a quanti ci hanno preceduto nell'esprimere la nostra più viva esecrazione per il massacro che si è compiuto nel campo profughi.
Alla nostra indignazione di cittadini appartenenti alla civile convivenza uniamo anche una ferma condanna di fronte a quegli episodi.
Forse troppo presto la forza internazionale di pace se ne è andata da quei territori nella tragedia medio-orientale il ruolo dell'ONU non è stato di grande peso e ci si chiede, talora con sgomento: quale scopo, quale significato ha ancora quell'organizzazione internazionale se non riesce ad intervenire con decisione in situazioni gravi, drammatiche, anche per i loro riflessi internazionali in un'area cruciale come quella del Mediterraneo meridionale. Le vicende di questi giorni hanno provocato un mutamento di clima nell'opinione internazionale.
Israele fino ad oggi aveva il sostegno e la solidarietà della comunità internazionale, oggi, forse, non è più così. Forse Israele si è illusa che la sua sicurezza dipendesse dalla sicurezza dei confini, dall'avere sempre più territorio sotto il suo controllo, mentre la sicurezza di Israele, che certo va garantita, nasceva da un fatto internazionale che ne garantiva l'esistenza, la sopravvivenza e la dignità di popolo e di nazione.
Vi sono stati molti errori in questa vicenda a cominciare dalla stupidità di molti Paesi arabi che non hanno capito questo problema. Gli Stati Uniti hanno fatto ritenere al Governo israeliano che qualunque cosa questi facesse, sempre e comunque avrebbe avuto l'avallo internazionale.
Queste cose vanno dette. Di qui non si deve però passare all'aspetto opposto di isolare Israele.
Va garantita ed assicurata la sicurezza di quel popolo anche nel momento in cui purtroppo si torna col pensiero al discorso del genocidio e dell'antisemitismo.
L'arma che Israele ha usato gli si sta ritorcendo contro. Sul piano internazionale qualcosa si stava muovendo. Non si può sottolineare il risultato raggiunto a Fez. Oggi però si corre il pericolo di ritornare indietro.
Noi siamo fortemente preoccupati per il crescente imbarbarimento che si sta verificando e sta travolgendo un popolo nel quale avevamo riposto fiducia, che era diventato un simbolo della speranza e della tolleranza.
Nel ribadire l'esecrazione e la condanna dobbiamo richiamare tutte le nazioni ad adoperarsi con forza e con decisione perché abbia a finire quella tragedia che lentamente, ma inesorabilmente, sta consumando interi popoli.
Molto possono fare le nazioni, comprese le nazioni europee, intanto in favore del ritorno di una forza internazionale di pace. Soprattutto un ruolo importante possono e devono giocarlo la comunità economica europea e le comunità israelitiche sparse per il mondo.
Voglio ricordare l'atteggiamento responsabile preso dalla comunità israelitica italiana.
Bisogna dire che tutto Israele è allineato sulla politica condotta dall'attuale governo. Allora ritengo che anche la nostra istituzione debba richiamare i governi della Comunità economica europea perché si impegnino in una politica internazionale attiva per far sì che abbiano a finire lo sterminio e il genocidio che si sta compiendo perché siano ritirate le truppe straniere dal Libano, perché si ristabilisca il negoziato e il trattato per una pacifica composizione della vertenza basata sul reciproco riconoscimento delle nazionalità presenti in quel territorio.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Cerchio.



CERCHIO Giuseppe

Nella riunione dei Capigruppo abbiamo convenuto di parlare della grave questione del Libano e all'inizio della seduta del pomeriggio della situazione polacca, sulla quale la Democrazia Cristiana da tempo aveva presentato una mozione.
L'urgenza di dibattere i temi di politica internazionale e le situazioni in Libano e in Polonia è posta sullo stesso piano. La Regione non ha competenza in politica internazionale, tuttavia dobbiamo con la forza e la fermezza delle nostre opinioni, esprimere ai piemontesi la denuncia, la protesta e lo sdegno delle forze democratiche.
Ieri sera si è realizzata una manifestazione in Piazza San Carlo che ha visto l'adesione e lo sdegno dei torinesi di fronte al genocidio.
La manifestazione ha avuto alcuni scollamenti che vogliamo denunciare.
Tempestività non vuol dire improvvisazione, disorganizzazione imprecisione. Noi avremmo preferito avere una maggiore pressione da parte di tutte le forze politiche.
Non dissentiamo sul contenuto della manifestazione, ma sul metodo 'perché la tempestività ha rischiato di apparire improvvisazione.
I drammatici fatti di Beirut, l'uccisione di Gemayel sono gli ultimi atti della politica della violenza che certamente non paga. Israeliani siriani, estremisti arabi e libanesi sono i tanti protagonisti di questi tragici giorni di sangue, mesi ed anni di sangue.
Errori politici, responsabilità, paesi disegnati solo sulla carta, il Libano ne è un esempio, hanno riaperto, in tutta la sua incertezza, il problema politico di fondo sul futuro che attende Beirut.
Ma per essere razionali, per essere coscienti, per essere seri nell'analisi e non solo emotivamente impressionati, occorre ricordare la storia recente e passata.
Occorre ricordare le tre invasioni del Libano, avvenute in questi ultimi dieci anni, la prima dei palestinesi, scacciati dalla Giordania dopo il settembre nero, voluto da Hussein, la seconda dei siriani, avvenuta nel 1976, la terza degli israeliani, il cui scopo dichiarato era quello di eliminare la testa del neo Stato palestinese che vi si era formato.
Oggi il Libano paga anche le colpe del passato, le colpe delle ingiustizie sociali e degli abusi politici che ne hanno segnato la storia.
Noi italiani, soprattutto noi piemontesi in questa assemblea istituzionale dobbiamo essere chiari nella condanna della violenza, dobbiamo essere sereni nell'analisi delle cause e conseguenti negli atti e nei giudizi, per non prestarci a dei giochi estranei ai reali problemi del Medio Oriente.
Non si può dimenticare - lo ricordo a me come lo ricordo al collega Revelli che ha iniziato questo dibattito - come il terrorismo italiano sia stato allevato e nutrito proprio dall'O.L.P. Arafat ha rappresentato un uomo dal passato non raccomandabile, più o meno come taluni esponenti israeliani, ma non si può non ricordare, al contempo, come Arafat da tempo è stato conquistato ad una certa moderazione e ad una politica della diplomazia. E' una conquista positiva l'organizzazione palestinese di questi anni e la maturazione del suo leader Arafat.
La Carta Costituzionale dell'O.L.P. indica - e dobbiamo ricordarlo anche per memoria storica - che l'obiettivo centrale è la liquidazione dello Stato ebraico, ma non bisogna dimenticare il recente vertice arabo di Fez nel quale per la prima volta in 35 anni, la maggioranza degli Stati arabi ha preso atto dell'esistenza dello Stato di Israele. Sulla strada defatigante della ricerca e della trattativa si deve incanalare l'azione diplomatica.
Ai popoli civili degli anni '80 non è concessa la rappresaglia di Arafat.
I tragici avvenimenti di questi giorni sono in contrasto con la speranza di soluzione per il problema palestinese, la cui cruda realtà si impone inevitabilmente in modo assillante per l'intera comunità internazionale. Arafat è stato a Roma tra polemiche di forze politiche che oggi modificano il loro giudizio.
E' stato a Roma come leader di un movimento politico nel quale si riconosce la stragrande maggioranza del popolo palestinese. Su questo piano egli si presenta come il promotore di una nuova fase nella storia tormentata di un popolo che ha diritto ad una patria, e lo dicevano per noi democratici cristiani nei decenni scorsi già La Pira, Fanfani, Mattei. Ma lo potrà essere soltanto in un contesto di coesistenza e di pace che deve coinvolgere l'intero settore medio-orientale. La credibilità della svolta storica dell'O.L.P., è la chiave di qualsiasi realistica prospettiva. E' da temere che non tutte le componenti dell'O.L.P. accettino questo metodo nuovo.
Dovrà essere impegno preciso della parte più matura ed autorevole del movimento popolare per spingere il discorso della trattativa e per impedire il riemergere di tentazioni terroristiche, che da anni hanno insanguinato i Paesi arabi ed Europa.
Spetta alle forze convinte dell'efficacia del dialogo operare in un disegno raccordato, coordinato e coerente per create le condizioni di una pace definitiva per la quale si battono oggi con una consapevolezza della posta in gioco, forze potenti dall'America all'Europa e al mondo arabo.
E' positivo che nel momento in cui Israele va al di là di quella che può essere una pur legittima difesa della propria intransigenza nazionale anche i tradizionali alleati, USA compresa, capiscano queste cose.
E' la forza della democrazia, la forza degli Stati Uniti, caro collega Montefalchesi, di avere la forza e la responsabilità di scindere responsabilità che non possono essere coperte.
E' maturata in questi anni la determinazione del popolo palestinese ad avere una patria ed un proprio Stato. E' emersa da Reagan una proposta interessante sul problema nazionale palestinese, è emersa una proposta dal convegno di Fez, è sorta al tempo stesso una moderazione araba che forse può preludere a nuove concessioni sulla via della pace. Lo stesso vertice di Fez sembra porsi come un interlocutore. Non vorremmo che in questo caso siccome il vertice di Fez obiettivamente, realisticamente, storicamente si pone come interlocutore diretto degli Stati Uniti, ci siano degli atteggiamenti conseguenti solo per schieramento. Occorre incoraggiare i risultati di Fez, soprattutto nella speranza che l'Unione Sovietica assente ormai da tempo e indirettamente colpita nella sconfitta militare siriana nel Libano, non accentui i toni negativi.
Contro il tentativo di imporre la forza delle armi occorre bloccare l'azione di Israele, garantendogli sicurezza e conferendo una patria ai palestinesi.
Indispensabile risulta quindi un'iniziativa internazionale nel quadro dell'ONU. Occorre che la Comunità europea nelle sue espressioni più equilibrate e nelle sue espressioni meno compromesse, riesca a dare vita ad un sistema di protezione immediata sul piano militare e di garanzia sul piano politico, per evitare il progressivo inarrestabile degenerare della situazione nella spirale senza fine della logica belligistica, alla quale perfino l'Egitto, fautore tenace di un'ardua scelta di pace, potrebbe domani essere nuovamente indotto a realizzare.
E' di queste ore l'iniziativa dell'Egitto di ritirare la sua delegazione e la sua ambasciata da Israele. Ma non è con questi fatti, o solo con questi fatti, che si instaurano possibili azioni di mediazione.
Forse questi sono fatti solamente eclatanti, collega Montefalchesi. I colleghi che hanno parlato hanno rivendicato la paternità di ordini del giorno aggiornati alla situazione grave di queste ultime ore.
La voce su questo fatto deve essere univoca fino in fondo. Allora ognuno di noi si porti a casa il proprio ordine del giorno e lo riscriva per dare nella ricerca il più possibile unitaria, uno sforzo di protesta politica da parte di questa situazione.
Deve essere indicato lo sgomento e lo sdegno del Piemonte, deve essere condannata fermamente l'azione terroristica. Un apprezzamento va nei confronti dell'iniziativa assunta dal Governo volta alla ricostituzione di una forza internazionale di pace.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PICCO



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Reburdo.



REBURDO Giuseppe

Al di là degli accordi di Gruppo su un argomento di questo genere, ogni Consigliere si deve assumere le proprie opinioni.
Su un tema così scottante come sul tema della Polonia è opportuno fare una riflessione a voce alta. Il che è alquanto complesso trovandoci di fronte a fenomeni di repressione della libertà ad eccidi ed a massacri.
Evidentemente però non possiamo solo condannare quell'atto perché esso è la conseguenza di una politica e di una logica.
Non mi colloco su molti interventi che ci sono stati qui; quando non si mette in discussione la logica che porta a queste situazioni in tante parti del mondo; quando non si prende atto che l'organizzazione internazionale la struttura del mondo divisa in blocchi, lo scontro tra i due blocchi e la crisi anche che sta attraversando i due blocchi, inevitabilmente porta a queste situazioni.
Quando si opera strettamente dentro la logica dei blocchi, fa specie assumere sui singoli episodi posizioni e condanne.
A me fa specie che questa mattina non si sia nominato l'accordo di Camp David, che è stato forse il più grande atto compiuto in questi anni nel tentare di imporre dall'alto e dall'esterno, attraverso la divisione del mondo arabo, sulla pelle dei palestinesi, una soluzione che inevitabilmente, non poteva che determinare nuovi lutti, nuovi dolori e nuovi scontri.
Proprio qulla base degli accordi di Camp David l'israeliano Begin venne insignito - ironia della sorte - del Premio Nobel per la pace, quando proprio Begin è stato il capo dei terroristi più sfrenati al momento dell'insediamento dei gruppi israeliani in Palestina. C'è da riflettere in particolare quando si accusa Arafat di essere un capo terrorista.
In questi anni al popolo palestinese non è stata data una soluzione che risolva il problema di dare a quel popolo una patria, nonostante che Arafat, il Presidente dell'O.L.P. sia stato capace di evolvere la sua politica e che oggi sia in grado di proporre soluzioni diplomatiche espresse nel vertice di Fez.
L'evoluzione di Arafat è stata importante e significativa, purtroppo però, da parte del Governo di Israele non c'è stata una progressiva azione diplomatica ma abbiamo assistito all'uso indiscriminato delle armi.
Il nostro Paese prima del massacro non aveva capito la complessità del problema e la sua incidenza sulla politica europea del Mediterraneo. E' chiaro che ogni forza politica, sociale e culturale di fronte al dramma tenta di dare delle risposte; ci auguriamo che almeno d'ora in avanti, alle parole e alle buone intenzioni, corrispondano atti concreti del Governo italiano e una politica attiva.
Non ci troviamo solo di fronte al dramma del popolo palestinese, ma siamo anche di fronte al dramma del popolo israeliano.
Perché solo alcune centinaia di persone sono scese in piazza a manifestare il proprio dissenso alla politica del Governo Begin? Anche il popolo israeliano vive il dramma di identità e la difficoltà a capire che l'attuale politica del settore maggioritario del governo israeliano ha molti connotati della politica che nel passato ha inflitto agli ebrei tante nefandezze.
In quest'aula si è parlato della responsabilità diretta ed indiretta dell'Unione Sovietica, di quanto accade in Polonia, ma correttezza politica e lealtà politica vorrebbero che alcune parti politiche di questo Consiglio avessero il coraggio di dire che vi è una responsabilità diretta ed indiretta degli Stati Uniti d'America sulla situazione medio-orientale. Un cambiamento nella politica americana c'è stato con l'estromissione di Haig dalla segreteria di Stato e dopo le recenti affermazioni di Reagan, ma gravi responsabilità politiche permangono per il sostegno militare che gli Stati Uniti d'America stanno dando come gendarme all'interno del Medio Oriente.
Ieri sera nel corso della manifestazione il Presidente del Consiglio Benzi, ha lanciato la proposta di una sottoscrizione popolare per raccogliere fondi per la ricostruzione del Libano e per inviare aiuti al popolo palestinese.
E' una reale iniziativa della Regione. Ma oltre a questa iniziativa quali atti politica la Regione deve chiedere al Governo perché si ponga fine al massacro e si intervenga per una soluzione stabile di quel problema? Perché il Governo italiano di fronte alla richiesta della maggior parte dei Parlamentari non ha assunto una iniziativa per il riconoscimento dell'O.L.P. con le altre nazioni dell'Europa? Come unico rappresentante del popolo palestinese, Arafat nell'incontro con il Ministro Colombo ha richiesto che il Governo italiano si facesse parte attiva, perché la forza di pace ritornasse nel Libano a garantire l'allontanamento delle forze regolari militari palestinesi e la sopravvivenza di popolazioni inermi.
Il Governo italiano non ha risposto immediatamente. Questo mi lascia qualche dubbio sulla sincerità delle esecrazioni che vengono manifestate quando era da attendersi qualche colpa di coda drammatico. Ci sono responsabilità gravi di quelle nazioni che hanno mandato i propri soldati come forza di pace e che li hanno ritirati rapidissimamente.
Avarie alle navi nel ritorno non ce ne sono state. E' necessario chiedere il ritiro degli israeliani e che gli israeliani si ritirino da Gerusalemme e dalla Cis-Giordania, che ritornino le terre illegalmente occupate e che in questo momento stanno sconquassando con insediamenti artificiali che possono sconvolgere l'assetto di quelle aree.
Gerusalemme, come città Santa, non può essere egemonizzata da una corrente religiosa, ma deve essere un territorio libero.
Questo è un fatto di richiesta precisa. E' necessario chiedere agli Stati Uniti d'America la sospensione delle forniture di armi allo Stato di Israele.
Queste sono le premesse per aprire le trattative. Non è possibile risolvere il problema dei palestinesi senza garantire ad Israele lo sviluppo, così come non è possibile garantire ad Israele senza risolvere il problema dei palestinesi.
Sono due azioni congiunte, che si possono sviluppare attraverso la fase, le trattative, che vedano l'Europa protagonista e capace di esprimere una politica estera autonoma. Questo è il banco di prova per l'Europa, per verificare se è ancora in grado di esprimere una propria politica o se invece abbassa il capo.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI



PRESIDENTE

La seduta è tolta. I lavori riprendono alle ore 15.



(La seduta ha termine alle ore 12,30)



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