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Dettaglio seduta n.116 del 04/03/82 - Legislatura n. III - Sedute dal 9 giugno 1980 al 11 maggio 1985

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI


Argomento: Rapporti Regioni - Governo - Problemi energetici

Dibattito sugli adempimenti della Regione Piemonte in merito all'approvazione del Piano energetico nazionale e alle scelte conseguenti


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Passiamo al punto quinto all'ordine del giorno: "Dibattito sugli adempimenti della Regione Piemonte in merito all'approvazione del Piano energetico nazionale e alle scelte conseguenti".
La parola all'Assessore Salerno.



SALERNO Gabriele, Assessore per l'ambiente e l'energia

A diciotto mesi dall'inizio della terza legislatura regionale, le linee programmatiche per il quinquennio 1980-1985, in materia di energia individuate dalla Giunta regionale all'atto del proprio insediamento sono state oggetto di numerosi dibattiti e hanno visto, data l'assenza di specifiche competenze regionali, un momento operativo complesso e articolato in una presenza responsabile e qualificata della Regione sia in sede nazionale che in sede europea nell'ambito di organismi quali la CEE e la BEI.
In particolare, in sede centrale, la Regione ha contribuito in maniera determinante a costruirsi un ruolo attivo e partecipativo attraverso le osservazioni e le integrazioni alle proposte di legge in materia energetica, orientando l'attuazione delle medesime in senso decentrato e idoneo alle diverse realtà locali, nonché favorendo il mutamento dei rapporti istituzionali con gli enti energetici centrali e con lo stesso Governo che ha dimostrato una seria attenzione al quadro complessivo delle politiche da avviare in Piemonte per affrontare a livello adeguato la questione energetica. Le determinazioni del Consiglio regionale del 18.3.1981, hanno assunto una fisionomia concreta in una cornice che vede in primo luogo un confronto globale e permanente con il Governo su tutta la materia energetica e in secondo luogo comprende già alcuni momenti operativi contenuti nelle convenzioni e nelle intese con gli enti energetici ENEL ed ENI e con altri organismi, rappresentanti le forze sociali, produttive e di categoria, quali i Sindacati e la FIAT.
La necessità di una politica di diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico ribadita nell'ordine del giorno, del 18.3.1981, sancita dal Piano energetico nazionale e contenuta nei programmi della Giunta e nei progetti antinflattivi, è stata recepita dal Governo che ha già dichiarato l'appoggio finanziario alle iniziative regionali, con particolare riferimento al settore idroelettrico, al teleriscaldamento, sui quali ENEL ed ENI, nell'ambito delle intese, stanno già producendo proposte e azioni concrete, dietro le azioni di stimolo e promozione della Regione.
Ma nell'ambito della politica di diversificazione energetica su cui il Governo centrale e Regioni hanno raggiunto una intesa globale esistono anche scelte certamente onerose e che per questo impongono un maggior senso di responsabilità e partecipazione non solo da parte dell'istituzione regionale ma della comunità piemontese nella sua interezza.
Sul problema dell'insediamento nucleare in Piemonte la letteratura è certamente abbondante e il documento approvato dalla Giunta regionale nel gennaio scorso raccoglie tutta una serie di considerazioni e problemi che in parte costituiscono il patrimonio di studio della seconda legislatura ma che comprendono anche delle precise richieste al Governo, finalizzate soprattutto al rigoroso mantenimento delle prerogative sociali, economiche ed ambientali del territorio piemontese e alla valorizzazione delle capacità produttive e tecnologiche del Piemonte.
Il nodo sostanziale del problema risulta essere quello di ottenere i mezzi, anche culturali per contemperare la tutela dell'ambiente con lo sviluppo produttivo riqualificando il territorio e tutte le sue risorse.
Il documento e la memoria complementare relativa alle procedure e agli adempimenti regionali, in materia di localizzazioni nucleari elettroproduttive, sono stati discussi in sede di VII Commissione consiliare e successivamente consegnati al Comitato misto, istituito allo scopo, in attesa che gli enti centrali ENEL e CNEN ivi rappresentati formulino le risposte e le garanzie più adeguate, così come richiede la Regione.
L'intervento di oggi vuole riaffermare la volontà della Regione Piemonte di informare puntualmente la comunità circa le iniziative che si assumono nella vicenda nucleare, richiedendo la partecipazione più ampia possibile di tutte le forze piemontesi, soprattutto di quelle scientifiche come l'Università e il Politecnico, al fine di costruire il consenso e pervenire all'accordo, riconoscendo autonomia di giudizio, responsabilità e consapevolezza delle scelte, agli Enti locali, senza la partecipazione dei quali non sarà possibile alcuna scelta né di vertice, né di parte, ma dovrà essere esercitato quel legittimo controllo che è funzione prima istituzionale delle autonomie locali.
La Regione Piemonte, insieme alla comunità regionale, è tanto attenta ai problemi dell'utilizzo della tecnologia nucleare di produzione elettrica che non si è lasciata sfuggire la possibilità di attivare le capacità locali nel settore dei servizi tecnologici avanzati, alla luce dell'importanza di alcune caratteristiche e requisiti ottimali che il Piemonte detiene anche per l'attivazione di programmi scientifici rivolti alla ricerca e alla sperimentazione in campo energetico.
Al di là di qualsiasi considerazione regionalistica, si vuole in questo contesto riaffermare la particolare rilevanza che la realizzazione di programmi di ricerca nel campo della fusione nucleare riveste per il Piemonte, impegnato nella costruzione delle premesse per il pronto avvio del progetto Ignitor.
Le forze scientifiche, culturali e produttive del Piemonte ritengono che il progetto possa avere una funzione catalizzatrice per l'economia e per la stessa immagine culturale del territorio, il quale già dispone delle mi gli sviluppi connessi ai programmi di sperimentazione sulla fusione nucleare.
In questo senso si richiede, soprattutto a quegli organismi da cui dipendono le procedure autorizzative e l'attivazione delle risorse finanziarie, per il "progetto nucleare" piemontese, che questo programma scientifico di interesse non solo locale, ma nazionale ed europeo, possa essere realizzato, magari con la partecipazione di altre regioni, con il contributo certamente indispensabile e determinante delle forze imprenditoriali locali e di quelle forze scientifiche che nel Piemonte individuano la localizzazione ottimale del progetto e l'occasione per un rilancio culturale dell'intera comunità.
Il ruolo della regione, le procedure, gli adempimenti.
Il Piano energetico nazionale, approvato dal CIPE con deliberazione del 4.12.1981 pubblicata sulla G.U. n. 7 dell'8.1.1982, tra le opzioni per l'insediamento di centrali termoelettriche a carbone e nucleari, indica la Regione Piemonte come sede per la possibile localizzazione di una centrale nucleare con due unità standard, da 1000 Mwe ciascuna, in una delle due aree già individuate lungo il corso del fiume Po.
I termini per l'indicazione dei siti da parte delle Regioni e le relative procedure sono contenuti nella legge 2.8.1975 n. 393, di cui la delibera Cipe riconferma i contenuti e l'efficacia, anche per quanto riguarda quindi i provvedimenti sostitutivi da parte del Cipe che, in mancanza della decisione regionale nel termine suddetto, determina la localizzazione e la notifica alla Regione e al Comune interessati (sesto comma, art. 4 L. 393/1975).
Nella vicenda nucleare il ruolo della Regione si esercita nell'individuazione, d'intesa con i Comuni interessati, delle aree suscettibili di insediamento degli impianti e, successivamente, del sito puntuale.
La Regione Piemonte, che ha già espresso, attraverso l'ordine del giorno consiliare del 18.3.1981, la disponibilità a valutare attentamente la possibilità di utilizzare la tecnologia nucleare di produzione elettrica nel proprio territorio, conferma la sua scelta di concretezza e responsabilità nei confronti di quei bisogni che, pur essendo certamente locali, corrispondono anche ai più generali e urgenti interessi del Paese.
La realizzazione di una centrale nucleare in Piemonte può certamente contribuire ad una sostanziale riduzione del deficit energetico regionale ma deve essere, nel contempo, accompagnata da garanzie tali da assicurare una integrazione "indolore" nel tessuto socio-economico ed ambientale del territorio deputato all'insediamento elettroproduttivo.
Le naturali legittime opposizioni alla tecnologia di produzione nucleo termoelettrica che scaturivano di fronte ad una politica di tipo autoritario e alla valutazione negativa dei rischi e delle conseguenze sulla qualità della vita in funzione della crescente complessità tecnico scientifica di tale tecnologia, devono essere adeguatamente risolte coinvolgendo tutte le forze sociali economiche e scientifiche soprattutto sul piano locale, in un processo di scelte partecipate, attivando anche le strutture degli enti centrali al fine di trasferire alla comunità regionale intera informazioni e messaggi decodificati comprensibili onde assicurare la comunità sulla bontà e sicurezza delle scelte e, nel contempo costruire il consenso il più largo possibile.
Inoltre, l'ampio ventaglio delle competenze disponibili e l'elevato grado di qualificazione tecnologica dell'industria piemontese offre adeguate garanzie non solo per una concreta realizzazione del piano settoriale nucleare ma anche per una partecipazione attiva finalizzata all'attuazione dell'intero Piano energetico nazionale, nel quadro del rilancio produttivo ed economico dell'intera Regione.
Il coinvolgimento delle forze produttive piemontesi deve quindi essere visto come ulteriore qualificazione delle strutture, come occasione di allargamento e diversificazione delle capacità produttive e di servizio tecnologico anche per quanto riguarda la realizzazione di altri impianti nucleari in Italia e all'estero.
In merito alla politica degli incentivi prevista per la realizzazione dei nuovi insediamenti elettroproduttivi, questa non dovrà assolutamente assumere la configurazione di "monetizzazione" del rischio e la sua gestione dovrà essere affidata alle comunità locali, espresse anche nelle loro articolazioni territoriali, non solo salvaguardando ma migliorando l'economia sociale e produttiva del territorio interessato.
Si ritiene pertanto indispensabile l'approvazione del D.D.L. 2383 e dei relativi meccanismi di corresponsione dei contributi concernenti i nuovi insediamenti elettroproduttivi, finalizzandoli alla realizzazione di mini piani di sviluppo locali interessanti l'area che verrà interessata dal nuovo insediamento nucleare di produzione elettrica.
In particolare, il getto dei contributi dovrà essere destinato alla promozione di investimenti e, in via prioritaria, dovrà essere finalizzato alla realizzazione di progetti integrati che perseguendo l'utilizzo delle fonti rinnovabili e la tutela ambientale ed econologica del territorio nonché lo sviluppo di quelle iniziative migliorative delle condizioni di utilizzazione del territorio interessato (per esempio, il miglioramento del sistema irriguo che benefici l'agricoltura, il miglioramento delle infrastrutture viarie, ecc.).
Le questioni relative alla sicurezza e alla protezione dell'ambiente dovranno essere inserite in un quadro di garanzie, sia per quanto riguarda l'affidabilità di esercizio e la prevenzione del rischio, sia per il controllo delle emissioni inquinanti, ordinarie e straordinarie, e della conoscenza dei meccanismi relativi alla pianificazione delle emergenze.
In merito a quest'ultimo punto dovrà essere garantita alle comunità locali,l'informazione completa e permanente sull'intero ciclo di vita dell'insediamento nucleare, unitamente alla possibilità di partecipare alla formulazione, gestione e attuazione dei piani di emergenza esterna disciplinati al Capo X del D.P.R. n. 185/1964, in armonia con le direttive impartite dal Ministero dell'interno con nota n. 145/020/S del 4.8.1979 e con le conclusioni della Commissione Consultiva per la Sicurezza Nucleare istituita con Decreto Ministeriale 13.8.1979, e, se necessario, anche modificando l'attuale quadro giuridico relativo all'impiego pacifico dell'energia nucleare, alla sicurezza e alla protezione sanitaria.
E' indubbio come in una vicenda tanto complessa, dibattuta e controversa come quella nucleare, il ruolo della Regione non si possa limitare al controllo dei semplici aspetti procedurali previsti dalla legge, ma imponga una responsabilità partecipativi più ampia e quindi l'esercizio legittimo dei poteri di programmazione e controllo nell'uso e nella gestione del territorio.
Basti pensare, per esempio, agli effetti dell'atto con cui la Regione o il Cipe, determinano, in via definitiva, l'area di localizzazione degli impianti elettronucleari; il provvedimento, infatti, non solo costituisce variante allo strumento urbanistico comunale, ove necessario, ma sostituisce la concessione edilizia che il Comune deve rilasciare al titolare dell'impianto.
L'ipoteca d'uso del territorio, l'impatto socio-economico e ambientale ed altri aspetti connessi alla localizzazione degli Impianti nucleari di potenza, ha consigliato un coinvolgimento delle comunità locali e l'assunzione della garanzia che gli elementi tecnico-economici che sono alla base delle scelte di localizzazione, vengano messi a disposizione delle Regioni e degli Enti locali, al fine di consentire, su un tema di questa rilevanza e delicatezza, un dibattito il più ampio e completo possibile.
Ma proprio perché non era possibile addossare ad un Comune il peso e la responsabilità di scelte di rilevanza e interesse essenzialmente nazionali e non si poteva indugiare in una situazione di paralisi, anche a fronte di provvedimenti sostitutivi centrali in caso di inadempienza regionale creando aree di potenziale conflittualità tra Regione ed Enti locali, sono stati istituiti i Comitati misti al cui interno sono rappresentanti gli organismi regionali e centrali che cooperano sia alla fase di individuazione definitiva delle aree, sia alla fase di individuazione del sito puntuale, all'interno delle medesime, deputato alla localizzazione dell'impiantò nucleare.
In merito all'istituzione dei Comitati misti la Commissione interregionale apposita, nella seduta del 28 febbraio 1980, presso il Ministero del bilancio e della programmazione, concludendo l'esame degli elaborati del CNEN, relativi all'individuazione dei siti nucleari, invitava "il CNEN, e l'ENEL ad approfondire i problemi afferenti le aree individuate ai fini di procedere ad un'ulteriore selezione ed avviare le necessarie indagini tecniche sui suoli" e decideva "la costituzione di Comitati misti regionali, ENEL, CNEN, con il compito di valutare i predetti problemi anche in relazione agli aspetti socio-economici ed ai programmi regionali di sviluppo". (Lettera Ministero industria n. 723701 del 30 giugno 1980).
Poiché per legge le scelte finali, sulle aree prima e sul sito poi spettano esclusivamente alla Regione, il ruolo del Comitato misto dovrebbe esplicarsi in un'attività di tipo tecnico-consultivo e nella presentazione di informative specifiche alle Comunità locali interessate.
L'informativa dovrebbe svolgersi in modo programmato e costituire essenzialmente una esposizione e una verifica dello stato di attuazione degli impegni assunti dalla Regione, dall'ENEL e dal CNEN in quanto il controllo locale si sviluppa solo attraverso la verifica che tali impegni siano rispettati nei tempi dovuti e con il coinvolgimento degli Enti che in fase di programmazione tono stati demandati ad intervenire.
Onde evitare confusione ed equivoci circa la terminologia adottata in materia di "individuazione" e "localizzazione" giova ricordare che gli adempimenti regionali si dividono in due momenti sequenziali che riguardano, prima l'individuazione delle "aree" suscettibili di localizzazione degli impianti, poi la localizzazione definitiva della Centrale in un "sito" scelto tra i "siti" puntuali definiti dall'ENEL all'interno delle aree precedentemente individuate.
La prima fase, quella individuativa delle "aree", si configura come momento propedeutico all'atto localizzativo e coinvolge sul piano programmatico e decisionale la Regione che deve, entro 150 giorni, indicare al Ministero dell'industria "almeno due aree del proprio territorio suscettibili di insediamento di centrali elettronucleari e per le quali il CNEN abbia espresso avviso favorevole" (art. 2 legge 393/1975).
A questo fine la Regione interessata ha l'onere di acquisire il parere del Ministero della Sanità, sentire l'ENEL. e avvalersi dell'assistenza tecnica del CNEN.
Sul problema delle "aree" è significativo il fatto che nel punto 4) del dispositivo della delibera Cipe, l'organo interministeriale inviti peraltro le Regioni interessate, poiché le relative procedure sono da tempo avviate a provvedere in tempi anticipati.
Tutto ciò rafforza certamente le indicazioni contenute nell'appendice A del PEN dove, "dalle indagini preliminari e salvo diversa indicazione" al Piemonte viene assegnata una "Centrale nucleare con due unità standard in una delle due aree già individuate lungo il corso del Po".
Questo autorizzerebbe a pensare che, allo stato dei fatti, sia sufficiente approfondire gli elaborati relativi alle aree Po 1 e Po 2 riconfermando le precedenti indicazioni magari con soluzioni diversificate soddisfacendo "possibilmente in tempi anticipati", così come contenuto nella delibera Cipe, i termini della legge 393, esplicitati in 150 giorni decorrenti dalla data di pubblicazione (8.1.1982) della delibera su indicata.
In materia di procedure è opportuno ricordare che la Regione avvalendosi dell'opera tecnico-consultiva del Comitato misto, deve rispettare entro l'8 giugno del corrente anno alcuni impegni in tempi ristretti.
In primo luogo deve formalizzare, magari attraverso una presa d'atto del Consiglio regionale, l'indicazione preliminare delle due aree attivando conseguentemente le consultazioni con i Comuni interessati trasmettendo quindi l'atto di volontà regionale ai Comuni medesimi, al Ministero della sanità, all'ENEL e al CNEN.
Questa prima fase relativa all'individuazione delle "aree", che precede quella dell'individuazione del sito puntuale deputato alla localizzazione della Centrale è certamente quella più delicata, dove avviene il confronto fra le istituzioni locali, le amministrazioni e gli organismi tecnici centrali, la comunità regionale intera.
Il fine ultimo, che si evince dalla legge, è quello di acquisire il provvedimento deliberativo consiliare di ogni Comune interessato alle "aree", per l'intesa sulle "aree proposte", unitamente ai pareri degli enti e organismi centrali interessati, per dar avvio ai sondaggi d'idoneità.
Acquisiti i pareri e raggiunta l'intesa, il Consiglio regionale pu assumere la deliberazione sull'individuazione definitiva delle aree, ai sensi del secondo comma dell'art. 2 della legge 393/1975, comunicandola al Ministero dell'industria.
Superata questa prima fase, che prevede l'intervento sostitutivo centrale qualora la Regione non rispetti i termini, il Ministro per l'industria "autorizza l'ENEL ad eseguire le indagini necessarie per l'accertamento dell'idoneità tecnica delle aree prescelte e, nell'ambito delle stesse, per la determinazione del luogo ove può essere ubicata la centrale elettronucleare" (primo comma art. 3 legge 393/1975).
Gli adempimenti relativi alla fase localizzativa, cioè all'individuazione dei "siti puntuali" all'interno delle "aree", e alla scelta finale del sito fanno parte di un momento tecnico operativo che vede l'ENEL e il CNEN impegnati nell'esecuzione di indagini tecniche e nella formulazione di rapporti ed istruttorie che coinvolgono le amministrazioni centrali competenti, unitamente alle Regioni che attivano nuovamente le consultazioni con i Comuni per arrivare all'intesa sui "siti" idonei scegliendo poi un sito definitivo.
Constatato che sono stati spesso pubblicati dati e notizie, a volte errati e fuorviati, che dimostrano una conoscenza del tutto superficiale delle procedure in materia, si è voluta cogliere l'occasione per fare ulteriore chiarezza circa le procedure medesime e gli adempimenti regionali ribadendo che proprio perché non è ancora avvenuta la determinazione delle aree, provvedimento per il quale si richiede almeno in via preliminare una presa d'atto del Consiglio regionale, non può essere stata già determinata la localizzazione definitiva in alcun Comune del territorio piemontese.
Prescindendo comunque dagli aspetti procedurali, nessun atto formale o informale di questa Giunta autorizzerebbe a tutt'oggi l'ipotesi di determinazioni ufficiose pre-concordate con enti e organismi locali territoriali, intorno alla localizzazione nucleare.
Si coglie pertanto l'occasione per ribadire che la notizia relativa all'avvenuta individuazione del sito è priva di qualsiasi fondamento; tale atto sarebbe peraltro illegittimo, visti i disposti di legge, e prevaricatore degli interessi delle istituzioni locali e dei programmi di sviluppo di cui queste si sono dotate.
Per quanto riguarda i dibattiti avvenuti nel vercellese nell'alessandrino e in particolare a Casale, il dialogo tra amministratori ed esperti dimostra come la comprensione di cui spesso si è parlato, altro non è che un profondo senso di responsabilità e partecipazione al dialogo e al confronto che conferma la volontà di approfondire il problema nucleare di affrontare quesiti e problemi tecnicamente risolvibili.
E' questa, quindi, la manifestazione di un atteggiamento di seria disponibilità a valutare il problema dell'insediamento nucleare in Piemonte così rimuovendo, se mai ce ne fossero stati, rifiuti pregiudiziali e allarmismi immotivati che certo non fanno parte del patrimonio culturale della comunità regionale, sensibile ai problemi del territorio e del paese intero.
Alla disponibilità seria e concreta, che chiediamo sia dimostrata dagli Enti locali territoriali, unici e legittimi interlocutori del Comitato misto, la Regione vuole unire le espressioni migliori delle forze scientifiche piemontesi, soprattutto all'interno del Politecnico di Torino della Facoltà di architettura, dell'Università degli studi, coinvolgendo nel contempo sul piano della verifica tecnica, enti e organismi territoriali direttamente interessati, unitamente alle Province, ai Comprensori, alle USL.
Il contributo tecnico degli enti centrali presenti nel Comitato misto e delle forze scientifiche piemontesi dovrà essere finalizzato alla risoluzione di particolari problemi, nel rispetto delle diverse competenze già enunciati nel documento approvato dalla Giunta.
I problemi da affrontare e le richieste al governo.
La realizzazione di una centrale elettronucleare rappresenta per il Piemonte anche un'occasione per il rilancio dello sviluppo socio-economico in dipendenza dei rilevanti investimenti necessari alla sua costruzione.
L'entità degli investimenti potrebbe essere ulteriormente incrementata se l'ENEL realizzasse contemporaneamente anche altri impianti di riqualificazione e/o produzione di energia con particolare riferimento al settore idroelettrico, provvedendo inoltre al riassetto di quei bacini idrografici rilevanti sotto il profilo della potenzialità idroelettrica.
Il programma per la realizzazione di una centrale di potenza costituita da due gruppi di 1000 MW ciascuno, comporta una spesa di oltre 2000 miliardi ai quali vanno aggiunti altri 1000 miliardi circa per la costruzione parallela di altri impianti interessanti il settore idroelettrico, nonché per la realizzazione delle infrastrutture necessarie.
Il tutto potrà essere realizzato in un arco di tempo di 8-10 anni.
Per l'attuazione di tali opere dovranno essere coinvolte al massimo livello le forze produttive e di lavoro regionali.
L'industria piemontese, infatti, potrà partecipare in modo massiccio alla costruzione degli impianti, attivandosi nei settori relativi alle opere civili, alla componentistica, alla carpenteria, alle apparecchiature convenzionali e certamente persino all'isola nucleare.
Pertanto, il coinvolgimento delle forze produttive piemontesi dovrà rappresentare anche, come già affermato, l'occasione per una riqualificazione delle strutture, allargando le loro capacità produttive in una visione realistica degli spazi di mercato nazionale ed estero che tale esperienza può ingenerare.
La realizzazione dell'impianto, inoltre, determina nell'area interessata un indotto diretto sia durante l'attività cantieristica che dopo, variamente articolato e rappresentato dalle infrastrutture di cantiere, dai servizi sociali e sanitari, dagli insediamenti abitativi dalle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, e da altri servizi più in generale collegati ai problemi di trasporto e viabilità, nonché agli strumenti per il controllo dell'ambiente.
E' necessario, quindi, che l'insediamento rientri in un più ampio piano di sviluppo integrato del territorio, massimizzando gli effetti positivi e le ricadute economiche, e attenuando, nel contempo gli effetti negativi soprattutto quelli di una possibile tensione inflattiva.
L'alto contenuto tecnologico degli interventi impone anche la necessità di creare appositi quadri produttivi specializzati, mediante la qualificazione professionale di personale che possa trovare utilmente impiego, e consolidarlo, nelle operazioni derivanti sia dall'indotto temporaneo diretto che da quello indiretto ma permanente.
Considerando infine, che saranno necessariamente coinvolti numerosi enti ed organismi pubblici e privati, nelle loro più diverse articolazioni è auspicabile che venga affidato alla Regione il coordinamento dell'attuazione dell'intero piano settoriale nucleare, affinché, attraverso un riferimento territoriale ed istituzionale unico,possa essere esercitata un'azione di indirizzo e di controllo snella e razionale. Ai problemi dell'indotto e dell'impatto socio-economico più generale vanno aggiunti i riflessi sull'ambiente e l'ipoteca d'uso del territorio ospitante l'insediamento nucleare.
La realizzazione di un impianto nucleare elettroproduttivo su di un bacino fluviale comporta necessariamente un'interferenza con l'ecosistema del bacino medesimo, richiedendo una portata idrica adeguata all'attività della centrale.
Come già emerso durante i lavori delle specifiche Commissioni attivate nella seconda legislatura, nel territorio del Piemonte, i possibili siti deputabili all'insediamento di un impianto elettro-termonucleare e che dispongono naturalmente, o con opportune e modeste integrazioni, di portate minime necessarie sono da ricercare lungo l'asta fluviale del Po, a valle della confluenza della Dora Baltea.
Considerando poi altri fattori condizionanti la scelta dell'area insediativa, le zone si riducono a due, già precedentemente definite come Po 1 nel Vercellese, e Po 2 nell'Alessandrino, riportate nell'appendice A del nuovo P.E.N.
Dalle indagini, sia pure approssimate, effettuate nel recente passato si può ammettere ragionevolmente che nell'area Po 2 la disponibilità di acqua nella misura sufficiente può essere assicurata naturalmente, salve rare eccezioni, mentre nell'area Po 1, per diversi giorni all'anno dovrà 'necessariamente essere integrata.
In tal caso, data la particolare conformazione della rete idrica del Piemonte, sia naturale che artificiale, l'integrazione non presenta eccessive difficoltà di ordine tecnico.
Si può pensare, per esempio, ad una diversa regolazione dei bacini idroelettrici, ubicati a monte, sia in Piemonte che in Val d'Aosta, oppure alla creazione di opportuni e idonei invasi, finalizzati al sopperimento delle eventuali carenze idriche.
In ogni caso la realizzazione di una centrale di potenza, qualunque sia l'area prescelta, non dovrà creare turbative di rilievo nel tessuto socio economico e produttivo dell'area medesima.
A tale scopo dovrà essere effettuato uno studio che determini le modalità di approvvigionamento idrico della centrale e di smaltimento del calore residuo, anche tenendo conto delle necessità legate a motivi di sicurezza e alle esigenze di esercizio dell'impianto.
Le soluzioni tecniche non dovranno incidere negativamente sulle attuali disponibilità irrigue.
Parallelamente dovranno essere studiati gli interventi che la Regione richiederà per migliorare le attuali disponibilità idriche qualora l'impianto venisse ubicato in zone che necessitino di grossi quantitativi d'acqua per irrigazione.
Tali problemi sono già stati evidenziati in tutto il loro spessore in sede di Comitato misto, impegnando l'ENEL a fornire tempestivamente informative tecniche e proposte concrete e realizzabili, da discutersi con le comunità e le organizzazioni direttamente interessate.
In ordine ai problemi relativi alla sicurezza e alla salvaguardia dell'ambiente, pur riconoscendo il ruolo e le funzioni istituzionali di controllo in merito alla sicurezza nucleare, alla protezione sanitaria, ai relativi giudizi di adeguatezza, responsabilità esclusiva del CNEN-DISP, si ritiene indispensabile richiedere comunque serie garanzie e livelli standard di sicurezza adeguati alle normative Cee in materia, migliorando la normativa italiana e i criteri di progetto e costruzione che già risultano essere più restrittivi di quelli adottati in altri paesi, come la Francia, che nonostante ciò, detiene un "parco" nucleare tra i più grandi e meglio attrezzati del mondo.
Il problema della sicurezza degli impianti nucleari di potenza, già ampiamente trattato nell'ambito della Conferenza di Venezia, è particolarmente sentito dalla Regione Piemonte, sensibile alla tutela dell'incolumità e della salute della popolazione. Adeguate garanzie dovranno pertanto essere date dagli enti istituzionalmente preposti in ogni fase della progettazione, realizzazione ed esercizio dell'impianto rispettando l'applicazione degli standard nazionali ed internazionali in materia di sicurezza e protezione.
Sul piano della prevenzione, è necessario che la componentistica, i sistemi ed i servizi delle centrali di potenza, rilevanti ai fini della sicurezza, soddisfino i criteri di progetto e costruzione finalizzati alla riduzione delle probabilità e delle conseguenze di qualsiasi tipo di incidente, "interno" o "esterno" all'impianto.
In sede di progettazione devono essere considerati tutti i possibili eventi causati da attività umane di carattere eccezionale e tutti gli eventi esterni naturali quali sismi, inondazioni e trombe d'aria.
In secondo luogo, in fase di esercizio di centrale, uno degli obiettivi fondamentali della sicurezza è quello di garantire sempre il mantenimento dell'integrità di tutte le "barriere" e, a fronte di situazioni eccezionali, limitare le conseguenze di qualsiasi perdita mantenendo l'integrità del maggior numero delle barriere medesime.
Per fare ciò è essenziale l'adozione di sistemi di controllo e protezione che arrestino tempestivamente e automaticamente l'impianto rimuovendo il calore residuo sia in fase di arresto programmato durante il funzionamento normale, sia per l'arresto rapido in caso di incidente attraverso il raffreddamento d'emergenza del nocciolo, e facciano fronte a qualsiasi altra anomalia di funzionamento.
Per ciò che riguarda i riflessi ecologici degli impianti di potenza essi determinano sul territorio un limitato impatto ambientale e sanitario attraverso una modestissima immissione nell'ambiente di effluenti e rifiuti radioattivi, il riscaldamento di acque e/o aria, il lavoro di costruzione dell'impianto e l'installazione di grandi elettrodotti, con conseguente ipoteca d'uso del territorio.
Quest'ultimo, inteso come impatto non radiologico, impone che rilevanti opere suscettibili di comportare alterazioni all'ambiente debbano essere sottoposte ad un esame preventivo di impatto ambientale globale quindi di tipo ecologico, territoriale, socio-economico, estetico, che richiede la valutazione di possibili alternative atte a minimizzare le conseguenze nei riguardi dell'ambiente.
Sul piano dell'impatto radiologico devono essere predeterminate e concesse solide garanzie finalizzate al controllo preventivo e all'abbattimento dell'eventuale inquinamento radiologico e delle sue cause.
Parallelamente si richiede di conoscere se esiste un programma per la gestione delle scorie radioattive e in quale misura il Piemonte sarebbe interessato alla risoluzione di tale problema; in particolare si desidera sapere quali organismi oggi in Italia possiedono tecnologie di trattamento e di smaltimento altamente affidabili e se esistono enti appositi, quali la Nucleo (CNEN-AGIP nucleare) di recentissima istituzione, a cui partecipano gli enti energetici di Stato.
La possibilità di attivare apposite strutture locali di controllo e adeguati strumenti di informazione, può, senza dubbio, tranquillizzare le comunità locali e costruire il consenso intorno alle scelte energetiche centrali: Occorrerà quindi individuare metodi e strumenti che saranno disciplinati, così come in parte già avviene per alcune nuove realizzazioni elettroproduttive, attraverso apposite forme convenzionate d'intesa tra la comunità locale interessata e l'ENEL, che rispettino alcuni indirizzi fondamentali e irrinunciabili.
Sul piano operativo si ricorda che le sollecitazioni termiche dell'ecosistema indotte dal funzionamento di una centrale nucleare devono essere contenute entro precisi limiti definiti da rigorose norme di legge anche con riferimento alla legge n. 319 del 10 maggio 1976 e alle modalità di scarico ivi contenute, comparando i limiti previsti dalla medesima con l'effettivo impatto ambientale; in questo campo sarebbe particolarmente interessante verificare la possibilità di utilizzo del calore disperso per scopi multipli (serre, acquicoltura, teleriscaldamento).
Le garanzie sul controllo finalizzato all'assenza dell'inquinamento radiologico devono essere ottenute attraverso l'esecuzione dei controlli preoperativi, con campagne di misura sull'ambiente vegetale, animale e umano. Nel contempo si richiede la realizzazione di una rete di sorveglianza estesa e ultrasensibile collocata all'interno e all'esterno dell'area dell'impianto, finalizzata al rilevamento dati, al controllo e all'allarme per condizioni di esercizio al di fuori della normalità estendendo il riferimento normativo concernente le "zone controllate" e le "zone sorvegliate" a zone limitrofe più estese ed adiacenti all'insediamento nucleare. In ultimo l'esecuzione di campagne sperimentali per accertare l'assenza di situazioni anormali e/o Impreviste, unitamente alla pianificazione di campagne radioecologiche periodiche, almeno annuali sul territorio circostante l'insediamento nucleare, risultano essere le azioni irrinunciabili per garantire un effettivo controllo di qualsiasi modificazione dell'ambiente naturale.
Sul piano informativo è poi necessario garantire l'acquisizione, da parte della Comunità locale, degli studi e dei rilevamenti sulla caratterizzazione dell'ambiente, sulla sua ricettività e sulla rispondenza degli scarichi, di qualsiasi natura essi siano, con le, normative vigenti nel campo della protezione ambientale, unitamente alle informazioni relative allo stato globale delle emissioni e a tutti quei fattori concernenti l'esercizio e la gestione dell'impianto che possono avere rilevanza dal punto di vista della sicurezza nucleare, nonché della protezione sanitaria e ambientale.
L'informazione e la partecipazione delle Comunità locali intorno ai problemi della scelta nucleare rappresentano un atto necessario e irrinunciabile onde poter affrontare consapevolmente e responsabilmente i problemi della crisi energetica e risolvere con serenità di giudizio tutte le eventuali perplessità relative alle situazioni di rischio e di vulnerabilità tecnologica.
Le considerazioni della Commissione consultiva per la Sicurezza Nucleare relative ai più recenti insediamenti nucleo-termoelettrici italiani e le conclusioni della Conferenza di Venezia del gennaio 1980 confermano come sia indispensabile che la partecipazione alla formulazione gestione e aggiornamento dei piani di emergenza esterna, previsti al Capo X del D.P.R. 185/1964, sia allargata alle amministrazioni locali interessate così concretizzando quel legittimo diritto all'informazione e al coinvolgimento attivo Che, anche se non viene espressamente previsto nella normativa vigente, non viene comunque neppure escluso.
Ma una precisa assunzione di responsabilità dei livelli istituzionali locali e il conseguimento di un ruolo partecipativo alla pianificazione delle emergenze, non può prescindere dall'attivazione di iniziative e programmi opportunamente dotati di mezzi, risorse tecniche e professionali finalizzate al controllo e alla sorveglianza ambientale del territorio.
E' necessario, pertanto, che i piani di emergenza, proprio perch intesi come atti di prudente programmazione che coinvolgono le Comunità locali, vengano formulati e gestiti dai rappresentanti di quegli enti espressi anche nelle loro articolazioni territoriali, che hanno titolo o interesse, e rispondano ai seguenti requisiti: unicità di direzione automaticità delle procedure, tempestività di intervento, adeguatezza di mezzi, personale e altre risorse.
Una corretta pianificazione delle emergenze non può prescindere per dalla risoluzione di alcuni nodi e, quindi, dalla seria considerazione di precisi atti propedeutici tra i quali i più importanti sembrano essere la mappatura differenziata del potenziale rischio radiologico e calcolo probabilistico di modi e tempi d'inquinamento attraverso i vettori acqua e aria, e la risoluzione dei problemi di trasporto e viabilità nel territorio interessato dal rischio potenziale di emergenza nucleare esterna, per lo snellimento di tutte le procedure di pronto intervento non escluse quelle relative a interventi di evacuazione delle popolazioni a fronte di gravi incidenti.
Dovranno inoltre essere potenziate le attrezzature dei presidi sanitari territoriali con particolare riferimento agli Ospedali e ai Servizi di fisica sanitaria attraverso il completamento e la nuova dotazione di apparecchiature e sistemi per la rilevazione delle radiocontaminazioni attivando nel contempo un Centro di coordinamento radiometrico come supporto tecnico-sanitario ai Comitati provinciali per l'emergenza.
In ultimo sarà essenziale realizzare un adeguato programma formativo informativo rivolgo ai soggetti potenzialmente esposti al rischio radiologico (dalla scuola alla comunità in senso lato) e predisporre atti codici comportamentali, manuali di pronto intervento in grado di "allarmare" o "preallarmare" correttamente le popolazioni per favorire l'opera di pronto intervento.
L'aumento, del grado di consapevolezza e responsabilità ed il conseguente raggiungimento, di una serena partecipazione al processo di diversificazione delle scelte energetiche, che il PEN ha sancito, così come richiesto dalle Regioni, non possono prescindere dal possesso di un più ampio ventaglio di informazioni e dati, la cui organizzazione e gestione localizzata in un apposito centro, deve anche essere vista come articolazione territoriale delle politiche regionali in materia di energia ambiente.
L'istituzione di un Centro di informazione permanente, dovrà principalmente servire a trasferire alla Comunità locale interessata dall'impianto nucleare tutte le informazioni relative all'intero ciclo di vita dell'impianto medesimo, ai problemi della sicurezza, della protezione dell'ambiente, inserite in una cornice più ampia che deve trovare nell'ambiente e nell'energia il suo riferimento costante e prioritario.
La sua impostazione generale dovrà essere finalizzata alla trasmissione di messaggi al visitatore sotto forma di plastici, modelli, documenti pannelli, sussidi filmici e audiovisivi, collegamenti con banche dati, ecc.
Le informazioni dovranno riguardare i temi riferiti all'ambiente e all'energia, con particolare riguardo, in questo caso, alla tecnologia nucleare di produzione elettrica, e più precisamente: a) al quadro Complessivo dell'energia in relazione alle sue fonti e alle sue risoluzioni tecnologiche, con particolare riferimento ad azioni e processi relativi all'uso razionale dell'energia e al risparmio delle medesime b) alle risorse energetiche del Piemonte, articolate per settori c) l'energia elettrica e la tecnologia nucleare di produzione d) il ciclo nucleare, la sicurezza e la protezione dell'ambiente, la radioprotezione dei lavoratori e) monografia sul Comune interessato dall'insediamento nucleare e realizzazione di plastici e modelli descrittivi rappresentativi f) la pianificazione delle emergenze e relativi manuali contenenti i codici di comportamento e le procedure di pronto intervento a fronte di situazioni di rischio.
Considerata l'importanza della materia e l'assenza, sul territorio, di adeguati strumenti e sussidi informativi e documentali, si richiede anche la pronta attivazione di un Centro di documentazione da collocarsi lontano dai grandi impianti elettroproduttivi, ma realizzato presso città, magari capoluoghi di provincia, dove maggiormente è sentito il problema energetico e dove questo assume connotazione particolarmente significativa, così come già viene programmato per città quali Brindisi, Piacenza, Viterbo.
I problemi fin qui esposti sono certamente molti, variamente articolati, e chiamano in causa le competenze tecniche e istituzionali più diverse che possono giustamente essere ricondotte in un quadro di riferimento istituzionale unico e preciso.
Nell'intera operazione nucleare gli organismi centrali, ENEL e CNEN, e quelli scientifici e universitari devono raggiungere la consapevolezza che gli Enti locali sono l'espressione decentrata dello Stato e quindi la sua articolazione più vicina alla popolazione e che pertanto le espressioni centrali dello Stato devono trovare una nuova dimensione nel rapporto con le autonomie locali, le popolazioni e gli istituti rappresentativi.
La comunità regionale ha già dato prova di sentirsi articolazione viva dello Stato, respingendo ogni ipotesi di programmi regionali "autarchici" chiusi, secondo una visione localistica dei problemi, alle esigenze generali del Paese.
E come articolazione dello Stato, la Regione e i Comuni non possono accettare serenamente l'ipotesi di qualsiasi provvedimento sostitutivo centrale, soprattutto in una materia che li vede unici interlocutori istituzionali del Governo.
Ecco perché è necessario che il Comitato misto esprima al più presto le proprie determinazioni, avvalendosi, in sede di consultazione, della componente istituzionale del Comitato stesso e dell'assistenza tecnica e permanente degli enti centrali e del Governo, unitamente alle Università piemontesi, accelerando le procedure che possono permettere, in via preliminare, l'avvio dei sondaggi di idoneità tecnica delle aree, perché il Comitato regionale possa decidere in materia.
Soltanto in questo senso e secondo questi principi la Regione pu essere il riferimento istituzionale unico e indissolubile degli interessi locali e nazionali, così configurandosi come momento di garanzia ed esercitando quel ruolo di governo che le è proprio.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Petrini.



PETRINI Luigi

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, l'emergenza energetica nella quale è immerso tutto l'occidente, ma il nostro Paese in particolare, le indicazioni del piano energetico nazionale che ci impegnano direttamente come Regione in scelte non facili, ma non più rinviabili, pongono all'ordine del giorno dei nostri lavori, come ricordava l'assessore Salerno, tutta la questione energetica in tutti i suoi aspetti e all'interno di essa, come primo urgente adempimento, l'individuazione delle aree suscettibili di Localizzazione di impianti termonucleari, tenendo presente che il piano energetico nazionale stesso "assegna" alla nostra Regione una centrale nucleare con due unità standard, già riferendosi a due possibili aree lungo il corso del Po.
In queste condizioni, ritengo che nostro dovere sia quello di esprimere un giudizio meditato e motivato, allargando nella misura massima possibile la consultazione e basando il nostro convincimento finale su tutte le analisi e gli approfondimenti che si renderanno necessari. Importante è però che si dia efficienza al processo decisionale, che si riesca a passare dal consenso di ordine generale a delle concrete assunzioni di responsabilità a tutti i livelli, per tutte le decisioni che ci competono.
E' nostro dovere, in altre parole, sentire tutti e tenere conto di opinioni e pareri comunque espressi. Ma non deve essere il singolo interesse a determinarci nella nostra scelta, bensì l'interesse generale della comunità regionale, alla quale dobbiamo rispondere in termini di garanzia ambientale e di qualità della vita, ma anche di sviluppo economico, allo stesso tempo.
Ci sembra essenziale, per definire i termini generali del "nodo energetico" che il nostro Paese ha di fronte, citare subito il piano energetico nazionale, quando parla di "una nuova transizione del sistema energetico mondiale", transizione dal petrolio, iniziata nel 1973 in seguito al primo forte aumento del prezzo reale del greggio. "L'uscita dal petrolio è determinata ancora una volta, si legge, nel piano, dalla convenienza del costo delle fonti alternative del petrolio: soprattutto nucleare, carbone e dalla loro maggiore disponibilità, anche se le caratteristiche di impiego delle nuovi fonti di energia si presentano più complesse. E' probabile che, a conclusione della nuova transizione, si possa avere una sostituzione della funzione dominante del petrolio con una funzione equilibrata tra più fonti di energia". Si tratta, in sostanza, di passare da sistemi fondati sull'egemonia petrolifera a sistemi dotati di un relativo pluralismo energetico.
Le crisi petrolifere del 1973/74 e del 1979/80 (con il prezzo reale del petrolio quadruplicato durante la prima crisi e raddoppiato durante la seconda) ha sconvolto profondamente tutti i termini dell'economia mondiale (prezzi, reddito, occupazione, bilancia dei pagamenti) ma particolarmente quelli dell'economia italiana, la cui critica situazione in materia energetica viene efficacemente sintetizzata così nel piano energetico nazionale: i consumi energetici globali sviluppatisi negli ultimi 25 anni ad un tasso medio del 6,7 per cento passano dai 29,3 Mtep (milioni di tonnellate equivalente petrolio) del 1955 ai 146,9 del 1980 la dipendenza energetica dalle importazioni è pari all'82,7 per cento (petrolio 58 %, carbone 85 %, gas metano 55 %) seconda, fra paesi maggiormente industrializzati soltanto al Giappone il petrolio copre il 67 per cento del fabbisogno di energia, contro il 55 per cento della media CEE e il 51 per cento della media OCSE l'importazione petrolifera grava pesantemente sulla bilancia commerciale (per 10,5 miliardi di dollari nel 1979, per 19,3 nel 1980, per 24,4 nelle stime 1981) e concorre in misura preponderante a determinare il saldo negativo.
In queste condizioni - dove importare petrolio è anche importare inflazione - le scelte del piano energetico nazionale ci sembrano irrinunciabili e va pertanto posto celermente mano alla loro realizzazione dando un'efficienza maggiore del passato al pure articolato, complesso e democratico processo decisionale che, presiede alle scelte in campo energetico.
E' il caso di sottolineare peraltro subito che piano energetico non vuol dire solo e semplicemente piano nucleare. Ci sono altre fonti energetiche alternative, anzi intendendo il piano agire sia sull'offerta di energia (diversificando le fonti e innovando i processi produttivi) sia sulla domanda di energia, si viene ad affermare anche, come ben si è detto anche dal nostro gruppo nel precedente dibattito, che il risparmio energetico è una delle principali fonti di energia.
E' proprio la composizione del nostro bilancio energetico, con l'ancora preponderante peso del petrolio, a rendere l'energia prodotta in Italia più costosa che altrove e pertanto a gravare maggiormente, sui costi delle imprese, indebolendo la cosiddetta efficienza energetica dei processi produttivi delle nostre industrie e pertanto la nostra competitività internazionale.
Per fissare qualche dato in materia e riferendoci a dati ricavati dall'esperienza francese si può dire che il rapporto dei costi del Kwh (chilowattora) nucleare rispetto a quello prodotto da carbone e da petrolio è schematicamente e rispettivamente da uno a due nei confronti del carbone e da uno a tre nei confronti del petrolio.
Con riferimento alla nostra Regione, si legge allora in una ricerca di Federpiemonte: "Un sistema di costi-prezzi dell'energia elettrica basato sull'olio combustibile potrebbe tradursi in un forte vincolo allo sviluppo stesso dell'industria piemontese, dove, è pur sempre significativa la presenza di settori ad intensità elettrica elevata.
Inoltre un pesante sistema di costi-prezzi elettrici potrebbe compromettere la riorganizzazione e la modernizzazione di quei cicli produttivi che comportano un maggior ricorso all'energia elettrica, e una sua crescita di incidenza sul bilancio energetico complessivo dell'industria manifatturiera. E' perciò interesse dell'industria - si conclude nella ricerca in esame - proporre una politica elettrica di diversificazione dal petrolio".
Con il piano energetico nazionale si intende rimediare, almeno in parte, a tali squilibri energetici e ai ritardi che hanno fatto sì che l'Italia sia il paese europeo che nell'ultimo decennio e quindi in piena bufera petrolifera, ha meno modificato la struttura del proprio bilancio energetico. Il peso del petrolio come fonte primaria sul totale degli approvvigionamenti energetici nazionali dovrebbe scendere dal 67,2 per cento del 1980 al 63,9 per cento del 1985 al 51,0 per cento del 1990. Un lieve indebolimento (dal 7,6 al 6,4 al 6,3 per cento negli anni considerati) dovrebbe subire il peso dell'energia idroelettrica, mentre si incrementerebbero tutte le altre fonti, specialmente i combustibili solidi (dall'8,5 al 10,7 al 18,4 per cento) e, ma in termini contenuti, il nucleare (dallo 0,3 all'1,2 al 4,3 per cento).
Non è fuori luogo accennare a qualche dato di paesi esteri specialmente della Francia che ha localizzato in prossimità del nostro Paese (e del Piemonte) un grosso potenziale di centrali termonucleari. In Francia il bilancio dei consumi energetici al 1981 è così articolato per fonti energetiche (composizione percentuale): Petrolio 49,7 Carbone 17,7 Gas 13 Nucleare 10,3 Idraulica 7,9 Energie nuove 1,8 Al 1990 il petrolio dovrebbe scendere a un peso del 28-33 per cento (programmi del vecchio governo Barre e programmi del governo Mauroy) mentre il nucleare salirebbe al 26-30 per cento (programmi del vecchio e del nuovo governo). Il carbone ridurrebbe, ma di poco, il suo peso nel bilancio energetico totale della Francia.
Il quadro energetico del settore termonucleare (in termini di potenza installata) mette poi in evidenza il seguente quadro (al luglio 1981): Nazioni Numero Potenza impianti (MWe lordi) Francia 29 21.784,0 Gran Bretagna 18 9.011,8 Germania Federale 11 8.996,3 Svezia 9 6.710,0 Finlandia 4 2.296,0 Spagna 4 2.047,4 Svizzera 4 2.034,0 Italia 4 1.450,0 Vediamo, a questo punto, qualche dato sulla situazione energetica della nostra regione (basandoci sugli studi dello IEFE /Istituto di Economia delle Fonti di Energia, presso la "Bocconi" di Milano) condotti per conto di Federpiemonte e Unioncamere del Piemonte. Cominciamo ricordando che il deficit elettrico piemontese, misurato dalla differenza tra l'energia elettrica prodotta in regione e la domanda di energia è ormai cronico e comunque costante nell'ultimo decennio e nel 1980 ha raggiunto il 47,7 per cento del fabbisogno (nel 1980 la produzione netta destinata al consumo è stata in Piemonte pari a 9.543 Gwh, mentre l'energia richiesta è stata pari a 18.249 Gwh (G = giga - Wh = miliardi di watt/ora) contro, ad esempio, il 26,7 per cento della Lombardia. Il consumo elettrico piemontese pro capite del 1978 è sensibilmente superiore alla media nazionale (+33 %), ma è anche inferiore (-4 %) a quello della vicina Lombardia.
Va comunque messo in luce che ogni abitante piemontese dispone di una minore potenza termoelettrica sia rispetto alla media nazionale come rispetto alla media lombarda e, afferma l'indagine IEFE, "quantunque la presenza di consistenti disponibilità idriche renda possibile anche in futuro di dotare la Regione di un pro-capite termoelettrico inferiore a quello nazionale, la colmatura del deficit elettrico regionale non può che venire da altre fonti, diverse dall'idroelettrico".
La ricerca IEFE effettua delle stime al 1990 del fabbisogno di energia in Piemonte (secondo uno "scenario intermedio", il consumo finale di energia salirebbe tra il 1978 e il 1990 da 9,5 a 12,1 milioni di TEP) e applicando i traguardi nazionali al Piemonte, prospetta, in particolare una riduzione del peso del petrolio dal 66,4 al 50,0 per cento, un incremento dal 2,4 al 12,3 per cento del peso dei combustibili solidi, dal 16,8 al 19,8 per cento del gas naturale, dal 4,0 all'8,4 per cento del nucleare, dallo 0 all'1,0 per cento delle energie rinnovabili, mentre il peso dell'idroelettrico scenderebbe dal 10,4 all'8,5 per cento.
Questa è peraltro una strategia che comporta: a) un aumento dell'offerta di gas metano da parte della SNAM tale da consentire il raggiungimento di una quota vicina al 20 % della copertura dei fabbisogni b) il perseguimento di tutte le possibili iniziative giustificabili nel campo dell'approvvigionamento idroelettrico c) lo sviluppo del contributo energetico delle fonti nucleari e carbone d) uno sviluppo delle altre fonti rinnovabili.
Come si vede, anche in questa strategia, non c'è una marcata opposizione per il nucleare nel nostro domani, se viene posta una particolare enfasi nello stesso campo dell'energia idroelettrica. E andrebbero qui ricordate anche le analisi e le proposte di Federpiemonte in materia di ripristino e ristrutturazione di piccole centrali, ma il tempo non ce lo consente.
Il piano energetico nazionale, nell'"appendice A" dedicata alle opzioni per l'insediamento di centrali termoelettriche a carbone e nucleari, dopo avere affermato che la scelta di alcuni siti si impone entro la fine del 1981 (ma siamo già nel 1982, ben avviato!), formula per il Piemonte l'indicazione di due centrali: a) centrale termoelettrica a carbone con due unità da 300 MW ciascuna a Chivasso b) centrale nucleare con due unità standard in una delle due località già individuate lungo il corso del Po.
Se il piano energetico nazionale parla, per il Piemonte, di due aree già individuate per possibili insediamenti termonucleari (il che non significa: aree già decise) è perché il dibattito sul nucleare da noi non parte da zero, ma, quanto meno, dalle prime conclusioni della Commissione scientifico-tecnica costituita dalla Giunta regionale in data 26.10.1976 Commissione che, attraverso i suoi lavori, sceglieva all'interno della rosa di otto siti preliminarmente segnalati dal CNEN nella primavera dello stesso anno, e indicava, in via di massima e fatti salvi parecchi approfondimenti da compiere, le aree "Po 1" e "Po 2", rispettivamente ubicate in prossimità di Trino e di Filippona (comune di Alessandria).
Già questa indicazione di larga massima non era stata pacifica, visto ad esempio, che il coordinatore della Commissione prof. Sergio Bertuglia rassegnava delle conclusioni a parte, visto che per l'area "Po 1" si richiedeva chiaramente, fin d'allora (e lo ricorda anche il recente documento della Giunta regionale in data 15.1.1982), la garanzia della presenza, nel Po, "di una portata adeguata al contemporaneo esercizio di una centrale da 2000 Mwe e della esistente centrale nucleare Enrico Fermi" visto che si indicavano numerosi studi di ulteriore approfondimento, tutti proprio di non poco conto, da quelli socioeconomici, a quelli geotecnici e idrogeologici, a quelli meteorologici e climatologici, ecc.
Se il dibattito sul nucleare, nella nostra Regione, non riparte da zero, si tratta innanzitutto di esaminare criticamente, ma anche obiettivamente e serenamente, il percorso di analisi che si è fin qui seguito, distinguendo bene le fasi del nostro lavoro. E' urgente individuare o confermare due aree e, insieme, definire i criteri di ricerca e di approfondimento, di precisazione delle garanzie da mettere in atto relativamente alla seconda fase, quella della più impegnativa scelta della localizzazione della centrale. L'urgenza è soprattutto in relazione al fatto che, in base alla legge 2 agosto 1975 n. 393 e ai poteri sostitutivi attribuiti da essa al Ministro dell'industria di concerto con il Ministro del bilancio e della programmazione, se non decidiamo noi, d'intesa con i Comuni entro il giorno 8 giugno 1982, decideranno altri, sulle teste nostre e delle popolazioni interessate e questo chiaramente noi non lo desideriamo! Tutta la seconda legislatura regionale è stata, ad ogni buon conto, un lungo dibattito sugli insediamenti nucleari in Regione, anche se, forse perché non eravamo ancora giunti alla stretta finale (come ora), la consultazione è avvenuta in modo frammentario e disorganico, è servita più a suscitare e raccogliere dubbi, che a sentire osservazioni e pareri, onde fornire risposte tempestive e/o avviare approfondimenti e ricerche per fornire tali risposte. Si è trattato comunque di un lavoro utile e proficuo, che, al di là di certi polveroni, ci ha anche messi di fronte a una ricca gamma di valutazioni e di problemi non emersi in sede di Commissione tecnico-scientifica. Si dovrà anche partire, nei lavori che ci attendono in queste settimane, da una ricognizione puntuale di tutti gli spunti, le critiche, le osservazioni, le richieste di dati e di approfondimenti, come anche da una attenta considerazione della documentazione acquisita sia durante la consultazione, sia in sede di conferenza regionale sull'energia (ottobre '79).
L'impegno immediato che ci attende è quello di giungere in tempi brevi a un primo provvedimento deliberativo del Consiglio regionale per l'indicazione preliminare di due aree, onde attivare su tale provvedimento le consultazioni e le delibere dei Comuni interessati, nonché i pareri di enti e ministeri previsti. Solo successivamente, entro il prossimo 8 giugno, il Consiglio regionale dovrà pervenire ad una deliberazione definitiva riguardante le aree da trasmettere al Ministro dell'industria.
Mi sembra che le necessarie linee guida per questi nostri lavori siano state efficacemente e sinteticamente fissate dal voto del Consiglio regionale del 18 marzo 1981. Ricordiamoci che questo voto approvava gli indirizzi sostanziali contenuti nella bozza di piano energetico nazionale ma, in relazione agli insediamenti nucleari, richiamava "condizioni determinanti e irrinunciabili in relazione alla sicurezza degli impianti alla protezione sanitaria, alla capacità di pronto intervento in casi di emergenza, all'informazione delle comunità interessate, nonché agli impegni di natura economica finalizzati ai miglioramenti ambientali e sociali". Si impegnava infine la Giunta "ad aprire un confronto globale con il Governo avente per oggetto tutti i temi e le questioni che compongono il quadro complessivo delle politiche da avviare in Piemonte per affrontare a livello adeguato la questione energetica (energie rinnovabili, risparmio, centrali idroelettriche, teleriscaldamento, uso plurimo delle acque, recupero centratine, centrale di Chivasso, nodo nucleare) al fine di garantire alla Regione una effettiva partecipazione a questi processi attraverso il riconoscimento di specifiche competenze regionali".
Se quanto esposto è il corretto iter dei nostri lavori, è già possibile, fin d'ora, aggiungere agli indirizzi di carattere generale prima ricordati, delle prime valutazioni e considerazioni. Una nuova grossa centrale nucleare modifica la realtà regionale, al di là della correzione (parziale) dello squilibrio energetico regionale. C'è un impatto su una relativamente ridotta area territoriale (ma anche qui i raggi di possibile influenza sono molto ampi) e questo andrà attentamente studiato e valutato con indagini localizzative quali finora non sono state condotte, tanto a livello regionale quanto a livello locale-comprensoriale. Ma c'è anche un più generale effetto di interrelazione con tutto il sistema economico regionale (e anche di Regioni vicine), che merita altrettanta attenzione.
Sotto il primo profilo (impatto su un'area relativamente ridotta di territorio) tutta la tematica delle garanzie ambientali e della sicurezza andrà accompagnata da un vero e proprio piano (socio-economico e territoriale) della zona che sarà interessata dall'insediamento. Questo piano è necessario particolarmente perché nei diversi schemi di piani comprensoriali interessati dalle aree "indiziate" per l'insediamento in esame di questo non c'è traccia o previsione alcuna. E' a questo livello territoriale che andrà,tra l'altro, sviluppato il discorso specifico dell'agricoltura (eventualmente nei termini di un vero e proprio piano di zona agricolo), con precise analisi costi-benefici, con precise e certe indagini sui rifornimenti idrici da assicurare comunque agli usi agricoli.
Ritorneremo più avanti sugli aspetti zonali, quando si tratterà delle garanzie ambientali e di sicurezza relativamente alle zone direttamente o indirettamente coinvolte dal prospettato insediamento nucleare.
Per quanto riguarda le più generali interrelazioni con il sistema economico regionale nel complesso vanno considerati aspetti come i seguenti principali: a) la centrale come occasione di lavoro per le imprese e la manodopera della nostra Regione b) l'induzione di sviluppi tecnologici industriali e anche di attività nel terziario avanzato da parte di insediamenti del tipo centrale termonucleare.
Sotto il primo profilo deve essere chiaro che la prevista costruzione di una centrale termonucleare in Piemonte deve rappresentare un'effettiva occasione di lavoro e di sviluppo per le industrie piemontesi che operano nei settori delle costruzioni e termoelettrico e nucleare. Questa prospettiva si volge da un lato al sostegno comunque dei livelli occupazionali e, dall'altro lato, a favorire anche processi di ristrutturazione-ammodernamento di nostri comparti industriali, al fine di metterli in grado di continuare (con altre committenze e in direzione di altri mercati, interni ed esteri) la loro attività, anche dopo il periodo peraltro non breve, di realizzazione della centrale in Regione.
E con questo si è già affrontato il tema dell'induzione di sviluppi tecnologici industriali e di terziario avanzato in dipendenza sia della realizzazione sia della presenza, domani, della centrale nella nostra realtà regionale. Amministratori ed esperti della Regione Piemonte sono stati in visita alla vicina realtà "nucleare" francese della Valle del Rodano. Credo abbiano colto bene i termini del problema, e cioè si siano resi conto di quale indotto il territorio di Rhone-Alpes possa oggi usufruire anche grazie (o a causa) degli insediamenti, nella fattispecie quasi a grappolo, nel campo termonucleare.
Per cogliere più immediatamente la realtà di questo indotto, sarebbe utile considerare attentamente anche la più ridotta realtà di Grenoble dove ci sono state e ci sono positive interrelazioni tra nucleare e Università, tra nucleare e ricerca applicata, tra nucleare e particolari "aree industriali di elevata tecnologia". Proprio a Grenoble c'è la ZIRST che è un'area industriale e terziaria, peraltro citata anche in recenti documenti programmatori della Giunta regionale, nella quale sono accolti solo insediamenti nei campi della ricerca, della sperimentazione dell'energia (ovviamente non solo nucleare, ma anche da altre fonti compreso il risparmio energetico).
E' questo uno dei più significativi aspetti del rapporto energia territorio, che si può correttamente determinare anche in relazione alla prospettiva del nucleare. Grenoble e Lione ci insegnano anche come va correttamente sviluppato pure in questo campo, un proficuo rapporto con l'Università e i suoi tecnici. Questi possono esserci di valido supporto oggi, nella fase delle scelte e delle decisioni, e anche domani, quando tutto il processo andrà mantenuto sotto controllo. E qui ci si riferisce non solo ai controlli tecnici sull'impianto, ma pure ad una sorta di controllo sociale, da parte della popolazione delle zone interessate e della Regione Piemonte nel complesso.
Non peregrina proposta è allora quella di creare a Torino o anche in prossimità del centro interessato dall'insediamento nucleare un "laboratorio" che sia luogo di informazione e di documentazione sul nucleare e sulle energie in generale. L'origine bellica del nucleare ha sulle nostre popolazioni un impatto negativo, umanamente comprensibile, ma che solo la conoscenza razionale può mutare in un più sereno approccio fatto di consapevolezza che anche processi come quello costituito dall'energia nucleare si possono controllare, minimizzando i rischi relativi e rendendoli comparabili o inferiori a quelli che ciascuno di noi corre ogni giorno e più volte ogni giorno.
Tuttavia già oggi o nelle prossime settimane dobbiamo esprimere delle prime decisioni e per assumere queste è necessario disporre di alcune risposte preliminari, particolarmente per quanto riguarda la sicurezza e la salvaguardia dell'ambiente e il mantenimento delle attuali condizioni di esercizio delle attività economiche, in particolare le attività dell'agricoltura. Il documento approvato dalla Giunta regionale il 15 gennaio scorso sull'insediamento nucleare prospettato, contiene in materia una serie di indicazioni operative e di ricerca di garanzie sulle quali si concorda. Occorre però che tutto quanto indicato e prospettato, in fatto di approfondimenti e di ricerche preliminari, venga effettivamente messo in atto. Dal canto nostro ci preme sottolineare l'esigenza assoluta di disporre, prima di ogni decisione anche di massima e preliminare sul sito di conoscenze certe sui seguenti elementi almeno: i rimedi che si intendono mettere in atto per rimediare alle certe carenze d'acqua per le risaie del Vercellese nel caso che il nuovo impianto dovesse realizzarsi a Trino (invasi o altri possibili interventi) i sistemi di controllo ed eliminazione dell'inquinamento idrico e dell'inquinamento termico delle acque (tenendo conto in questo campo non solo di ridotte "porzioni" di Po, ma di tutto il sistema del Po, sul quale insistono e verranno a insistere altri grossi impianti nucleari o comunque termoelettrici) i sistemi di controllo ed eliminazione dell'inquinamento atmosferico e in particolare il problema della formazione di nebbie o di alterazione del clima, che potrebbero danneggiare gravemente colture agricole in un cospicuo raggio intorno alla centrale (si citano, esemplificativamente, le colture viticole del Passo monferrato) l'analisi degli aspetti geologici, in particolare di possibili fagliazioni superficiali in prossimità dei siti altri aspetti ancora, quale il problema della difesa contro sabotaggi e furti di materiale fossile oppure quale il problema dello stoccaggio delle scorie solide.
Un aspetto non secondario che mette conto di sottolineare è quello della più corretta utilizzazione dei contributi previsti dalle leggi ai fini dello sviluppo integrato dei territori interessati dalle centrali. Ma questo richiama il più generale discorso, già accennato, della necessità di collocare in un disegno di piano organico tutte le scelte della Regione in materia energetica (un piano che trovi ovviamente la corretta sede di formazione nel Consiglio regionale, senza procedere a "spezzoni" sopra le teste dei Consiglieri regionali come avviene con le diverse "convenzioni" che la Giunta ha siglato e sta siglando in materia energetica con enti e società diverse). Questo piano, che deve essere un importante tassello del nuovo piano regionale di sviluppo, dovrà avere i propri capisaldi nella diversificazione delle fonti di energia (il che vuol dire accento non solo sul nucleare, :ma nucleare insieme alle altre fonti alternative al petrolio), una particolare attenzione ai problemi dei rifornimenti energetici (specie per quanto riguarda i sistemi e i mezzi di trasporto: il problema è evidente particolarmente nel caso dell'approvvigionamento di carbone, dai terminali che vanno potenziati o creati ex novo sul mare), il controllo sociale e comunque pubblico del settore energetico nel complesso la difesa e la sicurezza ambientale, le relazioni con gli altri settori industriali (fornitori e clienti del ramo energia), con il terziario e particolarmente con l'agricoltura, la politica territoriale delle località (e degli "intorni") interessate da insediamenti nucleari.
Signor Presidente, colleghi Consiglieri, concludendo, pur concordando per l'avvio delle consultazioni nelle aree interessate - con la più larga partecipazione delle comunità - anche se ci troviamo di fronte ad una scelta non molto netta da parte della maggioranza, chiediamo più specificatamente (come diranno altri colleghi di gruppo) di andare avanti però contestualmente e celermente con tutti gli approfondimenti necessari per chiarire gli interrogativi tecnici - scientifici - economici relativi alla sicurezza dell'ambiente interessato affacciati da noi e da altre parti (avvalendosi dei supporti tecnici e culturali del mondo scientifico piemontese), onde essere, a tempi brevi, in grado di lavorare concretamente per lo sviluppo del nostro sistema produttivo e occupazionale e per lo sviluppo dello stesso territorio regionale.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PICCO



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Ariotti



ARIOTTI Anna Maria

Lascio ai compagni che seguono questo settore in VII Commissione le puntualizzazioni sulla politica generale del PCI rispetto al problema energetico.
Credo di dover intervenire in questo dibattito non solo perch provvedendo da una zona indicata come suscettibile di essere scelta quale sede per l'insediamento di una centrale nucleare, posso portare la testimonianza diretta degli umori della popolazione locale - cosa, credo utile perché non sempre in questa sala un po' ovattata del Consiglio regionale si riescono a cogliere le tensioni presenti nella società, ma anche perché il 10 dicembre dello scorso anno presentai una interpellanza che, penso, meritasse e meriti ancora oggi una risposta precisa, perché i problemi che ponevo erano reali e rimangono aperti. Posso considerare questo dibattito come l'occasione per un'ampia risposta. Vorrei ricordare e chiarire i termini della mia interpellanza in modo da permettere, nel corso di questo dibattito, a chi ha gli elementi necessari, di dissipare i dubbi sorti spero immotivatamente, per poi poter assumere con serenità le decisioni più opportune.
Sui giornali locali e nazionali, dagli inizi del dicembre dello scorso anno, era comparsa una serie di notizie o illazioni su un problema estremamente serio quale quello della localizzazione della centrale nucleare, dalle quali appariva che la scelta era già stata decisa; le vorrei citare: il primo dicembre 1981, su uno dei giornali locali, il Monferrato, ci si chiedeva "toccherà a Trino, spetterà alla Regione indicarne il sito, pare sempre più probabile si tratti di Trino". Su "Stampa Sera", il 7.12. u.s., si leggeva questa affermazione: "in un incontro a Casale, il Presidente Enrietti diceva di aver trovato 'molta Comprensione'"; ho sentito con molta attenzione l'intervento iniziale dell'Assessore, posso anche ritenermi soddisfatta per la spiegazione che mi ha dato, certo il termine era talmente ambiguo da costringermi a porre questa interpellanza.
Sulla "Vita casalese", un altro degli organi locali di stampa, si diceva: "L'Assessore regionale Salerno si è incontrato con il min. Marcora che ha illustrato il PEN che prevede, per il Piemonte una centrale a carbone e una nucleare; paiono ormai individuate le località di Chivasso e di Trino".
Ancora su "Il Monferrato", in una strana intervista, non si sa se ad un assessore o un funzionario, si diceva: "la scelta sarà Trino perché da Trino non vengono proteste", come se si potesse decidere sulla base di proteste o di inviti e non sulla base di dati scientifici.
Vivo in quella zona e vi devo dire che la popolazione, al di là delle esasperazioni di qualcuno, che possono anche essere strumentali, sente fino in fondo la gravità e l'importanza del problema e la serietà della scelta che ne deriva. Queste illazioni, perché tali sembrano ormai, date le dichiarazioni dell'Assessore, hanno ingenerato disorientamento e sfiducia nel potere pubblico, è bene che si sappia qual è la situazione locale perché l'impegno assunto, da sempre, da parte della Regione era di decidere sulla base di dati oggettivi e reale partecipazione, nel rigoroso rispetto delle volontà delle comunità locali espresse attraverso le istituzioni.
Dò atto della prudenza maggiore che sembra essere prevalsa da qualche tempo in tutte le dichiarazioni. Accolgo con soddisfazione le prime assicurazioni formali ed ufficiali che sono già state date dall'Assessore a questo riguardo.
E vengo alla seconda parte dell'interpellanza ricordando alcuni fatti.
Nella seconda legislatura l'Assessore allora competente, nel vuoto di conoscenze sull'argomento, aveva incaricato una Commissione scientifica di avviare studi ed analisi. Si era poi costituita una Intercommissione che aveva avuto incontri con tecnici e ottenuto informazioni a aveva dato vita a un convegno alla fine del 1979 che era servito per un confronto ed una puntualizzazione sul problema, ma sia dal Convegno sia dal Consiglio regionale stesso era venuta la dichiarazione che gli studi fino da allora condotti non erano sufficienti per una qualsiasi decisione. Non conosco purtroppo, altri lavori condotti dagli enti competenti che abbiano portato ulteriori chiarimenti - preferirei essere smentita su questo punto - e i problemi irrisolti rimangono e ritornano in tutta la loro complessità: nessuno ci ha detto nulla sulla faglia sotterranea a Trino, sulla scarsità dell'acqua in presenza di una risicultura fiorente e redditizia, sulla mancanza dei venti o su venti che soffiano in direzione di una collina intensamente coltivata a vigneti. Credo che si sia perduto del tempo prezioso, allora mi chiedo con preoccupazione, all'approssimarsi della scelta che dovremo fare, su quali dati scientifici oggettivi, verificati e verificabili da tutti - perché questo è il valore della scienza, di eliminare la discrezionalità su, quali dati potremo fare affidamento per motivare un nostro voto ponderato, razionale, sottratto alle pressioni e all'emotività, perché questa sarà una delle occasioni in cui più di ogni altro momento ognuno voterà secondo coscienza, responsabile di fronte a s stesso e alla gente che rappresenta.
Ed è per questo che ritengo fondamentale affrettare i tempi del dibattito e dell'informazione a tutti i livelli, specie locali, su problemi tanto gravi.
Vengo da Consigli comunali a Casale estremamente tesi da cui - e lo dico con rammarico - l'immagine della Regione è uscita deteriorata accusata di non aver condotto gli studi, di non aver informato, di non rispondere, di non essere presente; in breve, di avere, se non ufficialmente, almeno ufficiosamente già deciso; l'atteggiamento prevalente è di sfiducia e di delusione. Per questo occorre intervenire tempestivamente per recuperare il tempo perduto se si vogliono impostare i problemi in modo corretto portando avanti studi seri sulle due aree perché non sarà accettata nessun'altra metodologia - e facendo conoscere questi studi. Credo che se la Regione saprà andare avanti in questa direzione ha ancora tempo e modo per recuperare credibilità in questo settore e svolgere la sua funzione istituzionale di garante della serietà degli studi e della correttezza procedurale, che è quello che la gente richiede, e giustamente, su problemi di così grave peso e incidenza ambientale, sociale ed economica.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Vetrino.



VETRINO Bianca

Signor Presidente, signori Consiglieri, il gruppo repubblicano, mentre apprezza la decisione della conferenza dei Capigruppo dì portare all'attenzione del Consiglio regionale l'argomento che è all'ordine del giorno, sollecitazione che è venuta dalla Giunta, dai Gruppi di maggioranza e segnatamente dal capogruppo del PSI, vuole mettere in evidenza come in ritardo ci sia stata data la relazione di un certo spessore dell'Assessore Salerno, relazione che, se mi consente, ha un impatto anche più incisivo e volitivo rispetto all'ordine del giorno che avrebbe dovuto essere sintesi politica di questa relazione.
Noi ci siamo trovati a venire a discutere in questo Consiglio regionale con un ordine del giorno che abbiamo attentamente considerato e, per quanto mi riguarda, ci è servito da base per questa discussione il documento del Governo rispetto al problema più generale dell'energia e che, per quanto riguarda la scelta nucleare, vi dedica ben 10 pagine.
Occorre dire che l'atto che ci apprestiamo a fare è un atto dovuto, non è ancora un atto ufficiale, perché quello lo dovremo assumere entro l'8 di giugno, ma tuttavia è una manifestazione politica che la Regione dovrebbe prendere per dare concretezza a tutte quelle attestazioni che sono avvenute in Consiglio da tutti i Gruppi politici, dalla maggioranza, dopo tanti anni di dibattiti in quest'aula e fuori, di fronte a prese di posizioni, a volte non chiare, a volte non definite, e sovente influenzate da occasioni elettorali che, non solo relativamente a questo aspetto, sovente nel nostro Paese hanno rinviato decisioni chiave per lo sviluppo dell'Italia; si pensi a tutte le programmazioni mancate. Ma fra queste debolezze la più grave, la più preoccupante, e quella che sarà ricordata dalle generazioni future come uno scandalo di questi anni, sarà sicuramente stata la mancanza di una politica energetica degna di un Paese industriale come vorrebbe essere l'Italia. Contro la costruzione di nuove centrali nucleari, oltre quelle che sono in funzione già da anni senza destare particolari allarmi o preoccupazioni, si è scatenata e si sta scatenando ogni giorno una violenta campagna Contestatrice che ha saputo coagulare le forze le più eterogenee ma tutte quante accomunate da un'istintiva e passionale avversione allo sviluppo industriale della società italiana.
I problemi della sicurezza hanno ben poco in comune con questa opposizione che noi consideriamo preconcetta e irrazionale, qualche volta anche fanatica, che nasce da inquietudini e timori che sono spesso ancestrali, "determinate da ataviche insicurezze", per riprendere una frase che Spadolini citò in uno dei suoi numerosi discorsi in occasione della sua visita in Italia del novembre scorso - "dinanzi a una forza della natura che l'uomo ha saputo imbrigliare, ma che, conservano ancora un alone di mistero per i non addetti ai lavori".
Fin dalla Conferenza di Venezia sulla sicurezza nucleare, i repubblicani avevano proposto di separare l'attività di controllo dalle attività di promozione e ricerca in campo energetico, ora tutte concentrate nel CNEN; di aggiornare continuamente i piani di un'eventuale situazione di emergenza, di utilizzare nella gestione dei reattori nucleari solo personale altamente specializzato.
Nessuna strada deve essere lasciata intentata per rispondere in modo adeguato alla richiesta di sicurezza delle popolazioni locali. E la sicurezza è un problema troppo serio per lasciarlo agitare da forze politiche che intendono solo specularvi sopra.
Ma i repubblicani non partecipano all'irrazionale atteggiamento di sfiducia nelle potenzialità dell'avanzamento tecnologico, raffigurato addirittura da una certa propaganda come fonte inesauribile di pericoli per l'umana sopravvivenza. La scelta nucleare non può più essere elusa; io ho detto questa stessa frase, molti mesi fa in quest'aula durante il dibattito sull'energia, non può più essere elusa né in Italia né in Piemonte; e la ricerca di fonti rinnovabili come il sole, il vento o le maree, sono cose che vanno perseguite, ma possono diventare alibi atti a rinviare scelte necessarie e urgenti o a giustificare passate inadempienze. Respingiamo la logica delle moratorie, che legittima solo il fatalismo, il provvidenzialismo di una classe politica molto facilona.
In quest'aula, in più di un'occasione, abbiamo richiamato tutte le forze politiche e sociali, specialmente quelle che sul problema nucleare si erano mostrate in passato incerte ed esitanti, ad un atteggiamento chiaro e risoluto, soprattutto ad un atteggiamento di coerenza locale e centrale rispetto alle decisioni che i rispettivi partiti avevano preso a livello centrale, affinché tutti si assumano le responsabilità dell'attuazione del piano nucleare anche in periferia dove l'ostilità e la resistenza passiva degli amministratori locali, preoccupati, innanzitutto di non perdere consensi, ha impedito finora la costruzione delle centrali previste.
Sarebbe incredibile, come diceva poco fa il Consigliere Petrini, che lo Stato fosse costretto, sostituendosi e dando una mazzata all'autonomia locale, a quelle decisioni che invece spettano alle autonomie locali. Anche perché il Governo che è rimasto in ritardo per molti anni, la decisione finalmente di avere un piano nazionale dell'energia l'ha presa e non sta certamente a me elencare i meriti o i demeriti del Governo Spadolini, ma certo non sarà una pura coincidenza il fatto che l'approvazione del piano energetico nazionale sia avvenuta come azione qualificante di un Presidente del Consiglio appartenente al mio partito che ha svolto negli ultimi anni un'incessante ed efficace battaglia in tutte le sedi per richiamare presso l'opinione pubblica e presso le altre forze politiche, la necessità di individuare e perseguire un'azione coerente e decisa nel settore dell'approvvigionamento energetico; come pure sarà solo una coincidenza, il fatto che la delibera di approvazione del piano energetico nazionale porti la firma di Giorgio La Malfa che ha dedicato ai problemi dell'energia un impegno continuo e coraggioso, anche in momenti in cui tale impegno poteva apparire impopolare, come ad esempio, durante la conferenza di Venezia del 1980, sulla sicurezza delle centrali nucleari.
Questo spiega forse anche l'impegno posto dal Ministero del bilancio e della programmazione in questi mesi e in questi giorni, con la presentazione di un apposito progetto energia per la soluzione di problemi del Piemonte, progetto che non solo mette a fuoco le opzioni energetiche per il Piemonte, ma le definisce anche in termini di priorità.
La proposta di ordine del giorno si riferisce specificatamente ad un aspetto ben definito del più vasto campo dell'energia e, nel dichiarare la nostra disponibilità a discutere su questo aspetto, non vogliamo tacere che sarebbe stato più coerente affrontare questo specifico argomento nel campo più vasto dell'energia, nel segno di un'indicazione contenuta nella relazione del Governo, laddove si invita a procedere nei vari campi armoniosamente, facendo procedere i vari interventi di pari passo senza fughe in avanti in alcuni settori, curando sia quelli che si collocano nel breve periodo che quelli che si collocano nel medio e nel lungo periodo.
Come è noto, nel breve periodo, si può collocare la costruzione di impianti idroelettrici in Piemonte e l'ENEL si è dimostrata disponibile ad avviare cantieri per 6 impianti già nell'82, almeno questo appare nella documentazione mandata dal Governo e nella corrispondenza intercorsa tra l'ENEL e il Governo, sempre però che si superino le difficoltà finanziarie e sempre che i Comuni diano tempestivamente le autorizzazioni. A questo proposito noi vogliamo dire che riteniamo che la Regione potrebbe avere un ruolo a questo riguardo, stimolando, i Comuni a dare, nei tempi più celeri possibili, queste autorizzazioni.
Nel medio periodo, vogliamo indicare la costruzione di una centrale nucleare, mentre nel lungo periodo viene dalla Regione elencato, ed è anche questo progetto accolto nella relazione del Governo, il progetto dell'IGNITOR. Io non avrei voluto soffermarmi su questo aspetto anche perché lo ritenevo abbastanza circoscritto in un altro ambito. Ma poich l'Assessore nella sua relazione l'ha introdotto, ritengo di puntualizzare brevemente questo aspetto, facendo presente alla Giunta che sarebbe interessante che su questo punto il Consiglio venisse informato, in quanto le uniche informazioni che ha avuto finora rispetto a questo argomento sono state quelle giornalistiche.
Risulta che la Giunta regionale abbia chiesto nelle scorse settimane un'anticipazione di 500 milioni alla Finpiemonte per avviare la progettazione esecutiva dell'IGNITOR.
Noi conosciamo e apprezziamo i titoli scientifici dell'ideatore e promotore del progetto, prof. Coppi, sappiamo dell'importanza delle ricerche sulla produzione dell'energia mediante fusione dell'idrogeno apprezziamo lo spirito e le motivazioni con cui la Giunta regionale cerca di fare del Piemonte la sede di studi avanzati, però vorremmo soffermarci un momento su questa decisione della Giunta.
Il prof. Coppi con il progetto IGNITOR ha proposto alla comunità scientifica italiana una strada sicuramente originale per arrivare alla fusione dell'idrogeno. L'impostazione dell'IGNITOR è però diversa da quella sulla quale è impegnato il CNEN con il quarto piano quinquennale approvato dal Cipe e finanziato dalla Cee.
Il giudizio del CNEN sul progetto del prof. Coppi, è che si tratti di un'impostazione di elevatissimo interesse scientifico, ma che, allo stato attuale delle conoscenze, dà notevoli incertezze sulla probabilità di raggiungere l'ignizione del plasma.
Per questo il CNEN ha chiesto di far valutare il progetto dagli esperti della Cee. Se la valutazione fosse positiva, il CNEN stesso richiederebbe l'inserimento dell'iniziativa nel programma pluriennale della comunità europea, ma una decisione definitiva dovrebbe essere assunta dal Cipe che dovrebbe valutare l'opportunità che l'italia sia impegnata su due programmi diversi e garantire comunque una congrua integrazione con fondi nazionali.
La sola fase di progettazione costerà circa 3 miliardi e non è detto che porti alla certezza della fattibilità della macchina.
In questa situazione ogni autonoma decisione da parte della Regione dovrebbe essere molto attentamente considerata l'iter decisionale per quanto riguarda gli altri livelli si è già messo in moto, il progetto è al vaglio di nuclei scientifici di indiscussa autorevolezza, secondo noi voler anticipare i tempi con impegni di spesa autonomi ci sembra leggermente pericoloso, perché può significare avviare la Regione sulla strada del finanziamento totale di un progetto di ricerca ad altissimo rischio.
Ho voluto anticipare questa nostra posizione rispetto a questo argomento; noi siamo favorevoli a che questo argomento vada avanti, ma riteniamo anche che, poiché si tratta di un argomento che non rientrerebbe nelle competenze istituzionali della Regione, trattandosi di materia (ricerca scientifica ed energia) riservata agli organi ed organismi statali, un maggior coinvolgimento del Consiglio rispetto a questo argomento ci sembrerebbe opportuno.
Per ritornare all'argomento all'ordine del giorno, specificatamente quello che si riferisce alla centrale nucleare, abbiamo detto che nel medio periodo per il recupero di quell'energia di cui tutti abbiamo bisogno, la costruzione di una centrale nucleare appare il progetto di fondo, sul quale una Regione può anche qualificare il suo ruolo.
Non sto a diffondermi (Viglione poco fa diceva che forse non siamo tutti perfettamente consapevoli dell'importanza che ha il Consiglio di oggi, con la decisione che noi andiamo ad assumere, ma i repubblicani lo sanno certamente) sulle ricadute economiche ed occupazionali che un progetto nucleare di questo tipo potrebbe comportare; il documento del Governo, che i Gruppi dovrebbero avere avuto, parla di un importo globale di fornitura di 200 miliardi e sono prevedibili altre acquisizioni di commesse di lavoro da parte delle industrie piemontesi, per un importo di 170 miliardi per il totale delle centrali del CNEN. Inoltre occorre considerare che si renderanno necessarie opere civili di urbanizzazione secondaria, servizi elettrici, impianti di refrigerazione per 600 miliardi.
Complessivamente quindi, per le industrie del Piemonte, si avrebbero 800 miliardi di commesse nei 6 anni per la sola unità da realizzare in Piemonte e 1600 miliardi in un arco di tempo di 10 anni, per la realizzazione delle 8 unità previste dal Piano energetico nazionale.
Tutto questo si ripercuote con un incremento occupazione (non do i dati perché la relazione del Governo è a disposizione di tutti). Questi aspetti che noi consideriamo positivi, sappiamo che non convincono coloro che non amano le centrali nucleari ed occorre quindi che vengano assolutamente salvaguardati tutti i motivi dì ansia della gente e che alla gente vengano fornite delle garanzie.
L'appello della collega che mi ha preceduto credo meriti molta attenzione da parte di questo Consiglio, tra l'altro lei porta anche le istanze, la tensione che esiste in una certa zona che sembra destinata a diventare sede di una centrale nucleare.
Innanzitutto c'è il problema della salvaguardia ambientale e, al pari di qualunque altro impianto termoelettrico, una centrale nucleare esercita un impatto sull'ambiente, tuttavia, a differenza degli insediamenti termoelettrici convenzionali, in presenza di una centrale nucleare è prevista una capillare attività di controllo ambientale; i controlli riguardano misurazioni del contenuto di radioattività presente nell'aria con monitor fissi a funzionamento continuo ed automatico, in acqua di fiume e di pozzo, negli alimenti per l'uomo e per gli animali, nei sedimenti e nei terreni.
Queste matrici ambientali, vengono prelevate ed analizzate con scadenze periodiche programmate, settimanali, mensili, semestrali. Una tale rete ambientale dovrebbe essere gestita da appositi laboratori di radioprotezione e dall'ENEL.
Noi abbiamo letto con molta attenzione il documento di Italia Nostra personalmente sono stata molto sensibile alla deliberazione presa dal Consiglio di amministrazione del Bosco della Partecipanza di Trino preoccupato per il suo bel bosco planizio.
La presenza di un impianto Sia nucleare che termico convenzionale, su un territorio pregiato, sotto il profilo ambientale, sarebbe secondo noi la migliore garanzia per la salvaguardia ambientale, poiché l'impatto verrebbe maggiormente controllato e verrebbe sottoposto a livelli di riferimento più restrittivi, appunto perché occorre rispettare un ambiente che è stato dichiarato da preservare da ogni forma di aggressione.
C'è poi quella che viene indicata come la salvaguardia sanitaria e per la salvaguardia della salute delle popolazioni interessate in aggiunta alla prevenzione esercitata dal controllo degli inquinanti radioattivi e dall'eventuale loro abbattimento, l'Ente locale deve esigere lo svolgimento di indagini epidemiologiche che fissino la situazione sanitaria prima delle prove nucleari, situazione che deve essere periodicamente aggiornata. In questo modo si riesce a completare l'azione di controllo ambientale con un'indagine tesa a individuare ed a valutare le conseguenze sanitarie degli scarichi.
Un'altra garanzia che occorre dare ai cittadini è quella che riguarda l'informazione, perché anche l'informazione, senza allarmismi, ma anche senza minimizzazioni, è un requisito di garanzia alle popolazioni.
Innanzitutto vanno bene informati gli amministratori locali e quindi la popolazione e, se fosse possibile, contestualmente perché ricordo l'errore che è stato fatto a Caorso per cui c'è stata un'azione di sensibilizzazione molto lenta e soltanto nel 1981; si è provveduto ad un'informazione di massa relativamente a questo aspetto.
E' prevista la costituzione di una Commissione di esperti della quale fanno parte 11 rappresentanti delle Regioni, naturalmente biologi, chimici medici e fisici, ingegneri, cioè un organo prevalentemente e squisitamente tecnico a supporto del Comune ove dovrà sorgere la centrale, poi rappresentanti del CNEN e dell'ENEL e poi un centro di informazione - come prevedeva anche la relazione dell'Assessore - che, nel caso di Caorso è un grande capannone dove viene mostrato ogni particolare della centrale, dove è illustrato il piano di emergenza e dove è analizzata la situazione energetica del Paese. Questa è una realizzazione che, definito il sito dovrebbe cominciare subito, dovrebbe addirittura precedere la nascita della centrale e non si deve limitare ad una pura esposizione, ma deve promuovere incontri e dibattiti affinché l'informazione risulti viva, con partecipazione ai problemi e alle soluzioni; e non statica presenza fisica di un locale a cui accedere passivamente per conoscere e poi basta.
Infatti, informare significa anche partecipare alle scelte, non intesa raggiunta demagogicamente a tutti i costi, ma costruttivamente coscienziosamente, senza trascurare, se fosse necessario, il rapporto tra i fautori di una decisione e gli eventuali oppositori, proprio perch accettare di costruire nel proprio Comune una centrale nucleare è decisione il cui interesse trascende l'interesse campanilistico, ma è un atto coraggioso per lo sviluppo dell'umanità in senso lato, se anche un Sindaco o un Assessore regionale dovesse pagare in termini elettorali tali decisioni, non sarebbe la fine del mondo.
Vorrei soffermarmi brevemente sulla legge che concerne incentivi e credo che il nostro ordine del giorno dovrebbe anche portare una sollecitazione al Parlamento che è in ritardo rispetto a questo disegno di legge n. 2383, che è appunto quello che prevede i progetti integrati di sviluppo.
Risulta che questo iter è abbastanza lungo perché anche il Partito radicale ha in mente 350 emendamenti, tuttavia, se fosse possibile nell'ordine del giorno introdurre questa sollecitazione, noi la chiederemo.
Per quanto riguarda l'ordine del giorno, noi abbiamo proposto una serie di emendamenti che sottoponiamo all'attenzione delle altre forze politiche.
In particolare riteniamo, proprio perché crediamo che quest'ordine del giorno sia "un ordine del giorno" reale e debba esprimere veramente la volontà del Consiglio regionale rispetto a questo problema, tenendo conto che quello che diceva l'Assessore che in questo momento nessuna area è stata definita e addirittura se noi facessimo questo, andremmo contro la legge. Però è corretta 'una breve precisazione nel capoverso in cui si parla di questo aspetto, che indichi per lo meno le aree Po 1 e Po 2, in quanto ci rendiamo tutti conto che il piano energetico nazionale è andato su questa direzione, dovrebbe essere compresa.
In particolare, a parte altre piccole correzioni che chiediamo vorremmo che si mettesse in evidenza che questa è una prima indicazione ed è di tipo preliminare e serve ad acquisire gli ulteriori elementi tecnici necessari per arrivare alla fine dell'iter previsto dalla legge all'individuazione puntuale del sito sulla base delle valutazioni più approfondite che oggi, per quanto ci sia, rispetto a questa tematica un'ampia documentazione, ancora nello specifico non ci sono.
Riteniamo che il capoverso di impegno del Consiglio, debba essere assai più incisivo che la Giunta in prima persona debba venir chiamata in causa unitamente al Comitato misto, al CNEN e a tutti coloro che sono parte di questa decisione, di questa corresponsabilità, affinché la Giunta provveda sollecitamente al raggiungimento dell'intesa con i Comuni interessati previsti dalla carta dei siti, allo scopo quindi di avviare questo importante processo insediativo i cui benefici possono essere determinati anche per un ulteriore sviluppo della Regione Chiederemmo un'accelerazione per il raggiungimento di un'intesa con i Comuni interessati, tempi che la delibera del Cipe prevede.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Montefalchesi.



MONTEFALCHESI Corrado

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, il nostro gruppo è stato il solo che in sede di Comitato misto si è opposto alla decisione di chiamare il Consiglio regionale ad un dibattito che avesse per scopo dichiarato quello dì andare all'indicazione preliminare delle due aree. La nostra opposizione non deriva certo dalla volontà di sottrarci al confronto su un problema tanto importante quale quello dell'energia, un confronto ed un dibattito che sollecitiamo ed al quale ci apprestiamo a dare il nostro contributo.
La posizione che abbiamo espresso in sede di Comitato misto sul problema dell'individuazione delle aree deriva dal fatto che gli studi eseguiti nella seconda legislatura su questo, sono già stati presi in esame e sono stati oggetto di una decisione da parte del Consiglio regionale esattamente il 5 luglio del 1979, l'ordine del giorno approvato dal Consiglio regionale così recitava in alcune sue parti essenziali: "Il Consiglio regionale, prese in esame le risultanze della relazione del Presidente dell'Intercommissione sul problema delle centrali nucleari in Piemonte. sentita la comunicazione della Giunta, valutando opportuno assumere una posizione chiara ed inequivocabile in merito al problema dell'individuazione delle aree per la locazione della centrale nucleare, a conclusione di una fase caratterizzata dal lungo lavoro svolto dall'Intercommissione nonché dalla Giunta e dalla II Commissione in termini di accertamento, confronto e consultazione con le popolazioni dei luoghi interessati, essendo tutt'ora del tutto irrisolti i problemi delle garanzie di sicurezza, dell'adeguamento e idoneità dei piani di emergenza, dello stesso accertamento delle condizioni di base per la localizzazione (acqua inquinamento, impatto con l'ambiente, ecc.) ritiene che nella presente situazione e comunque fino al riesame in sede tecnico-scientifica prima e parlamentare poi, delle garanzie di sicurezza e della adeguatezza dei piani di emergenza, non sussistano le condizioni per indicare le aree per la costruzione di nuove centrali nucleari in Piemonte".
Ebbene non vi è stato nessun riesame in sede tecnico-scientifica, per questo a nostro avviso non si giustifica il fatto che gran parte delle forze che presero quella decisione, oggi propongano di ribaltarla. E' vero che l'ordine del giorno presentato dai compagni Bontempi, Viglione, Mignone è frutto di un'abile mediazione. Ma quando si dà mandato al Comitato misto "di esperire le consultazioni al fine di poter procedere tempestivamente all'avvio dei sondaggi di idoneità tecnica nelle aree richiamate dall'appendice A) del PEN", Po 1 - Po 2; di fatto la scelta è già fatta, e questo ci si propone che avvenga senza rispettare quella decisione del Consiglio del 5/7/79, di riesaminare in sede tecnico-scientifica.
No, colleghi consiglieri, non siamo d'accordo, e diciamo subito che voteremo contro questo ordine del giorno che ci viene proposto e ne proponiamo uno alternativo.
Del resto le ragioni di un riesame in sede tecnico-scientifica dei problemi connessi all'insediamento nucleare sono ben fondate; infatti restano del tutto irrisolti vari problemi.
L'approvvigionamento idrico e la carenza di acqua, particolarmente per i suoi riflessi sull'agricoltura, è un problema tutt'altro che risolto, in particolare nell'area vercellese. Del resto sono ben note le prese di posizione contrarie all'insediamento nucleare degli agricoltori della zona e dalla Federbraccianti CGIL. Ma ci sono altri problemi: Quali sono le conseguenze dell'impatto termico degli scarichi dell'acqua di raffreddamento nel corpo idrico recipiente.
Qual è l'impatto degli scarichi delle torri di raffreddamento sul clima, sulla meteorologia, sulla qualità dell'atmosfera e quali conseguenze questo avrà sull'agricoltura.
Rispetto alle garanzie di sicurezza e credibili piani di emergenza non ci sembra che si siano fatti dei passi in avanti, piuttosto ci sono stati degli incidenti preoccupanti come quello di Harrisburg in conseguenza del quale gli Stati Uniti hanno chiuso delle centrali ritenute troppo vicine a New York.
Rispetto ai piani di emergenza vorrei solo ricordare il rapporto Polvani (uno dei massimi esperti in materia nel nostro Paese) nel quale si afferma che gli incidenti nucleari hanno un carattere ed un'incidenza catastrofici, quindi non bastano dei piani di emergenza locali di zona o provinciali, ma sovrazonali ed interprovinciali, che siano in grado in caso di necessità, di evacuare le popolazioni che per esempio sono sotto vento per una zona molto estesa.
Ebbene, siete in grado di garantire questo? Siete in grado di avere un apparato in grado di evitare che in casi di emergenza, il panico provochi esso stesso vittime e disastri? Ebbene, io credo, che a queste domande nessuno con un po' di serietà possa rispondere in termini affermativi, lo stanno a dimostrare i disastri che periodicamente si abbattono sul nostro paese e l'incapacità di intervenire tempestivamente.
E' certamente una buona intenzione quella dell'Assessorato all'energia di "garantire alle comunità locali l'informazione completa sull'intero ciclo di vita dell'insediamento nucleare, unitamente alla possibilità di partecipare alla formulazione, gestione e attuazione dei piani di emergenza esterna", peccato che sia destinata a restare solo una buona, intenzione.
Ma che credibilità possono avere affermazioni di questo genere se dietro richiesta del sottoscritto di consultare il piano di emergenza esterna della centrale E. Fermi, tu stesso, Salerno, mi hai risposto che la Regione non ne è in possesso? Si badi bene che tale centrale è in funzione da dieci anni circa; ho fatto richiesta formale scritta ed attendo una risposta a questo proposito.
Questi sono una serie di problemi gravi sui quali non si può sorvolare e grave sarebbe la responsabilità di chi assumesse una decisione senza approfondire tali problemi. Per questo, per primi in sede di Comitato misto, abbiamo chiesto che la Regione si dotasse di uno strumento tecnico coinvolgendo Politecnico ed Università - quale supporto al lavoro del Comitato misto.
Questi, colleghi Consiglieri, sono alcuni problemi che era mio dovere illustrare e che motivano il nostro rifiuto ad andare all'individuazione delle aree, e comunque riteniamo in definitiva che le popolazioni debbano essere consultate preventivamente, non dopo che si sono prese le decisioni.
Ma dobbiamo dire con chiarezza che queste non sono le ragioni di fondo per le quali abbiamo detto no, ieri, alla scelta nucleare, ed oggi riconfermiamo questo no. Le ragioni di fondo per le quali, oggi riconfermiamo con più forza questo no, partono da due considerazioni, che caratterizzano oggi, il quadro della situazione energetica e che mutano la situazione rispetto ad alcuni mesi fa.
1) La prima considerazione è che rispetto al petrolio la situazione è cambiata; non siamo più in una situazione di emergenza. Sia rispetto all'approvvigionamento, che al prezzo che continua a calare, a Rotterdam al mercato nero, il petrolio costa meno che sul mercato ufficiale; l'olio pesante, quello bruciato nelle centrali, sono due anni che non subisce aumenti. Aumenta solo il metano che aveva un prezzo basso in modo anomalo.
Quindi, noi riteniamo che, per alcuni anni, sia il prezzo che gli approvvigionamenti del petrolio rimarranno stabilizzati.
Mentre resta certamente un problema da affrontare in termini strategici la sostituzione del petrolio con altre fonti di energia.
2) La seconda considerazione, è che anche per la questione del fabbisogno di energia elettrica non siamo più in una situazione di emergenza, cioè non siamo più in quella situazione caratterizzata dai black out che l'Enel ha usato anche in modo ricattatorio per dimostrare l'inevitabilità della scelta nucleare. Dice infatti Corbellini, presidente dell'Enel, in un'intervista del 7/2 al Corriere della Sera: "questo era l'ultimo inverno difficile. Adesso con l'entrata in funzione delle centrali di Caorso e Porto Tolle e poi quelle di Torvaldolica, Sermide e Tavazzano riusciremo a superare la carenza di energia. Siamo ora in grado di fornire a sufficienza per qualsiasi necessità". E più oltre: "E' chiaro che non avendo più l'assillo del black-out potremmo trovare soluzioni più adeguate.
Continueremo ugualmente a importare energia elettrica da altri paesi ma solo per convenienza economica".
Da queste due considerazioni emerge un dato, e cioè viene a cadere il carattere di emergenza che aveva caratterizzato in questi anni il problema del fabbisogno elettrico, dell'approvvigionamento e del prezzo del petrolio.
Avremo cioè alcuni anni di stabilità del prezzo e dell'approvvigionamento e se qualcuno non ne è convinto, noi proponiamo di avere un'audizione di esperti dell'ENI sull'andamento e le tendenze del prezzo del petrolio, metano e carbone.
Noi proponiamo quindi di sospendere la decisione sulla centrale nucleare e di usare questo periodo di stabilità, questo allentamento della stretta, per costruire una risposta in modo strategico al problema energetico.
Stante questa situazione in cui non c'è più l'emergenza che ci poneva di fronte al dilemma, o facciamo delle scelte quali la costruzione delle centrali nucleari, oppure non accendiamo più il frigorifero o il televisore a causa del black-out la scelta che si fa rispetto al problema energetico è una scelta di modello di sviluppo. E' la motivazione che ancora giustifica la costruzione di centrali nucleari, è la scelta di rilanciare il vecchio modello di sviluppo: modello fondato sullo spreco (non a caso si fa una politica di offerta dell'energia, non di controllo della domanda); modello fondato su tecnologie energivore che non garantiscono più né benessere (se non per pochi), né occupazione.
Io chiedo a tutti, ed ai compagni comunisti in particolare, se è questa la scelta che si vuol fare. Né credibilmente si può sostenere la tesi delle due scelte: nucleare e fonti rinnovabili e risparmio, che al di là della profonda diversità del modello di sviluppo che ognuna delle due scelte presuppone, c'è un'oggettiva difficoltà a reperire risorse finanziarie strutture tecniche ed operative in grado di coprire opzioni completamente diverse.
Del resto, la volontà di far diventare il nucleare, da fonte marginale a fonte primaria, è testimoniato, dall'impegno del governo nel far passare la scelta nucleare e dal disimpegno nel dare poteri di intervento alle Regioni.
A questo punto mi corre l'obbligo di dare una risposta ad una domanda e cioè, se noi siamo perché trascorrano i 150 giorni per far scegliere al Governo? Ebbene no, noi non siamo perché scelga il Governo. Noi proponiamo che la Regione, in quanto Ente di programmazione, non lungo braccio esecutore delle decisioni del Governo, ma Ente in grado di avere una propria progettualità (e del resto non è questo che abbiamo affermato come forze politiche in occasione del decennale dello Statuto, condizione perch le Regioni non muoiano? ). Noi proponiamo che la Regione risponda al Governo che prende atto della proposta governativa e si impegna a costruire una risposta strategica e complessiva al problema energetico, anche sulla base dei fatti nuovi che pongono la risposta al problema energetico non in un'ottica di emergenza ma in termini strategici.
Il PDUP propone a livello regionale e nazionale un indirizzo energetico basato sul risparmio e sullo sviluppo di fonti rinnovabili come obiettivo di fondo, in grado di essere motore per un nuovo modello di sviluppo e di garantire occupazione.
Proponiamo il ricorso al metano e al carbone come fonti energetiche di transizione, ed il conseguente rifiuto dell'energia nucleare. Per quanto riguarda il carbone, riteniamo che si debba usare in centrali di piccola taglia, lungo le coste. Rispetto al metano riteniamo che si debba procedere ad un suo massiccio uso, anche per le forti possibilità che si aprono con i contratti con l'Algeria e l'URSS; uso sia nei processi industriali che nel settore civile.
Un uso massiccio del Metano lo riteniamo possibile in centrali per soluzioni di teleriscaldamento e produzione di energia elettrica. In questa logica rifiutiamo il carbone a Chivasso e proponiamo di usare il metano.
Alla domanda elettrica obbligata, che noi riteniamo se controllata, che non crescerà più del 3 % all'anno, si può far fronte: 1) Utilizzando le risorse idroelettriche considerate "residue", la stessa ENEL valuta nel 1978, in 1341 MW di potenza, le risorse idroelettriche regionali non utilizzate, lo stesso sindacato energia valuta in 1583 MW la potenza idroelettrica regionale. A tale potenza vanno aggiunti 500 MW ricavabili dallo sfruttamento di piccoli salti (centraline modulari), secondo lo studio dei proff. E. Buffa e P. Mosca. Da sottolineare che l'installazione di tali centraline si accompagna al riassetto idrogeologico, di grande importanza, se si vuole evitare il succedersi di disastri che la collettività paga.
2) Dalla potenza ricavabile con impianti cogenerativi in grandi aree urbane, approssimativamente ed alla luce dell'esperienza di Brescia si pu pensare di ricavare 1200 Mwe.
3) Sostituzione dei consumi elettrici domestici con impianti a metano.
4) Massimo utilizzo della potenza disponibile presso gli autoproduttori industriali, i quali oggi sono disincentivati a produrre energia elettrica in quanto viene pagata sottocosto dall'ENEL.
5) Modifica dei processi industriali, convertendo le resistenze elettriche con metano.
6) Energia ricavabile da impianti in agricoltura e zootecnia.
7) Eliminazione degli sprechi a livello domestico, industriale e del sistema dei trasporti.
Un altro aspetto è centrale, cioè la questione del risparmio energetico, che a nostro avviso deve essere uno degli obiettivi fondamentali da perseguire in ogni settore ed attività.
A questo proposito voglio citare alcuni dati che indicano il grado di efficienza complessiva con il quale un intero sistema economico usa le risorse energetiche. Nel periodo che va dal 1973 al 1980, tutti i paesi, ad eccezione di Spagna e Portogallo, hanno migliorato il loro rapporto tra energia consumata e prodotto nazionale lordo. Consistente è stato il miglioramento di efficienza realizzato in Giappone e Svezia con una riduzione del rapporto energia/prodotto superiore al 20 %. Attorno al 15% è risultata poi la riduzione dell'indice in Olanda, Regno Unito e Francia ed appena inferiore a questi livelli quella realizzata in Germania, Belgio e Stati Uniti. Pertanto, ad esclusione del Canada, il miglioramento più contenuto si è registrato in Italia.
A questo proposito, urta delle proposte che avanziamo con forza, è quella, che si può sintetizzare nell'affermazione: ad ogni centrale termoelettrica deve essere associato un impianto di teleriscaldamento. Ne deriva quindi la necessità di prevedere centrali elettriche di media piccola taglia situate nei pressi dei centri urbani, che saranno serviti dal teleriscaldamento, ottenendo così anche un non trascurabile risparmio con la riduzione dei costi e delle perdite associate alla rete di trasporto dell'energia elettrica. A tale proposito è possibile stimare, sulla base di studi ed esperienze fatte in Europa e in Italia, un risparmio nella nostra regione di circa 1 Mtep all'anno. Con una seria politica che spinga alla generalizzazione delle tecnologie del teleriscaldamento e cogenerazione, su scala regionale. Una strategia per il risparmio non può essere fondata sull'ottimizzazione dei consumi industriali, civili, dei trasporti. Vi è da tenere presente che gli investimenti per 1 Mtep di risparmio sono valutati all'incirca in 2000 miliardi di lire, cifra non trascurabile ma dello stesso ordine di grandezza di quella prevista per la costruzione di una centrale nucleare.
Riteniamo che da questo modo di affrontare il problema energetico c'è concretamente la possibilità di dare una risposta ai problemi dell'occupazione, in particolare legata, per quanto concerne il risparmio energetico e al campo della regolazione dell'energia.
Contabilizzazione del calore.
Elementi di diagnosi e informazione.
Costruzione di sistemi e tecnologie per il risparmio.
Nella manutenzione.
E' da tenere presente che lo studio Bloch-Loine francese, unico nel suo genere, concepito al fine di valutare la ricaduta occupazionale nello sviluppo del risparmio energetico, valuta in 30.000 i posti di lavoro per ogni Mtep di risparmio.
Riteniamo che da questo insieme di attività possano scaturire centinaia di migliaia di posti di lavoro nel nostro paese. Un'altra fonte di occupazione riteniamo possa derivare dalla costruzione di tecnologie appropriate.
Per le fonti rinnovabili, si concretizzerebbero così alcune ipotesi di reindustrializzazione legate alla qualità dello sviluppo e dei suoi effetti occupazionali, in relazione alla questione energetica, e dall'altro si potrebbe così definire l'asse su cui costruire ed avviare rapporti di interscambio commerciale e tecnologico con un arco vasto di paesi del cosiddetto sud del mondo, e che, al pari del nostro, si trovano con problemi di utilizzo delle risorse rinnovabili come condizione per sfuggire al ricatto petrolifero o nucleare.
Certo, siamo ben coscienti che la nostra proposta richiede una forte capacità programmatica e progettuale da parte della Regione. Ma è quello che tutti, mi sembra abbiamo auspicato in quest'aula. Purtroppo, fin'ora si sono fatte più parole che atti concreti. Infatti, nell'ordine del giorno votato a maggioranza il 18 marzo '81, la Giunta si era impegnata a predisporre un piano energetico regionale che comprenda in modo particolare l'utilizzo delle fonti rinnovabili. Ebbene, non si è visto nemmeno l'ombra di un piano, e come conseguenza è andata avanti una logica rispetto alle fonti rinnovabili, da fiore all'occhiello che male riesce a mascherare una opzione di fondo per il nucleare.
La stessa legge regionale che doveva essere da incentivo per l'utilizzo delle fonti rinnovabili è ancora ferma in Commissione. Ebbene, sollecitiamo ancora una volta la Giunta a predisporre un piano energetico regionale che parta da un bilancio energetico regionale, cioè una stima dei bisogni e delle potenzialità e concretizzi i programmi per l'utilizzo delle fonti rinnovabili. Nel mentre sollecitiamo le altre forze politiche a prendere in esame al più presto la legge ferma in Commissione affinché il Consiglio regionale possa approvarla.
La linea ed il modo di affrontare il problema energetico, che noi proponiamo è una proposta che tende a cogliere un'occasione forse irripetibile per avviare un cambiamento del modello di sviluppo oggi irrimediabilmente in crisi. Noi riteniamo che un modello di sviluppo diverso debba basarsi su una dissociazione tra consumi di energia e sviluppo. In conclusione, noi siamo la forza politica che da più tempo ha iniziato una ricerca ed un'elaborazione sulla terza via; ebbene senza pretendere di dare lezioni a nessuno, pare a noi che è su un terreno preciso di queste scelte concrete che si sostanzia e si verifica la costruzione di una terza via e di una credibile alternativa. E' sul terreno concreto di queste scelte che si decide quale strada imboccare.



PRESIDENTE

Sospendo la seduta per una breve manifestazione del Comitato antinucleare.



(La seduta sospesa alle ore 17,30 riprende alle ore 17,35)



PRESIDENTE

La seduta riprende. La parola al Consigliere Genovese.



GENOVESE Piero Arturo

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, non credo che si debba essere intimoriti per una manifestazione in quest'aula di antinuclearisti, che riproduce una situazione presente all'interno della comunità regionale e con la quale, nella passata legislatura, abbiamo dovuto più volte confrontarci in dibattiti pubblici; ciò particolarmente per quei Consiglieri, come il sottoscritto, che sono nati e vivono nelle zone teoricamente suscettibili di accogliere un insediamento di tipo elettronucleare.
Credo quindi che, al di là degli aspetti regolamentari, che dal nostro Presidente sono stati giustamente richiamati, non possiamo essere turbati dalla manifestazione aperta di opinioni e di convinzioni con cui democraticamente ci si deve confrontare . Questa situazione ci richiama come la collega Ariotti ha ricordato nel proprio intervento - a situazioni di difficoltà e di disagio, ma anche alla diffusa sensazione di smarrimento e di sconcerto che nelle popolazioni e nelle amministrazioni locali si è avvertito negli ultimi tempi per una gestione della politica energetica da parte della Giunta regionale che è sembrata basarsi più sulle dichiarazioni e sulle interviste del Presidente e dell'Assessore competente che non sui necessari approfondimenti.
Non ripeterò le valutazioni di carattere generale né di quelle più strettamente attinenti alle ricadute positive di tipo economico che possono essere indotte da un eventuale insediamento nucleare nella nostra Regione che l'amico Petrini ha svolto e che rappresentano la posizione ufficiale che oggi, in questa assemblea, il gruppo DC esprime.
Però ritengo che, pur nel rispetto dell'economia dei lavori, una precisazione di posizioni particolari possa portare un contributo di responsabilità e favorire un confronto più vasto all'interno dell'assemblea regionale.
Ci ritroviamo a riprendere, in questa sede, un dibattito di carattere generale a lunga distanza dal luglio 1979 quando, di fatto, terminarono nella seconda legislatura i lavori dell'Intercommissione appositamente costituita per dare prosecuzione a quelli svolti in un primo tempo dalla Giunta e successivamente dalla II Commissione consiliare permanente.
L'attuale legislatura è stata sinora caratterizzata dal particolare interesse per i problemi energetici che ha visto la Giunta ed in particolare l'Assessore Salerno impegnati a definire una serie di progetti di intese e di conseguenti protocolli, volti ad attivare una politica energetica complessiva nella nostra Regione, con una connotazione però, a mio modo di vedere, del tutto singolare, per quanto attiene l'eventuale insediamento di una centrale elettronucleare, già richiamata dalla collega Ariotti: cioè in una prospettiva in cui è parso sovente di comprendere non solo per gli articoli apparsi su molti giornali locali o di rilevanza nazionale e sulla "Stampa" in particolare, ma anche per una serie di interviste rilasciate a getto continuo dal Presidente della Giunta e dall'Assessore Salerno - che rimanendo impregiudicati gli approfondimenti da svolgere successivamente alle scelte delle aree per giungere all'individuazione dei siti, il senso di responsabilità nell'adempimento di un proprio compito istituzionale, delegato per legge, avrebbe portato in ogni caso la Regione a non sottrarsi al dovere di una rapida decisione in ordine alle aree suscettibili di insediamenti di tipo elettronucleare.
Di conseguenza, la sensazione che si è diffusa all'esterno, e che certamente non ha giovato e non gioverà ad un confronto che si riapre nella comunità regionale, è stata quella di una Regione che, nel complesso delle azioni e delle iniziative intraprese o da intraprendere ai fini di costruire una complessiva politica energetica regionale, aveva di fatto già scelto dando per scontato che gli studi e il confronto con le comunità avviato in passato possano portare ad una scelta politica e tecnica immediata, prescindendo da ulteriori approfondimenti preliminari sui prerequisiti delle aree, richiesti dalle popolazioni e dalle amministrazioni più direttamente interessate. Pensando a questo confronto ed agli studi di cui disponiamo ed alle sbrigative interviste che ho richiamato, ricordo che l'allora Presidente dell'Intercommissione, avv.
Calsolaro, nella chiusura del proprio intervento che costituiva la relazione "ufficiale" al Consiglio regionale dell'Intercommissione richiamava con chiarezza e precisione i motivi di perplessità e di disagio più avvertiti nella comunità regionale e nella stessa Intercommissione al termine dell'impegnativo e lungo confronto con le parti sociali, con le forze interessate, con le comunità locali e con i rappresentanti degli enti preposti, a diverso titolo, alla politica energetica del Paese. E à conclusione, che credo sia corretto in questa sede richiamare, accennava ai problemi emersi nelle aree segnalate (l'area Po 1 e Po 2) e cioè quelli della disponibilità idrica e dell'eventuale inquinamento, termico ed atmosferico, dovuto allo smaltimento del calore residuo attraverso torri di raffreddamento ad umido, necessarie per l'insufficiente portata dei corpi idrici presenti nel territorio della nostra Regione, ed infine affermava testualmente "che il ritardo nell'adempimento dell'obbligo di cui alla delega legislativa per la determinazione delle aree nei termini cronologici previsti dagli artt. 2 e 22 della legge 393 andava pertanto inteso non come colpevole negligenza nell'affrontare la questione o come ragionato calcolo per evitare ogni e qualsiasi decisione, ma come momento di riflessione e di attenta ricerca delle soluzioni più opportune e di maggior vantaggio per la collettività".
Nel momento in cui riprende questo dibattito, di fronte alle indicazioni ed alle richieste implicite, che mi paiono rivolte all'Assemblea regionale dalla relazione Salerno, ad individuare, sulla base delle raccomandazioni formulate dalla Commissione interregionale apposita procedure e modalità per accelerare e accorciare i "tempi" previsti dalla legge 393 e dallo stesso piano economico energetico nazionale, i lavori della precedente legislatura devono essere richiamati attentamente perch se problemi ancora aperti sono rimasti e se la situazione rimane difficile all'interno delle comunità, credo che l'assemblea regionale debba esserne cosciente.
Quindi, il Comitato misto, più che porsi problemi di "accelerazione" dovrebbe affrontare un duplice ordine di problemi: il primo è quello che deve essere la Regione a decidere secondo le procedure indicate dalla legge e dal piano energetico nazionale, evitando che il Parlamento proceda adottando le previste misure di carattere sostitutivo; il secondo collegato a questo, è che per poter decidere, o tentare di decidere, non si possono evitare interrogativi legittimi che erano e che permangono presenti all'interno delle comunità. Su questo ritornerò, ma sono certo, a meno che io non sia informato di ulteriori approfondimenti e studi, che permangono problemi che ritroveremo, puntualmente, così come li abbiamo lasciati nel confronto del 1979 con le popolazioni maggiormente interessate.
Nella relazione presentata dall'assessore Salerno e che ha avviato questo dibattito, sono richiamati alcuni fatti nuovi rispetto al 5 luglio 1979 quando si svolse un dibattito di notevole rilievo e approfondimento articolato anche in conseguenza di un momento contingente e particolare della vita politica nazionale.
Mi riferisco in particolare all'ordine del giorno che questa assemblea ha recentemente approvato nella seduta consiliare del 18 marzo 1981, che è stato più volte richiamato e per ultimo dal collega Montefalchesi; ordine del giorno che per la verità, da parte mia è stato approvato anche perch sollecitava una definizione della Carta Nazionale dei Siti sulla base di parametri che, secondo una precisa scala di priorità, consentissero di definire le aree ottimali per un eventuale insediamento rispetto ad altre aree (cioè c'era, nell'ordine del giorno approvato allora dall'assemblea l'indicazione di una esigenza di valutazione delle priorità, rispetto alle condizioni generali di ordine ambientale, fisico, demografico, tra le varie aree, anche di diverse regioni, indicate dalla Carta dei Siti).
Abbiamo poi l'approvazione del Piano energetico nazionale che, nel fare riferimento per il Piemonte alle aree già "individuate" lungo il corso del Po, evidentemente qualifica e definisce queste aree secondo l'individuazione fattane dalla Carta dei Siti; perché credo, altrimenti che non si sarebbe potuto parlare di "aree individuate", ma di "aree già precedentemente prese in considerazione o segnalate". Parlare infatti di una "individuazione" di aree, in mancanza in oggi di una scelta da parte della Regione Piemonte secondo le procedure previste dalla legge 393, non può che costituire un preciso riferimento alla qualificazione delle aree secondo la delimitazione territoriale che è contenuta nella Carta nazionale dei Siti suscettibili di insediamento di impianti elettronucleari.
L'altra cosa che va richiamata è l'indicazione precisa e puntuale sotto questo profilo, che l'Assessore Salerno ha fatto delle procedure, con particolare riferimento ai poteri sostitutivi in assenza di decisioni in assenza di una capacità di provocare le decisione da parte della Regione in collaborazione con gli altri livelli istituzionali interessati e con l'apporto degli organismi tecnici indicati dei piano energetico nazionale e dalla legge 393.
Vi è poi l'invito, posto dalla relazione Salerno, come dicevo all'inizio, di valutare l'eventuale possibilità di una accelerazione dei tempi e delle procedure; mi pare di capire, e lo dico schiettamente, che se questa esigenza ha una sottolineatura così evidente ed è ancora richiamata a chiusura della relazione, ciò non sia a caso, bensì sia posto il Consiglio regionale di fronte ad un ulteriore problema: che non è solamente quello di dare il via alle procedure previste dalla legge 393 e dal Piano energetico nazionale, ma anche di valutare, attraverso gli approfondimenti necessari che possono essere condotti in questo periodo insieme alle forze sociali, alle forze politiche, alle comunità locali interessate se non si possano addirittura forzare tempi e procedure per addivenire alla definizione di un'unica area suscettibile di insediamento.
Dico chiaramente, esprimendo un'opinione personale, che, a mio avviso il primo dovere che abbiamo è quello di andare ad un confronto con le comunità locali come se le consultazioni del 1977/1979 non fossero avvenute o, meglio, tenendo conto che, essendo avvenute, hanno posto problemi ai quali, allo stato attuale delle mie conoscenze personali, non mi pare che si sia data una risposta sufficiente attraverso ulteriori studi e i richiesti approfondimenti.
Questo lo dico perché sarebbe veramente curioso che noi tutti cercassimo di evitare il ricorso alle procedure sostitutive e quindi scegliessimo la strada di esercitare fino in fondo le responsabilità e i doveri che, per legge sono demandati alla Regione e poi ci dimenticassimo che se non si dà una risposta o se non si è pronti nel cercare di dare risposte puntuali sui problemi aperti, l'intesa non ci sarà e quindi sarebbe vanificato l'impegno politico da tutti sottolineato, sia pure per arrivare magari a conclusioni diverse, secondo cui deve essere comunque la Regione, sentite le popolazioni interessate e attraverso gli approfondimenti necessari, a compiere le scelte ed assumere le decisioni adempiendo, con ciò, ai propri compiti istituzionali generali, che non sono solo quelli richiamati dalla legge 393 e dal Piano energetico nazionale bensì quelli di assemblea rappresentativa degli interessi generali della nostra comunità regionale: questo, io credo, è il problema di fondo, di fronte a cui non c'è tanto l'esigenza di individuare "scorciatoie" ma di scegliere una strada che, attraverso l'approfondimento adeguato alla complessità del problema e delle scelte, ci consenta un rapporto con le popolazioni locali che non prescinda dalle condizioni reali ben note e con le quali ci siamo già a lungo confrontati.
Questa mia convinzione, non è tesa a creare difficoltà ulteriori alla Regione rispetto alle decisioni che deve assumere, ma pone invece il nostro gruppo consiliare in una posizione di assunzione di responsabilità ed esprime la volontà di partecipazione piena a tutto il processo che deve essere avviato e che come forza politica non possiamo certamente evitare dato che sarebbe pura illusione pensare di non partecipare ad un confronto ed alle scelte che, in momenti di decisione certamente difficili ma non per questo eludibili , si presentano a chi deve governare una Regione.
Fatte queste considerazioni, mi preme dire, in modo preciso e sintetico, poche altre cose.
Chiedo, particolarmente all'Assessore Salerno: quando oggi parliamo dell'area Po 1 e dell'area Po 2 a che cosa ci riferiamo? Noi abbiamo almeno tre diverse qualificazioni di queste aree: innanzitutto, gli studi del CNEN, condotti e rassegnati nel 1975 alla Regione, accompagnati da una cartografia abbastanza precisa e quindi con una possibilità di valutazione delle aree che non è dubbia; abbiamo una diversa qualificazione successiva di queste aree derivante dagli approfondimenti della Commissione scientifica, appositamente nominata dalla Regione, che, nel prendere in considerazione le otto aree individuate dal CNEN e nel dare le indicazioni per l'area Po 1 e per l'area Po 2, con i limiti ed i vincoli che ricordiamo e che non richiamo, provvedeva anche ad una rettifica dei confini di queste aree, tanto è vero che nel 1979 l'Intercommissione richiese all'ENEL un approfondimento di studi sull'area che normalmente viene detta di "Trino" (area Po 1) e uno studio specifico riguardò l'area di Saluggia che precedentemente, non era mai stata presa in considerazione, mentre la stessa Commissione scientifica individuava un'area Po 2 ben più vasta ed articolata dell'area CNEN nota come area di "Filippona".
Ma c'è infine una terza definizione di queste aree "Po 1 e Po 2" che ho potuto avere dalla Giunta regionale, come tutti gli altri colleghi Consiglieri, nella forma di una fotocopia che ricorda; per la rappresentazione grafica, un francobollo e che deriva dall'individuazione operata dalla Carta nazionale dei Siti. Ho provato, pur non essendo un grande disegnatore, a tradurre questa nuova delimitazione sulle tavolette dell'IGM, per quanto possibile partendo da una scala ridottissima, e non ho dubbi che Filippona è oggi fuori dall'area Po 2 secondo la qualificazione che ne è stata data a livello nazionale attraverso la predisposizione della Carta dei Siti, mentre l'area Po 1 appare ugualmente ed abbondantemente modificata dato che, centrata su Trino, parte a nord di Casale e giunge sino alle porte di Ivrea .
Quindi siamo in presenza di un'ulteriore definizione di queste aree. La prima cosa che chiedo, e su questo l'Assessore non me ne vorrà, è che almeno su questi dati ci sia la necessaria chiarezza.
Se penso che, dal 1975 ad oggi, non abbiamo prodotto in questa Regione una cartografia adeguata di riferimento, sulla quale siano tradotti tutti i vincoli, le limitazioni naturali, tutti i dati di cui siamo a conoscenza e di cui possiamo disporre, ci troveremo...



VIGLIONE Aldo

Avete contrastato la realizzazione dell'Istituto cartografico; la cartografia di Filippona...



GENOVESE Piero Arturo

Siamo in una condizione in cui almeno la chiarezza sui dati essenziali la chiarezza che abbiamo cercato di ottenere, è indispensabile. Ricordo un periodo in cui siamo andati a fondo negli approfondimenti; ma in particolare osservo che in questi due ultimi anni, costellati di dichiarazioni alla stampa e di interviste pur legittime perché con esse ciascuno si assume le proprie responsabilità politiche, non si è per andati avanti (o se si è andati avanti, a noi non è noto) nella valutazione e nell'approfondimento di tutto ciò che era stato prodotto per arrivare ad una definizione più chiara del problema. Non me ne voglia Viglione; non so se è a sua conoscenza, quando parla dell'area Po 2, detta impropriamente "area di Filippona", che, oggi, l'area indicata dalla Carta dei Siti per i due terzi è compresa nella Regione Lombardia e non in Piemonte.
E chi conosce il territorio di questa zona deve dire che il residuo terzo che rimane in Piemonte individua più che un'area due "siti puntuali" cioè, di fatto, questa è un'area dentro cui Filippona non c'è più e in cui rimangono solo due piccolissime aree che sono suscettibili di eventuale insediamento nucleare: una è alla confluenza esatta del Tanaro con il Po dove una volta c'erano i territori residui del Principato di Cambiò, nel comune di Alluvioni Cambiò; l'altra è un sito a nord di Isola S. Antonio.
Ad "Isola S. Antonio" non c'è più l'isola tra Po e Scrivia; ad "Alluvioni Cambiò" non c'è più il Principato, i cui territori residui si estendevano su di un'isola divorata dal Po; un Principato sotto il dominio dei Vescovi di Tortona, ancora all'inizio del secolo, che con l'isolotto persero l'appannaggio delle "porcelline" che vi erano allevate.
Siamo alla confluenza di diversi fiumi e torrenti e nel tempo si susseguono modificazioni, anche sostanziali, dei corsi d'acqua e quindi del territorio circostante e dell'ambiente in generale; ma siamo anche molto vicini (e questo è uno dei problemi che non avevamo di fronte nel 1979 e che richiede un coordinamento interregionale per alcuni elementi di decisione che a noi sfuggono), a non più di 20-25 chilometri, rispetto al previsto insediamento della centrale a carbone da 2000 MW a Bastida Pancarana che è in Lombardia.
Siamo quindi in presenza di fatti nuovi, che devono essere valutati, e di fronte a problemi, certamente superabili sotto il profilo tecnico, ma rispetto ai quali dovremo pur fare, anche noi e in modo definitivo, le necessarie considerazioni. Questi problemi sono noti: in entrambi i casi l'impiego delle torri di raffreddamento ad umido; nell'area di Trino vi è poi il problema delle disponibilità idriche, come è stato da tutte le parti riconosciuto e che è ancora richiamato nella relazione dell'Assessore nell'area Po 2, sono l'esiguità dell'area ricadente in Piemonte, e la vicinanza di Bastida Pancarana dove dovrebbe essere realizzata una centrale a carbone da 2000 MW, unitamente ad una serie di altre limitazioni e di vincoli naturali; siccome poi le aree da indicare non devono essere dei siti e l'area Po 2 per due terzi insiste, secondo l'ultima qualificazione territoriale CNEN in Lombardia, in Piemonte di fatto rimane la possibilità presumibilmente di indicazione di siti e non di un'"area" su cui svolgere gli approfondimenti successivi.
Dato che esistono questi problemi e per non sentirci deridere da una comunità regionale che non è forse da noi sufficientemente informata, ma che cerca di informarsi, come è giusto e doveroso, per poter partecipare ad un confronto alla pari con la Regione, credo che non potremo andare ad un incontro serio, a cui non possiamo sottrarci e a cui il mio Gruppo ha già dato l'adesione attraverso l'intervento del collega Petrini, se non faremo un lavoro puntuale ed immediato, di approfondimento e subito dopo le verifiche volte ad accertare se esistono le condizioni per l'intesa con le comunità locali e per le conseguenti decisioni.
Ho fatto queste osservazioni anche a nome del collega De Vecchi con cui su questi argomenti ho ragionato, trovandoci più facilmente a contatto con le popolazioni direttamente interessate; ma anche con colleghi di altri Gruppi e di altre aree, particolarmente del casalese e del vercellese, ci siamo sovente trovati a discutere ed approfondire i problemi legati alla situazione concreta e reale che si registra all'interno delle nostre comunità.
Non ho spesso condiviso in passato e non condivido oggi, le modalità di gestione dei problemi energetici da parte della Giunta regionale particolarmente in relazione all'eventuale insediamento di una centrale elettronucleare.
Non posso qui richiamare tutta una serie di fatti; dico semplicemente per doverosa correttezza e al di là delle distinzioni politiche, che l'andamento è stato fluttuante: abbiamo avuto alcuni anni, ai tempi dell'Intercommissione, caratterizzati da un impegno approfondito, in cui non sono mancati ai Consiglieri tutti gli elementi di valutazione di cui la Regione disponeva e altri periodi in cui non è stato così. Ricordo che nel periodo dell'intercommissione presieduta dal collega Calsolaro e seguita particolarmente dall'Assessore Rivalta, avevamo potuto disporre di dati informazioni e confronti molto più di quanto non sia avvenuto prima e dopo ma, nel complesso, a noi non è stata data la possibilità di seguire, con la dovuta serietà e continuità e con il dovuto approfondimento, lo svolgersi della gestione della politica regionale in campo energetico.
Termino esprimendo una convinzione personale. Per quanto riguarda l'eventuale insediamento di una centrale elettronucleare sono convinto che se da parte della Giunta regionale, a partire dal 1975, non si fosse affrettatamente data la propria disponibilità al Cipe, prima degli approfondimenti e degli studi necessari, oggi, prendendo atto che il piano energetico nazionale prevede un ricorso molto limitato alla tecnologia elettronucleare di tipo provato, si discuterebbe se questa Regione ha le condizioni o meno per accogliere un insediamento di tipo elettronucleare di questa potenza; infatti, se la vicenda fosse all'inizio, in presenza di una politica contenuta di ricorso a questo tipo di tecnologia, il problema delle priorità e delle localizzazioni assumerebbe connotazioni diverse rispetto al passato. Ormai, però, la vicenda si è svolta in un certo modo il Piano energetico nazionale ha riconfermato questa indicazione e, al di là delle preoccupazioni più accentuate che qualcuno di noi può avere, il gruppo della DC ha espresso chiaramente la propria posizione, certamente cauta, che richiede approfondimenti e verifiche, ma che non rifugge dall'assunzione di responsabilità.
L'amico Petrini ha parlato a nome di tutti noi. Ma lo svolgersi complessivo di questa vicenda nella nostra Regione non è contrassegnato in tutti i suoi momenti dalla necessaria chiarezza e lascia in me delle perplessità che non posso tacere.
Come lascia non poca amarezza il sapere, perché gli atti finali li dovrò vivere più di altri colleghi nella mia comunità locale, che anche una politica intempestiva di posizioni assunte all'esterno, di impegni che sono sembrati dettati da una scelta già effettuata, ha creato condizioni che renderanno più difficile il compito, a cui nessuno di noi può sottrarsi, di cercare con le comunità locali e con i loro rappresentanti "l'intesa" che è necessaria e che è richiesta dalla normativa nazionale.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bruciamacchie.



BRUCIAMACCHIE Mario

Più volte abbiamo ricordato le cifre sul nostro deficit energetico, le scelte sbagliate compiute in anni lontani e vicini, prima il tutto petrolio, o il puntare, poi, tutto sul nucleare. E' la storia triste di una incapacità di governo nazionale, di miopia politica e di adesione a linee che società multinazionali proponevano ad esclusivo loro vantaggio.
E' la storia di sprechi energetici e di risorse finanziarie gigantesche sperperate, di rifacimenti continui di piani energetici nazionali che rimanevano inutili documenti di scarso valore scientifico.
Oggi siamo in presenza di un fatto nuovo.
Il Cipe e il Parlamento hanno approvato il Piano energetico nazionale facendo scattare i tempi per le successive fasi previste dalla legge n. 393 del 1975.
Siamo in presenza di un documento programmatico che affronta con maggior serietà il problema.
Cosa si è fatto come Regione durante questo anno? Il Comitato misto tra Regione, Enel e Cnen è stato nominato, e con sollecitudine insediato dal presidente Enrietti, ha iniziato a lavorare, e dopo questo Consiglio regionale, il suo impegno crescerà di molto rimanendo ferma la competenza del Consiglio e delle Commissioni.
La Giunta ha predisposto una serie di interventi nei vari campi dell'energia che comprende in modo particolare l'utilizzo delle fonti rinnovabili e progetti specifici, alcuni dei quali in fase di avvio, che compongano un quadro d'insieme capace di costituire l'ossatura di quel Piano energetico regionale, raccordato con il PEN, di cui la Giunta aveva ricevuto mandato e impegnò, con l'ordine del giorno del 18 marzo 1981.
Appare ormai evidente che a livello mondiale stiamo vivendo, per quanto riguarda le fonti energetiche, una fase di transizione.
Abbiamo conosciuto la prima fase di passaggio dalle energie rinnovabili al carbone, la seconda dal carbone al petrolio, giungendo all'attuale terza fase che potremmo definire di transizione dal petrolio ad una articolata e integrata produzione di energia.
Sappiamo come queste diverse fasi siano state determinate da fattori di convenienze economiche, da ricorrere a combustibili meno costosi, man mano che le conquiste tecniche e scientifiche ne favorivano la facilità di impiego.
"L'uscita dal petrolio", anche se esso rimarrà per un lungo periodo la fonte energetica fondamentale non solo per l'Italia, ma per moltissimi altri Paesi, è ancora una volta determinato dalla convenienza economica.
Ritornano ad essere competitivi il carbone, soprattutto il nucleare e altre fonti pulite, che in periodi di energia a basso costo, venivano trascurate e anche abbandonate.
La validità economica, oggi, di centratine dismesse, gli impianti sperimentali di Biogas, l'uso dell'energia solare, eolica, geotermica ecc dimostrano come da questa terza fase si uscirà con un quadro così articolato di fonti energetiche, che consentirà ad ogni Paese una politica più flessibile e meno dipendente.
Come comunisti, non da oggi, abbiamo proposto e ci siamo battuti per affermare questi nuovo indizi. La diversificazione delle fonti energetiche è oggi una politica obbligata per un paese che abbia lungimiranza, che abbia coscienza di come la scienza e la tecnica progrediscono nei vari campi con rapidità eccezionale, che abbia l'intelligenza politica di capire come il mondo in cui viviamo attraversa una fase di instabilità crescente dove il mutarsi dei rapporti di scambio tra i vari Paesi, il loro sviluppo disuguale, il mutare dei rapporti di forza tra ceti e classi, determinerà una fase nuova dei rapporti internazionali, dove guerre commerciali e necessità di integrazioni e cooperazioni economiche si confronteranno a lungo.
Guai allora a rimanere fermi, ad accettare la convenienza del giorno e non vedere cosa accadrà domani, guai quindi ad abbandonare la ricerca, la sperimentazione, a rinunciare ad investire nei settori d'avanguardia.
Il prezzo per ogni Paese sarebbe altissimo, il suo decadimento certo l'impoverimento progressivo lo porterebbe ad una progressiva emarginazione verso livelli di vita sempre più bassi.
Non è catastrofismo, sono leggi economiche generali ampiamente sperimentate.
Quando una società, tramite la sua classe dirigente, non è più capace di essere forza propulsiva di sviluppo, inizia un processo involutivo che può portare ad un decadimento generale della società stessa.
Ma nella società operano più soggetti, esistono forze frenanti ed altre portatrici di progresso e sviluppo. Ed è dal confronto e competizione, che noi auspichiamo si sviluppi sempre sul terreno democratico, tra queste forze, che dipende l'avvenire del Paese.
Per questo noi pensiamo e operiamo affinché in Europa e nel mondo vada avanti un processo di cooperazione tra i vari Paesi, perché in Italia le forze del progresso economico e sociale trovino gli accordi necessari e le forme di governo per realizzarli.
Il possesso delle fonti energetiche, il loro uso non solo economico ma anche ai fini politici, ha caratterizzato la vita mondiale di questi anni! Non vi è dubbio che, assieme alle fonti energetiche, l'altra arma fondamentale che avrà un peso crescente nei rapporti tra gli Stati, sarà il possesso delle materie prime alimentari.
Per questi due elementi si creano le tensioni e si fanno le guerre perché chi disporrà di più e più a lungo di queste risorse, avrà la forza per ricattare, assoggettare, dominare in qualche modo Altri Paesi e popoli.
Ecco perché noi annettiamo molta importanza al Piano energetico nazionale, e quello che in esso è contenuto, ma soprattutto al modo con il quale esso sarà realizzato, se ci sarà la volontà di realizzarlo.
Uno dei capisaldi del PEN è, oltre la pluralità delle fonti energetiche, la diversificazione dei Paesi di provenienza delle stesse.
Che l'Italia sia un Paese povero di risorse energetiche è risaputo, che i nostri depositi di carbone siano scarsi e di non alto valore si sa, che il nostro gas copra solo una piccola parte del fabbisogno nazionale e che sempre più va considerato come una necessaria riserva strategica, è noto.
Stante questa nostra dipendenza dall'estero e volendo diversificare le fonti, ben sapendo che ancora per molti anni il petrolio continuerà ad essere maggioritario nel nostro consumo, una saggia politica estera deve portarci a intensificare gli sforzi verso questi Paesi produttori di materie prime, per sviluppare commerci che siano reciprocamente vantaggiosi, dove la nostra esperienza e competenza tecnica, la nostra tecnologia, siano veicolo permanente di amicizia e di sviluppo di questi popoli.
Mi domando però se questo sia davvero la volontà di chi ci guida. Mi chiedo se è operare davvero a favore degli interessi nazionali e della distensione, compiere scelte che ci procurano inimicizia verso molti Paesi del Medio Oriente, del mondo arabo.
Se non sia colpevole, verso il Paese, i lavoratori, operai o tecnici il mezzogiorno, ritardare così a lungo la definizione dell'accordo con l'Algeria per la fornitura di gas metano quando quest'opera di grande ingegno (il metanodotto) è terminata.
Le opere per rifornire di questa risorsa industrie e città del Sud ristagnano, la trattativa per la fissazione del prezzo indicizzato del metano non vanno avanti. Tutto questo non per motivazioni di ordine economico, ma esclusivamente politico.
Intanto la Francia ha firmato l'accordo alle stesse condizioni proposte a noi dagli algerini. Le industrie francesi, fornitrici di macchinari e mezzi per realizzare progetti di sviluppo dell'Algeria, hanno ricevuto commesse.
Da noi il tutto ristagna e paghiamo in termini di credibilità politica e in altissimi costi economici.
Se a ciò aggiungiamo la decisione di avere una "pausa di riflessione" per quanto riguarda il metano sovietico, appare tutta la gravità politica ed economica di questi atti. Quante commesse in meno verranno alle industrie italiane? Anche qui siamo soli a livello europeo, le "grandi democrazie europee" trattano e fanno accordi, operano all'interno di trattati liberamente scelti, ma non si fanno ricattare dall'alleato più forte. Fanno in sostanza una politica che lucidamente considera il quadro internazionale e operano nell'interesse dei rispettivi Paesi.
E noi perdiamo colpi, arretriamo ogni giorno di un po', siamo sempre più deboli politicamente ed economicamente e di conseguenza più costretti e qualcuno disposto, ad ubbidire.
Io mi domando: gli obiettivi del PEN che prevedono di coprire il fabbisogno energetico nazionale aumentando il contributo del gas naturale dai 28 miliardi di metri cubi attuali ai 35 miliardi di metri cubi all'85 e a 43-45 miliardi di metri cubi al 1990, come potranno essere raggiunti se l'Algeria, 12 miliardi di metri cubi, l'URSS 7 miliardi di metri cubi Libia 2-3 miliardi di metri cubi, quindi altri 20 miliardi di metri cubi saranno di Paesi con i quali, per "libera scelta nostra" rallenteremo la fase di stipula dei contratti? Quale credibilità può avere l'obiettivo di passare dal 15,5 % attuale al 18,5 % al 1990 del gas naturale, per contribuire a soddisfare il nostro fabbisogno energetico? Abbiamo stipulato una convenzione con l'ENI per definire un piano regionale e singoli progetti; con l'Assessore Simonelli, i Consiglieri Mignone e Genovese abbiamo partecipato ad una riunione di sindaci che chiedevano l'estensione della rete ai loro comuni e alle industrie lì ubicate.
Mi chiedo con Preoccupazione: ancora una volta valide iniziative programmatorie e aspettative ampiamente motivate rischiano di essere umiliate? Ecco perché il PEN, pur contenendo importanti e positive innovazioni può essere completamente svuotato da atti di politica economica e di politica estera compiuti a livello di governo nazionale.
Risparmio energetico, progressiva riduzione dell'incidenza percentuale del petrolio, aumento del carbone, del gas naturale, massimo utilizzo dell'energia idroelettrica, ricorso limitato al nucleare, sviluppo del solare, della geotermia, ecc., e pluralità di aree geografiche di rifornimento, rimangono obiettivi validi, dai quali si può anche derogare avendo però piena coscienza che così facendo, non si affossa solo un settore, ma si dà un colpo decisivo all'economia del nostro Paese.
La nostra progressiva riduzione di dipendenza verso l'estero, per quanto riguarda le risorse energetiche, rimane tra i prioritari obiettivi da raggiungere.
Conosciamo l'incidenza che questa voce ha nella bilancia dei pagamenti con l'estero, i suoi effetti inflattivi a livello nazionale, la crisi interna che produce.
I colpevoli ritardi accumulati in questo settore non si ricuperano facilmente, ci vogliono anni.
Noi come maggioranza, e anche come Consiglio, abbiamo fatto in questi anni la nostra parte.
Abbiamo legiferato in merito al risparmio energetico, e ci hanno tarpato le ali, abbiamo nuovamente lavorato in VII Commissione unificando le proposte del PCI, del PDUP e della DC, ma siamo bloccati perché a livello parlamentare ancora la legge 2383 non è stata approvata.
Rimane per noi, comunque, il risparmio energetico, un obiettivo importante da raggiungere, perché sappiamo come esso può apportare vantaggi immediati, ricupero immediato di energia. Esso è da considerare come una fonte di approvvigionamento, capace di dare un forte contributo al raggiungimento degli obiettivi al 1990.
Una reale politica di incentivi alla trasformazione dei processi produttivi, misure per il controllo, di efficienza, diffusione dell'informazione, politica dei prezzi, possono dare quei risultati che il PEN stima in una riduzione di 15-20 milioni di tonnellate equivalente petrolio per anno.
Nonostante ciò, e nonostante tutti gli altri interventi già indicati dall'Assessore a nome della Giunta, fissati negli 84 progetti e qui ricordati, il fabbisogno energetico della nostra Regione sarà tale da costringerci a ricorrere a forti quantitativi di importazioni da altre Regioni e dall'estero.
Ecco perché ci siamo fatti carico di questo problema nazionale, che trova nella nostra Regione un punto acuto di crisi, dove il rapporto energia prodotta, energia consumata, è così squilibrato da imporre rigore nei consumi; ricerca e potenziamento di risorse locali, installazione di una nuova centrale elettronucleare.
Intendiamo ribadire qui, dopo l'approvazione del PEN da parte del Cipe dove il Piemonte viene individuato come sede di localizzazione di una centrale elettronucleare da due unità da 1000 MW, che per noi il nucleare sia nel PEN, sia nel piano energetico regionale, è da considerarsi come componente integrativa.
E per quanto ci riguarda, pensiamo che il piano energetico nazionale oltre ad attuare le forme di risparmio possibili, sviluppi la ricerca scientifica e tecnologica sull'energia nucleare pulita, sulle fonti integrative e sostitutive.
Per fare ciò, è necessario disporre di una quantità di risorse che solo l'intervento del Governo può garantire.
Sviluppare forme alternative per produrre energia pulita nella nostra Regione, partendo dall'attivazione delle centrali idroelettriche abbandonate in tutto o in parte, dal biogas, dalla coogenerazione, dalla geotermia, dal teleriscaldamento ecc., e attuando un corretto e conveniente uso dei consumi energetici, può portare davvero a compiere la scelta del nucleare, come fonte energetica complementare, non sostitutiva.
Ed è anche in 'questa direzione, che chiediamo con forza al Governo impegni precisi per sostenere il progetto Ignitor.
Fare avanzare la conoscenza e la tecnologia verso la produzione di energia nucleare "pulita" è un impegno di grande portata che la Regione si è assunta, avvalendosi dell'apporto determinante di scienziati di fama mondiale.
Ma per la portata generale del progetto, il Governo deve manifestare non solo assenso, ma concreto sostegno.
Con l'approvazione del PEN, scattano le procedure previste dalla legge la quale stabilisce che entro 150 giorni, e cioè entro l'8 di giugno, la Regione Piemonte, d'intesa con i comuni interessati, individui le aree su cui dovranno essere approfonditi gli studi per la localizzazione della centrale elettronucleare. Le aree indicati dal PEN, come è noto, sono quelle di Po 1 (Trino) e Po 2 (Isola S. Antonio).
Ci separano dalla data dell'8 giugno ormai 90 giorni, il tempo è poco.
Ma nonostante ciò, credo che nessuno voglia abdicare a favore del Governo il quale, in assenza di una decisione nostra e dei comuni interessati, pu decidere autonomamente.
Se ciò avvenisse sarebbe grave per la Regione e per tutto il sistema delle autonomie locali, e provocherebbe situazioni locali difficili da governare.
Certo è che noi, oggi, ci troviamo ad operare e compiere delle scelte dovendo constatare gravi inadempienze governative e di enti come l'ENEL e il CNEN.
Verso questi enti, credo, amico Genovese, dobbiamo rivolgere essenzialmente la nostra critica, non verso l'Assessorato competente.
La nostra disponibilità ad ospitare un insediamento nucleare era anche accompagnato, se ben ricordiamo l'ordine del giorno del 18 marzo dell'anno scorso, ad una richiesta al Governo molto precisa; essa avrebbe dovuto fornirci un ordine, lo ricordava Genovese, di priorità di tutti i siti individuando a livello nazionale e sulla base di dati oggettivi, quelli dove l'impatto ambientale e sociale ed economico presentava problemi di minore intensità.
Ma anche la localizzazione territoriale delle fonti di produzione di energia, della domanda attuale e delle linee di sviluppo futuro delle Regioni o di aree geografiche più ampie, dovevano costituire parametri necessari per la scelta.
Questi dati non ci sono stati forniti, la carta dei siti è rimasta un elenco indifferenziato di località, gli studi necessari per approfondire singoli aspetti preliminari ed indispensabili per la scelta dei siti, non sono stati fatti.
Il caso più clamoroso è indubbiamente rappresentato dall'area denominata Po 1 (Trino), dove gli studi ENEL sulla quantità di acqua erano palesemente errati, e nonostante che ciò sia stato provato da accurati studi, la stessa ENEL si presenta ancora oggi senza una risposta, senza un nuovo dato, senza un progetto che consideri il fabbisogno complessivo di acqua che ha questa zona.
La produzione risicola intensiva, con tutto il suo sistema di canali per l'irrigazione, non ammette calcoli approssimativi o addirittura sbagliati. Quando parliamo di impatto economico e sociale, ci riferiamo anche a ciò che questo tipo di insediamento può provocare sull'economia agricola del vercellese e del novarese, in termini di distruzione di colture pregiate ed economicamente valide. Ma cosa può significare per l'area Po 2, anch'essa a produzione orticola specializzata, l'eventuale insediamento di una centrale elettronucleare, avendo nel contempo a soli 15 Km di distanza destinata una centrale termoelettrica a carbone? Quale pu essere l'impatto territoriale, non avendo ancora risolto il problema del trasporto del carbone stesso? Credo che siano giuste le cose dette da Genovese quando ci invita a considerare questa realtà in un rapporto con la Regione Lombardia. Ma credo che anche il CNEN e l'ENEL, nel momento in cui individuano queste aree, non possano essere così leggere come sono state, non considerando l'impatto che questi insediamenti possono provocare.
Solo chi è aprioristicamente contrario a compiere la scelta del nucleare, può essere favorevole ad una condotta che non rispetti le regole democratiche e partecipate, perché così potrà organizzare maggiore opposizione.
Per fare comprendere la necessità della limitata scelta del nucleare ci vuole la forza di argomenti seri, fatti da soggetti credibili, con la possibilità da parte degli Enti locali, della Regione e dei cittadini di esercitare il controllo.
Nelle due aree indicate, già da tempo, si sono formate convinzioni che la scelta è stata fatta. E' bene, nell'avviare il lavoro che ci attende nei prossimi mesi, sgomberare subito il campo da questa convinzione.
"Nessuna soluzione è stata prescelta, l'obiettivo da conseguire è quello di accertare se esistono le condizioni preliminari, ambientali e tecniche, sociali ed economiche, per poter decidere, entro la data indicata dell'8 di giugno, in merito all'indicazione di almeno due aree rispetto alle quali avviare la fase di successiva analisi ed approfondimento".
Questo deve essere molto chiaro.
Dare vita alla più larga partecipazione delle comunità, attraverso le sue forze organizzative e in primo luogo quelle istituzionali, quali i Comuni, le USL, i Comprensori e le Province, è decisivo per poter compiere le scelte che ci competono.
Qui sorge un problema di non poco conto.
Ormai numerose, a livello locale, sono le iniziative prese da gruppi e comitati, alquanto eterogenei che si schierano contro il nucleare.
Consideriamo legittimo esprimere riserve o dissensi. Certo è che la presenza in questi comitati di qualificati dirigenti politici di partiti che hanno a livello centrale e regionale accettato la scelta limitata del nucleare, pur considerando le implicanze a livello di singole coscienze che il problema solleva, rappresentano comunque problemi di non poco conto. Ci che vogliamo evidenziare è che la coerenza delle forze politiche a tutti i livelli è un elemento importante, mancando il quale, non solo tutto diventa più difficile, ma si gioca la stessa credibilità di queste forze.
Conosciamo le difficoltà che incontrano i Comuni, sappiamo di posizioni responsabili e anche di opposizioni aprioristiche o campanilistiche.
Un aiuto importante può da noi essere dato, partendo dall'ordine del giorno del 18 marzo 1981 ed operando in coerenza con esso.
Ciò è indispensabile anche in vista della seconda fase, quella della localizzazione della centrale.
Ancora prima di ogni approfondimento tecnico e di merito sulle aree indicate, è necessario che, sulle centrali, le popolazioni siano coinvolte in un dibattito ampio, su due questioni preliminari: 1) quale impatto socio-ambientale produce una centrale di 2000 MW quali problemi suscita in termini di occupazione, assetto socio-economico sul microclima, nella distribuzione dell'acqua, ecc.
2) in che termini si pongono oggi i problemi della sicurezza dell'impianto nucleare, la sua gestione e controllo.
La guida tecnica elaborata dal CNEN, che contiene le indicazioni e le informazioni richieste per le analisi preliminari di sicurezza e protezione, da effettuarsi nell'ambito dell'istruttoria per il rilascio del nulla-osta alla costruzione di centrali elettronucleari di tipo provato adeguandosi alla normativa Europea oggi in atto, risponde a molti dei problemi da noi posti. Ma è evidente che quelle informazioni dovranno diventare patrimonio di tutti i livelli statuali. Ed è a questo fine, per dare alle articolazioni periferiche dello Stato, la possibilità di partecipare in modo concreto, che riteniamo necessario avvalersi, tramite convenzione, delle competenze tecniche dell'Università e del Politecnico.
Già oggi si pone la necessità, onde garantire la massima trasparenza di tutta l'operazione, di avanzare precise richieste: 1) mettere, da parte dell'ENEL e del CNEN, a disposizione tutti i dati acquisiti e acquisire quelli necessari ad una conoscenza completa 2) dichiarare la propria disponibilità, da parte dell'ENEL a sottoscrivere una convenzione con la Regione ed i Comuni interessati onde garantire la presenza ed il controllo democratico in ogni fase successiva di analisi, di elaborazione, di progettazione, appalto ed esecuzione delle opere, centrali ed infrastrutturali, nonché nella gestione e nel controllo dell'impianto, quando esso entrerà in funzione 3) definire subito con l'ENEL un'ipotesi di accordo quadro sui problemi economici ed occupazionali, per garantire correttamente la soluzione dei problemi dei servizi infrastrutturali, degli appalti, delle opere impiantistiche e di quelle collaterali e dell'indotto, in modo da determinare il massimo di beneficio socioeconomico dei Comuni interessati e della Regione.
La crisi produttiva ed occupazionale che investe la nostra Regione è così profonda che necessita una politica attiva di intervento incentrato in più campi.
Produrre investimenti così cospicui, come quelli necessari alla realizzazione di una centrale elettronucleare, può significare per molte unità produttive grandi, medie e piccole, un fattore di ripresa importante e stimolare l'occupazione.
Anche i contributi previsti ai Comuni e alle Regioni dall'art. 17 del D.D.L. 2383, possono essere importanti e allettanti.
Ma ciò che in ultima istanza deciderà, sarà la nostra capacità di operare in modo limpido e democratico, senza sopraffazioni, con gli Enti locali e la gente, che vuole giustamente risposte chiare e convincenti a paure o preoccupazioni, e che intende giustamente essere protagonista e non spettatrice del proprio avvenire.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Majorino.



MAJORINO Gaetano

Desidero preliminarmente ricordare che il 19-20 ottobre del 1979, in quest'aula, si tenne la conferenza regionale sull'energia, la quale si caratterizzò per il suo alto livello culturale e scientifico e nel corso della quale non solo si verificò lo scontro ideologico fra nucleari e antinucleari, ma anche, e più fruttuosamente, si confrontarono con dovizia di realismo le tesi di scienziati, di esperti, di uomini politici e di rappresentanti di forze culturali.
Nell'introdurre i lavori, il Presidente del Consiglio regionale dell'epoca ammonì testualmente: "qui non si decide nulla. Le decisioni verranno prese nelle sedi legittime previste dalla Costituzione, dallo Statuto regionale, dai regolamenti e dalle leggi".
Questa affermazione che era, all'evidenza, ampiamente condivisibile 30 mesi fa (in sede di quella Conferenza regionale sull'energia), è oggi di piena e palpitante attualità, ma in un ben preciso senso: nel senso cioè che in seguito alla predisposizione e all'entrata in vigore (con l'8 gennaio 1982) del Piano energetico nazionale, importanti determinazioni di massima, ma ben precise, in materia energetica, sono operanti e sono state prese nella sede legittima, da parte del soggetto primario competente in materia (il Governo), in coerenza col quadro legislativo vigente. Con riferimento a questa data, che è la data di nascita del PEN, è proprio il caso di dire: "habemus pontificem". Finalmente, habemus pontificem: nel senso che finalmente si è pervenuti alla formazione (seppure ultimi fra tutte le nazioni europee) di un Piano energetico nazionale, accettabile a livello di intenti e di scelte e che ci auguriamo anche continui ad essere accettabile e condivisibile nelle sue linee essenziali future e nella sua futura operatività.
Si superano così, con l'entrata in vigore del PEN, tutte le barriere del ritardo, della saltuarietà, dell'indecisione, della contraddittorietà che avevano sinora caratterizzato la politica energetica nazionale.
Opportunamente, nel Piano energetico nazionale, sono stati recepiti i principi della necessità di mandare a esecuzione la costruzione di centrali elettronucleari, della parallela necessità di sviluppare tutte le fonti rinnovabili di energia, e dell'altrettanto parallela necessità di preliminarmente garantire la sicurezza e la salute dei cittadini e la salvaguardia del territorio Ora, in materia di fonti rinnovabili, le legittime, possibili e doverose iniziative della Regione Piemonte, acquisteranno, a mio avviso una maggiore incisività e saranno suscettibili di essere tradotte in strumenti operativi legislativi, una volta che saranno approdati all'approvazione definitiva quei disegni di "leggi di principio" che sono Attualmente all'esame del Parlamento.
In questo momento, è di pressante attualità che vengano attuati gli adempimenti di competenza della Regione che sono immediatamente conseguenti all'approvazione del PEN.
Si tratta, più che di adempimenti, di "atti dovuti" in quanto - in base al vigente quadro normativo - la Regione Piemonte (indicata dal PEN come Regione suscettibile di localizzazione di una centrale elettro-nucleare) dovrà, come è noto, entro l'8 giugno prossimo, indicare formalmente, ma con l'essenziale accordo dei Comuni interessati, le aree nell'ambito delle quali andrà poi scelto il definitivo "sito puntuale": ed esso andrà scelto nella fase n. 2, e previe quelle approfondite indagini tecniche che saranno dirette alla previsione reale di cautele doverose.
Ed a questo punto vorrei ricordare (anche perché in qualche intervento e, in particolare, in quello della collega Ariotti sono state mostrate perplessità) le garanzie che la legge n. 393 del 1975 prevede per la seconda fase: la legge prevede innanzitutto ulteriori approfondimenti in tempi tecnici sufficientemente lunghi, pari a circa 25 mesi e prevede inoltre la predisposizione di un rapporto preliminare di sicurezza da parte dell'ENEL (evidentemente il concetto di "sicurezza" andrà inteso e dovrà essere inteso in senso di sicurezza onnicomprensiva) che l'ENEL dovrà a sua volta trasmettere al CNEN, e che andrà studiato e rielaborato nell'arco di altri 12 mesi.
Questo rapporto preliminare di sicurezza verrà dunque esaminato dal CNEN e dovrà poi essere ancora approfondito da un'apposita Commissione tecnica.
In altri termini, ritengo che le preoccupazioni che sono state avanzate relativamente all'individuazione delle aree possono e debbono svanire, di fronte alla predisposizione, nella seconda fase, di questi necessari e doverosi rapporti di sicurezza; il che sta a significare che se, dopo l'individuazione delle aree, in sede di individuazione del sito puntuale questi rapporti di sicurezza dovessero lasciare ombre di dubbio, il discorso dell'installazione della centrale dovrà allora essere rivisto e riproposto (anche se risorgeranno allora tutti i grossi problemi energetici).
Questa è la situazione legislativa, e questa situazione mi pare dia le sufficienti garanzie a quanti hanno sollevato preoccupazioni in quest'aula: e che sono poi le preoccupazioni portate avanti da chi continua a non condividere la progettazione delle centrali nucleari. In questa situazione in questo momento relativo alla prima fase, dell'individuazione delle aree ritengo che sia utile e necessario indirizzare le nostre energie e la nostra attenzione all'attuazione, la più sollecita possibile, degli adempimenti preliminari previsti dalla legge, lasciando alle spalle le perplessità, i ritardi e i tentennamenti degli anni passati.
L'adempimento principale in vista della vicina scadenza consiste, a mio avviso, in uno sforzo che dovrebbe essere compiuto ai fini di abbozzare quanto meno un primo principio di "cultura nucleare" nella coscienza delle popolazioni piemontesi interessate, le quali, fino ad oggi, sono state prevalentemente e solamente spettatrici di dibattiti "pro e contro" il nucleare, con connotazioni a contenuto prevalentemente suggestivo.
Questo della cultura nucleare, che è un concetto che mi pare sia stato richiamato anche in altri interventi, è tematica ampiamente condivisa: in tal senso, sulla necessità di questa cultura nucleare, ha avuto occasione di esprimersi il presidente dell'ENEL (nel corso del convegno regionale cui accennavo dell'ottobre '79) e ha avuto occasione di testimoniare - sempre in quella sede - il rappresentante dell'Ente nazionale elettrico francese il quale ha dato contezza di tutto quanto la Francia ha fatto, a partire dal 1956, per l'installazione delle centrali elettronucleari, centrali che da un canto hanno dato buona prova e d'altro canto non hanno dato luogo a inconvenienti, a quanto risulta, di nessun genere. Ed anche dei precedenti e delle altrui esperienze mi pare si debba tenere conto.
Il Presidente dell'Ente nazionale elettrico francese ha messo in evidenza come anche e soprattutto il substrato psicologico dell'operazione nucleare (che è consistito in un "important effort d'information des pouvoirs publics") è stato lo strumento determinante per conseguire il sostanziale consenso delle popolazioni interessate e per battere (come ha avuto occasione di esprimersi, con arguzia, un giornalista nostrano) il "grande vecchio" che cavalca la tigre dell'antinucleare e che si annida verosimilmente nelle "sette sorelle" del commercio petrolifero.
In Francia, dove è in atto questa esperienza ultraventicinquennale (della quale penso che non si possa tener conto) una seria, serena intelligente opera di informazione circa lo stato di necessità che impone la scelta del nucleare è stata diretta verso i privati, intesi come i cittadini dei centri dove devono sorgere le centrali nucleari.
E ha consentito ai pubblici poteri, come ci è stato testimoniato, di superare sul piano psicologico ogni problema.
A questo modello d'oltralpe, che ha avuto come strumento e struttura portante i centri permanenti informativi (sull'opportunità della cui creazione in Piemonte ha anche accennato l'Assessore) ci si può e ci si deve ispirare, stanti anche i buoni frutti conseguiti e di cui siamo stati informati. Questi strumenti devono essere lo sfondo per le approfondite consultazioni che dovranno svolgersi con i Comuni interessati: consultazioni che sono previste dallo Statuto e - soprattutto - dalla legge n. 393, ai fini di conseguire quel "previo concerto" e quel "previo consenso" espressamente previsti dall'art. 2 della legge stessa.
Non mi soffermo sui pur rilevantissimi problemi di sicurezza per le persone, le cose, il territorio, l'agricoltura, e di rifornimenti idrici perché sono problemi che sono già stati illustrati autorevolmente da altri colleghi: e che nel contempo sono "in re ipsa", costituiscono il substrato dell'intera operazione nucleare, e che - soprattutto - costituiscono la condizione essenziale per l'installazione delle centrali nucleari.
D'altro canto, a mio avviso, la serietà e la specializzazione dell'ENEL e del CNEN, costituiscono per sé sole - una seria garanzia al riguardo: ma la più seria garanzia, è data da quel combinato disposto legislativo (che ho citato poc'anzi), in forza del quale si dovrà passare attraverso le strettoie di un ulteriore approfondito piano di sicurezza senza il quale la fase n. 2, la più importante, quella definitiva e rilevante diretta ad individuare in concreto i "siti puntuali" non potrebbe avere corso.
Se questa sarà la strada, sia in sede di "Commissione mista", e sia in qualsiasi altra sede, da parte nostra - Gruppo MSI-DN - ci sarà la massima disponibilità operativa. Purché si rispetti, come è stato ricordato anche da altri colleghi, il termine per la fase n. 1 della localizzazione delle centrali nucleari: è un termine ormai vicino, e sarebbe indubbiamente grave e disdicevole (e non solo per motivi di prestigio per l'istituto regionale) veder scattare l'intervento sostitutivo del Governo espressamente previsto dalla legge.



PRESIDENTE

I lavori terminano per il momento a questo punto. Il Consiglio è convocato per domani mattina.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 19,00)



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