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Dettaglio seduta n.139 del 10/06/82 - Legislatura n. III - Sedute dal 9 giugno 1980 al 11 maggio 1985

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI


Argomento: Organi, strumenti e procedure della programmazione

Relazione del Presidente della Giunta regionale sull'aggiornamento del programma a metà legislatura, a conclusione della verifica (seguito)


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Prosegue il dibattito di cui al punto quarto all'ordine del giorno: "Relazione del Presidente della Giunta regionale sull'aggiornamento del programma a metà legislatura, a conclusione della verifica" (seguito).
La parola al Consigliere Bastianini.



BASTIANINI Attilio

Quando si discutevano con gli amici del Gruppo e con la segreteria regionale del Partito le linee di questo intervento, quando ho iniziato a buttarne giù la scaletta, vi era in me una contrastante tentazione: ridurre tutto all'esigenza di documentare, in quest'aula, quanto è avvenuto nei mesi scorsi o parlare della società nuova che, malgrado tutto, ci aspetta.
In altre parole vi era il contrasto tra un intervento di profilo limitato, riferito ad esporre la posizione liberale su obiettivi comportamenti, ruoli delle forze politiche in questi ottanta giorni di verifica, per contribuire ad interpretare le nuove linee di programma, e il desiderio di proporre uno schema più generale di riferimento, per l'evoluzione delle società industriali avanzate.
E di questa società voglio iniziare a parlare, perché solo questa apertura dà profondità anche al confronto politico ed alle linee di cambiamento che da tale confronto emergono.
La società nuova non è una società ideale, che risponde a un modello ideologico. Lo sviluppo non è basato su grandi idee portate avanti con sicurezza. Esso consiste in un numero incontrollato di iniziative, di sforzi disordinati e mal coordinati, di tentativi, di errori, di contraddizioni che solo a posteriori, nella loro complessità, trovano una traiettoria di positivo sviluppo. La crescita capitalistica si poggia più sulle capacità di produrre novità, che sulla razionalizzazione del passato.
L'espansione delle società industriali avanzate, in altri termini, non è mai un'espansione solamente quantitativa; essa presenta sempre, come dice Deaglio in un suo recente saggio, una forte componente qualitativa.
All'interno di questa espansione, e solo al suo interno, nelle libertà nelle lotte sociali, vi sono anche le occasioni di maggiore giustizia.
La società nuova, nelle trasformazioni del capitalismo, cresce nelle crisi dello stesso. Ci aspetta una società trasformata, dove il peso dell'industria diminuirà e, al suo interno, sempre minor rilievo avranno le produzioni industriali tradizionali, quelle su cui si è costruita la coscienza di classe che tanto e positivo rilievo ha assunto nell'imporre i cambiamenti della giustizia sociale, per lasciar posto alle nuove industrie, legate alle nuove conoscenze tecnologiche ed ai nuovi bisogni della popolazione.
Questo è il vero senso del cambiamento che ci aspetta e che, in particolare, aspetta il Piemonte. La decadenza dei settori cosiddetti "solidi", la cantieristica, la siderurgica, la chimica e, pur in termini diversi, l'auto segna la trasformazione del comparto produttivo, il cui futuro si gioca, oggi, nei confronti internazionali, su un ventaglio di nuove produzioni per far fronte al ventaglio dei nuovi bisogni della società.
Ma questa rivoluzione, che è in atto, si accompagna a due elementi di novità che rilanciano ruolo e prospettive della società capitalistica. Il primo riguarda gli spazi che si aprono alle medie aziende, non più chiamate a costituire elemento interstiziale, subordinato al disegno organizzativo di grandi gruppi, ma tenute a divenire una reale struttura portante del sistema produttivo. Il secondo, ancora più apprezzato dai liberali, è la convinzione che, nella nuova industria per la nuova società, il nodo di fondo non sia più, tanto la disponibilità del capitale, ma la disponibilità di capacità umane, con profili professionali del tutto nuovi, in grado di supportare, nei processo del lavoro, le innovazioni tecnologiche e le produzioni sofisticate che devono essere garantite.
La crisi di alcuni settori industriali del Piemonte, se sarà affrontata con la coscienza del cambiamento che ci aspetta e non con il miope conservatismo delle burocrazie industriali e delle burocrazie sindacali segna una nuova capacità di innovazione.
Lavorare per lo sviluppo vuol dire, per i liberali, lavorare con la coscienza che si attraversa un periodo difficile, ma positivo, di trasformazione, che lascerà un Piemonte più forte nella sua struttura produttiva.
A questo disegno di cambiamento può e deve concorrere la Regione. In questa prospettiva di interpretazione di alto respiro, vi sono le ragioni della nostra opposizione a questa maggioranza ed a questa Giunta per il Piemonte degli anni '80.
Le novità del quadro politico.
Ai liberali sembra, infatti, che il panorama politico italiano stia fornendo, con cadenze e crescita costante negli ultimi cinque anni, novità nelle proposte di programma e nei collegamenti tra partiti, che riflettono le esigenze della società nuova, modificano in profondità gli equilibri tradizionali ed aprono prospettive diverse.
Sbagliato sarebbe tentare di ridurre quanto sta avvenendo, che trova conferma nel voto, a semplici problemi di opportunità di schieramento o a calcoli elettorali. I problemi della società nuova; di quella società che attraverso un periodo di crisi, deve portare a un più equilibrato rapporto tra settori produttivi tradizionali e settori innovativi, trovano risposta più nella capacità di fantasia e nel pragmatismo delle forze laiche, di democrazia socialista e liberale, che negli schemi, necessariamente più rigidi e tradizionali, dei grandi partiti di massa, legati alle organizzazioni degli interessi consolidati.
Questo disegno di evoluzione per lo sviluppo deve certo fare i conti con le contraddizioni e con i fatti, spesso discutibili, dell'attività politica ordinaria, ma costituire una linea forte, che è avvertita, nella sua novità di proposta, dagli elettori. Questo disegno di evoluzione certo coinvolge anche i partiti maggiori. La Democrazia Cristiana, nel suo sforzo di rinnovarsi e di darsi nuovi ruoli in una società che cambia, senza perdere i connotati di partito popolare che caratterizzano la sua tradizione. Il Partito Comunista, cui la capacità di approfondimento sui problemi, la responsabilità centrale nel governo del sistema delle autonomie, un coraggioso processo di revisione critica consentono sicuramente di tenere il passo con le novità dei problemi, anticipando spesso soluzioni e proposte.
Non vi è quindi una esclusiva laica per le politiche dello sviluppo. Ma è certo che, in questo panorama, i partiti laici sono i portatori, con meno condizionamenti, delle esigenze che si pongono per una politica dello sviluppo che liberi le potenzialità presenti nella società.
E a noi sembra che queste condizioni stiano maturando anche in Piemonte. Proprio perché questo disegno è importante, ne seguiamo l'evoluzione senza fretta e senza impazienze. Ne abbiamo segnalata la prospettiva fin dall'atto di formazione di questa Giunta, ne abbiamo colto segni in alcuni atti del Consiglio negli anni passati, ne abbiamo misurato la crescente portanza nel corso della verifica ora chiusa, con un serrato lavoro di confronto tra socialisti, socialdemocratici, repubblicani e liberali, esteso ai principali temi dell'azione regionale.
I tempi ed i modi di questo confronto sono noti. Il documento del maggio scorso del Gruppo e della segreteria socialista, mentre segnava il passo per la verifica all'interno della maggioranza e rilevava, con crudezza, ritardi ed insufficienze nell'azione della Giunta, apriva, senza pregiudiziali e con piena dignità, un confronto tra le forze laiche sui temi del governo del Piemonte ed un rapporto di informazione con la Democrazia Cristiana.
Questo lavoro di confronto ha dato i suoi frutti, tanto più veri perch non è mancata la franca denuncia degli aspetti, di ordine gestionale più che di prospettiva, che ancora vedono divise le posizioni di quattro partiti.
Ma vi è una convergenza di fondo sulla diagnosi della crisi del Piemonte come crisi di trasformazione, da gestire senza allarmismi e ricercando più la crescita del nuovo che la difesa del vecchio. Ma vi è una convergenza di fondo sulla necessità di trasformare in profondità l'azione regionale, per ridimensionare le politiche di settore, per ricondurle ad un disegno globale, per concentrare risorse nei grandi progetti strategici di cambiamento, per dare nuovo spazio al sistema delle autonomie. Ma vi è ancora più importante, una comune convinzione di fondo: ai problemi del governo di un sistema regionale complesso come il nostro si debbono dare risposte pragmatiche, che lascino cadere le ipoteche ideologiche, che non rispettino gli interessi consolidati, che si pongano in posizione di rottura con i troppi santuari di privilegio (industriali, burocratici sindacali, etc.) che hanno imprigionato e soffocato le capacità di riconversione del sistema economico piemontese.
Questi sono i veri punti forti e distintivi di una crescente intesa tra i partiti laici. A questa linea inevitabilmente minore può essere il consenso dei grandi partiti, meno disposti a scommettere sul nuovo, più legati a condizionamenti ideologici, più condizionati dal peso delle organizzazioni sociali che rappresentano, tanto più forti e pressanti quanto più la crisi incombe e costringe ad arroccarsi nella difesa dell'esistente.
Certo, quando si tratta di tradurre gli indirizzi di intesa in scelte di governo o in giudizi su leggi ed atti amministrativi, si registra inevitabilmente un più complesso intreccio di posizioni. Ma questo non spaventa i liberali. Deriva da due fatti. In primo luogo il disegno del cambiamento e dello sviluppo non è un patrimonio esclusivo dei laici, ma percorre, forte, pur se condizionato, anche gli altri partiti. In secondo luogo il peso degli interessi rappresentati e lo stato di elaborazione delle proposte è, settore per settore, diverso tra i diversi partiti.
Questo porta ad un articolarsi di posizioni che non risponde ad una rigida collocazione politica e che rappresenta un momento fecondo per l'attività delle istituzioni.
Il giudizio sul programma.
E il giudizio complessivo che i liberali danno della proposta di aggiornamento di programma presentato dalla Giunta risente di questa complessa situazione politica. La posizione liberale si sviluppa su una triplice categoria di giudizi. Si apprezzano alcune novità che portano nelle linee del governo della Regione, indirizzi ed impegni emersi come elementi forti del confronto tra i quattro partiti laici. Si lamenta che troppo delle linee emerse nel confronto abbiano spazio sfumato o non trovino richiamo nelle scelte della Giunta. Si rileva infine che la trasformazione degli indirizzi generali in concreta azione amministrativa presenta ritardi, lacune e dispersioni.
Devo, per chiarezza, portare alcuni esempi di questa triplice categoria di giudizi. E' elemento forte di novità il diverso taglio dato, per quanto di competenza regionale, al problema del lavoro, con il richiamo forte alle necessità di un diverso assetto del collocamento ed alla costituzione di un'agenzia del lavoro, che trasformi l'istituto della Cassa integrazione in un reale momento di rilancio occupazionale.
E' invece sfumato, nella posizione della Giunta, il grande nodo della riorganizzazione della sanità in Torino, dove tutto è rimandato ad una ridefinizione dei quartieri e dove, con chiarezza, si rigetta la possibile resa in autonomia, rispetto alle U.S.L., delle strutture ospedaliere maggiori.
Vi è infine, nella traduzione delle linee di indirizzo in scelte legislative ed in atti amministrativi, un ventaglio più aperto di posizioni tra le forze politiche: la necessità di una incisiva revisione delle norme per l'assetto del territorio trova consensi più aperti nel PCI ed ancora resistenze e rimpianti nel PSI.
Un'equazione a tre incognite.
La conclusione deve riguardare le scelte politiche che hanno portato alla conferma dell'attuale maggioranza. Dopo il lavoro comune di confronto i quattro partiti laici si sono divisi nelle valutazioni politiche. Le componenti socialiste (PSI e PSDI) hanno confermato l'opportunità di proseguire l'intesa con il PCI e di rilanciare, con lo stesso, su nuove basi il programma regionale. Gli altri due partiti (PLI e PRI), e, per quanto mi riguarda, espongo la posizione del PLI, hanno invece valutato maturo il momento per una piena ed s autonoma assunzione delle forze laiche ad un ruolo centrale nel governo della Regione, da sviluppare, sulla base delle linee concordate, senza pregiudiziali nei riguardi di alcun partito ma tenendo conto della già dichiarata disponibilità democristiana a garantire un appoggio leale.
Per questo motivo, per mantenere chiarezza di posizione politica e forza di prospettiva all'alternativa del governo laico, abbiamo lasciato cadere l'invito, formalmente rivoltoci da PSI e da PSDI, di partecipare alle riunioni conclusive con il PCI per la chiusura del programma e la formazione della maggioranza.
Proprio perché non siamo "uomini gobbi", come ha detto Enrietti malgrado le novità di programma che abbiamo contribuito a creare, non solo non diamo esplicita partecipazione a questa maggioranza, ma chiariamo che non vi è neppure implicita partecipazione. Vi è un rapporto diverso e complesso tra le forze politiche, sulle cui prospettive mi sono già soffermato e sulle cui originalità ritornerò in chiusura.
La scelta conclusiva delle due componenti socialiste é, per i liberali un errore, non un dramma. Il lavoro comune svolto ha già manifestato utilità ed altra ne manifesterà nel corso dell'attività regionale rafforzata dall'impegno, assunto dai quattro partiti, di mantenere sistematiche consultazioni sui maggiori temi dell'azione della Regione.
Abbiamo certo una difficile situazione politica da risolvere.
E' un'equazione a tre incognite. Mantenere un rapporto leale con questa Giunta e questa maggioranza, che consideriamo nel suo complesso e con cui vogliamo confrontarci in posizioni di chiarezza, senza distinzioni tra i partiti che la compongono. Mantenere una corretta e ferma capacità di controllo, senza essere indeboliti, in questa azione doverosa di oppositori, dalle prospettive politiche. Alimentare, infine, il confronto tra i quattro partiti laici per far crescere, indipendentemente dall'essere socialisti o socialdemocratici al governo e repubblicano e liberali all'opposizione, una proposta, generale e di settore, per dare più forza e incisività al governo regionale.
A questa equazione ci applichiamo con impegno, convinti che se molta strada resta da compiere, molta strada è già stata compiuta. E che inoltre, questa strada è lastricata dal consenso degli elettori.
Ma un'equazione non meno difficile devono risolvere gli altri partiti.
La realtà della Regione Piemonte non può essere semplificata e non offre oggi il confronto tra due schieramenti rigidi, di maggioranza l'uno o di opposizione l'altro, né riduce il rapporto tra esecutivo e forze politiche e tra le forze politiche stesse ai dovuti e ordinari rapporti di informazione e partecipazione. Vi è la novità di uno sforzo crescente di solidarietà tra quattro partiti, non intaccata dall'attuale diversa collocazione nello schieramento regionale.
Quanto più i partiti maggiori si renderanno conto di questa realtà quanto più sapranno battere la tentazione a costringere la nuova realtà politica nelle vecchie logiche che vedevano i partiti minori statici e satellici delle forze maggiori, tanto più si creeranno le condizioni di diverse possibilità di rapporto.
Non si arrocchi il Partito Comunista in una difesa formale di una maggioranza di sinistra, che, nei termini tradizionali, non c'è più, ma accetti la realtà di un collegamento non nascosto, e quindi non pretestuoso o strumentale, tra laici, che passa attraverso maggioranza ed opposizione.
Non si chiuda la Democrazia Cristiana in una gelosa difesa di una purezza dell'opposizione, ma, nel dialogo con i laici, si sappia coraggiosamente far coinvolgere anche in atti di responsabile sostegno ai punti di programma su cui si può convenire.
Si interpreti questa fase politica e le novità che la sostengono come un momento di grande trasformazione, il cui esito, nelle fortune e nelle sfortune delle singole parti politiche, sarà deciso dagli andamenti elettorali, ma che comunque gioverà a tutti, per gli elementi di cambiamento e di mobilità che comporta, per una più vera partecipazione alle responsabilità regionali, che non si scolorisca nel passare dal governo dall'opposizione.
A questo disegno, saldo nelle sue linee di evoluzione, ma ancora incerto nei risultati, come incerti sono tutti i cambiamenti difficili lavorano con coerenza e rispetto i liberali.



PRESIDENTE

La parola al collega Reburdo.



REBURDO Giuseppe

Non so se il mio intervento lo collocherò in sintonia con quanto introdotto dal Presidente e da altri interventi e non so neppure se si collocherà nell'ambito della cosiddetta Democrazia Anglosassone, o in quella Scandinava o in quella Occidentale Mediterranea. Cercherò soltanto di esprimere alcune mie valutazioni personali sull'introduzione del Presidente, e anche sul modo con cui in questi due-tre mesi si è aperta la verifica, su come si è sviluppata e "conclusa". Credo che nel tentare di fare, se pur nel minor tempo possibile, questa valutazione, io partirei dal presupposto che le verifiche non sono un fatto di carattere negativo, tanto più quando queste fanno i conti con una serie di profondi cambiamenti e sconquassi che si determinano all'interno della società e del paese, quando fanno i conti con una realtà in drammatica crisi; è sufficiente pensare in questo senso ai problemi di carattere occupazionale, alla situazione interna al mondo produttivo, a quello che si sviluppa con difficoltà all'interno della società per rendersi concretamente e visivamente disponibili a fare sì che le verifiche siano un fatto di impegno costante e quotidiano, quando la realtà muta così profondamente e gli sconquassi sono così profondi dal punto di vista ideale, materiale e morale.
Credo di non essere tra quelli che si sono spaventati quando improvvisamente hanno letto su La Stampa una dichiarazione del segretario del Partito Socialista che poneva questa questione.
Diversamente, nel modo in cui si é-sviluppata questa verifica, credo che possano sorgere dei dubbi o per lo meno degli interrogativi o ci possano essere dei problemi che vanno apertamente discussi e non nascosti da certi interventi che parlano d'altro per non entrare nel merito di problemi che invece sono all'ordine del giorno e meritano un confronto tra le forze politiche; qui mi riferisco al fatto che la concezione che ho di una verifica è che essa non può avvenire né nel chiuso delle stanze, n solo a livello istituzionale, ma deve fare i conti con un certo modo di concepire il potere. Allora se si concepisce il potere come sola governabilità, come frutto di una concentrazione del potere decisionale in poche mani, o anche frutto di un'imposizione che per certi aspetti fa agio su un'onda che cresce, non credo di potermi collocare fra quanti considerano ciò un fatto negativo.
Se invece la governabilità è un elemento strutturale che è in grado di puntare sul protagonismo, sulla partecipazione e sulla crescita reale della società civile e sa fare con questa continuamente i conti, credo che allora il discorso meriti di essere attentamente valutato e approfondito. A me pare che tutto questo non sia avvenuto in questa verifica e qualcuno potrebbe dire che ciò non è avvenuto, ma certi partiti che sono stati protagonisti della verifica hanno avuto un grande responso elettorale, sono stati suffragati da un vantaggio di carattere elettorale in questi giorni.
Ma la domanda mi rimane sempre sospesa: è questa una motivazione sufficiente, soltanto quello del voto è il terreno di verifica, non vengono dei dubbi quando si nota un crescente distacco tra i partiti, le società e le istituzioni, quando fette grandi di elettori non partecipano al voto o purtroppo i partiti, sia chi si lecca le ferite e sia chi grida gli evviva perché ha avuto un grande successo, questo problema se lo pongono solo in termini marginali; ma pare che questa sia una questione con la quale fare i conti e non sia sufficiente né guadagnare e né perdere voti per dire e per verificarsi concretamente anche nelle situazioni che si vanno a gestire.
Aggiungerei che in questo modo, che è purtroppo frutto di una certa esperienza recente della, nostra Democrazia, il non prendere atto che nel nostro paese cresce un processo di deresponsabilizzazione, un processo che tende sempre più a sollecitare gli interessi di delega senza una partecipazione ed una crescita attiva, demandando ad altri, a pochi, il proprio destino e il proprio essere, credo che questo problema sia così forte e pregnante nella società da porre degli interrogativi; perché non chiedersi anche che dobbiamo fare i conti con un corporativismo, che di fatto tocca tutti i settori della nostra società e che costituisce un problema, che se vuole essere governato non può fare agio su questo corporativismo, ma deve saper dare un progetto di alternativa, una capacità di ridare slancio, voglia di impegnarsi nel fare politica nei modi che sono dovuti, modi di carattere istituzionale e tradizionale, ma anche nei modi che in questi anni il paese si è dato ed ha sviluppato.
Da questo ne consegue che l'obiettivo vero che noi abbiamo davanti è tentare di coniugare il tema della governabilità con la crescita della società sulla base di alcune idee forza che devono essere riempite di contenuto, dalle quali non sciacquarsi la bocca ogni giorno, tentando di dare lezione l'uno agli altri; parlo di quando ti ha un concetto vero di libertà, che presuppone una struttura della società in grado di mettere tutti sullo stesso piano, di dare a tutti gli stessi strumenti per poter contare e decidere, dare a tutti gli stessi livelli di informazione. Io mi chiedo se la società in cui viviamo sia una società nella quale stiano queste condizioni perché la libertà si possa esprimere al massimo.
Lo stesso problema vale per il modo di concepire la Democrazia, di realizzare la giustizia sociale vera, di sviluppare una società nella quale tutti si sentono protagonisti, nessuno escluso, lo credo che su questi temi ci sia un terreno vero di confronto soltanto al di là di una verifica di carattere elettorale. La domanda che io mi pongo è: come non fare i conti con tutto ciò? Perché sviluppare delle verifiche senza sufficiente confronto pubblico, senza sufficiente capacità di rallentare certi momenti di accordo, facendo però i conti con la concretezza della realtà; questi sono solo interrogativi e non ancora dei giudizi. Ma credo che a questi interrogativi sia necessario dare delle risposte; sono dei problemi a pare mio essenziali e fondamentali di un certo modo, magari populistico utopistico e ingenuo di concepire la politica, ma così mi piace che sia almeno per quanto riguarda la mia esperienza.
Se facciamo un passo avanti per considerare il risultato di questa verifica, e se consideriamo necessario un processo riformatore, che risponda in termini articolari, ma anche su una linea di progettualità ai problemi che noi abbiamo, i contenuti dei quali si è trattato nella verifica rispondono oggettivamente a questo? Credo che questa domanda debba essere fatta; voglio riferirmi a titolo esemplificativo, ad alcuni interrogativi che mi rimangono profondamente; i rapporti tra Regione e Governo. Credo che questo sia un tema importante, ma quale concezione si ha di questo rapporto? Un rapporto subordinato, di articolazione del potere centrale sul territorio, oppure un qualche cosa che è in grado di rapportarsi costruttivamente e dialetticamente come il potere centrale, e da esso partire per sollecitare quelle riforme ed interventi che troppe volte tardano ad arrivare dal potere centrale, al di là delle maggioranze che lo guidano? Mi domando anche: cosa ci sta dietro il tema della votazione europeista del Piemonte? Cosa significa porre questo problema, quando si tratta di sviluppare e di riflettere su cosa ne consegue da questa affermazione, per esempio nei rapporti con il Mezzogiorno, che sono sempre stati un tema centrale di questa Regione, gestita democraticamente e in modo progressista negli ultimi anni. E' un problema che rimane scoperto: come conciliare la vocazione europeista di questa Regione con l'esigenza di un rapporto vero reale e sostanziale con il Mezzogiorno.
Cosa significa affrontare in termini molto attenti il problema del polo metropolitano, per affrontare in termini nuovi il discorso del riequilibrio territoriale; ma come rispettare la contemporanea esigenza di una riqualificazione e il rilancio del polo metropolitano, nel contempo garantendo lo sviluppo sul territorio di potenzialità lavorativa, di servizi e di qualità della vita; sono temi che rimangono aperti. Come mi rimane aperto il dubbio di che cosa significa superare la eccessiva burocratizzazione della legge 56, che in qualche modo ha mantenuto una condizione, in cui il territorio nel limite del possibile è stato salvaguardato; come mettere in discussione alcuni principi di quella legge senza riavviare sul territorio piemontese quelle operazioni non tanto di carattere speculativo (non mi voglio riferire solo a questo) ma a tutte quelle operazioni che pregiudicano il rapporto essenziale tra territorio e agricoltura, che attraverso la legge 56 in qualche situazione è stato preservato che potrebbe venir messo in discussione, se non viene sufficientemente puntualizzato che cosa significa modificare in concreto la 56. E come non aver qualche problema rispetto al discorso della programmazione agricola e alle modificazioni che vengono ventilate nella 63 e in altri interventi? Come non pensare che negli anni passati si è fatta una grande scommessa democratica di partecipazione attorno ai piani zonali agricoli come terreno reale di convergenza, di rapporto fra forze produttive ed Enti locali, ed una difficoltà ad applicare in termini sufficientemente orientati a questo delle leggi regionali. Ma se vi era già una difficoltà in passato, come non avere dei dubbi che queste difficoltà ed obiettivi possono essere messi in discussione quando si parla con una certa facilità di giungere a profondi cambiamenti nella legislazione regionale, non evidentemente considerandolo come un feticcio, ma come qualcosa che va riadattato e rivisto alla luce delle nuove esperienze che emergono. Ed infine, per togliere ogni dubbio quando si parla di un "progetto ambiente" di una qualità della vita, di un governo del territorio in grado di salvaguardare dal punto di vista ecologico ed ambientale i termini fondamentali di questa qualità di vita come è conciliabile questo obiettivo importante con i discorsi che si sono fatti attorno alle centrali nucleari e per fugare ogni dubbio aggiornare sia La Stampa, che ne ha parlato, che l'Unità, che non ne ha parlato. La mia assenza dell'altro giorno era dovuta a motivi di carattere personale e non certamente, alla mia opposizione al discorso dell' insediamento nucleare, che permane, anzi si rafforza; ho voluto fare questa precisazione, anche per cogliere alcuni elementi che vanno affrontati.
Infine vorrei chiedere al Presidente; che cosa significa la politica culturale, basata giustamente su un maggior pluralismo, cercando di valorizzare contemporaneamente le opportunità esistenti e quelle dell'associazionismo privato? Cosa si intende per associazionismo privato? Che cosa si intende dentro questo problema di tutta l'esperienza dell'associazionismo democratico, che ha tanta parte in questa società e che non mi pare, da quanto ho capito, sufficientemente valorizzato dall'intervento del Presidente Enrietti.
Questi dubbi ed incertezze potrebbero anche crescere quando nella parte conclusiva dell'intervento di Enrietti e di Viglione, si dimentica, o si commettono errori di omissione più o meno gravi, oppure si è coscienti di doverlo fare, quando non si pone con la chiarezza necessaria la domanda e la risposta conseguente: con quali forze si intende portare avanti e sviluppare, garantendo in termini di avanzamento e di progresso, il programma che è stato delineato? Io ho letto le dichiarazioni ed anche l'intervento di Viglione e mi auguro che vi sia anche una certa dialettica all'interno del Partito Socialista su questi temi, non ho ben compreso, o meglio ho compreso che esiste, molto correttamente, una cosiddetta centralità socialista, esiste un polo laico in crescita e questo mi pare un fatto che pone condizioni nuove nel paese e può riaprire il dibattito rispetto alle altre forze politiche e lo può liberare in qualche modo. Ma quando dietro a questa constatazione non emerge il fatto più qualificante di questi anni, quella unità delle sinistre partitiche e sociali, che ha costituito un polo di guida, pur nella dialettica, anche nel confronto interno molto serrato quando non si legge come questa unità delle sinistre non possa costituire il punto reale di riferimento, anche per un rapporto nuovo con l'area laica e per un nuovo confronto aperto con la Democrazia Cristiana, o almeno con la parte più popolare e progressista di essa.
A me pare che questo sia un problema che deve essere posto e valutato perché aprire un dialogo ed un confronto, ricercare le convergenze necessarie per affrontare in termini più unitari possibili la crisi che abbiamo davanti, può essere fatto solo se esistono alcune aree omogenee che possono rappresentare un terreno utile di confronto.
La domanda che io pongo al Presidente è se l'unità delle sinistre, pur nella sua dialettica, costituisca ancora un terreno di unità programmatica in questa Regione, oppure se il terreno del confronto si apra in termini più disarticolati fra le sinistre disarticolate ed altre aree che si presentano all'attenzione nel paese.
Io credo di aver dovuto rappresentare queste difficoltà che ho dentro di me e le mie personali valutazioni; spero che tutto questo venga considerato un fatto legittimo, e non considerato arrogantemente e strumentalmente in modo artificioso, tale da riaprire questioni che paiono chiuse, ma a me pare che sia stato opportuno, al di là delle considerazioni e collocazioni finali, aver voluto porre in termini da un lato interrogativi e dall'altro con certe valutazioni di carattere personale, i problemi dai quali non solo da oggi, ma anche da oggi dovrebbero venire delle risposte, ma direi che le risposte più vere dovrebbero venire nel momento in cui si traducono in concreto giorno per giorno gli impegni programmatici che io mi auguro vengano realmente mantenuti da tutte le parti.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PICCO



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Vetrino.



VETRINO Bianca

Si conclude oggi, con la presentazione da parte della Giunta di un documento di aggiornamento del programma per il quinquennio 80-85, un periodo di difficoltà e tensioni alle quali si sono aggiunti ritardi e rinvii.
Il nostro auspicio è che il periodo di crisi si sia concluso, anche se abbiamo dei fondati motivi per ritenere che i veri problemi non siano ancora risultati evidenti.
Infatti se dobbiamo giudicare comportamenti e dichiarazioni anche recenti, dobbiamo dire che la crisi dei rapporti interpartitici nella coalizione che oggi con la dichiarazione del Presidente della Giunta conferma alla comunità il suo rinnovato progetto di governo, ci sembra ancora latente.
Ma non essendo nel nostro costume, approfittare di ogni occasione per rinfocolare contraddizioni tendendo quindi ad alzare il tasso di conflittualità, ci poniamo anche in questa giornata conclusiva, alla ricerca di un' occasione costruttiva.
Usando quel senso di responsabilità che abbiamo impiegato nel corso degli incontri bilaterali o allargati che abbiamo avuto (durante il tempo della verifica) con le altre forze politiche del Consiglio di maggioranza e di opposizione.
Abbiamo considerato con grande interesse l'iniziativa del Partito Socialista di intraprendere un confronto più serrato con le forze intermedie di questo consiglio.
Abbiamo partecipato ad incontri nel corso dei quali sono stati affrontati alcuni temi dell'attività regionale i quali nel corso di questi primi due anni di legislatura, avevano fatto registrare differenze di indirizzo, all'interno della maggioranza, riguardanti la politica del lavoro e del territorio.
Il documento che ci è stato oggi illustrato, riportando ancora una volta enunciazioni di principio e non dando il dovuto spazio ad ipotesi di realizzazione concrete, ricalca quello presentato dalla Giunta al momento del suo insediamento. A noi sembra che ci siano differenze nell'impostazione di fondo. Ci sono aggiornamenti determinati però dal mutato scenario regionale sia sotto il profilo economico che sociale.
Lo si può quindi considerare un documento aggiornato solo nel senso che ha tenuto conto di un dibattito che c'è stato in questi ultimi due anni all'interno di questo Consiglio, che ha visto tutte le forze dare il meglio di loro stesse per contribuire ad "elaborazioni" culturali e programmatiche capaci di individuare le soluzioni dei problemi della nostra comunità.
Devo anzi dire che in questo aggiornamento sono evidenti degli obiettivi generali che il PRI ha indicato da sempre. Faccio alcuni esempi concreti a suffragio della mia affermazione.
Si legge nel programma che obiettivo di fondo della Giunta resta la collegialità di governo.
Vorrei osservare che la collegialità del governo non è un obiettivo politico, ma un fatto profondamente istituzionale, indiscutibile e deontologico intrinseco all'esecutivo.
Appare strano che questa esigenza la si ravvisi a due anni di distanza e ci si chiede se i rilievi fatti dal PRI sulle carenze di collegialità (si ricordi che questa è stata una delle critiche di fondo in occasione del dibattito sul bilancio di previsione 1982) non vadano a segno ove si voglia attribuire questa carenza a differenze di impostazione politica delle diverse forze componenti la maggioranza e dunque in definitiva determinanti una gestione compartimentale non rispondente ad una linea di indirizzi univoci.
Quando si parla di collegialità non si intende dire che i partiti all'interno delle coalizioni debbano soffocare il dibattito interno, anzi più ampio sarà il confronto, più probabilmente le soluzioni prospettate risponderanno alle esigenze reali della comunità.
Non crediamo che la creazione di una struttura inter assessorile di coordinamento delle attività di programmazione (coordinata dall'Assessore alla programmazione) sia il rimedio per garantire la collegialità.
Nel documento viene data come ipotesi per garantire anche questo. Il Cipe regionale può essere uno strumento per tentare di garantire la programmazione regionale.
Condividendo che questo sia uno strumento reale ne auspichiamo la sua costituzione.
Quando nella parte del rilancio istituzionale, si enuncia che si intende esaltare la funzione di sindacato di controllo sulle leggi, vorrei ricordare alla Giunta e al Consiglio, che nel gennaio 1978, il Consiglio regionale votava un documento di intenti e metodi che aveva questo preciso obiettivo: sono passati quattro anni! E quando si parla di una revisione attenta del rapporto e del peso relativo a leggi e regolamenti regionali, rimando il Consiglio agli ordini del giorno da noi presentati oserei dire quasi ogni anno, in occasione della presentazione dei documenti di bilancio e finanziari, su questi stessi ed identici temi.
E' certamente una consolazione considerare inscritte nel documento della maggioranza queste dichiarazioni d'intenti che condividiamo da sempre, ma non possiamo non rilevare il ritardo con cui questi temi si affrontano.
Il Consiglio regionale per quanto ce ne siamo tutti sovente ripromessi non ha mai affrontato in profondità, il problema degli enti strumentali; ma sulle linee di principio che sono elencate nel documento, riteniamo che si possa utilmente discutere quante volte in quest'aula il PRI e gli altri partiti hanno parlato della necessità che il Consiglio eserciti rispetto ai suoi enti delle funzioni di coordinamento, che si faccia annualmente un bilancio di quello che questi enti fanno o non fanno. E così sui programmi riguardanti i diversi enti.
Noi abbiamo di volta in volta espresso valutazioni a volte anche severe sulle attività intraprese. Per esempio non abbiamo mai intravisto nell'attività della Promark il ruolo strategico a servizio della politica di commercializzazione e di promozione: sapevamo per contro, quanto costava la Promark alla Regione.
Oggi però di fronte ad un'iniziativa di successo con la I Mostra sull'antiquariato, diciamo che questa sarà ancora più apprezzata, se essa non risulterà un fatto sporadico o un'idea fortunata, ma se rientrerà in un progetto di riorganizzazione e di revisione dell'attività della Promark, in linea con gli obiettivi che stavano alla base della sua costituzione.
C'é nel documento un capitolo che riguarda un tema che deve essere patrimonio di tutte le forze politiche, ma sul quale ci siamo sempre molto impegnati; è il tema delle autonomie locali.
Da anni ci battiamo per una nuova organizzazione istituzionale, in particolare dei grandi comuni, basata sulla municipalità e su un ente intermedio per il governo delle aree metropolitane, in un nuovo assetto del territorio.
Il segretario provinciale del Partito Socialista ha evidenziato questa stessa posizione in una intervista alla Stampa di alcuni giorni fa, e il documento di aggiornamento della maggioranza accenna all'autorità di governo metropolitano.
La proposta del PRI prevede addirittura i Sindaci metropolitani.
La nostra proposta politica è l'invito a concepire una vera e propria città-territorio, a sviluppare e riqualificare una serie di poli e di centri sorti attorno alla città, sostenendoli con una razionale infrastrutturazione di vie di comunicazione, nobilitandoli per calamitare quella pressione di attività direzionali e di terziario e di residenza che non può più trovare spazio nella cerchia cittadina.
E' l'invito a riprendere una programmazione tra Comune e Regione e a superare la disarticolazione dei municipalismi e delle decisioni isolate.
In questo tempo una riappropriazione da parte della Regione, del progetto di Torino in senso lato, che in questo momento è carente sia dello schema comprensoriale e sia del piano socio-sanitario, è un fatto che va considerato.
Ma c'è di più. Sulla proposta della grande metropoli MITO che dovrebbe nascere dalla fusione di basi culturali ed economiche di Milano e Torino, è già nata una successiva proposta di creare una megalopoli italiana dalla saldatura del modello urbanistico padano con quello mediterraneo.
La megalopoli, diversa dal gigantismo urbano portatore di squilibri dovrà caratterizzarsi per il policentrismo: vale a dire una rete di città con le loro individualità, intervallate da spazi verdi, ma con forti interrelazioni.
Un primo modello di contatto tra il modello mediterraneo e quello padano, potrebbe derivare dai collegamenti esistenti tra la zona costiera ligure con la pianura padana; che non ha solo Torino e Milano, ma che si caratterizza anche per un elevato numero di città medie, che stanno salendo di importanza per il decentramento industriale e che rappresentano un pre requisito essenziale per la costituzione della megalopoli.
Possono sembrare soluzioni molto lontane da noi (futuribili diceva Viglione): lo sono certamente, ma è certo che esse vanno preparate ed il progetto delle municipalità è certamente un progetto che intende adeguare il sistema delle autonomie locali alle continue trasformazioni della società.
La proposta contenuta nel documento di aggiornamento, di una sperimentazione delle municipalità attraverso il decentramento della materia sanitaria può essere discusso.
Anche questa proposta non è nuova. Fin dal febbraio 1981 il PRI aveva presentato nella competente sede comunale, un proprio modello giuridico istituzionale che regolava la gestione e il decentramento socio-sanitario nell'area urbana della città di Torino.
L'ipotesi di lavoro del PRI era sintetizzata nelle formule: unità e decentramento omogeneo in un quadro di chiarezza dei rapporti giuridici USL Comune di Torino e nell'ambito di una rigorosa programmazione della spesa sanitaria.
Tale progetto era contrario sia all'ipotesi di una sola USL 1-23 con un unico comitato di gestione che accentrava tutti i poteri in materia socio sanitaria, sia il modello ultra- decentrato (divisione della città in 23 USL) che rischiava di trasformare la città in un pulviscolo di centri decisionali non omogenei e non concordati.
L'assetto giuridico-istituzionale della USL torinese proposto dal PRI prevedeva un decentramento intermedio ed istituzionalizzato (6-8 USL) facente riferimento ad un ospedale di zona e con un ambito territoriale attorno ai 150-200.000 abitanti (3-4 quartieri).
Il meccanismo legislativo che poteva venire incontro ai criteri di riequilibrio e di omogeneità delle USL torinesi, consisteva nel, la redistribuzione della mappa delle USL. attraverso la modifica della legge regionale n. 41. Come è noto la nostra proposta non venne in quella sede accettata.
Ad un anno di distanza la situazione generale della sanità è diventata esplosiva e difficilmente governabile, a tutti i livelli politici ed amministrativi si avverte la necessità di razionalizzare il sistema della gestione sanitaria della città; altrimenti il rischio di peggiorare ulteriormente i livelli di prestazione sanitaria unitamente a quello di un progressivo aumento della spesa globale, diventerebbe reale nei prossimi anni.
Il decentramento reale può essere un modo anche per recuperare credibilità e, partecipazione da parte di quegli eletti nelle circoscrizioni, nei comitati di gestione e nelle assemblee generali che oggi non hanno ruolo, non avendo nulla a disposizione.
Né la pianta organica, né il ruolo nominativo regionale del personale sanitario, non si conosce il fabbisogno del personale e di strutture per le singole circoscrizioni, manca la mappa dei bisogni dei singoli quartieri e un piano socio-sanitario delle USL 1-23 articolato per circoscrizioni.
Ho voluto approfondire questo tema della sanità in quanto è indubbiamente un tema centrale dell'attività regionale ed è anche quello rispetto al quale alcuni grossi interrogativi non hanno risposta nel documento di aggiornamento.
Si ha l'impressione che dove la divergenza è profonda o insolubile, si preferisca ripiegare su linee generali sulle quali ovviamente è assai più facile convenire e sulle quali conveniamo anche noi.
Ecco perché noi consideriamo questo documento più che un aggiornamento del documento di legislatura un indice analitico di una parte del secondo Piano di sviluppo e che l'approfondimento vero sui temi reali e concreti avverrà, lo speriamo in quella specifica sede.
Anche perché in quella sede, si affronterà il problema delle risorse problema che il documento non si pone e questo è certamente un ulteriore limite dello stesso.
Ho l'impressione che l'Assessore al bilancio non abbia avuta molta parte nella stesura di questo documento.
Oggi abbiamo avuto un'occasione in più per confrontarci, lo abbiamo fatto come già ho detto in sede della cosiddetta area laica, invitati dal Partito socialista e dal Partito socialdemocratico.
Ci siamo confrontati con il Partito comunista in una riunione nella quale, pur da posizioni a volte anche diverse, abbiamo toccato temi di grande e impegnato contenuto.
Per esempio nell'affrontare temi istituzionali, mentre abbiamo trovato profonda adesione da parte del Partito comunista sulla necessità di un progetto informazione che proietti all'esterno un'immagine obiettiva ed imparziale, della Regione e che per garantire questa immagine o occorrono criteri di impostazione pluralistica dell'informazione stessa (a questo proposito vorrei osservare che le pagine sulla Repubblica sulla Regione non sono proprio coerenti con questa linea e forse nemmeno la delibera di riparto dei fondi agli enti culturali); abbiamo in linea generale trovato delle convergenze a questo riguardo; non abbiamo trovato identica adesione sulla caratteristica di sintesi istituzionale e politica che deve essere attribuita al Presidente del Consiglio regionale.
Noi non condividiamo l'idea che il Presidente del Consiglio debba comunque essere espressione della maggioranza: nelle trascorse legislature ma anche nella attuale abbiamo più volte insistito sulle funzioni di raccordo istituzionale che competono al Presidente del Consiglio e che in questo senso il Consiglio possa esprimere un suo più corretto equilibrio nel caso specifico attraverso un Presidente espressione della minoranza consiliare.
All'inizio della legislatura noi chiedemmo un Presidente del Consiglio espressione del partito di maggioranza relativa, e cioè un presidente democristiano; come riconoscimento anche di un ruolo preminente che la Democrazia Cristiana, ha nel Piemonte, nelle istituzioni e nella società.
Il documento della minoranza del 17 marzo, data coincidente con l'apertura della verifica da parte del Partito socialista, non si riprometteva in prima istanza di cambiare la presidenza del Consiglio, ma cambiare il ruolo del Consiglio e i rapporti istituzionali all'interno del Consiglio.
Ci siamo incontrati con il Partito liberale, con il quale, anche in aderenza ad una linea europea dei due partiti, abbiamo esaminato i problemi più importanti all'attenzione del Consiglio regionale.
La comune ispirazione laica, il rifiuto di una visione deterministica della storia, l'impegno nella difesa della costituzione, contro la degradazione, l'assistenzialismo e l'aumento della spesa pubblica, sono caratteri peculiari sui quali liberali e repubblicani si sono sempre trovati d'accordo.
Il problema sul quale negli ultimi anni i due partiti sono rimasti più lontani, è stato quello della ricerca di un più ampio consenso parlamentare e sociale per governare la crisi e sviluppare la democrazia.
Ci sembra che anche su questo problema ci sia un avvicinamento ed un superamento rapido da parte del Partito liberale.
Infatti la sostituzione dello schema di centro-sinistra con quello penta-partito apre l'ipotesi di ingresso dei liberali in numerose giunte e non manca qualche recente esempio di partecipazione a giunte a maggioranza di sinistra da parte del Partito liberale.
A Chieri, una realtà che io conosco molto bene, una realtà importante sotto il profilo economico e sociale, un sindaco liberale si regge con i voti del Partito comunista.
Questa partecipazione è stata anticipata da posizioni meno rigide assunte dagli ultimi Consigli nazionali del Partito liberale e favorita dalla formazione dei poli laici, nell'interno dei quali si collocano i liberali, anche nel caso di aggregazioni successive a sinistra.
Questo nuovo, atteggiamento liberale che noi registriamo con favore, è poi però quello che determina incomprensione da parte di certa parte dell'opinione pubblica, circa il nostro rifiuto ad aderire alla Giunta del Piemonte, visti i ripetuti e reiterati inviti rivolti dalla maggioranza, e che ancora questa mattina il Presidente della Giunta ha ripetuto al Partito liberale e repubblicano.
Lungi da noi il ritenere che la capacità di presenza politica ed elettorale dei repubblicani sia connessa con la presenza nei governi locali.
Lasciamo ai social-democratici le argomentazioni che qualche tempo fa sull'Espresso erano portate da un loro esponente per spiegare i successi elettorali del PSDI.
L'esponente social-democratico dopo aver fatto il calcolo dei Sindaci e degli Assessori del PSDI e di tutti gli incarichi che nelle realtà di sottogoverno il PSDI contava, intendeva dire che per assicurarsi i voti occorre avere dei posti, perché "ogni volta che vanno bene le elezioni amministrative, vanno poi bene anche le politiche, perché il nostro insediamento sociale si irrobustisce".
A parte la spregiudicatezza dell'analisi che sono certa non è condivisa nemmeno dai colleghi social-democratici all'interno di questo Consiglio quello che dice l'esponente social-democratico è forse certamente vero.
Ma il nostro ragionamento è un altro, rigorosamente politico, alieno da ogni preoccupazione elettorale o partitica.
La nostra politica è sempre stata quella di rifiutare ogni scelta pregiudiziale di campo, rispetto alla quale abbiamo sempre privilegiato una rigorosa valutazione dei contenuti.
Con questa stessa linea politica noi abbiamo affrontato il discorso laico-socialista, con i piedi per terra, profondamente convinti della suggestione dell'ipotesi politica ma anche sempre consapevoli dei tempi lunghi che occorrono ai cambiamenti.
E oggi constatiamo con soddisfazione che anche gli elettori stanno preparando il cambiamento e il rinnovamento della società italiana.
Non è con gli slogan o con superficiali immagini di novità politiche che si costruisce l'area laica.
Io non credo che i laici o i socialisti vogliano essi solo lo sviluppo (Bastianini diceva che non hanno la preclusione dello sviluppo) probabilmente lo vogliono allo stesso modo i democristiani ed i comunisti.
Credo invece che questi partiti intermedi siano portatori di valori più aderenti alle necessità della società attuale. Valori che per quanto riguarda il nostro progetto politico di società, poggiano sui rifiuto di ogni concezione dogmatica o fideistica della società, esaltando i principi di giustizia sociale e quindi richiedono per la loro affermazione l'intervento programmatorio dello Stato, per garantire una corretta distribuzione dei beni ed il continuo sviluppo della produzione riconoscono alla ragione e alla capacità dell'uomo le possibilità di migliorare la propria condizione attraverso uno sforzo che sia nello stesso tempo individuale e collettivo, auspicano rapporti sburocratizzati e umanizzati; e a questo proposito c'è un piccolo codicillo nella parte riservata alla politica sanitaria che è di grande interesse e di grande novità, ed è proprio quello che si riferisce alla necessità di umanizzare anche quel tipo di rapporto. Esaltano i nostri principi e le professionalità ad ogni livello e intendono valorizzare nuove professionalità, nuovi ceti e i quadri emergenti.
Devo anche dire che non credo che questi valori siano esclusivi della nostra tradizione e della nostra storia, credo che su questi valori ci sia materia per dialogare con tutti i partiti e innanzitutto in questo momento con le forze intermedie che sembrano oggi più vicine, nella convinzione che questi valori possono avere attuazione ed esaltazione soltanto all'interno di un quadro costituzionale molto flessibile, capace di assecondare i movimenti molto rapidi della nostra società.
Dopo le Giunte aperte, un neologismo sta entrando nel gergo politico le Giunte bilanciate.
Se il dialogo laico avrà lo scopo, non di aumentare il potere contrattuale del Partito socialista o del social-democratico all'interno della maggioranza, ma si prefiggerà la necessità di un confronto tra le istituzioni e le forze politiche più intenso evitando posizioni frontali (sempre deleterie), ben venga anche una Giunta bilanciata. Il tutto per con molta, molta chiarezza.
Se dal dialogo laico, nasceranno prospettive politiche per l'area laica, questo non dipenderà solo da noi; nell'area laica noi ci siamo, ci sono i liberali; sono altre forze politiche che devono fare altre scelte per determinare la centralità di quest'area laica e socialista.
Per intanto lavoreremo per differente sostanziale mutamento dei rapporti istituzionali, per garantire realmente il ruolo del Consiglio e il rilancio dell'ente istituzionale regionale.
Abbiamo infatti sempre temuto una maggioranza arroccata, chiusa nella propria gestione del potere che vive nella presunzione dell'auto sufficienza, così come abbiamo sempre temuto una minoranza isolata impossibilitata a vivere compiutamente il proprio ruolo.
Il dialogo che da oggi può diventare più intenso tra le forze di questo Consiglio, non priverà alcuno del proprio peculiare ruolo, di maggioranza o di opposizione.
Per quanto ci riguarda, non abbiamo mai avuto bisogno di ricevere o di dare delega per svolgere la nostra funzione. In politica non esistono deleghe in questo senso, esistono battaglie, lente, lunghe e faticose, ma proprio per questo ci sia consentito più saltanti.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Montefalchesi.



MONTEFALCHESI Corrado

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, ci troviamo a fare questo dibattito a due anni dall'inizio di questa legislatura; sono stati due anni difficili in cui la crisi si è andata via via aggravando, sino ad arrivare ad una situazione in cui non è più pensabile di uscirne con un semplice rilancio del meccanismo di sviluppo ormai irrimediabilmente in crisi e non più rilanciabile così com'è. Non siamo tra quelli che amano fare del catastrofismo, come qualcuno ha affermato qui; siamo tra quelli che guardano la realtà e ne prendono atto, e la realtà ci dice che la crisi si sta aggravando, se guardiamo il numero crescente delle aziende in crisi ed il numero dei lavoratori a O ore.
Noi non vediamo i segni di quella ripresa che qualcuno vede in quest'aula, magari forzando la realtà, per sostenere che in definitiva, per alimentare una ripresa basta agire ancora una volta sul costo del lavoro e sulla produttività, fino a mettere in discussione la scala mobile.
Imponendo cioè ulteriori sacrifici ai lavoratori ed ulteriori peggioramenti delle condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari, magari in omaggio al concetto che in una situazione di crisi chi è povero lo diventa ulteriormente e chi è ricco aumenta la sua ricchezza.
Ma costoro non ci hanno ancora spiegato come mai i notevoli aumenti di produttività (sino ad arrivare ai livelli giapponesi) e la diminuzione del costo del lavoro non hanno sortito l'effetto di farci uscire dalla crisi.
Evidentemente dobbiamo prendere atto che la crisi industriale, intesa come declino di questo modello di sviluppo, impone di lavorare ad un progetto di Governo per l'avvio di un nuovo e diverso sviluppo in grado di aumentare le occasioni di lavoro, l'occupazione, obiettivi fondamentali sui quali impostare una nuova e diversa programmazione, un diverso ruolo degli Enti locali ed un diverso rapporto con il padronato.
Per questo, per raggiungere questi obiettivi, come abbiamo affermato all'inizio di questa legislatura e più volte in questi due anni, noi ribadiamo come l'unica soluzione in grado di assicurare una risposta a questi obiettivi, sia quella di una maggioranza fondata sull'unità e sulla centralità delle forze di sinistra e democratiche. Ecco quindi che per noi rispetto ai convincimenti espressi nell"80, che ci portarono a dare un voto decisivo (fu il trentesimo voto) per la costituzione della maggioranza di sinistra e di questa Giunta, non è cambiato nulla; ribadiamo la necessità dell'unità delle forze di sinistra e la validità delle Giunte di sinistra come condizione per far vivere e sviluppare l'alternativa, che è un .obiettivo strategico del nostro partito.
Pur tuttavia non possiamo non vedere, dopo due anni di esperienza, che invece per altri sono cambiate delle cose rispetto all'unità delle forze di sinistra. E' significativo a questo proposito che il Presidente Enrietti nell' aprire questo dibattito abbia voluto ribadire, forse travalicando il ruolo che gli compete in qualità di Presidente della Giunta, la centralità socialista; che da questa verifica esce rafforzato e rilanciato il rapporto nuovo con le forze laiche; che, sempre secondo Enrietti, hanno dato un loro contributo auspicandone una loro più diretta ed esplicita assunzione di responsabilità nella maggioranza. Ed è altrettanto esemplare che Enrietti ci abbia cancellato, non avendo avuto alcuna espressione verso il PDUP, che nell'80 consentì con il suo voto favorevole e decisivo l'elezione dell'esecutivo e del suo Presidente: rispetto al quale non ritengo di aver sbagliato. Quel voto è la testimonianza di una posizione netta ed inequivocabile per la centralità delle forze di sinistra e del loro ruolo di governo nel Piemonte, che qui vogliamo ribadire. Al di là della riaffermazione di questa maggioranza, sulla validità della quale, in termini di prospettiva il Presidente dovrebbe esprimersi chiaramente, il senso politico della verifica emerge proprio da questo, cioè dalla esplicita volontà del PSI di sostituire e contrapporre alla centralità delle forze di sinistra ed al loro ruolo di governo il polo laico e socialista e la sua centralità. Noi non condividiamo questa opzione né a livello regionale, né nazionale. Dando uno sguardo al panorama politico ed amministrativo piemontese non possiamo non vedere che per responsabilità del PSI, questa tendenza va avanti, a livello regionale; molte Giunte di sinistra, che si erano costituite nel 1980 oggi non ci sono più: Novara provincia di Vercelli, Casale, Venaria, Gravellona, Omegna, ecc., mentre per altre la situazione è incerta: ci riferiamo ad Asti, Settimo, ecc.
Quando si è aperta questa verifica noi abbiamo subito detto che essa andava fatta, ed andava fatta sui contenuti per arrivare ad un programma di legislatura, che riaffermasse questo schieramento. Dopo aver letto il documento non possiamo non rilevare che più che un documento propositivo adeguato alla gravità della crisi, ci sembra una difficile mediazione di posizioni diverse. Una verifica nella quale i personalismi all'interno del PSI hanno giocato un ruolo non secondario, ed a proposito di paragoni, a me sembra che piuttosto di paragonare Astengo, a Calvino, sembra che si addica di più il ruolo di Simonelli a Robespierre, che come sappiamo tagliava le teste, magari configurato con una sciabola in mano mentre prende le misure ad Enrietti. E come non interrogarsi sulla coerenza tra le affermazioni del Capogruppo socialista Viglione sul Governo con i laici e la posizione che esso ha in questa maggioranza; sollecitiamo in merito un chiarimento da parte del Presidente sulla volontà di riaffermare la Giunta di sinistra.
A livello di schieramento, il cambiamento che cercavo di analizzare si esprime nei confronti del PDUP che viene considerato non più indispensabile. Noi riteniamo che un'ipotesi di governo non possa basarsi sulla rincorsa, al soddisfacimento ed al premiare quei corporativismi indotti dalla crisi e mascherare questo con la necessità di premiare i meriti ed i bisogni, o con non molto chiare affermazioni sulle nuove povertà; vorrei capire meglio Enrietti quali sono le nuove povertà, perch a guardare le denunce dei redditi i nuovi poveri sembrano essere sempre gli stessi, cioè quelle classi sociali che non pagano le tasse, e io mi chiedo se sono ancora questi che si vuole risparmiare. E mi chiedo anche se un'ipotesi di modifica della scala mobile, quindi una ridistribuzione del reddito a sfavore della classe operaia, fa parte anch'essa della nuova strategia sui meriti e sui bisogni e dell'ipotesi di governo fondata su un rapporto con i laici.
Noi abbiamo portato in quest'aula (per dirlo con le parole di Enrietti) un elemento di stimolo, intendiamo continuare a farlo, ed a farlo sui contenuti, sulle cose concrete. Prima di tutto vorremmo capire che rapporto c'è tra questo documento e la bozza di Piano di sviluppo regionale dove sono contenute alcune affermazioni per noi non accettabili; 'ne cito solo tre: la tenuta dei livelli occupazionali che avrebbe rallentato l'aumento della produttività e quindi determinato gli esuberi attuali di manodopera la non compatibilità tra la programmazione settoriale e l'autonomia aziendale; il modo con il quale iene concepita l'agenzia per il lavoro che molto esplicitamente viene concepita come un contenitore assistenziale.
Noi abbiamo letto questo documento di verifica molto attentamente e ne condividiamo alcune parti; molti altri punti non raccolgono il nostro consenso. Intanto manca qualsiasi riferimento alle questioni internazionali, che invece c'erano nel documento del 1980, pur certo con una discussione ed un confronto aspro; io mi rendo conto che questo è un problema estremamente delicato e difficile, ma non lo si può rimuovere soprattutto in un momento in cui i conflitti si estendono e rischiano di portare l'umanità quasi sull'orlo di un nuovo conflitto mondiale.
Una posizione sulle questioni internazionali è decisiva anche per stabilire quali interlocutori privilegiare sulle questioni di carattere economico e di interscambio. Condividiamo la riaffermazione della necessità di un rilancio della Regione quale ente di programmazione, per sconfiggere le spinte neocentraliste che sono esiziali per la vita delle Regioni ed in contrasto con l'esigenza di una maggiore partecipazione dei cittadini alle scelte. Così come condividiamo nel rapporto con il Governo la necessità di avere una maggiore autonomia finanziaria, di un più vasto trasferimento di poteri alle Regioni (in particolare per la politica industriale).
Rispetto alla centralità del Consiglio, essa va ricercata con atti concreti dando maggiore ruolo e potere alle Commissioni trasformandone quindi il ruolo non solo verso la revisione della legislazione con funzioni di controllo, ma facendogli assumere un ruolo prepositivo e di stimolo.
Per quanto riguarda la Giunta, riteniamo che debba essere confermata la collegialità e la responsabilità del Presidente, ma non siamo d'accordo sulla proposta della struttura interassessoriale; riteniamo che la Giunta debba darsi una struttura dipartimentale, strutturando anche le Commissioni consigliari sulla base di questa nuova struttura.
Sull'industria Concordiamo con l'obiettivo di uno sviluppo del settore industriale, ed una sua evoluzione; ma che rapporto c'è tra questa affermazione ed il Piano di sviluppo regionale, che invece prevede una forte diminuzione di occupati nell'industria? Quello che manca è un'analisi che faccia chiarezza del perché lo sviluppo si è inceppato, soprattutto in un momento in cui si tende ad azzerare la responsabilità, oppure a scaricarla sui lavoratori. E' necessario superare una genericità, per fare maggiore chiarezza sulle cause che hanno prodotto la crisi nell'individuazione dei settori sui quali puntare per il rilancio dello sviluppo industriale; devono essere stabilite delle priorità, che per noi sono la produzione di tecnologie appropriate legate all'energia, la meccanica strumentale ampiamente presente in Piemonte e settore che meno di altri risente della crisi, un settore strategico; l'elettronica applicata ai diversi settori.
Rispetto al rapporto con le imprese è necessaria una gestione attiva della legge sull' innovazione tecnologica e la ricerca applicata (pur con le scarse competenze della Regione) essa deve richiedere alle aziende: la conoscenza della quantità e dei motivi dei finanziamenti; è necessario assumere come parametro di riferimento per la concessione dei crediti, il rapporto tra finanziamenti erogati; volumi produttivi e livelli occupazionali conseguibili; e necessario chiedere che questo parametro di riferimento venga assunto anche dal Governo; è in questa ottica che noi chiediamo alla Giunta di esprimersi chiaramente sul rispetto degli accordi sottoscritti da parte della Fiat, come condizione per l'erogazione di finanziamenti pubblici. In questo senso riteniamo grave che il Presidente Enrietti, dopo un recente incontro con l'amministratore delegato della Fiat Romiti, abbia espresso ampie convergenze sugli andamenti produttivi ed occupazionali; vorremmo capire quali sono queste convergenze e su quali punti. Non possiamo non constatare come questi problemi siano estremamente carenti nel documento, se non addirittura assenti.
Rispetto alla piccola e media impresa è urgente che si avvii il coordinamento, la promozione ed il sostegno delle innovazioni tecnologiche va però chiarito che il primo sostegno che necessita è quello di istituire un servizio che agevoli il rapporto tra la piccola industria e la legislazione e le fonti di finanziamenti o agevolazione spesso sconosciute alle piccole imprese.
Una considerazione particolare merita la ricerca che è affrontata in termini estremamente carenti nel documento. Sappiamo che su questo aspetto l'assessorato sta lavorando; è però necessario che al più presto venga presentato un progetto organico per l'utilizzazione dei fondi per la ricerca ai quali la Regione può accedere anche direttamente, ed il rapporto con la legge 240 sui consorzi; questo progetto a nostro avviso deve prevedere che i contratti di ricerca vengano fatti, alla luce dell'individuazione dei campi di ricerca da parte della Regione, che a noi sembra possano riguardare: il settore dell'auto; il settore energetico in rapporto al risparmio; il settore della meccanica strumentale.
Per ciò che concerne il terziario molto se ne è parlato anche qui; noi riaffermiamo la necessità di un terziario che abbia come obiettivo primario la riqualificazione del settore industriale, la produzione di meccanismi per il risparmio energetico e delle tecnologie appropriate.
Ma anche qui a me sembra che manchi un collegamento essenziale, quello con la ricerca, che è condizione essenziale per avere realmente un terziario avanzato; voglio solo citare un'affermazione del professor Prodi al convegno di Pavia sull'innovazione tecnologica quando afferma "che in Italia non c'è una cultura della ricerca, e quindi bisogna farla maturare altrimenti avremo un terziario cialtrone".
Rispetto al mercato del lavoro dobbiamo intanto rilevare come nel documento sia assente il problema dei lavori socialmente utili, e quale ruolo vuole svolgere la Regione a sostegno di iniziative che nascono nel settore della cooperazione. Rispetto alla mobilità non c'è una valutazione dell'esperienza fatta, del perché non ha funzionato, delle responsabilità di chi prima ha svolto una campagna denigratoria nei confronti dei sospesi Fiat, ed oggi respinge anche quei pochi lavoratori avviati. Non siamo contrari a programmi finalizzati, con i lavoratori che mantengono la titolarità del rapporto di lavoro con l'azienda, ma bisogna esplicitare quali sono questi piani, con quali risorse vengono sostenuti.
Rispetto all'agenzia la nostra posizione è chiara, abbiamo già detto della diversità con la quale viene concepita in questo documento, rispetto all'inaccettabile configurazione che viene esposta nel Piano regionale di sviluppo; noi riteniamo necessaria un'organica legislazione nazionale sul problema del mercato del lavoro, siamo pertanto contrari, in assenza di tale legislazione, a qualsiasi ipotesi di stralcio rispetto al 760. Così come siamo contrari a qualsiasi agenzia che si configuri come strumento assistenziale e recida la titolarità del rapporto di lavoro del lavoratore con l'azienda, in quanto ciò lo trasformerebbe da uno strumento attivo ad uno assistenziale.
Rispetto alla chiamata nominativa, noi non riteniamo che una sua estensione permetterebbe un aumento dell'occupazione in quanto la riduzione dei posti di lavoro è determinata non dalle modalità di assunzione, ma da una crisi industriale molto grave. Un aumento della possibilità di chiamata nominativa spianerebbe la strada alle aziende per aggirare il vincolo del collocamento pubblico. Siamo quindi contro un'estensione della chiamata nominativa; riteniamo che gli avviamenti al lavoro vadano svolti garantendo una democraticità e correttezza nella gestione degli avviamenti, per questo deve essere effettuata dal collocamento pubblico con il controllo delle parti sociali.
Sull'energia abbiamo svolto l'altro ieri un ampio dibattito. Non possiamo che confermare le nostre posizioni e le nostre proposte fatte, che allego all'intervento per gli atti. Però anche qui vorrei chiedere alla Giunta delle spiegazioni: abbiamo ampiamente parlato di rapporti col Politecnico e l'Università e del ruolo che questi istituti devono svolgere ma allora mi sembra sconcertante che la Giunta regionale prenda una delibera in cui si affidi all'Agip petroli e alla società italiana per il gas l'incarico di effettuare uno studio di fattibilità per la realizzazione di reti di teleriscaldamento con congenerazione degli agglomerati urbani e dei quartieri in Piemonte. Io credo che questo intento è la spia che non c'è nessun coordinamento delle iniziative sull'energia; già da tempo vi sta lavorando una Commissione, formata anche dall'Enea, dagli Enti locali, dai Comprensori di Torino, dal Politecnico e dall'Italgas per lo studio del riscaldamento. Non si capisce come queste iniziative vengano scavalcate con l'appaltare ad Enti nazionali lo studio per il riscaldamento togliendo possibilità di intervento al Politecnico che senz'altro ha delle esperienze.
Rispetto ad un altro problema che non è di diritto di competenza della Regione, ma nel momento in cui il deficit porterà lo Stato ad operare una nuova stangata di 10-15 mila miliardi, io credo sia importante fare una valutazione rispetto alla situazione degli uffici fiscali nella nostra regione. Il documento parla di sperimentare norme riformatrici per le assunzioni nella pubblica amministrazione; noi proponiamo che questa sperimentazione avvenga negli uffici fiscali; abbiamo presentato una nota al Presidente della Giunta con delle richieste rispetto agli organici mancanti negli uffici fiscali, rispetto al fatto che gli accertamenti sono ridotti a zero.
Proponiamo di coprire gli organici mancanti a livello regionale, con concorsi o assunzioni dal collocamento a livello regionale e sperimentare forme di mobilità in questo settore. Si tratta di recuperare subito tra i 1500 e 2000 posti di lavoro a livello regionale e nello stesso tempo garantire un recupero di risorse nel settore dell'evasione fiscale, e questo è tanto più importante e qualificante nel momento in cui si scoprono ulteriori buchi nel bilancio statale, che comporteranno un'ulteriore inaccettabile stangata.
Sulla sanità dobbiamo rilevare la mancanza di riferimenti ai distretti come strutture sanitarie di base per applicare la riforma. Riemerge così una concezione della difesa della sanità intesa non come prevenzione ma come cura, cioè l'intervento a valle che spiega il rafforzamento delle ipotesi di scorporo degli ospedali rispetto ai quali siamo profondamente contrari.
Sulla casa noi proponiamo e proporremo anche con una proposta di legge l'azionariato popolare casa. E' una proposta avanzata già a livello nazionale; è una battaglia per un uso diverso del risparmio, finalizzato alla costruzione di case da dare in affitto, cioè in uso del risparmio produttivo socialmente e per il singolo cittadino, che ne consenta la Difesa dall'inflazione ed una remunerazione.
Rispetto alla gestione del territorio, credo che la revisione della legislazione non può avvenire prendendo a riferimento una liberalizzazione della gestione del territorio, perché questo aprirebbe spazi alla speculazione, e soprattutto in assenza di un rapporto sullo stato di attuazione della legge in riferimento agli strumenti esistenti ed alla loro validità, ed alla predisposizione degli strumenti tecnici in grado di rispondere alle nuove esigenze degli Enti locali.
Ultimo aspetto che voglio porre è il problema del riequilibrio, così come viene proposto nel documento con ipotesi di accumulo di risorse nell'area metropolitana per poi avviarne il trasferimento verso le aree periferiche non è da noi condiviso questa esperienza l'abbiamo già fatta con la Fiat e si è rivelata fallimentare, siamo contrari a ripercorrere quella strada. Occorre un intervento complessivo individuando aree territoriali ed interventi su di esse, per un'ipotesi vera di riequilibrio e diversificazione.
Ho delineato .alcuni dei contenuti sui quali intendiamo impegnarci in un confronto che a volte sarà inevitabilmente dialettico anche con la Giunta, e fare su questi contenuti un terreno di iniziativa nella società.
Mentre con forza riaffermiamo la necessità di un governo basato sulla centralità delle forze di sinistra, per segnalare questa nostra scelta daremo un voto di astensione sul documento della Giunta. Ma nel contempo affermiamo che rispetto ai contenuti non ci sentiamo più vincolati e rispetto al rapporto che abbiamo avuto finora, dichiariamo di assumere una totale autonomia di giudizio e di iniziativa. Il nostro non sarà un atteggiamento ed una collocazione pregiudiziale, tenderemo sempre a fare il massimo sforzo per raggiungere convergenza ed unità sui problemi, cercando in questo modo (per quel che è possibile) di regolare il nostro rapporto sui contenuti con il confronto.
Certo ci rendiamo conto che questa sarà una posizione scomoda, ma siamo convinti che questo è il modo migliore per dare un contributo per la riconferma della centralità della sinistra, che oggi in Piemonte riteniamo minacciata; un contributo in grado di cogliere il più possibile ciò che si muove nella società, senza del quale anche l'unità delle forze di sinistra non avrebbe senso.
Questo ci sembra il modo migliore per lavorare a quel disegno strategico che è l'alternativa di sinistra.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Majorino.



MAJORINO Gaetano

Le operazioni di verifica della maggioranza (incominciate ufficialmente il 12 marzo 1982 ad iniziativa del Partito socialista) sono durate 80 giorni: lo stesso tempo che ha impiegato il protagonista di un noto romanzo di Giulio Verne per fare il giro del mondo ("Il giro del mondo in ottanta giorni").
Le notizie sullo stato e sulle tappe della verifica sono filtrate (in questi 80 giorni) attraverso i quotidiani e sono consistite in una ridda di comunicati, di smentite, di precisazioni e di messe a punto. Per citare soltanto le principali, basti ricordare "la notte dei lunghi coltelli", del 5 maggio, durante la quale si parlò:. (nella sede di corso Palestro del Partito socialista) di un nuovo organigramma di Giunta; l'intervento personale di Craxi del giorno dopo, il quale si pronunciò in senso contrario ad un rimpasto della Giunta regionale; la dichiarazione del 13 maggio del Capogruppo in Regione del Partito socialista consigliere Viglione, il quale perentoriamente affermò in contrasto con le notizie in precedenza trapelate: "no, non c'è nessuna rottura, ma piuttosto una profonda revisione dei programmi"; e infine in pari data, il comunicato congiunto del Presidente della Giunta e del Gruppo consiliare regionale del Partito socialista con il quale (respingendosi l'interpretazione di una verifica dovuta al contrasto interno di uomini) si preannunciava la ormai prossima e corale elaborazione di un aggiornamento del programma di Giunta quello che è stato illustrato stamattina dal Presidente Enrietti e che è qui, sui nostri banchi.
Attraverso alcune espressioni che si leggono in questo documento di aggiornamento e attraverso le affermazioni fatte stamattina in quest'aula da parte del Presidente Enrietti e del Consigliere Viglione è dato di cogliere l'intento diretto a convincere di una solenne proposizione: cioè a dire che la maggioranza che sorregge la Giunta e la, Giunta stessa, sono corali e concordi sul programma così come risultante dall'aggiornamento e dalla verifica.
La realtà è a nostro avviso, ben diversa, La realtà è che l'accordo corale sbandierato come fatto conclusivo della verifica è una mera apparenza, ed è nato all'insegna del "coactus volui".
A prova della fondatezza di siffatto assunto basti considerare in primo luogo la mancata predisposizione del Piano di sviluppo che per legge e per statuto avrebbe dovuto essere compiutamente allestito entro il termine del 30 novembre 1980, e che ora è quindi in ritardo di 18 mesi perché sta uscendo solo in questi giorni.
Il ritardo non può avere altra seria spiegazione se non la divergenza delle forze politiche che compongono la maggioranza, ora verificatesi, in ordine ai contenuti del piano, piano che non è cosa di poco conto se si tiene presente che il suo contenuto definisce gli indirizzi generali regionali di sviluppo economico e sociale, gli indirizzi concernenti l'assetto del territorio con le conseguenti scelte e priorità di intervento ed i relativi tempi di attuazione.
Piano che non è cosa di poco conto se si tiene presente che esso mentre ha efficacia di indirizzo generale per le attività proprie della Regione funziona nel contempo come quadro di riferimento per le attività proprie degli Enti locali che operano nella Regione.
Piano di sviluppo della cui necessità ed urgenza era convinto il Vice Presidente della Giunta Sanlorenzo allorquando, nel corso della seduta del 12 novembre 1981 e che risale quindi a sette mesi fa, affermava testualmente: "Noi dobbiamo presentare il Piano di sviluppo entro la fine dell'anno e se non lo presentiamo ci direte quello che ci viene".
Ecco ora il tempo e il momento di dire "quello che vi viene"; non certo in maniera irriverente avete mancato a questo impegno perché secondo la nostra interpretazione nell' interno della Giunta e della maggioranza c'è stata e c'è tuttora divergenza di vedute su questo importante documento programmatico che avrebbe dovuto costituire la struttura portante dell'odierno aggiornamento del programma di Giunta.
Se così non fosse ed ai fini di smentire la nostra ipotesi e la nostra illazione, e per non lasciare comunque dubbi al riguardo, ci avreste depositato a latere dell'aggiornamento, il Piano regionale di sviluppo completo in ogni sua parte.
Ma c'è un secondo argomento, forse ancor più persuasivo di quello ora enunciato, che è idoneo ai fini di dimostrare che l'accordo corale conclusivo della verifica della maggioranza è mera apparenza.
Questo argomento lo ha fornito proprio stamattina il consigliere Viglione nella fase conclusiva del suo intervento allorquando senza mezzi termini ha ammonito che nessuno pensi a dare una spallata alla legge urbanistica regionale, vale a dire a uno dei più importanti punti dell'attuale aggiornamento, direi il primo.
E allora, qui è ampiamente provata la divergenza fra il divieto di dare spaliate, cioè a dire (fuor di metafora) divieto di modificare incisivamente la legge urbanistica 56, così come proclamato da Viglione, e quanto a livello dei dichiarati intenti programmatici la Giunta scrive nel documento di aggiornamento.
I fatti nel capitolo dedicato alla revisione della legge urbanistica si accenna "alla necessità di tale revisione legislativa; ai fini di semplificare le procedure di formazione e approvazione degli strumenti urbanistici; di distinguere i comuni in classi; di responsabilizzare in misura crescente gli Enti locali; di predisporre conseguenti modifiche al funzionamento del CUR".
Si tratta di esigenze di revisione della legge urbanistica prospettate in questo documento di aggiornamento che mal si conciliano (anzi sono inconciliabili) con l'ammonimento a non dare spaliate alla 56 perché si tratta di modifiche sostanziose ma soprattutto mal si conciliano anche con la proposta di legge di modifica della 56, presentata dal Gruppo socialdemocratico, proposta di legge che sorpassa gli intenti della Giunta in punto ad incisivi snellimenti del rigorismo che caratterizza la 56, in quanto (come proposta di snelliti-tento) è nell'ottica della Nicolazzi e va anche oltre! In altri termini se è vero come è vero, la legge urbanistica 56 si ispira a eccessivo rigorismo; il momento in cui si esprime la necessità di revisionarla e di snellirla, in quel momento le si vuole dare in senso metaforico una spallata. Non si comprende come su questo punto possa esserci stata una convergenza della maggioranza in sede di verifica.
Passando ora ad esaminare nei suoi lineamenti principali il programma di aggiornamento, va osservato che l'intento che si legge a pag. 9 diretto "ad approntare una normativa di delega alla Provincia ed ai Comuni" come associazioni polifunzionali, ci trova pienamente consenzienti in linea di principio.
Salvo naturalmente a vedere come nel concreto del disegno di legge che la Giunta presenterà, verrà prospettata la connotazione delle deleghe e il suo modus procedendi.
Su questo punto dell'affermazione della necessità del sistema delle deleghe di attuare le deleghe, meraviglia soltanto che dopo 7 anni di governo (5 nella II e 2 nella III legislatura) una Giunta di sinistra scopra che per rilanciare la Regione è necessario rispettare la lettera e lo spirito dell'art. 118 della Costituzione e dell'art. 67 dello Statuto cioè a dire di due normative cardine dell'ordinamento regionale, in forza delle quali la Regione deve normalmente esercitare le sue funzioni amministrative delegandole alle Province, ai Comuni ed agli Enti locali.
Mentre fino ad ora la delega è stata sporadica e settoriale.
E' un'esigenza, questa delle delega, che la nostra parte politica ha più volte rammentato e prospettato anche unitamente alla altrettanto rilevante esigenza di caratterizzare l'Ente Regione come Ente legislativo con capacità di programmazione e di indirizzo delle singole realtà territoriali, economiche e sociali, che svolge la sua attività amministrativa col sistema costante della delega.
Funzione questa dell'Ente regione come ente produttore di le :i con capacità di programmazione e di indirizzo che potrebbe già attuarsi, con migliori risultati per l'istituto del decentramento, in base alla legislazione positiva attuale.
Potrebbe poi dare più buoni frutti ancora, qualora ci si volesse convincere del realismo e della bontà politica della nostra proposta di revisione costituzionale, diretta ad esaltare il principio della reale partecipazione delle categorie, attraverso la riserva dell'elezione diretta del 50% dei Consiglieri regionali, da parte delle categorie produttive della tecnica, del lavoro, delle professioni e delle arti.
Sono anche condivisibili le altre affermazioni che si leggono nel documento programmatico di aggiornamento relative all'effettivo uso regionale dell'iniziativa di proporre leggi nazionali; al processo di delegificazione; all' evitare di regolamentare per legge; alla maggiore speditezza dell'iter legislativo al potenziamento dell'ufficio legislativo e dell'ufficio documentazione.
Staremo a vedere la Giunta al banco di prova dell'effettività e della realizzazione di siffatti intenti, non senza rimarcare che si tratta di esigenze che sia la nostra parte politica e sia gli altri gruppi di opposizione, avevano ampiamente prospettato e richiesto nel corso del dibattito sul funzionamento del Consiglio.
La questione della chiamata nominativa è un punto condivisibile ed è recepita come principio da una legge nazionale in itinere. Al riguardo va rilevato che a fine agosto avevano presentato una proposta di legge per il Parlamento in questi termini, che fu poi seguita nella medesima sostanza da una proposta di legge dei partiti laici.
Ora contrariamente a quanto ha detto il collega Montefalchesi, ritengo che la chiamata nominativa serve a recuperare posti di lavoro, segnatamente nelle piccole industrie e nelle imprese artigiane; laddove come è risultato da indagini conoscitive realizzate in Piemonte, risulta che l'impresa artigiana o il piccolo imprenditore in genere, preferisce non ampliare la propria sfera di lavoro, piuttosto che cadere nell'incognita della chiamata numerica.
Potrà essere una cosa sotto certi aspetti ingiusta ma è una realtà della quale non si può non tenere conto.
Sulla questione dei comprensori, i quali vengono nuovamente esaltati come ruolo, questo punto non ci trova d'accordo anche per una ragione realistica: il Comprensorio pare sia destinato a scomparire nel disegno di legge relativo all'ente intermedio, è comunque già un campanello di allarme significativo che la Regione Lombardia abbia sostanzialmente abrogato questa legislazione e che la stessa Regione Emilia Romagna abbia predisposto un disegno di legge ai fini dell'abrogazione del sistema comprensoriale.
Per quanto concerne gli enti strumentali va ricordato che la Regione non ha sinora mai realizzato nella sua pienezza, quelle funzioni statutarie di indirizzo, di coordinamento e di controllo sugli enti strumentali previste dall'art. 72 dello Statuto.
Consentendo così che essi agissero ed agiscono come enti satelliti dotati di vita e di iniziative proprie, talora stravaganti.
Se il piano annuale di attività degli enti strumentali da predisporsi dalla Giunta e da sottoporsi all'approvazione del Consiglio, vuole significare rivendicazione e recupero delle inalienabili funzioni statutarie in materia di controllo sugli enti strumentali che competono alla Regione, lo verificheremo nel concreto.
Gli altri punti di aggiornamento del programma che abbracciano tutte le altre rilevanti sfere di competenza regionale, riecheggiano nella sostanza motivi e posizioni rientranti nell'azione amministrativa di competenza della Regione, sulle quali avevamo già avuto modo di esprimere il nostro giudizio negativo sia in occasione della presentazione del programma della Giunta nell'ottobre-novembre 1980 e sia in occasione di singoli dibattiti settoriali.
Per le medesime motivazioni oltreché per le motivazioni enunciate nella parte introduttiva dell'odierno intervento, il giudizio del nostro gruppo è politicamente negativo.
Sui provvedimenti propositivi e legislativi che la Giunta porterà in aula, in esecuzione dell'odierno aggiornamento (è opportuna anzi la calendarizzazione e lo scadenziario come ha giustamente ricordato Revelli) esprimere le nostre osservazioni e le nostre proposte alternative; così come abbiamo sempre dimostrato di sapere fare, non solo in quest'aula ma anche attraverso la presentazione (come singoli e come gruppo) di 25 progetti di legge che sinora giacciono nei cassetti delle Commissioni. Ma su questo punto vale l'adagio "mal comune mezzo gaudio" in quanto la stessa sorte è toccata ai disegni di legge delle altre forze di opposizione.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Mignone.



MIGNONE Andrea

Signor Presidente, colleghi Consiglieri. Il dibattito aperto dalla relazione del Presidente sull'aggiornamento del programma elaborato dalla maggioranza che si costituì nel luglio '80, è frutto di indicazioni operative delle varie politiche regionali da privilegiare ed è frutto di una dialettica politica entro la maggioranza e con gli altri partiti sviluppatasi intensamente in questi mesi. Il richiamo alla centralità del Consiglio sta anche in questo: il riportare in quest'aula nell'istituzione, un dibattito per troppo tempo sviluppato tra le segreterie dei partiti. Il richiamare alle funzioni dei gruppi consiliari dibattito sul futuro di questa Regione, sulle prospettive di sviluppo e di ripresa, sui fondamenti politici che ne possono essere i fautori é, oltre che doveroso, politicamente corretto.
Si è assai lungamente parlato, in questi mesi, di "verifica", talora con ironia, sovente facendo riferimento ad aspetti marginali ma più di colore, sempre per sottolineare uno stato di malessere presente nella maggioranza. Non vogliamo certo negare che vi siano tra noi diverse valutazioni e diverse prospettive su alcuni dei problemi oggi di fronte alla nostra istituzione e sui rimedi prioritariamente da approntare.
Ma vogliamo anche precisare verifica, e non crisi, né tantomeno rissa: piuttosto approfondimento del programma e ripensamento su alcune questioni.
Del resto, la situazione sociale ed economica non è quella dell'80, sono in atto modificazioni; bisogna allora attrezzare la Regione negli strumenti e nelle indicazioni programmatiche, per rispondere correttamente a questa nuova realtà. Non si può immaginare una Giunta che assomigli ad un ranocchietto nello stagno, appollaiato sulla foglia di ninfea, dimentico di tutto ciò che esula dal suo mondo banale. Invece vogliamo che gli organi della Regione sappiano aprirsi alla società, alle sue istanze culturali e sociali, sappiano cogliere l'articolato dispiegarsi delle forze vive produttive e sociali, presenti nella nostra realtà.
Quindi questo è state un modo costruttivo, il nostro modo di avvicinarci ed addentrarci al tema della verifica. Già a febbraio ponemmo la questione, di fronte a rallentamenti ed incertezze che ci pareva di poter cogliere su alcuni punti fondamentali del programma che è stato alla base della formazione di questa maggioranza. Ma sia chiaro, la ponemmo sui contenuti, sui programmi, perché è fondamentalmente su questi che registravamo le maggiori incertezze. Di certo la nostra parte non pu essere tacciata di aver fatto questioni di uomini e di posizioni.
E' pur vero che questa verifica ha finito per assumere i più vari connotati, assumendo un valore quasi magico, da terra promessa. Né possiamo nascondere che quando formalmente si aprì, ad opera del PSI, la presente verifica, qualcuno o parti si misero in modo per individuare nuovi orizzonti, e nel percorso magari si ritrovarono segni e segnali ritenuti scomparsi. Alcune retromarce lungo il percorso, infine, hanno chiarito aspetti meno noti di questa "esplorazione".
La verifica è stata, a nostro avviso, la risultante di due elementi di grande rilievo. Il primo è che questa maggioranza non può essere intesa (e ci spiace che qualcuno lo abbia fatto) come mero allargamento di quella della precedente legislatura. E' una maggioranza che ha al suo interno un nuovo ed esaltante spirito di collaborazione e consultazione, in particolare tra i due gruppi socialista e socialdemocratico. Ci pare giusto qui ricordare che la nostra proposta originaria nel giugno '80 all'indomani delle elezioni, era per una Giunta laica: allora il PSI ritenne di non doversi associare a questa proposta.
La maggioranza che abbiamo costituito ha una sua validità, ma per noi vale nella misura in cui vi è un rapporto privilegiato fra i partiti di area socialista, aperti in particolare alle indicazioni dei partiti laici.
Con i partiti di opposizione occorre approfondire il confronto, specie con la DC, che in quest'aula ha saputo assumere un ruolo prepositivo e costruttivo. Ma di questi partiti laici bisogna ricordare il contributo autonomo, non il voler delinearne un'accondiscendenza pura e semplice ai programmi proposti dai gruppi socialdemocratici e socialista. Questo non lo condivido con Viglione: per rispetto ai gruppi PRI e PIA sono convinto che questo è un processo che non ha scadenze temporali certe o ravvicinate, e che è certo un cattivo servizio alla causa comune il tentare di costringerne anticipatamente la volontà.
Si dovrebbero superare particolarismi. Il richiamo all'intervento su "Panorama" di un rappresentante socialdemocratico non è opportuno in questa sede, per l'esperienza e per l'esempio che abbiamo portato in Piemonte.
Occorrerebbe verificare quello che è chiamato l'"effetto Spadolini", il potere che paga o che non paga.
Con i partiti di opposizione specie con il gruppo della DC, che in quest'aula ha saputo dare un contributo positivo ed assumere un ruolo propositivo, occorre approfondire il dialogo e il confronto.
Riconosciamo che forse il PSI non ci seguì fin dall'inizio su questa strada di un rapporto più coordinato fra questi due gruppi, che invece oggi condivide in pieno. Mai come oggi il PSI si è avvicinato ad una configurazione di partito socialdemocratico nel senso storico ed europeo del termine. Il PSDI non può che compiacersene. Del resto ci pare che la società, l'elettorato italiano lo confermino e abbiano volontà di continuare a sostenere questa prospettiva. La via da percorrere è quella di un rapporto organico di consultazione e di intesa tra i due partiti, che individui e definisca obiettivi immediati di una politica comune, nel pieno rispetto della dignità ed autonomia di ciascuno. Ci pare che le iniziative comuni dei due gruppi, specie nella politica internazionale, abbiamo saputo essere in questo solco, ma soprattutto essere riferimento per l'intero Consiglio regionale. Bisogna che i due gruppi si inoltrino su questa strada con coraggio e con convinzione, senza riserve e preoccupazioni.
Siamo consapevoli che vi sono difficoltà non piccole: settarismi rancori, contrasti, usi strumentali di questo rapporto privilegiato da sconfiggere e da superare. Ma ora più che mai è la strada da percorrere anche consapevoli che questo riavvicinamento ha suscitato preoccupazioni e remore, non dico stizza, nelle altre forze politiche.
Vi è quindi una ricerca e un dibattito da sviluppare insieme con i compagni del PSI per confrontarci all'interno dello stesso campo con i comunisti e con le altre forze. Certo non con il sottinteso della rivalsa nei confronti dei partiti che hanno dominato la scena politica nel trentennio, ma invece il riconoscimento di un diverso rapporto fra i vari poli attorno a cui si aggregano le opinioni degli elettori.
Il secondo elemento da sottolineare è che la verifica è stata fatta sui contenuti. E' maturata cioè la necessità di un confronto teso a valutare sia il lavoro compiuto, sia le prospettive di attuazione del programma e aggiustamenti da apportare ad esse. Ciò specie per la sollecita concretizzazione del secondo Piano di sviluppo, elemento fondamentale per ogni politica che si voglia strategica e non tattica o limitata al quotidiano da un lato, e al localistico e provinciale dell'altro.
Pur senza debordare in uscite estemporanee tipo quella del mito: abbiamo ancora da risolvere i collegamenti delle aree metropolitane e addirittura i collegamenti da 'Torino e la provincia, senza lasciarci trascinare da quelle che possono anche sembrare come scontate. In questo quadro gli aggiustamenti programmatici sono significativi, sia sul piano istituzionale che su quello dei contenuti operativi. Sui temi della politica industriale e del lavoro, dell'agricoltura, della formazione professionale, delle comunicazioni, dell'urbanistica vi sono importanti segnali che tengono conto delle nuove esigenze espresse dalla Regione. I punti comuni sono due: necessità di riordino e revisione legislativa (specie per l'agricoltura, per i trasporti e l'urbanistica); ridefinizione delle scelte e delle indicazioni (specie per la formazione professionale per la sanità e per la politica del lavoro); a questo riguardo non possiamo non cogliere che divergenze anche profonde registrate nel dibattito con i rappresentanti del PDUP e per certi versi anche con Reburdo, rappresentante delle indipendenze di sinistra.
Noi riteniamo che questo aggiornamento sia in grado di ricreare tensione, su obiettivi e su prospettive, che possa diventare punto di riferimento per le forze sociali e gli Enti locali.
Nel documento vi sono indicazioni puntuali e precise sui contenuti e tempi della revisione della legislazione urbanistica, elaborate dallo stesso Assessore Simonelli, vi sono indicazioni più precise per un discorso complessivo sull'istituto della delega con innovazioni consistenti come in materia di trasporti e di artigianato. Certo su tutto vale il ragionamento di un ricorso coordinato alla programmazione, ma di tipo indicativo, non pianificatorio o dirigistico, tale da saper raccordare energie private e pubbliche lungo alcuni assi strategici. Tale cioè da assecondare le pluralistiche espressioni della società, secondo obiettivi di comune accordo definiti e condivisi. La disputa non è oggi tra interventismo e liberismo pieno; né l'interpretazione di Smith, né quelle marxiste, n quelle fiscaliste rappresentano modelli esaustivi e convincenti; e anche noi ci muoviamo tra le incertezze di riferimenti sicuri di teorie politiche o economico-sociali.
Certo è che lo stato del benessere è in crisi, che il neocorporativismo di gruppi è presente, che il groviglio delle istituzioni non è ancora sciolto. Ma, forse, per noi laici il non avere "tavole della legge" non è del tutto negativo: siamo in presenza di un processo. Occorre coglierne il senso della direzione, per dare risposte rapide e certe ai problemi della Regione. Non condividiamo la valutazione di Revelli di una maggioranza di sinistra che governa un programma moderato, perché tale non è; è un programma che realisticamente ha una diversa attenzione verso la società che non ha velleità dirigistiche, ma cerca un consenso tra le parti facendosi nel contempo carico delle nuove fasce di emarginazione e dei nuovi bisogni. Ma, anche qui, volendo giocare un ruolo attivo, non rassegnato e soprattutto non limitandosi all'evidenziare gli aspetti negativi, ma sapendo cogliere gli elementi positivi e le novità emergenti.
Voglio qui riprendere una questione: ho già detto che questa verifica è stata un po' come la mitica Atlantide; può darsi che per qualcuno sia apparsa essere un'occasione contingente per rimescolare alcune carte; pu essere stata anche intesa come terreno su cui aspetti personali potessero trovare accoglimento.Ma - chiarito che da noi non è stata certo così intensa - voglio dire con fermezza che è stata l'occasione per un serio ed approfondito dibattito sulle questioni, sui problemi; voglio precisare che tutti i Gruppi vi hanno lavorato con impegno e dedizione, a cominciare dal PCI, che ha lavorato attorno a questo nuovo programma con serietà. Con il quale possiamo non essere d'accordo su alcune proposte; l'abbiamo anche dichiarato, e si è già verificato anche all'interno del Consiglio sui temi della politica internazionale, in tema di politiche del lavoro, sul tipo di relazioni industriali, sulla questione dal rapporto pubblico-privato. Così come sull'interpretazione della dinamica sociale in termini di lotta e di scontro di classe avanzata da Revelli, secondo un patrimonio che non è nostro ed uno strumento concettuale che ci pare non più attuale, perché vi sono interessi più generali che vengono avanti e maggiori articolazioni di strati e ruolo a cui dare risposte in termini di aggregazione su obiettivi comuni: o anche su questioni internazionali con una scena che denota tensioni gravi e preoccupazioni, con un gioco ambiguo delle superpotenze che perseguono obiettivi di imperialismo, sia USA che URSS, in cui si denota sempre più il fallimento sostanziale del modello comunista, in cui emerge la forza delle democrazie occidentali per una politica di sviluppo e di giustizia sociale. Il problema è di recuperare una posizione dell'Europa, della Comunità europea unita su queste cose, più che non dei singoli membri.
Questo è un solco che occorrerebbe colmare, ma al di là di queste posizioni diverse che fanno parte della dialettica di qualunque maggioranza, va riconosciuto al PCI certa serietà di impegno e capacità propositiva.
Intorno a questi problemi, che sono stati il punto centrale della discussione, vi è stato un confronto meditato e concreto, con l'apporto di idee, di suggerimenti, di proposte serie; cioè si è lavorato sui problemi.
E tutto ciò proprio perché siamo convinti, anzi cogliamo, che questa maggioranza sia governo, si assuma le relative responsabilità, sappia divenire punto di raccordo e di riferimento, sia in grado di indicare prospettive e scenari, questi sì, accettabili. Soprattutto perché si proceda con celerità, per evitare l'appannamento della Regione, la sua perdita di immagine e per non dare adito a strappi o incomprensioni. Non vogliamo, perché non ne siamo responsabili, essere tacciati di aver chiuso un rapporto con la società piemontese, di non averne saputo cogliere l'effervescenza, la vitalità, di non aver saputo sostenere la, seppur lenta, ripresa, né di aver estraniato le istituzioni della società. Ma allora, è questa una maggioranza su palafitte? La sua struttura ardita si eleva su una palude? Così magari si può intendere il presente dibattito: questo discorso lo facemmo già in un convegno in Alessandria. Né l'una, né l'altra cosa perché diversamente bisognerebbe consolidare i pali, oppure prosciugare la palude, o infine trasferire masserizie, compresi gli animali e gli scheletri, sulla terraferma. Il continuare nei tentativi di conficcare più a fondo le palafitte non significa che si è trovato terreno solido. Questo è verifica: continuare a lavorare per consolidare, non per distruggere.
Perché per noi è questo un momento di programmazione, che sappia prendere a carico i nuovi elementi della società. Questa verifica sarà per noi emblematica, non più disposti a farci sballottare o a diluire e ritardare i programmi. Noi siamo disposti ad assumerci responsabilità o colpe quando vengono a mancare le condizioni di lavoro per obiettivi comuni e forti per la ripresa. Oppure, quando non si concretizzi la puntuale realizzazione delle indicazioni programmatiche che sono state alla base della nostra partecipazione a questa maggioranza.
Questo, Presidente, è il senso che noi diamo al dibattito sulla verifica.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Paganelli.



PAGANELLI Ettore

Avevo in un primo tempo pensato di intervenire soltanto per dichiarazione di voto, ma siccome la dichiarazione di voto ha dei tempi regolamentari che è opportuno rispettare, e siccome non credo di poter contenere nei tempi regolamentari il mio intervento, preferisco parlare nel corso del dibattito, riservandomi di parlare nel momento della dichiarazione di voto, se ci sarà dichiarazione di voto.
Pare che ci sarà un documento da votare, ma, secondo la tradizione di questo Consiglio, queste cose che riguardano la vita del Consiglio e il funzionamento del parlamento e delle istituzioni non vengono portate nel momento opportuno.
Si doveva dire infatti nel corso del dibattito che vi era un documento e che su questo documento si sarebbe votato, tanto per incominciare la vita nuova del Consiglio regionale dopo la verifica.
Negli interventi del luglio 1980 (formazione della Giunta) e del dicembre 1980 (programma della Giunta) ho più volte affermato che in questa Regione tutto procedeva secondo copione e che le conclusioni di alleanze cui si perveniva non stupivano affatto la mia parte politica.
Il Consigliere Genovese che in occasione della discussione del programma della Giunta alla fine aveva fatto il primo intervento della DC affermò che non eravamo affatto sorpresi delle conclusioni che emergevano dal dibattito e cioè della sinistra che otteneva in quel momento l'adesione del gruppo socialdemocratico anche se diceva "avevamo avuto il dovere di vivere quella fase politica e di reggere il confronto che ci veniva proposto".
Le stesse affermazioni possiamo ripetere oggi sulla verifica. Tutto si conclude come da copione anche se questa volta ci sono stati tentativi di variazione sul tema e noi, che queste conclusioni avevamo serenamente previsto abbiamo però vissuto come si conviene ad una grande forza politica il confronto nei termini che ci veniva proposto.
Lo abbiamo vissuto realisticamente, senza infingimenti, ma anche senza illusioni. E poiché nel corso dei circa 80 giorni della verifica anche il capogruppo DC è stato più volte chiamato ad esprimersi in dichiarazioni pubbliche, mi sono sempre pronunciato tenendo presente che un giorno, cioè oggi, mi sarei trovato a parlare in quest'aula in una situazione che è esattamente quella che il mio partito aveva previsto.
Nessuna difficoltà dunque, nessuna correzione di rotta, ma prosecuzione di una linea e di un indirizzo.
Strana verifica quella alla quale ha assistito per ora impotente (ma i momenti del voto verranno) il Piemonte.
Ha efficacemente reso la situazione, mutuando il concetto dall'economia "Nuova Società", parlando di verifica "stop and go".
E' partita il 17 marzo questa verifica come reazione del PSI alla conferenza stampa congiunta delle opposizioni e si è svolta in sordina sino ai primi di maggio quando già i giornali pubblicano la foto del nuovo presidente.
Ma anche qui .dopo la partenza fulminea si ha un attimo di sosta se si parla in gergo sportivo una pausa di riflessione se si parla in gergo politico che consente di pigliare fiato a chi è in difficoltà. Il grande tecnico - ci si passi l'immagine sportiva - ci ripensa, non effettua il cambio ed il sostituto sta ancora in panchina.
I problemi della squadra che non funziona è ovvio rimangono tutti.
E' bene ricordare anche oggi che la frase "far coincidere alle profonde modificazioni amministrative una ristrutturazione della Giunta che sia segnale inequivocabile del cambiamento e garanzia dell'attuazione precisa degli impegni" non l'abbiamo pronunciata noi, democristiani ma proprio uno dei tecnici della compagine.
Il resto, come si suoi dire, è storia recente. Nel PSI non mancano vivide intelligenze anche se, rispetto alla presidenza, destinate ancora alla panchina. Non Roberspierre, collega Montefalchesi, ma politico di stampo inglese, sorridente nella foto, brillante come sempre, nell'ultima intervista ad un giornale della sua provincia, ha bisogno ancora di momenti di meditazione.
E dalla situazione difficile e intricata si esce in quel momento con un forte richiamo al programma che per certi aspetti (come abbiano notato nel precedente intervento in quest'aula) ha alzato il tono della verifica.
Si inseriscono allora i laici in un giro di consultazioni privilegiate (dice Bastianini, di informazione), si colloquia senza privilegio anche con la DC. Il PCI a sua volta non intende farsi rappresentare dagli alleati di Giunta e colloquia anche lui. E si giunge agli atti finali, il tutto secondo copione.
Il nostro giudizio sulla verifica e sulle prospettive della Giunta non è positivo. Per brevità consideriamo tre aspetti: gli uomini, il programma e l'attuazione del programma.
Gli uomini.
Conformemente al nostro stile, nel rispetto delle decisioni dei partiti, su questo punto non ci soffermiamo più del necessario. Sembrava dovesse venire un rivolgimento a sentire via via, le affermazioni dei dirigenti socialisti che ho ricordato l'altra volta (a leggerle ora queste dichiarazioni, penso che qualcuno ancora rabbrividisca): e invece tutto rimane come prima.
La nostra previsione è fin troppo facile: la situazione non è risolta ma congelata. A nostro avviso se ne riparlerà presto.
La dice lunga in proposito quel Comitato interassessorile della programmazione economica che secondo notizie di stampa l'Assessore Simonelli coordina o meglio "il cui coordinamento è stato affidato ad un uomo di lunga esperienza, grande cultura e prestigio, Claudio Simonelli".
L'affermazione Ultima è dell'on. La Ganga, nell'intervista di Stampa Sera del 7 giugno e la citazione nominativa è l'unica nel contesto dell'intervista e quindi è significativa.
Strano comitato questo Cipe regionale: vi è un comunista, un socialdemocratico, quattro socialisti, con Simonelli che coordina (si fa per dire) anche il Presidente! Manca l'Assessore alla sanità che da solo gestisce più di mezzo bilancio! Il programma.
Nei giorni della verifica una delle domande che più circolava in riferimento al braccio di ferro in atto tra i partiti di Giunta, era su chi avrebbe ceduto di più.
E' indubbio che i socialisti col comunicato del 12 maggio hanno posto problemi che in alcuni settori trovano nel documento (ad es. industria territorio, trasporti, li ha ricordati Genovese) linee di indirizzo vicine alle posizioni di questo partito, ma è altrettanto indubbio che il documento si apre con la parte sul rilancio delle istituzioni che ha costituito oggetto di analisi e studio da parte del PCI che ha promosso un convegno sullo specifico.
Diciamo al Consiglio che noi non ci siamo muniti del bilancino del farmacista per un'operazione di pesatura del tutto improduttiva, n intendiamo occupare tempo e forze in queste esercitazioni che viceversa abbiamo visto emergere nell'intervento del Consigliere Viglione e in sottofondo in quello del Consigliere Revelli. Noi guardiamo invece a come noi, forza di governo dell'opposizione, abbiamo influito in questa verifica e agli indirizzi che ne seguono.
Questa verifica porta i segni delle nostre battaglie e delle nostre proposte. Anche il Consigliere Vetrino, rivendicava al suo gruppo alcuni di questi segni.
La verifica stessa richiesta dai socialisti (Viglione ha rivendicato questa prerogativa al suo partito) è sorta nel momento in cui le opposizioni lanciavano un grido di allarme sul funzionamento della Regione che poi anche la maggioranza ha scoperto debole.
I mutamenti di indirizzo, le correzioni di rotta della verifica che si sono solo tradotte in un documento di intenzioni (il Consigliere Viglione ha usato il termine "messaggio"), perché nulla più è l'aggiornamento del programma che il Presidente ha ancora sintetizzato stamane) risentono di tanti richiami che noi abbiamo fatto in questi due anni.
Sono argomenti che il collega Genovese ha già ben inquadrato pur nella sinteticità di un intervento.
Ma anche nelle intenzioni, le intuizioni giungono in ritardo e per la dimostrazione valgono alcuni riferimenti: la nostra quotidiana battaglia sul funzionamento dell'organo Consiglio, le nostre affermazioni nel dibattito sugli enti strumentali, la nostra proposta di legge 16 luglio 1981 sulle USL di Torino, l'annoso impegno per la modifica della 56, il documento del nostro gruppo presentato alla comunità piemontese nell'ottobre 1981 dal titolo "Il Piemonte degli anni '80".
E per ricordare ancora l'intervista dell'on. La Ganga, ci fa piacere leggere che le verifiche le ha vinte il partito dello sviluppo.
Nel documento ora ora citato dell'ottobre 1981 avevamo appunto scritto ed il concetto allora non era così preciso all'interno della maggioranza che la fondamentale opzione che va fatta anche in termini culturali per i prossimi anni è quella dello sviluppo, superando rassegnate e fatalistiche tendenze pur presenti di "governo della recessione".
L'attuazione del programma.
Una verifica, un aggiornamento a metà legislatura avrebbe dovuto concretizzarsi con la presentazione di un Piano di sviluppo (anche su questo terreno siamo ancora molto nell'indirizzo generale).
Registriamo con soddisfazione che il Consigliere Revelli stamane dopo un'affermazione "sul piano che non esce fuori" abbia detto che in questa Regione necessita il governo dell'economia, una programmazione possibile per progetti che occorre governare l'avvenire nella dimensione dei prossimi tre anni. Sono cose che diciamo da tempo, assieme al discorso mai affrontato decisamente, delle deleghe agli Enti locali, e che mi consenta il Consigliere Revelli, il gruppo comunista non può scrollarsi di dosso,solo con l'invito a Simonelli ad occuparsi di più di programmazione.
La mancata programmazione è anche una responsabilità collegiale 'della Giunta e quindi della sua forza politica.
Ma posto che un vero Piano di sviluppo non c'è ancora, l'aggiornamento' sui temi nodali, avrebbe dovuto essere più preciso nella sostanza e nei tempi di attuazione che mancano (giustamente Revelli a questo proposito ha parlato di scadenziario).
La mancata precisione sui temi nodali determina ad es. già oggi sostanziali differenze tra i partiti della coalizione su una legge importante come la 56.
Ne parliamo tranquillamente, amico Viglione, perché noi non diamo n pugni né spintoni. Quello che volevamo dire lo abbiamo detto con la penna presentando una proposta di legge.
E così sulla modifica di questa legge a fronte di un PSDI che cerca ancora in qualche modo a due anni di distanza di onorare affermazioni fatte nel 1980, a fronte di un Presidente della Giunta che stamane pensiamo a nome della coalizione, ha toccato ampiamente l'argomento, abbiamo un gruppo socialista ben deciso a difendere le impostazioni del prof. Astengo. Sarà un tema su cui la meditazione sarà lunga come l'onda elettorale.
La perplessità è d'obbligo a questo punto; il giudizio attuale non pu essere positivo; quello definitivo è rimandato al momento (se ci sarà in cui le varie intenzioni si concretizzeranno.
E se si realizzeranno alcune idee che condividiamo non avremo difficoltà a votare i relativi provvedimenti, così come martedì non abbiamo fatto "l'opposizione", ma ci siamo collocati responsabilmente nel voto sulla ubicazione delle centrali nucleari.
Voglio collocare a questo punto una risposta al collega Bastianini. Noi non ci chiudiamo, non ci siamo mai chiusi nella gelosa prerogativa dell'opposizione, anche se riaffermiamo in questo momento che l'opposizione in quest'aula e nella Regione la faremo nella più assoluta chiarezza.
Forse c'è qualcuno che vorrebbe che ci collocassimo nella gelosa prerogativa dell'opposizione; il fatto stesso che il Presidente della Giunta nella precedente seduta abbia cercato di identificare nel capo dell'opposizione democristiana, il capo dell'opposizione; sta a significare che vi è questo tentativo di vedere solo nella DC, l'opposizione.
Ma noi non diventiamo gelosi custodi dell'opposizione (collega Bastianini) per un motivo semplicissimo: perché non siamo opposizione nella società.
Se dovessi sintetizzare la verifica aperta il 17 marzo dal partito socialista e che in certi momenti ha registrato un discorso affine dell'area laica e socialista (in questa regione in parte in maggioranza in parte all'opposizione: è un'area verso la quale anche nel corso della verifica abbiamo manifestato attenzione e con la quale a livello nazionale abbiamo scelto responsabile collaborazione), direi che la verifica stessa non esplicitamente ma praticamente si è mossa su due indirizzi che non vanno sottaciuti: contenere il PCI, emarginare la DC.
E' in fondo lo stesso problema posto stamani dal Consigliere Genovese quando ricordava a Viglione che la strada socialista in Regione, nel paese non può prescindere dall' accordo con una delle due grandi forze: DC - PCI.
Non sta a me, ma ad altri autorevoli colleghi di questo gruppo, dire se il contenimento del PCI è avvenuto e, se è avvenuto, in quale misura.
Sta a me invece dire che non è avvenuta (al di là della volontà di alcune forze politiche) l'emarginazione della DC. E non è la mia un'affermazione apodittica fatta per dovere: è un'affermazione che consegue a tutto quanto Genovese ed io oggi abbiamo affermato.
Emerge la DC (non si emargina!). Emerge la DC su ogni problema che il documento della verifica tocca. Ed emerge perché coloro che la rappresentano in quest'aula si sono fatti portatori di idee e proposte, ma soprattutto perché queste idee e proposte sono la proiezione di ciò che la DC rappresenta nella società. E qui tocco un nodo centrale di vita di questa Regione.
Con un comunicato del 17 maggio il PDUP, partito autorevolmente rappresentato in quest'aula, ha affermato che non si poteva emarginare "un numero di forze che in Consiglio conta la presenza di 21 Consiglieri e rappresenta una consistente espressione delle indicazioni politiche dell'elettorato piemontese".
Giusto, non si può non tener conto di 933 mila voti del PCI, di 29 mila voti del PDUP, totale 962 mila voti.
Vedi Revelli, noi non abbiamo reticenze a parlare del PCI. Nella chiara distinzione di ruoli lo nominiamo, ne riconosciamo la forza numerica ideale e rappresentativa; quando questo trattamento non vi viene usato in quest'aula da vostri alleati di governo.
Ma non accettiamo la domanda (che è duro ammonimento da un lato e difesa della formula dall'altro lato) se è possibile uscire dalla crisi attraverso una via moderata.
La via per uscire dalla crisi non deve essere né moderata, né avanzata ma adeguata e più volte la Giunta di sinistra non è stata in grado di dare risposte adeguate.
Giusto quindi tener conto di questi voti, ma non si può non tener conto (ed è questo il particolare che sfugge al PDUP proprio nel momento in cui fa l'affermazione che ho letto e che sfugge forse anche ad altri in quest'aula) di 956.000 voti della DC (il conto quasi pareggia coi due partiti della sinistra), come non si può non tener conto dei voti rappresentati da quella che oggi si chiama area laica e socialista; i quali un po' meno ma sono comunque 867.000 voti alle elezioni dell'80.
Il problema vero nel presente e nella prospettiva della legislatura è proprio questo: non si può emarginare nessuna delle tre grandi forze di questa Regione.
Il ruolo certo può essere diverso: ma l'emarginazione di qualcuno fa zoppa, asfittica, senza prospettive la Regione. Per quanto ci riguarda e l'abbiamo dimostrato, in questi anni siamo così idealmente forti, così radicati nella società che l'emarginazione non riesce.
Ma è grave il solo fatto che qualcuno possa pensarla o tentarla, e tanto più grave se questo qualcuno è la Giunta che ci ha governato in questi due anni, prima della verifica.
Molto opportunamente proprio martedì, Petrini e Cadetto ricordavano che solo quando tutte le forze (compresa la nostra) sono state coinvolte, il problema del nucleare ha potuto camminare.
Verifica conclusa, dice ufficialmente la maggioranza, situazione congelata diciamo noi e non soltanto noi: a ben leggere qualche perplessità l'ha anche l'on. La Ganga.
Ma fatta l'affermazione non ci attardiamo sulla stessa. Guardiamo avanti, alla prosecuzione del nostro impegno, ad una presenza propositiva ad una presenza ancor più attenta e critica.
Nessuno pensi di continuare come prima. Di dire che il Consiglio funziona poco, ma di lasciare che le cose vadano avanti come sono andate sino ad oggi.
Siamo molto chiari sin da questo momento ed è bene che senta chi deve istituzionalmente sentire. Con umiltà democratica e non con arroganza diciamo che non lo consentiremo: almeno in questo la verifica avrà effetto.
Di continuare con un sistema parlamentare in pratica imperfetto dove non vi è un confronto-controllo tra maggioranza ed opposizione, ma una Giunta (o forse nemmeno più la Giunta data la costituzione del Cipe) che fa e disfà ed altri eletti che apprendono casualmente.
Guardiamo già sin d'ora avanti agli "appelli al popolo" che nei prossimi anni ci saranno e che dovranno rafforzare la nostra legittima aspettativa di governo in questa Regione.
Genovese ha dato un'interpretazione chiara, obiettiva e approfondita nel quadro nazionale del voto di domenica scorsa. Facendo la scelta del pentapartito, appoggiando il Presidente Spadolini (rinunciando a porci sul piedestallo come afferma Galloni), sapevamo che avremmo pagato dei prezzi a questi partiti. Oggi sappiamo anche che questi prezzi non incidono sensibilmente nella nostra forza di grande partito popolare.
Nello stesso articolo di Galloni si ricorda che la situazione attuale è la situazione anche degli anni prima del '68 quando il PSI aveva il 14%, la DC aveva la forza che ha, e forse i partiti di democrazia laica avevano ancora più voti di quelli attuali.
Faccio un semplice riferimento ai risultati dell'unico comune della Regione dove si è votato col sistema proporzionale. E' vero: una rondine non fa ancora primavera; ma noi DC registriamo come questa rondine sia già giunta e guardiamo fiduciosi al futuro.
Intanto diamo un giudizio negativo sulla verifica: salviamo le intenzioni, ma proprio dopo le molte dichiarazioni avvenute da parte della maggioranza in questi mesi di verifica riteniamo deludente il congelamento della Giunta e insoddisfacente la mancanza di specifici impegni su precisi contenuti e prefissate scadenze. Queste osservazioni le facciamo subito non fra mesi o fra anni.
Un'autorevole rivista di sinistra "Nuova Società" attraverso la penna di un valente giornalista di chiara collocazione politica ha scoperto solo ora che "per tanti motivi, i primi due anni di questa Giunta regionale non sono stati brillanti: si aspetta ora l'impulso decisivo per finire una legislatura un po' fiacca".
Noi, modestamente, che questa Giunta non fosse brillante lo avevamo scoperto un po' prima e lo abbiamo detto ripetutamente.
Oggi, mentre formalmente si conclude una fase, diciamo che questa Giunta esce da questo tipo di verifica politicamente più debole e per i motivi di genericità più volte richiamati nemmeno rilanciata col programma.
In questa situazione, avendo ben chiaro il quadro che sta davanti, il gruppo della DC si appresta coscientemente e serenamente a vivere questo periodo di vita regionale col preciso intento di vivacizzare ("cogliere le effervescenze" diceva Mignone) e concretizzare la fase a venire di una legislatura che non certo per responsabilità dell'opposizione, può essere definita come fa il brillante giornalista, "fiacca".



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Bontempi.



BONTEMPI Rinaldo

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, si è parlato di molte cose in questo dibattito: di fatti nazionali, di strategie politiche di partiti, di movimenti profondi nella società. Io invece voglio cominciare dal fatto politico che oggi dobbiamo giudicare, e mi sembra di doverlo fare perché i fatti politici hanno un loro peso, come tutto, e su questo mi sembra che il dibattito troppo spesso per altri motivi, sia scivolato d'ala, il fatto politico oggi è che dopo una verifica di 75-80 giorni viene riconfermata oggi, in un momento in cui nulla è scontato (e in questo sono profondamente d'accordo con quanto molti rappresentanti socialisti, e per ultimo il segretario provinciale Lessio ha dichiarato nel congresso provinciale della DC) viene riconfermata una maggioranza mediocratica di sinistra attorno ad un programma che non ho paura di definire buono.
Ma voglio subito farmi capire da chi mi ascolta; dai miei colleghi a cui chiedo con calore che riservino l'attenzione che io ho riservato a quanti hanno parlato oggi e anche questo è uno dei pezzi del rispetto fra di noi e del lavoro proficuo che non dobbiamo mai dimenticare; mi rendo conto che l'ora è un po' tarda ma questo era un dibattito che pensavamo sarebbe stato lungo.
Voglio dire quindi che per noi comunisti è un buon programma. A mio avviso, è stato piccino ad un certo punto del dibattito un senso che io ho colto, e non so se gli altri l'hanno intuito, di corsa ad appropriarsi del programma: "é più nostro; l'abbiamo scritto noi" i liberali han detto: "c'è anche tanto di roba nostra". Io credo che sia vero quanto diceva Paganelli che ci sono molte cose di tutti, anche della DC.
Noi che abbiamo lavorato dall'inizio, soprattutto sul programma partendo dai problemi per derivarne,un programma credibile, non abbiamo difficoltà a riconoscere i contributi, che sono il frutto della maturazione del confronto democratico, uno dei grandi termini a cui non vogliamo mai venir meno e a cui richiamiamo sempre tutti. Dentro a questo programma, nel quale noi abbiamo lavorato fin dall'inizio per il rilancio di questa maggioranza, credo di poter dire con tranquillità che ritroviamo con soddisfazione la nostra impostazione, sia negli aspetti che permangono di continuità con l'impostazione ancora valida rispetto al passato, sia negli aspetti nuovi che abbiamo convenuto con gli altri partiti della maggioranza.
Questa è una delle spiegazioni più convincenti del perché quando si lavora con serietà sui contenuti, lo diceva molto bene Revelli ed io lo voglio ripetere, è davvero piccina l'operazione di dire chi ha vinto e chi ha perso; in questo programma c'è soprattutto uno sforzo anche coraggioso di traguardare il programma, gli impegni, il lavoro che dovremo fare alla situazione che è profondamente mutata.
Mignone ha fatto un buon intervento, non so se tutti l'avete seguito al tempo serio ed un po' scanzonato, ma con il suo modo di fare ha detto la verità ed ha dimostrato di saper fare bene il social-democratico, bene gli interessi del suo partito, io credo anche bene gli interessi di quella proiezione dell'area laica che richiamava, dicendo la verità, dicendo come si era lavorato su questo programma e come noi comunisti in particolare avevamo dato il nostro contributo, non esclusivo, non esaustivo, non sordo non presupponente, non con volontà di egemonia, ma un nostro contributo.
C'è anche chi come noi crede ancora che quando ci sono i problemi, bisogna affrontarli senza chiusura e cogliere "l'erba che cresce" e saperla collocare in una prospettiva lunga e non mero pragmatismo; e di qui deriva la dignità delle parti su come abbiamo sviluppato più confronti, per esempio la parte sulle istituzioni, e qui voglio dire alla DC che non ho difficoltà a riconoscere a questo partito in questo Consiglio una sollecitazione spesso giunta sul funzionamento delle istituzioni, ma non ho neanche difficoltà a dire, collega Paganelli, che spesso il modo con cui viene affrontato questo tema da voi, rischia di trasformarsi in un atteggiamento anti-istituzionale; non sempre è così e sono anche pronto a ricredermi se mi viene dimostrato il contrario, ma che cosa si può fare oggi sulle questioni delle istituzioni, se non si vuole tradurre tutto in azione politica immediata verso chi in questo momento rappresenta il vertice dell'organo Consiglio? Non si può partire da delle condizioni di grande mutamento della situazione, dal fatto che sempre meno si può pensare di affrontare la complessità del mondo moderno e della società piemontese con l'aula e con i dibattiti, ma si deve affinare sempre più con un'inventiva inedita nell'ordinamento italiano e nel Parlamento. E' il lavoro tecnicamente attrezzato, scientificamente strutturato delle Commissioni. Come non porre soprattutto questo problema e noi abbiamo fatto uno sforzo, dò atto all'onestà intellettuale di Paganelli nel convegno.
Credo che non siano solo quelle le cose da dire e che non siano nemmeno tutte giuste, ma su quel terreno, di una ricerca a fondo dei mali che corrodono il funzionamento delle nostre istituzioni, in particolare delle Regioni, possiamo fare uno sforzo, purché l'atteggiamento sia quello di capire che oggi non è in gioco una maggioranza o un ufficio di Presidenza ma tutta una Regione, una nostra cultura istituzionale che viene messa profondamente in discussione dalla crisi e dai modi moderati, dalle soluzioni moderate che vogliono essere date alla crisi, come diceva Revelli.
Noi la leggiamo così, ma ci pare di non poterla leggere altrimenti se non in quel richiamo che Reburdo faceva di una registrazione dell'area del potere e della formazione della volontà politica. Le Regioni sono, anche per colpa loro, di impiccio ad un disegno lungo e profondo di nuovo protagonismo di tanti soggetti, e noi sappiamo che l'attacco ci viene da chi pensa di uscire dalla crisi con una soluzione moderata che ripristini pochi che decidono, nei momenti giusti, che si trovano nelle situazioni disperate, magari anche quelle comode, tipo i migliori ristoranti delle varie città, e che trascurino invece lo spessore, la difficoltà,Il dramma della discussione democratica. Le Regioni sono in crisi per questo; noi abbiamo fatto uno sforzo e credo che i tre partiti di maggioranza avendo convenuto su un documento, serio e preciso per molti aspetti, colgono tutti i malesseri che tutte le forze che ragionano si sono posti.
Non possiamo dimenticare di rimarcare come questo elemento del non funzionamento, del ritardo del funzionamento adeguato delle istituzioni pur da un'ottica dignitosa che è quella del Consiglio regionale, e noi facciamo bene ad essere più critici che non soddisfatti, guardiamo pure anche l'esterno e forse possiamo essere più misurati.
Io sono per spingere sulla critica e non dobbiamo dimenticare quanto giochino gli elementi di confusione politica sul funzionamento delle istituzioni, e noi sappiamo che questi elementi di confusione politica questi tentativi di teorizzare una fase nuova, fanno male al funzionamento corretto delle istituzioni. Genovese, abbiamo parlato per questo, aderendo ad una formulazione molto chiara, che però abbiamo trovato anche noi del Partito comunista; io ricordo che l'intervento di Viglione nel Consiglio era chiarissimo e abbiamo ripreso le frasi del suo intervento, ma Genovese io ti rispondo: noi comunisti abbiamo pagato sulla nostra pelle, e abbastanza duramente l'ambiguità, l'incertezza, l'organicismo delle esperienze di solidarietà democratica, che ha avuto grandi 'meriti ma che su quel piano ha fatto capire poco; noi di fronte a questo, ne abbiamo tratto con molta consapevolezza la conclusione che la chiarezza dei ruoli delle responsabilità diventa uno degli elementi di giudizio fondamentali nella battaglia politica, ed è per questo che io dico che si aderisce molto volentieri a certe intuizioni che altri hanno avuto, magari in modo elettorale, ma che stanno dentro un patrimonio sperimentato sulla nostra storia e sulla nostra pratica politica.
Voglio parlare di altre cose per dare un segno di un contenuto programmatico che ci trova aderenti: territorio ad esempio, legge 56. Noi e almeno io personalmente, abbiamo girato abbastanza il Piemonte, per capire come si potesse coniugare una legge di grande respiro, di grande significato politico e di governo con portate culturali innovative estremamente idonee all'operazione necessaria di risanamento, dopo gli sfasci di tanti anni, con i problemi che ci venivano posti non dagli avversari (perdonate l'espressione), del governo democratico, del territorio, ma anche dai nostri amministratori ed è su questo tema che abbiamo impalcato una nostra riflessione graduale venendo fuori anche con qualche proposizione, la cui eco si è avuta anche nella discussione di ieri in Commissione, a cui ero presente, ed in cui questa impalcatura, questa grande portata culturale, frutto di un'operazione lunga di risanamento e di affermazione del ruolo dell'istituzione deve essere contemperata nello stesso tempo con la potestà reale di comando, di realizzazione, con quello che è in realtà l'effetto governo reale.
Noi qui abbiamo non solo nel documento che abbiamo presentato, ma anche nella discussione, maturato delle convinzioni che tanto più terremo fermi quei valori, quanto meno saremo legati alle minuzie di un'impalcatura, che pure ha avuto un grande significato nel suo messaggio culturale di fondo, e pensare invece attorno alla programmazione a qualche cosa di nuovo rispetto a quello che diciamo comunemente. Allora io voglio cominciare a mettere in discussione una cosa e lo propongo qui: Province, deleghe, modifiche alla le :e, ruoli; ma che ruolo resta alla Regione? Non dobbiamo forse pensare che le assemblee elettive si qualificano non solo quando fanno approvazioni cartacee di principio, ma ruoli di governo autentici, e che non sia possibile, proprio perché questa cultura l'abbiamo in qualche misura radicata, ed è vero questo, e anche chi è più sensibile nella DC dà atto di una difesa di quell'impalcatura, non in tutte le norme, ma di quel messaggio; non è il caso oggi di cambiare certi termini per rivendicare di fronte a comprovate necessità dell'autonomia una decisione politica del Consiglio regionale, prese nelle forme pubbliche, trasparenti delle aule e degli organismi democratici. Non è forse meglio questo che non la contrattazione e la negoziazione a cui spesso la rigidezza degli strumenti costringe, se non si è del clima in cui questa legge è stata fatta, ma in un clima in cui rischiano davvero di passare contenuti moderati, e sotto la voce di operazioni spontanee da non ostacolare spesso anche vecchie aggressioni e nuove speculazioni a cui noi non possiamo dire sì? Ciò è contrario ad un'idea più generale, intanto della politica e di questa tutela degli interessi generali, di cui ogni partito, e certo il nostro, vuole essere portatore.
Enti strumentali. Anche qui non ho difficoltà a dire, ci fu un intervento di Carletto, allora ci conoscevamo ancora poco, certo era un atteggiamento requisitorio; noi non dovevamo tendere a questo, comunque anche questo ci è servito, intanto per mettere a fuoco non il problema vago e generico di un governo degli enti strumentali, ma che cosa oggi questi nuovi strumenti che appartengono ad una modernità di intervento dello Stato o delle istituzioni devono essere nell'economia; abbiamo riflettuto nel nostro convegno su quelle modificazioni che dobbiamo portare all'uno e all'altro e credo anche in un nostro atteggiamento, che penzola sempre drammaticamente tra un'esaltazione acritica di un'autonomia e la rivendicazione di una minuzia di controllo, magari .su chi era presente.
Sono due elementi dialettici, ma ci va ricerca, studio e sforzo; credo che in questo documento delle cose ci siano.
Concludo parlando sul lavoro, sull'industria; anche qui lo sforzo di un partito che è in sintonia con la società, con i movimenti di fondo, si pone il problema di non stare fermo, di non essere legato ad immutabili verità.
Però dentro questo documento, e voglio dirlo qui, non per rivendicare primogeniture, i materiali del nostro partito a livello nazionale sono stati ampiamente usati nel confronto con le altre forze politiche ricevendone anche un contributo autonomo, ma proprio quelle posizioni, quei materiali nostri di uno sforzo di un partito che è da sempre soprattutto rappresentante della classe operaia, e deve fare i conti con gli effetti nuovi e le cause nuove della crisi.
Ho richiamato questi elementi per dire che si è lavorato con serietà credendoci, e noi ci abbiamo messo non dico il meglio, perché è sempre tutto relativo, ma certo quello che si poteva fare e abbiamo trovato una disponibilità da parte intanto delle forze di maggioranza, che ci hanno permesso di arrivare a queste formulazioni, e dall'altra parte anche nel confronto con le forze politiche che in maggioranza non sono degli apporti utili.
Questo può concretizzare, Paganelli, quella fatica di cui parlavi in termini interrogativi: è stato contenuto il PCI? Non lo so; noi non siamo un partito che tende a trascinare o debordare e se mai lo siamo stati certo non lo siamo più per una serie di ragioni; intanto per una nostra convinzione; siamo un partito che ha con la sua pratica quotidiana, con il lavoro dei 20 Consiglieri che sono qui a rappresentare con dignità e con sforzo il nostro partito, che cerca di capire come stanno le cose, cerca di rapportarsi agli altri e cerca di arrivare a quelle soluzioni che rispetto alla nostra valutazione dei problemi appaiono le più giuste. Quindi il documento è per noi un buon documento; mancano le parti dello scadenziario ed attuative, ma teniamo conto che questo è il compito principale della Giunta nella seconda fase; si è ritenuto giusto che la Giunta proponesse queste line-e del documento come orientamenti e che si passasse poi alla fase di traduzione.
Devo però dire di più, signori Consiglieri, a chi ritiene di sottacere il significato del "fatto politico" della verifica e della sua conclusione noi diciamo che la nostra risposta sarà la realizzazione incisiva, coerente e rapida, così mi auguro, del programma, e questo è un impegno che chiediamo senza riserve e con molta tranquillità, senza nessuna spocchia a tutto; intanto alle altre forze di maggioranza e non solo ad esse.
Governabilità è intanto questo, ma non solo questo; perché vi sia governabilità occorrono una serie di caratteristiche; io ne ho già parlato: autorevolezza, lealtà politica, convinzione, chiarezza politica.
Voglio soffermarmi su questo ultimo aspetto, perché mi sembra che stamani in particolare, rispetto alla discussione svoltasi nel pomeriggio rispetto al tema, ci siano delle cose da dire su questo elemento. Chiarezza politica; l'abbiamo già detto in altre occasioni e lo ribadiamo qui che noi siamo contrari nettamente e concettualmente a che ci siano situazioni in cui accanto a maggioranze ufficiali, si faccia credere e ci si comporti come se vi fossero delle altre maggioranze ufficiose. Da questo lato qualche contributo interessante si è verificato nel pomeriggio; per esempio, l'intervento della collega Vetrino, che io ho apprezzato, e lo diciamo con tanta forza, proprio perché siamo convinti che il confronto con le forze politiche sia essenziale.
Vorrei fare un piccolo salto indietro: c'è stato un periodo della nostra vita politica in cui quest'onda lunga che oggi viene richiamata a proposito di altri partiti, toccava il nostro partito. Io vorrei ricordare che in quei momenti nelle molte discussioni ci fu una regola che penso appartenga ormai alla strategia del nostro partito, ed anche all'anima e al comportamento del nostro partito, lo si spiega anche con la, storia del nostro partito, della nostra militanza, in cui anche verso i partiti piccoli come rappresentanza ci ponemmo sempre il problema della valutazione del loro peso politico nella società e sapevamo che anche quando per esempio a Torino, in Italia, un partito come quello liberale aveva un forte problema di sopravvivenza, quel partito c'era, ma lo facemmo nei confronti di tutti i partiti. Da quella esperienza, da come il considerare la pari dignità, per noi lo posso spiegare storicamente, è derivata da un partito che ha sofferto e soffre ancora di pesanti discriminazioni concrete, era in fondo il riscatto della speranza di chi offriva agli altri la sua diversità come speranza per essere tutti in condizioni nuove e diverse, in cui anche se piccoli si poteva rappresentare aree di pensiero e di ideali. Anche da questo discorso io credo che non si possa sottovalutare l'area laica; io non faccio il gioco inglese di lanciare le frecce all'obbiettivo dell'area laica solo perché questa è stata troppo strumentalmente giocata anche contro di noi; io rispetto questa intuizione e questa idea; non sottovaluto né l'area laica né il segno che viene dall'elettorato; sono solo profondamente contrario a qualsiasi teorizzazione di un effetto pervasivo nelle istituzioni senza la chiarezza dei ruoli e delle responsabilità del ruolo di questa area, giocato in termini politici nelle istituzioni.
Sono contro e credo che dobbiamo esserlo tutti se vogliamo mantenere in piedi l'impalcatura della rappresentanza della democrazia contro teorizzazioni, che ci possano essere fasi particolarmente confuse nella vita del paese in cui la confusione si deve e si può trasferire nelle istituzioni. Ed in più bisogna stare attenti: mentre noi non sottovalutiamo e cerchiamo di cogliere i connotati strutturali, così come abbiamo colto con molta chiarezza i connotati strutturali del nuovo ruolo del PSI, che a noi può anche elettoralmente dare fastidio, ma a cui ci rifiutiamo di attribuire valenze e di irrequietudine; e un'altra cosa che si sta muovendo nella società, a nostro avviso contraddittoria, pericolosa per certi indirizzi che noi non possiamo condividere, ma è un fatto consistente che rispettiamo e che cerchiamo di capire, e con molto coraggio nel vivo della lotta politica che vogliamo svolgere di riuscire ad agganciare, come si è fatto in Piemonte e in altre realtà una prospettiva di rinnovamento in cui l'alternativa e le esperienze 'che la prefigurano abbiano forza. Proprio per questo, non sottovalutiamo queste cose e sentiamo l'erba crescere; vi dico però di stare attenti a non sottovalutare, soprattutto quelli che lo sostengono o che ritengono che i giochi siano fatti e che i processi storici siano irreversibili. Io ricordo nel '76, mi sono testimoni Simonelli e Revelli, si era all'indomani del punto più basso del partito socialista nelle elezioni politiche e si era al punto più alto per il nostro partito; avemmo una riunione di maggioranza, ricordo ancora i volti dei compagni socialisti, Simonelli era uno di quelli. Io colsi in quel momento una determinazione in quei rappresentanti del partito socialista che mi permetto di dire che me la faceva dire lunga sulla volontà di quel partito, dei suoi uomini, sull'orgoglio del partito di uscire da una situazione che lo aveva fortemente penalizzato elettoralmente; questo esempio mi viene in mente perché allora non compiemmo l'errore di sottovalutare qual era questa determinazione e questo approdo qual era l'entità reale, l'aggancio reale del partito socialista; però questo discorso, che non è del tutto ribaltato, lo possiamo fare noi; la determinazione l'abbiamo a capire e far capire il nostro ruolo l'essenzialità del nostro partito ed il fatto che questa non è una congrega di interessi, un club della sommatoria di diverse esigenze, ma è un partito che viene davvero da lontano e che ha l'ambizione di continuare ad andare lontano.
Per questo che noi non soffriamo più di tanti, non abbiamo sofferto neanche oggi in silenzio, le mancate citazioni non ci smuovono più di tanto, perché noi siamo in 20, un numero sempre ragguardevole per questa istituzione.
Lavoriamo tutti i giorni, ci poniamo dei problemi e cerchiamo da un lato di capire e dall'altro di operare, spesso di operare in momenti così difficili delle sintesi, quindi non siamo emarginabili. Il nostro problema semmai è un altro: è quello di riuscire a svolgere un'azione politica che in un momento difficoltoso ci accrediti come qualcosa che sta a sé e che non è mimetizzabile in altre formazioni. C'è spazio per tutti nella democrazia e nella sua vivacità e credo che un grande spazio resti e si possa costruire per chi come noi comunisti porta avanti un coraggio di affrontare i temi della società che cambia senza affrontare coi passi logici che non sono più affrontare il nuovo, ma bensì cadere nel vecchio senza portarsi dietro il problema di grandi masse, espresso nei lavoratori senza occupazione, nei giovani e negli emarginati ma non voglio richiamarmi a queste cose, tipiche del nostro partito ma vorrei invece dare una versione aggiornata al dibattito di ozi. Si è parlato molto di una società che cambia, Bastianini ha parlato di una società nuova e noi siamo d'accordo; ma poniamoci un problema: verso dove si sta andando nei fatti? Credo che sia questo il punto; vedi Bastianini, cogliendo l'elemento di debolezza di un ragionamento solo sovrastrutturale sull' area laica; hai tentato di coglierne gli aspetti strutturali, parlando anche qui di un principio di teorizzazione, di una società che non si discosta molto da certi postulati molto vecchi; è una società in cui con la sola contromisura della complessità deve vigere la legge del più forte, la spontaneità le forze naturali, le capacità di promozione. Io credo che tu non intendi questo, però partendo da questo presupposto non si arriva ad altre parti ho sotto gli occhi due esempi: New York, la grande cattedrale e richiamo il fatto che una società come quella americana ha ingombrante e pesante la sua città metropolitana, quindi la necessità di pensare ai portoricani, agli spagnoli, a tutti quelli che un liberismo riaffermato non è in grado di affrontare; si ha allora un intervento pubblico, di programmazione che deve essere fatto giorno per giorno per salvare questa città. Ma io penso all'altro tema, la fame nel mondo, la vera questione strutturale; questa società in cui la complessità e le garanzie del pluralismo dovrebbero dentro la spontaneità permettere una promozione generalizzata, e il fatto clamoroso e la sconfitta di questi anni.
Il Biafra e, tutte le altre condizioni sono la nostra vergogna, ma non personale; intanto differenziamo per chi ha lottato per queste cose, ma sono la vergogna di un sistema che se va avanti con questi presupposti non potrà che acquisire questi problemi e l'abbiamo visto anche con le guerre.
Allora noi tentiamo un'ardita coniugazione ed è per questa che la nostra funzione in questa maggioranza, nel Piemonte e nel Paese resti essenziale ed abbiamo la forza di dirlo proprio noi che il senso critico spesso ci fa essere meno spregiudicati, coraggiosi, meno "show men", non lo siamo ed è il senso critico che spesso ce lo impedisce.
Però ho detto essenziali, perché nel cambiamento, nella situazione mutata, in un'analisi fatta anche qui, noi crediamo, Revelli ha già detto tutto ed io lo voglio solo riassumere, che si tratta di affrontare i problemi della trasformazione, i nuovi settori, il traguardare a nuovi orizzonti, anche il problema del rapporto con l'Europa, davvero ci stiamo anche capendo che il mutamento è così rapido e veloce che implica esserci nelle cose, governarle ma sapendo anche di dare una prospettiva, un traguardo lungo, che non si può fare risolvendo solamente i problemi perché se ne risolve uno e ne rimangono altri 1000, è la pratica di un'amministrazione quasi quotidiana.
Quello che tentiamo di dire nel programma rappresenta anche lo sforzo del Partito comunista di dimostrare che non siamo più a nessun titolo i difensori retrogradi e statici di tutto quello che è vecchio, ma siamo duri e coerenti avversari di tutto quello che ritorna sotto spoglie nuove e che a noi appare vecchio.
Perché non mettere in questo dibattito al dunque, non solo in quella visione giustificativa che dava Bastianini, procedere per errori che produce risultati positivi; ma noi abbiamo l'ambizione, sarà il determinismo come dice Bianca, sarà l'elemento soggettivo, cioè l'elemento morale di fondo, che gli errori, che fanno sempre pagare prezzi pesanti alla gente ai più deboli; questi errori, che fanno parte dello scarto dei processi di decisione, dei processi economici e politici, devono essere corretti e non dobbiamo ricaderci più, d'altra parte è dire poco parlare di errori, quando vediamo che la realtà della vita politica oggi si presenta sotto spoglie vecchie e preoccupanti. Io, ma come me tanti esponenti di altri partiti, sono preoccupato nel veder apparire nuovi super-partiti, di vedere apparire una restrizione reale dell'area della decisione politica di vedere sempre più sullo sfondo la gente ed i suoi bisogni, soprattutto nelle sue capacità partecipative, di ricavare l'impressione che sfiducia distacco anche rispetto all'attuale condizione dei partiti, derivi alla gente dall'intuizione che riappaiano vecchi volti, che non vogliamo vedere più, ma non personalmente, ma perché rappresentanti di un modo cinico e sbagliato, cinico moralmente, ma molto sbagliato agli effetti dei risultati sulla scena politica.
Viglione ha fatto molto bene a ricordare il tema del governo della comunità, che rispetto al '75-'80 adesso è mancato; cos'è che teneva assieme quel governo della comunità? Intanto un progetto istituzionale, ma dentro c'era una lunga e lucida speranza, che era quella degli amministratori dei Comuni di essere protagonisti e governo essi stessi quello di essersi scrollati di dosso, dopo tanti anni, i gravami e le pesantezze dei ricatti del clientelismo, dei personalismi e di tutte le divisioni da esso provocate.
E' qui che dobbiamo ripartire: da una riflessione critica su questa fase e vedere se in fondo il modo di porsi della politica e dei partiti oggi, proprio di quelli che reclamano tanto facilmente modernità, non sia poi un' edizione corretta di quell'edizione della politica. Così si tiene insieme solo magari chi è affascinato, chi ha timore, chi spera di avere le mance, ma si tiene assieme solo se si mette tutto in un processo, ognuno fa la sua parte, pluristicamente apportando le sue idee giuste e a volte anche quelle sbagliate. Per noi il cambiamento non può essere una sommatoria di idee anche condivisibili con dietro il manifestarsi pesante, assorbente ed arrogante di vecchi volti, di vecchie operazioni; per noi il cambiamento non può che essere frutto di una nuova e superiore sintesi, di una ricerca Medita, che sta bene dentro ad una scelta netta di fondo.
Non si esce dalla crisi con una soluzione moderata, e non si pu Paganelli, sfuggire a questo vero punto del dilemma, vista l'entità dello scontro in atto, con un'intelligente aggettivazione. Non basta dire adeguata, bisogna dire davvero quello che intendiamo per scelta moderata, e quello che intendiamo per una scelta di rinnovamento e di cambiamento, che credo che sia compito nostro nel Paese.
Noi guardiamo con grande attenzione a tutte le occasioni di ricostituzione attorno ai temi nuovi, non a quelli vecchi, di una coscienza alternativa che c'è nel Paese, di gente, lo diceva il Presidente, che non si piega. La gente che non si piega è quella che ha la serenità e la forza delle sue convinzioni, ed avere anche la forza della dignità di se stesso quindi, e la dignità di se stesso richiede di essere padrone del proprio destino, protagonista, partecipe.
E' difficile, perfino scomodo, dirlo oggi, sono temi desueti, eppure anche noi che mettiamo al centro i problemi dell'efficienza, sappiamo che coniugare efficienza e partecipazione è la scommessa che riesce e non altro ed è per questo che guardiamo con attenzione, apertura, intelligenza a tutti quelli di tutti i partiti che analizzano, che ricercano, che percorrono delle strade che possono dare segni di uscita dalla crisi; siamo duri avversari di un vecchio che non ha prodotto niente e che non produrrà nulla in questa nuova condizione. Programmazione: a noi non spaventano i progetti integrati e neanche fare i conti realistici con il mercato e con la vendita; quello che chiediamo è un ruolo delle istituzioni nella sua interezza, un suolo di governo che faccia sì che quando svolgiamo l'azione politica siamo portatori di interessi generali, perché andando ?vanti a collage di interessi immediati, altro che consolidati, son questi Bastianini gli interessi consolidati, quelli mediati, molto concreti, che si affermano attraverso gruppi;, questa sola sommatoria, a parte che non è giusta e non mi piace, non fa uscire il Paese dai problemi. E' quel discorso che facevo sugli errori: c'è uno sforzo, certo oggi più difficile di coniugazione di questi interessi e della loro legittimità dentro un interesse generale; e dove lo troviamo se non nello Stato, nelle istituzioni, nelle regole del gioco? Chiudo ricordando come noi siamo soddisfatti da questa verifica per il risultato conseguito con il fatto politico, credo soddisfatti anche nel senso che non abbiamo timore di darci un traguardo di verifica ulteriore dei fatti, soddisfatti perché riteniamo che su questi contenuti siamo in grado di fare la nostra parte insieme agli altri partiti, e anzi, mi richiamo a quanto dicevo prima, noi ci richiamiamo a questo programma e alle sue successive attuazioni e precisazioni come un impegno di fondo e come una misurazione della nostra capacità di essere, in questa come in qualsiasi altra maggioranza, ai contenuti e all'azione di governo.
Sappiamo che è difficile che i grandi problemi ci permettano grandi risultati, e non siamo qui a promettere e a illudere nessuno, ma siamo certo per fare questo lavoro con serietà, in una piena collaborazione che quando è sui contenuti, sulla chiarezza delle posizioni politiche, va indistintamente a tutti i gruppi democratici, anzi noi vorremmo che ci fosse ancora di più.
Ma è proprio per questo che non si può dividere tra liberali e non liberali; questo nostro partito è una cosa molto più complessa, che ha dentro differenze di posizioni, ma ha di fondo l'ispirazione che sommariamente ho cercato di tratteggiare; è un partito che a questa situazione cerca di dare delle risposte, avendo l'occhio molto attento alla gente che sta fuori; non cancelliamo questi problemi della gente, non riteniamoli scorciatoie semplificatorie, di ritorno a quei pochi, quelli che contano, io dicevo i superpartiti.
Ciò non ci trova d'accordo, mentre ci troverà d'accordo qualsiasi azione che porti ad una lotta consapevole e seria per il rinnovamento.
I nostri voti, anche in un momento in cui esistono difficoltà, non derivano e non vogliono essere derivati né da fascino, né da timore, né da gente che voti con la puzza sotto il naso; vogliono essere dei voti convinti, di chi si fa aiutare e sta in sintonia con la gente per capire come e dove, ogni momento, ogni giorno, attestare la battaglia per un rinnovamento economico, sociale e morale del Paese, in cui riconosciamo il nostro vero e grande obiettivo.



PRESIDENTE

La parola al Vicepresidente Sanlorenzo.



SANLORENZO Dino, Vicepresidente della Giunta regionale

Il Presidente Enrietti aprendo questo dibattito definì pausa di riflessione, questa verifica che è durata tre mesi. Io credo che alla fine di questo dibattito, questa paura di riflessione sia stata non soltanto compiuta da parte dei partiti che costituiscono l'attuale maggioranza che regge questa Giunta, ma sia stata una pausa di riflessione che ha coinvolto progressivamente tutte le forze politiche.
Il dibattito che si è svolto qui oggi, mi pare che abbia consentito a tutti di fare una riflessione non solo sui due anni passati ma giustamente sul momento che stiamo vivendo e sul prossimo futuro.
Diventa quindi improponibile andare a misurare col bilancino del farmacista chi ha vinto, chi ha perso. E' stata una riflessione utile per tutti, persino rispetto al modo con cui la verifica si era aperta, forse per gli obiettivi diversi che poi sono emersi, che si sono arricchiti di contenuti diversi.
Possiamo quindi dire che è stata una giornata positiva di questo Consiglio regionale, anzi degli organi della Regione, nel senso che il confronto che è avvenuto è stato di "buon livello", di quello che vorremmo che fosse sempre la vita degli istituti della Regione Piemonte.
Io vorrei dire qualche cosa su come la Giunta ha vissuto questa verifica, in quanto c'erano modi diversi di vivere questa verifica e, forse modi che potevano non dare il corso che ha avuto e non consentire questo approfondimento che qui si è svolto ma che si è svolto anche durante i tre mesi con i molteplici incontri con le forze politiche interessate.
La prima cosa che abbiamo cercato di fare come Giunta è stato quello di impedire che la verifica significasse paralisi della Giunta. In questi tre mesi si sono scambiati documenti, si sono svolti incontri con le, forze politiche, ma vorrei ricordare assieme che è stato presentato ed approvato il bilancio 1982.
In questi tre mesi è stato consegnato il documento di linea del Piano di sviluppo, in ritardo, ma è stato consegnato. Abbiamo martedì assieme compiuto uno degli atti più rilevanti della legislatura, assieme con tutte le forze politiche come istituzioni.
Ma assieme a questi atti importanti di questi tre mesi, che segnano quindi non una paralisi, abbiamo compiuto atti di più modesta amministrazione che non hanno suscitato l'opposizione di nessuna delle forze in questo Consiglio regionale. E' stata costituita una consulta tra banche e Regioni, è stata presentata sul turismo una proposta di riforma globale del settore, della sanità sono stati firmati accordi con le organizzazioni sindacali che hanno un valore ed una portata triennali quindi programmatica; nel campo dell'industria sono state compiute alcune sperimentazioni che tentano di rispondere a quelle due proposizioni che Bastianini ricordava di pragmatismo e di fantasia, nella loro limitatezza: la fantasia è stata quella che abbiamo inaugurato domenica quando in luogo di una zona che poteva essere deserto industriale, 18 aziende si sono messe assieme e hanno ricreato un posto di lavoro per quattrocento dipendenti attraverso una forma consortile inventata senza soldi, e il pragmatismo è stato anche quello di aver ricercato vie, forse positive per un export della nostra piccola e media industria, che può e deve ricercare sbocchi diversi per uscire dalla crisi. E in agricoltura permettetemi di ricordare una cosa, che non è stata ricordata che pare quasi contraddittoria con la levatura del dibattito che si è svolto qui, ma che pure ha impegnato uomini della Regione nel portarla avanti; si è dato vita ad una prima sperimentazione di vinificazione alternativa e quello che conta è che i primi container sono partiti di qui per andare negli Stati Uniti, e qualcuno ci ha pur pensato a farli partire, a metterli insieme, a portarli avanti, a non ricevere soltanto l'apprezzamento di Veronelli. Abbiamo anche presentato in questi tre mesi di dibattito anche dieci progetti di legge alcuni dei quali non presentati mai in nessun'altra regione d'Italia.
Sono poche cose, verranno poi le discussioni del Consiglio, il Consiglio dirà se sono giusti o cattivi ma questa è la testimonianza di una produzione legislativa che la Giunta ha continuato a fare portando in questo modo un contributo alla verifica che le forze politiche stavano portando avanti.
E non cito tutto quello che è stato fatto, ho ricordato alcuni degli episodi: Ferrero potrebbe raccontare di alcune delle iniziative culturali che si stanno svolgendo a Torino e che in altri periodi avrebbero potuto avere dalla stampa altri trattamenti, ma che non diminuiscono l'importanza del fatto che si stanno svolgendo solo per il fatto che la stampa ne parla poco. Perché ci sono, esistono e la gente li va a vedere anche se la stampa non ne parla.
Ho voluto ricordare questo, non perché queste piccole cose, un bilancio, un programma, un Piano di sviluppo, un accordo con le banche possono significare che con questo usciamo dalla crisi. Ma anzi per ricordare che a questa concretezza, oggi come conclusione del dibattito è necessario aggiungere una nuova e più elevata concretezza.
Perché anche tutte le concretezze giuste sulla via dello sviluppo non fanno uscire da sole la Regione Piemonte dalla crisi, tanto è la dimensione e la profondità della crisi internazionale.
Ma certo non potremmo pensare di uscirne fuori se non elevassimo il tono della concretezza complessiva, delle istituzioni della Regione.
Se la Giunta deve essere quella che fa le parti principali, credo che di una nuova concretezza abbiano bisogno tutti gli organismi della Regione non solo la Giunta, ma anche l'articolazione del Consiglio, le Commissioni.
Perché se vogliamo cogliere il senso vero di questa verifica questa lezione ci viene dai fatti, dalle esigenze, dai compiti nuovi che abbiamo di fronte; indipendentemente dai documenti firmati; ma dagli appuntamenti che si fanno anche più urgenti e più gravi in rapporto alla crisi nazionale e persino alla situazione internazionale.
Oggi credo in questa Giunta, una cosa ha fatto nell'interesse generale ha continuato a garantire la governabilità anche nel corso di una verifica e questo valore può non apprezzarlo solo chi non ha l'orizzonte della situazione delle Regioni italiane, ma non sa come in tre Regioni in questo momento ci sia persino l'angoscia, come dichiarava un giornale non certo sospetto, di trovare una qualche soluzione ad una qualche governabilità.
Questo problema si pone in questi giorni in Puglia, in Campania e in Sardegna dove pare che malgrado la possibilità di mettere in piedi delle maggioranza strepitose, da mesi e mesi non si riesce a mettere in piedi una Giunta, altro che un programma di sviluppo regionale; non si riesce a trovare un Presidente di Consiglio, altro che mettere in piedi una verifica su quello che si è fatto e su quello che si intende fare.
La governabilità deve essere un bene davvero prezioso in questa situazione di crisi non solo politica del nostro Paese, ma delle istituzioni del nostro Paese, come è stato ricordato, dato che queste istituzioni hanno bisogno di una grande riforma; se le stesse forze politiche nazionali in un momento come questo esitano di fronte ad una verifica politica che pure si impone, di fronte a qualche cosa che potrebbe mettere in discussione la governabilità stessa del governo italiano, e quindi di aggiungere alla crisi economica che si aggrava, qualche cosa che potrebbe renderla ancora più grave.
Credo che in questo sinora, la Giunta lo abbia consentito ed inoltre in una continuità di sette anni. Risulta infatti che la nostra Regione insieme ad un'altra non governata dalle sinistre che in questi sette anni non ha mai avuto una crisi: ma è l'unica su venti.
Questo è un bene che vale per la nostra Regione, di cui il merito lo portano tutte le forze politiche e non solo quelle di maggioranza; perch qui è stato ricordato opportunamente che qualunque dei grandi gruppi che qui sono presenti se volesse paralizza la vita di una Regione. Quindi quando le istituzioni vengono garantite nel loro funzionamento, il merito non può che essere di tutti: ma questa cosa è una cosa importante, è quasi un punto di riferimento nella situazione politica del nostro Paese.
Questo dobbiamo dirlo, perché, nel momento in cui dobbiamo mettere il dito sulla crisi delle istituzioni e delle Regioni, dobbiamo partire sempre anche da quello che ci accomuna nei valori che devono essere difesi altrimenti la crisi si fa ancora più grave e non si esce solo con il volontarismo o con i voti dalle crisi politiche, economiche della profondità di quelle che stiamo vivendo.
Ma se questo non basta, e se dobbiamo trarre la lezione di nuove concretezze, che cosa vuol dire questo? La Giunta deve presentarsi in tempi brevi al Consiglio, con i progetti che concretizzano il Piano di sviluppo.
E se abbiamo tardato nel presentare il documento di base, non dobbiamo tardare nel presentare i progetti. La Giunta deve consentire che la consulta fra le banche che abbiamo recentemente costituita, si riempia di contenuti, di accordi concreti, che possano favorire per esempio quello che abbiamo detto di volere e cioè una ripresa delle piccole e medie aziende; e soprattutto con un finanziamento per far sì che i progetti del piano non rimangano sulla carta ma, decollino, intervengano con la loro capacità propositiva ed attuativa nella soluzione della crisi.
Dobbiamo a quegli atti di alta amministrazione, che il documento dell'opposizione ci ha rimproverato di non aver discusso con loro e forse c'è qualcosa di giusto e di vero in questo; anche questi riempirli di contenuti perché non basta firmare una convenzione con l'Olivetti se poi questo non produce commesse, fatti, atti concreti che devono essere valutati, devono intervenire in questa situazione.
Dopo aver parlato nel documento di fare un'agenzia del lavoro presentarne il progetto sia perché l'esperimento sulla mobilità non funziona e sapete il perché, perché mancano i posti di lavoro e anche quei pochi che ci sono non vanno a buon fine; allora bisogna che questa agenzia del lavoro decolli rapidamente, e se un impegno la Giunta può prendere io lo prendo e cioè di presentare entro 15-20 giorni un progetto concreto di agenzia del lavoro da discutere in questo Consiglio regionale per avviare uno dei capisaldi dei problemi non risolti.
Bisogna apportare le modifiche necessarie alla 56, senza spallate senza perdere tempo, attuando qualche cosa dello scadenziario che qui è già scritto. Perché nel documento della Giunta c'è scritto una cosa molto precisa: si ribadisce la volontà di procedere sollecitamente alla revisione della 56 giungendo all'ultimazione del lavoro di revisione entro la sessione estiva, questo vuol dire nel giro di quaranta giorni. Qui l'impegno di calendario non è più nemmeno da scrivere come un impegno della Giunta ma è un impegno del documento.
Bisogna tra le cose grandi che abbiamo ricordato e che dobbiamo ancora fare, sempre prima della fine del mese di luglio, prima di andare in ferie e dobbiamo portare anche dei contributi alle cose piccole. Il documento dell'opposizione non ha ancora ricevuto una risposta da parte della Giunta e io credo che debba dare una risposta per quanto gli compete visto che c'erano dei problemi che riguardavano tutto il Consiglio.
Alcune delle cose piccole che sono state scritte nel documento devono trovare una risposta anche immediata. I partiti dell'opposizione hanno detto che è difficile accedere alle informazioni, che è complicato a volte conoscere le cose; hanno fatto una proposta cioè che gli Assessorati designino un funzionario che faccia da collegamento con ogni singolo Consigliere; credo che la Giunta non debba tardare oltre a designare per ogni Assessore un funzionario e rispondere positivamente alla richiesta che è stata fatta.
E' stata sollecitata una maggiore tempestività nella risposta alle interrogazioni e alle interpellanze, anche se i dati che ho verificato sulle interrogazioni che sono state svolte non dicono che c'è un grande mutamento rispetto alle altre legislature.
Tuttavia per quanto questa richiesta è stata avanzata deve corrispondere ad un impegno della Giunta di dare delle risposte in tempi più rapidi non tanto quantitativamente, quanto rispetto a quelle interrogazioni che qualitativamente hanno maggior rilievo o maggior significato politico.
Qui qualcuno ha parlato di riforma delle commissioni come progetto necessario per consentire un confronto con le forze politiche che consenta di ottenere anche il contributo delle forze politiche minori, nel senso che hanno un minor numero di Consiglieri e di rendere più facile la partecipazione.
Se le forze non solo di maggioranza (perché questa è una riforma istituzionale) della Regione desiderano portare avanti questo discorso, non sarà certo la Giunta che vi si oppone: anzi è pronta a dare il contributo perché questo sollecitamente venga messo in cantiere.
Ma la concretezza della Giunta (e qui comincio a dire cose un po' meno piccole) non può essere presa come unica cosa che deve cambiare dal senso di questa verifica. Perché noi vertiamo nel confronto diretto con i problemi con le cose, che ci sono altre concretezze che devono mutare di segno: abbiamo un rapporto con il governo che non va bene, non è buono, non è migliorato in questi mesi; questo rapporto con il Governo presenta degli appuntamenti che vengono elusi. Abbiamo avuto un incontro con il ministro Marcora e ci disse che il Comitato per la componentistica era insediato era pronto per funzionare: non è così, è passato un altro mese, non si è insediato.
Abbiamo posto anche allora, tanti di quei problemi che abbiamo discusso in quest'aula, sui registratori di cassa: ha ragione il ministro Formica quando a Torino ha detto che questa questione non va avanti. Perché i santuari dei privilegi, che qui sono stati ricordati, fanno sì che il disegno di le :e non diventi un fatto: badate che noi qui non siamo interessati solo per un motivo di giustizia tributaria ma per posti di lavoro che vengono messi in discussione al nord e al sud, anzi che sono già stati messi in discussione e che sono in realtà precari e difficili.
Abbiamo un impegno assunto di convocare le parti per la Ceat, è passato un mese e mezzo e la convocazione non c'è. Qui ci sono cinquemila e quattrocento posti di lavoro in ballo in tre Regioni dell'Italia, qui vediamo il contributo di tutte le forze politiche per fare in modo che non si tardi alla convocazione di queste riunioni. Perché queste riunioni sono le uniche che possono ancora dare delle risposte positive a situazioni di questa natura.
Abbiamo un progetto per il volontariato civile presentato dai ministri di questo Governo, è stato rinviato già dopo due discussioni del Consiglio dei ministri e attendiamo una risposta definitiva, che ci informi anche solo delle obiezioni che il Governo ha rispetto al progetto presentato da due ministri del Governo. Questo permetterebbe di mettere in cantiere immediatamente l'iniziativa giusta (che duecento sindaci hanno riconosciuta giusta!) che abbiamo verificato in tutti i dettagli, ma che per partire ha bisogno di una delibera almeno del Consiglio dei ministri.
E qualcosa di più grande ancora deve cambiare, se vogliamo avviare a soluzione la crisi. E se vogliamo passare dal discorso sui massimi sistemi che è giusto in questo momento, perché in discussione sono i massimi sistemi; a qualche cosa che muova della politica del Governo, allora dobbiamo dire tutti assieme al Governo nazionale che se non cambia la politica economica, se non comincia a cambiare la stretta creditizia allora il confronto rimane solo dei massimi sistemi.
Questa proposta viene avanzata ormai esplicitamente, è un termine della polemica interna del Governo. Ma se non si diminuisci la stretta creditizia, come chiedono gli industriali, come chiedono i sindacati dei lavoratori, come chiedono tanti partiti interni ed esterni alla maggioranza che governa il nostro Paese: qui le aziende continueranno a chiudere perché c'è una componente del sistema industriale piemontese che è in crisi per questo fatto e non per altri. In alcune aziende questo fatto è persino prevalente sul costo del lavoro, sulle altre componenti della crisi che attraversa il sistema industriale.
Se non si prende di mira il problema del deficit globale che non è più di cinquantamila miliardi, ma non si sa nemmeno più di quanto sia, con delle misure concrete che siano nello stesso tempo tali da non penalizzare la gente che paga già di più. Anche le nostre misure ed aggiornamenti non sono tali da modificare sensibilmente la situazione politica che ci sta attanagliando.
Se il fondo degli investimenti che il ministro La Malfa ha annunciato in questi giorni di sei mila miliardi, con la sua divisione non viene rapidamente approvato ed integrato (non sono sei mila miliardi che possono tirarci fuori da una situazione di questo genere) ma intanto questi 6 mila miliardi siano messi nella condizione di essere una componente che stimola gli investimenti; perché senza nuovi investimenti non si esce dalla crisi economica italiana; ne riuscirà un contributo qualsiasi a far uscire dalla crisi di carattere europeo che ci attanaglia.
Sono d'accordo con quei riferimenti che sono stati fatti questa mattina di riflessione sulla crisi più generale nella quale siamo sistemati.
Perché se un Consiglio regionale di una Regione di quattro, milioni e mezzo di abitanti non avesse contenuto questi riferimenti alla situazione del tutto nuova in cui siamo chiamati ad operare rispetto a tre mesi fa sarebbe stata una lacuna.
Oggi operiamo di fronte ad una situazione che sta evolvendosi e siamo in presenza di tre guerre micidiali che Stanno cambiando la geografia del mondo. Perché qualunque sia l'esito finale del conflitto delle Falkland, la situazione dei rapporti internazionali, non sarà più la stessa, e cambierà un intero continente, e cambieranno i rapporti tra quel continente e il nostro Paese. Se non ci fosse stata una precisa posizione del Governo italiano, noi pagheremmo già oggi le conseguenze di questa situazione.
E quello che sarà tra un mese se questa guerra finirà, cambierà i rapporti internazionali, e li cambierà sul piano dell'economia. E quale sia lo sbocco della crisi che si sta sviluppando drammaticamente, con centinaia di morti in questo momento nel Libano, nessuno riesce a prevederlo.
Stasera noi troveremo ancora il tempo, dobbiamo trovarlo, per dire che il massacro deve finire, la guerra deve finire, i confini devono essere rispettati in Libano come abbiamo detto che dovevano essere rispettati da tutte le parti, per cui questa guerra deve essere fermata. Deve essere fermata come quella fra Iran e Iraq.
Questi fatti non solo non avvengono molto lontano da noi, ma hanno delle ripercussioni immediate sulla nostra situazione, perché ce l'hanno sul nostro Governo e sul nostro Paese, ce l'hanno sul fatto che dobbiamo essere tutti consapevoli, nel nostro modo di comportarci ed agire che questi fattori non possono essere eliminati nel nostro discorso regionalista e nel nostro modo di condurre le cose.
Credo che anche questa consapevolezza, abbia portato le forze politiche di questa maggioranza, a non cercare soluzioni che fossero in qualche modo tali, da fendere più precaria ancora la situazione della nostra Regione.
E che sia precaria, cari colleghi io vorrei ancora ricordarlo, perch se qui comune è la volontà dello sviluppo, comune è la volontà di ricercare delle strade nuove (visto che quelle vecchie non hanno premiato e non premiano).
Io vorrei però ricordare a tutti quanti voi, che la strada dello sviluppo nuovo dobbiamo ricercarla assieme, e dobbiamo ricercarla assieme quando tutti i giorni ci vengono delle notizie che dicono quanto sia aspra la strada dello sviluppo.
Stamattina il consigliere Brizio ha segnalato un fatto a cui non volevo credere fino a quando non l'ho verificato. Diceva che la Gepi di Roma aveva ordinato alla Seigeri e alla Remer di licenziare i lavoratori. L'ho voluto verificare oggi. Le cose stanno così, sono partite altre 128 lettere di licenziamento in una fabbrica e 150 in un'altra.
Possono sembrare piccoli episodi, ma ieri ho incontrato i dirigenti della Nebiolo, e mi hanno detto che l'accordo firmato con la Regione sei mesi fa, non vale più, perché non vendono una macchina, e perché quei novecento lavoratori a cui era stato garantito di trovare un'occupazione adesso sono rimessi in discussione tutti.
Ho anche detto della Ceat, e ho detto (non ho detto) di altre 416 aziende che continuano a segnare un incremento nella crisi e non una via di soluzione.
Io vorrei che tutti i Consiglieri, avvertissero il fatto che a quei lavoratori che vengono e ai sindacati e proprietari delle aziende che vengono a cercare anche alla Regione un qualche aiuto, non posso fare il discorso "abbiate fiducia" in un nuovo sviluppo della società. Parliamoci chiaro, io non posso dire a nessuno dei lavoratori che viene li: accogliete la cassa integrazione, accogliete i 150 licenziamenti, state a casa che ci sarà un nuovo sviluppo; io non posso dire questo. Né io, né nessun assessore di questa maggioranza o di un'altra maggioranza, io devo cercare di indicare delle soluzioni, e devo ricercare queste soluzioni con il sistema bancario e dobbiamo trovarle anche qui assieme (perché ha ragione Paganelli) perché la DC può essere non alla maggioranza politica ma non è certo isolata dalla società e non è certo isolata nelle banche.
Quindi dobbiamo trovare il modo assieme di trovare queste soluzioni dobbiamo trovare il modo di ricercare pazientemente delle soluzioni concrete a tutte le questioni che vengono avanti, in una direzione che sia di sviluppo.
Se c'è una situazione, che viene avanti di puro assistenzialismo, di puro sostegno con perdita del denaro pubblico, questa non deve essere incoraggiata. Ma voi pensate davvero che il sistema bancario piemontese non abbia l'oculatezza (con i bilanci che presenta ogni anno) di riconoscere se una soluzione è assistenziale o no? Allora smettiamola con questa polemica dell'assistenzialismo, o qualcuno indica un' azienda un intervento della Regione in qualsiasi campo del settore industriale in cui sia fatto dell'assistenzialismo invece che una politica di salvaguardia dell'occupazione e del concetto di risanamento, allora il discorso diventa concreto, altrimenti il discorso generale io non l'accetto neanche per allusioni.
Non ci sia quindi la divisione fra chi è per lo sviluppo e chi è per l'assistenzialismo, qui c'è in realtà un problema che abbiamo tutti di fronte: è che nessuno sa indicare delle vie concrete, adeguate alla crisi che stiamo attraversando, al problema dell'occupazione.
Ho apprezzato la polemica e il dibattito culturalmente elevato tra liberalismo e neoliberismo e chi invece dice che il liberismo non serve. Va tutto bene, ma badate che secondo me la discussione è più difficile complessa.
Perché oggi abbiamo vent'otto milioni di disoccupati nei paesi della OCS, e abbiamo centosettanta milioni di disoccupati in nove paesi del terzo mondo, e abbiamo dieci milioni di disoccupati nell'Europa occidentale, ma non c'è un paese, né del nostro sistema economico né di altri, che abbia di fronte a questo fatto qualitativamente nuovo "della dimensione della disoccupazione", non solo una ricetta, ma un'esperienza che possa essere in qualche modo copiata o per lo meno studiata.
Questi problema ce l'ha Mitterand in Francia, ce l'ha Reagan negli Stati Uniti, ce l'hanno tutti i governanti europei, ce l'ha il nostro Paese: perché questa situazione è nuova e di difficile soluzione? Perché fino a vent'anni fa da una crisi economica che produceva disoccupazione la ricetta grosso modo era: nuovi investimenti e lavori pubblici. Ora anche quando noi diciamo sì, ai lavori pubblici approvati recentemente della grande viabilità da uno dei due rami del Parlamento (speriamo che l'altro ramo faccia la stessa cosa); noi diciamo sì, non solo perché ci porti tanta occupazione, né occupazione che possa dare risposta ai problemi di 58 mila lavoratori in cassa integrazione o dei 140 mila disoccupati (perché difficilmente quelli della Fiat diventano edili come difficilmente lo diventano quelli delle fabbriche tessile soprattutto femminili). Ma questa non è certo la via della soluzione del problema della disoccupazione.
Né il problema può essere pensato solo con lo schema classico di quello che le sinistre dicevano anche in tempi diversi, dell'aumento degli investimenti. In questa situazione l'aumento degli investimenti è indispensabile a volte per mantenere gli occupati che ci sono. A volte sono necessari giganteschi investimenti neanche per mantenere gli occupati che ci sono, e tuttavia questo è indispensabile farlo perché altrimenti non c'è risanamento industriale.
Siamo quindi di fronte ad una scommessa del tutto nuova, che impegna non la vecchia cultura politica o gli schemi già usati ma impegna la cultura di tutti, in una ricerca feconda ed urgente, perché altrimenti i problemi di questa gravità economica, diventano problemi politici generali ed è tutto da studiare il rapporto tra questa incredibile guerra delle Falcland e le altre acutizzazioni internazionali e l'aggravamento della situazione economica. Quale rapporto c'è fra un fatto ed un altro? Davvero argentini ed inglesi sono diventati improvvisamente così matti da fare una guerra per delle isole che tre mesi fa, il 40% dei Consiglieri che ci sono qua dentro, non sapevano dove erano sulla carta geografica? Qualche cosa deve essere studiato di questo fenomeno.
Dobbiamo quindi non solo riandare a vecchie categorie di analisi che forse anche queste sono superate, ma nemmeno dimenticarle. Il rapporto tra la crisi dell'economia e la crisi della politica a livello nazionale e internazionale è qualche cosa con cui combattono, i presidenti dei paesi europei quando si incontrano, e cercano di trovare una via di accordo per esempio sulla questione del dollaro, perché capiscono che attorno a questa questione c'è in ballo la sorte dell'economia non solo italiana ma anche europea. Cercano di trovare delle vie per difendersi dalle concause che agiscono su tutti i Paesi ma che hanno delle origini precise anche in un sistema che deve rinnovarsi e che non basta per rinnovarsi, guardare indietro alle esperienze del passato, anche se queste possono essere di New Deal, possono aver dato delle risposte tempestive e puntuale in altri momenti della storia economica nel mondo occidentale.
Voglio soltanto ricordare, qualche cosa che è rientrato nel dibattito di quest'aula e tornare ai nostri problemi più modesti.
Credo che questa Giunta sia democratica e di sinistra, non è di sinistra; ribadisco il fatto che non è la Giunta solo del 75-80, e mi pare che tutte le cose che hanno detto i Consiglieri oggi lo dimostrano.
Sia dove si riconoscono nel contenuto del programma, sia dove si sentono distanti, sia dove dicono di non voler partecipare nella maggioranza perché ritengono di fare una libera scelta.
Questa Giunta, che è in fondo aperta, dimostra la sua apertura, non solo perché lo dice, ma non è stata chiusa neanche nel recente passato.
Ho fatto il conto delle leggi approvate dal Consiglio regionale, da quando esistiamo ad oggi: ne abbiamo approvate 99. Ma sapete quante leggi sono state approvate da una maggioranza più ampia della Giunta che governa la Giunta: 80 su 99.
Non nasce oggi questa necessità di rapporto più ampio, di qualsiasi maggioranza regionale con quella che in quel momento è l'opposizione. E' una prassi, è qualche cosa che è invalsa dalla prima legislatura e che continua anche in questa. Dobbiamo naturalmente continuare in questa direzione, e la Giunta non è che sia nuova perché in questa Giunta vi sono dei super assessori. Ma questo non solo perché lo statuto non lo consente ma perché nessuno accetterebbe che ci sia in Giunta un super assessore.
La Giunta è fatta di un Presidente, di un Vicepresidente e degli Assessori che sono delegati dal Presidente a svolgere determinati ruoli: questo dice lo Statuto regionale. Ci mancherebbe altro che una Giunta non applicasse rigorosamente lo Statuto regionale.
E in questa Giunta non c'è la centralità di un partito rispetto ad altri, una Giunta regionale quando è eletta da un Consiglio regionale rappresenta l'intera comunità, ed in qualche misura perde i connotati dei partiti che hanno espresso gli Assessori di questa Giunta. Ciascuno deve essere interprete di ciò che il Consiglio li ha autorizzati a fare nell'interesse dell'intera comunità. I partiti possono seguire disegni di centralità pienamente legittimi, e ognuno farà tanta strada quanto gli consentirà il fiato che ha a disposizione, ma la Giunta no.
Questa Giunta deve anzi accrescere la sua collegialità, che c'è sempre stata però, e io non voglio pagare il mio prezzo alle ambiguità di qualche parte del dibattito di oggi.
Cioè: quand'è che una Giunta è collegiale o non lo è? Prima di tutto all'interno della propria Giunta quando si approva o no una delibera o progetto di legge si manifesta o non si manifesta divergenze e contrasti.
Vorrei sottolineare una caratteristica di questa verifica, e di questo comportamento della Giunta regionale dalle origini ai giorni nostri, vorrei che qualcuno mi citasse un solo episodio di polemica pubblica che sia intercorso tra gli esponenti di questa Giunta sui giornali o in qualunque consesso, di polemica pubblica fra gli Assessori (non faccio neanche il confronto con il Governo nazionale del nostro Paese).
Questo non vuol dire che non ci sia stato all'interno della Giunta un confronto serrato su ciascuno dei problemi: non rivelo nessun segreto se dico che la Giunta regionale prima di cominciare i suoi lavori al martedì discute di politica generale che ha all'ordine del giorno. E il confronto è vivace, è sempre stato vivace, ma nelle delibere che abbiamo approvato c'è la responsabilità collegiale della Giunta nell'unico modo in cui la collegialità si esprime: se si vota o non si vota o ci si astiene.
Quindi condividiamo tutte le responsabilità, ciascuno dei partiti che sono in quella Giunta per le delibere che sono state approvate.
Ma allora che cosa dico quando dico che c'è bisogno di una nuova collegialità? C'è bisogno di una nuova collegialità nel senso che dobbiamo attuare qualche cosa di estremamente difficile: cioè di aggregare settori diversi, di ricercare complementarità, di elevare la capacità di programmazione in quanto possibile delle risorse che abbiamo, sia delle risorse che non abbiamo; e in questo senso, qualunque rilievo di quelli che sono stati avanzati vanno nella direzione giusta, siano essi mossi dall'opposizione o siano essi mossi dalla maggioranza.
Ma non è questo in fondo quello che conta più di tutto. Più di tutto credo che conti la volontà confermata, di questa maggioranza, di continuare in uno sforzo difficile che non può portare avanti da sola, se non c'è un rapporto concreto con tutte le forze dell'opposizione.
C'è qualcosa che deve cambiare anche nel Consiglio? Io credo di sì. Non voglio nemmeno dire come e in che direzione, qualche cosa è stata detta sarebbe abbastanza curioso che un esponente della maggioranza dovesse dire quello che deve cambiare, senza indicare quello che deve fare la maggioranza per cambiarlo. Dico però che dobbiamo riflettere assieme l'esperienza di tutti questi anni che abbiamo vissuto assieme, non solo in questa legislatura, per ritrovare un minimo comune denominatore di comportamento che in qualche caso la confusione politica, qui ha generato.
Io ricordo fin troppo bene le cose che diceva Paganelli in altri dibattiti, sui ruoli dell'opposizione, sulla maggioranza, sulla necessità di chiarezza di questi ruoli.
Sono d'accordo con lui, perché una cosa è ognuno fare la propria parte nella chiarezza del ruolo, e questo in 12 anni non ha mai impedito il confronto positivo e fecondo, ma ognuno facendo la sua parte con chiarezza con distinzione, perché questa poi è una delle regole fondamentali del mondo occidentale e democratico, che va rispettata in ogni sua parte dal Presidente della Giunta, dal Vicepresidente, dagli Assessori, dai Capigruppo, ognuno deve fare la sua parte con chiarezza di intenti, e quindi in questo modo si che si valorizzano le istituzioni e ognuno dà il suo contributo fecondo a fare in modo che la Regione sia rilanciata e svolga i compiti che ha di fronte a sé.
Qualche cosa è stato detto qui sui ruoli che devono avere le singole forze politiche, e io direi i singoli Consiglieri, di fronte a questo processo di rinnovamento culturale che è in atto.
Sarebbe una debolezza credere, che nel grande trapasso storico che stiamo vivendo, sia più agevole presentarsi al confronto con gli altri e all'appuntamento con il futuro: annullando anziché rinnovando la propria identità.
Non credo che siano destinati a buon successo, coloro che pensano di cancellare le proprie origini e di dimenticare il passato, quasi che questa operazione sia possibile compierla in modo indolore e sia questa operazione produttiva per chicchessia.
Noi viviamo in un'epoca in cui non è possibile legarsi alla propria cultura come a qualcosa di immobile; ma in cui certo sarebbe rovinoso rinunciarvi; mentre essa vive nell'elaborazione politica e nel cervello di milioni di persone, come orizzonte delle proprie speranze e passioni. E nella speranza di una storia diversa, che deve significare capacità di inventarne una nuova, governare il futuro avendo coscienza del passato per poterlo anche superare. E tutte le altre tentazioni in questo senso non producono né voti, né consensi, né soluzioni.
Allora questo è qualcosa che grandi forze popolari, come quelle che sono presenti in questo Consiglio che credo debbano avere presenti, in ogni momento ed anche i Consiglieri individualmente devono trarne un insegnamento come io cerco di trarne da una lunga esperienza di vita politica passata attraverso bufere e travagli che non mi hanno risparmiato come credo non hanno risparmiato nessuno che guarda al futuro con la speranza di darvi il massimo contributo possibile.



PRESIDENTE

La parola al Presidente della Giunta regionale per la replica.



ENRIETTI Ezio, Presidente della Giunta regionale

Data la tarda ora, ruberà solo pochi momenti alla vostra attenzione per fare alcune importanti riflessioni. E' stato un dibattito ricco di spunti (che sono d'accordo con altri Consiglieri, dovevamo programmare con un, po' di tempo in più, per riflettere con maggiore meditazione sulle cose che sono venute fuori) ricco di contenuti politici e di analisi estremamente importanti. Io non mi addentrerò nelle analisi e nelle risposte a queste come parecchi Consiglieri hanno fatto, ed in maniera particolare il Consigliere Revelli, Paganelli e Bontempi.
Mi limiterò a dare alcune risposte circa i rilievi fatti sul piano programmatico e sul piano della verifica.
Va a monte ricordato che questi due anni trascorsi da quando questa Giunta ha avuto il consenso dal Consiglio, sono stati gli anni più difficili che la nostra Regione ha vissuto nei suoi undici anni di vita momenti difficili non soltanto perché la crisi industriale di tutta Italia imperava ed impera; non soltanto perché la crisi finanziaria di tutti gli Enti locali è imperante ed impera, ma perché ci siamo trovati di fronte a difficoltà di ordine politico, sociale e finanziario senza pari. Il richiamare ampi rapporti con gli Enti locali, che è giusto vadano rinvigoriti, e, così è scritto nel programma che la Giunta ha presentato non deve fare dimenticare le grandi difficoltà d'ordine finanziario che creano difficoltà alla continua espansione di questi rapporti. Tutto sommato, di fronte a queste grandi difficoltà che abbiamo avuto, la Giunta ha lavorato bene, con autorevolezza, ed è stata punto di riferimento per tutte le parti sociali, siano esse imprenditori, organizzazioni sindacali grandi istituti statali, o istituti bancari; è stata un punto di riferimento per il Governo nell' affrontare i drammatici problemi che la crisi del Piemonte ha procurato; per questo si è fatto bene a fare un momento di pausa, per verificare lo stato di concretizzazione del programma e per trarre delle conclusioni. Non è vero che la verifica non ha prodotto niente; ha prodotto al contrario dati concreti, che io con molta umiltà voglio ricordare, perché questi sono fatti ed i fatti sono duri come pietre.
Una verifica seria con la presentazione di un documento che è nelle vostre mani, che è stato oggetto di dibattiti in questa sede, che ha avuto anche momenti difficili nella casa socialista, come accade sempre in ogni partito libertario; ma quando ci sono momenti difficili, come ci sono in ogni famiglia, l'importante è trovare punti di sintesi finale tali da farla accettare da tutti, ed è stato così all'interno del partito socialista. La verifica ha prodotto cose concrete, un programma, un aggiornamento di programma che di fronte a voi ha prodotto dei fatti politici chiari, che sono il giudizio positivo del lavoro svolto, il, rilancio della formula che governa la Regione e che pone un rapporto nuovo, che si è concretizzato nei fatti, e l'abbiamo appena sentito in questo dibattito, dalle voci dei Consiglieri Bastianini e Vetrino, che hanno riconosciuto di aver datò un apporto positivo nella stesura del programma, che si colloca in una posizione di schieramento differenziata da quella che dirige questa maggioranza, ma nel contempo vogliono collaborare con estrema lealtà.
Sono giudizi positivi che valutiamo come fatto concreto di rafforzamento di questa maggioranza e di questa Giunta. Nei confronti della DC noi non abbiamo nessuna intenzione di emarginazione, questo tanto meno come Governo regionale, ma anche come Partito socialista; ci mancherebbe altro che soltanto la volontà di un partito potesse emarginare un partito che elettoralmente è quasi tre volte il Partito socialista; non è assolutamente questo il problema. Sono impostazioni politiche che ci vedono oggi in questa maggioranza del Consiglio in posizione diverse, che ci trovano in questa maggioranza del Governo in posizioni simili, ma che ci trovano sul piano strategico con posizioni differenziate. Accennavo stamani a rapporti chiari, alla chiarezza nel metodo e nell'impostazione; questo non è emarginazione, ma credo che sia esaltazione di un ruolo e quando ho accennato, forse un po' per errore o per goliardia, al capo dell'opposizione Paganelli, volevo dire non per la sua persona, ma perch il ruolo che si svolge nelle grandi democrazie .occidentali, quello dell'opposizione è un grande ruolo, che va riconosciuto sia, per la capacità degli uomini, sia per l'impostazione politica.
Questi sono fatti concreti, cose che la verifica ha lasciato e che vogliamo continuare con serietà.
Certo questa verifica ci ha lasciato alcuni ricordi, che sono all'attenzione precisa del Governo regionale e ai quali facciamo riferimento per non fare errori.
Oltre ad aver generato questi fatti politici, ha generato un programma e dal dibattito che abbiamo sentito tutti, sono emerse delle puntualizzazioni, delle critiche su un aspetto o sull'altro, ma non è emerso, e dobbiamo registrano, un programma alternativo, non è emerso un qualcosa che cambiasse radicalmente l'impostazione di fondo e progettuale di questo programma; allora noi siamo pronti a recepire suggerimenti, a puntualizzare scadenze, date del passato, nel calendalizzarle nel precisarle, ma dobbiamo dire che anche nel programma abbiamo fatto un buon lavoro.
La Giunta esce da questo dibattito sul piano politico e programmatorio rafforzata; non è assolutamente congelata, e questo lo diciamo non per retorica, ma perché ne siamo convinti, come non siamo stati congelati in questi due anni e un po' di giorni; durante la verifica abbiamo fatto con autorevolezza il nostro dovere di fronte alla comunità regionale e cosi lo faremo, e sicuramente non ci sarà nessun piatto di lenticchie che farà cambiare questa maggioranza.
Ringrazio tutti i colleghi che sono intervenuti al dibattito così ampio e sofferto, ma in realtà i problemi ci sono e sono indicati da tutte le parti. Alla fine di questo dibattito è stato presentato un ordine del giorno, a firma dei colleghi Bontempi, Mignone e Viglione.
Ve ne do lettura: "Il Consiglio regionale del Piemonte preso atto del documento di aggiornamento del programma presentato dalla Giunta e dell'ampio dibattito svoltosi nella seduta odierna approva gli orientamenti e gli indirizzi contenuti nel documento stesso ed impegna la Giunta a dare ad essi sollecita e concreta attuazione".
La parola al Consigliere Paganelli.



PAGANELLI Ettore

Faccio una brevissima dichiarazione di voto. Innanzitutto per ringraziare Sanlorenzo che nella sua sensibilità ci ha ricordato che la DC non è isolata a livello di società e neanche a livello di banche. Ha ragione Sanlorenzo, io dell'incontro tra la Giunta e le banche ho avuto informazione guardando una sera a casa mia il TG3.
Confesso che guardando quella carrellata di facce di presidenti e di rappresentanti di banche che erano al tavolo della Giunta ho avuto la sensazione che la DC non è più isolata, è autorevolmente accompagnata.
Per quanto riguarda il voto contrario questo ordine del giorno che è presentato (ovviamente si basa sulle cose che io e Genovese abbiamo detto) noi non abbiamo mai delle assolute certezze, ci collochiamo e cerchiamo di rappresentare quella fetta di elettorato che come diceva il Presidente della Giunta è almeno triplice rispetto alla sua forza politica e mi richiamo a tutte le cose che sono state dette.
Aggiungo solo due osservazioni: questo dibattito si è iniziato con una relazione del Presidente della Giunta che ha spiegato che in questa Regione, nella Giunta vi è la centralità del Partito socialista ed è quasi terminato con una relazione del Vice presidente della Giunta che ci ha illustrato che in questa Regione non vi è la centralità di nessun partito.
Per quanto riguarda i problemi che abbiamo sollevato sul funzionamento delle istituzioni, sulle cose che non vanno, farò tesoro delle cose che ha detto Bontempi e farò attenzione di non cadere nel sollevare questi problemi perché questi non si rivoltino contro le istituzioni. Ma dico che di questi problemi abbiamo parlato troppo e tutti ne hanno riconosciuto la validità.
E' tempo che qualcuno, e questo qualcuno è innanzi tutto chi ha la maggioranza, passi al terreno dell'operatività per modificare le cose che non vanno.
Con queste precisazioni noi votiamo contro il documento che è stato presentato.



PRESIDENTE

Se nessuno interviene, metto in votazione il documento presentato dai colleghi Bontempi, Mignone e Viglione.
Chi approva è pregato di alzare la mano.
L'ordine del giorno è approvato con il seguente esito: presenti e votanti 51 favorevoli 29 Consiglieri contrari 21 Consiglieri astenuto 1 Consigliere Convoco i Capigruppo per definire il programma e la data della prossima adunanza. La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 19,45)



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