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Dettaglio seduta n.12 del 09/10/80 - Legislatura n. III - Sedute dal 9 giugno 1980 al 11 maggio 1985

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI


Argomento: Agricoltura: argomenti non sopra specificati - Industria (anche piccola e media) - Commercio - Trasporti e comunicazioni: argomenti non sopra specificati

Prosecuzione dibattito degli aspetti salienti della crisi economica del Piemonte


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Proseguiamo il dibattito sull': "Esame degli aspetti salienti della crisi economica del Piemonte".
Ha chiesto di intervenire la signora Vetrino. Ne ha facoltà.



VETRINO Bianca

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, i repubblicani desiderano innanzitutto esprimere il loro ringraziamento per aver portato all'attenzione del Consiglio regionale questo argomento, che considerano come risposta all'interpellanza che, sin dal 9 settembre, rivolgemmo al Presidente della Giunta per conoscere gli sviluppi degli incontri che si andavano sviluppando con l'allora Ministero del bilancio in merito al piano a medio termine. In quell'occasione chiedemmo al Presidente se non ritenesse di allargare il dibattito a livello consiliare o a livello di commissione affinché il contributo che il Presidente avrebbe portato in sede governativa fosse il contributo non soltanto suo personale e della maggioranza, ma un contributo che rispecchiasse le posizioni di tutte le forze politiche presenti in Consiglio. Noi vedevamo in questo anche un modo per rafforzare la posizione di interlocutore politico del Presidente della Giunta. La caduta del Governo ci consente di avere oggi un certo margine di tempo per elaborare un progetto più definito che consenta di inserire i problemi del Piemonte nel progetto generale di risanamento dell'economia nazionale.
Ecco perché ci auguriamo che questo dibattito sia proficuo ed utile non soltanto ai problemi piemontesi, ma a quelli dell'economia del Paese ci auguriamo altresì che il nuovo Governo che sta per nascere, non soltanto realizzi nuovamente la necessità di un piano a medio termine, ma faccia ancora propria la nuova metodologia instaurata di un rapporto istituzionalizzato e costante tra i soggetti idonei e capaci di decisioni economiche, metodologia che ha segnato una svolta nella gestione ministeriale: questo è stato riconosciuto ed apprezzato da molte parti e noi ci auguriamo che possa produrre degli effetti benefici.
Da parte della Giunta si dice che il documento presentato è un documento generico. Noi non crediamo che sia così: è un documento sintetico in quanto non era possibile, attraverso una relazione, toccare nel dettaglio tanti problemi. Il documento è stato da noi valutato nella sua interezza e viene considerato idoneo quale prima base per un proficuo confronto e per i necessari approfondimenti.
Concordiamo innanzitutto sull'esigenza che la crisi piemontese vada inquadrata nel più vasto ambito della crisi nazionale, ormai quasi perenne nella consapevolezza che i problemi strutturali e settoriali di cui soffre l'Italia, che sono oggi la minaccia al posto di lavoro, che si aggiunge alla disoccupazione di ieri, il rallentamento dello sviluppo industriale del nord, che si aggiunge al persistente e insufficiente sviluppo del mezzogiorno, la ormai impellente necessità di riconversione e ristrutturazione ai fini competitivi del settore industriale, la diffusione di servizi sociali effettivamente funzionanti, degni di una nazione civile problemi che potranno essere risolti soltanto all'interno di un quadro di programmazione al centro del quale vi sia l'obiettivo della rimozione delle cause strutturali della crisi; cause che sono al tempo stesso al fondo dei fenomeni inflazionistici che travagliano la nostra economia.
Questa importazione è sempre stata alla base della nostra azione: essa si ritrovava nelle linee di politica economica preparata per il Governo Andreotti, dall'allora Vicepresidente del Consiglio, Ugo La Malfa, che appunto richiamava la necessità di un piano di risanamento basato su un'impostazione di maggior rigore rispetto al piano triennale. Ciò a causa delle difficoltà che si profilavano all'orizzonte.
Successivamente, i repubblicani hanno mantenuto ferma questa loro impostazione programmatica affermando che, nel quadro che si andava promulgando, un'economia non in grado di contenere i costi del lavoro e di aumentare la produttività, di sostenere un volume adeguato di esportazioni e di difendere dalla concorrenza estera i mercati nazionali, non capace di risollevare la quota degli investimenti nel reddito nazionale, non in grado di destinare quote rilevanti di risorse alla ricerca e allo sviluppo di fonti energetiche, era destinata a vedere aggravati i problemi della disoccupazione, degli squilibri tra nord e sud, del prelievo di risorse per puri obiettivi di sostegno assistenziale dei redditi.
Oggi la situazione è ancora più aggravata. Rispondere a quei problemi è sempre più difficile, il che rende indilazionabile uno sforzo programmatico, che progressivamente realizzi le richieste e condizioni lo sviluppo. E questo richiede che la definizione operativa degli obiettivi e la sua concreta attuazione debbano essere oggetto di elaborazione collegiale allargata, diremo quasi un negoziato con le parti sociali in causa che configuri una sorta di patto sociale al quale tutte le parti impronteranno il loro comportamento.
Ecco perché riteniamo, superflua - ce lo consenta chi ha preparato la relazione della Giunta - la preoccupazione espressa dalle Regioni, e ribadita nel documento, di una loro assenza o quanto meno di una non sufficiente evidenziazione del ruolo regionale nel progetto di piano. La collocazione delle Regioni come soggetti protagonisti è determinata dal metodo, dalla prassi instaurata; non è il piano che deve prevedere il loro protagonismo, e risponde anche alla necessità che noi stessi avevamo evidenziato in quest'aula in sede di discussione del documento programmatico della Giunta e cioè della necessità di un rapporto costante tra i livelli istituzionali del Paese in uno scambio orizzontale dall'uno all'altro livello,senza gli alterati rapporti del passato.
Siamo dubbiosi sul condizionamento che si evidenzia nelle linee della Giunta, che aprioristicamente debba subire un programma regionale il quale risulterebbe attuabile solo in un quadro di politica nazionale.
Noi pensiamo che se oggi disponessimo già del programma di legislatura che il Consiglio attende entro il mese di ottobre, saremmo ampiamente avvantaggiati rispetto alla soluzione dei problemi sui quali stiamo trattando. Non potendosi più assumere quale base il primo piano di sviluppo regionale, invecchiato precocemente ancorché in parte irrealizzato anche per il precipitare improvviso e comunque non previsto della dinamica industriale nella Regione, basti pensare che fino allo scorso anno, in primavera, la Fiat immetteva personale nei suoi organici è oggi ha il problema di una vasta ridondanza di personale.
Se è vero che gli obiettivi a medio termine, pur essendo numerosi e ricoprendo tutti i campi di interesse, dall'energia alle telecomunicazioni dal sistema agro-alimentare alla politica delle infrastrutture, dal sostegno alle innovazioni tecnologiche alla mobilità del lavoro, alla ristrutturazione: se tutti questi obiettivi impediscono di intravvedere una politica industriale indefinita, ciò è conseguenza della sua caratteristica di documento preliminare per la sua discussione, il che non significa che il piano sarà alla fine la somma matematica delle differenti esigenze regionali, ma dovrà tenere conto di esse nell'ottica complessiva del risanamento dell'economia del Paese.
Una prima tranche poteva essere rappresentata dalle misure previste dal decretone, che oggi dovrebbero già essere operanti ed avrebbero evitato i provvedimenti delle autorità monetarie che oggi preoccupano anche la Giunta del Piemonte, come traspare dal documento, che consideriamo della maggioranza, condiviso quindi anche dal P.C.I. che con il suo voto negativo ha contribuito a determinare nuove difficoltà di investimenti e ritardato ulteriormente gli obiettivi che il decreto poteva perseguire.
Il differenziale inflazionistico che ci separa dagli altri Paesi, le negative caratteristiche dei conti con l'estero, la necessità di difendere la lira sui mercati internazionali, continuano a rappresentare obiettivi pregiudiziali alla cornice del risanamento e della ripresa.
Inoltre, coerentemente alla necessità di incidere profondamente sul complesso di queste difficoltà, il piano a medio termine si proponeva una diminuzione programmata e progressiva del fabbisogno complessivo del settore pubblico allargato fino all'ottenimento del pareggio e della gestione corrente.
Tutti questi aspetti sono presenti nel documento della Giunta quale preconsiderazione alla linea della politica industriale del Piemonte.
Concordiamo in linea generale sulle linee abbozzate di politica industriale e sulle proposte del documento e, rifacendoci a quanto in parte già comunicato al Consiglio dal Partito Repubblicano, anche in ordine agli interventi di politica attiva del lavoro, notiamo con favore che il documento esprime un parere di massima positivo sulla mobilità pur riconducendolo nella definizione alla sede legislativa. Vorremmo che il documento evidenziasse un più concreto impegno sulla formazione professionale poiché questa è materia squisitamente regionale e ad essa devono rivolgersi gli amministratori per orientare la forza lavoro verso i settori di prevedibile sviluppo attraverso un sistema di formazione professionale all'altezza dei problemi della società piemontese, capace di garantire prospettive reali ai giovani e di costituire strumento di avanzamento, di qualificazione e di mobilità per tutti i lavoratori.
Quali possono essere in Piemonte i settori di prevedibile sviluppo? Fino a ieri il Piemonte sembrava avere una spiccata predilezione per il metalmeccanico. Ce l'avrà sicuramente per il futuro. Ma all'interno di questo è possibile individuare una vocazione per la meccanica strumentale un ramo produttivo costituito da aziende di piccole e medie dimensioni, che negli ultimi anni hanno dimostrato notevole vitalità raggiungendo soddisfacenti livelli di competitività, anche internazionale, e che oggi necessitano più di ieri di servizi di alto livello qualitativo per i problemi della gestione, oltre a migliorate condizioni per il credito.
Vi sono poi altri rami industriali che nella nostra area partono da posizioni molto più arretrate, ma sono suscettibili di sviluppo a causa del probabile allargamento della domanda di mercato. Per esempio, l'industria del risparmio energetico. Sul tema energia il documento della Giunta è del tutto carente. Lo stesso argomento era appena accennato nel documento programmatico del mese di luglio scorso.
C'è poi il nodo edilizio, altro argomento ignorato dal documento odierno. Questa attività richiede un intervento di rilancio organico e strutturale così da poter far fronte al forte incremento della domanda, che richiama alle proprie responsabilità in primo luogo gli enti locali per la realizzazione di efficienti piani anche in ottemperanza alle leggi vigenti.
C'è poi il settore del terziario essendo noto che la nostra Regione è complessivamente sottoterziarizzata. Negli ultimi anni alcuni settori, come il creditizio e l'assicurativo, hanno dimostrato una dinamica interessante ma siamo ben lontani da quel ruolo di preminenza conquistato dal terziario nei centri urbani dei Paesi sviluppati e anche in città paragonabili a Torino, come Milano e Genova.
L'agricoltura, l'artigianato, il commercio, come i trasporti, che il documento considera un po' marginalmente, possono rappresentare, in un momento di raffreddamento della febbre industriale che per anni ci ha pervaso, delle occasioni di recupero che andrebbero attentamente vagliate e che speriamo il programma regionale di legislatura vorrà approfondire.
Sul settore agricolo, segnatamente sul vino, abbiamo presentato al Consiglio, con la lunga relazione, del Consigliere Gastaldi, alcuni nostri suggerimenti di politica agricola, sia alla luce della vigente legislazione nazionale che di quella comunitaria. Il settore agro-alimentare del piano a medio termine consente, a nostro avviso, un'occasione per un innesto importante delle esigenze dell'agricoltura piemontese nel più vasto capitolo dell'agricoltura italiana, non dimenticando che se il settore industriale è in crisi, la crisi agricola non suscita quelle emozioni e quei punti di tensione della crisi dell'industria, ma non è meno grave. Lo stesso andrebbe detto per le piccole aziende che probabilmente sommate nella loro situazione di crisi danno un'immagine e una consistenza ben più grave della crisi Fiat nella sua intierezza.
Per ultimo vorremmo accennare brevemente ai problemi finanziari che il documento tocca in più parti anche se in esso non viene fatto esplicito riferimento alla necessità, che per noi invece è prioritaria, di una definizione della riforma delle autonomie e della finanza locale.
I problemi finanziari degli enti locali non sono riducibili ad un mero fatto di provviste di risorse e di adeguatezza o di equilibrio della loro distribuzione e nemmeno è soltanto un fatto di buona organizzazione. Poteri e finanze in uno stato per livelli diversificati, prima di essere un binomio indispensabile dal punto di vista tecnico-organizzativo rappresentano due momenti non separabili per ogni verifica di concreta attuazione del disegno tracciato, assumono quindi insieme grande rilevanza politica. Del resto, appartiene al comune bagaglio di notizie ed esperienze dirette, comunali, la consapevolezza che il dosaggio di competenza agli enti locali in settori di naturale loro spettanza, l'incidenza dei controlli, specie quelli di merito, e l'uso della leva finanziaria sono stati altrettanti mezzi per negare o ridurre di fatto l'autonomia formalmente riconosciuta.
Ma esiste un mezzo più insidioso per raggiungere il medesimo risultato.
I nostri enti sono stati per trent'anni in pieno dissesto finanziario e, in tale condizione, parlare di autonomia è stato illusorio. Il dissesto produce infatti il massimo di immaginabile subordinazione.
Allora, il problema che la riforma deve affrontare non è soltanto quello di una sana finanza locale, ma di un equilibrato assetto dei poteri ripartiti tra centro e periferia, in maniera tale che la suddivisione non privilegi per assegnazione di funzione di risorse l'uno o l'altro dei livelli previsti.
Ecco perché a nostro avviso è indispensabile che la riforma delle autonomie locali, la cui attuazione auspichiamo anche in questa sede e chiediamo ai rappresentanti della giunta di porre come premessa alle loro azioni di governo anche in sede delle prossime discussioni, deve avere la caratteristica di una globalità e simultaneità di punti d'attacco, cioè poteri locali sì, ma contemporanee relative finanze; questo eviterà gli artifizi ed i raggiri inventati dagli enti locali nel passato per assicurarsi i finanziamenti, anche in assenza di precisi e definiti investimenti (salvo poi a non avere la capacità di spendere e lasciare il denaro in banca realizzando il 12/13 di interesse, mentre il privato raddoppia quelle cifre con tutto l'interesse dei poveri istituti di credito!).
Per concludere, riteniamo questo dibattito interessante e propedeutico ai numerosi che dovranno svolgersi per in predisposizione del programma di legislatura del secondo piano di sviluppo e ripetiamo di averlo considerato idoneo proprio in questa prima fase di avvio della discussione.
Vorremmo chiarire fin d'ora quale sarà il nostro atteggiamento verso questi problemi. Continueremo ad essere fautori della programmazione come metodo generale di azione politico-amministrativa, e, nella consapevolezza che questa Regione deve essere in grado di rappresentare nella sua sintesi le esigenze economiche di 1209 comuni, saremo sempre a favore del binomio Regione-Comuni come strutture portanti del comparto autonomistico.
Conosciamo limiti e rischi della struttura comunale sempre sbagliata per dimensione quando è troppo piccola o quando è troppo grande, struttura che oggi è già schiacciata dal peso delle funzioni nuove e conosciamo anche i rischi incombenti di un panregionalismo neocentralista che è sì da reazione, ma anche da vocazione al potere; ma sappiamo anche che non ci sono altre strade da percorrere e che il processo di risanamento dello Stato si fa nelle istituzioni, come in economia, costruendo un sistema di scelte e di decisioni semplice, perché senza duplicazione e dispersioni forte, perché ricco di consensi e di controlli alla base, consentendo al vertice autorità di sintesi.
PRESIDENTE.
Ha chiesto di intervenire il Consigliere Cerutti. Ne ha facoltà.



CERUTTI Giuseppe

Il dibattito sulla crisi economica ci consente di esprimere il nostro giudizio e di formulare alcune proposte operative non solo di carattere generale, così come il documento è stato proposto, ma soprattutto di carattere programmatico regionale che riteniamo indispensabile in questo contesto di crisi economica e sociale.
Nel documento della Giunta, vago e generico nella parte iniziale e propositivo nella parte finale, vi sono le richieste ed i suggerimenti da rivolgere al Governo senza alcun cenno sull'azione che la Regione Piemonte deve svolgere nell'ambito territoriale, quale fosse motivo di ulteriore dilazione nella formazione del governo nazionale in attesa di ricevere dalle varie province suggerimenti di tipo programmatico che faranno base per il nuovo governo nazionale.
Riteniamo che il ruolo che la Regione deve svolgere in un momento tanto grave, che vede nel Piemonte l'assommarsi di una crisi nazionale a quella di particolari settori che costituiscono la spina dorsale dello sviluppo regionale è di primaria importanza e tale da mettere in gioco la stessa ragione d'essere dell'Ente Regione.
Non ci sono più spazi per tatticismi e dilazioni, occorre predisporre precise scelte programmatiche operative, anche se difficili e impopolari.
Le forze politiche soprattutto non possono lasciarsi tentare ulteriormente da vecchi miti o suggestioni del passato.
Da questa grave crisi economica e occupazionale non si può uscire con palliativi assistenziali perché questi sono come i sedativi che alleviano il male, ma non curano le cause. La Giunta nei contatti con gli amministratori delle province ha avuto modo di darsi un quadro abbastanza ampio e anche drammatico della situazione del Piemonte.
Vorrei riprendere alcune indicazioni che spesso l'amico Viglione ha portato come atto fondamentale o come proposta operativa che il Consiglio e la Giunta dovrebbero fare propria. Viglione è solito riferirsi ai momenti di crisi che hanno investito l'America nell'amministrazione Rooswelt. Noi riteniamo che quell'indicazione debba essere considerata. La Regione, in questo particolare momento, ha tutti i mezzi per andare a fare una serie di proposte che possono portare all'equilibrio territoriale, allo sviluppo diffuso sul territorio e a una svolta nella crisi.
Tutti abbiamo denunciato e sottolineato le gravi responsabilità della Fiat che hanno portato i lavoratori a momenti di ansia e di angoscia, ma a quell'errore non possiamo aggiungere un altro errore, limitandoci a combattere una battaglia di retroguardia. Il problema di fondo è quello di assicurare l'occupazione.
Rileggendo i propositi che da parte dei partiti furono fatti nel momento elettorale, ho voluto sottolineare un aspetto che il P.S.I. aveva elaborato. Leggo un passo che mi sembra significativo e condensa la politica di sviluppo che la Regione deve perseguire: ".... Anche la questione della monocultura automobilistica deve essere reinterpretata secondo una nuova impostazione che, non sottovalutando i problemi relativi agli effetti congiunturali sulla produzione e sull'occupazione, privilegi la necessità di proseguire lo sviluppo strutturale del settore facendo perno non sull'intervento pubblico, più o meno celato in assorbenti piani di settore, ma su una corretta ripresa dell'imprenditorialità privata. Non si tratta di dar forza ad un disegno neoliberista che teorizzi i vantaggi indiscriminati della libera concorrenza, quanto piuttosto intendere da un lato i limiti di efficacia che l'intervento pubblico nel settore industriale ha dimostrato di avere e dall'altro la necessità di garantire attraverso di esso, la copertura di determinati costi sociali, come quello della ricerca e in parte della stessa conflittualità industriale. Il tutto avendo quale contropartita principale uno sforzo di rapido adeguamento dell'economia del comparto alle esigenze tecnologiche e di prodotto del mercato mondiale ".
Mi sembrano quanto mai attuali queste frasi inserite in un programma che era stato oggetto, solo pochi mesi fa, di una campagna elettorale, per significare la delicatezza di questo momento che stiamo attraversando.
Purtroppo, come sempre, quando si passa dalle enunciazioni generali ai fatti concreti, ci si trova di fronte ad un dialogo spesso impossibile.
Trasformare l'industria privata in azienda assistita significa modificare l'intera struttura politica economica del Paese. Le aziende resterebbero sì in piedi, ma senza alcuna capacità concorrenziale e con le perdite coperte da sempre maggiori fiscalizzazioni: il posto di lavoro sarebbe garantito ma a costi sociali ed economici sempre più elevati e con un tasso di inflazione insostenibile.
Naturalmente nessuno vuole la disoccupazione o i licenziamenti. Tocca anche a noi creare i presupposti per la mobilità che viene proposta nei documenti, che trova però grosse reticenze sul piano concreto.
Il Piano di sviluppo regionale unitamente al piano finanziario, che dovremo affrontare tra breve, dovranno considerare tutti questi aspetti. La Regione Piemonte è in grado di andare a realizzare infrastrutture, aree attrezzate da consentire una concreta rilocalizzazione industriale e una reale riconversione dell'apparato produttivo, oltre alla realizzazione di un piano di servizi sul territorio.
Indubbiamente non possiamo essere assenti né da una proposta politica né dall'attuazione pratica. Riteniamo che l'attuale piano possa essere ancora valido e possa essere oggetto di contrattazione nei confronti del Governo. Non si tratta di fare dell'autarchia regionale; è indubbio che la Giunta deve nel comitato interregionale far presente la situazione particolare che la Regione Piemonte sta vivendo in questo momento che, al di là di una semplice crisi economica, ha questa sommatoria di aziende in crisi dall'azienda maggiore alle aziende minori.
Riteniamo che la Regione debba ricercare - la collaborazione dell'ente locale per trasferire immediatamente in opere concrete la grossa disponibilità finanziaria, che può rimuovere la situazione attuale e pu creare nuova occupazione nel territorio.
La legge 902, che presenta grosse difficoltà attuative, è in contrasto con la situazione del Piemonte per cui sarebbe opportuno chiedere una deroga attuativa per dare la possibilità alle piccole e medie imprese che nell'attesa di accedere al credito agevolato sono costrette a non assumere previa decadenza dell'agevolazione, di assorbire la manodopera che la situazione di crisi offre sul mercato.
Inoltre la procedura per ottenere queste concessioni è talmente burocratica che un'azienda deve aspettare un anno per concretizzare l'iter relativo. La Regione deve quindi intervenire affinché queste procedure vengano abbreviate, affinché i mutui agevolati possano essere concessi con un ritmo più accelerato.
Conosciamo tutti le difficoltà che i lavoratori stanno vivendo altrettante difficoltà incontrano le piccole e medie imprese che costituiscono l'indotto Fiat per la carenza di finanziamenti da parte della Fiat. Invitiamo il Presidente a verificare la possibilità di dilazionare i ratei di scadenza.
Riteniamo che in questo momento si giochi anche la credibilità della Regione; ci auguriamo che da parte della Giunta e del Consiglio si riesca ad operare in termini alternativi alla situazione occupazionale. Possiamo chiedere alla Fiat ed alle altre aziende un rinvio per le situazioni di carattere occupazionale, ma dovremmo metterci in condizione di creare un'autentica mobilità interna a tutta la struttura occupazionale del Piemonte per non peggiorare le situazioni di crisi.
PRESIDENTE.
Ha ora la parola l'Assessore Alasia.



ALASIA Giovanni, Assessore ai problemi dell'occupazione

Ho ascoltato con molto interesse i due interventi, in modo particolare per quanto riguarda gli aspetti relativi alla formazione professionale e al credito con riferimento alla questione delle aree insufficientemente sviluppate e alla situazione dell'indotto. La Giunta condivide quei richiami perciò mi limiterò a fare alcune specificazioni e una considerazione di carattere generale.
Nel corso della Conferenza dei Capigruppo si è concordato di esaminare durante il dibattito programmatico la politica e gli impegni della Giunta in ordine ai quali è stato presentato il quadro delle questioni da sottoporre al Governo.
E' giocoforza fare una considerazione. Non solo la dimensione dei problemi del Piemonte, ma anche la loro natura rendono l'intervento nazionale e governativo essenziale ai fini di un corretto e positivo decollo delle iniziative della Regione. In ordine alla formazione professionale è vero quanto dice la Consigliera Vetrino; però è altrettanto vero che per le fasce di qualificazione la Regione dipende dal Ministero del lavoro. Non dico questo per voler rinviare l'impegno ad altre sedi, ma per sottolineare che siamo consapevoli che la dimensione della crisi richiama in primo luogo la politica nazionale economico- industriale e che la natura della crisi richiama un intreccio di ruoli e competenze fra l'iniziativa regionale e i livelli nazionali che debbono essere coerenti fra di loro.
A proposito della legge 675, il Presidente Enrietti, esemplificando su alcuni settori essenziali, ha richiamato il settore dell'elettronica non a caso. Questo settore presenta in Piemonte dei punti particolarmente delicati: Olivetti, Indesit, Seimart.
Olivetti - Ricorderete che si era composto un accordo il 21/12/1979 sotto l'egida del Ministero del lavoro il quale, tra l'altro, affermava che il Governo assumeva l'impegno ad istituire un "centro di coordinamento della domanda delle Regioni allo scopo di confrontare le iniziative in corso e indirizzarle verso obiettivi comuni e realistici".
Conseguentemente a ciò e considerando che notevole è l'impegno della Regione su questo terreno, ma che ci sono situazioni molto difformi nelle Regioni italiane, con la Regione Toscana abbiamo promosso un convegno nel mese di febbraio sul tema della diffusione e del coordinamento delle tecniche informatiche nel sistema delle autonomie locali. Le risultanze di quel convegno vi sono note e furono portate al Governo con gli atti del convegno stesso.
Successivamente il 12/5/1980 le Regioni Piemonte e Toscana hanno rimesso una nota al Governo; il 3 settembre abbiamo rimesso un'altra nota al Governo, ma né noi né le altre Regioni hanno avuto risposta alcuna.
Non voglio riprendere il merito di quelle valutazioni, ricordo invece il duplice valore di quella scelta che, se da una parte può avere una grossa importanza per la riforma delle strutture della pubblica amministrazione, dall'altra può costituire una consistente domanda verso le aziende produttrici di queste tecniche.
Se non si vuole il proliferare scomposte di tecniche informatiche, che avranno rapida obsolescenza, la loro diffusione deve avvenire in modo coordinato e rispondente alle finalità di riforma dello Stato. Appunto per queste abbiamo sostenuto che la dimensione ottimale è quella regionale ed il coordinamento diventa un momento essenziale.
A questo punto va discusso anche il programma finalizzato dell'industria automobilistica che non era previsto nella legge originaria 675 e che, anche su nostra insistenza, è stato incluso nel mese di giugno Dai giornali abbiamo appreso che la competente Commissione ha rimesso in questi giorni il piano finalizzato. Noi lo conosciamo solo per quanto ci è stato possibile apprendere dal "Sole 24 ore" del 4 ottobre.
Poiché in esso si parla degli insufficienti interventi previsti dalla legge 675 (il capitolo è intitolato "Misure aggiuntive alla 675") e poich la Fiat nell'incontro ha comunicato di voler fare ricorso solo al Fondo Ricerca, vorremmo capire come tutto questo si correla con i programmi aziendali della Fiat. Questa non è una richiesta di carattere politico generale, ma è una richiesta precisa stante i nostri compiti istituzionali e che le Regioni sono tenute a dare i pareri sui progetti finalizzati di settore.
Farò sulla legge 675 ancora un rilievo molto pertinente. Mi riferisco ai nostri interventi che richiamavano la situazione della piccola e media industria.
L'art. 19 prevede la possibilità di costituire i consorzi garanzia fidi per credito a breve e a medio termine con possibilità di contributo sul fondo previsto dall'art. 3 della stessa legge. Da più di un anno la Finpiemonte ha previsto la costituzione del consorzio garanzia fidi con un'apposita sezione sulla legge 675, ma, per quanti sforzi abbia fatto la Giunta, non abbiamo ancora avuto risposta su questo punto dal Governo.
Il 19/9/1979 con l'Assessore Simonelli ponevo esplicitamente la questione in un documento inviata ai Ministeri dell'industria e del bilancio.
Il Consigliere Cerutti ha richiamato il credito sul DPR 902; condivido questo richiamo. I Consiglieri sanno quale laborioso iter, durato per anni ha avuto la questione della determinazione dei criteri per le aree insufficientemente sviluppate del nord. Ora siamo in grado di fare un bilancio. Nelle tabelle a pag. 13 del bollettino che ho consegnato, ci sono i dati analitici. In sintesi si può rilevare che con il meccanismo che fu imposto a suo tempo dalla delibera nazionale e, malgrado gli accorgimenti che il Consiglio regionale aveva introdotto alla deliberazione di un anno fa, dei 619 progetti esaminati in Piemonte, 517 sono di finanziamenti concessi per ammodernamenti, 76 per ampliamenti e solo 26 per nuovi impianti, ossia il mancato accoglimento delle critiche fatte a quel meccanismo si traduce in un freno agli investimenti nelle aree marginali e a una spinta nell'area di Torino. Su questa questione la Giunta intende discutere con il governo.
Per ultimo, vorrei richiamare il collocamento, la mobilità e la formazione professionale. Nei giorni scorsi ho fornito un primo bilancio delle modifiche che la Regione Piemonte ha introdotto in questa materia passando da una spesa di 7 miliardi a 35 miliardi. Ricordo il punto fondamentale : i rapporti fra Regione e Governo.
La legge regionale sulla formazione professionale, correlata con la legge quadro, ci fa carico di approvare gli ordinamenti didattici i cui obiettivi - stabilisce la legge - devono essere in aderenza alle fasce di mansioni e funzioni professionali omogenee. Questo è particolarmente rilevante se non si vuole perpetuare una formazione professionale arretrata e non rispondente al livello richiesto dalle nuove tecnologie.
Tocca al Ministero, in base alla legge quadro, disciplinare queste fasce. La Regione, tramite l'osservatorio del mercato del lavoro, ha avanzato delle proposte, contenute in quattro volumi dettagliati, ai quali il Ministero deve dare una risposta. Senza questa decisione c'è il rischio che tutta l'attività formativa sia inficiata dalla frattura fra la qualità della domanda della forza lavoro e l'offerta di figure professionali che la più avanzata tecnologia ha già reso vecchie.
Questi sono i problemi di fondamentale importanza sui quali è necessaria la nostra attivazione, ma è altrettanto necessaria l'attivazione da parte del Governo nazionale. Questi non sono dei quaderni di doglianza ma sono richieste precise le cui risposte sono indispensabili, diversamente il richiamo ai compiti della Regione rischia di essere una fuga in avanti perché non ha quel retroterra di coerenza nazionale necessario.
PRESIDENTE.
Ha facoltà di parlare il Consigliere Bastianini.



BASTIANINI Attilio

Signor Presidente, Consiglieri, in sede di dibattito credo non si debba ripercorrere, punto per punto, il documento che ci è stato sottoposto dalla Giunta ed illustrato dall'intervento del Presidente Enrietti e dalle successive integrazioni dell'Assessore Alasia, ma credo debba essere fatto uno sforzo per comprendere quali finalità abbiano suggerito alla Giunta di chiedere una verifica del Consiglio regionale su questi temi, in questo momento, per cogliere cioè le finalità strategiche che guidano l'azione della Giunta e per dire con chiarezza, non tanto quanto ci diceva nel dettaglio dei singoli punti, ma quanto ci può unire o dividere nella valutazione di carattere generale della situazione piemontese e sui modi per uscire dalla situazione di crisi.
Quindi il mio sarà un intervento breve, non entrerà nel merito delle singole valutazioni formulate, non per disattenzione del nostro partito ai problemi trattati, ma perché riteniamo che se si entra nel campo specifico delle valutazioni sull'industria, sul commercio, sull'artigianato, sul terziario, sui diversi settori che sostengono o che non sostengono l'economia piemontese si verrebbe meno a una funzione di sintesi che sembra prioritaria in questa fase.
La nostra interpretazione di questo documento e di questo dibattito è positiva e intesa come uno sforzo della Giunta regionale di presentarsi ad un confronto con il governo centrale, in formazione, prospettando il quadro di riferimento delle normative nazionali e dei diversi settori che possono consentire alla Regione di svolgere nel modo migliore possibile i suoi compiti, le sue funzioni, cioè di svolgere un ruolo attivo nell'orientamento programmatico e nel sostegno congiunturale che può essere svolto dalle Regioni stesse.
E' una valutazione positiva sulle finalità che il documento si propone o - se mi consentite con qualche malizia - si proponeva; una valutazione di maggior distacco invece sui contenuti del documento stesso, in quanto ci sembra che questa valutazione di carattere sintetico-generale lasci per strada troppi pezzi delle analisi che occorre fare sullo stato dell'economia piemontese, ne privilegi solo alcuni aspetti e che manchi di un respiro anche autocritico su quanto, comunque, la Regione potrebbe fare in questa fase in base al quadro normativo esistente.
Se la finalità era quella di fare il punto della situazione del quadro normativo che consenta alla Regione di svolgere una funzione attiva di promozione, di sostegno, di- stimolo in una fase congiunturale così delicata qual è quella italiana, ne condividiamo gli obiettivi, ma rileviamo come l'analisi sia a troppo poco ampio raggio per coglierne tutti gli aspetti, e soprattutto che questa analisi sembra più orientata a rilevare le carenze altrui che non a rilevare i punti di azioni effettivamente praticabili in questa fase all'interno della situazione piemontese.
Tenterò di giustificare questa affermazione e quindi di dare anche un contributo al dibattito che qui si sta svolgendo. I dati relativi alla situazione economica piemontese nei diversi settori ripropongono una serie di situazioni largamente note e largamente documentate; radiografia di un quadro generale di crisi che si estende a macchia d'olio dall'elemento centrale della Fiat per passare ad altri comparti di grande rilievo dell'economia piemontese e per coinvolgere decine e decine di aziende anche in altri settori considerati fino a poco tempo fa sani.
Questa analisi, completata nel settore agricolo e in altri settori, ci sembra che manchi di adeguato respiro nel cogliere le ragioni profonde della crisi. Non è che improvvisamente il sistema del capitale, che aveva retto un sistema produttivo, sia entrato in crisi per colpe tutte interne al sistema del capitale stesso e per colpe tutte interne al sistema della Regione. Di fronte ad uno stato di dissesto così generalizzato di una delle vere economie industriali che il nostro paese può vantare, valeva forse la pena di individuare le ragioni vere e profonde della crisi del sistema economico piemontese. Non è solo la crisi delle singole aziende, ma è la crisi del "sistema Italia", cioè di un sistema che non deve solo sforzarsi di affrontare e risolvere i singoli nodi contingenti di crisi; dal Consiglio regionale del Piemonte deve uscire un invito alla riflessione alle parti sociali: o si modificano alla radice i comportamenti che hanno portato a questo stato di cose, altrimenti si salverà oggi la Singer domani la Venchi Unica, o si dirà che l'avremo salvata perché si saranno occupati 90 addetti attraverso un' operazione marginale rispetto al problema, ma non si saranno create le condizioni di ripresa e di rilancio dell'economia.
E questa critica che rivolgiamo al documento regionale ci sembra tanto più forte, quanto più si individua nell'accresciuto costo del denaro, la manovra disperata che il governo morente ha dovuto compiere per tentare per lo meno, di proteggere l'economia italiana dalla pressione della speculazione nazionale e internazionale sulla tenuta della lira; sembra quasi che il vero nodo per le aziende sia l'aumentato costo del denaro e dei finanziamenti. Questo è certamente vero, ma non è lì la vera causa del male: il denaro non costa caro perché lo ha deciso il governo, il denaro costa caro perché viviamo in un Paese che invece di riuscire a ridurre il tasso di inflazione, in una visione programmata della gestione economica, è capace di dilatare il tasso stesso.
A questo concorre un meccanismo di adeguamento del costo del lavoro su cui sicuramente occorre riflettere, concorre una dilatazione della spesa pubblica, sempre più larga e sempre più incapace anche in situazioni di alta qualificazione quale quella piemontese, a diventare uno strumento di stimolo e di tenuta dell'economia; tutto questo dipende dalla nostra incapacità generale di mantenere il passo competitivo con le linee dei Paesi con i quali ci dobbiamo confrontare.
Di nuovo rileviamo la nostalgia, sia pur critica, per uno strumento quale la legge 675 per il sostegno industriale che di fatto è insufficiente. In una situazione in cui il costo del denaro è altissimo, in una situazione in cui il problema della tenuta delle industrie non sembra più tanto legato a fatti di questo genere, ci siamo tutti resi conto che lo strumento dell'incentivazione non può essere quello dell'agevolazione creditizia perché l'agevolazione creditizia ha una sua credibilità quando riesce ad operare in condizioni sane di mercato per aggiustare il tiro su settori o su parti territoriali particolarmente delicate, ma quando viene generalizzata a un intero sistema economico, in quanto questo è incapace di reggere al costo del denaro (ormai pari al 25%), lo strumento dell'agevolazione creditizia all'artigianato e all'industria diventa incapace di reggere il passo con la sfida che l'economia lancia ai comparti produttivi, al corpo sociale, alle forze politiche.
Non possiamo pensare di uscire dalla crisi attraverso una diminuzione del costo del denaro, non praticabile in presenza di un'inflazione così forte, non possiamo pensare di uscire dalla crisi attraverso una generalizzazione dello strumento dell'agevolazione creditizia, che certamente il nostro sistema economico non è in grado di sopportare e che comunque deve essere utilizzato per attenzioni finalizzate.
Occorre invece pensare, meditare, e questo manca all'interno di questo documento, strumenti più elastici quali la fiscalizzazione degli oneri sociali, gli sgravi fiscali, cioè quegli strumenti che non contrastano con un ordinato funzionamento del sistema economico, ma che consentono la riduzione dei fattori di produzione, in questo caso il lavoro, in altri casi le materie prime e gli approvvigionamenti, e quindi di riportare il nostro sistema produttivo ed economico in condizioni di competitività con gli altri sistemi con i quali ci dobbiamo confrontare.
Se da questo documento si intendeva fare emergere una indicazione sulle motivazioni della crisi del sistema economico piemontese, tanto preoccupante perché investe ormai come un impetuoso vento dell'est la generalità delle strutture produttive, mi sembra che si debba riflettere di più, motivare e articolare meglio questi elementi ed invitare, attraverso un documento di Giunta, tutte le parti politiche e sociali ad una riflessione più generale sopra i nodi con i quali ci dobbiamo confrontare.
Vorrei sviluppare ancora una seconda parte dell'intervento. Abbiamo apprezzato il tentativo di dire: la Regione deve richiedere al governo di predisporre in via generale per determinati settori una serie di strumenti o completare gli strumenti esistenti perché soltanto la presenza di questi le consentirà di svolgere in modo più incisivo il ruolo di finanziatore di interventi, di gestore di determinati momenti di confronto sociale, come la formazione professionale, di erogatore di credito agevolato in determinati settori per mantenerle una pienezza di compiti e di responsabilità nel governare e nel tenere le redini della programmazione regionale che superi il momento di crisi e metta al riparo da cadute future, quale quella che stiamo vivendo in questi giorni.



VIGLIONE Aldo

Vi siete sempre pronunciati contro alle competenze della Regione.



BASTIANINI Attilio

Non so se tu fai la parte del provocatore! Sarò costretto a cambiare posto! Ti tranquillizzo: non ho detto che noi aderiamo a questo disegno. Non credo che si possa in questo momento dividere le forze politiche tra quelle che sono per la programmazione e quelle che sono contro la programmazione: questi schieramenti hanno fatto il loro tempo e hanno fatto molto danno ai rapporti politici italiani. Entriamo nel merito dei problemi e vediamo se e dove il termine programmazione viene ritenuto compatibile da noi come da altri.
Per concludere l'analisi sul documento mi pare sia opportuno invitare la Giunta ad una riflessione su quanto può essere fatto anche in presenza di un quadro normativo nazionale incompleto o insufficiente.
L'Assessore Alasia ci ha dato alcuni dati per alcuni settori, non staremo in questa sede a contestarli anche perché rispondono ad un reale e vero impegno.
Le funzioni della Giunta in questa legislatura sono partite in modo che ci lascia preoccupati. Non c'è dubbio che le condizioni in cui la Giunta si trova ad operare sono difficili, non c'è dubbio che gli impegni in cui la Giunta si trova a doversi confrontare sono stressanti e impegnativi, non c'è dubbio che il quadro della regolamentazione nazionale è insufficiente a garantire alle Regioni tutti gli spazi coordinati di intervento. La caduta del Governo e quindi la caduta di una strategia, giusta o sbagliata che fosse, per il governo della nostra economia è l'ultima prova di quanto sto dicendo, ma abbiamo anche l'impressione che stia prevalendo nei comportamenti della Giunta quello che noi chiamiamo l'alibi dell'emergenza.
Di fronte ad una situazione critica di alcuni settori che hanno aumentato le tensioni sociali, di fronte ad un quadro politico nazionale non assestato, ho l'impressione che prevalga quasi una forma di giustificazione interna: essendo la Giunta impegnata in queste cose, non c'è tempo per mettere mano in modo sistematico ai grandi progetti di intervento nelle diverse aree che sono nella facoltà della Regione.
E' un allarme che lanciamo. Diamo per scontato che la Giunta ci risponderà assicurandoci che questo non avviene, che anzi, sono in corso di preparazione programmi od altro, però, la mancanza in questo documento di qualsiasi accenno di che cosa la Regione per intanto ha intenzione di mettere in atto per svolgere fino in fondo il suo ruolo, ci preoccupa e di questa nostra preoccupazione informiamo la Giunta e le forze politiche perché riteniamo che venire meno a questo compito sarebbe non tanto grave per la Giunta quanto per la comunità piemontese.
Quali sono le conclusioni di questo dibattito? Riconduciamolo alla sua funzione contingente, cogliamone gli aspetti positivi in questa funzione, impegniamoci però subito, presto indipendentemente dalle emergenze che ci assillano a trasformare ciascuna delle indicazioni contenute nel documento in uno sforzo operativo dell'amministrazione regionale la quale faccia per intanto fuoco, con la legna che ha, con il quadro normativo in cui si trova, superando anche gli ostacoli che si trova davanti. In questo sforzo la Giunta può contare su un rapporto con l'opposizione non sabotativo, ma fortemente collaborativo.
PRESIDENTE.
La parola al Consigliere Carletto.



CARLETTO Mario

Signor Presidente, signori Consiglieri, il dibattito che la Giunta regionale propone oggi sul tema scottante della crisi economica che investe il Paese e la nostra Regione per i riflessi che produce sull'industria dell'auto e su una serie di industrie e di settori presenti nel territorio è utile e importante. Le forze politiche si stanno impegnando per dare il loro contributo di cui la Giunta dovrà tener presente nel confronto che avrà con le altre Regioni e con il Governo in formazione. Questo dibattito si inserisce come cerniera fra il Piano di sviluppo della seconda legislatura ed il piano di sviluppo che ci verrà proposto alla fine di agosto: è anche un sondaggio e una verifica per meglio articolarlo.
Il Gruppo DC intende dare la sua collaborazione sforzandosi di far emergere gli elementi di dissenso, che per la verità sono molti. Proprio perché è un momento cerniera consentitemi di fare alcune considerazioni sul Piano di sviluppo regionale '76/80, che venne predisposto senza avere a monte un sufficiente patrimonio di studi, di elaborazione, di confronti sui reali problemi del territorio. Era un Piano di sviluppo che aveva come metodologia la ricerca del consenso da parte della Giunta di sinistra formatasi nel 1975, consenso sfociato poi in quella Conferenza sull'occupazione, importante per i personaggi che vi hanno partecipato che si sono sforzati nel dare giudizi e valutazioni, ma non risolutiva per far uscire il Piemonte dalle difficoltà in cui già allora si trovava.
La valutazione che si può fare di quel Piano di sviluppo può essere questa: un programma rigido, che ha disatteso la dinamica dell'evoluzione del quadro economico nazionale e internazionale, un programma che aveva carenze oggettive sulle ipotesi, sui vincoli di base e sugli strumenti che la Regione poteva mettere in atto. Quindi, a nostro giudizio, sono fallite le ipotesi obiettive che quel Piano di sviluppo si era prefigurato.
Nella proposta della Giunta e nell'intervento del Presidente Enrietti ci pare di cogliere le stesse carenze; Bastianini dice giustamente che questo sembra un documento di difesa, un documento nel quale si tende a ribaltare sul Governo le responsabilità. Certo, il Governo ha responsabilità oggettive rispetto alla conduzione della politica nazionale certo, è utile e importante un confronto fra le Regioni e il Governo sulle linee operative economiche e sociali che il Governo deve conseguire per superare la crisi. Non siamo però d'accordo che la problematica della crisi del Piemonte venga risolta con una battuta facendo il censimento dei bisogni senza dare quel contributo che è proprio di una istituzione come la nostra.
Ricordo gli interventi dell'ex Assessore al lavoro, Libertini, alla Singer, quando diceva, prima del 1975, che se i comunisti fossero stati al Governo avrebbero risolto quel problema: questo non lo dico io, lo dice la storia recente, lo dicono gli operai della Singer. E' lungi da me l'intenzione di fare della polemica, devo dire però che percorrere certe strade può essere pericoloso e sbagliato.
Quali sono le nostre indicazioni rispetto alla crisi del settore industriale del Piemonte? I problemi elencati nel documento sono molti: Fiat, Olivetti, Indesit Montedison; alcuni dei quali ho trattato con l'Assessore Alasia quanto ero Sindaco di Volpiano. Questa elencazione è utile, ma richiede proposte concrete e soprattutto richiede alle forze politiche del Consiglio regionale un, minimo di originalità e di inventiva.
Vorrei soffermarmi su tre elementi fondamentali: 1) l'esigenza di elaborare un nuovo modello demografico 2) definizione della posizione e del ruolo che si vuole assegnare all'economia piemontese nell'ambito del sistema economico italiano ed economico europeo 3) definizione chiara dei grandi problemi del Piemonte e dell'iniziativa complessiva che la Regione deve sviluppare per il loro superamento.
Sono alcune linee operative sulle quali è utile e indispensabile approfondire il dibattito fra le forze politiche e con le forze sociali. Se non affrontiamo alla radice i nodi fondamentali del sistema industriale finiamo per fare tante parole, tante considerazioni, ma, in definitiva, non riusciamo a dare alla gente, che ha la preoccupazione di mantenere il posto di lavoro, l'impressione di sapere entrare nel nodo dei problemi, di saper dare delle indicazioni precise. Per poter portare all'attenzione del Governo proposte concrete, è opportuno fare un'indagine completa e profonda sul sistema produttivo della Regione, sulle potenzialità oggettive di lavoro piuttosto che andare ad individuare i problemi azienda per azienda.
E' importante difendere il posto di lavoro, così come anche la D.C. ha tentato di dire ai cancelli della Fiat Rivalta e della Fiat Lingotto, dove con l'amico Brizio, ho tentato di parlare di fronte ad una platea spesso intollerante che non permetteva di esprimere i concetti che sono in linea con le posizioni della D.C. assunte in quest'aula. Ci pare utile e importante capire la flessibilità del sistema produttivo per renderlo duttile alle modificazioni repentine del sistema economico nazionale e internazionale. La sfida americana e giapponese alla produzione dell'auto e all'industria in generale, non è soltanto una sfida alla tecnologia, ma è anche una sfida alla flessibilità dell'economia.
Su questo terreno è utile un rapido confronto fra le forze politiche sociali per individuare la disponibilità e per rendere operativa tale flessibilità. Non siamo per la difesa ad oltranza degli occupati contro i disoccupati, siamo per la razionalizzazione del sistema produttivo, siamo per un'azione che armonizzi il reinserimento nel fatto produttivo degli uni e degli altri con un unico elenco dell'Ufficio di collocamento, dei disoccupati e dei precari.
E' massiccia la presenza dei giovani nelle liste dei disoccupati, lo è certamente molto di meno nei precari. E' urgente la modifica della legge sul collocamento, vecchia di trent'anni, legge che ha avuto alcune modifiche che non l'hanno però migliorata di molto, per la quale la DC.
attraverso la proposta del Ministro Scotti ha dimostrato la disponibilità ad un confronto. Tale disponibilità ribadiamo oggi al Governo perché, ad esempio, è inaccettabile che l'Ufficio di collocamento di Torino richieda 6 mesi di occupazione per il passaggio diretto, mentre l'Ufficio di collocamento di Milano richiede 15 giorni, quasi che Milano appartenga ad un altro Paese.
Mi pare importante ribadire a nome della DC che noi siamo per la mobilità protetta, la mobilità da posto di lavoro a posto di lavoro.
L'altro problema importante toccato dai colleghi che sono intervenuti è il problema finanziario, del costo del denaro e della restrizione del credito. Il collega Bastianini si è soffermato lungamente su questo terreno e sostanzialmente concordo con lui. E' anche importante il meccanismo di selettività del credito. La nostra forza politica forse nel passato ha commesso degli errori. Dobbiamo richiedere su questo terreno interventi finalizzati a ristrutturazioni industriali, finalizzati alla crescita industriale. I quattrini non devono andare a chi non li merita; come l'Assessore Alasia sa, ho affermato questo nell'azienda Bugnone. Dunque non faccio affermazioni nuove, ma ribadisco concetti ai quali mi sono attenuto nei confronti avuti sulla crisi che ha interessato il mio Comune.
Altro tema importante è una verifica approfondita sulla manodopera che viene richiesta e su quella che viene offerta.
Vorrei soffermarmi sugli impegni della Regione che, per la verità non emergono dal documento. Mi auguro che emergeranno dal piano regionale che ci verrà proposto entro la fine di ottobre. Sarà importante in quel piano un migliore utilizzo delle risorse finanziarie. Consentitemi di citare alcuni dati interessanti dal momento che si sono fatte nel corso del dibattito sul Frejus delle comparazioni fra le amministrazioni degli anni 70/75 e 75/80.
E' una sfida politica interessante alla quale la DC non si sottrae anzi, vuole dare il suo contributo. Dice una relazione su questo tema: "L'esame dell'andamento della capacità di spesa della Regione Piemonte, dal 1972 al 1979, ci fornisce l'esatta dimensione dei profondi mutamenti che hanno interessato la realtà regionale nel periodo considerato. Infatti mentre la Regione Piemonte nel 1972 ha gestito circa 91 miliardi, nel 1979 ha amministrato una cifra superiore a 2000 miliardi. Se nel '72 la Regione Piemonte riusciva a spendere 57 dei 91 miliardi che aveva a disposizione pari al 62,7%, nel 1979 essa è riuscita ad erogare complessivamente poco più di 1250 miliardi sui 2070 miliardi che si è trovata a gestire all'inizio dell'anno, pari al 43,1%. I rimanenti 820 miliardi rappresentano di fatto delle risorse non utilizzate, destinate a tradursi in parte in economia di spesa, come tali utilizzabili negli esercizi successivi sotto forma di avanzo finanziario, e in parte in residui passivi in quanto somme impegnate nel corso dell'esercizio e non spese.
Non si può non riconoscere l'esistenza di una ancora insoddisfacente capacità della Regione ad attuare molti dei programmi e dei progetti previsti nel suo bilancio. Tale insufficienza assume un rilievo maggiore se riferita al grado di attuazione dei programmi di investimento programmati dalla Regione e più in particolare a quelli riguardanti alcuni settori particolarmente importanti per l'economia piemontese, quali l'agricoltura l'artigianato, il commercio e l'assetto del territorio".
Il problema delle risorse di bilancio e dei residui passivi è importante e, senza fare delle polemiche, il Consiglio regionale deve meditarlo.
Ma vi è un altro dato successivo, che è ancora più grave e che riguarda le spese afferenti a leggi regionali, la cui responsabilità non si pu ribaltare sullo Stato. Le leggi regionali rappresentano un terzo del bilancio e l'utilizzo medio è pari al 30%. Faccio queste considerazioni in termini positivi, non in termini di critica, certamente sono dati che approfondiremo nel successivo dibattito quando la Giunta regionale proporrà il nuovo Piano di sviluppo.



SANLORENZO Dino

Consigliere Cadetto, lei conosce il rapporto Andreatta?



CARLETTO Mario

Conosco il rapporto Andreatta, conosco anche le polemiche che la Giunta regionale appena insediata nel '75 ha fatto sull'amministrazione degli anni '70/75 ed è opportuno confrontarsi su queste cose anche perché fa parte di quel ragionamento complessivo sul "nuovo modo di governare" che ama fare il Partito Comunista.



SANLORENZO Dino

Il rapporto Andreatta dice che la Regione Piemonte è al 3° posto fra le Regioni italiane che hanno minori residui passivi.



CARLETTO Mario

Non credo che il Consiglio regionale del Piemonte si debba fare carico delle carenze delle altre Regioni. Chiediamo un giudizio sulle tematiche che si dibattono in quest'aula. Sono convinto che la Giunta contesterà questi dati e ne sarò felice non per la DC ma per la società piemontese. Mi verranno comunque offerti degli elementi a supporto di quanto ho detto.
Faccio alcune notazioni velocissime: legge 457 per l'edilizia economica popolare. La Regione Piemonte ha previsto degli stanziamenti che i Comuni non sono in grado di recepire o per mancanza di strumenti urbanistici o perché vi hanno rinunciato legge 56, sulla gestione del territorio. E' un tema sul quale si è discusso molto, il Gruppo consiliare della Democrazia Cristiana ha sostenuto a fondo proprie tesi, e sappiamo il disastro che ha provocato sulla realtà piemontese, non tanto per la filosofia della legge, quanto per il modo con cui è stata calata sui Comuni la formazione professionale il problema del Frejus.
Quali sono i risultati della riqualificazione professionale? E' stato fatto un confronto con le organizzazioni produttive per conoscere le richieste di manodopera qualificata e specializzata? Da un'indagine dell'Unione Industriale Piemontese è risultato che in complesso sono state segnalate difficoltà del 45,1 % dei casi per gli specializzati e del 19,5% per i generici. Il reperimento di operai qualificati e specializzati è particolarmente sentito nelle zone di Biella e di Borgosesia (più del 50 % delle aziende).
Vogliamo capire perché nel settore della sanità c'è carenza di personale paramedico, vogliamo capire perché in questo settore non si sono messi in atto gli strumenti per il soddisfacimento delle richieste di personale, vogliamo capire perché mancano le scuole professionali in questo settore, vogliamo capire perché la Regione Piemonte in 5 anni non ha fatto quel salto di qualità che il PCI aveva proposto nel 1975 quando ha avuto responsabilità di governo a tutti i livelli locali, comunali, provinciali e regionali. Il collega Guasso, parlando della Fiat disse: "ci devono dire che cos'è questo terziario". Non credo che il Consigliere Guasso abbia bisogno che Carletto gli spieghi cos'è il terziario, forse, vuole disattendere un problema che è sul tappeto, che è nella nostra società, che è nelle aspettative della gente rispetto al quale ci vuole la volontà politica di dare alla comunità piemontese una svolta nel terziario e nel terziario superiore che gli consentirebbe non dico di uscire dalla crisi ma di offrire sbocchi quanto meno per i giovani. Terziario vuol dire settore finanziario, vuol dire la potenzialità di crescita di Torino come centro finanziario in quanto sede di importanti banche di società finanziarie, di compagnie assicuratrici, nazionali ed internazionali, è un elemento importante e meritevole di attenzione.
Il Piemonte dispone di strutture sanitarie, ospedaliere e di centri di ricerca il cui potere di attrazione va molto al di là della dimensione regionale, quindi sviluppo delle strutture sanitarie e universitarie, una politica culturale che dopo un'indagine conoscitiva delle attività didattiche sappia coordinare l'attività di ricerca, in collaborazione con l'industria, l'attività dei settori delle scienze sociali e umane che consenta il superamento della prevalente cultura industriale, le attività del turismo, delle strutture commerciali e così via.
Colleghi Consiglieri, è indispensabile saper dimostrare la vocazione europea del Piemonte con gli atti concreti che facciano uscire l'area piemontese dalla situazione monoindustriale della quale, certamente ci facciamo carico.
Le proposte che ci vengono fatte dalla Giunta nel documento sono dichiarazioni di intenti, temi di confronto con il Governo: attendiamo il Piano per gli anni 81/85 che auspichiamo ricco di prospettive dinamiche e non statistiche e in quella sede offriremo il nostro contributo nell'intento di fare uscire la società piemontese dalla crisi. In quel momento daremo anche un giudizio politico più complessivo sulla maggioranza che si è formata alla Regione Piemonte.
PRESIDENTE.
E' iscritto per l'intervento il Consigliere Viglione. Ne ha facoltà.



VIGLIONE Aldo

Colleghi Consiglieri, Signor Presidente, il documento della Giunta vuol essere un contributo alla preparazione del programma che la Giunta stessa si accinge a varare nel mese di novembre ed è anche un'indicazione al programma nazionale in occasione della formazione del nuovo Governo.
Il dibattito è estremamente interessante. Il documento offerto presenta alcune lacune e non può che essere la somma di tutti i problemi, ha per l'obiettivo di suscitare un ampio dibattito all'esterno del Consiglio regionale chiamando tutta la comunità a partecipare alle decisioni che in sede locale e nazionale saranno assunte, obiettivo, quindi, eccezionalmente importante.
La situazione economica del Piemonte presenta tali singolarità e tali pesantezze che in assenza di un vasto raccordo tra cittadini, lavoratori operatori economici, forze sociali, riuscirà estremamente complesso il suo superamento ed aggraverà le contraddizioni esistenti qualora l'intervento pubblico e/o privato, in perfetta sintonia, non producano effetti moltiplicatori dell'occupazione e della produzione. Mentre i dati nazionali evidenziano una congiuntura pesante, anche se non di lunga durata, secondo le previsioni, in Piemonte dati recentissimi rilevano risultati economici particolarmente negativi a seguito della vicenda Fiat, del relativo indotto, dell'elettronica, dei settori delle fibre e degli elettrodomestici.
Quindi il dibattito di oggi cade in un momento giusto ed importante.
Una caduta per il Piemonte potrebbe diventare verticale qualora la produzione Fiat dovesse ancora subire battute d'arresto, o peggio, se altri settori non trovassero un'adeguata ripresa.
La terza legislatura regionale si apre dunque in un momento difficile.
Compito del nuovo governo regionale è di contribuire a rimuovere le cause e promuovere nuovi processi di crescita economica e sociale, di raccordare l'intera comunità, le istituzioni e le forze economiche in un disegno di lungo respiro, con l'obiettivo di un reale e concreto salto della qualità della vita dei cittadini per il rafforzamento della democrazia e l'attuazione di quei principi fondamentali che per larga parte sono ancora inattuati.
L'obiettivo inoltre è il nuovo modello di sviluppo, entrato in crisi da lunghi decenni, teso non più al mero consumismo (e questo può essere un terreno di intesa specialmente col mondo cattolico. Non so se la DC Io rappresenta appieno, ma probabilmente qualche voto l'ha avuto) o ad ulteriore espansione, consumistica, ma ad una vita diversa dove più valga la cultura, l'istruzione, un modello associativo, l'avvio di grandi riforme nel campo dei diritti civili, la piena occupazione, il benessere inteso come sviluppo della personalità, in un nuovo rapporto con l'ambiente e con la natura. Un modello totalmente diverso da quello attualmente in corso.
Sotto questo aspetto noi non siamo per la produzione "comunque", ma per una produzione qualificata per i beni fondamentali della vita, per una società socialista dove il vincolo di solidarietà ed il processo di sviluppo abbiano una base associativa, non quella privata e singola, pur nel rispetto della pluralità delle voci e degli interessi che esistono all'interno del nostro Paese. Questo processo deve crescere attraverso forme democratiche, questa è la democrazia di lungo respiro, di lunga durata, senza imposizioni, con obiettivi di sviluppo, che le istituzioni si pongono attraverso vasti processi di elaborazione e in competizione costante e perenne con l'iniziativa privata, con la contrattazione come metodo.
Se si definiscono queste linee e questi obiettivi, tutte le citazioni di iniziative che la Regione sollecita o direttamente promuove, rischiano di non avere né retroterra né futuro e rischiano di cadere come singolo episodio di mera istanza razionalizzatrice. Se vogliamo veramente dare un contributo per la formazione di un programma nazionale o regionale dobbiamo fra di noi risolvere questo quesito che non è certo di poco conto che finisce per non essere solo economico, ma è anche politico.
Se percorriamo sempre e tutte le strade per perseguire tutti gli obiettivi, finiamo per davvero per cadere in tanti errori che contrassegnarono anche la vita dei governi di centro sinistra, pur positivi sotto tanti aspetti. Ritengo quindi che questo aspetto debba essere rilevante e rilevato nella nostra discussione. Lavoriamo per una società socialista, dove non solo è preminente l'aspetto sociale o la garanzia occupazionale, o dei beni fondamentali della vita umana, la casa, la salute, l'istruzione, il trasporto pubblico, l'agricoltura, ma anche la giustizia, lo sviluppo della personalità e soprattutto le garanzie democratiche del processo che deve avvenire e che deve compiersi. Siamo per una società che si riallacci alle grandi democrazie d'Europa, ma con correttivi che ne riproducano o ne eliminino le storture o certi squallori degenerativi e dove siano colti gli aspetti più significativi della qualità della vita umana.
Apprezziamo quindi lo sforzo che la Giunta compie col suo documento che per tale va letto, e questa chiave di lettura potrà essere il punto di riferimento per il programma della III legislatura, programma che troverà dei punti di convergenza se queste linee potranno essere perseguite. Uno sforzo quindi non limitato alla nostra comunità, ma quale contributo alla crescita dell'intero Paese, al riequilibrio economico territoriale, punto ineliminabile del programma che andremo ad approvare che porti a delle iniziative non episodiche, ma a cogliere il complessivo della nostra società e le istanze che da essa emergono.
Se così può essere posta la questione e se su alcuni punti noi possiamo trovare l'accordo e il riferimento (l'abbiamo sulla giustizia sull'attuazione della Costituzione, l'abbiamo sul momento di crescita della qualità della vita), riuscirà certo più facile la lotta all'inflazione, che la Giunta regionale indica come problema principe, la modifica totale del sistema creditizio, che avrà compiti di intervento selettivo a sostegno dei piani di sviluppo e non come ipotesi selvaggia di mero profitto (che compiono anche le banche di diritto pubblico) o come mezzo di colossali speculazioni.
Allora ha un suo valore il richiamo che l'Assessore Alasia in più occasioni ha fatto alla legge 675, alla sua modifica, all'indirizzo e agli obiettivi che intende cogliere sulla riconversione e ristrutturazione industriale. Il richiamo ad una politica che definisca i settori di intervento con il credito finalizzato ha una sua logica, in particolare per il piano auto che tarda ad essere redatto, per il piano agricolo alimentare, per l'elettronica, per i trasporti e per l'artigianato, settori che vengono indicati dal documento della Giunta come settori chiave della nostra economia.
Mi spiace che non sia presente il carissimo collega Bastianini che ha rivendicato più competenze alle autonomie, ma che è stato anche il creatore dello slogan delle elezioni: "abbiamo troppo comune nella nostra vita".
Oggi, folgorato sulla strada di Damasco, egli è passato invece alla concezione che per avere una corretta programmazione le autonomie e la Regione devono avere una quantità di competenze che permettano di dominare il processo democratico della programmazione.
Il ruolo delle autonomie assume quindi caratteristiche determinanti di raccordo fra le istanze periferiche e il potere centrale, ma non è solo un ruolo di mediazione, ma di coautori di un indirizzo politico economico che sia determinante per la crescita del Paese. Occorre puntualizzare e dare più spazio alle autonomie locali per avere un corretto rapporto democratico e un processo di sviluppo coerente e concreto; non vi è altra strada che il potere decisionale delle autonomie.
Anche le autonomie locali degli Stati Uniti o i lander tedeschi hanno la completezza del processo economico è delle competenze nel campo delle singole realtà geografiche.
La seconda legislatura regionale ha visto risultati significativi e bisogna dare anche merito al Governo Andreotti. Non possiamo dimenticare che cosa ha fatto l'onorevole Fanti, Presidente della Regione Emilia Romagna o all'attuale Ministro Lagorio per aver compiuto un passo significativo nel campo dell'attuazione della legge 382 e del DPR 616. Se non vogliamo cadere in puri intenti velleitari, occorrerà, prima di ogni altra cosa, portare a conclusione il processo delle autonomie locali, non solo per attribuirci competenze, ma per comporre un quadro generale di intervento programmatorio. Solo in questo quadro potranno trovare esatta attuazione gli interventi disegnati nei piani nazionali e regionali adeguati agli obiettivi di ripresa occupazionale e produttiva. Se non si realizza questa pienezza e questa compiutezza delle competenze delle autonomie locali, riuscirà più difficile questo processo anche se la Giunta oggi si propone col documento di dare delle indicazioni al Governo che l'onorevole Forlani si appresta a varare.
Solo a queste condizioni il dibattito potrà risultare utile e produttivo.
PRESIDENTE.
La parola al Consigliere Carazzoni.



CARAZZONI Nino

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, il Presidente della Giunta introducendo stamane il dibattito, diceva che questa discussione viene promossa al fine di offrire un contributo per orientare la politica economica del futuro Governo nazionale e con l'intento preciso di dare indicazioni alle forze politiche che saranno chiamate a costituirlo. Noi accogliamo l'invito anche se potremmo osservare che, mentre l'esecutivo esprime questa sua intenzione che è per tanti aspetti velleitaria, non siamo ancora in possesso del programma della III legislatura che peraltro ci è stato promesso per ottobre.
Quindi non ci sottrarremo certo alla discussione, che anzi vogliamo affrontare di petto probabilmente con un taglio differente dagli interventi che abbiamo sinora ascoltato, affermando subito che per risanare la situazione in Piemonte e in Italia, le sole misure tecniche a nostro avviso non bastano ormai più. Infatti, per superare la crisi economica occorre rompere radicalmente con la politica che è stata sino ad oggi seguita. Il quadro che sta davanti ai nostri occhi e che opportunamente la relazione che è stata distribuita ai Consiglieri tiene a sottolineare, è qualcosa di più che preoccupante: dissesto industriale con i punti caldi o caldissimi della Fiat, dell'Olivetti, della Indesit, della Montedison-Montefibre e riflessi negativi nell'indotto e nel subindotto; difficoltà croniche e crescenti in agricoltura con drammatiche prospettive, come abbiamo visto nell'ultima seduta di Consiglio regionale per il settore delle uve e il settore vitivinicolo; un'inflazione galoppante; una stretta monetaria che assilla ogni attività economica. Servono provvedimenti urgenti e drastici.
Ma quali provvedimenti? La relazione formula diverse proposte per i settori industriali, dell'agricoltura, dell'artigianato, del commercio, dei trasporti. Altre proposte abbiamo sentito presentare dal collega Bastianini, dal collega Carletto, da altri che ci hanno preceduto e, in un'ottica riduttiva del problema, talune di queste non si possono neanche discutere tanto sono ovvie e rappresentative di esigenze da più e più anni rappresentate e reclamate: così per l'agricoltura la richiesta presentazione del piano agricolo alimentare; per il commercio la revisione della legge 426 sulla disciplina delle attività commerciali; o, ancora, per l'artigianato la legge quadro di settore.
Ma a nostro avviso il discorso doveva e deve allargarsi a ben più ampie considerazioni soprattutto nelle indicazioni relative al settore industriale, se non lo si vuole fare approdare alle sponde di un fittizio e falso unanimismo. In tutti i campi siamo arrivati al punto, e lo dimostrano gli scontri di ieri e di oggi davanti ai cancelli della Fiat tra operai che intendevano esercitare il loro diritto al lavoro e i picchetti che questo diritto intendevano negare; siamo arrivati al punto, dicevamo, in cui non importa più tanto la riforma di una legge (qui si è parlato a lungo della legge n. 675), o non importa più tanto o soltanto l'approvazione del piano auto, importantissimo peraltro, che anche noi chiediamo.
Quello che secondo noi importa, ciò che serve per la ripresa dell'economia piemontese e al tempo stesso di quella italiana, è il voltare drasticamente pagina e seguire altri principi che, per essere chiari fino in fondo, non sono quelli della politica assistenziale a tutti i costi, o della gepizzazione, ma sono quelli del recupero della produttività e del rilancio della competitività.
Occorre cambiare alla base le linee essenziali sino ad oggi caparbiamente seguite; ma per fare questo serve anche una volontà differente che la classe politica al potere ha dimostrato di non possedere.
Ormai da 15 anni almeno, siamo andati avanti in economia con interventi tampone, con misure improvvisate, con provvedimenti disorganici. Ultimo esempio, l'aumento del tasso di sconto al 16,50% che qui si è voluto giustificare dicendo che era necessario ad impedire manovre speculative sulla lira. Noi crediamo invece che la severa stretta monetaria non attenuerà in alcun modo il livello dell'inflazione ma, per le fisiologiche condizioni del mercato del credito in Italia, il maggiore costo del denaro verrà scaricato sui prezzi e conseguentemente aggraverà l'inflazione stessa.
Infatti, per le distorsioni della politica economica attuata negli anni scorsi, il credito bancario a breve termine è massicciamente utilizzato dalle imprese per finanziare la produzione. In dipendenza di ciò, quindi il maggiore costo del denaro colpirà i consumatori senza operare alcun beneficio nella lotta anti-inflattiva; e, poiché parliamo di inflazione sull'inflazione italiana, occorre pure dire con chiarezza che essa è, non la causa, bensì la conseguenza della crisi economica, cioè il prodotto della politica economica attuata.
Se è vero infatti che il livello inflazionistico è stato determinato dall'aumento del prezzo del petrolio, è pur vero che su di un tasso inflattivo del 22 % qual è quello che oggi in gran parte divora stipendi e salari, i punti direttamente collegati all'aumento del prezzo delle materie prime, possono si e no rappresentarne un terzo.
Se noi potessimo materialmente depurare il nostro livello di inflazione dalle cause interne, avremmo grosso modo il tasso di inflazione uguale a quello della Francia, cioè aggirantesi attorno l'8 o il 9%. I due terzi invece, di questa cronica inflazione, dipendono da cause interne direttamente scaturenti da errori di politica economica, cioè da un altissimo livello di fiscalità sui redditi fissi in particolare; dalla voluta legislazione punitiva del risparmio (siamo uno dei pochi paesi al mondo che tassa il risparmio); dalla iperbolica espansione della spesa pubblica di tipo assistenziale; dallo sperpero continuo di migliaia di miliardi in investimenti improduttivi ed infine dalla mancanza di un piano economico che tenga effettivamente conto delle istanze globali delle categorie produttive. In aggiunta a queste carenze ed a questi che noi giudichiamo gravi errori di conduzione economica, sono sorti e si sono ampliati altri fenomeni che non solo hanno peggiorato la situazione italiana, ma ne hanno cronicizzato i connotati sino a farla diventare endemica: assenteismo, scioperi politici, disaffezione al lavoro, scandali economici di vastissime proporzioni. Ora, il Consiglio regionale è sollecitato da questo dibattito a dare indicazioni al nuovo Governo.
Se così è, noi ripetiamo allora, e sono anni che lo andiamo dicendo che l'antidoto della crisi italiana è costituito dallo sviluppo della linea produttivistica. In un Paese che non ha materie prime, che poggia la sua economia sulla trasformazione dei prodotti, che soprattutto la giustifica e la mobilita con la fantasia e con la creatività dei protagonisti del lavoro, non si può pretendere un'alta produttività quando si punisce con un carico fiscale pesantissimo il lavoratore, quando gli si appiattisce il salario a livello di frange parassitarie, quando lo si mortifica con leggi cervellotiche sulla contingenza e sulla liquidazione, quando lo si impauriste con i principi dei prelievi obbligatori sui salari.
E' quindi pura follia sperare di risolvere la crisi piemontese e, più in senso lato, la crisi italiana, se non si accetterà il principio che occorre restituire fiducia a chi lavora, con la certezza che il suo sacrificio produrrà dei frutti, che occorre proteggere e non punire il risparmio, che occorre fare piazza pulita di ogni ruberia, che occorre che i responsabili siano effettivamente puniti. E' ovvio che tutto ci abbraccia aspetti, e ce ne rendiamo conto, che poco hanno a che vedere con la questione economica, ma è anche evidente che nessuno può disconoscere la interconnessione ormai palese di comportamenti individuali al limite della moralità con i livelli di produttività.
La disaffezione al lavoro, il vacuo assioma predicato per anni dalla triplice sindacale "meno lavoro e più salario" il diffuso assenteismo hanno certamente vulnerato a fondo la cadenza produttiva, non soltanto dal punto di vista materiale, ma da quello psicologico.
E' necessario quindi, e richiamiamo l'affermazione fatta in premessa rendersi conto che occorre finalmente voltare pagina con un rovesciamento completo dell'attuale politica, con la valorizzazione del lavoro attraverso la responsabilizzazione delle categorie produttive in un vasto piano di programmazione impegnativa.
Queste, a nostro avviso, sono le richieste serie, queste sono le indicazioni da fare al futuro Governo nazionale, perché al di fuori di questo totale rinnovamento non vi è dubbio che altro spazio non vi sarà che per la decadenza e per l'impoverimento progressivo.
Grazie.
PRESIDENTE.
La parola al Consigliere Bontempi.



BONTEMPI Rinaldo

Mi tocca parlare ad un'ora tarda e quando si fanno di questi dibattiti il rischio che coglie ogni oratore è quello di cimentarsi con la qualità e quantità dei problemi in campo. Questo mi porterebbe a parlare a lungo invece credo che mi atterrò, con il massimo rigore possibile, al tema che è stato proposto.
Questa è un'iniziativa opportuna, ed è anche un segno di realismo da parte della Giunta di cercare di concretizzare questa iniziativa in un momento delicato della vita del Paese, attraverso un'indicazione e una scelta di temi che partendo dalle situazioni di crisi più rilevanti della Regione, possano dare delle indicazioni e degli orientamenti a livello nazionale. Credo che l'intento dei proponenti sia proprio quello di partire da quei problemi perché indicatori ampi ed attendibili della situazione di crisi ed anche delle possibilità che si possono avere per affrontarli a livello nazionale.
Do atto di questo realismo. Il metodo mi pare corretto e su questo spenderò alcune parole più specifiche, insieme a questi interventi spontanei delle Regioni e dei Consigli regionali forse andrebbe riaffermata la necessità che le Regioni abbiano un ruolo nella formazione delle politiche del primo documento politico della nuova compagine governativa.
D'altronde la Regione prima di formare il suo piano, compie un sondaggio incontri, consultazioni con le autonomie e con le categorie sociali: un discorso analogo, e a maggior ragione, può essere fatto per le Regioni tanto più che la Costituzione affida loro funzioni di programmazione.
Ricordiamo qual era la filosofia del Piano di sviluppo, il suo valore di proposta nazionale e l'ambizione che ponemmo nella II legislatura per dare al Piano non solo le caratteristiche di un'ordinata programmazione degli interventi regionali, ma anche le indicazioni di alcune grandi linee strategiche.
E' pur vero che nella formazione dei programmi di governo e nell'operare concreto dei governi di questo si sia scarsamente o per nulla tenuto conto forse per la grande difformità dei piani. Certamente, per questo è un elemento importante perché proprio nei piani di sviluppo abbiamo i tentativi, più o meno riusciti, più o meno apprezzabili delle varie forze politiche di prospettazione dei problemi e delle loro soluzioni.
Sul documento e sulla crisi spenderò poche parole per stare nei limiti dell'intervento e del tema che è stato proposto, intanto perché il documento rileva dalle situazioni più gravi alcuni indicatori fondamentali e partendo da queste ritiene di dovere proporre alcune soluzioni.
Non possiamo affrontare tranquillamente le questioni dello sviluppo e la scelta di sviluppo negli anni '80. Non credo che in questo frangente si sia fatto scudo dell'emergenza: in realtà, abbiamo una situazione di emergenza effettiva e delle grandi urgenze. Compito nostro, oltre ad arrivare all'appuntamento di fine ottobre, è di inserire le situazioni di crisi, secondo la loro peculiarità e contingenza in un disegno di sviluppo diversamente non c'è senso, non c'è prospettiva, non c'è neanche la condizione politica per riuscire a governare una comunità. La continuità delle ipotesi che fondammo nel '75 e gli aggiornamenti necessari sono una traccia in qualche misura obbligata. Quelle che nel '75 erano intuizioni sono diventare un dato generalizzato da un lato di necessità di allargamento e di sviluppo della base produttiva e dall'altro di un fenomeno in cui le risorse tendono a ridursi.
Questi due elementi, la quadratura dei quali ci dà l'ipotesi di un nuovo disegno dello sviluppo, devono passare attraverso alla funzione della programmazione; se poi vogliamo smitizzarli, devono essere un sistema di convivenza, di obiettivi che riusciamo ad individuare soprattutto attraverso alla concertazione con le parti sociali come guida e riferimento dell'azione della comunità. Vanno esaminati in chiave critica alcuni nodi che solitamente vengono ignorati quando si parla di economia.
Se avanziamo proposte di politica economica, dobbiamo anche rivendicare urgentemente la legge di riforma delle autonomie: riforma della società e dell'economia e riforma dello Stato, vanno insieme: la confusione attuale rischia di rendere totalmente improduttivo qualsiasi disegno di concertazione politica e di decisione. Pensiamo quanto è importante la riforma della Presidenza del Consiglio, un diverso rapporto tra i Ministeri e il Governo, tra le Regioni e gli Assessorati e questo disegno va rivolto anche al basso nei rapporti tra Regioni, Comuni e i livelli nuovi che si stanno creando e in realtà, quando facciamo le questioni dell'efficienza e sull'efficacia dell'azione di governo non possiamo prescindere dal fatto che siamo in un'economia in cui i rapporti tra pubblico e privato sono frequenti, si tratta quindi di rimuovere una serie di vincoli, però la condizione per rimuoverli è quella di determinare certezze e reali capacità dal sistema economico attraverso una chiara definizione dei compiti.
Dovremmo rivedere il ruolo della Regione, i modi di intervento con le varie leggi di spesa. Una delimitazione più precisa dei compiti comporta una maggiore concentrazione della Regione, quindi una situazione di governo che stimoli altre risorse.
E' un errore ritenere che le questioni dell'economia siano separate dal sistema delle autonomie; ancora oggi sul piano della programmazione incontriamo a livello nazionale dei grossi limiti. Anche le esperienze della legge del Quadrifoglio che abbiamo giudicato avanzate in realtà per lo stato attuale dei rapporti hanno preso una direzione molto diversa da quella ipotizzata.
I tempi ristretti a disposizione non mi permettono di dare risposte al collega Carletto che ha azzardato dei dati e sostenuto delle tesi non rispondenti alla realtà.
Dirò qualcosa sul terziario. Sarebbe un grosso errore se facessimo una battaglia ideologica contro le parole. Il rapporto tra industria e terziario è un problema delle società industriali mature e, proprio per questo, dobbiamo definire un certo tipo di territorio. Voglio innanzitutto dire che le logiche del terziario non debbono tornare ad essere le logiche subalterne che gli enti pubblici hanno subito nel passato, quindi il disegno di sviluppo, che deve avere pezzi consistenti in questa direzione deve essere in grado di orientarlo o di dirigerlo attraverso alla concertazione e al consesso di tutti i gradi di libertà che noi riconosciamo.
Credo però che debba essere data molta attenzione alla specificità dell'apparato produttivo italiano e piemontese. E' vero che abbiamo una quota di terziario inferiore rispetto ad altri paesi industrializzati, è anche vero però che esigenze di diqualificazione e di modernizzazione dell'apparato produttivo industriale si pongono qui molto più che altrove pertanto l'integrazione tra il terziario e l'apparato produttivo deve essere un riferimento costante. Quanto diceva Carletto sull'Università è giusto, ma va collocato in funzione della correlazione tra produzione commercio, distribuzione e rapporti con altri Paesi europei e non europei.
Soprattutto in un momento di crisi in cui il rischio del contingente è tale da farci perdere gli obiettivi delle politiche, dobbiamo riprendere con forza il discorso della qualità dello sviluppo. Se dovessimo perdere gli elementi di maggiore giustizia, maggiore uguaglianza di opportunità maggiore dignità dell'individuo, migliore qualità della vita e se dovessimo far pagare a questi aspetti un intervento di carattere congiunturale, non avremmo capito niente della lezione che la storia ci ha dato. Anche la politica meridionalista a mio avviso va rivista, non nel senso di negarla nel senso, anzi di promuoverla. Le stesse leggi 183 e 902, che finora hanno posto dei vincoli, vanno rimediate in funzione delle situazioni nuove che si sono create. Proprio la legge 183 pone dei limiti al credito agevolato quando si crea nuova occupazione. Se si abolisse tale limite si rischierebbe di aprire una breccia pesante nell'impostazione dell'attuale legge, breccia attraverso la quale potrebbero passare anche gli interventi differenziati per le zone che non ne hanno bisogno.
Occorre trovare modi e tempi per ridiscutere in sede governativa (e questo lo aggiungo come elemento specifico alle proposte della Giunta) questi provvedimenti per rilanciare la politica meridionalista partendo dalla crisi del Piemonte, in poche parole, prendendo atto di una novità che fino a pochi anni fa era del tutto sconosciuta.
Credo che un intervento più immediato, meno legato al disegno programmatorio o nazionale, è quello di intervenire attivamente presso gli istituti di credito a medio termine affinché l'agevolazione venga concessa o negata in tempi brevi e, in qualche misura, andrebbe riconosciuto un diritto di precedenza per quelle aziende che si trovano a fronteggiare anche indirettamente la crisi nella nostra area.
Sarebbe anche opportuno intervenire presso il Mediocredito piemontese per considerare la possibilità di dilazionare le rate in scadenza al 31 dicembre per quelle aziende che hanno il fatturato condizionato della Fiat anche abbassando gli interessi di mora.
In ultimo, a nostro avviso, dovrebbe essere considerato il capitolo dell'indotto, intanto avviando un'indagine per avere per lo meno il polso della situazione e qualche indicazione di carattere generale.
Per quanto riguarda il credito, che come sapete è soggetto a tetti di contenimento, sarebbe opportuno trovare la possibilità di superare questi limiti, così come è già stato fatto in momenti di calamità naturali.
Certamente, l'operazione non è semplice, perché vanno confrontate le posizioni delle altre Regioni. Tutto questo, naturalmente, fa parte di un ragionamento profondo con il Governo e un risultato positivo di queste proposte deriva dal modo in cui riusciamo a chiedere e ottenere che le azioni programmatorie abbiano possibilità di riuscita anche perché gli interventi, le politiche che le assemblea elettive, il governo democratico della società, stabiliscono e vedano associati anche i soggetti che normalmente e notoriamente ne sono separati.
Le banche ci danno il segno di come è difficile parlare di programmazione se non riusciamo ad avere l'autorità per chiamare queste leve ai fini e agli obiettivi del filando della nostra economia.



PRESIDENTE

Gli interventi sul problema si esauriscono con la replica dell'Assessore Simonelli.



SIMONELLI Claudio, Assessore al bilancio e programmazione

Questo dibattito nato dall'interpellanza presentata dal Consigliere Vetrino, ha messo in luce con ricchezza di argomenti una serie di nodi partendo dalla considerazione del difficile momento che attraversa l'economia piemontese e consentendo di spaziare su un arco estremamente vasto di problemi.
In sede di replica passerà a volo di uccello sui vari argomenti toccati, tanto più che costituiranno oggetto, del confronto sul programma della Giunta.
Vorrei ribadire che nella relazione che il Presidente della Giunta ha fatto a nome della Giunta stessa, non si è volutamente mischiata la diagnosi dei problemi emergenti e la indicazione di ciò che attiene alla politica di Governo con le ipotesi di intervento diretto della Regione per non voler appesantire oltre misura e duplicare il confronto che faremo in quest'aula sul programma. La Giunta ha preferito enucleare sulla base dell'esperienza e dei dati della realtà del Piemonte quei problemi di rilevanza nazionale che è possibile sottolineare nel confronto col Presidente incaricato e con il Governo, per non dismettere le responsabilità che la Regione ha e intende avere, ma semplicemente per collocare l'indicazione degli interventi possibili ai due livelli in cui è giusto collocarli.
Ribadiamo che intendiamo giocare fino in fondo il ruolo che ci è consentito e, in questo senso, mi pare che sia stato apprezzato anche dagli interventi dell'opposizione il taglio della proposta della Giunta intesa nel senso di volere coprire al massimo le capacità programmatorie della Regione. In questo tempo il nostro compito è quello di individuare i punti di raffronto e di raccordo con la politica nazionale. Discutendo del programma della Giunta affronteremo i temi che attengono agli interventi possibili alla Regione. Naturalmente le due cose non sono separabili con un colpo di scimitarra, tanto è che quando noi andiamo ad individuare i limiti e le carenze del documento a medio termine, presentato dal Governo e tra i limiti e le carenze la mancanza di ruolo delle Regioni, andiamo a mettere il dito su un problema che riguarda la nostra capacità operativa.
Al documento a medio termine rimproveriamo un taglio centralista, il fatto di non avere preso in considerazione le Regioni come soggetti portatori di un ruolo preciso, tanto nella fase di elaborazione dei documenti di piano, quanto nella fase di attuazione, pur riconoscendo come positivo il fatto che, dopo una lunga assenza ed un lungo silenzio, si torni a parlare a livello governativo di politica di piano e pur apprezzando che il confronto con il Governo non avvenga per il solito riparto di fondi o per la nomina di un rappresentante un qualche organismo interregionale.
Ponendo l'accento sul ruolo delle Regioni nella fase di attuazione della programmazione, intendiamo saldare la politica economica del Governo con i piani di sviluppo regionale. Ci siamo impegnati a presentare al Governo le schede riassuntive e sintetiche dei progetti e programmi che la Regione ha sviluppato in sede di attuazione del primo Piano regionale di sviluppo anche per verificare la possibilità di ottenere, a stralcio sui provvedimenti finanziari del Governo, un finanziamento straordinario sull'art. 9 della legge 281.
La grave assenza di previsione del ruolo delle Regioni, unita all'assenza di previsione delle risorse che alle Regioni dovranno affluire (manca il bilancio dello Stato per l'81, manca una previsione pluriennale di entrate, cade la legge finanziaria che regola la materia della finanza regionale) ci prospetta un periodo oscuro. In tale situazione non ci si pu chiedere di fare programmi fantascientifici e faraonici che sarebbero fondati sul nulla. Abbiamo chiesto al Governo, a stralcio degli interventi di medio termine, almeno un finanziamento straordinario sul fondo ex art.
9, per finanziare i programmi regionali di sviluppo. Le Regioni si sono dichiarate disposte a spendere quei finanziamenti secondo le priorità individuate sul piano nazionale: questa è la prova di una volontà collaborativa.
Sono fra quelli che, in una fase così delicata e così difficile considerano un elemento negativo la caduta del Governo. Il non avere interlocutori a livello governativo rappresenta per il contesto regionale un limite grave. Mi auguro che ti sia presto un interlocutore governativo col quale ci si possa confrontare in modo da poter costruire i nostri documenti, a cominciare dal bilancio per il 1981, su una base di maggiore certezza.
Ho considerato il dibattito di buon livello e di grande interesse. In qualche intervento si è scontata la voglia di recuperare gli anni di assenza dal Consiglio regionale facendo quelle polemiche che non si sono potute fare quando ci si era, anche questo è comprensibile; c'è stato un tentativo di recupero del passato, che, per noi vecchi del Consiglio regionale, appartengono già alla storia.
Nell'intervento di Carletto c'è stato un richiamo a problemi per i quali Paganelli e io abbiamo incrociato i ferri per cinque anni almeno. In occasione del dibattito sul programma della Giunta verrà distribuito il quaderno nono della programmazione che contiene l'analisi della spesa regionale per settori di intervento dal '72 al '79 dal quale emergono una serie di dati inconfutabili nella secchezza delle cifre, che consentono di vedere luci e ombre della capacità di spesa della Regione e consentono di rilevare che ormai abbiamo raggiunto nella gestione della spesa regionale un livello di sufficiente efficacia.
In contraddittorio con Carletto il Vicepresidente Sanlorenzo ricordava che il Piemonte è una delle Regioni che ha minori residui passivi. La Regione Piemonte non ha trasferito le somme direttamente in capo agli enti locali (i quali poi non le spendono ma le tengono in banca).
Il Consigliere Carletto ha citato dei dati del '74 riferendoli al '72 comunque, la situazione non cambia di molto. La capacità di spesa attuale della Regione (risorse spendibili nel corso dell'esercizio), competenza più residui, si aggira attorno al 40%, è la stessa situazione del '72, con una differenza però, e cioè, allora il pagamento era di venti volte inferiore (solo spese correnti, non spese di investimento).
Nel '75, a cavallo tra la prima e la seconda legislatura, la Regione spendeva un quarto di quanto spende oggi (compreso il fondo ospedaliero) ma, al di là di questo, la Regione è passata da una realizzazione del 13 del '75 al 28% del '79 (da 39 a 246 miliardi di investimento nel corso dell'esercizio). Gli interventi in campo economico, passati dal 18 iniziale al 62%, sono stati realizzati in misura pari al 27 % sulla competenza e al 44 % sulla gestione residui; quindi, occorre tener conto non solo della massa dei residui, ma del tempo che è necessario per smaltirli.
Non voglio appesantire questa replica con le cifre tanto più che sarà distribuito ai Consiglieri quel quaderno che dicevo poco fa, diviso per settori di competenza e contenente l'andamento della spesa.
La Regione ha un ruolo, gli investimenti regionali, correlati con quelli degli enti locali, hanno un grosso ruolo da svolgere, anche a sostegno dell'occupazione, ruolo che non è certamente alternativo alla crisi del settore industriale, perché non sono sovrapponibili i due segmenti di forza di lavoro che si trovano nell'uno e nell'altro settore non è pensabile che in una realtà come quella italiana l'operaio della Fiat faccia il manovale o l'operaio specializzato nelle imprese edili.
Ha ragione il Consigliere Viglione quando sottolinea la centralità delle autonomie, nel senso che la Regione deve muoversi in stretta sintonia con gli enti locali. Lo sforzo che stiamo facendo attraverso le misure di raccordo (P.P.A., indagine sulle aree pubbliche, discorso comprensoriale) per saldare il finanziamento regionale con quello degli enti locali ridurre i tempi di esecuzione delle opere, accelerare i processi di pagamento e di realizzazione, va in questa direzione. Il complessivo sistema delle autonomie deve essere capace di mobilitare una domanda pubblica aggregata, certa, ogni anno qualificabile, e di garantire determinati effetti sull'occupazione e sul reddito della Regione. Per ottenere questo manca ancora un anello della catena: l'effettiva disponibilità della Cassa Depositi e Prestiti a muoversi in una logica regionale, a garantire finanziamenti certi, esercizio per esercizio collegati al programma regionale, finanziamenti che appoggino e sostengano le forze programmatorie della Regione. Sarà opportuno, a conclusione di questo dibattito, valutare la Cassa Depositi e Prestiti nella sua nuova veste di azienda autonoma, secondo il progetto che il Governo ha presentato come strumento di finanziamento del sistema delle autonomie.
Di qui costruiremo il Piano di sviluppo che, ovviamente, non sarà pronto entro il mese di ottobre. Il nuovo Piano di sviluppo nascerà dagli studi accurati e precisi che stiamo compiendo, nascerà dal confronto con le categorie, quindi sarà pronto entro il 1981. Del resto il Piano di sviluppo 75/80 ha preso l'avvio nel 1976. Evidentemente non intendiamo avere un anno buco da oggi all'81, ma gestiremo il bilancio 1981 impostando un piano di sviluppo che consenta di coprire l'arco della legislatura con i programmi.
Nell'81 vanno a conclusione ed a completamento programmi di finanziamento sulle opere previste dal primo piano di sviluppo che daranno un contributo importante a sostegno della congiuntura.
Non abbiamo quindi nessun alibi dell' emergenza nel nostro operare sappiamo che ci dobbiamo muovere in tempi diversi e secondo esigenze diverse.
Nella relazione del Presidente, nel documento e nel dibattito abbiamo voluto ribadire il raffronto che dobbiamo avere con il Governo intorno alla politica economica da mettere in pista.
Le critiche che vengono avanzate al documento a medio termine e alla politica economica complessiva del Governo sono giustificate dall'analisi che hanno compiuto tutte le Regioni. Il Ministro del bilancio nel corso dell'incontro con le Regioni ha riconosciuto in esse gli interlocutori istituzionali nella fase di formazione del piano nazionale, ha riconosciuto le carenze dell'impostazione del documento governativo consegnato alle Regioni. Dobbiamo quindi fare le nostre proposte, tenendo conto che stiamo lavorando ad una proposta complessiva delle Regioni italiane nella quale secondo i diversi capitoli contenuti nella bozza del documento preliminare per il programma a medio termine, le Regioni si sono distribuite i compiti per analizzare i contenuti del documento e proporre un loro documento integrativo. Il Piemonte si è assunto l'onere di coordinare il gruppo di lavoro sulla politica industriale.
Ho esposto questi problemi in sede di Commissione e su di essi ci confronteremo prima di consegnare il documento al Governo. In verità l'ambizione di essere interlocutori del quadro nazionale non è soltanto nostra, ma è l'ambizione di tutte le Regioni. Rivendicare un ruolo nella politica economica complessiva del Paese non è demagogica pretesa, ma è voler giocare la partita al livello giusto. Sappiamo che ci socio dei nodi gravi, a partire da quello della Fiat che non è nemmeno più riconducibile a un problema di politica industriale, ma sta diventando un problema di ordine pubblico e siamo rammaricati che, malgrado tutti gli sforzi compiuti, si stia aggravando fino a questo punto.
Così, un altro fronte, la considerazione dei problemi in ordine alla trasformazione della nostra economia in termini di mobilità delle imprese e dei lavoratori, la considerazione del problema dell'agenzia del lavoro o del servizio nazionale del lavoro, furono disattese e tardivamente riprese quando ormai la crisi era esplosa aggravando e rendendo più difficile la soluzione dei problemi. Ciò non toglie, che anche nella durezza del momento, occorre recuperare questi temi e queste proposte, così come ha fatto nella sua relazione introduttiva il Presidente della Giunta, e farne oggetto di una richiesta di intervento.


Argomento: Norme generali sui trasporti

Dibattito sull'Aeroporto di Caselle


PRESIDENTE

Esaminiamo il settimo punto all'ordine del giorno.
La parola all'Assessore Rivalta per l'informazione sull'aeroporto di Caselle.



RIVALTA Luigi, Assessore ai trasporti e viabilità

Richiamo in termini sintetici alcuni dati dei lavori in corso all'aeroporto di Caselle. L'importo complessivo è di 11,9 miliardi, la gara di appalto è stata avviata il 21/7/1978, il contratto è stato fatto il 26/6/1979 per un importo di 7,3 miliardi netti, comprensivi del ribasso d'asta. L'ente appaltante è costituito da un raggruppamento tra le imprese Gambogi, Cagefar, Sicoge e Saie. La consegna dei lavori per un primo lotto è avvenuta il 27/9/1979, la seconda consegna dei lavori è avvenuta il 26/12/1979. Nel corso di questi lavori si è resa necessaria un'interruzione della attività di volo.
Faccio un'altra premessa per spiegare il significato ed il carattere dei lavori che sono stati appaltati. L'attuale progetto e il capitolato d'appalto che lo accompagna comporta una chiusura per un tempo relativamente limitato. Questa scelta è stata effettuata dopo un dibattito sulle opere necessarie per ristrutturare Caselle, durato dal 1973 al 1976.
Le linee del progetto furono definite nel settembre 1976 dalla Regione.
Si tenne anche un convegno a Borgaro con le organizzazioni interessate e conseguentemente ci fu un incontro tra Regione, Provincia l'amministrazione della Sagat e il Ministro Ruffini.
Le tre ipotesi da cui si era partiti nel scegliere questo progetto furono esaminate in quel convegno e furono oggetto della discussione tra le parti interessate. La prima ipotesi, avanzata nel passato, riguardava la costruzione della seconda pista: questa ipotesi fu ripresa nel 1976. Fu considerata inattuabile per ragioni economiche, peraltro era già stata esclusa dalla Regione fin dai primi mesi del 1975, quando in Consiglio regionale, l'allora Assessore ai trasporti Gandolfi, che aveva commissionato uno studio al Prof. Tommasino, presentò un parere negativo.
Ricorderete anche che la seconda pista, oltre alla ragione della mancanza di finanziamenti, fu respinta in quanto fu ritenuta non indispensabile ai fini di dare funzionalità al traffico aereo di Torino.
D'altra parte erano sorte anche opposizioni delle comunità locali ed in particolare delle organizzazioni contadine. Quelle opposizioni ci richiamano al fatto che, in questi giorni nel corso di una riunione con i sindaci dei comuni della zona, si sono riproposti gli stessi problemi questa volta, con riferimento al progetto della variante alla statale n.
460. Anche in questo caso abbiamo assunto l'atteggiamento di salvaguardare il valore agricolo di quelle aree di non intaccarle con interventi estranei all'agricoltura.
La seconda ipotesi esaminata era rappresentata dalla proposta della vecchia amministrazione Sagat (progetto dell'ing. Marra, Direttore dell'Aeroporto), che prevedeva un intervento di ristrutturazione comportante dai 140 ai 180 giorni di chiusura. Per l'effettuazione di questo intervento era prevista la messa in cassa integrazione dei dipendenti della Sagat (furono anche presi contatti per trasferire per quel periodo i dipendenti all'aeroporto milanese, al fine di limitare il peso alla cassa integrazione).
La terza ipotesi era quella di procedere alla ristrutturazione dell'aeroporto nel vincolo di una spesa contenuta nei limiti dei finanziamenti predisposti dal Governo, limitando al massimo i tempi di chiusura e riducendoli ad un periodo ragionevolmente sopportabile dalla vita sociale ed economica di Torino e della regione.
I Consiglieri regionali della passata legislatura ricordano che si assunse questa terza alternativa come ipotesi di lavoro. L'ingresso della Regione nella Sagat avvenne a condizione del raggiungimento dell'economicità della gestione: è un obiettivo che l'ultima gestione della Sagat ha conseguito poiché da un debito di tre miliardi si è passati ad una situazione in attivo per un miliardo. Poiché si sta realizzando il miglioramento di Caselle secondo la terza alternativa indicata, si deve dire che l'impegno della Sagat in questi ultimi anni si è collocato interamente all'interno delle indicazioni poste dalla Regione.
Il progetto in fase di realizzazione sta nelle somme previste dallo Stato; la chiusura dell'aeroporto è prevista intorno ad un mese (quindi per un periodo di tempo molto al di sotto di quello previsto nell'altra alternativa). Certo, tempi così ristretti presentano dei rischi. Il programma proposto dalle imprese che hanno vinto la gara di appalto prevedeva un periodo di chiusura di ventitre giorni; termine certamente impegnativo, soggetto, come avviene per tutti i lavori di costruzione, a rischi, qui tanto maggiori quanto è ristretto il tempo che l'impresa si era data per l'esecuzione dei lavori. Nel corso dei ventitre giorni ci sono stati due giorni di sospensione dovuti alla pioggia.
Devo aggiungere che in questo periodo c'è stata una attenzione particolare nei confronti dei lavori, eccessiva, in qualche caso maliziosa (si pensi al tempo di informazione che è stato fatto circolare, alle previsioni compiaciute ed alle scommesse che sono state fatte sull'impossibilità di realizzare i lavori entro quel termine). Esprimo un'opinione personale: molto ha inciso il fatto che non si sia scelto di costruire la seconda pista. I nostalgici della seconda pista sono molti e sono molte le persone che ponevano un'attenzione particolare agli interessi che avrebbe promosso la sua costruzione. Di qui l'osservazione quasi morbosa che a me è parso di cogliere nel corso di questi giorni, nei confronti dei lavori di ristrutturazione dell'attuale pista di Caselle. Mi rifaccio alla discussione che c'è stata: non mi pare possa essere intesa altrimenti la discussione sul mese di chiusura, come se non fosse normale che un'opera di ristrutturazione della portata di quella che è in corso richiedesse delle interruzioni.
Questa attenzione anche eccessiva, che è andata al di là del problema reale, la morbosità con cui si è discusso sulle vicende dell'aeroporto, ha assillato più del consentito l'impresa e l'apparato tecnico preposto all'attuazione. Nonostante vi fosse un raggruppamento di imprese, tutte di notevole consistenza, è emerso che quel tipo di lavoro da condurre in tempi ristretti avrebbe richiesto maggiori esperienze organizzative. Ne è nato un contenzioso, comunque non tale da incidere sulla bontà del risultato. Negli ultimi due giorni di lavoro, che erano di recupero dei due giorni di sospensione, si è avuta la caduta di presenza dei lavoratori sul cantiere dopo un periodo in cui si era lavorato giorno e notte (dalle 250/300 persone), negli ultimi due giorni, il sabato e la domenica, si è avuto un assenteismo elevatissimo (con una presenza di solo una trentina di lavoratori). Per questi motivi, alcuni lavori non sono stati ultimati e alcuni, in questa fase finale, non sono stati eseguiti secondo il capitolato.
Per valutare la situazione mi rifaccio al documento ufficiale del Ministero che riporta l'esito del sopralluogo della Commissione agibilità pista-volo.
A questo documento dobbiamo fare riferimento poiché la Sagat è una società per azioni e la Regione non ha un diretto di controllo sui lavori la Sagat opera nel rispetto delle leggi che regolano le società per azioni d'altra parte, per il collaudo dei lavori, sono previste, dalle leggi nazionali, due commissioni: una per il collaudo amministrativo, una per l'agibilità degli aeroporti che, nel caso specifico di Caselle, è stata fatta presiedere dal direttore dell'aeroporto stesso, dott. Castagneri dipendente del Ministero.
Il giudizio di questa seconda commissione è espresso in questa comunicazione telegrafica, molto laconica, pubblicata anche dai giornali.
La leggo per sommi capi: "... Invitasi codesta Sagat immediata attuazione seguenti disposizioni: fine pervenire sollecita riapertura pista: esecuzione pavimentazione e innesti bretelle circolazione da testata pavimentata lato 36." Si tratta dei raccordi dalla pista di volo alla stazione. Preciso che ci sono degli aeroporti che non hanno questo sistema di raccordi. Qui si tratta di realizzare delle opere che consentiranno una futura funzionalità elevata all'aeroporto di Caselle. Ho voluto richiamare questo per dire che i lavori che sono in discussione non sono i lavori sostanziali per l'attuale funzionamento di Caselle, e sono attrezzature di servizio.
"Dovranno essere fatti spianamenti sulle fasce laterali in modo che non vi siano dei pur leggeri dislivelli, dovranno essere messi a posti i fuochi, a bordo pista e giunti di rottura che sono stati necessari per inserire i fuochi per il volo notturno." Nella comunicazione si chiede inoltre che prima del prossimo collaudo vengano completati tutti gli interventi per il volo cieco.
Sono lavori che non riguardano la parte sostanziale dell'intervento effettuato e sono lavori che non erano neanche del tutto necessari per rendere agibile la pista: mi è stato comunicato che la mancata approvazione dei lavori da parte della Commissione, comunicata lunedì, ha costituito una sorpresa, poiché alla domenica sera era parso che i lavori venissero parzialmente, almeno, collaudati in attesa di un collaudo definitivo da compiersi a lavori completamenti ultimati.
Non si è avuto, peraltro, l'intervento dell'aereo Cessna che deve collaudare le strumentazioni luminose; per questo collaudo mi è stato detto, l'aereo non ha bisogno di atterrare sulla pista.
Ci sono quindi due problemi: quello della rapida messa a regola d'arte dei lavori per le parti pur marginali che prima ho richiamato, e quello dell'arrivo dell'apparecchio Cessna.
La situazione non dovrebbe essere grave. Uso il condizionale proprio perché la mia informazione è legata alla comunicazione della Commissione di collaudo e alle comunicazioni verbali che mi sono state fatte dal consiglio di amministrazione della Sagat.
La Regione è azionista in ragione di una quota del 15 del capitale.
Come ho detto, vi sono leggi che regolano la vita delle società per azioni.
Queste leggi sanciscono autonomia della società per azioni. Noi abbiamo avuto attenzione del carattere societario della Sagat e abbiamo rispettato la sua responsabilità e la sua autonomia.
Al termine dei lavori di ristrutturazione della pista di Caselle l'utenza aerea piemontese disporrà di un'attrezzatura tecnicamente tra le più valide, ad esclusione dell'aerostazione passeggeri che è giunta a una condizione limite di funzionamento. L'allungamento di 300 metri della pista di volo, il raddoppio dei piazzali di sosta per gli aeromobili e le altre opere, aumenteranno notevolmente le capacità ricettive, inoltre le penalizzazioni al carico pagante saranno eliminate; con il passaggio alla seconda categoria la pista di volo consentirà l'atterraggio degli aeromobili con minimi di visibilità di 400 metri, anziché degli attuali 800 metri. A lungo termine, la ristrutturazione della linea ferroviaria Torino Ceres dovrebbe consentire un più facile allacciamento tra Torino e l'aeroporto. Peraltro sono già stati fatti interventi viari che ne consentono un facile accesso.
Con riferimento al potenziamento dei collegamenti aerei, altra richiesta contenuta nelle interpellanze, l'Assessorato ai trasporti, in collaborazione con la Sagat, ha avuto da tempo colloqui con le compagnie aeree, per l'istituzione di nuovi collegamenti. C'è da registrare l'istituzione di due nuovi collegamenti nazionali giornalieri che inizieranno ad operare dal 1° novembre prossimo, per Napoli-Catania e per Cagliari-Palermo e che colmano l'assenza di relazioni aeree con il sud Italia. Inoltre è confermato che a partire dal 1° aprile 1981 le frequenze settimanali per Londra saranno portate da quattro a sei.
Intendiamo intensificare l'azione sinora svolta per l'istituzione di nuove linee aeree, in particolare per la direttrice Venezia-Torino Barcellona e viceversa, non appena, però, siano disponibili dati di traffico potenziali su tale tratta che avallino tale richiesta. Si deve considerare che Venezia si trova ad una distanza da Torino critica, che pone l'alternativa tra il volo aereo e lo spostamento con altri mezzi; su questa direttrice vanno valutate attentamente le quantità potenziali di passeggeri: abbiamo avuto esempi di apertura di linee aeree che hanno dovuto essere dimesse per mancanza di passeggeri.
Metto ancora in evidenza che l'attuale momento congiunturale, con l'aumento vertiginoso dei prezzi aerei, non agevola certo un'azione di promozione del traffico: le compagnie aeree stanno attuando una politica di sviluppo piuttosto cauta a seguito della stasi della domanda di trasporto aereo su tutto il territorio nazionale ed europeo; addirittura le compagnie aeree chiedono allo Stato, alle Regioni, ai Comuni di contribuire al pagamento dei biglietti.
Infine, chiedo al Consiglio regionale, per un più approfondito esame dei problemi che sono sorti a Caselle, che il Consiglio di amministrazione della Sagat venga sentito dalla I Commissione; mi pare questa la sede giusta per una discussione ampia, aperta e non limitata dai condizionamenti che pone la discussione in Consiglio; in questo modo si potrà consentire a tutti i Consiglieri di discutere a fondo i vari problemi. Ciò non toglie che dopo si possa dibattere ulteriormente questo problema in Consiglio regionale; l'incontro potrebbe costituire la preparazione più opportuna per la continuazione del dibattito sui problemi di Caselle.
PRESIDENTE.
Ha chiesto di intervenire il Consigliere Bastianini. Ne ha facoltà.



BASTIANINI Attilio

Il dibattito aperto dall'Assessore Rivalta richiede delle riflessioni su tre problemi distinti: 1) le scelte che sono state fatte per il potenziamento dell'aeroporto Torino Caselle 2) perché si è giunti alla chiusura della pista e al prolungamento dei tempi di chiusura della pista stessa 3) il potenziamento dello scalo di Caselle nel quadro dei collegamenti aerei nazionali e internazionali.
Premetto che la proposta dell'Assessore Rivalta di far avvenire in sede di I Commissione un confronto tra le forze politiche del Consiglio regionale ed i responsabili della gestione di Caselle è la migliore notizia che ci ha dato. Noi l'accogliamo in pieno, ne condividiamo lo spirito positivo e rileviamo che in questo la Regione si comporta meglio dell'azionista Città di Torino; nella Città di Torino più volte abbiamo chiesto un confronto con gli amministratori della Sagat e questo non ci è mai stato concesso.
Dopo l'intesa raggiunta questa mattina, pensavo che il dibattito si sarebbe dovuto limitare al problema contingente, al fatto che aveva reso urgente la discussione.
L'Assessore Rivalta ha invece aperto a ventaglio tutta la problematica connessa allo scalo di Caselle. Ritengo però che sul terzo tema toccato dall'Assessore Rivalta, cioè come fare, quali linee seguire, quali prospettive si aprono per un potenziamento dei collegamenti aerei da Caselle su scala nazionale ed internazionale, la sede migliore non sia il Consiglio, ma sia un confronto con la Sagat che ci possa dare delle informazioni di dettaglio.
Voglio solo rilevare come il problema del miglioramento del servizio di Caselle, in proiezione nazionale e internazionale, sia uno degli elementi portanti per il rilancio di funzioni di tipo terziario e voluto nella nostra città, quindi richieda anche da parte delle organizzazioni pubbliche dei sacrifici finanziari nel quadro del potenziamento dell'economia nazionale. Noi chiediamo che la Regione, tra le tante spese di promozione che fa, inserisca questa prioritaria del sostegno di collegamenti aerei più razionali su reti nazionali ed internazionali. Su questa linea c'è la convergenza da parte di una pluralità di soggetti; enti pubblici e para pubblici si sono già espressi ed impegnati per cercare di dare una soluzione a questo problema. Nel confronto che avremo con la Sagat verificheremo quanto è possibile fare in concreto.
Sulle scelte che si sono fatte per il potenziamento dell'aeroporto di Caselle (no alla seconda pista, sì al potenziamento della pista esistente attraverso una ristrutturazione con determinate soluzioni tecniche) non voglio entrare in quanto ritengo che, una volta presa una decisione, giusta o sbagliata che sia, comunque, questa decisione debba essere portata in attuazione: non ci sia spazio per nostalgie, per ripensamenti.
Non intendiamo in questa sede riaprire discussioni se la scelta di carattere generale sulla riorganizzazione e il potenziamento di Caselle sia stata la migliore. Non intendiamo riaprire questa polemica intanto perch ci sembra che, allo stato attuale delle cose, sia completamente fuori posto, in secondo luogo, perché riteniamo che in questo momento si debba fare ogni attenzione sul fatto specifico, cioè su che cosa è capitato dal momento in cui si è decisa una determinata impostazione per il potenziamento di Caselle. Come Consiglieri di un azionista della Sagat e come Consiglieri regionali, quindi attenti a che la Regione abbia, una struttura importante quale un aeroporto funzionale ed efficiente, dobbiamo chiederci che cosa è capitato che ha fatto sì che si siano incontrate tante difficoltà e tanti ritardi nel dare quelle risposte tecniche all'interno della linea scelta.
Intanto chiariamo un punto: la Sagat opera su questi lavori in forza di una delega attribuitagli dal Comune di Torino, titolare dei finanziamenti statali sulla materia; quindi non è vero che obbligatoriamente la Sagat deve gestire i lavori di potenziamento, i progetti, gli appalti, i collaudi: la Sagat opera in forza di una delega che il Comune di Torino le ha attribuito.
E porto una seconda precisazione preliminare alla risposta dell'Assessore Rivalta, il quale si è stupito di una attenzione maliziosa degli organi di informazione sul problema Sagat in sé. E ha detto che secondo lui, questa attenzione maliziosa era dovuta a "qualche nostalgico della seconda pista".
Faccio una seconda ipotesi su questa attenzione, che io non chiamerei maliziosa, ma doverosa su un problema di questa importanza. Intanto è inammissibile che un sistema metropolitano, quale quello torinese, sia privato per circa un mese, e con delle incertezze sui tempi futuri, di una funzione essenziale come l'aeroporto. E' vero: l'aeroporto non lo prendono i pendolari Fiat, ma l'aeroporto è funzionale all'economia di una città tanto quanto i treni pendolari perché prevalentemente serve a sostenere il livello della Città. Quindi un aeroporto che non funziona è grave quanto un treno che non parte da Pinerolo per portare la mattina i pendolari in città.
Ma ci può essere un altro motivo per spiegare quella eventuale malizia che è stata messa nel dare rilievo agli insuccessi, continui, ripetuti, su questa materia, ed è - se me lo consente l'Assessore Rivalta e la Regione come azionista della Sagat - la supponenza continuamente ostentata dai responsabili Sagat da quattro anni a questa parte su questa vicenda. Tutte le volte che questo problema veniva sollevato, sistematicamente ci veniva risposto che eravamo dei provocatori, che si viveva nel migliore dei modi possibili, che la gestione era la più perfetta di tutte, che non c'era ragione di allarmismo, che tutto sarebbe andato nel modo migliore giungendo quasi a dire che i lavori sarebbero stati non solo iniziati, ma completati per l'ostensione della Sindone.



VIGLIONE Aldo

Vi racconterò che cos'era prima di Filippa la Sagat.



BASTIANINI Attilio

Il fatto è che, secondo noi, sistematicamente da parte dei responsabili Sagat si è dato, forse per un ingenuo ottimismo, l'impressione che non ci fossero problemi. Puntualmente i fatti hanno creato delle diversità.
Senza il bisogno di trasformare tutto in politica, rileviamo sette precisi punti tecnici di grave colpa nella conduzione Sagat; sono i punti che abbiamo sollevato per quattro anni in altra sede: 1) si è sbagliata la gara di appalto. Voi lo sapete che è stata rifatta perché si è arrivati a cavallo delle procedure innovative stabilite dalla legge 584 e la Sagat non è stata in grado di cavalcare fin dall'inizio la linea che la legge imponeva; questo ha portato uno slittamento nei tempi di avvio dei lavori 2) la qualità dei progetti. Non è pensabile di appaltare lavori di questa complessità che coinvolgono lavori di movimento terra, lavori di pavimentazione, lavori elettrici, lavori di sistemazione di impianti ad alta specializzazione, sulla base di un progetto non esecutivo, sulla base di un progetto che non aveva rilevato lo stato delle canalizzazioni nel sottosuolo; è evidente che, non appena avviati i lavori, le imprese avrebbero fatto riserve in quanto, sappiamo benissimo, come, una volta ottenuto il lavoro, il maggiore interesse dell'impresa è quello di ritardare i tempi di consegna, perché la revisione prezzi gioca a suo favore 3) il criterio di aggiudicazione seguito. La normativa CEE 584 in pratica suggerisce che per opere di questa complessità si seguano le procedure dell'art. 24, primo comma, lettera b), cioè aggiudicazione sulla base di una pluralità di fattori, non esclusivamente riconducibili all'elemento economico, per garantire l'affidabilità del lavoro; malgrado le indicazioni emerse nei dibattiti, si è voluto, però, affidare la gara al massimo ribasso, costringendo le imprese a scannarsi in fase di aggiudicazione sul prezzo per poi riservarsi un recupero in fase di esecuzione lavori 4) la rissa che si è scatenata in fase di aggiudicazione lavori. Sapete che la Gambogi e consociati ha preso questi lavori dopo una lunghissima polemica contro il gruppo Alosa. Di nuovo da parte delle forze presenti in Consiglio comunale e nelle diverse sedi si sono fatte queste osservazioni sui rischi che si correvano, ma da parte della Sagat si è voluto tagliare il problema nettamente portando questo stato di crisi 5) ritardo avvenuto nella consegna dei lavori perché in questo grande bailamme nessuno si era preoccupato di ottenere le concessioni edilizie dal Comune per fare le opere. Non può essere ritenuta corretta una gestione di una società che fa un appalto per 12 miliardi, fa le aggiudicazioni e non si preoccupa di avere le concessioni amministrative per incominciare i lavori 6) la mancata programmazione dei lavori, come elemento contrattuale non come elemento chiesto a posteriori all'azienda, cioè di far avvenire l'aggiudicazione anche in base alla programmazione lavori, con l'impegno inseribile in capitolato, di concentrare la chiusura della pista in un periodo meno strategico per l'aeroporto di Torino e con una rete di penalizzazioni e di premi atti ad incentivare i lavori stessi. A Milano la ditta che ha preso i lavori opera con una sostanziale riduzione dei tempi in quanto fortemente incentivata dal capitolato che le assegna premi per l'esecuzione ravvicinata dei lavori 7) la mancata programmazione degli interventi di rimessa in ordine della pista. Dal momento in cui si sapeva che i lavori iniziavano, dovevano essere programmati anche i tempi delle verifiche tecniche, dei collaudi e di ogni altro atto che avrebbe consentito alla pista stessa di ritornare ad essere praticabile.
Perché oggi insistiamo su questa materia? Non per amore di polemiche ma perché la Regione, come azionista, si faccia carico di queste osservazioni presso l'azienda. Questo stato di difficoltà e di crisi non era imprevedibile. Era nei fatti, se soltanto si fosse stati capaci di superare la controversia politica per passare ad una analisi serena della conduzione tecnica di questa vicenda.
Ricordo che per anni in Consiglio Comunale, da parte delle forze politiche di opposizione, per prima la mia, si chiese una sola cosa: di ritirare la delega alla Sagat in quanto incapace di gestire un problema così complesso, per affidarla non a qualche soggetto stravagante, ma agli uffici tecnici del Comune di Torino che in materia di appalti ha una dimestichezza maggiore che non il Direttore della Sagat stessa. Quando ci accorgemmo che la gara era sbagliata, che i progetti erano inadeguati, che il criterio di aggiudicazione non era felice, che c'erano queste controversie, si doveva dire: fermiamoci in tempo, cioè diamo questa patata calda da gestire ad un organo tecnico più competente. Questo non si è voluto fare, ora purtroppo si piange sul latte versato. La situazione è quella che è. Ci auguriamo tutti che l'aeroporto possa essere riaperto al più presto.
Ne deriva però un insegnamento: che in materia di tanta importanza bisogna essere capaci di non coprire, per motivazioni politiche, degli errori, delle inadempienze, delle insufficienze tecniche oggettivamente riscontrabili. Solo in questo modo si potrà svelenire il confronto e non avere in futuro delle delusioni come quella a cui siamo andati incontro come il caso di Caselle.
PRESIDENTE.
La parola al Consigliere Picco.



PICCO Giovanni

La risposta dell'Assessore non ci trova soddisfatti per la parzialità di argomentazioni addotte rispetto alla complessità dei problemi.
Era prevista una breve comunicazione e cercherò di attenermi anch'io ad una breve replica.



VIGLIONE Aldo

Faccio una questione perché con questo avremo esaurito il dibattito sull'argomento.



BRIZIO Gian Paolo

No.



PRESIDENTE

Questo è il dibattito e io l'ho annunciato così come era stato richiesto. Consigliere Picco, continui.



PICCO Giovanni

Per gli impegni che ci siamo assunti di fronte ai Consiglieri, è opportuno che le argomentazioni che addurrò in risposta all'Assessore siano limitate ad alcune fra le molte che si potrebbero esporre.
Sarebbe innanzitutto opportuno che, fatta la discussione con la Sagat il dibattito avesse un rilievo in Consiglio regionale perché questi non sono argomenti che si possano esaurire nel segreto delle Commissioni. Anche perché, tra l'altro, come già ha ricordato l'Assessore Rivalta, vi sono aspetti relativi a determinate infrastrutture, quali quelle dei trasporti su strada e rotaia collegati al sistema aeroportuale, che saranno oggetto di esame e decisioni in II Commissione ed in Consiglio.
E vengo all'informazione dell'Assessore Rivalta. Continuiamo a nasconderci dietro i soliti argomenti relativi alle competenze. Credo si debba dire che in una vicenda come questa, cioè in ordine al sistema principale del trasporto aereo regionale, la presenza della Regione ancorché tardiva, nel consiglio di amministrazione della Sagat, è una presenza che comunque è sempre stata rivendicata sin dalla prima legislatura come essenziale rispetto alle decisioni principali.



RIVALTA Luigi, Assessore ai trasporti e viabilità

Non ho voluto entrare nel merito. Su questo sono del parere opposto.
Non vedo perché non ci debba essere l'azienda nazionale per i voli aerei.



PICCO Giovanni

Non parlo di "azienda di trasporto aereo", ma per quanto attiene ai problemi di programmazione economica e quindi di incidenza dell'assetto aeroportuale con altri sistemi di trasporto, è argomento sul quale la Regione non si può sottrarre. Rivalta ci ha ricordato lo studio fatto fare da Gandolfi nella passata legislatura. Io stesso, che avevo responsabilità in allora, mi sono attenuto a quelle indicazioni ammettendo che non vi erano le condizioni economiche per potere affrontare in quel momento quel problema. Ma lo stesso documento sul "Piano regionale dei trasporti" ha finito per dare ragione a chi pensava di dare a questa infrastruttura aeroportuale un potenziamento che andasse ben al di là dei rattoppi.
Comunque, ritengo che per quanto ricordato da Bastianini ci si debba oggi collocare nell'ottica di un giudizio rispetto alle decisioni che sono state assunte dalla Regione nell'ambito delle sue responsabilità come maggioranza. Noi non ci siamo mai associati a quelle decisioni. E' per sconcertante l'assenza che la Regione ha dimostrato dopo aver fatto convegni, documenti, dopo aver prodotto, con lo stesso documento sul "Piano" delle indicazioni in positivo per la direzione verso cui ci si doveva muovere. Assenza della Regione sulla chiusura dell'aeroporto, che non è secondaria rispetto alle implicazioni di carattere economico che pu avere sulla realtà piemontese, non solo come funzionalità o disagio, ma come immagine e promozionalità rispetto a futuri assetti a rilancio complessivo dello scalo. Questa assenza va rilevata anche perch rivendicando la Regione di avere strumenti propri in ordine alla programmazione, la realizzazione di determinate infrastrutture o l'adeguamento delle stesse, quando essenziali come questa all'economia piemontese, debbono essere oggetto di una verifica anche sul piano operativo. L'aver scelto il mese di settembre per questa chiusura è una decisione che non doveva essere assolutamente sottratta alle competenze di programmazione della Regione, che può valutare tutte le implicazioni non solo temporali (aspetto sul quale forse vi erano minori margini di manovra), ma di connessione funzionale.
Bastianini ha ricordato i ritardi. Ricordo che il potenziale di minori lavori e i ritardi che si sono verificati con tre appalti falliti, hanno significato una perdita del 30% rispetto alla somma che lo Stato aveva stanziato.
Quale sarà il beneficio che viene da questi lavori, quand'anche incidentalmente ritardati rispetto alle previsioni? L'Assessore Rivalta ha eluso il significato della nostra interrogazione. Noi chiedevamo di avere una risposta precisa sulle garanzie che la Regione aveva avuto non già e solo sui tempi di chiusura (problema importante sul quale tutte le illazioni fatte dall'Assessore sulla "malignità" sono fuori posto per la rilevanza che questo ha sul disagio ed anche sull'economia locale), ma altresì sulla funzionalità conseguita a lavori conclusi. La definizione sommaria che l'Assessore ci ha dato di minori penalizzazioni e di maggiori potenzialità generiche, non ci lasciano convinti.
Che cosa vuol dire di fatto, rispetto ai chilogrammi merci che non sono partiti e che continuano a decollare alla Malpensa od a Linate, od al numero di passeggeri che per voli charter o per voli di linea si potrebbero attivare direttamente da Torino o a integrazione di altre linee e che su Caselle non operano? Su tutto questo non v'è alcuna certezza. Si attuano adeguamenti abbastanza consistenti quanto ad investimenti, ma assolutamente insufficienti rispetto alle condizioni di funzionalità che sono proprie di scali internazionali. E' noto infatti che tali scali non possono tollerare nei confronti delle compagnie aeree e dei mezzi, nessun tipo di penalizzazione per attivare nuovi collegamenti e nuovi servizi.
Per quanto attiene alla funzionalità ed all'efficienza della Sagat, il discorso va considerato rispetto al tipo di prestazioni di servizio che la società offre. E' pur vero che il deficit risulta formalmente ridotto, in quanto i bilanci sono stati portati in condizioni tali da non avere i deficit degli anni 74 e 75. Però mi chiedo qual'è la differenza tra le spese di investimento e gli ammortamenti fatti in quegli anni rispetto al nulla che si è fatto successivamente. Questo nulla è dichiarato dalla perdita di collegamenti, sia pure strumentali al numero insufficiente di passeggeri. Le tariffe "di pedaggio" praticate, a quanto risulta, sono eccessive rispetto alle prestazioni date, sia per quanto attiene alla manutenzione degli aerei, sia per quanto attiene ad altri servizi a terra ma sono carenti soprattutto iniziative promozionali di "trasporto" dei passeggeri rispetto alle realtà territoriali che potevano essere servite sullo scalo di Caselle.
Argomento sul quale ci dovremo soffermare quando si parlerà con la Sagat, per ciò che non ha fatto, al di là di questa sfortunatissima e "gialla" vicenda sugli appalti e sui lavori; ciò che non ha fatto per potenziare in termini di effettivi i servizi complessivi, quindi non solo per gli aeromobili, ma anche per i passeggeri.
Questo è l'aspetto più sconcertante rispetto alla denuncia da noi fatta di assenza di un pronunciamento della Regione, quasi a prendere le distanze rispetto ad una delega di competenze affidate alla Sagat, solo perché ha un azionariato pubblico che per oltre il 50% è della Città di Torino.
Al di là degli atti formali, la Giunta, per quanto attiene alle connessioni con gli scali di Levaldigi e di Verrone, non ha fatto assolutamente nulla. Rimangono quindi irrisolti questi nodi. Le condizioni di agibilità di Caselle, unico scalo regionale, con una limitata scelta di funzionalità ad un'unica pista agibile, deve poter avere un supporto alternativo su scali regionali limitrofi che consentano di non essere in dipendenza, non solo funzionale, ma di tipo promozionale (con tutti gli effetti negativi che ne possono derivare) sugli scali di Genova e di Milano.
Nel piano dei trasporti, con l'adesione di tutte le forze politiche, si è fatta tale scelta di integrazione; con l'obiettivo di rendere l'aeroporto efficiente ed agibile senza condizionamenti stagionali.
Vi sono quindi molti motivi di insoddisfazione rispetto alla risposta dell'Assessore.
Sia per quanto attiene alla gestione della Sagat, sia per quanto attiene alla partecipazione azionaria della Regione, ovviamente non solo legata ad una funzione di mero controllo, ma a problemi di programmazione operativa, sia per quanto attiene agli impegni finanziari che non sono stati sufficienti rispetto all'ingresso dell'azionariato, sia per quanto riguarda gli aspetti più generali, riteniamo debba esservi una approfondita valutazione degli elementi di merito. Quindi si debbono prendere decisioni che riguarderanno il bilancio e la spesa regionale dei prossimi cinque anni.
PRESIDENTE.
Ha chiesto di intervenire il Consigliere Revelli. Ne ha facoltà.



REVELLI Francesco

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, sarò davvero breve perch l'introduzione a questo dibattito fatta dall'Assessore Rivalta..



BRIZIO Gian Paolo

E' la risposta all'interpellanza.



REVELLI Francesco

E' la risposta all'interpellanza, ma è anche l'introduzione al dibattito.
Dicevo che le dichiarazioni dell'Assessore Rivalta mi trovano consenziente pienamente perché sono state poste nel modo giusto.
Il Consigliere Bastianini fa, in questa e in altre sedi, come Comune e Provincia, una serie di rilievi sulla conduzione dell'azienda. Ovviamente deve esserci il modo di confrontarsi e non si deve chiedere alla Regione di svolgere compiti che non le competono.
Non le competono, in primo luogo, perché c'è un consiglio di amministrazione totalmente autonomo, a meno che gli azionisti intendano indire un'assemblea e ritirare il mandato; ma, per addivenire a questo occorre che ci siano consultazioni e assemblee. Né si deve pretendere che la maggioranza o l'Assessore siano in grado di definire in questa sede la politica di gestione di questa azienda. Sono anche per dire chiaramente che le politiche svolte e le proposte fatte dal Comune negli anni passati non mi trovano consenziente. E' in corso un dibattito e ci sono alcune discrasie.
In primo luogo, è scorretto l'uso della delega o della non delega per gli appalti: una società per azioni è tenuta a fare gli appalti ed a risponderne, infatti, di questi ha risposto anche di fronte ai tribunali amministrativi. Lo Stato ha imposto che venisse scelta un'impresa che, tra l'altro, non era quella a cui erano stati aggiudicati i lavori. E' un'impresa che, da quanto si è appreso, pare non sia stata in grado di compiere i lavori per i rilievi che le sono stati mossi dalla direzione (più di 78 lettere di precisazioni rispetto alle manchevolezze dell'azienda).
L'audizione permetterà di andare anche nel dettaglio di queste vicende e, se la Sagat riterrà di essere stata defraudata o di aver avuto dei danni, di ricorrere presso le giuste sedi contro la stessa azienda.
Importante è, invece, arrivare presto alla definizione dei problemi e aprire l'aeroporto al traffico. Da quanto pare non ci sono problemi seri di agibilità, ma piuttosto di contenzioso rispetto a problemi amministrativi.
Sullo sviluppo dell'aeroporto con altri poli italiani ed europei, sarei dell'avviso che alla Sagat non venga affatto affidato non solo questo tipo di politica ma neanche il diritto alla parola, in primo luogo perché non ha alcun potere, in secondo luogo perché gestisce una struttura e perché non è chiamata a fare una politica. Questa politica è espressa, semmai, da un Piano di sviluppo e dagli interventi degli enti locali e degli enti economici nei confronti del Governo e dell'Alitalia.
L'Alitalia nei suoi programmi ha fissato due poli: quello di Roma e quello di Milano. Tutta l'aviazione di terzo livello è rimasta al livello in cui era e non permette ulteriori collegamenti. L'Alitalia teme di perdere traffici europei e internazionali. Un collegamento di Torino con capoluoghi importanti di altri Paesi confinanti con il nostro porterebbe via del traffico: questa è la risposta che l'Alitalia a da sempre.
E' la politica dell'Alitalia che non va.
E' perfettamente inutile scaricare su tizio, caio o sempronio o sul livello locale ciò che è colpa del Governo. Per l'ennesima volta possiamo dire: "Piove e il Governo è ladro, sempre!".
Questo è il problema. Non ce n'è un altro.
Il Consigliere Picco, poi, appartiene ad un partito che ha responsabilità politiche dirette e potrebbe fare qualche cosa di più invece di occuparsi di Levaldigi o di Cerrone, che noi cerchiamo di promuovere davvero, con il piano dei trasporti.
Tutte le proposte vengono cassate e l'amministrazione dello Stato non è in grado di corrispondere alle esigenze.
Tenere due vigili del fuoco a Levaldigi che cosa significa? Picco, non te lo sei mai chiesto, visto che ti sei chiesto tante cose, anche inutili in questa sede? Quante volte ci siamo mossi in provincia di Cuneo rispetto a questo problema! Eppure, non si riesce a tenere i vigili del fuoco neanche per gli elicotteri di salvataggio per gli ammalati e il soccorso alpino.



PICCO Giovanni

Questo dobbiamo chiedercelo come Regione.



REVELLI Francesco

Bajardi se l'è chiesto mille volte.
Io chiedo che cosa ti chiedi tu. Ti risparmio un ennesimo protocollo di cose. Te le dice Viglione queste cose, che è più simpatico di me. Se c'è uno che dovrebbe avere qualche diritto e dovere di silenzio su queste questioni sei tu che sei stato Sindaco di Torino. Novelli risponde delle cose di cui deve rispondere.



PICCO Giovanni

Con tutte le illazioni che si sono fatte, quelle accuse si sono dimostrate infondate.



REVELLI Francesco

Sono dati di fatto. Non li invento io. Nel 1975 non si pagavano nemmeno gli stipendi e Baitone spiegava perché c'era il passivo allargato. Non c'è da giustificare assolutamente niente. Se la mettiamo su questo tono non la finiremo mai.
Si tratta di vedere come vanno affrontati i problemi. Mi permetto di esprimere il mio parere e mentre ritengo che siano degne di considerazione alcune cose importanti dette da Bastianini, da parte vostra non sono state dette cose che mi hanno particolarmente colpito e illuminato su qualcosa che dovremo fare.
Il terzo problema riguarda il ruolo di Caselle rispetto alla realtà piemontese, problema che va ripreso, affrontato e portato in attuazione per quanto possibile, nei limiti consentiti alla Regione che propone i piani e con le risorse rese disponibili dallo Stato. E questo vale per il discorso sul piano autobus. Quando si sono stanziati i fondi, quando c'è la committenza, quando si sono fatte tutte le operazioni che debbono essere fatte (che la Regione non è tenuta a fare come competenza amministrativa) se gli autobus non sono finanziati dallo Stati) e non avvengono le cose che debbono avvenire, tutto rimane sulla carta.
Noi abbiamo offerto una maglia, abbiamo i progetti esecutivi, abbiamo dato suggerimenti amministrativi anche, in ordine alla fusione di Caselle e di Verrone per, una società di gestione unica (magari neanche più la Sagat) anche per una cessione di interessi da parte della società di Levaldigi, ma non si vuole addivenire ad un complesso di proposte che unifichino e che rendano l'aeroporto regionale unico, magari comprendendo anche Levaldigi e Verrone quali piste alternative di scalo o di servizio.
Si vuole un altro tipo di aeroporto. Allora si dica: la programmazione prevede questi termini e, oltre alla programmazione, ci sono ostacoli di tipo nazionale.
Quindi le questioni per un verso vanno approfondite e discusse per quanto riguarda l'espansione del trasporto aereo e il ruolo dell'aeroporto e, per l'altro verso, vanno sdrammatizzate sapendo che se la gestione della Sagat fosse stata unitaria sin dall'inizio, probabilmente sarebbe stata migliore, cioè non incorrendo o magari facendo incorrere nei rigori della legge molto più rapidamente coloro che avevano delle responsabilità probabilmente il caso si sarebbe chiuso e non si sarebbe trascinato.
Dopodiché, per quanto non ha attinenza a cose concrete, che sono state sollevate e alle quali Rivalta ha dato una risposta estremamente pertinente, non credo sia più il caso di discutere.
PRESIDENTE.
La parola al Consigliere Viglione.



VIGLIONE Aldo

Signor Presidente, signori Consiglieri, avevamo detto che questa doveva essere un'informazione rapida per poi aprire un dibattito in Consiglio regionale. Il Consigliere Bastianini, che si era impegnato con un gesto della mano a non parlare più di due minuti, ha invece approfondito il problema e quindi ha esaurito quel dibattito che noi avevamo escluso questa sera. Dico questo non perché vogliamo che si esaurisca il dibattito, ma perché correttezza vuole che si adotti un metodo e non se ne adotti un altro e che non si discuta questa sera dell'aeroporto per ritrovarci giovedì a ridiscutere tutto.
E' buona la proposta di invitare il consiglio di amministrazione della Sagat in Commissione a riferire, dopodiché si aprirà la fase attiva.
Non entro nel merito delle scelte che abbiamo fatto che ritengo giuste.
L'aeroporto di Caselle ha una forte percorrenza interna e una media percorrenza sulle linee europee. Non voglio neanche mettere la lama sull'amministrazione precedente della Sagat. Voglio solo dire che le perdite registrate ammontavano a molti miliardi, che parte dei soci avevano deciso di rinunciare all'aumento di capitale o comunque all'ulteriore partecipazione alla società e che nel momento in cui assumemmo il governo della Regione ci trovammo di fronte ad una situazione veramente disperante.
In merito alla gestione Filippa e non soltanto di quella (non faccio riferimento all'uomo) è stato quello di aver risanato la situazione che stava per determinare la caduta e l'allontanamento definitivo di forze imprenditoriali e finanziarie che partecipavano alla società. Quella gestione ha ridato fiducia a quelle componenti, ha risanato il bilancio della Sagat e lo ha portato ad essere attivo nei risultati. La caduta verticale ed i molti risultati negativi della Sagat risalgono alla gestione precedente, quindi le battute del Consigliere Picco, sono giuste perch giustificano il suo operato di allora.
Nel corso del quinquennio passato abbiamo posto mano al risanamento ed i soci partecipanti hanno riacquistato quella fiducia nella società che ha permesso questi risultati. La gestione Filippa può anche aver avuto alcuni momenti di non pieno riflesso tecnico.



BRIZIO Gian Paolo

... di incapacità.



VIGLIONE Aldo

Questo lo dirà la storia. Della vostra gestione noi possiamo dire tutto, di questa aspettate a dire.
Fra le imprese partecipanti alla gara vi è stata una lite profonda tutti i tribunali della Repubblica ne sono stati investiti, decine di avvocati si sono mossi come avviene frequentemente in casi del genere determinati fatti tecnici hanno trovato tempi più lunghi di quelli che si pensava: tutto ciò può anche essere avvenuto; oggi però tutto questo processo, comunque lo si sia visto, è concluso. Sta per concludersi l'approvazione dei lavori e il relativo collaudo, giungerà il Cessna per verificare i punti luminosi e l'aeroporto di Caselle, risanato in alcune sue parti, anche se non ancora completo di tutte le apparecchiature moderne che gli consentirebbero un uso più elevato, comincerà a funzionare. Non sappiamo se sarà domani o dopodomani, non sappiamo se il collaudo permetterà l'agibilità, ma sappiamo che è questione di brevissimo tempo.
Si tratta di discutere il futuro. Non è vero, Picco, che l'amministrazione precedente non abbia compiuto ogni sforzo perch sull'aeroporto convergesse un più intenso traffico, non è vero che non si siano compiuti sforzi perché vi venissero effettuate anche le linee trasversali. Con il Presidente e lo staff dell'Alitalia, in occasione del piano dei trasporti e in occasione dell'incontro annuale per verificare le linee nuove che venivano attivate, abbiamo avuto una serie di riunioni anche in presenza del Ministro dei Trasporti.
Qualche risultato è stato ottenuto, ma sono sempre risultati relativi.
La scelta dei due poli, Milano e Roma, non può ricadere su di noi perché è stata fatta nelle sedi dell'Alitalia e del Ministero dei trasporti e ora riesce difficile smuovere quella posizione che è stata decisa al di fuori degli organismi regionali e contro la loro opinione, tant'è vero che parlammo di rottura dei rapporti con l'Alitalia perché sorda a queste richieste.
Perché sull'aeroporto di Caselle non si vola di più e non si vola meglio? Perché il trasporto merci non ha l'espansione che dovrebbe avere? La volontà di migliorare la situazione di Caselle esisteva non soltanto nella Regione, ma in molti enti cittadini. Ricordiamo l'intervento del dott. Salza, Presidente della Camera di Commercio, dell'ing. Pininfarina dell'Unione Industriale, dell'ing. Frignani, della Federpiemonte, e di molte forze economiche e sociali della comunità; se questa vicenda non ha ancora trovato uno sbocco e una soluzione idonea, vuol dire che gli ostacoli sono così gravi che richiedono la volontà unanime di tutte le forze per andarli a rimuovere.
Al di là delle piccolissime memorie storiche che sottoponiamo al Consiglio perché qualche immemore le abbia presenti, noi dobbiamo fare questo sforzo. Non soltanto dobbiamo verificare tutto questo con la Sagat ma la Commissione competente dovrà interpellare le Camere di Commercio, le associazioni industriali, le forze economiche, l'Anas per quanto riguarda i raccordi per dare agibilità alle strade che immettono nell'aeroporto, che sono vecchie, che non hanno una caratteristica di scorrimento, che necessitano di investimenti tali che consentano una popolarizzazione del volo aereo e non una selezione di qualità sul trasporto. Se vogliamo riprendere il discorso, dobbiamo andare incontro ad un processo che non dovrà vedere soltanto l'incontro con la Sagat, ma una autentica promozione di iniziative verso l'Alitalia, verso il Governo, verso le compagnie straniere, verso l'Anas.
Il resto è polemica. Possiamo parlare della cattiva gestione precedente, possiamo parlare degli errori tecnici, ma tutto questo non aiuta a volare di più e a volare meglio.
Se questi sono gli intendimenti, il Gruppo socialista è disponibile a che si proceda in questo senso nei mesi futuri.
PRESIDENTE.
La parola al Consigliere Picco.



PICCO Giovanni

Devo una precisazione non solo a titolo personale ma anche per quanto riguarda la mia parte politica.
Siccome sono state fatte affermazioni abbastanza gravi anche se dette solo a mezza voce, è bene che sulla vicenda vi sia chiarezza, sia per quanto riguarda la memoria storica, come ha ricordato il Consigliere Viglione, sia per quanto riguarda il merito delle argomentazioni che si adducono.
1) La correttezza della gestione Sagat prima del '75 è da valutarsi nel merito di accertamenti. Come ho sempre fatto in precedenza sollecito tutte le indagini possibili nel merito della gestione e nei raccordi con la Città di Torino.
2) Per quanto riguarda il problema specifico delle partecipazioni nell'azionariato Sagat, affermo che in realtà il problema della partecipazione dei privati alla Sagat era in discussione sin dagli anni 68/70; quindi non ha nulla a che vedere con l'aumento del deficit verificatosi per precise ragioni che poi dirò negli anni 73/74/75. Il ritiro della Fiat e di altri azionisti ho avuto modo di trattarlo ed era in considerazione di un non necessario impegno dei privati rispetto ad una partecipazione promozionale degli anni 48/50. I privati dicevano: "Ci rendiamo conto che una gestione come questa in determinate condizioni economiche abbia delle penalizzazioni economiche, ma non vediamo perch trattandosi di un servizio pubblico il deficit debba essere caricato sulle spalle dei privati. Finché il deficit è contenuto entro certi limiti ci stiamo, oltre no".
Quindi il problema non è dovuto né a una cattiva gestione, né solo alla congiuntura negativa, ma a fatti risalenti a sei, sette anni addietro trattando di volta in volta riduzioni dello 0,5 % che non consentissero di modificare il quadro complessivo, la Sagat ha svolto un ruolo importante.
In quel momento la Regione non c'era, quindi non sapevamo dove pescare un altro azionista pubblico.
Il problema delle tariffe di pedaggio e il problema degli investimenti debbono essere considerati rispetto alla gestione della Sagat degli anni 73/74/75. La Sagat, come società di gestione, ha svolto un ruolo forse eccessivo per quanto riguarda iniziative e investimenti rispetto ai suoi compiti. Era però stata fatta la scelta, presenti tutte le forze politiche di centro-sinistra (presenti anche socialisti, socialdemocratici repubblicani) di affidare anche compiti di tipo operativo e di investimenti, al limite dell'indebitamento per realizzare dei piazzali per il rinnovamento delle infrastrutture dell'aerostazione, e così via.
Interventi che non hanno avuto, se non nell'ultima fase, alcun intervento dello Stato e interventi limitatissimi per quanto riguarda la Città di Torino.
E' chiaro che questi investimenti sono stati pagati in termini di deficit sostanziale sulla gestione della società. E' dimostrato in tutti gli scali di questo mondo che l'economicità di questi servizi non è tale da permettere investimenti di questo tipo.
Su questi fatti chiedo vi sia verità storica perché non è ammissibile che vi siano pronunciamenti ed illazioni che nulla hanno a che vedere con la correttezza amministrativa e con scelte che, per quanto discutibili sono state di grande utilità pubblica e con i mezzi che in allora erano a disposizione.



PRESIDENTE

Consiglieri, capisco che qualche volta l'espressione supera gli intendimenti. Ho seguito attentamente il dibattito



CARLETTO Mario

Ci ha detto che eravamo dei ladri.



REVELLI Francesco

Non l'ho detto.



PRESIDENTE

Prima di tutto, quando parla il Presidente, state a sentire, altrimenti sospendo la seduta.



(voci in aula)



PRESIDENTE

Leggeremo il verbale, se ci saranno delle affermazioni che ritenete offensive, sentiremo la registrazione e poi giudicheremo.
La sostanza venuta da questo dibattito è...



REVELLI Francesco

Non ho detto la parola ladro in questa circostanza. Si può risentire.
Ho detto: "ancora una volta si chiede a una società o alla Regione di parlare dello sviluppo dell'aeroporto. Bisogna confrontarsi con il governo al quale è stato dato il piano dei trasporti e il quale ha anche un piano per l'aviazione. Va ribadito, come dice l'adagio: "piove, governo ladro come sempre!".



CARLETTO Mario

Desidero chiarire, al Consigliere Revelli quando parlava delle parti politiche ho fatto questa battuta: "Forse che non era della tua parte politica il presidente che ha dovuto fare tre volte un appalto?".
Il Consigliere Revelli mi ha risposto: "Si, perché il nostro presidente non è ladro come voi".



(voci in aula)



PRESIDENTE

E' la prima volta che sento una discussione a così basso livello. Per rispetto a questo Consiglio prego tutte le parti di moderare i termini e di comportarsi come persone per bene. Questo non è un Consiglio, è qualche cosa che non posso qualificare.
Se qualcosa non va, sentiremo la registrazione del dibattito.
Per il momento la questione è chiusa.


Argomento: Agricoltura: argomenti non sopra specificati - Industria (anche piccola e media) - Commercio - Trasporti e comunicazioni: argomenti non sopra specificati

Presentazione di un ordine del giorno sugli aspetti della crisi economica in Piemonte


PRESIDENTE

II punto quarto all'ordine del giorno reca: "Esame degli aspetti salienti della crisi economica in Piemonte: proposte ed iniziative". Mi era stato presentato un ordine del giorno firmato dai Consiglieri Revelli Viglione e Mignone, che è stato ritirato; è stato poi presentato un altro ordine del giorno che leggo.



BORANDO Carlo

Hanno presentato un ordine del giorno poi si sono pentiti e ne hanno presentato un altro. Ho capito bene?



PRESIDENTE

E' stato presentato, ritirato e ripresentato.



BRIZIO Gian Paolo

Mancavano due virgole!



VIGLIONE Aldo

L'ordine del giorno fu elaborato dalle forze politiche che l'hanno presentato, fu poi rimesso per il miglioramento e la modifica alla Giunta e alle parti politiche. Vi sono state alcune aggiunte che riflettono la Cassa Depositi e Prestiti, il suo ruolo.
Perché i presentatori non avrebbero dovuto accogliere questa parte? Che cosa stai dicendo Borando?



PRESIDENTE

Leggo la stesura finale dell'ordine del giorno che metterò poi in votazione.
"Il Consiglio regionale del Piemonte preso atto della relazione del Presidente della Giunta regionale sugli aspetti salienti della crisi economica in Piemonte e delle proposte avanzate tenuto conto degli interventi dei Gruppi politici che hanno approfondito nel corso del dibattito odierno l'attuale situazione piemontese nel quadro dell'economia nazionale rilevato come una corretta politica di programmazione regionale volta al superamento della crisi ed al rilancio dell'economia presuppone precisi interventi governativi che debbono essere assunti, nel programma, dal nuovo Governo considerato che è altresì indispensabile un più organico rapporto tra Regioni ed Enti locali affinché il sistema delle autonomie si ponga come soggetto attivo della riforma dello Stato, di un diverso sviluppo e perch la programmazione regionale non sia soltanto la risultante della "regionalizzazione" della programmazione nazionale, ma possa concorrere alla definizione di quest'ultima nel rispetto dei reciproci ruoli istituzionali impegna la Giunta regionale a proporre, insieme con le altre Regioni al Governo di inserire nel programma una serie di misure articolate che pur coerenti con l'obiettivo di salvaguardare la stabilità monetaria consentano il sostegno dell'economia ed il rilancio dell'occupazione.
Ritiene a tal fine di individuare quali misure appropriate: a) la ripresa della politica di piano attraverso il confronto con le Regioni e la consultazione delle forze sociali sul documento economico a medio termine b) l'attuazione concreta con le opportune modifiche della legge 675 sulla riconversione e ristrutturazione industriale, quale strumento indispensabile per attuare quella politica programmata per settori con interventi finalizzati con il fondo ricerca, procedendo sollecitamente all'approvazione dei piani di settore in itinere, come quello dell'auto, ed all'aggiornamento di quelli dell'elettronica e della chimica, inserendoli in una strategia di sviluppo adeguata ai nuovi problemi posti dall'evoluzione in atto nella divisione internazionale del lavoro ed alla gravità della crisi di vasti settori produttivi.
In questo quadro è contemporaneamente da collocare lo sviluppo dell'industria elettronica, la riorganizzazione del settore delle telecomunicazioni, la ricapitalizzazione della STET, la separazione tra aziende manifatturiere e quelle di servizio c) la revisione dei criteri del DPR 902 per il credito alle piccole e medie imprese nelle zone insufficientemente sviluppate al centro-nord d) la riforma del collocamento e l'avvio della gestione del mercato del lavoro attraverso l'istituzione di un servizio per l'impiego pubblico unitario, nazionale, articolato in tre livelli (centrale, regionale comprensoriale) e) la presentazione al Parlamento del piano agricolo alimentare condizione essenziale per: affrontare i problemi dell'auto approvvigionamento alimentare del paese allargando la base produttiva in agricoltura ottenere nell'ambito della politica agricola CEE, misure preferenziali su alcune quote di produzione (vino, barbabietola da zucchero, prodotti lattiero-caseari, ortofrutta) al fine di dare riferimenti certi ai produttori agricoli ed al mercato evitando il ricorrente spreco di ingenti risorse per il sostegno delle produzioni eccedentarie f) la reintegrazione in termini reali delle risorse finanziarie già disposte da leggi pluriennali e non più trasferite alle Regioni g) il trasferimento alle Regioni dei fondi stanziati dalla legge 984 "quadrifoglio", attraverso procedure semplificate e consentendone un utilizzo in modo più articolato pur nel rispetto delle finalità della legge h) la presentazione del piano di sviluppo nel settore dei trasporti sia su rotaia che su strada con particolare riferimento al piano autobus accelerando la conclusione della legge quadro sui trasporti nel testo già definito in collaborazione con le Regioni i) la riforma dell'impresa artigiana, attraverso una legge quadro nonché la regionalizzazione dell'Artigiancassa l) la riforma della legge n. 426/1971 (disciplina del commercio), della legge n. 571/1975 sul credito agevolato, della legge n. 125/1959 sui mercati all'ingrosso per un efficace impulso pubblico dilla politica della distribuzione m) la definizione tempestiva del quadro pluriennale delle risorse finanziarie per le Regioni, approvando rapidamente la nuova disciplina della finanza regionale, unitamente alla riforma della finanza locale n) la piena utilizzazione della Cassa Depositi e Prestiti quale strumento per il finanziamento degli investimenti degli Enti locali, anche attraverso una sua articolazione regionale.
Il Consiglio regionale ribadisce la necessità di non affidare, al di là dei doverosi interventi imposti dall'emergenza, ai meri strumenti monetari il compito di regolare i meccanismi del sistema economico e perciò la necessità di contenere nel tempo la stretta monetaria e creditizia, e di adottare un ventaglio più ampio e selettivo, di misure appropriate, in grado di evitare la caduta di una spirale recessiva, che avrebbe effetti disastrosi sui livelli occupazionali e sulle stesse capacità competitive dell'industria italiana.
Tra gli strumenti selettivi deve essere messa a punto una adeguata politica del credito, finalizzata a realizzare gli obiettivi fissati per la politica industriale e perciò a contenere il costo del denaro per le iniziative di riconversione, di sviluppo e di ricerca riconosciute come proprietarie dai piani di settore.
In questo quadro è necessario affrontare il problema di un sistema creditizio più adeguato alle reali necessità dell'artigianato, della piccola e media impresa, impostando anche adeguate soluzioni per il credito di esercizio.
Nell'ambito di questa politica del credito il Consiglio regionale ritiene infine: a) che si debba intervenire presso il Ministero del Tesoro affinché le "agevolazioni" - richieste da imprese che si trovano a fronteggiare la crisi che travaglia il Piemonte - in via di definizione presso il Mediocredito centrale ed il Ministero dell'industria, vengano evase con "diritto di precedenza" rispetto alle lente procedure ordinarie b) che si richieda il superamento della vigente circolare ministeriale che impone il vincolo secondo il quale un'impresa non può ottenere che una sola "agevolazione" nel corso della sua esistenza c) che la Giunta regionale solleciti presso il Mediocredito piemontese l'opportunità di dilazionare le rate in scadenza al 31/12/1980 per le aziende dell'indotto ed artigiane, abbassando gli interessi di mora d) che la Giunta regionale debba convocare gli Istituti di credito del Piemonte al fine di considerare la disponibilità da parte degli stessi ad intervenire con il "credito ordinario" nei confronti dell'indotto anche oltre i limiti imposti dalle fasce di contenimento sul credito".
Chiede la parola la signora Vetrino. Ne ha facoltà.



VETRINO Bianca

Lo spirito con il quale abbiamo presentato a suo tempo l'interpellanza e lo spirito nel quale si è realizzato il dibattito era quello di pervenire a proposte che dovessero servire al rappresentante della Regione Piemonte nei contatti con il Governo per portare in quella sede la situazione reale della Regione. E' stato uno spirito propositivo e in questo senso l'ordine del giorno proposto dovrebbe essere in grado di poter raccogliere il massimo dei consensi perché con esso il Presidente della Giunta vede rafforzata la sua posizione di interlocutore e di rappresentante dell'intero Consiglio regionale.
L'ordine del giorno, così come era stato formulato nella prima stesura a parte alcune informalità nelle elencazioni, non mi trovava molto d'accordo; la seconda stesura enfatizza un aspetto che ho, molto toccato nella mia relazione: avevo infatti pregato il Presidente della Giunta di trattare nei suoi contatti governativi prioritariamente la riforma della finanza locale e delle autonomie locali.
Ringrazio quindi perché nel testo è stata riportata questa nostra raccomandazione con altre che seguono nella terza pagina.
Mi auguro che questo nuovo testo raggiunga l'obiettivo di un programma definito e valido per tutta la Regione Piemonte in grado di rappresentare le esigenze di tutte le comunità e annuncio il mio voto favorevole.
PRESIDENTE.
La parola al collega Paganelli.



PAGANELLI Ettore

Farò ancora un accenno brevissimo al precedente dibattito per chiederle di voler cortesemente disporre che il testo stenografico del dibattito stesso sia messo al più presto a disposizione dei Consiglieri (e non nei termini di rito), in modo che possa essere serenamente riletto e meditato per eventuali conseguenze; accompagno questa richiesta con l'assicurazione che molta attenzione il mio Gruppo porrà al prosieguo dei lavori perché non vorremmo che solamente Consiglieri del nostro Gruppo siano oggetto di particolare attenzione e richiami. Vorremmo che il dibattito fosse sereno come lei e tutti auspichiamo, e che i richiami fossero diretti in tutte le direzioni. Noi consideriamo il richiamo diretto a un Consigliere del nostro Gruppo, come diretto all'intero Consiglio per una meditazione sullo svolgimento dei lavori, altrimenti avremmo dovuto avere una reazione diversa da quella che cerco pacatamente di spiegare.
Entrando nel merito dell'ordine del giorno debbo affrontare un problema di metodo. Il Consigliere Viglione, quando si è parlato delle due dizioni presentate, ha detto che vi era una proposta all'attenzione dei Gruppi per le loro osservazioni.
Dico con intima convinzione, e chi mi conosce sa che in genere parlo per convinzione, che sono preoccupato del tono e delle modalità di svolgimento di tanta parte dei nostri lavori. Se si vuole ricercare la collaborazione delle forze politiche, se si vuole che ci sia confronto tra una forza politica e l'altra, non si può avere la pretesa di presentare al termine di una discussione un ordine del giorno di cinque pagine chiedendo alle forze politiche se hanno qualche parola o qualche virgola da cambiare.
In questo modo si considerano le altre forze come forze di risulta e noi Gruppo della D.C., in quest'aula non ci consideriamo forza di risulta. Se si vuole la nostra collaborazione, la si deve ricercare in modo diverso, se non la si ricerca ci si accorgerà che il Gruppo della D.C. non è un Gruppo di risulta.
Per quanto riguarda il documento, superato il problema di metodo che doveva essere affrontato perché siamo agli inizi della legislatura e di dibattiti ne dovremo affrontare parecchi, diciamo che nella seconda versione del documento vi sono richieste che vengono avanzate al Governo e che sono condivise dalla nostra parte. Altre richieste richiederebbero un approfondimento. Riteniamo soprattutto che manchi nel documento quanto l'Assessore Simonelli ha cercato di recuperare nella sua replica.
Nel momento in cui si fanno delle richieste con tanta sicurezza e con tanta decisione, nel momento in cui si chiede come chiedeva il Consigliere Mignone che agli enti locali vengano dati ulteriori spazi, bisogna dimostrare che si è fatto fino in fondo il proprio dovere, bisogna dimostrare che tutti gli spazi che oggi già esistono, sono stati completamente occupati. E soprattutto nel momento in cui ci sono delle richieste, bisogna dimostrare che queste richieste si raccordano perfettamente con la politica che l'ente intende portare avanti. Potremmo votare contro questo documento, ma ci asterremo per dare una prova di buona volontà, per lanciare ancora un ponte tra le forze politiche. Invito però a meditare sulle cose che senza pretesa di avere completa ragione, abbiamo inteso sottolineare. Siamo in momenti difficili, cerchiamo il rispetto e i raccordi tra le forze politiche nella loro autonomia. Se viene meno il rispetto, se vengono meno questi raccordi, i tempi saranno più difficili davanti a noi.



PRESIDENTE

Come Presidente di questo consesso ritengo di essere abbastanza obiettivo.
Accolgo quanto lei dice sulla meditazione da fare. Sediamo su questi banchi da 10 anni e abbiamo sempre lavorato con correttezza anche nei rapporti fra di noi. La richiesta del collega Paganelli, va estesa a tutti a qualsiasi parte appartengano: questo è il modo migliore per lavorare serenamente come abbiamo fatto sempre.
Chiede la parola il Consigliere Bastianini. Ne ha facoltà.



BASTIANINI Attilio

Ci sono problemi di metodo e problemi di sostanza, partiamo dai problemi di sostanza. Sarebbe ipocrita se ci dichiarassimo soddisfatti dell'ordine del giorno predisposto dai Gruppi di maggioranza. Quell'ordine del giorno, mentre contiene una serie di indicazioni su cui vi è la convergenza unanime, non contiene indicazioni incisive sul modo in cui la Regione nell'ambito dei rapporti con lo Stato, costruiti anche sulla base delle novità richieste nel documento predisposto, si prepara a svolgere fino in fondo il suo ruolo. Il Consigliere Paganelli mi ha preceduto in un'osservazione che intendevo svolgere. Il documento predisposto e la mozione conclusiva colgono alcuni spunti positivi, migliorativi del taglio del documento iniziale e migliorativi anche in quanto recepiscono alcune indicazioni emerse nel dibattito.
Vi è poi un problema di metodo che però si riflette nei problemi di sostanza. Se fosse stato possibile presentare un documento che recepiva le indicazioni emerse dal dibattito, echeggiate in qualche modo nella replica della Giunta, avremmo potuto tenere un atteggiamento diverso da quello che ci proponevamo di tenere, una responsabile astensione per creare una divisione politica su un atto di importanza quale è questo di un confronto serrato con il Governo per concorrere alla soluzione dei problemi del Piemonte, ma abbiamo abbastanza rispetto di noi stessi, delle nostre convinzioni in materia di politica economica, del nostro ruolo politico da non poterci accontentare di alcune limature marginali per trasformare un voto di astensione in un voto favorevole.
PRESIDENTE.
La parola al collega Carazzoni.



CARAZZONI Nino

Signor Presidente, nel dibattito qui tenutosi abbiamo svolto tesi che erano e volevano essere radicalmente difformi e in contrasto con le impostazioni prospettate, sostenendo che dalla crisi economica il Piemonte e l'Italia non possono uscire con indicazioni specifiche o settoriali che servono a nulla o a ben poco, ma in contrario possono uscirne solo attraverso un radicale voltare pagina, attraverso un totale abbandono di quella che è stata la fallimentare politica economica sino ad oggi seguita.
In quest'ottica non possiamo accedere a questo ordine del giorno e daremo pertanto voto contrario.
PRESIDENTE.
La parola al Consigliere Bontempi.



BONTEMPI Rinaldo

Chiedo se posso parlare brevemente su una questione che mi pare di grande importanza e che attiene alla questione posta dal Capogruppo della D.C. sul clima, sui rapporti tra i Gruppi consiliari, sull'andamento dei lavori del Consiglio.
Ha fatto bene il Capogruppo Paganelli a porre questa questione e soprattutto coloro che hanno lavorato insieme nella scorsa legislatura si rendono conto che dobbiamo continuare, come anche lei signor Presidente ha invitato a fare, sulla strada della dialettica e della battaglia politica però, entro le regole del gioco corretto con profondo rispetto delle reciproche posizioni. Forse sulle interruzioni tutti dobbiamo fare qualche autocritica.
Proprio perché abbiamo alle spalle testimonianze concrete di continuo rispetto delle istituzioni e di non aggressione nei confronti di nessuno il suggerimento del collega Paganelli va raccolto da tutto il Consiglio proprio nello spirito di produrre meglio e di più.
Per ottenere questo, Signor Presidente, dobbiamo anche avere qualche attenzione sul modo in cui strutturiamo i nostri lavori; parlo delle nostre peculiarità, delle caratteristiche del Consiglio regionale, della necessità che qui non si riproducano, pari pari, i dibattiti che sono eco di dibattiti svolti in altre sedi, come per esempio il Consiglio comunale.
Su una legge ci possono essere grandi asprezze e grandi differenze secondo me, lì è più misurabile la corposità delle differenze, la sostanza delle posizioni diverse, ancorate agli articoli, alle disposizioni, alle conseguenze. I dibattiti a ruota libera, seppure su temi di grande attualità, rischiano, se diventano sistema e regola, di generare delle conseguenze non positive sul piano dei rapporti.
Affermo che da parte del nostro Gruppo non solo si darà un contributo sostanzioso e chiederemo agli altri di darlo in eguale misura perché sul piano dei rapporti e di civile convivenza si possa andare avanti.
Altrimenti diventa più difficile fare un mestiere che non è dei più facili.



PRESIDENTE

Ritengo che le parole dei colleghi Paganelli e Bontempi siano come un ponte amichevole per superare certe asprezze. Forse questi primi incontri servono da rodaggio tra forze nuove e forze un po' più stagionate in quest'aula.
Pongo in votazione l'ordine del giorno.
Chi è favorevole alzi la mano.
L'ordine del giorno è approvato con il seguente esito: presenti e votanti 42 hanno risposto SI 26 Consiglieri ha risposto NO 1 Consigliere si sono astenuti 15 Consiglieri La seduta è tolta.



(La seduta termina alle ore 20,45)



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