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Dettaglio seduta n.115 del 04/03/82 - Legislatura n. III - Sedute dal 9 giugno 1980 al 11 maggio 1985

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI


Argomento:

Approvazione verbali precedenti sedute


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
In merito al punto primo dell'ordine del giorno: "Approvazione verbali precedenti sedute", non essendovi osservazioni, i processi verbali delle adunanze consiliari del 22 e 23 dicembre 1981, 11 e 18 febbraio 1982 si intendono approvati.


Argomento: Programmazione sportiva (impianti e attivita")

Interpellanza del Consigliere Paganelli inerente la concessione di un contributo per impianti sportivi al Comune di Sommariva Bosco


PRESIDENTE

Circa il punto secondo all'ordine del giorno: "Interrogazioni ed interpellanze", si discute l'interpellanza del Consigliere Paganelli inerente la concessione di un contributo per impianti sportivi al Comune di Sommariva Bosco.
Risponde il Presidente della Giunta.



ENRIETTI Ezio, Presidente della Giunta regionale

Con riferimento all'interpellanza n. 75/402, relativa all'erogazione di un contributo per impianti sportivi al Comune di Sommariva Bosco, le comunico che con deliberazione della Giunta regionale n. 66-26685 del 5/2/1980 venivano ammessi a beneficiare del contributo regionale previsto dal titolo III della legge regionale 10/79 n. 200 istanze pari ad una spesa prevista di L. 4.763.924.988.
Tale spesa veniva impegnata per L. 1.263.924.988 sul capitolo 8610 del bilancio 1980 e per la differenza di L. 3.500.000 si costituiva prenotazione d'impegno sul bilancio 1981.
La predetta deliberazione veniva sospesa per chiarimenti e successivamente approvata limitatamente per la spesa gravante nel bilancio 1980 dal Commissario del Governo che riteneva ingiustificato l'impegno "pluriennale" della spesa in assenza di un preciso provvedimento legislativo di questa amministrazione.
In relazione al provvedimento così assunto si procedeva all'assegnazione dei contributi a favore di quegli Enti locali istanti che avevano comprovato mediante la presentazione di idonea documentazione contabile lo svolgimento dei lavori e quindi, conseguentemente, potevano garantire la scadenza dell'obbligazione assunta entro l'esercizio finanziario di competenza.
Poiché il Comune di Sommariva Bosco ha dato comunicazioni nel merito in data 18/6/1981 e più precisamente veniva reso noto l'ammontare dei lavori eseguiti con nota in data 2/11/1981 (5/11/1981), non è stato possibile entro il trascorso esercizio finanziario provvedere all'ammissione del Comune al contributo regionale.
La concessione al citato Comune del contributo di L. 25.147.000 verrà disposta con provvedimento da assumere nel corrente anno in coerenza con lo stanziamento che sarà iscritto nel bilancio 1982 in base alla legge di rifinanziamento della legge regionale 10/79 in corso di predisposizione.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Paganelli.



PAGANELLI Ettore

Sotto il profilo burocratico non ho nulla da eccepire, c'è però un piccolo particolare e cioè che, con lettera protocollo segreteria n. 24 del 7 novembre 1981, il Presidente della Giunta comunicava che erano stati stanziati per il Comune di Sommariva Bosco 25 milioni 147 mila lire.
Il Presidente della Giunta, dando questa comunicazione, ha legittimato il Comune ad avviare i lavori, prima che il Commissario di Governo avesse dato la sua approvazione.
Comunque, non voglio fare una sterile polemica. Il punto essenziale sta nel fatto che il Presidente ha risposto che, nel corso del corrente esercizio, il Comune di Sommaria Bosco, il quale ha già iniziato i lavori per non incappare in aumenti di spesa, avrà il contributo che gli è stato comunicato dal Presidente della Giunta.


Argomento: Commercio

Interrogazione dei Consiglieri Bontempi e Viglione inerente l'erogazione di contributi in base alle leggi 47/78 e 10/74


PRESIDENTE

Passiamo all'interrogazione dei Consiglieri Bontempi e Viglione inerente l'erogazione di contributi in base alla legge 47/78 e 10/74.
Risponde l'Assessore Marchesotti.



MARCHESOTTI Domenico, Assessore al commercio e artigianato

Un anno addietro, il 19 febbraio 1981, venne presentata in Consiglio regionale un'interrogazione sulla situazione gestionale del credito a favore dell'artigianato, gestito dalla Regione Piemonte secondo le disposizioni della legge 47/1978.
Fui io stesso a sottolineare, d'intesa con gli interroganti, tutta la necessità, data la rilevanza del settore, di portare la discussione in sede di Consiglio al più presto, in modo da affrontare in termini politici i problemi della gestione, ma anche della prospettiva dell'intervento finanziario della Regione nei confronti dell'artigianato.
Ancora la discussione non è stata portata in sede di Consiglio e ritengo dunque opportuno rispondere nel merito all'interrogazione e al tempo stesso ribadire l'urgente opportunità di fissare la discussione soprattutto alla luce di nuovi avvenimenti di rilevanza politica all'interno del settore e soprattutto del come la politica creditizia del Governo centrale ha messo in crisi gli strumenti di agevolazione finanziaria, l'Artigiancassa e la legge regionale 47, in un quadro aggravato dalla crisi economica che investe la nostra Regione.
La legge regionale 47 ha dato in questi anni un notevole impulso all'artigianato piemontese, permettendo investimenti di varia natura e tipologia, dall'acquisto, ampliamento, e rinnovamento dei laboratori artigiani, all'acquisto dei macchinari per rinnovare e qualificare l'organizzazione produttiva delle imprese, ai contributi sulle spese d'esercizio degli artigiani, al leasing che si è rivelato uno strumento valido d'intervento finanziario e in forte sviluppo (dai 7 miliardi e 600 milioni di operazioni agevolate nel 1979, di anno in anno l'intervento si è più che raddoppiato), alla determinante spinta data dalla Regione anche in termini finanziari, alla costituzione e al consolidamento delle cooperative artigiane di garanzia che oggi nella nostra Regione sono una realtà che tende ad allargare il proprio campo di intervento dalle operazioni di breve termine a quelle di medio e lungo termine.
Le cifre di questo impegno voi le conoscete, annualmente a marzo viene presentata in Consiglio una dettagliata relazione sullo stato di applicazione della legge 47, è in fase di preparazione la relazione del 1982 e verrà diffusa alla fine del mese di marzo.
Voglio però ricordare alcuni, dati significativi pubblicati nella relazione del marzo 1981.
La Regione ha ammesso a contributo dal 1974 al 31/12 del 1980:



FINANZIAMENTI A MEDIO TERMINE



PRESTITI D'ESERCIZIO

domande importo 10.403 38.910.250.000 (contributo 5%) LEASING domande importo 668 25.955.810.000 (contributo totale per i contratti quinquennali 21 % cioè 6 anticipato + 3 % annuo)



COOPERATIVE ARTIGIANE DI GARANZIA

cooperative importo 25 1.338.007.055 (secondo varie forme di finanziamento in conto capitale, tra cui la partecipazione alla formazione del capitale sociale).
Nell'81 come è facile comprendere si è registrata un'ulteriore forte espansione del credito che saremo in grado di documentare con la prossima relazione illustrativa.
Voi dunque capite che insieme al raggiungimento di questi obiettivi si è dovuto far fronte ad una impressionante dimensione gestionale e che un anno fa, oggi siamo in forte recupero, si erano presentati effettivamente e qui vado allo spirito dell'interrogazione ritardi di erogazione dei contributi alle imprese.
Quali le cause, si chiede? Partiamo dalla ragione di fondo per poi esaminare le cause strutturali e vedere come si è proceduto per superare questi ritardi: la ragione di fondo è quella di un ente che svolge una pesante attività gestionale, pur non essendo e non dovendo essere in prospettiva un ente di gestione.
La Regione e i suoi Assessorati non possono essere un Istituto di credito speciale, né possono svolgere massicci compiti di ordine gestionale. Per non parlare qui del prezzo politico che un Assessorato paga dovendo impegnare le proprie energie in attività di gestione anzich valorizzarle nella direzione verso cui l'Ente regione deve andare in termini di programmazione e di attività di indirizzo e di coordinamento.
E' anche per far fronte a questi problemi che la Giunta regionale ha presentato nel giugno scorso il proprio disegno di legge di deleghe alle Province e alle Comunità montane di importanti funzioni fra cui comparti di rilievo della gestione del credito all'artigianato.
LE CAUSE STRUTTURALI DEI RITARDI Un anno fa i ritardi nelle erogazioni intanto si manifestavano negli uffici regionali nel provvedere alle delibere di liquidazione dei contributi; a questi ritardi però, bisogna sapere, si aggiungevano (anzi precedevano) i ritardi degli istituti di credito nella conclusione dei contratti (per ovvi calcoli degli istituti di credito sul piano finanziario e patrimoniale sulle operazioni, lentezze per la verità non sempre condivisibili anche se ognuno fa il proprio mestiere); si aggiungevano ancora i ritardi nell'effettuazione dei pagamenti della ragioneria regionale che in quel periodo operava secondo una tecnica ancora manuale.
Per restare comunque al ritardo degli uffici dell'Assessorato due erano i fattori che giocavano: Il primo di natura contingente riguardava l'ancora recente revisione della precedente legge 10, e i conseguenti problemi di adeguamento gestionale alla nuova legge 47 del luglio 1978.
Il secondo fattore non l'abbiamo risolto ancora oggi e probabilmente non è risolvibile come dicevo mantenendo la gestione in Regione, ed è quello di una assoluta carenza strutturale degli uffici in termini di personale, in termini di profili professionali tecnicamente specializzati ed ancora in termini di meccanizzazione di importanti parti dell'attività lavorativa.
Sono comunque lieto oggi, di poter dire che rispetto ai problemi che avevamo davanti, il grosso lo si è fatto.
1) Si è attuata una nuova convenzione con gli istituti di credito che semplifica le attività prevedendo rate costanti semestrali di ammortamento e inoltre si è fissato il tasso a carico dell'artigianato immediatamente agevolato, prescindendo dall'erogazione o,dei contributi regionali, che quando vengono erogati sono direttamente incamerati dagli istituti di credito, con gli evidenti vantaggi per le imprese. (Adesso questo principio che noi abbiamo fissato viene messo in discussione da un disegno di legge di Andreatta; vedremo come si evolverà il dibattito).
2) La ragioneria regionale ha compiuto un notevole salto di qualità riducendo i propri ritardi, attraverso scelte tecniche ben congegnate ultima fra tutte i cosiddetti ruoli di spesa fissa, avviando così meccanismi di pianificazione della spesa e attribuendo, pluriennalmente, la gestione delle erogazioni alla Tesoreria regionale.
3) I ritardi degli uffici dell'Assessorato sono stati in massima parte superati, con uno sforzo notevole, ma quel che conta superati.
Lascio da parte i comparti nei quali ritardi non si erano presentati e cioè i contributi all'associazionismo e alle cooperative artigiane di garanzia.
La situazione di stretta creditizia impone, io credo, l'apertura di una nuova fase che avvii un processo di qualificazione ma al tempo stesso di contenimento del credito agevolato.
In questo senso l'Assessorato sta lavorando alla predisposizione di due provvedimenti che verranno portati in Consilio regionale su proposta della Giunta, essi danno una prima disciplina di qualificazione e contenimento al credito gestito dall'Artigiancassa piemontese, grazie ai nuovi poteri attribuiti dal DPCM del 30 dicembre 1980, e dalla stessa legge regionale 47.
Si sta procedendo a questi lavori attraverso un gruppo di lavoro della Consulta regionale per il credito all'interno della quale sono presenti i funzionari dell'Assessorato, i rappresentanti delle Associazioni regionali di categoria e sono stati più volte coinvolti i dirigenti e i tecnici dei maggiori istituti di credito piemontese e dell'Artigiancassa, anche a livello della direzione romana.
Discussi ed approvati i suddetti provvedimenti passeremo, sempre all'interno della Consulta, ad esaminare politicamente e tecnicamente le delicate questioni aperte inerenti alla revisione della legge regionale sul credito secondo le direttrici di lavoro elaborate alla seconda conferenza regionale per l'Artigianato a Stresa.
L'urgenza, anche finanziaria, di aprire questa nuova fase politica per il settore, pone dunque con insistenza, e in questo senso mi associo alla richiesta del Presidente della I Commissione consiliare Gilberto Valeri che sia l'intero Consiglio regionale a discutere e a pronunciarsi sulle questioni che io qui ho appena accennato.



PRESIDENTE

La parola all'interrogante Consigliere Viglione.



VIGLIONE Aldo

Devo rilevare che la risposta è venuta dopo un anno anche perché nel corso dei lavori della I Commissione era stato introdotto un documento che noi rifiutammo di esaminare se non veniva data risposta ad una serie di interpellanze che da circa un anno giacevano sul tavolo dell'Assessore.
L'Assessore ha citato oggi dati e una serie di interventi che sono stati attuati nel periodo che va dal 1975 ad oggi.
E' noto che nel campo dell'artigianato vi è una sorta di contestazione generale per la situazione che si è creata e che può essere dipesa o che dipende non soltanto da fattori regionali, ma anche da fattori nazionali legati soprattutto al sistema monetario del credito oggi in vigore.
Dobbiamo dire però che non tutto dipende da fattori finanziari, che spesso siamo portati a vedere come il dato primo. Lo stesso Assessore ha fatto un'autocritica dicendo che per l'impianto e per la liquidazione definitiva di una pratica occorrono tempi che oggi non sono più accettabili, quindi insostenibili.
Rilevo questo non con spirito di polemica, ma con spirito costruttivo.
Lo sconcerto e l'amarezza che esiste nel campo dell'artigianato, a nostro giudizio, ha una base. Lunedì, per caso, ho incontrato rappresentanze di associazioni dell'artigianato che mi hanno chiarito alcuni aspetti della vicenda, quali, ad esempio, il rifiuto di convocare la Commissione per la determinazione o la liquidazione delle pratiche o comunque l'avvio delle pratiche, in pendenza di una situazione monetaria e finanziaria che sappiamo anche noi essere critica.
Non siamo d'accordo sotto questo aspetto. Riteniamo che anche nel momento in cui non esistano possibilità finanziarie, almeno per la determinazione delle priorità e delle esigenze, che in apertura di credito potrebbero trovare soluzione, le Commissioni debbano funzionare. Questa è l'opinione del gruppo socialista. Quindi, non ci si arrende per il semplice fatto che il Ministro Andreatta ha chiuso il canale del credito. Occorre far funzionare questa macchina anche dal punto di vista della vicenda burocratica che oggi è instaurata e che è più difficile a dover rimuovere.
Prendo atto delle dichiarazioni che ha reso l'Assessore, lo ringrazio per l'ampiezza dei dati formulati, ma mantengo ferme le mie riserve.


Argomento: Istruzione e Formazione Professionale: argomenti non sopra specificati

Interrogazione dei Consiglieri Bastianini, Marchini e Turbiglio inerente l'Istituto Bonafous


PRESIDENTE

Esaminiamo l'interrogazione dei Consiglieri Bastianini, Marchini e Turbiglio inerente l'Istituto Bonafous.
La parola all'Assessore Cernetti.



CERNETTI Elettra, Assessore all'assistenza

La situazione attuale dell'Istituto agrario "Bonafous" di Torino, ente morale riconosciuto a norma della legge 17.7.1890 n. 6972, è quella di un'istituzione che, pur dotata di un considerevole patrimonio immobiliare costituito da terreni e fabbricati in Torino e in Chieri non ha mezzi finanziari sufficienti per far fronte alle esigenze di bilancio.
Nei confronti dell'ente è stata a suo tempo avviata la procedura di soppressione ai sensi della legge regionale 10.4.1980, n. 20, procedura poi interrotta a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 173/81 che ha dichiarato l'illegittimità delle norme dell'art. 25 del DPR 24 luglio 1977 n. 616 concernenti il trasferimento delle Ipab ai Comuni.
Nelle more di attuazione della legge citata la Giunta regionale con deliberazione in data 23.6.1981 aveva, altresì, avviato il procedimento di scioglimento del Consiglio di amministrazione dell'ente e la nomina di un Commissario ai sensi dell'art. 48 della legge 17.7.1890 n. 6972, in quanto gli enti preposti per statuto ad effettuare le nomine dei componenti il Consiglio, benché invitati a provvedervi, non avevano ritenuto di ottemperarvi e inoltre perché la maggior parte dei Consiglieri erano dimissionari.
Tale deliberazione della Giunta è stata di recente revocata in quanto nel frattempo si è insediato il nuovo Consiglio di amministrazione dell'Istituto. Ciò premesso, si fa presente che a norma di legge ogni decisione in merito all'utilizzo delle strutture di proprietà dell'ente compete all'attuale Consiglio di amministrazione sotto la vigilanza delle USL di Torino e di Chieri cui tale funzione è stata delegata.
Al riguardo si precisa che nel corso di incontri avuti con i rappresentanti dell'Ente si è avuta notizia di accordi intercorsi fra l'ente e altri organi per un utilizzo parziale delle strutture, tra cui pu annoverarsi: 1) l'affitto di parte dei locali al comune di Chieri per la sede della sezione di Pessione dell'Istituto professionale di Stato per l'agricoltura "C. Ubertini" 2) l'affitto delle stalle all'Istituto zoo-profilattico sperimentale per un centro Tori che entrerà in funzione in primavera-estate 3) l'affitto alla Regione per il trasferimento a Chieri del Laboratorio agrochimico regionale.
Per quanto riguarda, invece, la richiesta avanzata dall'Università degli Studi di Torino per far ospitare istituti di studi biologici risulta che sia stata data in merito risposta negativa in quanto l'ente intende conservare il carattere di istituzione agraria in relazione ai propri fini statutari.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marchini.



MARCHINI Sergio

In questo caso non c'è da dolersi dei ritardi della risposta. Infatti nell'estate del 1981, probabilmente sarebbe stata prematura e poi sconfessata dalle vicende conseguenti alla sentenza della Corte Suprema.
Prendo atto che l'iter è tornato nelle mani dell'ente gestore della struttura e quindi rimane da dare un giudizio di merito sull'orientamento che sta andando avanti. Sono condivisibili gli orientamenti specifici sui quali l'ente si è orientato, sia pure con l'utilizzo dello strumento della convenzione o dell'affittanza ad altri soggetti. Notiamo peraltro che l'inserimento di strutture non collegate da un progetto organico probabilmente continuerà a condannare questa struttura a situazioni di precarietà e di non omogeneità.
Suggerisco all'Assessore che voglia farsi parte diligente e di intermediazione tra l'Università degli Studi e l'ente per verificare in che misura la richiesta dell'Università sia incompatibile rispetto alla destinazione agraria che l'ente intende perseguire. Non ritengo infatti che il tipo di intervento che vorrebbe avviare l'Università sia del tutto slegato da questo aspetto della problematica.
Nel dichiarare la mia soddisfazione della risposta, aggiungo (diceva Napoleone che bisogna anche cercare gente fortunata) che l'Assessore è stato fortunato nei suoi ritardi perché gli hanno permesso di dare una risposta puntuale ed esauriente.
Invito l'Assessore a voler approfondire la nostra proposta di farsi parte mediatrice, al di là del rifiuto formale che è un fatto documentale probabilmente non politico, rispetto alla richiesta dell'Università degli Studi, anche perché abbiamo l'impressione che la sentenza della Suprema Corte ha interrotto un processo o comunque ha chiesto che a questo processo venissero aggiunte maggiori condizioni di tipo giuridico. Ma la sentenza della Cassazione non rimuove le ragioni di fatto che avevano impedito il decollo della struttura, quindi è probabile che a tempi non lunghi il Consiglio regionale o l'Assessorato debbano farsi carico del problema perché le ragioni obiettive sono rimaste.
Un intervento politico e programmatorio della Regione, sia pure con poteri limitati, va in qualche misura gestito. Raccomando all'Assessore di voler verificare l'opportunità di un incontro con le parti per valutare quanto della risposta dell'Università degli Studi è realizzabile nell'immediato e soprattutto a che cosa tende in prospettiva nel recupero del complesso in un concetto di organicità.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARCHIARO


Argomento: Beni culturali (tutela, valorizzazione, catalogazione monumenti e complessi monumentali, aree archeologiche)

Interrogazione dei Consiglieri Bastianini, Marchini e Turbiglio inerente servizi e strutture per handicappati


PRESIDENTE

Interrogazione dei Consiglieri Bastianini, Marchini e Turbiglio inerente servizi e strutture per handicappati.
Risponde l'Assessore Cernetti.



CERNETTI Elettra, Assessore all'assistenza

In riferimento all'interrogazione in oggetto, concernente la sentenza della Corte Costituzionale sull'interpretazione della normativa che dispone l'integrazione scolastica dei soggetti handicappati la Giunta regionale ha assunto come linea politica nell'affrontare i problemi dei soggetti handicappati quella del loro inserimento nelle normali strutture educative scolastiche, lavorative, sportive e di tempo libero, mediante adeguati strumenti e attività di sostegno, poiché ritiene che l'inserimento sia metodo adeguato per la socializzazione e la maturazione dei soggetti interessati e la loro conseguente massima autonomia possibile.
Non può quindi non preoccupare la possibile strumentalizzazione del dispositivo della sentenza della Corte Costituzionale, in un contesto scolastico che, già carente per dotazioni di personale e strumenti necessiterebbe di stimoli positivi e di dotazioni adeguate.
E' conseguente pertanto che la Regione si impegnerà in ogni sede opportuna per stimolare e promuovere anche l'inserimento nelle strutture educative e scolastiche, essendo invece di competenza degli organismi scolastici la messa a disposizione di adeguati strumenti.
Per quanto concerne la predisposizione dei servizi sociali di appoggio all'integrazione (quali l'assistenza domiciliare, l'affidamento familiare le comunità alloggio, le case protette), nell'allegato 19 del piano socio sanitario approvato dal Consiglio regionale il 23/12/1981 la Regione ne ha definito le linee fondamentali di impostazione.
Si è impegnata pertanto a promuoverli e a incentivare anche finanziariamente (nei limiti delle proprie disponibilità di bilancio) gli Enti locali competenti alla loro organizzazione, nonché a verificarne i contenuti e le modalità di esecuzione perché siano idonei a concorrere al fine dell'integrazione sociale dei soggetti handicappati.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marchini.



MARCHINI Sergio

L'insoddisfazione del Gruppo non è tanto nella risposta dell'Assessore ma "in re ipsa", ossia in quello che è il contenuto della risposta.
Apprezziamo il fatto che l'Assessore utilizzi la stessa nostra espressione per esprimere il timore che abbiamo tutti e cioè che i principi espressi dalla Corte di Cassazione vengano strumentalizzati in un contesto socio-culturale estremamente difficile da governare.
Quest'occasione ci dà spazio per richiamare la nostra preoccupazione e soprattutto per richiamare ai colleghi la gravità del principio affermato dalla Corte di Cassazione, la quale ha ritenuto che il diritto all'istruzione, previsto dalla Corte Costituzionale, ci sia nella misura in cui il cittadino possa esserne fruitore. Ritorna il vecchio problema dell'eutanasia. Mi pare "tranchant" rimettere ad un giudizio di pura e immediata valutazione la capacità dell'handicappato a trarre profitto dal permanere nelle strutture scolastiche ordinarie.
La Cassazione ha fatto una scelta di tipo imprenditoriale - spiace dirlo da parte di un liberale. Il rendere il servizio all'handicappato mette in discussione l'art. 97 della Costituzione sul funzionamento degli uffici, ossia l'handicappato viene espulso perché mette in crisi la massima efficienza del sistema (sempre che il sistema scolastico tenda a raggiungere il massimo di efficienza).
Con questa sentenza si è riaperta una vecchia "querelle" e soprattutto si è riaperta uno scriminante rispetto ai cittadini che scriminante l'hanno già avuto dalla madre natura.
Nell'esprimere un giudizio di non soddisfazione, che non attiene all'operato dell'Assessorato, ma alla situazione che comunque emerge, e l'insoddisfazione per i pochi poteri istituzionali e normativi che competono alla Regione, raccomandiamo la massima sorveglianza e il massimo impegno da parte dell'Assessore e della Giunta per il concorso nella realizzazione di strutture alternative, che peraltro debbono essere rifiutate concettualmente come qualche cosa di alternativo rispetto al diritto che ai cittadini compete, checché ne dica la Corte di Cassazione.
Badiamo bene che si è pronunciata la Corte di Cassazione in un procedimento penale, quindi siamo ancora a livello di magistratura di diritto e non di magistratura di tipo politico.
Chiediamo peraltro all'Assessore che questi interventi non siano mai a supporto dei principi che sono stati espressi in questa sentenza, che il nostro Gruppo non condivide e che critica.


Argomento: Celebrazioni Manifestazioni Anniversari Convegni

Interrogazione dei Consiglieri Bastianini, Marchini e Turbiglio inerente l'utilizzazione del Castello di Rivoli per esposizione di collezione statunitense di arte contemporanea


PRESIDENTE

Passiamo all'interrogazione dei Consiglieri Bastianini, Marchini e Turbiglio inerente l'utilizzazione del Castello di Rivoli per l'esposizione di collezione statunitense di arte contemporanea. Risponde l'Assessore Rivalta.



RIVALTA Luigi, Assessore alla pianificazione territoriale

L'interrogazione dei colleghi liberali si richiama a un articolo recente, pubblicato su "Paese Sera", secondo il quale la famosa collezione di arte contemporanea statunitense (e non solo) del signor Panza di Biumo dislocata attualmente a Varese, è stata offerta in prestito quindicinale allo Stato e agli Enti locali in vista di una probabile donazione, a causa delle difficoltà incontrate dal privato collezionista per un'adeguata conservazione ed esposizione. Tra gli enti candidati a beneficiare del prestito vi sarebbero oltre alla Galleria d'Arte Moderna di Roma e alla Sovrintendenza di Brera, anche il comune di Vigevano che metterebbe a disposizione un castello.
Il dottor Panza mi ha avvisato che lo stesso comune di Parigi, nella persona del sindaco, s'è mostrato interessato a riunire a Parigi l'intera sua collezione, ed anche istituzioni culturali scozzesi proporrebbero la sistemazione in un castello in Scozia. L'interrogazione si richiama anche al fatto che la Regione Piemonte è fra le istituzioni che si sono proposte di accogliere la collezione e proprio per questo ha dato vita a opere di ristrutturazione, oggi sono in corso, nel castello di Rivoli.
L'interrogazione mostra preoccupazione per il fatto che le trattative si dilungherebbero e i loro esiti anche per la presenza di prestigiosi concorrenti appaiono incerti, mentre, d'altra parte, il trascorrere del tempo potrebbe favorire lo smembramento della raccolta, parte della quale si trova già in Svizzera e in Germania.
I Consiglieri interrogano il Presidente della Giunta e l'Assessore per sapere a che punto siano giunte le trattative intraprese dalla Regione quali e di quale natura siano gli eventuali ostacoli che si interpongono alla loro conclusione, quali prospettive favorevoli o no si prefigurano per la Regione Piemonte e quali alternative si intendono proporre per l'utilizzazione del castello, terminati i lavori di ristrutturazione qualora gli esiti della trattativa risultassero negativi.
Voglio subito precisare che la Regione Piemonte non ha soltanto intavolato trattative con il dottor Panza, ma ha portato a termine questa trattativa: è stata infatti firmata, ancora nella passata legislatura, e questo sottolinea che ci siamo mossi con molta tempestività.
La convenzione firmata dall'allora Presidente Viglione e dal dott.
Panza di Biumo, impegna il dottor Panza a trasferire la sua collezione da Varese nel castello di Rivoli sempreché si mettano a disposizione le sale entro la fine del 1982. Per dare completa risposta all'interrogazione dei colleghi, voglio leggere la lettera che mi è stata inviata dal dottor Panza in risposta alla trasmissione, da parte mia a lui, dell'articolo di "Paese Sera" e dell'interrogazione dei colleghi Bastianini, Turbiglio e Marchini: "Egregio Assessore, rispondo con piacere all'invito rivoltomi di dare notizia in merito all'interrogazione presentata dai Consiglieri regionali Bastianini, Marchini e Turbiglio. In data 25 luglio 1980 è stato firmato da me e mia moglie un contratto di comodato con la Regione Piemonte contenente l'elenco delle opere che saranno depositate nel castello di Rivoli per una durata di 15 anni. Le opere si trovano in un magazzino della mia casa a Varese, non sistemate nelle stanze di esposizione in quanto sono destinate al castello di Rivoli. Se gli interroganti desiderano vedere delle fotografie sono pronto ad inviarle con piacere. Le opere sono anche illustrate nel catalogo della collezione pubblicato dai musei di Düsseldorf".
Per inciso aggiungo che è sempre attuale l'invito che il dott. Panza ha fatto ai Consiglieri regionali per una visita a Varese; si tratta di decidere quando e come ci possiamo andare.
Riprendo la lettura: "L'elenco allegato al contratto di comodato potrà subire qualche modifica di importanza marginale, si riterrà opportuno fare alcuni miglioramenti dettati da una più chiara e completa percezione delle stanze con il procedere dei lavori. Le modifiche da farsi saranno proposte previo accordo con gli Assessori competenti quando i lavori di restauro saranno quasi completi e sarà quindi possibile avere una visione delle condizioni finali dei locali. Spero che presto sia possibile iniziare il recupero anche dell'edificio adiacente al castello che fu in origine la quadreria di Emanuele Filiberto, denominato 'manica lunga'; a causa della sua forma stretta e allungata non si presta a usi alternativi ma sarebbe uno spazio ideale per delle opere d'arte che ho riservato per questo edificio in attesa di una decisione da parte della Regione. La Regione Piemonte è stata la prima istituzione italiana che ha destinato uno spazio pubblico all'esposizione di una parte consistente della mia collezione. E' mia intenzione che l'attuale comodato sia rinnovato alla sua scadenza se tutto, come ho piena fiducia, procederà nel modo concordato.
Se anche l'edificio 'manica lunga' verrà rapidamente restaurato e adibito a spazio di esposizione delle altre opere riservate a questo scopo è mia volontà legarle unitamente a quelle che si troveranno nel castello con una disposizione testamentaria alla mia morte alla Regione Piemonte.
Lieto di questa occasione per precisare i miei programmi relativamente alla futura situazione delle opere d'arte, la saluto molto cordialmente".
Credo che la lettera dia completa risposta all'interrogazione dei colleghi liberali circa l'esito di una trattativa che non solo è stata avviata ma che ha già avuto una conclusione. La lettera del dott. Panza apre delle possibilità per il futuro che non erano contenute nel comodato con la Regione.
Successivamente il dott. Panza è venuto a Torino e abbiamo avuto un colloquio nel corso del quale, superando la timidezza che di solito mi trattiene in queste situazioni, ho sollecitato il dott. Panza ad esprimersi sulle prospettive di collocazione dell'altra parte della sua collezione che non è prevista nel comodato e che è depositata per un periodo di quindici anni a Düsseldorf e a Basilea. Mi ha risposto che, nonostante le sollecitazioni di riunire la collezione a Parigi, o in Scozia o in altre parti d'Italia, se la Regione Piemonte manifesta un interesse a procedere verso la riunione dell'intera collezione a Torino (sarebbe necessario poter disporre di altri locali), egli sceglierebbe certamente la Regione Piemonte.
E' aperta quindi la possibilità di un progetto che riunisca questa collezione di arte post-moderna, che è ritenuta una delle più consistenti a livello mondiale. Argan quando venne a Torino e fu da noi interpellato sottolineò l'importanza di riunire tutta la collezione, essendo riduttiva e parziale la collocazione della sola parte che si trova a Varese.
Credo che questa prospettiva sia da seguire con molta attenzione; di essa però non potrà farsi carico soltanto la Regione: va inteso come un progetto di iniziativa culturale di cui la Regione Piemonte si fa portatrice anche verso il Governo. Mi risulta che siano state presentate delle interrogazioni alle Camere perché questa collocazione non vada dispersa e perché comunque non vada all'estero.
Questo progetto dovrebbe essere legato alla ristrutturazione di qualche edificio storico, per esempio del castello di Venaria, per il quale ho già avuto dichiarazioni di disponibilità da parte del generale Pezzopane per il trasferimento alla Regione Piemonte della parte di proprietà delle Forze Armate. In esso, l'intera collezione del dott. Panza di Biumo potrebbe essere convenientemente riunita.



PRESIDENTE

La parola all'interrogante, Consigliere Bastianini.



BASTIANINI Attilio

Prendo la parola innanzitutto per ringraziare l'Assessore della tempestività della sua risposta ma soprattutto delle verifiche che ha inteso compiere a seguito della nostra interrogazione e in secondo luogo per sottolineare l'importanza dell'operazione culturale che è stata avviata nella passata legislatura e che il nostro gruppo ritiene di ribadire.
Si tratta di una collezione molto importante, ancorché sovrabbondante su alcuni indirizzi e scoperta su altri, com'è proprio delle collezioni private, ma si tratta di una collezione che dà un panorama completo e credo - il più importante e fecondo indirizzo dell'arte contemporanea mondiale, quindi, davvero le forze politiche del Consiglio e l'opinione pubblica devono ritenere come il progetto di portare in Piemonte la collezione Panza di Biumo non sia una cosa secondaria e marginale, ma sia un atto centrale della politica culturale in Piemonte.
L'Assessore Rivalta mi permetta una battuta amichevole e scherzosa: questa scelta mi fa maggiormente piacere e dirò perché. Alcuni anni fa sono stato in visita a Leningrado dove vi è uno stupendo Museo, all'interno del quale sono raccolte decine e decine di capolavori di arte contemporanea nelle sale più brutte in cui l'accesso è consentito solo agli stranieri.
Questa scelta mi fa molto piacere perché in essa vedo la diversità rispetto al comunismo dell'est.



RIVALTA Luigi, Assessore alla pianificazione territoriale

La mia diversità risale da tempo, non solo da questo fatto.



BASTIANINI Attilio

L'ho detto che è una battuta scherzosa.
Faccio un'osservazione. Occorrerebbe avere la certezza che tutte le opere che sono in Italia facciano parte di questo primo pacco che viene trasferito a Torino non appena sarà ultimato il Castello di Rivoli e che si operi sin da adesso per la congiunzione dell'intera collezione.
La risposta di Rivalta ci tranquillizza soprattutto per i passi che ha compiuto per verificare che non si fossero cambiate le regole del gioco.
Riteniamo di aver fatto il nostro dovere nell'aver segnalato tempestivamente quell'articolo di giornale che metteva in forse il diritto della Regione Piemonte, acquisito in base ad un documento contrattuale, di avere questa collezione.


Argomento: Opere pubbliche - Edilizia: argomenti non sopra specificati

Interrogazione dei Consiglieri Bastianini, Marchini e Turbiglio inerente gli interventi finanziati sul secondo biennio della legge 457/78 ex L.R. 26/76


PRESIDENTE

Interrogazione n. 314 dei Consiglieri Bastianini, Marchini e Turbiglio inerente gli interventi finanziati sul secondo biennio della legge 457 del 1978 ex legge regionale 26/76.
La parola all'Assessore Rivalta.



RIVALTA Luigi, Assessore all'edilizia residenziale

Mi premeva dare oggi una risposta perché questa interrogazione si trascina da qualche settimana. Con realtà, sottolinea dei problemi che si pongono con una certa drammaticità nell'ambito dell'attuazione del programma di edilizia e richiedono delle soluzioni urgenti.
L'interrogazione pone il problema della non contemporaneità dell'emissione dei mutui della legge 457 con quelli della legge regionale n. 28.
Infatti, non sono stati deliberati dalle banche i mutui della legge 457 e non sono stati avviati quelli della legge 28, ma le ragioni non sono quelle adombrate nell'interrogazione. La ragione principale è che stavano scadendo i quattordici mesi previsti dalla legge 457, entro i quali dovevano essere deliberati i mutui e perfezionate le altre operazioni previste dalla legge, pena la perenzione dei fondi stanziati.
Ci siamo quindi preoccupati di rispettare la scadenza della legge 457 per non trovarci di fronte a spiacevoli decisioni romane.
Le banche hanno fatto un'operazione positiva nel senso che hanno deliberato i mutui sulla base della prima documentazione disponibile fornita dagli enti e dai soggetti attuatori.
Il Consigliere Bastianini sa perché siamo arrivati a queste scadenze: difficoltà nel reperimento delle aree, difficoltà nei rapporti tra i soggetti attuatori e i comuni nel definire le convenzioni, difficoltà degli stessi soggetti attuatori, dovuta al clima di incertezza che si è creato nel periodo da giugno a novembre circa la stipula dei mutui da parte delle banche. Tale incertezza ha rallentato la stessa operosità dei soggetti attuatori nello svolgimento delle pratiche burocratiche.
Sarebbe stato opportuno mettere in moto anche quei mutui della legge 28 e gli interventi autofinanziati che non sono ancora stati attivati.
Per la legge 28 la Regione e i soggetti attuatori si sono trovati in difficoltà in quanto le banche hanno posto condizioni onerose. In un primo tempo le banche hanno offerto di deliberare mutui con capitale indicizzato che era l'unica forma a loro possibile, in quanto era esaurita la quota di riserva e non praticabile la raccolta con le obbligazioni a rate costanti.
Le cooperative e le imprese però non hanno potuto accettare un impegno di questa natura. La legge 28 opera con un'agevolazione per i primi cinque anni e in seguito il mutuo diventa ordinario.
Recentemente abbiamo avuto incontri con l'Istituto S. Paolo, che è l'operatore bancario di maggiore rilevanza qualitativa e quantitativa, il quale si è dichiarato disponibile a mutui a tasso variabile con oneri di mercato che, al momento degli incontri erano del 22,46 % (la notizia di ieri è che sono calati leggermente al di sotto del 22 %). Abbiamo insistito perché si tenesse conto del tasso di riferimento del mutuo agevolato che le banche avevano operato per il primo biennio; la realtà è che anche il tasso di riferimento oggi è del 20,20 % più lo 0,80 % della commissione di Banca: pertanto diventa enorme l'onere della Regione che deve coprire dal 10 al 21,05 %.
Quando si sono fatti i programmi, il tasso di riferimento per le operazioni impostate prima dell'ottobre '78 era fissato nel 15,55 %, per quelle successive venne fissato nel 15,65 %. In meno di due anni le operazioni che devono essere sostenute dalla Regione sono perciò aumentate del 50 % (dal 5,55 %-5,65 % all'11,05 %) il che modifica completamente i programmi di impegno anche in termini pluriennali che la Regione si era data.
Le organizzazioni degli utenti, sia quelle delle imprese di costruzione sia quelle delle cooperative ritengono che anche questa strada sia del tutto inagibile perché, se sostenibile nei primi cinque anni, non lo sarebbe in seguito quando si deve passare ad un mutuo ordinario. Non esiste un utente in grado di sostenere un impegno del genere a meno che sia un evasore fiscale.
La Giunta regionale intende sostenere l'intero programma approvato ed opera per superare le difficoltà; esistono però difficoltà oggettive ad accedere al finanziamento da parte degli utenti.
Nella generalità degli incontri con le organizzazioni e con i singoli operatori è emersa l'ipotesi che il programma finanziato con la legge 28 si avii insieme a quella della 457 con una spalmatura del mutuo della 457 utilizzando per questo l'aumento da 30 a 36 milioni di quota mutuabile.
Questi problemi, che mettono in difficoltà il programma regionale della legge 28, trovano poi una corrispondenza di difficoltà per la parte della legge 457. D'altra parte, i problemi che incontra la Regione per tener dietro ad un aumento così intenso del costo del denaro, sono gli stessi che ha lo Stato. Per sostenere il primo progetto biennale, il secondo progetto biennale e l'anticipazione sul terzo della legge 457, essendo aumentati i tassi di riferimento in quell'intensità che ho detto ed essendo aumentate le quote mutuabili, alla Regione Piemonte dovrebbero pervenire quest'anno 30 miliardi in più di contributi rispetto a quelli che erano stati previsti nel 1980.
Il decreto legge in discussione alla Camera per la conversione in legge fornirebbe alla Regione Piemonte poco più di 7 miliardi, ne rimarrebbero quindi scoperti 23 per l'anno 1982.
E' il segnale di una situazione che potrebbe farsi difficilissima e critica.
Un segnale in senso positivo, ma troppo limitato, è venuto ieri con la decisione della riduzione dei tassi ordinari; le notizie preconizzano per che il tasso di riferimento avrà nel mese di marzo ancora un ulteriore aumento, per cui il segnale di ieri pare venga presto smentito.
E' un problema che va affrontato con i Ministeri e noi l'abbiamo affrontato in sede di discussione del decreto legge perché si rischia a livello nazionale di rallentare se non di bloccare i programmi già avviati.
Se non viene superata questa situazione critica nella conversione del decreto legge, al fine di non fermare i cantieri in corso della legge 457 potremmo fare ricorso alla restante parte di finanziamento che ci rimane sul terzo progetto triennale, ma non per far partire nuove opere, bensì per sostenere l'ultimazione di quelle avviate. Nel dramma che toccherà tutto il Paese noi avremo un vantaggio: quello di aver fatto partire le opere prima quindi a minor costo.
Il problema da sottolineare sta nella gravità della situazione del nostro Paese per l'insufficienza dei contributi che vengono forniti dallo Stato a sostegno dei programmi finanziati due anni fa e che sono stravolti dall'aumento del 50 % e più dei tassi di riferimento.



PRESIDENTE

Le interpellanze ed interrogazioni sono così esaurite.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale


PRESIDENTE


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale

Argomento:

a) Congedi


PRESIDENTE

Circa il punto terzo all'ordine del giorno "Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale", comunico che hanno chiesto congedo i Consiglieri Carazzoni, Cerchio e Testa.


Argomento:

b) Presentazione progetti di legge


PRESIDENTE

Sono stati presentati i seguenti progetti di legge: N. 191: "Approvazione dell'accordo concernente la costituzione gestione ed organizzazione del Consorzio interregionale per la formazione dei divulgatori agricoli 'C.I.F.D.A.' in applicazione del regolamento Cee n. 270/79", presentato dalla Giunta regionale in data 18 febbraio 1982 N. 192: "Modifica alla legge regionale n. 56 del 5/12/1977 su tutela ed uso del suolo", presentato dal Consigliere Mignone in data 19 febbraio 1982 N. 193: "Istituzione della Consulta regionale dell'economia e del lavoro", presentato dal Consigliere Carazzoni in data 26, febbraio 1982.


Argomento:

c) Apposizione visto Commissario del Governo


PRESIDENTE

Il Commissario del Governo ha apposto il visto: alla legge regionale del 19 gennaio 1982: "Snellimento procedure attuative dei programmi di edilizia residenziale e costituzione di un fondo di rotazione per l'anticipata acquisizione di aree pubbliche".


Argomento:

d) Deliberazioni adottate dalla Giunta regionale


PRESIDENTE

Comunico che le deliberazioni adottate dalla Giunta regionale nelle sedute del 16 e 22 febbraio 1982 e dall'Ufficio di Presidenza del Consiglio nella seduta del 23 febbraio 1982 - in attuazione dell'art. 7, primo comma delle legge regionale 6 novembre 1978, n. 65 - sono a disposizione presso l'Ufficio Aula. L'elenco delle medesime è allegato al processo verbale.


Argomento: Consiglio, organizzazione e funzioni

e) Trasferte effettuate dai Consiglieri regionali


PRESIDENTE

Ai sensi dell'art. 2, primo comma, del regolamento missioni, l'Ufficio di Presidenza informa che è a disposizione l'elenco delle trasferte effettuate dai Consiglieri regionali nel secondo semestre 1981 e liquidate.


Argomento: Rapporti delle Regioni con l'ordinamento comunitario

Dibattito sulla politica europea della Regione (1981/82) (seguito)


PRESIDENTE

Punto quarto all'ordine del giorno: "Proseguimento dibattito sulla politica europea della Regione (1981/82)".
Ha la parola il Consigliere Viglione.



VIGLIONE Aldo

Lo sviluppo dell'integrazione europea in questi ultimi trent'anni ha consentito di realizzare un modello originale di comunità i cui principali aspetti positivi possono essere sintetizzati nel senso della comunanza di destino avvertito ormai da parte di tutti i popoli europei e nell'elevato grado di interdipendenza economica reale in numerosi settori.
L'attuale stadio di integrazione trova peraltro ormai un limite nella capacità pressoché derisoria di concezione politica globale, di approfondimento e di modifica delle politiche esistenti - politica agricola, industriale, sociale - nonché di instaurazione di politiche nuove politica estera e della sicurezza, politica monetaria, politica fiscale.
Il nostro Paese, per il quale l'Europa diviene sempre di più una "scelta di campo", al di là del mero calcolo contabile dei costi e benefici prettamente economici, ha svolto e continua a svolgere un ruolo di primo piano nella costruzione europea.
Ultimo prestigioso segno di questo ruolo di punta dell'Italia la presenza, nell'ambito della Commissione Istituzionale per la riforma dei trattati, istituita dal Parlamento Europeo di ben due parlamentari europei italiani in qualità di presidente e di relatore principale della Commissione (Mauro Ferri e Altiero Spinelli).
Il Piemonte, in quest'ambito, ha fatto da tempo la scelta politica di fondo di candidarsi, a pieno titolo - quale cerniera tra le aree forti dell'Europa continentale e l'area del Mediterraneo - a diventare una regione ad elevato livello di integrazione economica col resto dell'Europa.
La Giunta ha assunto molteplici iniziative in tal senso per fornire una maggiore presenza della Comunità regionale nel contesto europeo: l'insieme dei rapporti tra Regione e comunità europea sono stati prevalentemente orientati all'utilizzo di fondi e stanziamenti, attivabili dalle Regioni che riguardano aspetti rilevanti dell'attività regionale: la politica sociale ed industriale, la politica della ricerca, la politica agricola e regionale.
Tuttavia il Piemonte ha rinunciato finora ad un ruolo più politico di denuncia delle crescenti difficoltà di conservare le realizzazioni comunitarie e di proposta di riforma delle attuali politiche comuni e di sostegno alla lotta per il passaggio dallo stato attuale dell'integrazione europea all'Unione Europea.
A più di dieci anni dall'avvio dell'esperienza regionale le Regioni, ed il Piemonte in particolare, per la sua funzione anticipatrice - nel bene e nel male - pur strette sempre più dall'emergenza della crisi economica sociale e politica non si sono rese appieno conto che le riforme in tutti i settori di competenza regionale - industriale, agricolo, formazione professionale, ricerca scientifica; infrastrutture, terziario, energia non sono realizzabili al di fuori del processo di costruzione in Europa di una comunità democratica e dotata di un'effettiva capacità d'azione, che i singoli governi nazionali non hanno ormai più.
La stessa riforma della finanza locale, che è il punto nodale per il ruolo anticrisi delle autonomie locali, deve essere vista ormai in quest'ambito.
Questi ritardi hanno contribuito ad aggravare i problemi attuali.
La mancanza di politiche comunitarie efficaci, realizzabili soltanto con una riforma istituzionale, ci priva infatti degli strumenti necessari per il superamento della crisi.
Il declino tecnologico del Piemonte rappresenta l'aspetto più preoccupante della crisi della nostra regione, rispetto alle altre aree forti della comunità.
La gravità di questa crisi del sistema produttivo e dell'occupazione richiede che la Regione, coerentemente con quanto è stato già evidenziato definisca al più presto le scelte strategiche, che sono di due livelli: scelte a livello regionale e sostegno alle scelte da definire a livello europeo.
E' dall'efficacia con cui queste due linee politiche convergenti saranno portate parallelamente avanti che deriverà il superamento della crisi regionale nell'ambito del contestuale superamento della crisi dell'attuale integrazione comunitaria.
Dobbiamo dunque elaborare una "politica regionale per lo sviluppo del Piemonte" ed una "politica regionale per lo sviluppo dell'Unione Europea".
Le scelte strategiche relative allo sviluppo del Piemonte negli anni '80 dovranno privilegiare questi obiettivi: la riconversione del sistema produttivo verso settori trainanti partendo dalle potenzialità reali della Regione: informatica telecomunicazioni, sistemi di produzione, automazione industriale, cedendo tecnologie al Terzo Mondo e attivando così una domanda internazionale di servizi e prodotti avanzati il rafforzamento qualitativo e quantitativo della capacità produttiva e di penetrazione commerciale dell'agricoltura soprattutto attraverso la creazione e l'offerta di servizi avanzati lo sviluppo delle infrastrutture di base per la riconversione produttiva: energia, comunicazioni, ricerca scientifica e formazione professionale l'avviamento di un esperimento pilota di agenzia regionale del lavoro, che garantendo a tutti i lavoratori un salario minimo, trasformi gli uffici di collocamento in centri di formazione e riqualificazione professionale e di incontro della domanda e dell'offerta di lavoro il potenziamento dei servizi pubblici collegati al miglioramento della qualità della vita: sanità, ecologia, turismo, istruzione e cultura l'attivazione del "Servizio regionale per il coordinamento dei rapporti con la CEE" che deve rendere organici gli interventi attuabili con l'aiuto della comunità e costituire il punto di riferimento per le numerose attività regionali che hanno rilevanza europea lo sviluppo delle relazioni con le regioni frontaliere delle Alpi occidentali, in modo da concepire il risanamento dell'economia regionale nell'ambito di un'area più ampia ed integrata, attraverso la costituzione di un Comitato nel quale siano rappresentati i Presidenti regionali esponenti del Consiglio regionale e delle forze sociali e produttive delle Regioni.
Queste scelte strategiche dovranno essere messe a punto, infine attraverso l'organizzazione di una "Conferenza regionale sullo sviluppo del Piemonte negli anni '80", per associare al dibattito gli amministratori locali, i deputati piemontesi, il Parlamento italiano ed europeo e le forze politiche e sociali, conferendo così alle scelte strategiche la base del consenso necessario per la loro realizzazione.
La "Politica regionale per lo sviluppo dell'Unione europea" dovrà segnare il cambiamento qualitativo dell'azione del Piemonte per la realizzazione della riforma istituzionale, della comunità europea.
Il Piemonte deve essere portatore di proposte e di stimoli soprattutto nel contesto della riforma delle istituzioni della comunità, avviata dal Parlamento europeo con la decisione del 9 luglio scorso e che comporterà l'elaborazione di un nuovo trattato-costituzione dell'Unione europea che sarà sottoposta alla ratifica dei Parlamenti nazionali.
In questa prospettiva la Regione deve: sostenere l'attribuzione del potere legislativo al Parlamento europeo e del potere esecutivo alla Commissione e la trasformazione del Consiglio nel Senato della comunità per dare all'Unione capacità ed efficacia di azione politica richiedere la creazione di una moneta europea per assicurare unità al mercato comune ed attribuire allo scudo il ruolo di mezzo di pagamento internazionale appoggiare il rafforzamento del bilancio comunitario fino al 2-2,5 del prodotto interno lordo della comunità come richiesto dal rapporto Mac Dougall, in modo da avere risorse sufficienti per il varo delle politiche di sviluppo comunitario prioritarie: industriale, energetica, econologica regionale e sociale sostenere il trasferimento graduale alla Comunità delle competenze in politica esterna e di sicurezza richiedere la creazione dell'Agenzia europea del lavoro, in modo da articolare in essa l'Agenzia regionale, al fine di favorire il reperimento delle risorse necessarie.
Anche questa nuova politica europea del Piemonte deve essere portata avanti col contributo delle forze politiche e sociali e degli amministratori locali attraverso il sostegno al "Comitato regionale per il Governo Europeo" che dovrà mobilitare le forze regionali sui contenuti dell'iniziativa del Parlamento europeo ed esercitare sul Parlamento nazionale la pressione necessaria per la ratifica della nuova Costituzione europea.
In queste proposte sono contenute tutte le aspirazioni degli antichi movimenti federalisti e di chi crede nell'unione europea, al di là dell'integrazione economica.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marchini.



MARCHINI Sergio

Signor Presidente, suggerisco a lei, all'ufficio di Presidenza e ai Capigruppo di individuare i tempi di lavoro al fine di evitare il frazionamento in più sedute di questo dibattito proprio per non perdere quella tensione che è caratteristica del dibattito pubblico in sede parlamentare per ridurla a dovere d'ufficio e di rappresentazione di posizioni che finiscono per avere come destinatari non le forze politiche ma i registratori e le nostre preziose collaboratrici.
Signor Presidente, colleghi Consiglieri, in sede di quella Consulta regionale, che i liberali considerano tra le iniziative più significative e producenti tra quelle realizzate dalla nostra Regione, il prof. Levi ha espresso l'opinione che questo odierno dibattito si incentri prima ed oltre che sui problemi e sugli obiettivi e le decisioni di carattere contingente sul problema politico ed istituzionale ed in qualche misura costituzionale del rapporto tra la Regione Piemonte e l'Europa sui soggetti e sulle realtà protagonisti di un processo culturale politico ed istituzionale interessante, attuale e di decisiva importanza.
A supporto della sua valutazione, il prof. Levi ha svolto alcune significative argomentazioni. La necessaria attenzione ed il necessario impegno in un processo che è nella necessità dettata dalla logica della storia, la revisione della struttura e dell'impianto istituzionale della stessa comunità, tale da aprire larghi e significativi spazi di presenza di iniziative, di decisione e quindi di crescita e di sviluppo delle regioni attraverso un processo di progressivo superamento delle normative specifiche e la messa a disposizione della comunità di maggiori mezzi per la politica di sviluppo industriale, per la politica agricola, per la politica energetica.
Noi liberali facciamo nostre queste indicazioni, così come condividiamo la volontà politica e l'impegno di lavoro che ne sono il supporto. Ma proprio per il rispetto dovuto a chi questo impegno e questa volontà vive ed esprime, noi come liberali, ma prima di tutto come cittadini, dobbiamo dire con forza, con chiare lettere, prima che il pessimismo della ragione prevalga sull'ottimismo della volontà che consideriamo e denunciamo il processo di integrazione europea, insufficiente per non dire preoccupante da un lato e sconfortante dall'altro.
Guardiamo con preoccupazione ai tempi lunghi e deludenti di un processo di integrazione, tempi tanto più ingiustificati ed inaccettabili in un contesto mondiale di contrasti e di sfide e confronti anche violenti che si susseguono l'un l'altro ed incombono ogni giorno su di noi, relegando sempre più il nostro vecchio continente, incapace di darsi un ruolo e delle strutture adeguate a tempi e realtà di dimensioni continentali, alla funzione meramente notarile e di testimonianza, mentre vengono poste ipoteche sempre più pesanti sulla sua indipendenza politica ed economica.
Il bilancio della vicenda europea è sconfortante se rapportato e confrontato all'impegno politico, agli slanci ideali, alla mobilitazione dei giovani, degli uomini di cultura, dei protagonisti della civiltà del lavoro che avevano fatto fiorire una stagione forse irripetibile "la primavera dell'Europa", in occasione delle prime elezioni a suffragio universale, una precisa investitura politica che doveva e deve supportare di legittimi effettivi poteri, il Parlamento europeo, nel rispetto della logica della democrazia parlamentare sia pure nella sua accezione specifica plurinazionale.
Su questo punto, sul decollo di un processo di reale conferimento di poteri al Parlamento europeo si verificherà, se dalla primavera delle speranze farà seguito l'estate delle realizzazioni o non piuttosto un prematuro autunno delle delusioni. E' certo che, al di là delle dispute politiche, dei contrasti di interessi, ben più nere nubi, ogni giorno si avvicinano all'orizzonte del nostro continente. Ne indichiamo due per tutte: in Inghilterra il ritorno velleitario, dottrinario ed estremista dei laburisti che hanno fatto del disimpegno dell'Europa un cavallo elettorale ed un impegno politico; in Grecia Papandreau che rivela ogni giorno di più quali siano le sue tiepide simpatie per l'Europa.
Noi liberali siamo certi che gli elettori inglesi sapranno inchiodare ai banchi dell'opposizione per lungo tempo, i deliri nostalgici dei laburisti, tuttavia il problema resta e le implicazioni restano così come confidiamo che il ricordo e lo spirito delle Termopili, la scelta e la stessa scoperta della ragione, la ragione che è nelle colonne del Partenone, la scelta di civiltà che è nei suoi confronti, sapranno suggerire ai greci di essere attenti e prudenti nel presente, fiduciosi ed aperti sino a scommettere nel futuro.
Se abbiamo insistito nell'esprimere le nostre ragioni di rammarico e di preoccupazione è anche e soprattutto perché pensiamo che le stesse ragioni di rammarico valgano anche per l'istituto regionale. Europa e Regione dico ciò non a caso. Noi consideriamo infatti Regione ed Europa due categorie logiche del pensare politico moderno; due direttrici alle quali fare riferimento, un obiettivo comune e comprensivo sul quale mobilitarci e misurarci. Altri hanno detto che lo Stato moderno nazionale è diventato troppo piccolo per i grandi problemi e troppo grande per i piccoli problemi. Proprio questo dibattito ci indica come la dimensione del nostro ragionare di cittadini, prima ancora che di politica, debba essere l'Europa ed insieme come la tematica più attuale e le esigenze più significative di una moderna società industriale vadano troppo strette rispetto ai nostri metodi, ai nostri tempi e alle logiche decisionali dello Stato e richiedono, postulano e rendono necessaria una politica di dimensione regionale.
Ha ragione il collega Valeri quando in sede di consulta ricorda la necessità di tenere conto che il potere decisionale in materia di politica industriale è dello Stato, ma proprio per questo, in questa sede, in questo dibattito, le forze politiche debbono dire - noi lo diciamo con forza - che lavorano per l'Europa delle Regioni che rifiutano il localismo e la funzione di braccio secolare dello Stato, braccio magari più efficiente e corretto, più razionale, ma pur sempre un braccio, ma rivendichiamo un ruolo protagonista nel Processo decisionale ed insieme un ruolo di elemento centrale di un contesto europeo che, oltre ad assicurare un razionale processo decisionale, realizzi altresì nel concreto la democrazia partecipativa come moderno e più avanzato livello della democrazia parlamentare.
Occorre quindi non trascurare l'occasione significativa offerta da questo dibattito per affermare la volontà di operare verso l'integrazione europea secondo un disegno federale che comporta una contemporanea articolazione regionale della stessa Europa con il progressivo ridursi dello spessore di diaframma che lo Stato rappresenta fra le due realtà nuove ed emergenti.
Peraltro, realismo e senso etico e politico e la chiarezza, presupposti di questo nostro dibattere, richiedono agli effetti dello stesso dibattito che si dica, in chiare lettere, per non alimentare illusioni e aspettative non fondate che, se è vero come è vero, che il processo di integrazione europea passa attraverso le realtà regionali, è altrettanto vero che obiettivo primo della politica europeistica, in particolare di quella regionale, è recuperare il riequilibrio tra le Regioni centrali e le regioni marginali tra le quali è proprio il nostro Sud, che ha un prodotto lordo pro-capite che è il 20 % rispetto a quello delle Regioni più attrezzate.
Non può a nostro avviso una grande scommessa ideale convivere con questi disequilibri: sarebbe dare armi ed argomenti alle forze separatiste e passatiste, sempre presenti e sempre agguerrite.
Ed allora è da questa Regione, che forse è in posizione di equidistanza tra le Regioni centrali e marginali, che deve venire una precisa richiesta che il Fondo europeo di sviluppo regionale sia dotato di adeguate risorse e di strumenti di verifica e di controllo che accertino la finalizzazione e la produttività degli investimenti in termini di recupero delle situazioni di disequilibrio e non di finanziamenti surrettizzi od addirittura assistenziali. Cerchiamo di non esportare l'Italia in Europa ma di importare l'Europa in Italia.
Dobbiamo fare questo, presto e con impegno e chiarezza, per impedire che si rafforzi un già forte movimento di opinione ostile al conferimento di risorse per realizzare il riequilibrio e la politica regionale. Recenti stime rivelano infatti nel 35 % dei cittadini europei il numero dei contrari alla politica di riequilibrio regionale qualora comporti lo stanziamento di nuove risorse.
Quindi per sintetizzare la posizione liberale in questa premessa che ha finito per esaurire quasi tutto lo spazio del nostro intervento, diciamo come gruppo che non crediamo realistico prevedere un processo di integrazione europea senza una contestuale crescita di una significativa moderna ed agile realtà politica regionale. Diciamo ancora che non si pu realizzare una moderna realtà regionale che non si esplichi in un concreto quadro di riferimento europeo. Anche in relazione a questa capacità di riferimento e un quadro europeo, che noi liberali daremo il nostro giudizio sul piano di sviluppo regionale quando, e se giungerà, sui nostri banchi.
Questo processo certo è di lungo periodo, ma è l'unico che ci possa condurre, attraverso la strada dell'autonomia più che del separatismo e del decentramento, all'Europa delle Regioni, intendendo quale obiettivo non le Regioni segnate dalle leggi e dai decreti, ma le Regioni segnate dall'omogeneità socio-economica.
E veniamo alla proposta di deliberazione predisposta dalla Consulta argomento che mi sembra non sia stato sufficientemente esaminato in questa sede.
Giudichiamo questo documento un documento utile stimolante, prezioso nei suoi approfondimenti e nelle sue indicazioni. Alcune telegrafiche considerazioni si impongono peraltro quali elementi di contributo che vuole essere costruttivo in un confronto che qui non si esaurisce ma che è Certo destinato a continuare fuori di qui e a farsi più specifico e più approfondito. Al punto 1 del richiamato documento stupisce l'assenza di ogni riferimento alla grande industria ed all'auto.
Pur consentendo come liberali ad un'ipotesi di riconversione che porta al terziario qualificato, dobbiamo riaffermare la centralità della grande industria della realtà piemontese e la necessità che il problema dell'auto assuma dimensione continentale; questa mi sembra la linea in cui si muove la Regione Piemonte e in questo senso mi pare si debba spiegare il recente viaggio della delegazione alle grandi strutture europee.
Al punto 4) sottolineiamo la necessità di selezionare gli interventi nei servizi e diciamo che diano un più alto tasso di indotto e di produttività in un processo selettivo reso sempre più necessario dalla stretta creditizia.
Il punto 5) è di estremo interesse, anche se necessita di un approfondito e successivo dettagliato esame. Giudichiamo di grande interesse l'ipotesi dell'agenzia regionale del lavoro mentre ci risulta che altri gruppi abbiano grosse riserve al proposito.
L'indicazione della trasformazione dell'istituto del collocamento sembra assumere caratteristiche del tutto compatibile con la proposta sottoscritta dai partiti di democrazia laica e liberale.
Qualche riserva esprimiamo su attività socialmente utili per le quali dovrebbero essere utilizzati i lavoratori non occupati. Badiamo bene colleghi, a non creare un assistenzialismo socialmente inutile. Del resto il naufragio pietoso dell'ipotesi Novelli sull'impiego di lavoratori Fiat in Cassa Integrazione dovrebbe farci riflettere tutti.
Piena adesione alle proposte di tipo istituzionale. Si muovono nella linea che i liberali perseguono da sempre qui a Roma ed a Bruxelles.
Qualche riserva sulle ipotesi di un servizio regionale per il coordinamento dei rapporti con la CEE. Non vogliamo e non desideriamo che si realizzi una mini ambasciata con feluche, ricevimenti, e plenipotenziari e magari qualche cannoniera e neppure che si creino strutture di tipi para regionale.
L'obiettivo che si crede opportuno e che si auspica venga realizzato deve e può essere raggiunto con l'utilizzo intelligente di strutture esistenti, magari da affinare, e di personale di cui la Regione già dispone, sempre che non si siano gettate al vento le esperienze professionali serie acquisite in passato e in particolare nella seconda legislatura.
Certo, sono utili ed opportuni i richiami ai grandi temi, certo, sono utili e opportuni gli obiettivi e le indicazioni degli strumenti indicati dai colleghi della Consulta e richiamati dai colleghi che sono intervenuti nella seduta precedente. Tuttavia, il Gruppo liberale esprime tutto il suo apprezzamento. Certo che la politica europea a livello regionale la si realizza soprattutto facendo crescere un metodo di governo della cosa pubblica superando ogni provincialismo, un metodo di governo che sia quindi moderno e nuovo. Fare politica europea a livello regionale, al di là del pur significativo documento che la Giunta ci ha rappresentato, peraltro in tempi non compatibili per un'esauriente disamina, significa saperci rappresentare come amministratori, come reggitori di una realtà regionale così come fanno altre istituzioni simile alla nostra, alle quali la Regione Piemonte fa riferimento, significa essere in grado di utilizzare e innovare gli strumenti di governo, i metodi delle decisioni legislative e le stesse più specifiche attività amministrative che tendono non a una mera ricognizione della realtà territoriale, sociale, economica e politica, ma all'individuazione e alla necessità di governo precisi obiettivi strategici, capaci di attuare i principali interventi su tutto il territorio e nella società e di trascinare nella logica nuova dell'assetto territoriale anche gli interventi minori.
Ancora dobbiamo realizzare la capacità di passare dal governo per settori al governo per progetti, puntando alla tempestività degli interventi, al coordinamento e all'economicità, supportando infine con il rinnovato sistema di infrastrutture la graduale trasformazione da economia industriale, o quasi solo industriale, a industriale e terziaria.
Avvertiamo come la politica per l'Europa sia la vera nuova frontiera della nostra generazione. Costruire una realtà istituzionale, non attraverso editti o battaglie campali,ma facendola crescere prima nei cuori e poi nella volontà e nella ragione, quindi nei comportamenti e nella gestione della cosa pubblica e della politica.del governo è una scommessa ed un'esperienza che non hanno precedenti nella storia dell'uomo. Eppure noi avvertiamo che, proprio perché la storia dell'uomo possa continuare senza strappi traumatici e senza cadute di idealità, è necessario che l'Europa della ragione e delle libertà riacquisti un ruolo nuovo ed una struttura adeguata al nuovo.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PICCO



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Revelli.



REVELLI Francesco

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, noi comunisti ribadiamo l'importanza di questo dibattito che non è né generico né generale come qualcuno potrebbe credere.
Il Presidente della Giunta ci ha detto di numerose iniziative che non hanno solo il segno della promozionalità e che non rientrano nel tradizionale atteggiamento dei rapporti di gemellaggio che hanno caratterizzato altre epoche della politica europea, ma che tentano di misurarsi su questioni concrete.
Apprezziamo le iniziative della Giunta e il lavoro della Consulta europea, per questo siamo favorevoli al documento che viene proposto alla votazione.
Riteniamo più che mai importante oggi partire dai fatti, dalla "cultura della realtà".
Sotto questo profilo credo sia interessante sottolineare che il dibattito sulla questione "Piemonte-Europa-Mezzogiorno" dell'inizio degli anni '70, e protrattosi in seguito, non è passato invano. I mutamenti che si sono delineati sul piano economico e commerciale nei rapporti fra Nord e Sud costituiscono uno spezzone importante del processo di trasformazione della divisione internazionale del lavoro ed alcuni Paesi europei segnatamente la Francia e la Germania anche per l'impulso delle rispettive amministrazioni, vanno dislocando le proprie strutture economiche e produttive in funzione di tali processi. La questione centrale che noi poniamo è quindi quella di una lotta che consenta di ribaltare questa impostazione per coinvolgere appieno i Paesi dell'Europa mediterranea in una politica comunitaria tendente ad un patto di cooperazione e sviluppo con i paesi emergenti del Terzo Mondo.
La stessa questione meridionale - questione nazionale vitale per il nostro Paese - non può essere scissa da questo obiettivo politico di fondo.
Questa coscienza del ruolo del Mediterraneo è oggi molto più diffusa, è divenuta, anche per merito della nostra battaglia, patrimonio di un vasto arco di forze democratiche. E la relazione di Enrietti, ricordando come l'azione della Giunta, nei limiti delle competenze riservate alla sua iniziativa in questo campo, sia informata a questo indirizzo di "ribaltare a Sud lo sviluppo" implicitamente ci ricordava sia il ruolo di cerniera che l'economia piemontese può svolgere tra l'Europa ed il Mediterraneo, sia il fatto che sarà proprio dal futuro della nostra Regione nell'economia italiana che potremo misurare se resteranno in piedi le premesse di una concreta politica meridionalista e di una presenza non subalterna del nostro Paese nel concerto della politica europea.
Tutto questo ci dice come nel dibattito in corso anche in Piemonte più nette si fanno le differenze "culturali" e politiche attorno al tema "Europa", più nette emergono le differenze tra interessi diversi, meno facili si fanno le mediazioni.
Voglio dire che il Piemonte non ha come vocazione di aggregarsi "ultima tra le Regioni forti europee e prima tra quelle deboli al cuore forte dell'Europa".
E' in discussione una politica ben più complessiva che lascia alle sue spalle "aspirazioni provincialistiche" e "vecchie velleità". E occorre ribadire da parte nostra questa posizione poiché il "miracolismo" facile ha ripreso il volo nelle valutazioni di alcune forze politiche. Vogliamo dire con chiarezza che non siamo affatto d'accordo con chi "pensasse" che finalmente si è tornati all'inizio degli anni '70, che le scelte di allora "finalmente" possono essere realizzate poiché anche i comunisti hanno cambiato opinione e sono passati dalla cultura della "arretratezza" al "protagonismo dell'azione" grazie alle folgorazioni provocate dalla "cultura del centrosinistra di quei tempi". Non si faccia illusioni sul nostro conto chi pensa queste cose, posto, appunto, che qualcuno le pensi davvero.
La scena è grandemente mutata. E' mutata anche per noi, certo, per la linea che seguiamo, ma anche perché essa discende da fatti concreti che nessuno può ignorare. Non lo possono ignorare i sindacati né gli industriali torinesi e piemontesi se vogliono misurarsi con un sistema complesso di convenienze che debbono caratterizzare lo sviluppo dei prossimi anni, né i loro "progettisti" i quali giustamente preferendo Lione a Belgrado, non possono non tener conto che una città come Torino ed una Regione come il Piemonte sono al centro di uno scontro più grande e cioè quello che vede protagonisti coloro che ritengono che il nostro Paese deve e può essere parte integrante dei Paesi industrialmente avanzati e coloro che ritengono invece che il destino dell'Italia sia quello di vivere negli interstizi lasciati disponibili dal rapporto tra Paesi altamente sviluppati e Paesi in via di sviluppo.
Una cultura della realtà ci porta a considerare come direttamente collegate al destino dei rapporti tra Europa e Mediterraneo le questioni della pace e della guerra: il rischio di una ripresa della "guerra fredda" in Europa. Non è un caso che gli amministratori locali, i sindaci, gli eletti al Parlamento europeo siano così sensibili a questo tema interpretando le aspirazioni e le preoccupazioni dei loro amministrati.
Sul piano dei rapporti internazionali andare ad una ulteriore esasperazione dello scontro significa ormai sfiorare un punto oltre il quale può esserci la catastrofe. L'acutezza della tensione favorisce un irrigidimento dei blocchi contrapposti con tutto ciò che ne consegue all'Est ed all'Ovest Non vi è alternativa, per l'Europa, ad uno sforzo massiccio della sua iniziativa, volto alla distensione nei rapporti internazionali. Non si pu pensare che l'inasprimento della tensione possa portare al collasso di una delle grandi potenze: prima del collasso ci sarebbe il peggio, ed al tempo stesso non vi è alcuna ipotesi di sollievo alle asprezze che si vanno manifestando all'interno dei blocchi, alla questione della Polonia e dell'Afganistan da un lato e dall'altro alla paurosa condizione del Salvador alla questione della Turchia, al di fuori di una linea che sulla base della distensione punti al superamento delle rigidezze dei blocchi e dei blocchi militari stessi, svolgendo l'Europa un ruolo attivo e capace di avanzare nuovi possibili equilibri. Su questo punto vi è una consapevolezza ed allo stesso tempo si manifestano delle posizioni di accordo. Viglione le chiama scelte di campo e noi diciamo che in linea di principio c'è una tendenza oggettiva che spinge ad andare in questa direzione tra le forze democratiche del nostro Paese, anche se ognuna parte ha le sue premesse e le utilizza come ritiene nel proprio dibattito e nella propria azione politica. Ma questo non nega di vedere le ragioni del perché l'unione europea non va avanti (parlo dell'unione e non dell'integrazione economica).
C'è un fatto che è sotto gli occhi di tutti e che preoccupa il mondo dell'economia, dell'industria, della finanza e la Regione.
Il primo fatto da cui non si può prescindere è che bisogna prendere coscienza che tra le due rive dell'Atlantico è in atto una guerra grave e profonda: c'è una guerra USA contro l'Europa dei dieci e una guerra dell'Europa contro l'altra riva dell'Atlantico su tutti i terreni, sul piano agricolo, sul piano industriale, sul piano finanziario.
Sulle due rive dell'Atlantico non vi è oggi la stessa visione diplomatica della difesa. Le priorità non sono le stesse né per quanto riguarda i negoziati strategici né per quanto concerne il dialogo Nord-Sud né sul terreno delle relazioni Est-Ovest.
Non pronuncio un giudizio sulla questione del gasdotto, voglio solo dire: dov'è questo embargo che è stato posto dagli Stati Uniti nei confronti dell'URSS e dei Paesi dell'est? Se ci fosse davvero l'embargo da parte degli USA nei confronti dell'URSS, bisognerebbe sapere dove vanno a finire gli agricoltori americani, bisognerebbe sapere dove vanno a finire tutte le politiche di sostegno o recessive che sono in atto.
La questione è un'altra. Ecco dove sta lo scontro: a noi vogliono far fare questa politica di embargo, cioè fanno leva sul problema della guerra commerciale per non permettere un livello di indipendenza e di trattative che non sia politico, ma che sia invece di tipo economico e commerciale tra l'Europa e quei Paesi.
Ma soprattutto non c'è la stessa visione del ruolo dell'Europa, delle sue possibili ambizioni, del grado di indipendenza al quale essa ha diritto.
Intorno a queste realtà si vanno determinando schieramenti, si dislocano forze politiche e sociali, in Europa, contano il confronto e lo scontro fra gli Stati europei.
Non è indifferente ciò che è successo con la visita di Mitterand nel confronto con il nostro Governo in ordine alle difficoltà a cui siamo sottomessi dalla politica francese o viceversa a cui si ritrovano sottomesse la stessa Francia e la Germania dalla nostra politica governativa. Sono realtà ancora più aggravate da un fatto strutturale che molti Paesi europei conoscono per la prima volta: una disoccupazione inedita che neanche nella crisi del 1929 era stata presente in Europa.
C'era stata solo nella Germania della Repubblica di Weimar.
Sono 16 milioni i disoccupati in Europa e 28 milioni nell'Occidente. Si pone il problema di uno spazio sociale europeo. Si pone il problema che dalla disoccupazione non si esce senza sviluppo e, al tempo stesso bisognerà distinguere tra la disoccupazione dovuta ad un processo di sviluppo delle forze produttive e la disoccupazione dovuta a politiche recessive. Quando Levi ci invita a vedere il rapporto tra Regioni ed Europa, dobbiamo tenere conto di queste cose, stare ai fatti e stare dentro alle analisi.
Mi riferisco a giudizi sommari di un uomo politico che ha la nostra stima, con le cui analisi noi ci identifichiamo, l'on. Giolitti, quale membro della Commissione esecutiva della CEE.
Nella costruzione della Comunità economica europea sono stati privilegiati tre punti ritenuti i pilastri di quella politica: il mercato unificato la politica agricola la politica commerciale.
Tutti e tre stanno facendo acqua per oggettiva ammissione delle forze che sino a poco tempo fa hanno esaltato quella politica perché ne emergono i vizi ed i limiti strutturali.
"L'errore fondamentale - dice Giolitti - è di natura ideologica l'errore cioè di credere che ad assicurare la crescita e la stabilità della costruzione europea fosse necessaria e sufficiente la geometria del mercato concorrenziale".
Si è addirittura creduto e fatto credere che con ciò si sarebbero perpetuate la crescita e la prosperità che si erano manifestate negli anni '50; che sarebbero state crescita e prosperità per tutti.
C'è un fallimento di fondo. Le varie discussioni sui trattati e sulle nuove istituzioni europee bisogna metterle in una nuova interdipendenza tra problema politico, problema istituzionale e politiche economiche dell'Europa. Non è che la liberalizzazione degli scambi non abbia funzionato. Ci sono stati e perdurano non solo ritardi ma riluttanze resistente e contraddizioni nel processo di unificazione del mercato concorrenziale. Non tutte le barriere protezionistiche sono state abbattute, anzi ne sono state erette di nuove e più sofisticate. Poco cammino si è fatto sulla via dell'armonizzazione delle legislazioni, specie in campo fiscale. Ma sarebbe ingenuo pensare che ciò sia dovuto alla perversa influenza di eresie dirigistiche che ostacolano la corretta ed universale applicazione del dogma liberistico: al contrario, gli effetti perversi di quel dogma e la mancata predisposizione di mezzi idonei a contrastarli hanno indotto gli interessi colpiti o minacciati a fare ricorso a rimedi non predisposti secondo un disegno programmatorio, ma messi insieme alla rinfusa per sostenere quella che si potrebbe chiamare una battaglia di retroguardia.
E' proprio la mancanza di una strategia globale a livello comunitario che induce singoli Stati a ricorrere a misure frammentarie ed incoerenti a livello nazionale, una volta fatta la scoperta che la liberalizzazione non è condizione sufficiente per assicurare prosperità a tutti ed eguale per tutti quando sopraggiunge la crisi. Questa impone il ricorso ad interventi coordinati e programmati, per i quali il livello più idoneo è quello comunitario, purché le istituzioni comunitarie siano disposte ad un revisionismo nei confronti dell'originaria ideologia liberistica.
Bastano pochi esempi per capire come siano state emarginate "strutturalmente" zone quali il nostro Mezzogiorno e quindi realtà come il nostro Paese: salvo favorire al suo interno gruppi, interessi costituiti politiche assistenzialistiche e di potere, delle quali la situazione politica ed istituzionali del Sud d'Italia è un esempio preoccupante.
E' fallita soprattutto l'unificazione del mercato perché la politica comunitaria ha consentito risultati positivi ed importanti negli scambi intercomunitari, ma, non essendo mai collegata alla programmazione, non ha prodotto una politica commerciale collegata alla produzione industriale.
Oggi l'Europa rischia un'emarginazione storica, premuta nel confronto tra le due grandi potenze e l'emergere dei Paesi del Terzo Mondo. Non è un atteggiamento caritativo che spinge al dialogo Nord-Sud, ma il fatto che la divisione internazionale del lavoro e degli scambi (che ha reso più unito il mondo e oggi lo divide su grandi interessi) rischia di emarginare l'Europa sia nel rispetto della politica commerciale con gli USA, dove importiamo e esportiamo circa 30 miliardi di dollari di beni immediati di consumo, sia dal fatto che dalla Corea, all'Africa, all'America centrale pur con tutti quei problemi, si affacciano nazioni in grado di competere qualitativamente e produttivamente con l'Europa stessa. Quindi il dialogo con il Terzo Mondo, il rapporto Nord-Sud è un bisogno e questo può avvenire solo all'interno di una politica di distensione.
Particolare importanza assume allora il coordinamento delle politiche regionali e nazionali e dei sistemi regionali di aiuto con gli interventi del fondo regionale. Gli interventi strutturali del fondo sono ancora niente sia per la politica sociale, sia per la politica di sostegno regionale delle strutture, e nulla rispetto al bilancio della Comunità. Non per niente una Regione come il Piemonte deve far sentire la sua voce essendo capace di fare un'analisi e di avere un accordo tra le forze politiche e democratiche in grado di esercitare un ruolo in quel processo di programmazione nazionale a cui la chiama lo Statuto e la Costituzione.
Se la Regione Piemonte rinuncia ad una sua funzione di programmazione nei confronti delle altre regioni e della politica nazionale, non si capisce come ci possa essere un rapporto con l'Europa e non si capisce come si possa concordare con la politica del governo italiano che è andata avanti in questa fase.
Per essere efficaci ai fini dello sviluppo e dell'occupazione, la politica regionale deve operare in sintonia con le politiche industriali energetiche, di ricerca e di sviluppo e con le politiche del lavoro. Ma allora, l'unione europea non la si fa con una legge o con un accordo fra gli Stati o con un parlamento, ma la si fa intorno a problemi veri. La legittimazione delle istituzioni può venire solo da questo tipo di politica che presuppone un'autonomia.
Ancora una volta, allora, si impone l'esigenza di una strategia globale.
Un'ultima considerazione di tipo politico. Si dice che i comunisti in qualche misura possono rappresentare un intoppo anche per l'Europa. Non ci sono più le condizioni interne all'Europa o internazionali che possono favorire una scelta socialdemocratica tipo quella degli anni '50. E' un giudizio di fatto. Se il confronto all'interno del blocco occidentale diventa sempre più duro sul terreno economico, questo è anche perché vi sono dei governi che a loro modo non sono più disponibili alla vecchia sudditanza politica. Questa realtà mette a nudo la crisi delle istituzioni europee e chiede un ruolo diverso dal parlamento e egli interlocutori regionali.
Certo, ci rendiamo perfettamente conto che l'esperienza, come la storia tarderà ad essere maestra di vita, che certi dogmi sono duri a morire, per gli interessi che sono tanta parte della politica del nostro Paese.
Ma ciò non toglie nella realtà dei fatti, il nostro discorso sulla "terza via" e su un'ipotesi originale di sviluppo dei processi di socializzazione e democratizzazione dell'economia che ci faccia muovere sia al di fuori del collettivismo burocratico che di un neoliberismo sorretto da un statalismo assistenziale e corrotto.
Alcuni giorni or sono in un convegno il prof. Bobbio ha sostenuto che se è assurdo dire che la concezione del socialismo, quale si è venuta affermando nel modello sovietico, è l'unica ipotesi assumibile, è altrettanto vero che se si vuole rinnovare nel terreno della democrazia politica non vi è altra ipotesi diversa dall'accettazione delle esperienze tentate sinora dalle forze progressiste e socialdemocratiche in Occidente.
A noi non pare che le cose stiano così - con tutto il rispetto per il prof. Bobbio - non solo perché entro i confini della democrazia politica vi è stata e vi è nei paesi occidentali una grande varietà di esperienze delle forze progressiste, socialdemocratiche, socialiste e comuniste e una grande varietà di risultati, ma anche perché i problemi oggettivi portano queste forze a tentare strade diverse, a discorrere di nuovi modi di essere della lotta di emancipazione delle classi sin qui subalterne secondo modalità non ripetitive.
Le stesse conquiste dello "Stato sociale" che appaiono ormai irrinunciabili (sistema sanitario, pensionistico, l'istruzione gratuita e obbligatoria, la ricerca scientifica, l'occupazione) non possono ormai essere garantite e migliorate, come dimostra la crisi, senza nuove forme di rapporti economici di formazione e di uso della ricchezza.
Il rischio di emarginazione che sta correndo l'Europa (nello scontro tra le grandi potenze e nell'emergere dei Paesi terzi) richiede una diversa politica ed uno sviluppo qualitativo delle istituzioni comunitarie attraverso le quali si realizzi in modo permanente, stabile e funzionale l'integrazione tra dimensione economica e dimensione politica.
Tutto ciò richiede forse una - mi si passi il termine - vera classe nazionale europea ed è compito non di chi ha già fallito (anche se vi pu partecipare), ma delle forze della sinistra, delle forze progressiste della classe operaia e dei suoi alleati del terziario (per accontentare anche Alessio), che hanno conseguito una maturità con grandi lotte democratiche e l'esperienza nei punti alti della crisi capitalistica.
Questa è la posta in gioco e su questo ci misuriamo. Se le risposte che ci verranno dalla Giunta porteranno anche questo segno e questo impegno non solo voteremo con favore l'ordine del giorno, ma avremo anche stimolo per un impegno maggiore sulla strada che ultimamente ci siamo dati.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI



PRESIDENTE

Ha chiesto ora di intervenire il Consigliere Carletto. Ne ha facoltà.



CARLETTO Mario

Signor Presidente, signori Consiglieri, un dibattito come quello della politica europea della Regione Piemonte che, partendo dalla nostra realtà si affaccia ai problemi della Comunità europea e ai problemi che travagliano l'equilibrio mondiale, dovrebbe essere seguito con un maggiore interesse. In verità, l'averlo spezzato in due sedute consiliari non ha favorito questo interesse e l'organicità degli interventi.
Vorrei collegarmi ai problemi reali del Piemonte sottovalutando quanto ha detto il Consigliere Revelli, sicuramente stimolante e meritevole di risposte e di valutazioni diverse che ci porterebbero però lontano e che soprattutto in questo momento, non sarebbero legate ai problemi della nostra gente e dei nostri operatori.
Sta aumentando la consapevolezza che la crescita della Comunità europea nel quadro mondiale è elemento di stabilità fra i grandi blocchi e l'esigenza di una accresciuta cooperazione fra gli Stati membri per affrontare la crisi che l'Europa e il mondo hanno di fronte. Un'Europa forte, attiva, unita e una forte cooperazione tra gli Stati membri, aperta al confronto con gli altri paesi, è elemento di stabilità e contributo decisivo nel rapporto con i Paesi del Terzo e del Quarto Mondo in via di sviluppo. Lo scambio delle esperienze delle forze sociali, il confronto tra gli imprenditori europei, il confronto fra il mondo sindacale europeo l'approfondimento delle valutazioni del mondo della cultura europea sono decisivi per costruire nelle coscienze un'Europa unita, per affrontare le tensioni e le problematiche dei vari Stati.
Non posso condividere le perplessità espresse dal collega Valeri e, in modo più subdolo, dall'amico Revelli il quale ritiene che l'Europa pu crescere se vi è una presenza decisiva del Partito comunista e delle forze di sinistra. Questa proposta è sicuramente stimolante ed è una sfida. E' una proposta che viene da un comunista italiano che ha fatto i conti con i comunisti francesi e con quelli spagnoli, che ha fatto i conti con la realtà politica europea, che non offre elementi di unità, ma offre molti elementi di divisione.
Anche all'interno del PCI queste considerazioni debbono essere riflettute con attenzione. Il discorso della Terza Via ci pare un discorso fumoso che va approfondito e verificato, sul quale la DC è interessata a confrontarsi perché sicuramente va nel senso di un contributo alla crescita dell'Europa.
Ma la Terza Via deve essere approfondita e definita. Non se ne pu discutere su linee astratte.
Sicuramente i singoli Stati non possono da soli affrontare i problemi di tipo strutturale, l'inflazione, l'instabilità monetaria, gli scambi internazionali. Sono grandi problemi che solo un'Europa unita, un'Europa disposta a cedere sul terreno del particolarismo e degli interessi nazionali può affrontare.
Il Parlamento europeo può essere il tramite utile per iniziative che riguardano le politiche comunitarie regionali e le politiche di evoluzione della comunità stessa.
Come democratici cristiani valutiamo positivamente le iniziative della Consulta europea sul piano dell'individuazione delle tematiche 'e sul piano della propaganda dell'idea comunitaria. Anche i federalisti stanno svolgendo un'importante azione promozionale dell'idea Europa coinvolgendo e confrontando anche il singolo cittadino. Stanno svolgendo un tipo di informazione per far capire che cos'è il Parlamento europeo e queste sono iniziative sicuramente importanti e rilevanti che vanno sostenute.
Il problema nodale dell'Europa è quello della crisi economica e della crisi occupazionale. Su questo terreno occorre fare uno sforzo comune.
Negli anni '70 è incominciata una fase di profonda trasformazione economica: il ribaltamento delle ragioni di scambio, i nuovi sviluppi tecnologici, la rottura delle tradizionali divisioni mondiali del lavoro.
Come tutte le fasi di trasformazione, anche quella avvenuta in Europa negli anni '70 comporta la crisi del sistema esistente, una crisi non generalizzata e indiscriminata, ma una crisi settorializzata. E' la crisi che privilegia i comparti di sviluppo nuovi, che penalizza i comparti vecchi e i comparti intermedi nei quali si spostano le opportunità di sviluppo e di accumulazione.
La sfida, in sintesi, si caratterizza nella transizione verso la società post-industriale e la politica industriale e dovrebbe favorire la creazione di nuove attività per creare valore aggiunto e occupazione su tre livelli: livello tecnologico con le innovazioni, le nuove attività e la rivoluzione scientifica livello sociale con la tendenza verso servizi avanzati alla produzione livello mondiale con lo sviluppo del Terzo Mondo e con un piano di interventi per i paesi in via di sviluppo.
Vi è quindi la necessità di un vasto progetto di riconversione dell'economia a livello europeo, perché sicuramente a livello nazionale non si riesce a portare avanti politiche strutturali tali da combattere l'inflazione, l'instabilità monetaria e gli scambi internazionali.
E' una riconversione non indolore che comporterà vasti spostamenti nell'occupazione sia sul piano della qualità sia sul piano della quantità.
Alcune settimane fa si è svolto a Torino un Convegno che ha avuto come tema l'agenzia del lavoro. Il Commissario della Comunità europea per i problemi sociali ha detto che nei prossimi dieci anni l'Europa avrà il problema dell'occupazione per i giovani e della conservazione del posto di lavoro a coloro che corrono il rischio di perderlo. Di fronte a questi temi vi è la necessità di gestire le indispensabili modificazioni qualitative e quantitative del mercato del lavoro ed è determinante lo sviluppo di una politica attiva del lavoro e dell'occupazione sul piano europeo. Di qui la proposta dell'agenzia del lavoro, alla quale alcune forze politiche hanno aderito, mentre altre si sono disinteressate o si sono dimostrate preoccupate.
La proposta di un progetto-pilota tra le Regioni Piemonte, Liguria e Valle d'Aosta sull'agenzia del lavoro finanziata dal Parlamento europeo ci pare interessante e da perseguire. Dobbiamo calarci nella nostra realtà regionale per capire come la Regione Piemonte si è collocata in questi anni nella problematica europea e nella crisi che investe l'Europa e il mondo che lascia anche in Piemonte dei segni molto pesanti.
Abbiamo sentito autorevoli personaggi del mondo industriale dire che si deve abbandonare la politica agricola comunitaria per privilegiare la politica industriale. Su questo tema la Regione Piemonte ha il dovere di esprimere il suo parere.
La politica dei prezzi agricoli non ha privilegiato i prodotti piemontesi e, a nostro giudizio, sarebbe necessario un maggior coordinamento sulla politica delle strutture, sui prestiti Feoga. Spesso le richieste non vengono accolte e i contributi non erogati in mancanza di precisi riferimenti a piani di sviluppo regionali. Su questo terreno sarebbe utile un dibattito - e questa è la nostra proposta - per discutere nel merito della politica agricola della Comunità europea.
Sulla politica del Fondo sociale riteniamo che rispetto ai compiti del Fondo, anche in ordine alla possibilità di occupazione, di mobilità geografica e professionale dei lavoratori, gli interventi per la Regione Piemonte sono stati episodici e scarsamente incisivi. Permangono situazioni in cui la formazione non ha superato i limiti dell'intervento assistenziale con connotazioni di impreparazione organizzativa, culturale. Spesso ì progetti di grossa portata, come quello della Fiat, non sono stati inseriti nei programmi finanziabili dalla Comunità europea perché poco finalizzati a sbocchi occupazionali e non inseriti in un quadro organico di progetto regionale. Non solo. Si sta discutendo al Parlamento europeo sulla riforma del Fondo sociale e noi riteniamo che ci sia il rischio che vengano danneggiati i progetti e i programmi regionali. Sarebbe importante a questo riguardo una presa di posizione a livello regionale per richiamare l'attenzione del Parlamento europeo.
Sulla politica industriale si sono perduti molti appuntamenti; sulla politica energetica alcuni progetti sono stati appoggiati e hanno ottenuto il finanziamento, ma non vi è a nostro giudizio una proposta completa di sviluppo del sistema energetico regionale, discussa con la comunità, dentro la quale si possono collocare anche gli aiuti alle singole iniziative evitando forti dispersioni di mezzi.
Sulla politica dello sviluppo e della cooperazione, infine, ci pare di dover osservare che il BIT tiene molti corsi che sono finanziati dalla Comunità europea. La Regione Piemonte però non ha la capacità e la fantasia di sfruttare le occasioni di incontro con i paesi in via di sviluppo del trattato di Lomè. Abbiamo in casa una struttura importante come il BIT, ma non riusciamo a costruire un rapporto costante con quei giovani che potrebbero costituire per l'economia piemontese un ponte aperto verso i Paesi del Terzo Mondo. La futura classe dirigente di quei paesi conosce la produzione piemontese, conosce la piccola e la media imprenditoria industriale e artigiana piemontese? Che cosa si fa per dare al Piemonte quel taglio europeo che tutti invochiamo a parole ma che ancora nei fatti non ha avuto una conseguenza logica e naturale? Il ruolo delle istanze locali e regionali è soprattutto quello di dare un contributo, grazie alla loro conoscenza, perché la politica comunitaria regionale si incentra sui programmi di sviluppo regionale e tali programmi devono essere realizzati nel modo più accurato possibile. Ciò richiede un'intensa concertazione fra le istanze nazionali e quelle regionali. Agli Stati membri deve incombere l'obbligo di coinvolgere le istanze locali e regionali nella preparazione e nella messa a punto di programmi di sviluppo regionale. Si devono creare le premesse affinché la voce delle istanze regionali possa essere ascoltata a livello comunitario.
A conclusione di questo intervento voglio fare alcune brevi valutazioni di tipo politico. Siamo in una Regione in crisi, in una Regione che ha l'esigenza di accedere quanto più possibile alle provvidenze della Comunità europea. Siamo in presenza di una Regione che ha bisogno di avere una forte iniziativa politica per legarsi alle aree forti dell'Europa. Una delle esigenze fondamentali per legarsi all'Europa e per dare all'Europa il segno che siamo una Regione che non affronta i problemi con episodicità, ma con interventi programmati e seri, con interventi che entrano nel nodo dei problemi, è quella di richiamare - e non lo facciamo mai a sufficienza l'esigenza che il secondo piano di sviluppo regionale veda la sua nascita.
Il piano di sviluppo è la strada da percorrere e contiene gli obiettivi da perseguire per costruire il nostro confronto con il Governo e con il Parlamento europeo: in mancanza di questa strada corriamo il rischio di camminare nel buio.
Il documento che la DC ha proposto alla Comunità piemontese, in carenza del secondo Piano di sviluppo, affronta i problemi del Piemonte, rivendica una riqualificazione della Regione come Regione ponte fra l'Europa centrale e lo spazio mediterraneo, auspica una collaborazione stretta con le vicine regioni francesi, con Lione, Nizza, Grenoble, Ginevra, attraverso nuove relazioni e integrazioni commerciali e scientifiche.
Tale prospettiva non esaurisce certo i problemi che il Piemonte ha nel quadro della programmazione e del piano a medio termine nazionale. I progetti che il Piemonte deve attivare nel campo dell'agro-alimentare della forestazione, dei risparmi energetici, dello sviluppo di fonti energetiche alternative al petrolio si collocano perfettamente all'interno dell'obiettivo nazionale di ridurre il grado di dipendenza dall'estero stimolando un'offerta di beni e di servizi interni in grado di sostituire almeno parzialmente, quelli attualmente importati dagli altri Paesi.
La DC ritiene che l'elemento sostanziale di un piano che si realizza per programmi è pertanto un bilancio funzionale pluriennale delle risorse professionali che completi e dia operatività al corrispondente bilancio finanziario. L'obiettivo di dotare il secondo Piano di sviluppo di una struttura responsabile non può non richiamare l'urgenza, ampiamente evidenziata, di costituzione dell'Ufficio di coordinamento per la massima espansione del ricorso ai finanziamenti ottenibili presso le istituzioni comunitarie attraverso la predisposizione di idonei progetti, richiamo che ancora una volta è opportuno fare, a fronte di una sostanziale incapacità della Regione Piemonte di utilizzare i fondi CEE, quando sarebbe invece necessaria una gestione della spesa regionale più dinamica e più credibile rendendo il ruolo della Regione meno dipendente dallo Stato.
Diceva il Commissario della Comunità europea per i problemi sociali in quel Convegno a Torino: "L'Europa oggi ha due problemi, migliorare la qualità della vita e trovare un posto di lavoro per i giovani e per i disoccupati. Non ci sono soluzioni miracolistiche per questi due problemi".
Noi condividiamo questa affermazione.
Occorre ricuperare molti spazi, ritagli di intervento, c'è l'esigenza di rivedere con umiltà tante piccole cose che, messe insieme, possono offrire delle soluzioni a questi problemi.
La DC con la sua proposta fatta poche settimane fa, e con la sua presenza in Consiglio regionale e nelle Commissioni intende dare un contributo decisivo per la migliore soluzione che è possibile dei problemi della nostra Regione.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Mignone.



MIGNONE Andrea

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, il Gruppo socialdemocratico anzitutto vuole rilevare l'utilità, nonché la positività, di questo dibattito e delle indicazioni fin qui emerse che servono a riaffermare la volontà della Regione di contribuire alla definizione di una seria politica regionale e a svolgere un ruolo attivo in questo processo.
Del resto già nel programma che costituì la base per questa maggioranza veniva riaffermata l'importanza di un ruolo più deciso - e più attivo della Regione nella definizione delle politiche europee, per un Piemonte agganciato alle aree forti dell'Europa, cioè per un Piemonte come cerniera tra il Mediterraneo ed il nord-Europa.
Voglio richiamare la positività dell'azione svolta fino ad oggi dagli organi della Regione ai vari livelli per cercare di contribuire a delineare delle linee politiche concrete per accrescere il processo di unificazione europea.
Le attività svolte in questo senso sono altamente positive sia da parte del Consiglio regionale, in particolare della Consulta per i problemi europei, che ha svolto un ampio, serio ed attivo lavoro; sia da parte della Giunta e del Presidente, per cercare di inserire sempre più e meglio il Piemonte nel dibattito oggi in corso nel paese sulla definizione delle politiche europee e per far sì che la Regione possa svolgere il ruolo che le compete in questo quadro.
Ci auguriamo che la legge per il servizio entri presto in funzione.
Abbiamo inoltre avuto un ruolo attivo e decisivo per quanto riguarda il protocollo d'intesa con le Regioni dell'arco alpino.
Voglio richiamare il contributo dato dal Movimento federalista europeo attraverso i suoi esponenti che hanno contribuito alla definizione degli atteggiamenti della Regione Piemonte per quanto riguarda la politica europea. Pensiamo al contributo che diede nel 1980 per quanto riguarda l'agenzia del lavoro, secondo un'indicazione che è stata poi ripresa con emendamenti ed elaborazioni successive di Lega e Didò. E' tanto più importante questa accentuazione, questo rimarcare ulteriormente il ruolo che gli Enti locali e le Regioni possono svolgere per una politica europea più decisa per un ruolo più marcato delle Regioni nelle definizioni delle politiche europee, se pensiamo ai pericoli che sul piano internazionale incombono e che sempre più portano al rallentamento del processo di unificazione economica e politica degli Stati europei. Basti pensare ai contrasti intracomunitari sul piano economico fra i paesi della Comunità ed i contrasti con i paesi extracomunitari. E' già stato ricordata il contrasto tra la Comunità economica europea e gli USA per quanto riguarda il settore siderurgico e i contrasti sul piano politico per quanto riguarda le strategie di ordine internazionale che certamente non contribuiscono 'al rafforzamento dell'unità europea sulle grandi questioni internazionali come i rapporti est-ovest. Pensiamo al caso della Polonia per tutti.
Ecco allora la necessità di affermare ulteriormente, e di riprendere con rinnovato vigore, una serie di iniziative che possono contribuire a far crescere quel processo di unificazione europea per il quale tutti ci siamo impegnati. In questo possono svolgere un ruolo importante gli Enti locali e le Regioni: la Regione Piemonte, a nostro giudizio, lo ha già svolto. Il problema Europa non trova invece da parte delle altre Regioni l'attenzione necessaria per uscire dal ruolo talora di subalternità in cui sono cadute a causa dell'impossibilità di incidere sui gravi e grandi problemi dell'economia e dell'assetto territoriale.
Sono stati ricordati i dieci milioni di disoccupati a livello di Comunità europea e gli squilibri crescenti tra i vari Paesi, il difficile rapporto nord-sud, i problemi della pace e della guerra. L'Europa come unione politica e non come semplice sommatoria di singoli Stati dà segnali della propria volontà e capacità di esistere svolgendo un ruolo attivo, non di mediazione né di equidistanza, oppure ancora una volta la logica della contrapposizione tra le grandi potenze prenderà il sopravvento? Le Regioni debbono prendere parte a questo processo politico poiché le riguarda da vicino strettamente. Non è sufficiente battersi per qualche modificazione alla legge finanziaria che il Parlamento si accinge a votare al fine di ottenere diversa destinazione di taluni fondi, quando la situazione strutturale dell'economia resta precaria o addirittura peggiora in ogni regione. Vale la pena di chiedersi che senso ha qualche unità di conto in più per il Fondo europeo di sviluppo regionale ovvero discutere sul fuori quota o sull'entro quota, se le risorse disponibili restano limitate a causa del comportamento nazionale di governi che non vogliono accrescere le risorse proprie della Comunità né vogliono impostare un'organica politica regionale europea.
Una politica attiva e all'altezza delle tensioni ideali che hanno mosso tante forze, gruppi e associazioni culturali si ottiene con una maggiore dotazione di risorse proprie della Comunità e con politiche autenticamente comuni. Si ottiene, cioè, con un salto di qualità della politica europea abbandonando la difesa di interessi particolari e prospettando una strategia di sviluppo, alla traduzione operativa della quale sia preposto un governo europeo che risponda al parlamento europeo.
Ricordavo i problemi gravissimi, le preoccupazioni per quanto riguarda l'intera economia, la disoccupazione, il settore industriale in crisi. Il Piemonte è un riflesso di questo quadro allarmante a livello europeo. E' un quadro in cui si registra lo scontro tra diverse politiche, tra diverse impostazioni economiche - quelle interventiste e quelle monetaristiche con il risultato che si vanno dilatando gli squilibri tra i paesi membri e le Regioni.
Occorre che anche la Regione contribuisca a definire una serie di progetti, di iniziative, di politiche europee che davvero siano innovative rispetto alla situazione precedente, che possano contribuire a uscire da questa difficile situazione.
E' stata Ricordata una diversa politica del lavoro, una politica attiva del lavoro. Condividiamo in larga massima l'idea di un'agenzia europea del lavoro che potremmo ritenere collegata al dibattito oggi in corso sulla riforma del collocamento, sulle agenzie del lavoro, su questi esperimenti in cui il Piemonte potrebbe essere coinvolto anche per quanto riguarda la mobilità. Un'agenzia europea del lavoro che abbia il compito di raccogliere dati, di dare informazioni, elaborare statistiche, svolgere funzioni di orientamento, di formazione professionale e di riqualificazione, che avvii esperienze di mobilità. Sono attività che non possono decollare se non c'è l'impegno delle parti sociali. Si richiamino le parti sociali a prendere posizione decisa al riguardo e gli enti pubblici facciano la loro parte. Le parti sociali non si sottraggano ai loro compiti e alle loro funzioni: una politica attiva del lavoro che abbia particolare riguardo e attenzione per i problemi dei giovani, per i problemi della riqualificazione e della mobilità, della forza lavoro ai problemi della unificazione della legislazione in materia di sicurezza sociale. Ricordiamo che Torino è stata la sede della firma della Carta Sociale nel 1961 e questa circostanza andrebbe maggiormente ricordata.
Auspichiamo la riforma delle politiche comunitarie a cominciare da quelle agricole con la riforma del FEOGA. Riteniamo positivi gli elementi indicati nel rapporto della Commissione con i quali si danno indicazioni di operatività secondo progetti integrati. Non possiamo perdere l'occasione di agganciare l'avvio dei progetti integrati alla definizione del secondo Piano di sviluppo regionale, che anche noi riteniamo un tassello fondamentale per il futuro sviluppo della Regione. Nella definizione dei progetti integrati largo spazio va dedicato al settore dell'energia. La Regione si è mossa in modo puntuale e tempestivo con l'elaborazione dei progetti per i quali vi può essere il sostegno della Banca europea degli investimenti.
Siamo anche d'accordo sul progetto che riguarda la ricerca e l'innovazione tecnologica così come sull'ipotesi di rilancio del settore industriale. Siamo d'accordo con la proposta Thorn di riservare risorse del Fondo sociale ad aree industriali in forte declino per interventi specifici a sostegno dell'occupazione e della riconversione industriale.
Le attuali disponibilità del Fondo regionale appaiono largamente inadeguate in relazione al loro principale obiettivo che è quello del riequilibrio della disparità tra le varie regioni della Comunità.
L'esigenza fondamentale è quindi l'aumento della dotazione del Fondo. Il rapporto della Commissione afferma che il Fondo dovrebbe essere considerevolmente modificato per aumentare l'efficacia nel senso di una maggiore concentrazione degli interventi nelle zone che presentano i ritardi più accentuati. A tal fine propone un aumento delle disponibilità della sezione fuori quota nonché il passaggio da un sistema di aiuti ai singoli progetti ad un sistema di aiuti ai programmi regionali.
Dovrebbe esserci un'azione più decisa a livello di Comunità per quanto riguarda il settore delle infrastrutture e dei trasporti. La Regione Piemonte può svolgere un ruolo importante, intanto riannodando in senso stretto e puntuale un rapporto con la Regione Liguria per un progetto integrato che riguardi le infrastrutture viarie, ferroviarie, di trasporto ed il sistema integrato dei porti liguri. E' fondamentale il potenziamento delle infrastrutture regionali di trasporto considerato fattore essenziale per lo sviluppo economico e per l'integrazione della Comunità.
Le Regioni si trovano ad un punto importante della loro vita: o adeguano la loro azione alla dimensione vera dei problemi dell'agricoltura dell'industria, dell'energia, dell'occupazione che dipendono dalle scelte europee e internazionali più che da quelle di livello nazionale oppure saranno soffocate dalla routine quotidiana. Insieme a loro si affievolirebbero anche le speranze per costruire un'Europa federale fondata sulle autonomie locali e regionali.
Le risultanze del dibattito e le attività intraprese finora dalle Regioni possono segnare una svolta.
Ci auguriamo che sia così.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARCHIARO



PRESIDENTE

La parola al Vice presidente Sanlorenzo.



SANLORENZO Dino, Vice Presidente della Giunta regionale

Desidero intervenire nel dibattito sia perché sollecitato da una serie di spunti e di interventi sia per dare qualche informazione sull'interessante riunione del Comitato di coordinamento delle autonomie locali che si è tenuta in questi giorni a Londra. Vorrei soprattutto cercare di dare un contributo per rispondere a un quesito esplicitato in forma critica dal Consigliere Carletto, il quale chiede come la Regione Piemonte stia utilizzando gli strumenti della politica comunitaria.
Intendo fornire alcune informazioni sui contributi Feoga, sul Fondo sociale, sulla Banca europea per gli investimenti. Premetto che non possiamo pensare che gli strumenti della politica comunitaria siano risolutivi ed essenziali per affrontare la dimensione della crisi europea.
Tuttavia dovremmo non commettere l'errore di considerarli ininfluenti e avere un atteggiamento luddistico nei loro confronti. Tali strumenti sono stati pensati e ideati nella fase di sviluppo dell'economia europea e oggi si trovano di fronte alla modifica qualitativa avvenuta negli ultimi anni: non siamo in fase di sviluppo, ma siamo in fase di crisi.
A Londra abbiamo realizzato una convergenza straordinaria che non si era mai verificata prima d'ora. Era difficile individuare una distinzione politica in chi parlava perché ciò che dominava tra i rappresentanti inglesi, tedeschi, francesi era il dato sulla disoccupazione esistente nei loro Paesi: i dati sui nostri 2 milioni di disoccupati li conoscevamo, ma ai dati della disoccupazione inglese, tedesca e francese non eravamo abituati.
Si è verificato un unisono di accenti e di elementi di analisi di fronte alla realtà di undici milioni di disoccupati e di fronte alla previsione di 16 milioni di disoccupati nel 1982: la ripresa non è dietro l'angolo, il 1982 non è l'anno della ripresa.
Anche sul piano dell'inflazione si è verificato quello che tutti conosciamo ma che viene vissuto in maniera diversa da paese a paese: i tassi di inflazione che sono variabili dal 5 % al 22 %. L'Italia è vicina al 22 % con un tasso medio del 12 % che mette in difficoltà l'intera economia europea e rende valide le osservazioni fatte circa la necessità di una politica comunitaria che ricrei uno spazio nell'economia mondiale.
Il terzo elemento da cui non possiamo prescindere quando parliamo dell'utilizzazione concreta di questi strumenti riguarda gli squilibri tra Stato e Regione che a differenza di quanto era successo nel primo decennio della Comunità, sono aumentati, quindi questo dato va tenuto presente per illuminarci su ciò che bisogna cambiare negli strumenti della politica comunitaria.
Detto questo, quindi condividendo le sollecitazioni e le opinioni che sono state avanzate di strategia generale, di necessità di un impegno coerente, comincio col dire che se vogliamo meglio utilizzare gli strumenti della Comunità europea occorre non solo una straordinaria coesione delle forze del Consiglio regionale, ma l'unità dei parlamentari piemontesi e delle forze politiche delle aree più colpite dalla crisi industriale.
Propongo di individuare un'iniziativa della Giunta e del Consiglio che porti ad un incontro dei parlamentari di questo Collegio ai quali sottoporre un quadro di analisi complessiva, ma anche progetti e iniziative concrete cercando il massimo di unità e eliminando le differenziazioni il più possibile.
Sono d'accordo con la sollecitazione di Carletto quando dice che dobbiamo cercare di migliorare l'utilizzazione di questi strumenti, non sono d'accordo quando dice che siamo incapaci di utilizzarli. I dati non dicono questo.
Il Feoga, con il regolamento 269/1979, istituiva un'azione comune forestale in alcune zone mediterranee, identificate, per quanto riguarda il Piemonte, nelle province di Cuneo e di Alessandria. Sulla base del programma quadro regionale riferito agli anni 80-81-82 è stato predisposto un complesso di progetti corrispondenti alla prevista spesa di L. 12 miliardi, dei quali il 50 % a carico del Feoga, il 40 % a carico della Regione, il 10 % a carico delle Comunità montane. I progetti sono in corso e le Comunità montane li gestiscono. E' tanto? E' poco? Si può fare di più? Si potrà fare di più, ma bisogna tenere conto di un quadro di relazioni con le altre Regioni italiane e con le altre Regioni d'Europa le quali hanno problemi gravi che pesano secondo il peso politico che ciascun Paese riesce a dare all'interno dell'esecutivo della Comunità e all'interno del Parlamento europeo.



BANCA EUROPEA DEGLI INVESTIMENTI

I dirigenti della BEI si sono incontrati in questi giorni con la Giunta regionale e ci hanno dato alcune informazioni interessanti. L'attività della BEI può essere persino più interessante degli strumenti di politica comunitaria che stiamo esaminando. I dati relativi all'attività del 1981 ci dicono che quegli investimenti hanno salvaguardato 31.000 posti di lavoro in Europa. Gli investimenti complessivi vanno attorno ai 5.000 miliardi di lire: è l'equivalente degli investimenti liberi che ha a disposizione il Governo italiano. Le operazioni della BEI sono più certe, più sicure perch le dirigono dei banchieri e, in generale, tutte le iniziative che hanno assunto non hanno incontrato riscontri negativi.
Dai dati che ci hanno fornito emerge che anche la BEI è consapevole che in Piemonte ha investito poco: dal 1979 al 1981 sono stati investiti 329 miliardi per 14 progetti a fronte di immobilizzi per 850 miliardi, così suddivisi: tre progetti per l'energia (200 miliardi), sei progetti per le infrastrutture (98 miliardi), cinque progetti nel settore industriale (31 miliardi). Tali progetti hanno creato 345 posti di lavoro e ne hanno stabilizzati 2900. Dei 345, 35 sono nel settore dell'energia e 310 nel settore dell'industria.
Ho colto nella relazione di Pininfarina sul piano per il sostegno della piccola e media industria l'intenzione e la volontà di muoversi sulla BEI per accrescere il peso e il ruolo che quella Banca può avere (anche se questo non è facile). Sugli impegni che la BEI si è assunta nei confronti della Regione nel campo dell'energia informerà il Presidente della Giunta.



FONDO REGIONALE EUROPEO

Finora è stato utilizzato dalle Regioni meridionali. L'allora ministro Donat Cattin aveva conquistato che il 40 % del fondo venisse utilizzato per l'Italia. Sapete quanta polemica si fece nel nostro Paese sul modo con cui veniva utilizzato questo Fondo nel senso che i soldi a disposizione c'erano, ma l'incapacità delle Regioni a presentare i progetti e attuarli anche dopo che avevano ottenuto i finanziamenti, era rilevante quanto era la fame di progetti. La situazione in parte è migliorata perché, a forza di insistere, alcune regioni meridionali sono riuscite ad ottenere i quattrini e speriamo che anche con l'aiuto dello Stato questi fondi si traducano in investimenti concreti.
Dal Fondo di sviluppo regionale nell'ultimo periodo la Sicilia ha ricevuto 249 miliardi, la Campania 208 miliardi, la Calabria 84 miliardi.
Queste tre Regioni si sono aggiudicate il 63 % della quota italiana.
Il nostro interesse in questa vicenda sta nel fondo "fuori quota" che è stato introdotto come tentativo per intervenire anche in quelle regioni europee, ed italiane, non meridionali che sono attraversate da profonde crisi di ristrutturazione.
Ci sono due tendenze. L'una, é quella di considerare all'interno di uno stanziamento estremamente modesto rispetto alle esigenze l'utilizzo del fondo fuori quota anche per le altre Regioni (qui potrebbe rientrare anche il Piemonte) e l'altra è quella di aumentare lo stanziamento complessivo e in questo aumento ricavare il "fuori quota" al quale potrebbe fare riferimento anche il Piemonte.
Le autonomie locali europee a Londra hanno sposato quest'ultima tesi.
Vi è la necessità di un accertamento. Il Governo italiano, qualora cammini questa proposta, pare interessato a destinare il "fuori quota" all'industria cantieristica per cui il contributo finirebbe in città come Genova e Trieste. Su tale scelta, sulla quale potremmo convenire, non si è ancora discusso.
Tocchiamo in questo caso uno dei punti deboli ossia, mentre c'è un miglioramento nei rapporti, c'è un grave scoordinamento tra l'azione di governo e l'azione delle Regioni. Ognuno va per conto suo e prevale la capacità di pressione di ogni Regione per ottenere i finanziamenti e nel gestirli, senza che ci sia un coerente coordinamento nazionale. Dovremmo chiedere e ottenere dal Governo di essere consultati su questo, dato che il Fondo rappresenta almeno la metà dei fondi liberi del nostro bilancio regionale.



FONDO SOCIALE EUROPEO

Non siamo stati inerti. La Regione Piemonte sul Fondo sociale europeo per il periodo 1980-81 ha ottenuto circa 24 miliardi. Di questi 13 miliardi sono destinati alla prima formazione dei giovani e 11 miliardi a interventi per lavoratori adulti interessati a processi di riconversione produttiva o ristrutturazione aziendale.
Questo fatto ci ha portati a muoverci in direzioni nuove, una delle quali, che forse si è data per risolta ma che è soltanto avviata, è l'operazione per il Verbano-Cusio-Ossola per ottenere un finanziamento dalla CECA per le piccole e medie imprese che occupano al massimo cinquecento persone e che hanno immobilizzazioni inferiori a 50 milioni di unità di conto. Se l'operazione andrà in porto, si potranno ipotizzare 16 miliardi, un terzo delle somme libere che la Regione Piemonte dovrebbe avere a disposizione per il suo bilancio. L'importanza di queste operazioni sta nel fatto che le cifre, per piccole che siano, sono tali da intervenire in modo notevole.
Che cosa si dovrebbe fare di più? Il problema riguarda tutte le regioni. Dobbiamo batterci per un coordinamento di carattere nazionale fra i Piani di sviluppo regionali e la politica governativa. Poiché manca una politica di programmazione nazionale, occorrono forme di coordinamento empirico che possono consentire di intervenire nei tempi brevi, comunque nei tempi consentiti dalla crisi.
Per quanto riguarda l'utilizzazione del BIT i rapporti ci sono e sono ricchi di episodi e di interventi. Anche in questa direzione ci stiamo muovendo per fare qualche cosa di nuovo. Il Consiglio ha approvato la costituzione della Commissione mista per un programma di aiuti verso i Paesi sottosviluppati in ordine alla questione della fame nel mondo. Siamo impegnati a presentare qualche progetto o qualche iniziativa come conseguenza pratica del telegramma del Governo che ci invita a coordinare i nostri interventi con quelli del Governo stesso. Abbiamo preso contatti con il Ministro degli Esteri e siamo in grado di presentare un progetto avanzato che utilizzerà le iniziative della Regione, del BIT dell'Università degli Studi di Torino. Siamo in procinto di convocare la Commissione per sottoporre all'attenzione dei Consiglieri proposte concrete.
Abbiamo svolto e possiamo continuare a svolgere una politica in questa direzione tale da fare della nostra Regione un centro effettivo e utile internazionalismo che si muove nella direzione di Lomè.
Dobbiamo inoltre raccordarci con l'Ufficio CEE che si è aperto a Milano, che ha carattere nazionale anche se ha sede in Lombardia, e dobbiamo elevare la capacità di intervento dei nostri uffici anche con l'estrinsecazione dell'Ufficio per l'Europa di cui abbiamo presentato e approvato in Commissione il progetto.
Infine vorrei esprimere un'opinione di carattere politico. La Regione Piemonte aderisce all'Associazione italiana dei comuni d'Europa nella quale credo debba intervenire un elemento di novità e di rinnovamento passando dalla fase di propaganda dei principi europei e delle politiche comunitarie a una fase di intervento concreto. Molte cose sono da cambiare perché siamo in presenza di un doppio fenomeno: l'aumento della disoccupazione degli europei da un lato e un costante aumento in Europa dei lavoratori del Terzo Mondo dall'altro. E' tempo di pensare ad una legislazione di tutela e di disciplina di questa materia. L'AICCE potrebbe intraprendere un' iniziativa del genere come titolare e portatrice di un progetto di legge di carattere nazionale. Dobbiamo lavorare all'interno dell'Associazione in questa direzione.
Il dibattito di oggi è stato utile ma sarà opportuno farlo seguire da altri dibattiti, nei tempi che i Capigruppo e la Giunta vorranno calendarizzare, perché i singoli aspetti di questa materia possano essere verificati periodicamente per valutare se e come le iniziative vanno avanti e quali insegnamenti possiamo trarre da tale esperienza.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI



PRESIDENTE

La parola al Presidente della Giunta regionale.



ENRIETTI Ezio, Presidente della Giunta regionale

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, farò poche considerazioni finali a questo importante dibattito in ordine alla funzione delle Regioni nel contesto europeo.
Il dato essenziale è che questo dibattito, al di fuori di un'esercitazione dialettica e culturale, si è ricondotto a filoni concreti di interventi che interessano non soltanto le avanguardie di un disegno europeo, ma interessano i cittadini, le comunità, l'operatività delle varie forze sociali. E' estremamente importante che non si sia riscontrato un calo di tensione nel dibattito, che ho seguito con grande interesse dall'inizio, con l'introduzione del Presidente del Consiglio e gli interventi dei colleghi, fino alla fine.
Dalle ultime considerazioni che ha fatto or ora il Vice Presidente Sanlorenzo emerge l'esigenza di programmare e di definire i canali di intervento sull'Europa. Gli argomenti sono tanti e così vasti che occorre puntualizzarli in termini precisi.
All'inaugurazione dell'ufficio della Comunità economica europea a Milano la Regione Piemonte è stata invitata al tavolo della Presidenza e nell'intervento del Commissario Natale, la Regione Piemonte è stata indicata come la Regione che ha dato un contributo attivo all'evoluzione europea. Il Presidente del Consiglio Spadolini ha accennato alla nuova strategia che si sta delineando in Europa nella quale l'Italia è fortemente interessata. Questa strategia è stata caratterizzata dalla venuta del Presidente Mitterand a Roma per l'incontro ufficiale con il Governo italiano, accompagnato da ben sette ministri del Governo francese. Lo stesso Governo italiano ha instaurato un nuovo modo nella concretezza diplomatica dei rapporti tra Italia e Francia.
Questo aspetto nuovo va sottolineato e soprattutto a noi piemontesi fa estremamente piacere.
L'altra considerazione è di carattere generale sugli interventi dei Consiglieri intervenuti, Picco, Carletto, Viglione, Revelli.
Occorre spendere alcune parole sulla funzione dell'Europa, su questa idea base sulla quale ogni sforzo deve collocarsi e trovare quella tensione, che richiamava il Consigliere Carletto e che forse - secondo lui non c'è. A mio avviso invece esiste, conché su questo si dia una precisa impostazione politica.
Abbiamo avuto modo di parlare dell'Europa quando abbiamo svolto il dibattito sul Salvador. In ogni intervento si è sentito quanto sia necessario lo sviluppo dei rapporti internazionali, di una politica europea autonoma come punto di attrazione per le forze del Terzo Mondo. Mi vengono in mente le grandi marce della pace, da Bucarest a Madrid, da Londra a Bonn, da Roma a Parigi, che hanno messo in essere una molla tale che seppure non abbia dato risultati concreti, è presente al tavolo di Ginevra dove discutono le grandi potenze. E' un'iniziativa squisitamente politica venuta dalle istanze di rinnovamento della popolazione europea, è un fatto eccezionale dell'Europa occidentale e dell'Europa dell'est.
Se facciamo mente a queste cose e riportiamo la concezione dello sviluppo dei rapporti internazionali non soltanto puntutali sulle due grandi potenze, ma su una funzione europea che esalti i valori di rinnovamento e le politiche del Terzo Mondo, avremo dato l'idea forza sulla quale non si può dividere ma si può sviluppare una grande tematica internazionale.
L'Italia vuole essere fortemente inserita nell'Europa, ma per l'incapacità complessiva, molta parte della nostra società tende ad andare sempre di più vicino all'Africa e non più vicino all'Europa. Quando sento le spinte della Grecia e della Gran Bretagna, penso all'idea di fondo di dare una strategia globale ai problemi europei in modo che gli interessi europei si contino sulle cose concrete e non diventino soltanto dei fatti di divisione internazionale. Se sapremo dare queste indicazioni con forza faremo dell'Europa un punto essenziale per lo sviluppo pacifico della popolazioni del mondo.
In questa strategia quali sono le funzioni delle Regioni? Ho avuto modo di parlare con il Ministro degli Esteri, con i funzionari della Farnesina e con alcuni Sottosegretari. Dobbiamo partire dalle cose concrete, dobbiamo partire dalle cose che ci uniscono e le regioni frontaliere in questa dimensione hanno una funzione e una responsabilità maggiore rispetto alle altre.
Ho qualche timore a partecipare alle riunioni dell'Associazione dei comuni d'Europa. Ho avuto anche modo di dirlo alla conferenza dei presidenti delle Regioni: ho qualche timore a spendere tanti quattrini (adesso poi la quota è aumentata). Forse lo dobbiamo fare lo stesso, ma non è forse meglio costituire un'associazione che in concreto riesca a risolvere i problemi delle Regioni d'Europa nella scia del comitato delle Regioni dell'Arco alpino occidentale non legando le iniziative a fatti esterni e globali, ma legandole su cose concrete, precise che oggi sentiamo, come i problemi inerenti ai trafori e i rapporti tra le Regioni dell'Arco alpino. Questi sono fatti concreti per le popolazioni che amministriamo.
Questa è un'osservazione mia personale che lascio alla meditazione dei Consiglieri.
La risoluzione preliminare venuta dalla Conferenza di Madrid diceva appunto che le forze regionali confinanti vengono stimolate dai contatti tra le Regioni frontaliere.
In questo quadro quale deve essere la strategia del Piemonte? Molti ne hanno parlato. Voglio sottolineare gli aspetti essenziali.
E' fuori di dubbio la nostra vocazione europea che nel contesto dello sviluppo globale dell'Europa tenga conto in maniera peculiare delle zone del Mezzogiorno e faccia una politica del Mediterraneo tale che, abbia degli sbocchi nei paesi del Terzo Mondo. E se questa è una strategia globale, veniamo alle scelte concrete con una forte iniziativa politica.
Ho già avuto modo di parlare degli investimenti per 6 mila miliardi che il Governo si appresta a varare con la legge finanziaria, dei quali 500 miliardi sarebbero a disposizione delle Regioni per progetti speciali. Si era ipotizzato che uno di tali progetti speciali poteva essere il progetto per il Po e in una riunione con i Presidenti delle Regioni attraversate dal Po si era esaminata tale ipotesi.
Ne è risultato un aspetto che porto all'attenzione delle forze politiche del Consiglio regionale, ai parlamentari piemontesi e alle forze sociali perché vi intravedo un pericolo gravissimo per il Piemonte, un pericolo che se non viene affrontato con energia da tutte le forze politiche e sociali del Piemonte, negli anni futuri ci troveremo in un grande isolamento.
Il nostro disegno è quello dell'unità delle Regioni dell'Arco alpino per formare al sud dell'Europa una grande area economica, in funzione di altre aree che si stanno formando, e del decollo dei porti fiori e delle infrastrutture fra il Piemonte e la Liguria. Se vediamo invece sorgere una forte spinta per la navigabilità del Po, da Rovigo a Mantova, con investimenti di 200 miliardi, se vediamo la realizzazione del potenziamento del porto di Ravenna, con altri investimenti, tutta la nostra logica politica diventa soltanto parole, diventa un'impostazione di principio che non si concretizzerà in interventi reali. Questo è un problema gravissimo.
Colgo l'occasione di questo dibattito per evidenziarlo. Il Piemonte deve uscire con decisione e unitariamente perché questa linea non passi.
Possiamo essere d'accordo che partano i finanziamenti per il porto di Ravenna e per la navigabilità della prima parte del Po, ma non può uscire un centesimo di quei finanziamenti se altrettanti finanziamenti non vengono per la parte del mare Tirreno: questo vorrebbe dire l'isolamento del Piemonte in favore delle sorti del lombardo-veneto.
Sento il pericolo di una scelta strategica di questo genere.
Questa considerazione mi induce a farne un'altra: la necessità della conferenza regionale sullo sviluppo già chiesta da parecchie forze.
Era emersa la necessità di raccordare queste iniziative con il Consiglio regionale e l'impegno della Giunta regionale è di investire comunque e sempre il Consiglio in ordine alle iniziative che si intende assumere.
Debbo fare una precisazione. Ho già discusso con i funzionari della Farnesina e con i rappresentanti delle Regioni dell'Arco alpino sulla necessità dello sviluppo delle relazioni frontaliere dell'Arco alpino con la costituzione di un comitato nel quale siano rappresentati i Consigli regionali. Stiamo però incontrando le stesse difficoltà che aveva incontrato la Giunta presieduta da Calleri, in quanto si vorrebbero far partecipare gli esecutivi e non i Consigli regionali in forma ufficiale.
Devo fare presente questo aspetto al Consiglio perché non si pensi che questa sia una posizione della Giunta; è invece una posizione del Ministero degli Esteri.
Riprendo brevemente il discorso che il Consigliere Carletto faceva circa il BIT. Ho avuto modo di intervenire spesso a Ginevra e prima di me l'aveva fatto il Presidente Viglione, per fronteggiare la spinta che veniva da parecchie Regioni e da parecchie nazioni perché il BIT fosse trasferito da Torino altrove. Questa spinta è stata recentemente superata grazie a interventi di carattere finanziario sostenuti da parte della Regione Piemonte. L'impegno è stato totale, l'attivazione è stata completa, le analisi secondo cui quei quadri diventeranno la classe dirigente del Terzo Mondo si inseriscono nella logica generale dello sviluppo del Piemonte e della necessità di far conoscere la nostra capacità di insegnamento e la nostra capacità di iniziativa. Sarà forse opportuno pubblicizzare maggiormente, non credo però che da parte della Regione e anche personalmente ci sia da inventare molto.



PRESIDENTE

A conclusione di questo importante dibattito farò una breve conclusione. Data l'ampiezza del dibattito e le proposte concrete che ne sono derivate da parte di vari Gruppi, proporrò all'Ufficio di Presidenza che vengano pubblicati i vari interventi anche perché da essi potremo estrapolare le iniziative possibili da assumere.
E' stato presentato un ordine del giorno dai colleghi Consiglieri Picco, Paganelli, Valeri, Vetrino e Ferro, che hanno partecipato ai lavori degli Stati Generali d'Europa a Madrid. L'ordine del giorno chiede l'approvazione del contenuto di quella risoluzione finale.
Ve ne dò lettura: "I sottoscritti Consiglieri regionali del Piemonte avendo partecipato ai XIV Stati Generali d'Europa a Madrid dal 23 al 26 settembre 1981 viste le risoluzioni approvate avendo avuto modo di valutarne ed approfondirne i contenuti, in occasione del dibattito promosso dal Consiglio regionale sullo 'Stato di attuazione degli impegni politici in proiezione europea ed in attuazione degli indirizzi di politica comunitaria' della Regione Piemonte nell'anno 1981 le approva, impegnandosi a trasmettere i risultati del dibattito alla Segreteria Nazionale della CEE, al Parlamento nazionale ed al Parlamento europeo".
Chi approva è pregato di alzare la mano. E' approvato all'unanimità dei 54 Consiglieri presenti.
I lavori del Consiglio proseguiranno nella seduta pomeridiana.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 13,15)



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