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Dettaglio seduta n.121 del 01/04/82 - Legislatura n. III - Sedute dal 9 giugno 1980 al 11 maggio 1985

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI


Argomento:

Approvazione verbali precedenti sedute


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
In merito al punto primo dell'ordine del giorno: "Approvazione verbali precedenti sedute", non essendovi osservazioni, i processi verbali delle adunanze consiliari del 18 marzo 1982 si intendono approvati.


Argomento: Assistenza sanitaria (prevenzione - cura - riabilitazione)

Interrogazione dei Consiglieri Chiabrando e Sartoris inerente il servizio di guardia medica nel Comune di Lombardore


PRESIDENTE

Circa il punto secondo all'ordine del giorno: "Interrogazioni e interpellanze", si discute l'interrogazione dei Consiglieri Chiabrando e Sartoris inerente il servizio di guardia medica nel Comune di Lombardore.
La parola all'Assessore Bajardi.



BAJARDI Sante, Assessore alla sanità

Com'è noto, il Comune di Lombardore è compreso nell'ambito territoriale della USL n. 28 (Settimo) ma ha manifestato, a suo tempo, la volontà di trasferimento alla USL n. 38 (Cuorgné) per comodità di accesso e di utilizzo dei servizi della medesima.
In attesa di avviare le procedure, di cui all'art. 2 della Legge regionale 21/1/80 n. 3, per l'eventuale modifica degli ambiti territoriali l'Assessorato aveva suggerito la stipula di una convenzione tra le UU.SS.LL. predette per consentire alla popolazione di Lombardore l'utilizzo dei servizi sanitari della USL n. 38.
Tale orientamento è stato espresso dall'Assessorato nel corso di incontri avvenuti tra maggio e giugno dello scorso anno con le parti interessate. L'USL 28 aveva provveduto, a seguito di tali incontri, a redarre una bozza di convenzione che, però, non veniva sottoscritta dalla USL 38 nonostante l'impegno assunto.
Questa situazione, unitamente alla precarietà di presunti accordi verbali tra le parti, ha determinato una carenza di assistenza relativamente alla Guardia medica notturna in Lombardore.
Per tale omissione, i Presidenti delle UU.SS.LL. n. 38 e 28 sono stati sottoposti a procedimento giudiziario in seguito al quale è stato condannato quest'ultimo, che ha ricorso in appello. Questi, su sollecito dell'Assessorato, in data 8/3 u.s. nella more di una eventuale convenzione ha disposto l'effettuazione di tutti i servizi per i cittadini di Lombardore secondo le modalità organizzative dell'USL n. 28.
L'Assessorato, conseguentemente, ha nuovamente assunto l'iniziativa affinché venga sottoscritta la Convenzione suddetta, convocando le parti in data 19 marzo u.s. per favorire un'intesa tempestiva e sicura, al fine di garantire ai cittadini di Lombardore l'accesso ai servizi dell'USL n. 38.
Attualmente sono in corso trattative per verificare tempi, modi e contenuti della Convenzione. E' inteso che la soluzione del problema presuppone la volontà politica degli organi delle Unità Sanitarie Locali attesa l'autonomia di tali organismi istituzionali.



CHIABRANDO Mauro

Mi dichiaro soddisfatto della risposta.


Argomento: Industria - Commercio - Artigianato: argomenti non sopra specificati

Interrogazione dei Consiglieri Bastianini, Marchini e Turbiglio inerente l'organizzazione di una crociera per piccoli e medi industriali "Business boat"


PRESIDENTE

Passiamo all'interrogazione dei Consiglieri Bastianini, Marchini e Turbiglio inerente l'organizzazione di una crociera per piccoli e medi industriali, "Business boat".
Risponde l'Assessore Sanlorenzo.



SANLORENZO Dino, Assessore all'industria

Ringrazio per l'interrogazione che ci consente di portare in Consiglio alcune note informative sull'iniziativa in corso.
In riferimento all'oggetto ed in particolare alla domanda avanzata dai Consiglieri regionali liberali al fine di conosce se la notizia corrisponde a verità, la risposta è - come noto - affermativa e si effettuerà dal 3 al 9 maggio.
La prima precisazione che viene richiesta dagli interroganti è innanzitutto riferita agli eventuali stanziamenti a sostegno dell'iniziativa pur essendo patrocinata dall'Assessorato regionale al lavoro e industria, non prevede per la Regione nessun costo, né di gestione, né di pubblicità, né tantomeno di spettanza per i servizi offerti dall'organizzazione tecnica curata da uno specializzato studio di consulenza industriale di Torino.
L'occasione è comunque opportuna per puntualizzare alcuni aspetti dell'iniziativa stessa che da, parecchio tempo è seguita dall'Assessorato.
L'obiettivo concreto dell'iniziativa è quello di sperimentare e attuare una politica attiva, concreta e tempestiva nel settore industriale della piccola e media impresa.
E' noto a tutti che molte piccole e medie imprese soffrono tra l'altro di una vera e propria saturazione dei propri mercati, molte altre non hanno la forza finanziaria e tecnologica per riconvertirsi in fretta ed affrontare in termini competitivi le agguerrite concorrenze straniere.
Da questa semplice constatazione, condivisa da tutti, parte la necessità di non assistere passivamente alla crisi, ma di escogitare nell'ambito e nel rispetto dei propri limiti, idee ed iniziative che possono offrire nuove opportunità di lavoro e nuovi spazi di mercato a tutte le imprese che si trovino in questa necessità.
Pertanto, da una elementare analisi dei mercati mondiali, in particolare quelli più realmente avvicinabili delle nostre imprese entro i limiti dei costi economici, è parso opportuno e non impossibile tentare di stabilire un raccordo con alcuni Paesi medio-orientali.
Per realizzare una prima tappa lungo questo percorso si è patrocinata l'organizzazione di un Congresso di lavoro (CEFIM: Congresso economico finanziario per lo sviluppo dell'impresa) per il periodo 3-9 maggio prossimi tra operatori economici, pubblici e privati, amministratori tecnici ed esperti italiani ed esteri allo scopo di ricercare ipotesi di raccordo tra potenzialità di domanda e offerta produttiva e porre le basi per la realizzazione di concreti interscambi tra diverse realtà industriali piemontesi medio orientali con particolare riferimento al settore dell'industria metalmeccanica.
L'iniziativa si articolerà attraverso i seguenti momenti: coinvolgimento di un consistente numero di imprese piemontesi, circa 300, e la loro messa a stretto contatto, per un certo periodo di giorni con missioni imprenditoriali estere al fine di stabilire punti di confronto circa le rispettive capacità produttive ed esigenze e individuare reali possibilità di interscambi totalmente piemontesi; abbiamo ricevuto richieste di informazioni e di adesione anche da altre Regioni (Lombardia Veneto, Emilia, Sicilia, Campania), ma per questa prima esperienza si è preferito limitarla al Piemonte favorire la conoscenza diretta e più specifica di quei mercati esteri già potenzialmente disponibili ad accordi con l'industria piemontese perch alcune imprese sono già presenti e il loro prodotto è apprezzato.
Le missioni economiche presenti saranno quelle dell'Egitto, della Tunisia, di Malta, del Kuwait, dell'Arabia Saudita e della Costa d' Avorio.
Queste sono le realtà geografiche ed economiche che in questa occasione si sono dimostrate maggiormente interessate alla costruzione di un ponte diretto senza pesanti intermediazioni con la nostra realtà economico industriale. Saranno inoltre presenti osservatori svizzeri e tedeschi (il Vicepresidente del Collegio industriali della Germania Occidentale e il Presidente degli industriali svizzeri, Tissot).
In particolare, inoltre, Malta, la Tunisia e l'Egitto (quest'ultimo in relazione al suo piano nazionale di sviluppo), si candidano quali interlocutori molto attivi ed interessanti a costruire una relazione di tipo permanente con il Piemonte e le rispettive realtà locali designate quali aree di sviluppo industriale. Dopo il CEFIM.
Di questi problemi si è discusso il 4 marzo scorso con la delegazione egiziana che abbiamo ricevuto a Palazzo Lascaris con il Presidente della Giunta e del Consiglio e successivamente con il Console generale di Malta il 15 marzo. E si discuterà del tutto, a giorni, con i rappresentanti della Tunisia.
Per quanto riguarda l'aspetto più insolito dell'iniziativa, vale a dire il luogo di svolgimento del Congresso, si è pensato di svolgere tutti questi contatti, confronti e, speriamo, accordi su una nave invece che nei saloni di un albergo o di un centro-incontri.
L'esperienza specifica fino ad oggi condotta induce a ritenere che i contatti diretti (oltre al "momento" culturale di conferenza fra imprese gli enti e gli esperti partecipanti) consenta una serie di rapporti più specifici, concreti e minuziosi a fini operativi.
Il confronto fra le varie componenti: imprenditoriali, economiche o finanziarie e pubbliche, può infatti risolvere quelle difficoltà che il sistema delle imprese piemontesi ha di fatto sempre registrato verso i mercati esteri, spesso rinunciando ad ipotesi di sviluppo per mancanza di conoscenze ed opportunità.
In definitiva, lo scopo dell'iniziativa è anche quello di iniziare a superare quei limiti.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bastianini.



BASTIANINI Attilio

Con soddisfazione di cittadino e con dispiacere di oppositore prendo atto della risposta.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PICCO


Argomento: Urbanistica (piani territoriali, piani di recupero, centri storici

Interrogazione dei Consiglieri Chiabrando, Lombardi, Penasso, Sartoria Picco e Ratti inerente l'edificazione di 150 ettari di terreni agricoli


PRESIDENTE

Interrogazione dei Consiglieri Chiabrando, Lombardi, Penasso, Sartoris Picco e Ratti, inerente l'edificazione di 150 ettari di terreni agricoli.
Risponde l'Assessore Rivalta.



RIVALTA Luigi, Assessore alla pianificazione territoriale

L'interrogazione dei colleghi Chiabrando, Lombardi, Penasso, Picco Sartoris e Ratti, chiede al Presidente ed all'Assessorato competente di sapere se è vero che un consorzio di imprese ha presentato alla Regione un piano di edificazione a scopo abitativo per l'insediamento, nella zona tra Rivalta e Rivoli, di circa 14.000 abitanti, occupando oltre 150 ettari di terreno agricolo.
In risposta a questa domanda posso dire che mi è stato inviato in data 18/12/81 e pervenuto all'Assessorato il 22/12/81, un opuscolo contenente (leggo dal titolo di copertina): "Una proposta di insediamento integrato: abitare nell'area torinese". La lettera di accompagnamento firmata dall'ing. Boggio, per il Collegio costruttori edili della Provincia di Torino, dal prof. Pollo, per la Lega nazionale cooperative e mutue, dal rag. Marena, per la Confederazione delle cooperative italiane. In quello stesso periodo questa documentazione è stata presentata personalmente al Presidente della Giunta, Enrietti. Il documento a cui mi riferisco penso sia stato inviato ai Consiglieri e pertanto penso sia noto agli interroganti.
Come annunciato dal titolo del documento si tratta della proposta di realizzazione di un intervento di edilizia abitativa. La proposta, per altro non può essere considerata un progetto, ma un'idea, un'indicazione di metodo e di tipo di intervento. Essa è presentata spontaneamente dai proponenti all'attenzione della comunità e delle istituzioni, in via del tutto informale, nel senso che non rientra nelle procedure previste dalle leggi per l'attuazione dell'edilizia residenziale pubblica.
I proponenti ritengono questa una soglia adeguata a consentire condizioni costruttive imprenditoriali, atte a promuovere economie di scala, riorganizzazioni produttive tecnologiche, introduzioni di nuove tipologie abitative e di criteri organizzativi e funzionali a livello urbanistico e territoriale. La dimensione dell'intervento, che è indicata nella proposta è di 10-15.000 vani. Si tratta cioè di un'indicazione di massima, che precisa solo l'ordine di grandezza dell'intervento.
L'idea, che è sostenuta dalle organizzazioni imprenditoriali e cooperative (cui ho fatto riferimento sopra) è elaborata da un gruppo di progettisti all'interno del quale si evidenziano capacità di elevato livello professionale e qualitativo: Barbieri, Bastianini, Cariglia Gabetti, Aimasso Isola, Mellano, Peano e Cellino.
Credo si debba, per la natura dei suoi sostenitori e per i progettisti dare per scontato il dato di serietà dell'idea progettuale proposta.
E' doveroso dire, peraltro, che tale iniziativa, spontaneamente portata avanti dai proponenti, si richiama alle leggi della Regione. Il richiamo ribadisco, ha valore del tutto informale in quanto si riferisce a norme di legge regionali che non hanno avuto sino ad ora applicazione. Essi si riferiscono alla legge 76 del 1979, ed in particolare al suo articolo 17 con il quale il Consiglio propone di promuovere progetti integrati, al fine di superare i limiti propri degli ordinari interventi edilizi parcellizzati, inadatti a risolvere problemi di carattere urbano e territoriale, e a promuovere processi di industrializzazione dell'edilizia.
Successivamente alla legge 76/79 (che fu emanata e applicata per la prima volta nell'ambito della definizione del II progetto biennale di edilizia residenziale, legge 457), attraverso il bando emesso per promuovere la domanda di contributo da parte delle cooperative e delle imprese costruttrici, al punto 12, si sollecitavano i soggetti attuatori a dichiarare la propria disponibilità a partecipare a un successivo bando per la realizzazione dei progetti integrati.
Tali progetti avevano come presupposto, l'integrazione dei finanziamenti dell'edilizia agevolata, cioè sia delle Imprese che delle Cooperative. Al punto 12 del bando dell'aprile 1980, risposero tre raggruppamenti di imprese e di cooperative. A questa risposta avremmo dovuto dar seguito attraverso un successivo bando di selezione. Tale bando non fu mai emesso a causa dell'indisponibilità delle aree necessarie per fare interventi di dimensione significativa di almeno qualche migliaio di vani. E ciò a causa del fatto che nel corso del 1980 fu necessario assegnare le aree per realizzare il secondo progetto biennale (e il Consiglio regionale sa che fu integrato del 70% in conto dei finanziamenti del terzo progetto biennale e da un intervento autonomo promosso dalla legge regionale n. 28) e per la realizzazione di case; per sfrattati finanziate dalla legge n. 25, per cui le aree disponibili furono rapidamente esaurite. Restò pertanto sospesa l'attuazione di tutta la procedura riguardante i progetti integrati. Procedura che la Regione intende ora riattivare sulla base della nuova potenzialità attuativa acquisita attraverso la legge n. 6 del 19 gennaio 1982, che prevede la formulazione di un programma di localizzazione per l'intero sessennio, e l'acquisizione delle aree necessarie.
Questa nuova legge consentirà quindi di creare le condizioni per realizzare i progetti integrati.
Vengo ora alle ulteriori domande specifiche che sono poste nell'interrogazione.
1)"Quali sono il pensiero e l'atteggiamento che la Giunta regionale intende assumere sull'argomento". La mia premessa ha già risposto in parte a questa domanda. La Giunta regionale, valuta non negativamente il fatto che i soggetti attuatori dell'edilizia residenziale pubblica abbiano prestato attenzione, pur se al di là delle procedure formali, ai criteri e alle modalità di possibile attuazione dei progetti integrati. Tuttavia l'informalità in cui tale proposta è nata, induce ad attribuire ad essa un carattere più ideale che progettuale e un significato più metodologico che operativo. Sotto questo profilo la si può considerare come una sollecitazione, un'indicazione orientativa, volta a promuovere l'applicazione delle leggi regionali riguardanti gli interventi integrati.
E' una dimostrazione che quella cooperazione e integrazione di intenti e di misure propugnata nella norma dell'art. 17 della legge 76 del 1979, è fattibile. Essa però deve essere indirizzata correttamente attraverso scelte di pianificazione territoriale e urbanistiche, e attraverso il pieno svolgimento delle procedure decisionali che sono previste dalle normative nazionali e regionali recenti.
La localizzazione dei finanziamenti deve essere prevista dallo schema di piano territoriale. Per questa ragione riteniamo sia importante un impegno politico di tutte le forze per giungere alla definizione di uno schema di Piano territoriale del comprensorio di Torino. In sua assenza la localizzazione dei finanziamenti per i prossimi restanti bienni del piano decennale sarà effettuata dal Consiglio regionale (l. n. 6/82). In ogni caso sarà la sede istituzionale e formale del Consiglio a scegliere la località e le dimensioni dell'intervento.
Solo dopo queste precisazioni e scelte localizzative si emetteranno i bandi per l'attribuzione dei finanziamenti. Non esistono quindi le condizioni formali per esprimere oggi un giudizio di merito, che sarebbe anticipatore di una procedura tutta da compiere.
2) "Se l'iniziativa è compatibile con il Piano di sviluppo regionale". Si può rispondere, in termini molto generali, che l'iniziativa riguardante la costruzione di 14-15.000 vani, sotto il profilo dei programmi regionali di edilizia residenziale, è certamente compatibile. Stiamo lavorando con i comprensori per definire un piano di intervento di edilizia residenziale pubblica, sovvenzionata, agevolata e convenzionata, a cui si aggiunge una aliquota di edilizia residenziale privata, di dimensione complessiva nell'intera regione, di circa 200.000 vani, nell'arco dei prossimi 6 anni.
Di questi 200.000 vani si può dire che 100.000 circa riguarderanno l'area torinese, e in buona parte l'area metropolitana. Quindi gli interventi della dimensione di quella proposta, sotto il profilo edilizio, sono certamente compatibili.
3) "Se la destinazione d'uso delle aree interessate prevista dai piani regolatori comunali consente l'insediamento". Confrontando le cartografie rappresentate a piccola scala nel documento a me inviato con i documenti di Piano regolatore del Comune di Rivoli, risulta che le aree assunte come riferimento per l'idealizzazione grafico-planimetrica della proposta sono a destinazione agricola, sia con riferimento al piano regolatore in vigore dal 1972, sia con riferimento alla sua variante attualmente all'esame del C.U.R.
Dalla carta sulla capacità d'uso del suolo, risulta poi che quei terreni sono in gran parte compresi nella 3^classe.
4) "Se la Giunta non ritiene in ogni caso di applicare le varie norme di salvaguardia dei terreni agricoli, previste dalle leggi 56/77 e 50/78". La politica della Giunta non è mutata rispetto a quella che dal '75 in avanti abbiamo cercato, non sempre condivisi, di far avanzare: e cioè rispondere alle esigenze esistenti e promuovere lo sviluppo attraverso un più corretto uso del territorio e delle risorse primarie. Per questo fine, insieme ad altri molteplici fattori, abbiamo preso in seria considerazione le caratteristiche del suolo e le sue capacità produttive facendole studiare ed elaborando la carta delle capacità d'uso del suolo, introducendo in questo senso una nuova dimensione culturale di conoscenza della realtà.
Su queste basi abbiamo promosso la formazione degli schemi di piano territoriale comprensoriale, che per 14 comprensori sono stati approvati dal Consiglio regionale nel luglio scorso. Con questi schemi sono state fatte scelte di organizzazione territoriale in cui i problemi di salvaguardia dell'ambiente e delle sue risorse sono stati affrontati insieme a quelli di sviluppo e localizzazione di nuovi insediamenti cercando di trovare linee di compatibilità tra esigenze talvolta contrastanti. Purtroppo operiamo su un territorio in cui processi decennali, se non secolari di disattenzione a questi problemi, hanno già determinato forti compromissioni e radicato, con esse, esigenze di ulteriori sviluppi insediativi e infrastrutturali non eludibili e indispensabili alla funzionalità stessa dell'esistente. Tutto ciò ha reso difficile una rigida applicazione del rispetto dei suoli agricoli.
Questa situazione è tipica dell'area torinese, dove uno sviluppo intenso e disordinato, e non controllato ha, soprattutto negli ultimi decenni occupato aree di elevata fertilità, di l^ classe, le aree più fertili, su cui si è dilatata la conurbazione. Siffatta conurbazione pone oggi grandi problemi di riorganizzazione, dì ristrutturazione e di innegabili ulteriori sviluppi fisiologici. Ricercare una compatibilità tra queste esigenze e la salvaguardia dei suoli agricoli più fertili, è un lavoro altamente difficile. Anche per questo, come Assessorato alla programmazione territoriale, al fine di salvaguardare le aree più fertili della pianura torinese, di 1^ e 2^ classe, avevamo proposto di orientare i nuovi insediamenti sulle pendici meno fertili della collina morenica tra Rivalta e Rivoli. D'altra parte, queste aree, a quota più elevata rispetto a Torino, offrono condizioni climatiche, ambientali, paesistiche più qualificate per insediamenti residenziali. Tra Rivalta, Rivoli, Alpignano e Pianezza potrebbe essere realizzato un articolato sistema di nuovi nuclei insediativi, ciascuno di dimensioni da definire, probabilmente più piccoli di quello delle proposte oggetto dell'interrogazione, intercalati agli abitati esistenti, nell'insieme realizzanti una articolata città lineare pedemontana, integratesi per servizi e funzioni, facilmente attrezzabile sul piano dei trasporti e della mobilità, da cui accedere con facilità verso Torino, e verso le zone industriali dell'interland torinese, di Orbassano-Rivalta, di Collegno-Grugliasco, di Alpignano e Pianezza.
Ma tutti questi problemi, questi indirizzi od altri alternativi, come la salvaguardia e l'uso dei suoli agricoli non possono che essere affrontati e commisurati se non attraverso scelte di piano: il piano territoriale intanto, e per quanto concerne in modo specifico i terreni agricoli, i piani zonali agricoli, che noi vogliamo diventino una base fondamentale per la formazione dei piani territoriali.
Purtroppo, non è stato approvato lo schema di piano territoriale del comprensorio di Torino; alcune forze politiche, la D.C. in particolare, si sono rifiutate di discutere le proposte elaborate e presentate. Purtroppo non si sono costruiti neppure i primi orientamenti del piano zonale agricolo, e si è impedito, per molto tempo, la costituzione delle stesse commissioni agrarie di zona. Paghiamo lo scotto, ora, nel prendere decisioni, dell'assenza di questi documenti di piano.
Noi riteniamo che a questi documenti si debba giungere rapidamente rispettando le procedure, per prendere decisioni organiche, seppur complesse. Invito tutte le forze politiche ad impegnarsi a questo fine intervenendo nel confronto costruttivamente, nel rispetto delle regole democratiche.
Non c'è altra via, se, per non dilazionare decisioni sull'edilizia residenziale, inammissibili sul piano sociale ed economico, non si vuole prendere singole decisioni settoriali in assenza di decisioni di piano.
Ribadisco che noi siamo favorevoli acché le decisioni di piano possano precedere quelle settoriali.
Questo, più che misure di vincolo per salvaguardia, è il corso da seguire.
5) "Se in ogni caso, l'insediamento in argomento sottragga o possa sottrarre in futuro risorse di denaro pubblico ad altre iniziative per risolvere il problema della casa, iniziative più marcatamente rivolte al decongestionamento dell'area urbana e ad un processo di collocazione residenziale diffuso sul territorio".
L'insediamento in argomento, aggiungo io, se dopo essere passato al vaglio delle procedure previste per gli schemi di piano territoriale, od in sua assenza, da quelle per il programma di localizzazione dell'edilizia residenziale previste dalla legge regionale n. 6 del 19/1/82, dovesse essere deciso, non sarebbe dal punto di vista delle risorse, distorcente nei riguardi della politica regionale tendente a uno sviluppo diffuso sul territorio.
Infatti, le valutazioni fondate sull'estrapolazione degli stessi dati della legge approvata in questi giorni dalle Camere, su cui si sta basando il lavoro in corso con i Comprensori per programmare la localizzazione degli interventi di edilizia residenziale del restante arco di tempo di validità del piano decennale, prevedono, come ho già detto, interventi per circa 200.000 vani in Piemonte. Una metà circa di questi non potrà essere riferita all'area torinese, l'area che presenta i problemi abitativi più acuti. E se anche una parte consistente di questa potenzialità edificatoria verrà orientata, come è necessario e giusto, alla ristrutturazione edilizia e urbana dell'esistente, non c'è dubbio che grande è comunque l'aliquota di edilizia nuova da costruire nella conurbazione torinese, secondo criteri di riorganizzazione territoriale ed urbana, di decongestionamento di Torino di conseguimento di migliore qualità della vita, e insieme di tutela ambientale di salvaguardia delle aree agricole, in particolare di quelle più fertili.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Chiabrando.



CHIABRANDO Mauro

Con la presentazione di questa interrogazione non vogliamo negare la necessità urgente di costruire nuove case. Né contestiamo il diritto dei cittadini privati, delle organizzazioni, delle imprese, delle cooperative e di professionisti di avanzare delle proposte.
Prendo atto della risposta in cui si dice che tutto deve essere verificato. Siamo ancora a livello di idee, non siamo ancora ai progetti.
Vogliamo evidenziare il Modo con cui si dovrebbero risolvere questi gravi ed urgenti problemi.
Abbiamo approvato diverse leggi per la tutela dell'ambiente, della natura, del suolo, dell'agricoltura. La legge 56 nelle finalità si richiama allo scopo primario dello sviluppo edilizio attraverso il recupero dei centri abitati e al completamento del tessuto edilizio esistente.
Spesso questi principi sono disattesi e ci troviamo di fronte alla vecchia politica del fare dove è più facile, dove si può fare più in fretta, dove costa di meno.
Ammetto che certi costruttori o professionisti vanno sulla linea del "più facile" e del "costa meno", però mi si permetta di richiamare il nostro impegno a "recuperare" prima di "completare". Prima dobbiamo tentare le altre strade, che forse sono più difficili, usare gli strumenti urbanistici vigenti che consentono già alcune migliaia di insediamenti.
Siccome le procedure sono tutte da avviare, invito la Giunta a discutere il problema su queste basi.
C'è poi il discorso dello sviluppo dell'area metropolitana. Sviluppo Ovest o non sviluppo Ovest? Il piano territoriale è da fare. E' il quindicesimo che manca.
La colpa era della D.C. Nel comprensorio ci saranno delle maggioranze che avranno la possibilità di decidere. La D.C., contesterà. Sta di fatto che il comprensorio di Torino in questi ultimi anni è stato gestito da questa maggioranza, quindi non vedo come si possa ribaltare la responsabilità sulla D.C., o sugli altri partiti di minoranza.
Vengo ai piani zonali agricoli che non hanno ancora avuto incidenza neanche nelle altre Province in quanto soltanto con la legge 50 si sono introdotti i Comitati di zona. Se i Comitati di zona non hanno operato posso spiegarne i motivi: si chiede la collaborazione dei Comitati di zona agricoli, però si impedisce che questi Comitati rappresentino l'agricoltura, e si vuole che rappresentino piuttosto i Comuni.
Mi pare che oggi anche i partiti della maggioranza riconoscano i comitati zonali agricoli. Quindi è auspicabile che poco per volta si risolvano tutti i problemi. Le proposte avanzate dalle cooperative dei costruttori non rispettano tutte le leggi della Regione, perché l'art. 25 della legge 56 non è rispettato.
Sulla carta della fertilità dei suoli vorrei chiarire che deve giocare il recupero delle aree compromesse di quella rete che dobbiamo completare a prescindere dalla fertilità; ci può essere un prato fertilissimo piazzato in mezzo a quattro capannoni che non serve più, quindi la carta dei suoli non può giocare lì perché quel prato deve essere destinato ad altri usi.
La carta della fertilità giocherà per le aree esterne agricole quando dovremo per forza andarle ad occupare, allora, le occuperemo per gradi (prima la terza classe, poi la seconda, poi la prima). Inoltre mi pare che i 15.000 vani che sono previsti qui, sono al di fuori dell'impostazione che era stata data.
Prendo atto della risposta politica e cioè che questa iniziativa è allo stato di progetto di massima, a cui dovrà seguire l'iter, presso le istituzioni e gli organismi a ciò preposti. Ci impegniamo, e impegniamo il Consiglio e la Giunta, a valutare questa proposta nel corso del suo iter alla luce dei principi e delle leggi.
Se riusciremo a utilizzare tutte le possibilità alternative che ci sono, sicuramente troveremo una soluzione che eviterà l'occupazione di quell'area che se è di terza classe, perché non fertilissima, è comunque l'unica area libera della zona.


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale


PRESIDENTE


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale

Argomento:

a) Congedi


PRESIDENTE

In merito al punto terzo dell'ordine del giorno: "Comunicazioni del Presidente", rendo noto che hanno chiesto congedo i Consiglieri Carazzoni Cerchio, Genovese, Lombardi, Mignone, Paganelli, Penasso, Simonelli Turbiglio.


Argomento:

b) Presentazione progetti di legge


PRESIDENTE

Sono stati presentati i seguenti progetti di legge: N. 199: "Prima nota di variazione al bilancio per l'esercizio 1982" presentato dalla Giunta regionale in data 18 marzo 1982 N. 200: "Istituzione della riserva naturale speciale della Valle Andona e della Val Botto", presentato dalla Giunta regionale in data 29 marzo 1982.


Argomento:

c) Apposizione visto Commissario del Governo


PRESIDENTE

Il Commissario del Governo ha apposto il visto: alla legge regionale dell'11 febbraio 1982: "Partecipazione della Regione Piemonte alla Società Interporto di Torino (S.I.T.O.) S.p.A.".


Argomento:

d) Deliberazioni adottate dalla Giunta regionale


PRESIDENTE

Le deliberazioni adottate dalla Giunta regionale nelle sedute del 16 e 23 marzo 1982 - in attuazione dell'art. 7, primo comma della legge regionale 65/1978, sono a disposizione presso l'Ufficio Aula. L'elenco delle medesime è allegato al processo verbale.


Argomento: Programm. e promoz. attivita" socio-assist. (assist. minori, anziani, portat. handicap, privato sociale, nuove poverta")

Esame progetto di legge n. 54: "Indirizzi e normative per il riordino dei servizi socio-assistenziali della Regione Piemonte"


PRESIDENTE

Il punto quarto all'ordine del giorno reca: "Esame progetto di legge n.
54: 'Indirizzi e normative per il riordino dei servizi socio-assistenziali della Regione Piemonte' " Relatore è il Consigliere Viglione a cui do la parola.



VIGLIONE Aldo, relatore

E' ben noto che la disciplina di base della materia dell'assistenza e della beneficenza risale a normative emanate in epoca talmente antica (le fondamentali risalgono a quasi un secolo fa) che può dirsi a ragione non essere in grado di rispondere alle esigenze di un Paese che si è profondamente trasformato sotto il profilo economico, sociale e culturale.
Tale disciplina non è stata modificata nelle sue linee portanti nonostante che il vasto dibattito a cui la materia ha dato luogo soprattutto dopo l'entrata in vigore della Costituzione, abbia prodotto radicali trasformazioni nei concetti teorici e nella coscienza sociale, che prendono atto della necessità del superamento degli strumenti della beneficenza per risolvere i problemi dell'emarginazione e del disagio di ampi gruppi di popolazione.
Le molteplici proposte di riforma presentate nel corso delle varie legislature da quasi tutte le forze politiche nazionali, paiono sempre in procinto di trasfondersi in un'organica legge-quadro, prevista dalla Costituzione e certo auspicata dalle forze sociali e dagli Enti locali che in questi anni hanno dovuto utilizzare tutto il loro senso di creatività e se il caso, il loro "coraggio istituzionale" per venire incontro appunto alle mutate esigenze del Paese, senza avere principi e strumenti generali certi (e possiamo anche aggiungere: risorse finanziarie adeguate) per rispondere a tali esigenze.
La legge in esame è presentata tenendo conto da un lato del fatto che non è possibile prevedere un'approvazione in tempi rapidi della legge quadro di riforma dell'assistenza e dei servizi sociali (in quanto pure il testo unificato della proposta di legge è da tempo all'esame delle Camere) mentre la collettività regionale richiede indirizzi certi, almeno per quanto di competenza della Regione; dall'altro prendendo atto che l'emanazione di una legge di riordino della materia non solo è prevista da precisi disposti legislativi (si vedano gli artt. 25 e 118 del D.P.R.
24.7.77), ma sostanzialmente è imposta da alcuni inneschi di riforma del settore in quest'ultimo decennio.
Un primo momento si è avuto agli inizi degli anni '70, quando, con l'avvio dell'ordinamento regionale, le Regioni hanno potuto iniziare a legiferare in materia e, in base ai decreti delegati del 1972, sono state destinatarie di alcune competenze amministrative già esercitate dallo Stato; un secondo momento si è avuto con la legge 22.7.75 n. 382, che tenendo conto della incompletezza e della disorganicità delle competenze amministrative a livello locale, ha delegato il Governo (che ha attuato la delega con il D.R.P. 24.7.77, n. 616) a trasferire le competenze ancora esercitate da uffici centrali e periferici dello Stato e da Enti nazionali ed interregionali.
Sia pure tenendo conto della sentenza della Corte Costituzionale, che abrogando alcune norme del citato D.P.R. 616/77 rende sempre più urgente l'emanazione di normative nazionali sulle II.PP.AA.BB., enti pubblici che impegnano nel campo assistenziale risorse di personale e di beni notevoli in termini complessivi, la normativa citata ha nel contempo fatto registrare alcuni passi avanti sulla strada della riforma, sia sul piano dei contenuti che su quello organizzativo e reso necessario e improrogabile a livello locale un riordino che valga ad eliminare le settorializzazioni delle politiche di servizio, degli strumenti e delle procedure implicite nell'esistenza di uffici ed organi di diversi ministeri, e di enti con autonomia statutaria attribuita con leggi emanate in epoche diverse e non coordinate fra loro, definendo a tale scopo un'organizzazione coerente con la politica dei servizi che si va affermando.
In realtà la legge che è ora all'esame del Consiglio non si pone nel vuoto, ma è un'ulteriore tappa di un processo di maturazione culturale e anche normativo che, nell'ambito del territorio piemontese, ha gradualmente precostituito il quadro che, pur ancora non completo, si puntualizza ulteriormente in questa sede.
Con la legge regionale 8.8.77 n. 39 si promuoveva infatti l'associazione di Comuni e Comunità montane, in ambiti territoriali adeguati, per l'esercizio delle funzioni amministrative regionali ad essi delegate nel campo soprattutto dell'assistenza e della sanità e di quelle proprie che i Comuni volessero esercitare in forma associata: con ciò si intendeva affermare il principio che la Regione svolge un ruolo non di gestione amministrativa, ma di legislazione, programmazione, coordinamento e controllo; che l'organizzazione e la gestione dei servizi sociali degli Enti locali può attuarsi in modo efficace tramite lo strumento dell'associazione (che allo stato della legislazione non poteva essere che il consorzio previsto dal T.U.L.C.P., del 1934), considerate le dimensioni territoriali e demografiche dei Comuni piemontesi, come si sono venuti a costituire storicamente; che è opportuno che le funzioni in materia di sanità ed assistenza si svolgano in forma integrata.
Con tale normativa quindi si erano anticipati alcuni contenuti del D.R.P. 616/77 e della legge di riforma sanitaria 23/12/1978 n. 833, che hanno ribadito i principi descritti dandovi maggiore forza, consentendo cioè alla Regione di promuovere anche forme obbligatorie di associazione per la gestione delle funzioni assistenziali di cui i Comuni, peraltro rimangono titolari (vedasi l'art. 25 del D.P.R. 616/77) e richiedendo l'integrazione delle stesse con quelle sanitarie, nelle forme definite dalle Regioni (vedasi l'ultimo comma dell'art. 15 della legge di riforma sanitaria).
In tale linea si sono mosse già le leggi regionali 21 gennaio 1980 n. 3 e 27 maggio 1980 n. 60, attuative del servizio sanitario regionale, nonch la legge di Piano socio-sanitario per il triennio 23.12.1981 che richiedono ora ulteriori disposizioni in termini di finalità e di contenuto della politica dei servizi e alcune specificazioni in termini di organizzazione.
Prima di illustrare analiticamente gli articoli del disegno di legge, è opportuno richiamare le motivazioni di alcune scelte fatte.
Dal punto di vista dei contenuti della politica dei servizi, si vuole porre l'accento sulla necessità che i problemi delle persone e dei gruppi sociali siano affrontati prioritariamente non mediante l'attuazione di interventi che riparano o tentano di riparare danni già avvenuti, ma nell'ottica della ricerca e dell'analisi dei rischi di emarginazione, di disagio e di danno sociale cui alcune fasce di popolazione sono sottoposte al fine di promuovere e attuare quanto più possibile interventi di carattere preventivo, che ovviamente comportano interventi non solo nel campo assistenziale, ma in molteplici altri settori. Per quanto riguarda la scelta, l'individuazione delle priorità e le modalità di svolgimento degli interventi assistenziali in senso stretto, ancor pur sempre necessari, si mira in primo luogo a promuovere, favorire e sostenere l'autonomia del singolo, nell'ambito del suo nucleo familiare o comunque del suo ambiente sociale, sia intervenendo direttamente sui suoi bisogni essenziali (economico, di autonomia abitativa, di aiuto allo svolgimento delle attività essenziali nella vita quotidiana, di integrazione sociale), sia promuovendo e sostenendo il ruolo essenziale che la famiglia può svolgere a tali fini.
Gli interventi attuati mediante ricovero in strutture residenziali, già regola nel sistema assistenziale italiano come risposta uniforme a bisogni estremamente differenti delle persone, si prevedono, per rispetto alla loro dignità e libertà personale, nonché l'efficacia dell'intervento stesso solo in caso di necessità, quando cioè le persone non siano autosufficienti e richiedano assistenza personale continua.
Dal punto di vista organizzativo, si è ribadita la necessità della gestione associata dei servizi socio-assistenziali, e della gestione integrata con i servizi sanitari, in quanto tutti servizi inerenti al benessere psicofisico delle persone, da svolgersi nell'ottica della prevenzione dei bisogni e spesso praticamente non scindibili, in quanto rivolti a persone i cui bisogni sono da valutare e risolvere globalmente.
Al fine di meglio realizzare tale integrazione, si è ritenuto necessario attribuire la gestione integralmente agli stessi organismi istituzionali che gestiscono le funzioni sanitarie.
Particolare cura è stata dedicata al fine di tenere distinta la gestione finanziaria e contabile dei servizi sanitari e di quelli socio assistenziali, come si ricava dalla legge stessa che si presenta nonch dalla legge e regionale 13.1.81 n. 2, artt. 92 e segg., e dal piano socio sanitario triennale approvato con legge regionale 23.12.1981.



PRESIDENTE

La parola al collega Martinetti.



MARTINETTI Bartolomeo

Signor Presidente, signori Consiglieri, ancora una volta il Gruppo D.C., affronta il dibattito consiliare su un progetto di legge che lo vede in posizione di profondo dissenso rispetto all'impostazione della Giunta e della maggioranza con la coscienza di aver svolto e di svolgere con la massima serietà ed il massimo impegno il proprio ruolo.
Abbiamo partecipato con attivo interesse a tutti i lavori della V Commissione in un clima che, a parte la diligente presenza dell'Assessore Cernetti, non ha sempre rivelato altrettanto interesse da parte dei Gruppi di maggioranza. Anche questa volta abbiamo accettato, quando non suggerito gli accorgimenti indispensabili perché il progetto di legge potesse essere licenziato nonostante la sistematica assenza di alcuni Gruppi dell'attuale maggioranza.
Delle difficoltà di funzionamento della V Commissione è bene che giunga un'eco in quest'aula consiliare, perché è uno dei sintomi di crisi del Consiglio stesso e di quell'inceppamento della macchina regionale di cui è stata dal nostro Gruppo fatta anche recentemente denuncia. Vi sono proposte di legge presentate un anno fa dalla Giunta, contenenti addirittura la clausola dell'immediata esecutività, che non vanno avanti perché i Gruppi di maggioranza non trovano l'accordo oppure non sono presenti per assicurare alle proposte la dovuta maggioranza.
La nostra partecipazione al lavoro legislativo è assidua e responsabile come provano anche i numerosi emendamenti che abbiamo presentato sulla proposta di legge in esame: ma non si può chiedere a noi di offrire le stampelle ad una maggioranza che non riesce per assenteismo o per contrasti interni, a dare sbocco alle sue stesse iniziative.
Dobbiamo però anche dire, Signor Presidente e colleghi, che al nostro impegno di confronto serio e responsabile non corrisponde proprio nel campo specifico dell'assistenza, oggetto della presente legge, quel riconoscimento della nostra specifica funzione, di un nostro positivo spazio di intervento che, come anche recentemente lo stesso Presidente della Giunta ha riconosciuto, deve costituire la base di un corretto rapporto con l'opposizione.
Sono passati sei mesi, da quando il dibattito su una nostra mozione sul problema delle IPAB si è concluso in quest'aula con l'impegno della Giunta e della maggioranza di approfondire le nostre richieste, che erano di chiarire un atteggiamento rivolto a bloccare la vita e lo sviluppo degli enti assistenziali autonomi e di assumere provvedimenti a sostegno della loro attività, nel periodo transitorio conseguente alla nota sentenza della Corte Costituzionale. Nulla si è mosso in proposito, e continuano ad applicarsi (anche se com'era prevedibile vari Comitati di controllo sono di diverso avviso) i vincoli illegittimamente imposti all'autonomia degli enti con la circolare da noi contestata.
Questo è il clima in cui, come forza di opposizione, ci troviamo mentre iniziamo il dibattito in aula su una legge che vuole affrontare il problema dell'assistenza nella sua globalità e che non può non obbligarci come faranno anche altri Consiglieri del nostro Gruppo, a ripetere i nostri gravi motivi di dissenso sull'insieme della politica assistenziale di questa Giunta e di questo Assessorato. E ciò facciamo per dovere, per rispetto alla nostra funzione di forza di opposizione, anche se l'esperienza recente del dibattito sul piano socio-sanitario, dove proprio nel settore assistenziale abbiamo trovato la più rigida resistenza alle nostre proposte e la più ferrea chiusura alle nostre impostazioni, non ci lascia adito a molte illusioni circa il successo della nostra azione.
Prima di entrare nel merito dei motivi pratici e giuridici che ci fanno ritenere intempestiva e inopportuna, sotto vari aspetti illegittima, oltre che errata in alcuni contenuti, la proposta di legge oggi all'esame di questo Consiglio, fino a spingerci a richiedere il non passaggio agli articoli e quindi l'accantonamento della stessa, vogliamo esporre alcune considerazioni generali rivolte a sgomberare il terreno da ogni possibile equivoco sul nostro atteggiamento.
Il movimento sociale e politico dei cattolici italiani, alla cui storia e alle cui battaglie ci richiamiamo, ha sempre mostrato una particolarissima sensibilità per i problemi socio- assistenziali, unita ad una capacità di intervento e di realizzazione che soltanto un giudizio storico settario e preconcetto potrebbe contestare.
Non vogliamo, certo, rivendicare per noi i grandi meriti che l'assistenza sociale, per lo più di matrice cattolica, ha accumulato nel passato in questo nostro Paese e specialmente nella nostra Regione; essi sono patrimonio di tutti, e noi non recriminiamo neppure che le vicende politiche degli ultimi 100 anni abbiano portato spesso lo Stato, o come si dice la "mano pubblica", ad appropriarsi di iniziative e di istituzioni sorte nel privato e nel religioso, per farne patrimonio e strumento di tutta la collettività.
Rivendichiamo le origini e il carattere dell'assistenza pubblica in Italia e in Piemonte solo per il giusto riconoscimento di una realtà che nei tempi recenti, forse ieri più di oggi, si è qualche volta voluta negare in blocco, in nome di alternative a volte utopistiche, spesso fantasiose e illusorie.
Non è mancato chi ha creduto di poter cancellare con un tratto di penna tutto un sistema di istituzioni benefiche, meritorio per il passato e in gran parte valido anche oggi, sull'onda di alcune deviazioni, anche gravi ma certo non motivanti un giudizio negativo esteso alla generalità delle iniziative esistenti. Noi non accettiamo giudizi apodittici ed indiscriminati, vere cortine fumogene su un orizzonte di iniziative e di istituzioni che hanno ancora tanto da insegnare agli odierni operatori del sociale.
Ciò non di meno siamo d'accordo nel riconoscere, come abbiamo letto nella relazione di Viglione, che i tempi mutati, (e quanto radicalmente lo sappiamo) esigono la capacità di adeguare le istituzioni e le attività assistenziali alle nuove condizioni della società, ai bisogni diversi emergenti dall'attuale organizzazione del lavoro e della vita urbana, anche alle nuove possibilità di intervento che la ricerca scientifica oggi offre nel tempo della sanità, della psicologia, della sociologia. E ugualmente siamo disposti a riconoscere che, mentre molte delle tradizionali istituzioni assistenziali hanno dato prova della dovuta capacità di aggiornamento, ponendosi in condizione di rispondere adeguatamente alle nuove e' diverse istanze della società moderna, altre sono rimaste troppo legate a vecchi schemi e spesso per mancanza di mezzi, ma a volte anche per incapacità di rinnovarsi e di capire le nuove situazioni, non hanno saputo trasformarsi nella misura richiesta dall'evolversi dei tempi.
Indispensabile, dunque, l'azione dello Stato e della Regione per sollecitare e rendere possibile la realizzazione di un sistema sociale adeguato alle esigenze dei cittadini di oggi, e che faccia tesoro di tutto quanto scienza ed esperienza suggeriscono dì innovativo e di producente rispetto alle modalità di approccio con le persone bisognose di assistenza.
Un nuovo sistema socio-assistenziale che nulla distrugga di quanto ragionevolmente è o può diventare adeguato alle necessità attuali; un sistema che crei nuovi servizi e nuove attività secondo un programma di riequilibrio e di equa distribuzione delle risorse; un sistema che lasci spazio all'inventiva generosa ed intelligente invece di soffocare la fantasia di chi ricerca nuovi modi per essere vicino a chi ha bisogno. E tutto questo con la realistica considerazione delle possibilità finanziarie che in un momento non facile per l'economia nazionale si possono destinare a tale settore.
Ancora una volta, quindi, affermiamo con piena coscienza che riconosciamo la necessità di un razionale intervento coordinatore, di una efficace sollecitazione al rinnovamento, con occhio attento a quelle esigenze che essendo più tipiche dei nostri tempi, meno hanno trovato risposta nelle attività del passato: vogliamo dire l'assistenza domiciliare ed ogni azione volta a mantenere l'assistito nel suo ambiente familiare e sociale; l'inserimento scolastico e lavorativo degli handicappati; l'azione riabilitativa e di recupero; i nuovi modi di attivazione delle forme assistenziali per gli anziani, eccetera.
Anche sul piano organizzativo desideriamo sottolineare che non siamo contrari alla tendenza, che giudica per lo più inadeguata la dimensione comunale all'esercizio delle funzioni assistenziali, di cui peraltro, i Comuni sono titolari in forza dell'attribuzione loro fatta dal D.P.R. 616.
Torneremo in seguito su questo problema rispetto al quale riteniamo che in questa fase una graduale sperimentazione nascente dal confronto democratico fra Comuni e USL sia molto più produttiva di una imposizione dall'alto, peraltro non validamente supportata dalla legittimazione giuridica e da un sostegno tecnico e finanziario. Così come riteniamo che sia sbagliato e dannoso stabilire per principio che non vi sia alcun servizio che possa più convenientemente erogarsi direttamente dal Comune ma concordiamo sul fatto che ci si debba muovere nella direzione indicata dall'art. 25 del DPR 616 e dagli artt. 11 e 15 della stessa legge di riforma sanitaria, che cioè l'ambito più adeguato all'esercizio delle funzioni assistenziali sia lo stesso stabilito per le funzioni sanitarie e che in tale ambito debba attuarsi la gestione coordinata ed integrata dei servizi sanitari e di quelli sociali.
Vengo da una provincia in cui tutte le Unità Sanitarie Locali sono a direzione democristiana e dove pure, in forma graduale e sperimentale, ed a seguito di confronti serrati tra i Comuni, si è molto avanti per quanto attiene l'inizio della gestitine integrata dei servizi sociali. Quindi, non opposizione pregiudiziale di principio da parte nostra, ma contestazione del metodo autoritario, accentratore ed intempestivo di cui, a nostro avviso, la proposta di legge 54 è un esempio.
Noi riteniamo, quindi, che in attesa della legge nazionale di riforma del sistema assistenziale, una diffusa sperimentazione possa avviarsi nella Regione Piemonte, come del resto è già avviata, di tutte le nuove attività ed i nuovi servizi, che il piano socio-sanitario approvato e la legislazione nazionale e regionale vigente già ampiamente consentono.
Allo stesso modo nulla vieta ai Comuni di ricercare la graduale integrazione di quelle attività che per il grado di attuazione e per le concrete condizioni locali appaiono più convenientemente realizzabili in forma associata e di affidarne la gestione agli stessi organi delle USL attraverso accordi e convenzioni.
Tutto questo è possibile e largamente già avviene. Voler fare di più obbligare i Comuni con una legge che li espropria delle loro attribuzioni specifiche, ad affidare alle Unità Sanitarie Locali la gestione totale ed assoluta del settore assistenziale, è, secondo noi, inopportuno intempestivo ed, in gran parte, illegittimo.
Inopportuno sul terreno pratico per le ragioni che in parte abbiamo già ricordato. In molte passate occasioni ci era sembrato di riscontrare in questa amministrazione regionale, anzi, l'avevamo riconosciuto come un piacevole carattere positivo dell'atteggiamento delle sinistre al governo degli Enti locali, un grande bisogno di garantire a tutte le iniziative specie quelle politicamente più impegnate, il supporto di un ampio consenso degli enti e dei privati interessati.
Abbiamo esempi in cui (cito il caso dei Consorzi trasporti) si è prescelta ed accettata la lunga e difficile via dell'associazione volontaria e consensuale, convinti dello spessore politico di un consorziamento derivante dalla libera e magari faticata scelta dei Comuni rispetto all'imposizione autoritaria dall'alto.
Questa volta tale atteggiamento prudente, ma politicamente più produttivo, è stato abbandonato. Piaccia o no, sia riconosciuto utile, o sia temuto come dannoso e negativo dai Comuni titolari delle funzioni e primi interpreti delle volontà dei cittadini, il trasferimento dei servizi dei beni e del personale dei Comuni alle U.S.L. deve avvenire per decreto del "principe". Il tanto decantato consenso viene completamente dimenticato, la volontà dei Comuni, in una decisione così rilevante, è rischiosa, non è salvaguardata neanche sotto la forma di quel modesto "sentiti i Comuni interessati" che pure avevamo ottenuto in un ordine del giorno di indirizzo per l'applicazione del piano socio-sanitario.
Disconosciuto così il primario diritto ed interesse dei singoli Comuni viene completamente trascurata ogni valutazione concreta sul posto in relazione alle obiettive realtà esistenti dalla quale potrebbe derivare scelte diverse, applicazioni non totalizzanti, ma articolate e graduali del principio dell'integrazione.
Noi siamo convinti che una scelta responsabile e motivata degli amministratori locali condurrebbe sempre a risultati più attendibili di quelli che si possono sperare da una soluzione imposta in modo indiscriminato dall'alto; ma se anche ciò non fosse, non ne trarremmo motivo sufficiente per rinunciare al pieno coinvolgimento dei Comuni e delle popolazioni su questioni di tanto rilievo.
Questa legge, dunque, è per noi inopportuna in un momento in cui l'avvio delle attività delle USL per l'attuazione della riforma sanitaria rende già complesso e affannoso il lavoro degli amministratori locali.
Potremmo comprendere questa spinta e questa sollecitazione, se - come forse gli stessi amministratori locali incautamente sperano - da questa legge derivassero strumenti tecnici e apporti finanziari per mettere in moto un rivolgimento così radicale e da cui deriverà, oltre tutto, l'aspettativa di prestazioni più ampie ed efficaci di quella attualmente disponibile. Ma così non è. Alle maggiori attese e ai costi di un'attività integrata che quanto meno dovrà tendere, per non essere del tutto illusoria, al riequilibrio territoriale, cioè ad estendere i servizi alle zone attualmente carenti, senza abbassare il livello di quelle che ne sono già dotate, i Comuni dovranno far fronte a tutto questo con i loro mezzi e con il loro personale perché la legge in esame non impegna finanziamenti maggiori di quelli di cui già si dispone.
Tutte queste considerazioni di carattere pratico stanno anche alla base di un diffuso atteggiamento di richiamo alla prudenza, specie per quanto concerne la commistione tra gestione finanziaria della sanità e quella dell'assistenza, che ci pare di poter desumere da una serie di comportamenti governativi e parlamentari.
Già in sede di riesame della legge del piano socio-sanitario abbiamo dovuto prendere atto della richiesta del Governo di garantire l'assoluto rispetto della diversa destinazione delle risorse sanitarie e socio assistenziali, ed anche se solo in parte, non abbiamo potuto trascurare l'osservazione informale del Commissario di Governo secondo cui "non essendo ancora intervenuta la preannunciata disciplina da stabilirsi con legge statale, i Comuni non possono essere privati di funzioni delle quali rimangono, allo stato, esclusivi titolari".
Non a caso tale affermazione è contenuta in forma esplicita nel testo della legge di piano sanitario nazionale 1982/84 licenziato dal Comitato ristretto nei giorni scorsi, di cui siamo venuti in possesso grazie alla cortesia dell'Assessore Bajardi. All'art. 6 che contiene le indicazioni "vincolanti" a cui la legislazione regionale avrà l'obbligo di adeguarsi viene elencato infatti "il rispetto in attesa della riforma dell'assistenza, delle competenze degli Enti locali nelle attività di tipo socio-assistenziale e nella relativa utilizzazione del personale impiegato presso gli enti stessi". E lo stesso articolo prevede che "gli Enti locali possono delegare alle USL le proprie attribuzioni in materia anche in modo parziale facendosi carico del relativo finanziamento".
E' vero, non si può fare ricorso a testi legislativi ancora in itinere anche se sappiamo che sui concetti enunciati le principali forze politiche concordano. Noi abbiamo richiamato quanto sopra per avvalorare con valutazioni, di fonte certamente autorevole, la nostra convinzione sull'inopportunità e l'intempestività della proposta di legge regionale n.
54.
L'intempestività è indubbiamente in relazione con il fatto che si attende, come già ricordato, la legge quadro di riordino dell'assistenza.
Certo, come ha ricordato il Consigliere Viglione, l'esperienza ci insegna a non illuderci sulla possibilità del Parlamento di giungere in tempi brevi all'emanazione di tale legge.
Tuttavia, la sua necessità è riconosciuta da tutti, specie dopo la nota sentenza sulle IPAB, almeno per regolare quel settore. Dopo la sentenza della Corte Costituzionale i lavori della Commissione interparlamentare costituita ad hoc, hanno ripreso con maggior vigore. Comunque si hanno notizie circa un progresso continuo dell'esame della stessa presso le Commissioni riunite affari costituzionali-interni della Camera dei Deputati.
Il fatto poi che se ne faccia esplicito richiamo anche nell'ultima proposta di piano socio-sanitario nazionale, da cui ho tratto la citazione di poco fa, spinge a credere che sia intendimento, almeno della maggioranza parlamentare, di accelerarne la definizione.
Il testo in esame, e in parte già approvato dalle Commissioni parlamentari suddette, consente di prevedere che la legge di riforma fisserà i principi, gli obiettivi, le finalità, i destinatari della pubblica assistenza, preciserà i compiti della Regione, delle Province e dei Comuni (sembra di leggere i titoli degli articoli della legge 54), cioè si tratteranno nella legge nazionale specifici argomenti oggetto di altrettanti articoli della proposta di legge 54.
Inoltre il progetto della legge di riforma, stabilisce per le Regioni l'obbligo di tenere un registro delle istituzioni di assistenza privata fissa i criteri per il concorso degli utenti e determina le modalità di erogazione delle prestazioni economiche. Non sarà fuori luogo ricordare che rispetto a quanto forma oggetto del nostro principale rilievo alla proposta di legge in esame, e cioè l'integrazione obbligatoria immediata di tutti i servizi sociali nelle USL. la proposta di legge nazionale, nella parte già favorevolmente esaminata dalla Commissione parlamentare suddetta, legge nazionale che pure stabilisce il quadro non provvisorio ma a regime dell'assistenza pubblica, ammette l'alternativa tra la gestione comunale diretta e quella attraverso le USL e lascia alla legge regionale di stabilire le funzioni che, essendo attinenti a servizi di base, dovranno essere esercitare dai singoli Comuni o addirittura da organismi di decentramento comunale.
Da tutto quanto abbiamo esposto, deriva quanto meno la considerazione dell'incertezza dell'attuale momento, anche se può affermarsi senz'ombra di dubbio Che l'orientamento che va facendosi strada è quello di una grande prudenza rispetto alla semplice unificazione della gestione del sociale con quella della sanità; - di un richiamo, anzi, all'esigenza di una netta distinzione nell'uso delle risorse finanziarie; di una tendenza, infine, a garantire ai Comuni la diretta gestione almeno dei servizi di base e di evitare comunque soluzioni che, senza la partecipazione dei Comuni conducano ad accentramenti ed unificazioni imposte d'autorità.
Tutte buone ragioni queste, a nostro avviso, per consigliare una pausa di riflessione durante la quale, e lo ripetiamo, nulla è pregiudicato rispetto all'attuazione di scelte graduali e meditate dei Comuni per l'integrazione di quanto è utile ed opportuno integrare.
Resta comunque indispensabile, e mi scuso per l'ampiezza di questo intervento, un richiamo preciso anche al quadro giuridico e costituzionale da cui, a nostro modesto avviso, derivano grosse riserve circa la legittimità del provvedimento proposto. Facendo questo richiamo non temiamo di essere accusati di formalismo, come altre volte è avvenuto; il rispetto della Costituzione e delle leggi statali vigenti, in quanto queste costituiscano principi generali riconducibili a quelli richiamati dall'art.
117 della Costituzione, è dovere sostanziale e non formale del legislatore regionale.
La legge di riforma sanitaria n. 833 del 23.12.1978, istituisce le USL e affida alla legge regionale di stabilire norme per la gestione coordinata ed integrata dei servizi delle USL con i servizi sociali esistenti nel territorio.
Nulla nella suddetta legge lascia presumere che con legge regionale si possano modificare le attribuzioni e le funzioni della USL fino ad affidarne direttamente la gestione dei servizi socio-assistenziali e giungendo addirittura a modificarne la denominazione.
La stessa infelice espressione dell'art. 25 del DPR 616 "gli ambiti territoriali di cui sopra devono concernere contestualmente la gestione dei servizi sociali e sanitari", non porta a concludere che il legislatore volesse affidare alle Regioni il potere di trasformare le Unità Sanitarie Locali in Unità Socio-Sanitarie Locali, dando ad un organismo dettagliatamente definito dalla legge nazionale, altre funzioni e diversa struttura.
Altro è il concetto da noi suggerito e che è ripreso nel testo prima citato del progetto di legge per il piano sanitario nazionale, della possibilità di delega alle Unità Sanitarie Locali da parte dei Comuni di determinate loro funzioni.
Tutto ciò, ovviamente, in attesa della legge di riforma dell'assistenza che avrà la possibilità di cambiare il quadro giuridico esistente, di trasformare le Unità Sanitarie Locali in unità socio-sanitarie locali come in effetti risulta dalla proposta in esame al Parlamento, di stabilire le soluzioni organizzative adeguate e di modificare qualsiasi altra normativa nazionale vigente, cosa che la legge regionale non può fare.
Oltre a questa riserva di illegittimità di carattere generale, non possiamo trascurare quella specifica che riscontriamo negli artt. 23 e 24 della proposta di legge. Nonostante i nostri precisi rilievi in proposito la nuova legge dovrebbe stabilire l'obbligo di richiedere ed ottenere un'autorizzazione regionale da parte di chiunque intenda aprire o trasformare un servizio residenziale tutelare; la richiesta dell'autorizzazione e l'adeguamento alle condizioni stabilite dal Consiglio regionale per ottenerla, dovrebbe condizionare anche il funzionamento delle istituzioni già esistenti.
Non è difficile sostenere che queste disposizioni contrastano con l'art. 38 della Costituzione dove è affermato che l'assistenza privata è libera; essa non può essere dunque sottoposta a vincoli particolari che non siano semplicemente le norme igieniche sanitarie, quelle di polizia e quelle generali del Codice Civile.
La legislazione statale imponeva una speciale autorizzazione soltanto per l'apertura degli asili nido e non è mancato chi abbia autorevolmente contestato la legittimità costituzionale anche di tale vincolo. Qualora la nostra proposta di non passaggio agli articoli dell'intera legge venga respinta, noi proporremo precisi emendamenti agli articoli 23 e 24, certi di essere in una linea di chiara legittimità nell'invocare che l'adeguamento a speciali criteri o parametri di funzionamento sia limitata a quelle istituzioni che vogliono concorrere al convenzionamento con i Comuni o con le Unità Sanitarie Locali.
Ci auguriamo che i giorni che trascorreranno prima dell'eventuale discussione dell'articolato valgano ad un serio riesame del problema da parte dell'Assessorato all'assistenza a cui chiediamo di mostrare se non accondiscendenza alle nostre richieste, almeno cautela rispetto al rischio evidente di illegittimità.
Crediamo, colleghi Consiglieri, con le valutazioni e le considerazioni esposte, di aver espresso nel modo più chiaro possibile le ragioni che ci inducono a chiedere al Consiglio ai sensi dell'art. 77 del vigente regolamento di non procedere all'esame degli articoli della proposta di legge.
Nell'ordine del giorno che abbiamo presentato alla Presidenza chiediamo che la pausa di riflessione da noi proposta sia utilizzata per consentire alla Giunta di offrire al Consiglio importanti elementi di conoscenza che per ora ci mancano: sono i dati relativi alla situazione in atto, rispetto ai servizi sociali la cui gestione è già stata affidata o è in corso di affidamento alle Unità Sanitarie Locali della Regione da parte dei Comuni e quelli concernenti le disponibilità finanziarie reali, la loro ripartizione, il grado e le modalità di impiego da parte dei Comuni singoli o attraverso le Unità Sanitarie Locali.
La mancata conoscenza di questi elementi, che la Giunta non ha pensato di mettere a disposizione della Commissione e del Consiglio, sarebbe tra l'altro di per sé già sufficiente a motivare la sospensione di una decisione della quale la conoscenza dei dati suddetti dovrebbe costituire il presupposto.
Se nonostante le buone ragioni illustrate, la maggioranza, forte del suo numero, vorrà procedere nella strada imboccata, non rinunceremo al nostro responsabile ruolo e presenteremo al Consiglio i sostanziali emendamenti che riteniamo necessari.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARCHIARO



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Gastaldi.



GASTALDI Enrico

La legge che stiamo esaminando è un ulteriore passo avanti per l'attuazione in Piemonte della riforma socio-sanitaria.
Di quella riforma che era iniziata in campo nazionale nel '78 con la legge quadro 833 per la parte sanitaria e che avrebbe dovuto essere completata prima del 1/1/79 anche con una legge quadro per la parte della beneficenza, come prometteva, anche se in modo non perentorio, il D.P.R.
616 del '77.
Tale legge però è a Roma, ancora in corso e non è prevedibile quando sarà concluso il suo iter. La beneficenza ha in Italia una lunga storia di passaggi e di realizzazioni che dimostra l'indispensabilità di una riforma.
Essa è stata per secoli, ancorata ai concetti della carità e della beneficenza ed esercitata soltanto da privati o da istituzioni create da privati.
Solo quando l'iniziativa dei privati viene a mancare subentra in modo graduale, lento, frammentario e disorganico, l'iniziativa pubblica.
Compaiono così nel 1923 le IPAB, con Regio Decreto 2841, e poi, con la legge 847 del 1937, l'ECA, che aveva il compito di assistere gli individui e le famiglie "che si trovano in condizione di particolare necessità".
Sorgono poi le associazioni di mutuo soccorso ed altre iniziative quali gli Enti mutualistici, con prestazioni disparate, e di diversa natura e ingiustificate disuguaglianze di trattamento anche a cittadini della stessa classe sociale ed in uguale condizione di bisogno.
In attesa dell'attuazione delle Regioni a Statuto ordinario, alle quali ai sensi degli artt. 117 e 118 della costituzione sono attribuiti compiti legislativi e funzioni amministrative relative alla materia assistenza vengono emanate leggi sugli enti ospedalieri e sull'assistenza ospedaliera (132/68 - 128/69).
E poi, attuate le Regioni, nel '74 vengono emanate norme per l'estinzione dei debiti delle mutue (386/74) e, finalmente nel '75 con la legge 382, il Governo veniva delegato ad emanare decreti delegati aventi valore di legge ordinaria per il trasferimento alle Regioni delle funzioni amministrative e per le materie degli artt. 117 e 118 della Costituzione.
Tali decreti delegati, vengono poi attuati con i tre decreti del '77 (616, 617, 618).
Il 616, il più importante, per la materia assistenza, fissa le competenze dello Stato, di indirizzo e di coordinamento delle attività amministrative delegate alle Regioni, fissa le competenze delle Regioni (di emanare norme legislative di organizzazione e di spesa e si subdelega ad Enti locali) e le competenze delle Province, delle Comunità montane e dei Comuni; e si afferma specie nei capitoli III e VI del titolo III che i servizi di assistenza, di beneficenza e di sanità devono essere considerati in una visuale unica e che qualsiasi intervento, sia benefico che sanitario, deve insieme garantire all'individuo il benessere e la sicurezza sociale, ammortizzati nei vari momenti della prevenzione, cura e riabilitazione.
Si arriva così per la parte dell'assistenza sanitaria alla 833 e per la parte della beneficenza alla presentazione da parte del Governo di un disegno di legge che viene poi ritirato per armonizzarlo con altre proposte di iniziativa parlamentare.
In tale disegno di legge, però, si insiste sulla convinzione della interdipendenza tra il momento sociale e sanitario e sulla necessità di trovare un punto di incontro tra le due riforme.
Ancora a tutt'oggi, però, tale disegno di legge non è stato portato in discussione in Parlamento. Il problema assistenza non ha lo stesso iter in Piemonte. Come in campo sanitario, ha anticipato con le sue leggi, la legge di riforma nazionale e poi con il piano sociosanitario quello nazionale, il Piemonte anticipa ora con questa legge quella nazionale.
Viene allora logica una domanda: è lecito far precedere una legge regionale ad una legge-quadro statale? Intanto, nessuna legge nazionale lo proibisce. Il D.P.R. 616, unico documento nazionale che fa riferimento ad una legge nazionale sull'assistenza e sulla beneficenza, subordina solo a tale legge l'elencazione delle IPAB che devono passare ai Comuni e non proibisce che le Regioni assumano iniziative legislative in materia, anzi accenna, all'art. 25, alla necessità che le due materie, sanità e beneficenza, abbiano una regolamentazione contestuale nel tempo.
La stessa 833, agli artt. 2 e 11, pone tale obbligo. Perciò, avendo la Regione Piemonte il piano socio-sanitario come legge, può emanare anche la sua legge sull'assistenza e può in più farlo in modo facile, ricavandola dal suo piano socio-sanitario.
E' non solo lecito e possibile, ma necessario fare tale legge.
Il problema dell'assistenza è un problema urgente e non è più ammissibile agire in modo lento e frammentario come fin qui si è fatto. E' un problema di coscienza internazionale (siamo all'anno dell'anziano dopo l'anno dell'handicappato) non sold, ma è anche un problema di coscienza nazionale e regionale. La crisi economica che investe direttamente le età e gli individui produttivi, evidenzia la insufficienza ed i problemi dell'età e degli individui non produttivi, e mette a nudo quelle situazioni che prima erano nascoste dal benessere economico.
La crisi economica non è motivo per un trasferimento ad epoche successive della loro soluzione, ma è un motivo per prenderne coscienza e per risolverle. Tanto più che (ed è strano) parallelamente all'aumento del benessere negli anni trascorsi si è venuta stabilendo una modificazione delle concezioni dei rapporti sociali tra attivi e non attivi in modo di solito peggiorativo.
I rapporti familiari con l'anziano si deteriorano per le nuove esigenze della vita moderna, create dall'industrializzazione, dall'urbanizzazione dalle nuove abitudini di vita e dall'aumentato numero delle donne lavoratrici.
Aumentano infatti negli ultimi anni gli anziani in ricoveri ed ospedali, specie nel periodo di ferie e vacanze, perché i familiari si allontanano dai centri urbani e non vogliono avere l'ingombro del vecchio che molte volte viene abbandonato a se stesso in queste occasioni.
Di qui, quindi, non solo la giustificazione, ma la necessità che una legge regionale possa precedere quella nazionale, necessariamente se vi sono le basi e le premesse necessarie perché tale legge possa essere completa e buona.
In Piemonte queste basi e premesse mi pare ci siano: la legge n. 21 del '74, la deliberazione del 3 maggio '76 con la quale il Piemonte prendeva iniziative di intervento nel campo assistenziale per inabili in genere minori interdetti ed anziani, altre leggi regionali; ed in ultimo il piano socio-sanitario regionale sono tutti atti che dimostrano che il problema della beneficenza in Piemonte è stato studiato e che può avere una sua legge organica e completa.
A me pare quindi che questa legge altro non sia che una raccolta in una legge a sé stante, divisa da quella sanitaria, perché sono divisi in Piemonte gli Assessorati per la sanità e l'assistenza sociale, di tutte quelle norme che le leggi precedenti e soprattutto il piano socio sanitario, specie negli allegati 14 e 19, propongono in campo e materia di assistenza sociale.
La discussione sulle scelte regionali in materia sono già state fatte durante la discussione sul piano socio-sanitario regionale, che è ora legge regionale e che qui diverrebbero inutili e ripetitive.
A conclusione voglio dire che con il mio intervento ho voluto affermare che per il Piemonte il tempo per una legge in materia assistenziale era maturo, che la crisi dei rapporti tra ceti ed età produttivi e non produttivi rende tale legge necessaria ed urgente, e che la crisi economica attuale, non solo non deve impedirla o dilazionarla nel tempo, ma ne consiglia la proposta.



PICCO GIOVANNI



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PICCO

E' iscritto a parlare il Consigliere Acotto.



ACOTTO Ezio

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, credo sia corretto attribuire al dibattito sul disegno di legge 54 i cui contenuti essenziali sono stati richiamati dalla relazione del collega Viglione, partendo da un giudizio sia pure sintetico sull'attuale fase in cui versano i servizi socio assistenziali nel nostro Paese. Non mi riferisco alla situazione esistente in specifico nelle diverse realtà locali, quanto alla tendenza generale che caratterizzano la politica sociale di uno Stato o di un insieme di Stati.
E' la questione che nel linguaggio corrente viene definita come crisi dello stato sociale, un ' espressione che ritengo insufficiente a rappresentare la nostra realtà e soprattutto a consentirci di esprimere un giudizio di merito, di critica e di proposta politica.
Infatti, quando parliamo di stato sociale e guardiamo al nostro Paese e più in particolare al nostro Piemonte, pur prescindendo dall'esame della crisi del suo apparato industriale e dalle rilevanti conseguenze che essa produce sul versante assistenziale, non so fino a che punto possiamo parlare di un modello realizzato di stato sociale. Mi pare più giusto invece definire la nostra realtà socio-assistenziale come realizzazione compiuta solo parzialmente distorta di ciò che comunemente si intende per stato sociale. Ciò significa che, al di là del giudizio politico sulle forze che hanno contribuito a determinare storicamente questa realtà esiste ed è del tutto evidente un problema di estensione, di consolidamento, di riqualificazione e di riconversione dei servizi sociali attualmente operanti.
Ecco perché il taglio alla spesa sociale previsto dalla legge finanziaria, la riduzione delle risorse regionali e locali per beni e servizi acquistano, per dirla con un linguaggio tradizionale, un chiaro segno di classe molto più esplicito e grave di quanto non succeda in altri Paesi non solo europei. Di qui la nostra opposizione alle misure restrittive preannunciate dal Governo con l'obiettivo di ridurre l'effetto negativo che esse sono destinate a produrre nell'immediato sugli strati più deboli della popolazione.
La nostra azione non si limita tuttavia a questa azione di lotta per modificare le politiche sociali del Governo, ma accetta in pieno la sfida che la crisi propone nel senso che anche per il settore socio-assistenziale vale la regola che dalla crisi non si esce se non con profonde trasformazioni.
In questa direzione ci battiamo per la riforma nazionale dell'assistenza e denunciamo i ritardi e gli ostacoli che provengono in primo luogo dalla D.C., la quale non deve tra l'altro sfuggire al dato che la riforma dell'assistenza è vitale per il cammino stesso della riforma sanitaria. Non volerla o cercare di non perseguirla, sia pure parzialmente utilizzando gli spazi che sono aperti a livello regionale, significa rendere più difficoltosa ed improba la costruzione di un nuovo sistema socio-sanitario.
Siamo convinti che le difficoltà che incontra l'attuazione della riforma sanitaria non possono essere superate se non con un rilancio dell'impegno riformatore e tale impegno si traduce anche sul terreno socio assistenziale non abdicando come Regione a quel ruolo che ci viene consentito anche sul piano giuridico dalla cornice legislativa che il relatore Viglione ha opportunamente richiamato.
Possiamo eventualmente distinguerci come forze politiche sul modo di intendere e sul come perseguire oggi un' azione di riordino, ma che tale riordino debba essere messo in atto in carenza della legge quadro dalla Regione non abbiamo alcun dubbio. In ragione di ciò abbiamo sostenuto e sosteniamo lo sforzo prodotto dall'Assessore all'assistenza e dai suoi collaboratori per dotare la nostra Regione di un importante strumento di lavoro.
Nel testo legislativo che oggi è in discussione riconosciamo innanzitutto un tentativo valido, non ideologico, di valorizzazione di una nuova cultura dei servizi così come essa è cresciuta nell'elaborazione e nella pratica di tante lotte e di tante iniziative tese ad evitare l'emarginazione dalla società di quei cittadini che sono portatori di bisogni socio-assistenziali.
La riflessione sulle esperienze di pratica sociale sostenute spesso da minoranze che hanno avuto un ruolo profetico anche con i rischi tipici dei fenomeni di avanguardia, sia pure con un alto contenuto etico, e che si sono sviluppate nel corso degli anni '70 e che in parte sono ancora in atto e che si sottopongono a continue verifiche con la realtà, la riflessione su tali esperienze, unitamente alle realizzazioni concrete degli Enti locali che si sono mossi in questo campo, a partire dall'utilizzo della legge 39 e con un ampio coinvolgimento sociale, ci consentono oggi di individuare un terreno di impegno che, come dicevo, non è ideologico e che quindi pu diventare comune a tutte le forze del cambiamento.
Uno strumento legislativo quello in discussione che non è né vuole essere il frutto di enunciati aprioristici, ma un mezzo che viene offerto alla comunità perché si esprimano in forme nuove, idealità anche antiche.
Pensiamo al patrimonio di solidarietà e di giustizia sociale del movimento operaio, ma nel contempo ai valori di cui è portatore il mondo cattolico.
Questo, se così possiamo dire, è lo spirito di questa legge ed è in questa chiave che interpretiamo gli indirizzi e le normative per il riordino dei servizi, consapevoli da un lato di incorrere anche eventualmente in qualche errore su questo o quell'aspetto particolare, ma dall'altro della necessità inderogabile di indirizzare un processo già avviato di riforma socio-assistenziale.
Muovendoci da questi criteri ispiratori siamo alieni da qualsiasi tentazione di erigere vecchi steccati o da ricercare sterili contrapposizioni.
E' invece chiaro in noi l'impegno per contrastare i tentativi di ritorno al passato, le difese corporative, le battaglie di retroguardia e nello specifico, quegli interventi socio-assistenziali che ci paiono storicamente superati.
Nel merito del disegno di legge vorremmo fare alcune considerazioni sugli aspetti istituzionali su cui la mozione della D.C., insiste in modo particolare.
La linea scelta a questo riguardo è molto chiara: si è individuata l'Unità socio-sanitaria locale intesa come strumento dell'Associazione dei Comuni, quale soggetto di programmazione e di gestione del complesso dei servizi socio-assistenziali e sanitari. Si tratta, per dirla in altri termini, di un modello di integrazione istituzionale e funzionale tra assistenza e sanità che traduce il principio della globalità e unitarietà nell'intervento socio-sanitario.
Questi concetti non sono nuovi e il piano socio-sanitario regionale che sta per entrare in vigore si muove in questa direzione: la legge in esame può essere anche intesa come strumento attuativo di una porzione significativa dello stesso piano; quello dell'integrazione è un orientamento confortato da numerose esperienze europee, sollecitato dall'organizzazione mondiale della sanità, un orientamento che non ha da solo il potere di cancellare di colpo differenze, settorializzazioni e difficoltà obiettive. Sono gli ostacoli iscritti nella storia delle istituzioni, sono separazioni tra categorie professionali, sono difficoltà obiettive nella fase di avvio della riforma sanitaria che concernono le Unità Sanitarie Locali ed i rapporti tra esse ed i Comuni.
Ho voluto richiamare talune problematiche che si pongono su questo nodo istituzionale per rendere chiaro il perché si sia voluto introdurre nella legge una fase transitoria che con la proposta di emendamento che presentiamo oggi ha la durata di un anno per consentire gradualità Consigliere Martinetti, c'è la gradualità nella legge che oggi abbiamo in discussione, gradualità nel processo di integrazione dell'assistenza in capo alla USL.
Ci è parso necessario e realistico prevedere questa fase che però non va intesa nel senso di dilazionare il processo di integrazione, ma come periodo preparatorio all'interno del quale si sviluppano già livelli diversi di integrazione: c'è il momento programmatorie che si riassume nel programma di zona, c'è l'individuazione e l'attuazione degli interventi a livello del distretto, c'è l'avvio dei progetti- obiettivo che sono un terreno tipico di integrazione tra il sociale ed il sanitario.
In analogia a quanto previsto per i Comuni si è ragionato per i servizi gestiti dalle Comunità montane. Direttamente collegato al nodo istituzionale si è affrontato quello finanziario del personale.
Circa l'aspetto finanziario non c'è dubbio che esso è condizionato dai vincoli imposti purtroppo con cadenza annuale dai provvedimenti sulla finanza locale. Tale meccanismo è negativo sia per la riduzione della spesa per servizi che per la precarietà dei provvedimenti, ma una cosa è, cari colleghi della D.C., chiara: le risorse disponibili presso gli Enti locali sono una quantità data e non mutano in ragione del soggetto di gestione e perciò è opportuno porci fin d'ora l'obiettivo della razionalizzazione nell'uso di tali risorse mediante la pratica dell'integrazione.
Un ragionamento a parte meriterebbe il tema del personale. Nel settore socio-assistenziale più che in altri settori forse si sente la necessità di un ampio processo di formazione professionale, di riqualificazione e di ridefinizione dei ruoli e la legge contribuisce ad avviare iniziative in questo campo. Certo, anche qui non c'è solo un problema di qualità professionale, ma di quantità di personale e anche qui gravano le misure annuali sulle assunzioni del personale degli Enti locali, ma come per le risorse tale situazione non muta, sia che la si affronti come comune singolo che come associazione intercomunale.
E' in ragione di queste e di altre considerazioni già svolte e che hanno direttamente o indirettamente esaminato e risposto alle questioni qui sollevate dalla mozione della D.C., che noi ci dichiariamo contrari a questo tipo di mozione e chiediamo quindi che la legge possa passare all'esame del Consiglio regionale.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PICCO

E' iscritto a parlare il Consigliere Beltrami.



BELTRAMI Vittorio

Qualche pensiero colto qua e là, nell'ampio campo del "sociale"; una presenza doverosa verso il Consiglio e ciascheduno di noi, onde non si abbiano a rilevare fughe o assenze sul problema così importante, dagli ampi risvolti di delicatezza umana.
Non può essere ripetitivo però, di quanto con larghezza di riferimenti il collega Martinetti ha già felicemente proposto, per evidenziare non tanto un aspetto di conflittualità, quanto quegli elementi giuridico amministrativi che, rifacendosi al quadro legislativo entro il quale si inserisce questo disegno di legge, pongono in risalto non lievi carenze e ampie zone di fragilità.
E questo l'Assessore Cernetti lo ha certamente avvertito; sa anche di non essere riuscita - perché è impossibile farlo - a coprire i vuoti e nel suo intimo riflette su come quelli coperti contrastano con linee di tendenza con il quadro legislativo vigente, con ripensamenti del legislatore nazionale, con disegni di legge, taluni di essi sorretti da tutte le forze politiche, dei quali dovrà tenerne conto - adeguandosi - la legislazione regionale.
Per cui l'Assessore non si è avvalso delle facoltà consentite dal regolamento consiliare che avrebbe consentito il recupero del precedente disegno di legge Vecchione, il cui esame fu sospeso per fine legislatura 75/80 e ne ha riproposto uno diversamente congegnato e impostato addirittura un articolato dimezzato rispetto al precedente.
Però, la 54, rispetto alla precedente proposta: si sviluppa in chiave di sinteticità è schematica nella sua proposizione iniziale era decisamente concisa, tagliava per la via più breve.
E' un segno dei tempi? E' una invenzione di tendenza? Se così fosse solleciterebbe l'emulazione, in una grossa battaglia contro la prolissità e la dimensione di talune leggi regionali.
Pare risponda ad un certo taglio di secchezza che l'Assessore si è dato nel muoversi ... Può non essere condivisa la legge, non essere condiviso questo taglio di secchezza? ...direi di sì, pur pensando che l'Assessore a modo suo si è pur ancora sforzato di metterci un po' di cuore, come usa dire, un po' di calore umano ...
Insomma è la sua legge, con contorni, sviluppi, limiti ben definiti .... Insomma direbbero i miei colleghi novaresi, Avendo e Borando: "La 54 si addice a Elettra! ".
Non è però bastevole la simpatia e la stima che abbiamo per l'Assessore, il riconoscergli pubblicamente la puntigliosità di prestazioni defatiganti, il coraggio che ha avuto talvolta nell'andare contro corrente quando ha trasformato "Asili nido" non più necessari in strutture per anziani, una presenza costantemente estesa a tutto il Piemonte, ma qui taccio .., per non rendermi concorrente dei partiti di maggioranza nel tessere le lodi dell'Assessore e noi sappiamo che questo è giorno di vero entusiasmo per tali partiti.
Non bastevole ripeto a coprire il vuoto legislativo che è alle sue spalle, peraltro non addebitabile alla Giunta regionale, ma all'assenza della legge quadro nazionale, vuoto però almeno potenzialmente, colmato dalle indicazioni che come ho detto sono contrarie a questo disegno di legge.
Solo una nuova legge quadro in effetti potrà sostituire quella del 1890 che ancora regola tanta parte di questa materia, una legge minuziosa, alla cui perfezione evidentemente per il momento nel quale è stata licenziata dovrebbero rifarsi i politici di oggi, a qualsiasi livello, ma che evidentemente regolamenta una realtà locale tanto diversa da quella di allora.
D'altro canto siamo davanti a materia tanto delicata, entro la quale si ripropongono i grossi conflitti che sono nella società e noi sappiamo quanto tormentato sia stato il decreto delegato del 1972 che trasferiva la competenza nella materia alle Regioni. L'ho vissuto tanto intensamente Col collega Viglione, quel momento, lui relatore per la sanità e io per l'assistenza.
La 382 stabilisce un ulteriore passo in avanti che trova un ulteriore sforzo di regolamentazione, nel settore con D.P.R. 616, discusso o discutibile in tante parti, ma che rappresenta certamente un grosso balzo in avanti per il perfezionamento dello stato delle autonomie.
Indiscutibilmente il 616 a livello di enunciazioni di principio, nel senso che entro l'unico contenitore delle Unità Sanitarie Locali debbano potersi celebrare congiuntamente le realizzazioni del dettato costituzionale per il settore della sanità e dell'assistenza, rappresenta la risposta ottimale, felice per risolvere i problemi della società. La quale società però, deve vivere realisticamente i suoi problemi, tentare di dare delle risposte razionali, pulite, calzanti con le possibilità economiche del Paese, pur ricercando, in proiezione di tempo, definizioni e soluzioni dei problemi che sfiorino la perfezione delle risposte alle ansie e alle attese della Comunità.
Già Martinetti ha svolto questo tipo di discorso riferito al quadro legislativo, alle linee di tendenza che oggi esistono a livello parlamentare, a livello di esecutivo nelle quali, forse stranamente confluiscono e si riconoscono le forze politiche più diverse.
Il riferimento ad esempio al d.d.l., quadro dell'assistenza, nel quale a seguito di una proposta Molineri ed altri, quindi non di area democristiana, è stato precisato che: "i Comuni sono titolari delle funzioni socio-assistenziali e che esercitano le stesse, direttamente o attraverso le Unità Sanitarie Locali" propone non pochi problemi a questo disegno di legge.
Lo propongono il ruolo degli Enti locali, il ruolo dei Comuni, delle Comunità montane (piuttosto ignorate dalla 54) e delle stesse Province.
Perché non dare atto che questo gruppo che pur non ha votato il piano socio sanitario ha offerto nell'ultima curva del dibattito sul riesame del piano la ciambella di salvataggio alla maggioranza, attraverso la formulazione dell'ordine del giorno nel quale si riconoscevano i ruoli dei Comuni e delle Province, con un atto atipico in, sé, non strumento di legge, ma prodotto di un'assemblea legislativa vincolante il governo regionale e che ha impedito un ulteriore affossamento dello stesso piano.
E perché non risottolineare guarito ha già detto Martinetti e cioè che l'art. 6 del d.d.l.; accompagnante il piano sanitario nazionale, approvato dal Comitato ristretto entro il quale pur operano tutte le forze politiche stabilisce tra le indicazioni vincolanti "con obbligo di adeguamento della legislazione regionale", il "rispetto nell'attesa della legge di riforma dell'assistenza, delle competenze degli Enti locali nelle attività di tipo socio-assistenziale e nella relativa utilizzazione del personale impiegato presso gli enti stessi", ammettendo la possibilità di delegare - da parte degli Enti locali - le proprie attribuzioni alle Unità Sanitarie Locali anche parzialmente, rifacendosi carico del relativo finanziamento.
Questi due richiami, in una con la legislazione vigente per i comuni non depongono a favore dell'art. 25 della 54 e dell'art. 30 sul personale e dell'art. 33 sul finanziamento. Una norma, quella dianzi citata, che se dovesse passare al Parlamento rimetterebbe in discussione, direi, in toto la costruzione di questa nostra legge.
Lo ripeto ancora, è decisamente un quadro difficile quello assistenziale e lo sforzo in sé con l'attuale iniziativa, al di là del risultato conseguibile è meritevole di ogni attenzione, ma proprio perché e un campo difficile nel quale la conflittualità politica può tradursi in atti di crudeltà nei confronti dei cittadini utenti del servizio, talvolta con tendenze a definire schemi e limiti per quel settore privato "pulito" che ancora opera nella comunità e che se al limite una maggioranza politica in Piemonte o in Parlamento intendesse affossare, lo dovrebbe poter fare allorquando fossero state attivate strutture "alternative" sul territorio e in concomitanza con lo spegnimento delle precedenti.
Quindi non creiamo difficoltà a chi opera nel settore assistenziale magari con un regime autorizzativo che può essere interpretato come una proposta "poliziesca", neppure nel senso di creare dei corpi di vigilantes quanto nel dare vita a condizionamenti per sotterrare talune strutture.
Con una certezza finale che quelle strutture diciamo in "buona fede" con tutta probabilità potrebbero anche defungere, mentre il privato "furbo", calcolatore, attento, il privato imprenditore difficilmente si lascia scoraggiare da certi indirizzi o dal complesso delle difficoltà burocratiche e così il risultato finale sarà quello di un ulteriore profitto a favore di questo tipo di presenza.
E qui lo dico tra parentesi, questo è accaduto nel settore dell'assistenza ai dimessi dalle strutture psichiatriche che ha registrato una crescita delle disponibilità operative e quindi del profitto a favore del "privato".
Ho letto la relazione del collega Viglione, presentata in tempo utile.
Il relatore, dobbiamo dargliene atto, "volle, fortissimamente volle" che la 54 venisse in aula.
Gli aspetti che con Martinetti abbiamo sottolineato stamane non sono evidenziati come ritenevo necessario, per non dire che sono taciuti, nella stessa relazione, anche se debbo affermare che non ci troviamo già in presenza della solita relazione del pur solerte funzionario ..., dice qualcosa di più, anche se è difficile rinvenirvi quel calore umano deamicisiano, la carica di entusiasmo tipica del Consigliere relatore.
Alle carenze di carattere legislativo, altre se ne aggiungono conseguenti o non, che ripropongono l'area dell'assistenza non dico in chiave di cenerentola o di "spazzatura della sanità" come disse autorevolmente Santanera, in una delle consultazioni, la collocano però in una posizione di "povertà" anche sotto il profilo delle risorse economiche allorquando viene rapportata alla sanità.
Lo abbiamo detto più volte.
Certamente i 55 miliardi, bilancio '81, conferiti all'assistenza impallidiscono davanti ai 1500 della sanità; la disponibilità del il trascorso anno dell'handicappato con l'intiero territorio regionale di 3 miliardi contro gli 11 disponibili per la sola amministrazione provinciale di Torino, la quale Provincia di Torino disponeva l'anno scorso per il settore dell'assistenza di 27 miliardi, quindi la metà del bilancio regionale per l'assistenza, propongono interrogativi inquietanti.
Per questo aspetto finanziario (che risente a sua volta della mancanza della legge di riforma) al di fuori dei canali di raccolta, al di là del rigore con il quale si intende definire a ogni livello la non commistionabilità della spesa sanitaria con quella assistenziale (l'ultimo trasferimento di fondi intervenne nel 1980, purtroppo non equamente distribuito tra le Unità Sanitarie Locali del Piemonte), si rende necessario definire ed è una lancia che spezzo a favore dell'Assessorato se la Regione fa del socio assistenziale una "scelta di campo", oserei dire di civiltà, quindi vi pone più attenzione, vi affida più risorse economiche.
Occorre rivedere la scala di priorità degli interventi (siamo alla vigilia del bilancio '82) raccordandoli a una gerarchia di valori meno visibile, certamente meno reclamizzante di altri, certamente più aperta alla critica che non ai consensi, però più umana, più religiosa - non vorrei appannare il vero significato di questa affermazione, nel senso che arresta la dissacrazione Che, con la trascuratezza, la noncuranza, la società rivolge ai cittadini più fragili e in difficoltà.
E' una riflessione che propongo, anche a me stesso e che è emblematica e indicativa, mi si consenta dello scrupolo dei cattolici - lo dico senza preclusioni e senza chiusure - è ovvio, del nostro scrupolo quotidiano perché chi crede in questi valori veramente il suo esame di coscienza lo deve pur fare di tanto in tanto.
Ed è la domanda che ci poniamo: se talvolta non fossimo noi dalla parte sbagliata nel sostenere certi atteggiamenti, certi indirizzi, certi tipi di soluzioni, oppure tentando di bloccare atteggiamenti, indirizzi, soluzioni proposte da altrui.
Ne consegue un continuo riflettere sulle nostre posizioni, alla ricerca anche di diverse e nuove soluzioni da offrire a questo grosso problema del sociale, non tanto per non perdere lo smalto di una presenza che affonda le sue radici in epoche tanto lontane (lo ha generosamente ricordato Viglione nel suo intervento sul piano sanitario), neppure per verificare la nostra efficienza, quanto per capire se il nostro modo di essere, il nostro modo di muoversi entro la società è in sintonia con un messaggio nel quale molti di noi credono profondamente.
E allora il distinguo e gli stessi guai sorgono - e non ripeto le stesse cose già dette sul piano socio sanitario - per un diverso rifarsi al modo di dare una risposta ai bisogni socio-assistenziali e il distinguo è tra chi vede protagonista della riforma l'uomo, con la "U" maiuscola l'uomo singolo nella sua individualità, protagonista e fruitore dei servizi in una logica non appiattita semplicemente sulla quantità dei servizi da erogare, pur leggibili in chiave di globalità, ma li raccorda ad una razionale organizzazione del territorio, recuperando gli aspetti e le tendenze personali; lo stato di bisogno dei singoli, ripeto dell'uomo singolo, pur entro un quadro di programmazione per l'assieme degli uomini.
Il distinguo è tra questa visione organizzativa della società e chi la vuole organizzata in altro modo, con un processo magari populista, fatto di numeri, di massa, magari condendolo coi temi di facile suggestione rivolti al Welfare-state i cui scricchiolii sono riecheggiati anche in questa sede magari da un'altra angolazione, in un più recente convegno.
Nessuno ha in sé la ricetta, la prerogativa, il brevetto, la titolarità della risposta più giusta a questi grossi problemi, anche perché in un ricco confronto entro il pluralismo istituzionale, le stesse Regioni hanno dato stura a soluzioni diverse, pur espresse da coaguli gestionali di uguale formula politica.
L'ho ricordato un mese fa, il confronto veramente impegnativo tra il Piemonte che blocca i reparti di geriatria e l'Emilia Romagna che li rilancia.
E' dunque reazionaria o conservatrice L'Emilia Romagna, sono conservatori e socialmente superati quanti stanno cercando di attutire gli urti, gli scossoni, di attenuare i danni che taluni protagonisti di una socialità di avanguardia fatta di convinzioni e talvolta solo di enunciazioni teoriche, in qualche caso non disgiunte da atteggiamenti viscerali - diciamo che non è il caso del Piemonte - stanno regalando al Paese? Noi abbiamo proposto ieri e lo riproponiamo, nella sostanza oggi, un concetto di fondo nel quale ci riconosciamo ed è quello di non eliminare una struttura che offra comunque dei servizi senza che sia contemporaneamente attivata quella alternativa. Non esemplifico, ma vorrei solo richiamare i temi delle infermerie e delle IPAB.
Ed a questa considerazione oltre a quelle già svolte per il quadro legislativo e a quello economico, se ne aggiunge un' ultima che si riconduce alle scelte del piano. Nei confronti di queste, lo riconfermiamo con tutta franchezza, noi ci sentiamo spiazzati; perché non dirlo che su taluni argomenti abbiamo trovato il muro? Sappiamo dunque già sin d'ora che a tal proposito talune modifiche che andremo a proporre all'articolato troveranno delle difficoltà e ... non è neppure un tentativo infantile, ma è il cercare il recupero di alcune realtà che sono ignorate dalla programmazione regionale alla quale rinvia l'art. 10 della 54. Noi le abbiamo comunque predisposte e le rassegnamo alla Presidenza.
Siamo entrati oggi, nel 4 mese dell'anno dell'anziano e noi dobbiamo registrare, senza voler trarre profitto da sterili polemiche, che il piano partito da una, previsione, come obiettivo finale di "chiusura, di tutti gli attuali istituti socio-assistenziali", ha ridotto poi l'affermazione nella seconda scrittura a "iniziative atte a liberare almeno metà degli anziani ricoverati oggi in ospedali e istituti" (difficile era e lo ritengo ancora individuare il metro col quale è stata fatta tale misurazione) ricondotta poi a definizione più realistica, pur non riuscendo a colmare il vuoto previsionale che è nel settore.
Circa un mese fa la popolazione di Acqui si è rivolta al Presidente della Repubblica con una petizione circa l'impossibilità di edificare una casa di riposo o casa albergo per gli anziani, nonostante che la munificienza di un donatore assicurasse la copertura dei circa 700 milioni occorrenti.
Ed allora diciamo che il problema non è solo di Acqui, ma dell'intiero Piemonte, perché questo livello di assistenza non è più previsto dalla legislazione regionale piemontese e quindi non trova il giusto spazio nell'indotto della 54.
Rimangono comunque le strutture, la realtà fatta di quasi 500 case di riposo, le necessità della popolazione; rimane nell'elenco delle interrogazioni ancora non soddisfatte la 107 del 26/2/81 dei colleghi del P.C.I., di protesta contro Andreatta, per la mancata costruzione delle case albergo per anziani ... "in sintonia con le scelte di programmazione che in materia competono alle Regioni".
Noi sappiamo che 3 sono le attenzioni che la Regione rivolge all'assistenza anziani: 1) Assistenza domiciliare, art. 20 della 54, utilissima, valida in quanto trattiene l'anziano a casa sua, dove ha sempre vissuto. Evidentemente dà una risposta parziale al problema.
Nel 1975 Vietti: 30 punti di esperimentazione nel Piemonte: eroga effettivamente 60% Vecchione 80% con lavanderia, mensa, etc., distribuito 68%; ora anche il 20%; non ancora erogati i fondi per l'81.
2) La comunità alloggio, art. 22 della 54, accoglie con l'intenzione di riprodurre la dimensione familiare 5-6 ospiti: minori-adulti (handicappati dimessi da ospedali psichiatrici, ragazze madri, dimessi dal carcere, ecc.) anziani. Se non vi sono presenti minori, la comunità alloggio è priva di personale proprio.
3) La casa protetta, art. 22 della 54, ospita non più di 40 persone, in stato di grave o totale invalidità. E' dotata di personale non infermieristico.
Il piano socio-sanitario prevede la riconduzione dei servizi residenziali esistenti unicamente a comunità alloggio o a case protette.
Quindi le case di riposo dove sono ospiti diecine di migliaia di cittadini (per obiettività taluni di essi crudelmente scaricati dalle famiglie, ma non sono la generalità dei casi), secondo il piano non hanno più spazio anche se la Legge 54 prevede il momentaneo accesso sino al completamento del sistema dei servizi. Ciò è confermato a pag. 5 della relazione Viglione.
Però questo stato di incertezza legato a vere possibilità di realizzare il piano, crea perplessità, blocca le iniziative e la buona volontà degli amministratori.
Nel Piemonte vi sono 476 istituzioni assistenziali: 32.514 posti letto pari al 7,1 per mille di abitanti; di questi autosufficienti 12.562 posti letto con 250 istituti.
Difficile è pronunciare un giudizio generico sulla solitudine dell'anziano sul suo isolamento, sulla sua istituzionalizzazione. Ripeto ogni uomo anziano propone problemi e aspirazioni individuali, per non dire che talvolta l'anziano cerca nelle strutture la sua protezione dall'isolamento contro le crudeltà, le barbarie delle quali sono vittime, quando la malavita li aggredisce per sottrarre loro i pochi risparmi di una intiera vita, la stessa pensione.
Il piano prevede però la presenza nella stessa struttura di un massimo di quattro comunità alloggio (totale massimo 24 persone) con servizi comuni aperti alla popolazione e allora chi giustifica le impostazioni che precedono e vuole salvare la coda "del delenda" avverta che questo "assiemaggio" può essere alternativo alle case di riposo (anzi sottobanco dice che ne rappresenta la sopravvivenza).
E' però solo fantasia impietosa, perché le comunità alloggio adulti e anziani non ammettono la presenza di personale per l'assistenza, come avviene nelle case di riposo.
Sono atteggiamenti teorici, passionali, dogmatici, fuori dalla realtà di una nazione, che ha toccato la crescita zero della popolazione e di converso un infittimento delle presenze della terza e quarta età (in Piemonte 900.000 anziani su 4 milioni e mezzo di abitanti).
E' stata repentina, allora, la proposta di creare un livello assistenziale costituito dalle cosiddette "case albergo", talune per altro già operanti in Piemonte.
Ne si è voluto inserire un "etc.", che noi riproporremo che diceva poco, ma avrebbe consentito alla creatività, alla genialità della stessa Giunta regionale, dell'opposizione, degli operatori, di intuire, scoprire inventare una proposta (magari nata da una folgorazione laica o religiosa) per un nuovo spazio assistenziale, pulito, moderno, al passo con i tempi.
Fatto salvo il regime transitorio la domanda è ora: dove collocare gli anziani autosufficienti, o quasi tali, che non possono restare a vivere nell'abitazione o nella famiglia d'origine per moltissimi giustificati motivi? La risposta non c'è! Si estinguono o si trasformano i reparti di geriatria, dei cronici della medicina del lavoro, le lungodegenze e molti degli ospiti devono necessariamente trovare spazio nelle case protette. Ricordarsi che ci sono ancora 1.000 ospiti anziani negli ospedali psichiatrici ed altri 1000 sono già stati dimessi e molti si trovano nelle case di riposo. Ne occorrerebbero 300.
L'Assessore ha dichiarato ai giornali che occorrerebbe farne partire 150 nel 1982. Ad oggi nel Piemonte ce ne sono 4 ! Novità, dunque, poche.
Aspirazioni molte, pur condite da buona volontà.
E' auspicabile che non si debba registrare che nella casa protetta l'assistenza sarà identica e per certi aspetti peggiore di quella praticata entro gli attuali istituti, in quanto il progetto di piano talvolta sembra confondere il concetto di invalidità totale con il forte deterioramento motorio e vengono messe assieme i "confusi senili" che non sanno lavarsi asciugarsi, pettinarsi, ecc., coi disorientati nello spazio e nel tempo con gli incontinenti, ecc., i cardiopatici e vasculopatici ancor lucidi di mente - anche se non sempre autosufficienti - ma bisognosi di una relativa quiete - conviveranno con i confusi e gli incontinenti, col dimesso dall'ospedale psichiatrico chiamato talvolta a manifestazioni da raptus con l'arteriosclerotico assente da s'e stesso e dagli altri.
Il tema dell'assistenza è al centro del dibattito politico. In Olanda ci sono le case- albergo, in Piemonte no perché così ha deciso la Cernetti.
Su "Prospettive sociali e sanitarie" n. 3 del Febbraio 1982 (si tratta di una rivista specializzata di tendenza progressista) leggiamo uno studio sui servizi assistenziali in Amsterdam, definita "una città a servizio delle persone anziane". Apprendiamo che in Olanda, oltre ad una serie di servizi domiciliari, funzionano molto bene case albergo e case di assistenza per anziani.
Le prime offrono servizi di cura e di riabilitazione agli anziani che non possono essere assistiti soltanto nei centri diurni, perché non possono, per le varie ragioni, rientrare in famiglia.
Le case di assistenza sono istituzioni residenziali in cui gli anziani vivono in stanze singole o in mini appartamenti, con accorgimenti per salvaguardare la privacy, ma con la possibilità di godere di una serie di servizi comuni (ristorante, biblioteca, pulizie, lavanderia, parrucchiere pedicure, ecc.). Le case di assistenza offrono spazi ed attività per favorire l'incontro con gli altri: centro sociale aperto, facilitazioni nei trasporti, contatti con le famiglie. Gli appartamenti possono essere arredati con mobili propri e sono collegati ad un servizio di allarme che supera il rischio dell'isolamento.
Altro particolare: la gestione delle case per anziani è lasciata a fondazioni indipendenti che svolgono la loro attività senza fini di lucro (come le nostre IPAB! ); molto spazio è lasciato al volontariato.
Sembra di leggere la descrizione della tipologia delle "case albergo" difesa dal Gruppo D.C., contro il rigido schematismo imposto dalla Giunta P.C.I.-P.S.I.-P.S.D.I., nel piano socio-sanitario. Com'è notò, per gli anziani ancora almeno in parte autosufficienti, nel programma regionale trovano solo posto le comunità alloggio: case di riposo moderne ed attrezzate, case albergo funzionali devono scomparire.
Allora: o le nazioni nord-europee non sono più quei modelli di assistenza sociale a cui i riformatori nostrani han sempre guardato con invidia; oppure vogliamo a tutti i costi (ma solo a parole) essere i primi della classe.
Delle IPAB se ne parla a pag. 2. Con l'esigenza di una regolamentazione dopo la sentenza della Corte Costituzionale; costituiscono una grossa realtà del sociale e la 54 checché se ne dica le investe e le condiziona.
Anzi ciò è testualmente affermato a pag. 3 della relazione Viglione.
Intervenendo al Consiglio regionale del luglio 1977, per il dibattito sul primo Piano di sviluppo regionale, ricordavo che le IPAB erano circa 9.000 in Italia, di cui 1643 nella Regione Piemonte e riferendomi al modo di muoversi dell'allora Assessore all'assistenza, al quale per altro ancora oggi mi legano robusti rapporti di amicizia e di elevata considerazione dicevo: "Ne parla non con inimicizia ma con prudenziale distacco ...
giocherella, direi come fa il gatto con il topo, pregustando il giorno nel quale riuscirà a catturarlo ... (non dico a farne un solo boccone)".
Ma con estrema serietà, con una sottolineatura che risponde ad uno stato d'animo costante, che non vuole essere fazioso, assorbente di ogni stimolazione a guardare in avanti, allora aggiungevo: "E' un difficile tema che non può essere circoscritto alla cinta daziaria del mondo cattolico e parrocchiale, ma va oltre, perché di sostanza civile. Dovrebbe poter essere sottoscritto da chiunque creda nel pluralismo e nella partecipazione".
Ancora continuando: "Sono strutture nate quando il vento sociale ancora non era sorto e avvertito, o meglio, si identificava con la tradizione, il volontariato, la presenza cattolica, provocando la stimolazione più viva e generosa ad operare, a dare, a donare senza sosta, proiettandosi nel tempo permeando uomini e cose, tanto da far supporre che gli attuali uomini di punta dell'attuale socialità siano, forse anche involontariamente, i figli o il prodotto di quell'azione vivificante".
E ancora: "Forse è necessario rendere giustizia a tutte le IPAB, non riguardarle con sufficienza, sia quelle nate dalla semplice filantropia dei fondatori, ispirati al romanticismo sociale di Victor Hugo, come a quelle costituite da cristiani tutti di un pezzo".
Ricordo queste cose, non per un riscoperto o occasionale spiritoso giacobino alla rovescia, ma per intima convinzione sui grandi temi che investono il pluralismo delle istituzioni, in relazione alle possibilità di pluralismo nelle istituzioni (così come richiama la sentenza della Suprema Corte), ossia garanzia di esistenza, di attività, di una pluralità di istituzioni che si ispirano a filoni culturali o ideologici diversi, che permettono quindi al cittadino una scelta tra vari tipi di servizi e garanzia alle persone ed ai gruppi, nel rapporto persona-comunità, di determinare decisioni di portata sociale, in un confronto dialettico con altre persone, con altri gruppi.
E' la riscoperta di quei valori che attendono all'esaltazione delle molte sopite tensioni sociali che sono nella nostra società e che ci ripropongono con robustezza di apporti (non dimentichiamo che esistono tre proposte di legge al Consiglio regionale del Piemonte), il grande e attuale tema del volontariato (art. 13 d.d.P. 54); l'approvazione delle quali in un testo che mi auguro unificato, darà luogo ad un indubbio esteso beneficio alla popolazione del Piemonte, tenuto conta dell'agilità, della snellezza del non senso burocratico, della generosità del volontariato, pensando che anche le società più progredite, quelle più perfezionate, più organizzate sono sorprese, turbate, qualche volta travolte, temono comunque l'imprevisto.
Se taluno può aver pensato che abbiamo guardato alla sentenza della Suprema Corte con gioiosa venatura di malcelato clericalismo si sbaglia! Se mai clericali - nel senso più volte portato in aula da Viglione - sono oggi quanti stanno riscoprendo la non sopita voglia di erigere uno steccato tra l'uno e l'altro modo di pensare al problema.
Noi questo steccato l'abbiamo abbattuto da tempo, anzi affermiamo che dalla sentenza della Suprema Corte, esce finalmente sconfitta la guerra di religione.
Non diversamente ci siamo comportati come D.C., nella Commissione consiliare allorquando si è trattato di esaminare gli elenchi sui quali la Commissione stessa doveva esprimere un parere conforme, quindi un parere vincolante, per lo scioglimento di un certo numero di IPAB. Gioverà ricordare che questo nostro modo di proporci entro il settore sociale aveva consentito che i primi due elenchi (50 IPAB) venissero licenziati all'unanimità tra le forze politiche.
Ed allora, perché, non registrare che pari apertura, diciamo pari sofferta apertura, non è stata riscontrata nell'atteggiamento di altre forze politiche? Non sto a ricordare le dichiarazioni rese da Enrietti e Cernetti alla stampa nell'agosto del 1981, a caldo, e perché no, anche con toni da relativa tragedia (un salto indietro di cento anni ... stipendi in pericolo, etc.), ma mi riferisco a taluni fatti che non sono semplicemente marginali: il Governo aveva fatto un passo avanti rispetto alla delega che gli era stata affidata con la 382, il che mi pare evidenzi una vocazione aperta al problema, anche se poi la Corte Costituzionale ne ha smorzato gli effetti allorquando a seguito dei lavori della Commissione costituitasi per il 616, articolo 25, a livello di Presidenza del Consiglio (altrimenti nota come Commissione Chieppa) si procedette alla determinazione e alla individuazione di quelle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza che erano da ritenersi collocate nel settore educativo religioso, che cosa è accaduto? Talune Regioni, e la stessa Regione Piemonte, hanno interposto ricorso al TAR del Lazio avverso all'operato della Commissione in Parlamento sono caduti, per mancanza di maggioranza politica, non pochi decreti legge del Governo Andreotti che tentavano, in clima di inquietudine e di incertezza, di disciplinare la materia e, attraverso questa disciplina, noi avremmo registrato oggi certamente il passaggio di non poche IPAB ai Comuni.
E' ovvio ora che con la sentenza, la quale non può indubbiamente scendere nella valutazione delle singole situazioni delle varie istituzioni, ma fa ovviamente di ogni erba un fascio, investendo l'assieme delle situazioni si è ritornati, in effetti, alla situazione preesistente all'avvio della traduzione operativa del 616. Io non mi rifaccio qui ad altre valutazioni che sono state magistralmente trattate con grossi richiami al quadro legislativo fatte dal collega Martinetti, ma è evidente che non si esce da questa situazione attraverso l'escamotage, che viene suggerito agli amministratori locali dell'autoscioglimento, inzuccherandolo con l'ipotesi dell'assorbimento dei costi del personale da parte dello Stato.
Sono argomenti che sono stati ampiamente oggetto di sottolineatura, che evidenziano ulteriormente quanto la Regione non possa sostenere la sopravvivenza delle norme contenute nell'articolo 7 della legge regionale n. 20 e che alla fine ci ripropongono in termini di prepotente esigenza, la necessità che il Parlamento abbia ad elaborare con immediatezza la legge quadro di riforma del settore dell'assistenza, altrimenti perverremmo allo snaturamento del quadro istituzionale, proponendo entro il sistema un quadro di risorse e di patrimoni diverso da quello sul quale deve essere calata la stessa legge di riforma, addirittura condizionandola.
Non v'è dubbio infatti che il problema delle misure da assumere al seguito della sentenza 173 della Corte Costituzionale è, sia per la rilevanza della materia, sia per la sua fortissima caratterizzazione ideologica e istituzionale, un problema di enorme importanza politica, per cui da molte parti è stata ritenuta la strada seguita sin qui dalla Regione Piemonte, una via tortuosa e palesemente illegittima.
Noi sappiamo che non è pensabile giocare sulla pelle della gente, per cui affrontiamo questo discorso senza partigianerie, senza settarismi invochiamo dall'interlocutore principale, che è il governo della Regione che è l'Assessore - per altro ritenuto persona di grosso rigore morale e dalle profonde intuizioni - pari a uguale caratterizzazione del modo di affrontare questo problema, senza discriminazioni e senza dichiarazioni di guerra, proprio per abbattere quegli steccati che, colleghi Consiglieri della Regione, non noi ma altri, stanno elevando nel paese, pensando che un'IPAB è "ricchezza" per la comunità sotto ogni aspetto e non solo sotto l'aspetto economico. Dovremmo forse tutti insieme decidere, pur avendo chiari i principi ispiratori della programmazione regionale, che forse converrà affidare qualche spazio a copiose riflessioni sul ruolo di queste istituzioni, utilizzando quelle capaci, in una dimensione aperta del territorio, al passo con i tempi.
Anche per non distruggere solo per il gusto di farlo. Pensiamo al recupero, che siamo riusciti a strappare nel piano socio-sanitario di alcune ex infermerie, talune integrate o integrabili nel momento curativo ed altre in quello preventivo, pensando ancora che la partecipazione popolare entro questi enti e il controllo pubblico sono fuori discussione.
Signor Presidente, colleghi Consiglieri, chiudo queste considerazioni che, condivise o meno, propongono però suggerimenti alla riflessione se non sulla loro squisitezza, almeno sulla buona fede di chi le svolge, circa il modo dì sentire entro gli spazi del sociale.
Affrontiamo questa legge, non velleitariamente, con lo scrupolo di chi come ho già avuto occasione di dire - teme l'errore, prima di altri in casa propria, non si colloca nell'area di chi vuole essere contro a tutti i costi, ma si sforza nell'apporto collaborativo per perfezionare in meglio e non solo per il minor male - qualcosa sulla quale non conviene.
Per cui questo primo aprile non è per noi certamente un data storica, è un normale primo di aprile. E' però un momento nella vita di questo Consiglio regionale, entro il quale ci verifichiamo in un confronto che non investe solo il modo di collocarsi di ognuno di noi verso il sociale, ma la capacità del Piemonte a dare delle risposte pulite, umane, facendo solo quello che ci è consentito ...e quel che ci è consentito dobbiamo farlo bene.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PICCO

Egregi colleghi, poiché i Capigruppo avevano concordato, per le ore 12 di stamattina, un incontro con la delegazione dei lavoratori della Ceat sospenderei i lavori per dare luogo a tale riunione che per altro è già avviata.
I lavori riprenderanno nel pomeriggio alle ore 15.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 12,30)



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