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Dettaglio seduta n.113 del 11/02/82 - Legislatura n. III - Sedute dal 9 giugno 1980 al 11 maggio 1985

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI


Argomento: Consiglio, organizzazione e funzioni

Dibattito sul funzionamento del Consiglio regionale (seguito)


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Proseguiamo il dibattito sul funzionamento del Consiglio regionale di cui al punto quarto all'ordine del giorno.
Ha chiesto di parlare il Consigliere Picco. Ne ha facoltà.



PICCO Giovanni

Il contributo che voglio portare al dibattito deriva solo in parte dall'esperienza di partecipazione all'Ufficio di Presidenza del Consiglio non vuol essere né una difesa d'ufficio di una praticata linea di "sommatoria statistica ed acritica degli interessi esistenti" né solo uno stimolo dialettico di un Consigliere d'opposizione al "prodotto" che il Consiglio regionale e la Regione offrono al servizio della comunità piemontese.
Dirò quindi subito che, pur non rinunciando affatto alla denuncia delle responsabilità della maggioranza, mi faccio carico come democristiano della responsabilità che ci compete e non solo come prima forza politica in questa assemblea. Ed aggiungiamo che in questo quadro non vi è collocazione più sbagliata del voler distinguere e segmentare le responsabilità dell'attuale maggioranza per anni solari e pleniluni.
Il dato critico fondamentale è il tipo di risposta complessiva alle aspettative ed alle esigenze della comunità che la Regione ed in particolare il Consiglio regionale sono in grado di elaborare traducendola in atti legislativi, normativi, operativi in genere oggi, in questa terza legislatura, nel solco dei principi e dei metodi definiti dallo Statuto.
A dieci anni dalla nascita delle Regioni è vivo l'interesse delle forze politiche alla ridefinizione del progetto autonomistico realizzato nel nostro Paese; quando qualche forza politica neofita della scoperta dell'apporto fondamentale e determinante dell'articolato sistema di governo locale alla crescita, ma anche alla tenuta del nostro sistema democratico ne ridefinisce i contorni e le collocazioni storiche, dimentica forse che tale sistema in 37 anni ha maturato e consolidato una solidarietà fra le istituzioni al servizio della comunità; e pertanto l'uso strumentale delle autonomie quali "contropotere" dello Stato non solo è perdente al servizio del Paese, ma anacronistico e perdente rispetto a quei sofferti obiettivi d'identità conflittuale, storicamente esistenziali a quelle forze politiche.
Noi democristiani partiamo quindi da posizioni diverse, non solo più lontane, che ci consentono di guardare alla struttura del sistema con atteggiamenti costruttivamente critici rispetto ai traguardi conseguiti.
Ciò che vogliamo recuperare nei confronti delle Regioni quelli di indirizzo, programmazione, legislazione, coordinamento dev'essere ricondotto a sintesi politica nel più generale e fondamentale disegno di una "concezione - operante" dello Stato - comunità, basato su principi e valori mobilitanti dello "spirito di comunità". "Spirito di comunità" inteso come sviluppo della persona nell'integrazione reciproca che è fondamento della crescita democratica e civile della società.
La nostra presenza dialettica nelle istituzioni, soprattutto se all'opposizione, non è quindi fine a se stessa, e non presume d'essere di per sé detentrice esclusiva di valori comuni ad altre forze politiche ed al pluralismo delle componenti sociali.
In questo quadro ha spazio la proposta politica, la progettualità strategica ed operativa, la dialettica conseguente.
Il Consiglio regionale, l'assemblea è centrale al momento politico regionale in quanto è garanzia e testimonianza di tale momento.
La metafora della centralità del Consiglio regionale non esclude quindi di per sé che tale "centralità" si articoli, per funzioni, sugli organi fondamentali previsti dallo Statuto.
Questa premessa vorrei fosse più strumentale all'obiettivo di rendere credibile il ruolo ed il lavoro svolto dal Consiglio regionale rispetto alla comunità piemontese che alla difesa di una legittimazione detentrice di esclusivismi.
Abbiamo chiaro il momento storico nel quale ci poniamo a considerare queste attribuzioni con riferimento ai compiti che sono specificatamente definiti negli artt. 16 e 17 dello Statuto. Sosteniamo però che queste attribuzioni non si esauriscono nelle competenze proprie e nelle funzioni espresse negli articoli dal 2 al 9 ma che esistono delle possibilità di iniziativa politica che, tra l'altro, sarebbe stato opportuno che all'inizio di ogni legislatura fossero recuperate anche rispetto alla congiuntura storica che si sta consumando, che vede la Regione dotata ormai di un largo patrimonio di leggi, di norme e che si deve porre il problema di rendere leggi e norme operanti rispetto alla realtà così come si va modificando.
La distinzione dei ruoli tra Giunta e Consiglio regionale la salvaguardiamo anche nella fase di iniziativa politica, la qual cosa per non esclude che proposte parallele politiche e legislative, ricomponibili nella fase di esame quindi di elaborazione formale delle decisioni, possa avvenire e scaturire all'interno dell'assemblea.
Il riconoscimento del ruolo autonomo del Consiglio regionale è stato esercitato debolmente nella passata legislatura e comporterebbe una revisione articolata di come sono andate maturando alcune decisioni, dalle quali, tra l'altro, stamattina il Consigliere Viglione prendeva certe distanze, per esempio, sul problema della costituzione degli organi consultivi. Non possiamo non sottolineare come oggi stiamo vivendo un momento di raccolta e di elaborazione di proposte politiche che debbono necessariamente proporci un obiettivo di maggiore rispondenza rispetto alle esigenze di una società che si evolve, di una struttura economica che si va articolando con problemi diversi rispetto al passato e che quindi richiede un aggiornamento sostanziale delle collocazioni rispetto alla produzione legislativa.
Non è possibile ridurre il ruolo di iniziativa politica a funzioni solo esercitate nell'ambito di formali raccordi (e sottolineo i formali raccordi) con la comunità piemontese, perché riteniamo che si possa fare qualche passo in avanti nel costruire attorno al momento delle consultazioni una capacità di raccordo con le categorie sociali, con gli Enti locali, per sottrarre ruoli e compiti a nessuno ma per rendere l'assemblea e le forze politiche in grado di avere maggiore capacità di interpretazione e di conoscenza della realtà.
L'autonoma capacità di acquisire conoscenza della realtà piemontese e di elaborare anche un'informazione conseguente, riteniamo sia, al di là degli atti formali, un raccordo sostanziale con la società che si impone negli anni '80, quindi riteniamo che si debbano costituire i capisaldi della centralità reale del Consiglio regionale per interpretare le attribuzioni, riconosciutegli dallo Statuto.
Mi soffermo brevemente su questo aspetto perché, per quanto riguarda la conoscenza e l'informazione, credo che l'attualità del dibattito che si sta svolgendo all'interno delle forze politiche, anche nelle Commissioni, rende obiettivamente attuale questo tema.
Dato che gli Assessorati dispongono di strumenti per analizzare la realtà e per approfondire i problemi, che sono a volte evidenziati da sollecitazioni strumentali e da provvedimenti, riteniamo che spesso la conoscenza e l'informazione che ne deriva sia eccessivamente strumentale all'operatività e che tutto questo finisca per risultare un approccio parzializzante e settorializzante e che quindi vi sia l'esigenza di avere momenti informativi di più ampio respiro.
I temi che concernono i movimenti culturali o dì pensiero, le modificazioni dei modi di vita nelle varie comunità, la capacità di capire come si vanno modificando i costumi della mai troppo evidenziata esigenza di riqualificare la cosiddetta qualità della vita, degli insediamenti, la conoscenza reciproca di realtà a volte relegate e sconosciute, sono caratteristiche di un modo di riuscire a conoscere e ad informare la comunità piemontese in modo diverso rispetto al modo "strumentale"; non vogliamo dire con questo che tutta l'informazione dei nostri notiziari è strumentale, certo è un'informazione funzionale su provvedimenti presi, su leggi, su norme, mai con una collocazione sufficientemente ampia della conoscenza e dell'interpretazione di certe modificazioni delle realtà.
Poiché non dobbiamo esaurire tutte le proposte con questi interventi si potrebbero far derivare da parte delle forze politiche delle proposte che possono collocarsi, a seconda degli obiettivi, nelle Commissioni oppure nell'Ufficio di Presidenza se non sono aspetti strettamente finalizzati alla produzione legislativa.
D'altra parte riteniamo che alcune tematiche di rilievo possano trovare in questo quadro quella giusta dimensione c u I turale per sottrarla a qualsiasi strumentalizzazione, parte per quanto attiene ai contenuti politici e di operatività che possono far capo alle responsabilità di taluni organi della Regione, in ciò correndo il pericolo di conflittualità rispetto alle indicazioni che sono precisate nello Statuto.
Per quanto attiene alla partecipazione, riteniamo che il Consiglio regionale debba essere garante delle funzioni dell'assemblea elettiva regionale.
E' chiaro che in queste garanzie devono essere comprese anche le altre assemblee elettive che sono emanazione della Regione. Per esempio, i Comitati comprensoriali devono avere un tipo di riferimento per quanto attiene al loro funzionamento e alla loro capacità di essere espressione autonoma delle autonomie locali nel Consiglio regionale.
Il Titolo II dello Statuto definisce i limiti e i contenuti normativi della partecipazione popolare. Noi riteniamo che esistano importanti momenti di raccordo ancora inesplorati, di collaborazione e di integrazioni nel corretto rispetto dei ruoli istituzionali che il Consiglio deve privilegiare a sostegno di un'autentica rappresentatività politica delle autonomie locali. Questo riferimento lo evidenziamo in particolare nei confronti dei Comitati comprensoriali e denunciamo come questo tipo di rapporto sia molte volte svilito dall'esecutivo. Fanno testimonianza non solo le riunioni che si sono recentemente tenute, sollecitate dagli stessi Comitati comprensoriali, ma anche da denunce che in questa direzione si vanno moltiplicando.
Avevo espresso, in sede di Ufficio di Presidenza, l'esigenza di un sostegno all'attività dei Comitati comprensoriali con un raccordo del personale del Consiglio regionale nelle segreterie dei Comitati stessi.
Non approfondisco questo aspetto che ha implicazioni strutturali e forse anche dimensionali della struttura del Consiglio, ma ritengo che sia oggetto di meditazione soprattutto alla luce dei contenuti e delle scadenze che dovremmo quanto prima affrontare in ordine al problema delle deleghe e a tutto ciò che concerne l'articolazione del decentramento funzionale della Regione in termini di attribuzioni e di competenze.
D'altra parte com'è possibile circoscrivere il ruolo della proposta politica solo alla contrapposizione dialettica, maggioranza - minoranza su temi di grande rilievo che possono esistere nella realtà regionale? Potranno o dovranno esistere differenziazioni sul modo di affrontarle, ma non è possibile che un'iniziativa politica che si ricomponga dal punto di vista dell'attuazione in articolate posizioni, non si riproponga unitariamente nella fase propositiva. Ecco perché insistiamo sull'esigenza che ci sia spazio per la capacità di elaborazione.
Pensiamo ai raccordi con le Regioni limitrofe. Il Presidente della Giunta si è attivato su valutazioni di iniziativa politica propria della Giunta, ma anche su sollecitazione da parte della Consulta Europea. E' un grande tema che concerne gli obiettivi finali di un raccordo federativo delle Regioni europee e che ha profonde radici di raccordi culturali che possono essere raccordati in sedi istituzionali che non sono solo legate a responsabilità e a compiti dell'esecutivo.
Di questo abbiamo già avuto modo di parlare con il Presidente Enrietti e lui stesso riconosceva come, nella distinzione dei ruoli, vi siano possibilità di proposte di iniziativa dell'esecutivo, in quanto attinenti a responsabilità di governo e possibilità di proposte espresse dalle assemblee le quali possono svolgere un ruolo di supporto.
E così la valorizzazione del patrimonio culturale che, per quanto attiene alla capacità di mobilitazione delle risorse e delle competenze locali, richiede questa composizione di unitarietà nella fase propositiva.
Noi abbiamo l'impressione che parecchie valutazioni su tali aspetti siano più funzionali ai modelli della maggioranza che ai modelli istituzionali. Se a volte vi è stata insoddisfazione sul comportamento di questa maggioranza, all'inizio della terza legislatura, oggi, le motivazioni hanno collocazione diversa. Qualcuno vorrebbe che l'insufficiente ruolo di iniziativa dell'attuale Giunta fosse recuperato dalle forze politiche di maggioranza facendo lega per mortificare le iniziative e le proposte politiche dell'opposizione, siano esse legislative oppure di altro tipo.
E' quindi necessario recuperare chiarezza ed obiettività escludendo comportamenti che stravolgano la pur corretta impalcatura dello Statuto.
La denuncia delle responsabilità sul mancato ruolo e sulle carenze di funzionalità del Consiglio regionale parte da constatazioni obiettive sulla reale incisività, nei tempi e nei metodi, dell'iniziativa politica che dal Consiglio proviene.
I ritardi nell'esame e nell'approvazione delle proposte legislative nel loro complesso scontano l'insufficiente presenza di governo della maggioranza, le sue contraddizioni e quindi la sostanziale incapacità di cogliere il dato politico significativo: la risposta all'esigenza od ai problemi che proviene dalla comunità piemontese.
Quanto di queste esigenze e questi problemi proviene dall'opposizione non può solo e sempre essere relegato a lunghi parcheggi d'attesa che riescano a ricomporre i disaccordi od a recuperare una collocazione della maggioranza.
Abbiamo più volte sottolineato come alcune proposte politiche dell'opposizione, su temi che hanno già avuto soluzioni analoghe in altre Regioni non vengono esaminate solo perché in carenza di una proposta legislativa da parte della Giunta.
Con ciò non esorcizziamo solo il latente disprezzo nei confronti dell'opposizione che è palese in taluni comportamenti né riteniamo dì riscattare frustrazioni ed emarginazioni come forze d'opposizione; ma riteniamo leso e svilito quel ruolo di sintesi politica che l'assemblea deve avere, la capacità di esercitare, prescindendo dalle alterne capacità dell'esecutivo, a governare la dinamica degli eventi.
Occorre pertanto rimeditare, a questi fini, lo stesso ruolo dell'Ufficio di Presidenza, i suoi equilibri interni oggi funzionali alla maggioranza espressa nell'esecutivo e più in generale al ruolo del Presidente del Consiglio regionale come garante della corretta utilizzazione della valorizzazione ed esaltazione di tutte le risorse di rappresentatività politica espresse dall'assemblea. Ed è vero allora che la capacita decisionale come espressione degli equilibrismi tra le forze politiche può trovare alternativa reale nella capacità di concorrere alla capacità complessiva di governo della Regione, nel solco di una reale programmazione e comunque nell'imprescindibile distinzione di responsabilità attribuita all'esecutivo.
Con questo riaffermiamo l'esigenza del recupero dell'Ufficio di Presidenza e del Presidente del Consiglio regionale perché riteniamo che vi sia uno spazio inesplorato, non certo solo per dimenticanza, ma per logiche di dialettica tra maggioranza ed opposizione.
Nelle proposte che sono state avanzate in questi mesi in documenti che evidenziavano aspetti particolari della non completa funzionalità esistevano evidenziazioni particolari in ordine al problema strutturale.
Le proposte che abbiamo formulato in Ufficio di Presidenza, soprattutto per quanto attiene alla valorizzazione delle Commissioni, riteniamo di doverle riconfermare non con l'obiettivo di dilatarne le competenze e le strutture ma per rafforzare quei compiti che ho cercato di illustrare in questo intervento.
Il dimensionamento delle strutture regionali è sufficiente rispetto agli attuali compiti, ma presenta talune rigidità nell'articolazione dei servizi, quindi nella qualificazione del personale.
Non riteniamo necessario dilatare questa dimensione senza precisa individuazione di obiettivi alternativi, ma riteniamo sia necessaria una maggiore qualificazione omogenea di almeno una o due fasce orizzontali che consentano per il personale una maggiore interscambiabilità di mansioni che sono impropriamente attribuite a volte a capiservizio o non sufficientemente evidenziate come responsabilità.
Altri problemi di rigidità - è noto - provengono dalle relazioni con l'Assessorato al personale, sia per quanto attiene all'amministrazione sia per quanto attiene alla qualificazione del personale. Riteniamo comunque che su questi problemi non vi debbano essere complessi di inferiorità quando esigiamo che il nostro personale abbia una qualificazione maggiore del personale degli Assessorati, avendo una sua insostituibilità di posizioni e di collocazioni in una struttura che ha dei riferimenti importanti nella complessiva capacità di produzione di servizi della Regione e quindi di qualificazione dell'immagine della Regione verso la comunità stessa.
L'ultimo aspetto concerne il ruolo dei Consiglieri regionali nei confronti del più ampio problema dell'informazione e dei rapporti esterni.
Credo di essere il meno adatto ad affrontare questo tema vivendo in una realtà come Torino che ha, da questo punto di vista, ampie sovrapposizioni che non richiedono quella specificità di presenza che invece è richiesta nelle realtà esterne.
Riteniamo che vi debba essere su questo aspetto un'attenzione particolare a cominciare dai comportamenti, ma anche nella delineazione di obiettivi che si intendono perseguire e che quindi vi sia non tanto e solo l'esigenza di una rivalutazione di questo ruolo e di questa presenza quanto, attraverso i compiti e la presenza fisica dei Consiglieri regionali, un recupero di immagine, di vitalità, di presenza della Regione nel suo complesso che può essere dignitosamente affidato ai Consiglieri indipendentemente dalla collocazione negli spartiti tra maggioranza e minoranza.
Ho ritenuto di dovere sinteticamente riprendere le osservazioni sulle quali con particolare attenzione già avevo cercato di collocarmi nell'elaborazione del documento predisposto dall'Ufficio di Presidenza e ritengo che su questi temi vi sia spazio per un'elaborazione concettuale e propositiva in evoluzione che ci consentirà certamente di approdare a prospettive e soluzioni concrete. La D.C. ha presentato una proposta in ordine alle modificazioni di alcuni punti dello Statuto. Riteniamo che questo sia un momento importante per trarre dalle discussioni odierne consuntivi di valutazioni e quindi indicazioni per come procedere e per come collocarci per l'avvenire.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Montefalchesi.



MONTEFALCHESI Corrado

Questo dibattito è di grande importanza non soltanto perché il funzionamento del parlamento regionale è un dato centrale, una spia significativa della salute delle istituzioni, ma anche perché rappresenta il momento per verificare le affermazioni che sovente vengono fatte sulla centralità del Consiglio.
Il Consiglio regionale è il centro propulsore di decisioni, di elaborazione, di produzione legislativa, di capacità di controllo e di verifica sulla fase attuativa delle leggi.
Va detto che alla produzione legislativa non corrisponde in Consiglio un'attivazione di canali tali che permettano di valutarne i riflessi sulla società. Questo non è un problema tecnico, ma è un problema politico. La spia di questa carenza viene dal fatto che solo una minoranza di cittadini piemontesi sa che cos'è la Regione. E' un problema di informazione sul ruolo e sull'attività della Regione, ma è anche un problema che riguarda il modo in cui si sviluppa la partecipazione.
L'altro elemento centrale è costituito dal raccordo e dal coordinamento con gli Enti locali, nel momento in cui la Regione con l'esercizio della delega si appresta a diventare sempre di più ente di programmazione demandando la gestione delle leggi agli Enti locali. E' indispensabile un rapporto stretto tra Regione, Enti locali e società sia durante la fase di elaborazione delle leggi che nella fase della loro attuazione. Questo richiede un rilancio ed una rivalorizzazione dell'articolazione interna del Consiglio regionale e delle Commissioni.
Le Commissioni devono essere momento centrale di approfondimento dei problemi, condizione indispensabile e supporto reale al lavoro di elaborazione delle leggi. Attraverso l e Commissioni si può realizzare un rapporto più stretto con la società e gli Enti locali.
Alla notevole produzione legislativa delle Commissioni non ha corrisposto una capacità di approfondimento dei problemi. Poche sono state le indagini di iniziativa delle Commissioni, quando si sa che questo è un importante strumento per fornire elementi utili ad affinare la legislazione e momento importante di raccordo tra il Consiglio e gli enti strumentali.
Il rilancio e la valorizzazione delle Commissioni significa anche valorizzazione del personale. Sappiamo che il personale delle Commissioni svolge prevalentemente attività burocratiche di registrazione.
Il personale delle Commissioni deve avere esperienza nelle materie specifiche. E' necessario articolare un lavoro di gruppo tra le varie Commissioni su una serie di tematiche; raccordare costantemente l'attività delle Commissioni con gli Enti locali. I funzionari necessitano di un livello di conoscenza analogo a quello dei Consiglieri. Spesso, infatti, la documentazione viene indirizzata solo ai Consiglieri lasciando disinformati i funzionari delle Commissioni.
E' necessario un maggior collegamento tra le Commissioni e l'Ufficio Documentazione. Le Commissioni devono essere in grado di fornire tempestivamente ai Consiglieri le leggi e le norme che sono emanate a livello nazionale.
Insieme con il Vicepresidente della IV Commissione, Bruciamacchie, ho sollevato il problema dell'assegnazione in sede congiunta di più progetti di legge che provoca carichi di lavoro, problemi di calendario e ritardi anche notevoli nell'esame dei progetti di legge stessi.
La Commissione per il Regolamento, a nostro avviso, dovrà valutare l'opportunità di modificare l'art. 27 in ordine a tale assegnazione congiunta individuando eventualmente una Commissione responsabile dell'iter dei provvedimenti.
In ordine ad un più stretto rapporto delle Commissioni con le Province ritengo che questo debba avvenire attraverso un costante collegamento funzionariale tra le Commissioni provinciali e le Commissioni della Regione attraverso periodiche riunioni congiunte delle Commissioni sui problemi di interesse comune. Da questo punto di vista una positiva esperienza è stata avviata dalle Commissioni Lavoro della Regione, della Provincia e del Comune in ordine ai temi concernenti i progetti socialmente utili. E' un'esperienza che intendiamo consolidare relativamente ad altri problemi.
Vorrei inoltre sollecitare le riunioni periodiche tra l'Ufficio di Presidenza e le Presidenze delle Commissioni.
E' altresì determinante un più stretto collegamento tra le Commissioni e la Giunta per programmare l'attività delle Commissioni rispetto ai programmi della Giunta anche al fine di una corretta informazione dei Consiglieri e dei Gruppi sulle tematiche e sui problemi che vengono affrontati.
Questi sono solo alcuni problemi che è necessario affrontare e risolvere urgentemente per ottenere una migliore funzionalità del Consiglio e delle Commissioni, per affermare la centralità del Consiglio e una superiore qualificazione delle Commissioni.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Vetrino.



VETRINO Bianca

Signor Presidente, colleghi, nel portare questo contributo modesto al dibattito in corso, il mio primo impulso è stato quello di assecondare la convinzione che è abbastanza diffusa che le Regioni abbiano nei fatti tradito gli obiettivi per i quali erano sorte e che se i Consigli regionali non funzionano, questo possa essere in gran parte attribuito allo stato d'incertezza e di malessere nel quale la Regione come ente istituzionale sta ricercando il suo ruolo e la sua identità.
A questa convinzione non sfugge nemmeno la relazione introduttiva a questo dibattito del Presidente del Consiglio, relazione che, a parte questa impronta di pessimismo, condividiamo per il taglio sobrio e per la concretezza dei rimedi proposti per la rimozione di quelle cause logistiche che concorrono ad un insoddisfacente funzionamento del Consiglio regionale.
Come ho detto non ho seguito il primo impulso e nella convinzione che l'esperienza autonomistica dell'ultimo decennio, malgrado tutto, inviti a sperare, in quanto, per quanto contraddittoria ed incompiuta, ha confermato la ricchezza potenziale della scelta regionale sancendo definitivamente la vetustà della tradizione centralistica, ho ricercato altre cause alle difficoltà di corretto funzionamento del nostro Consiglio regionale at tingendo anche all'esperienza diretta che in questi quasi due anni di appartenenza al Consiglio stesso ho potuto verificare.
Credo che un'interpretazione sintetica delle funzioni e dei compiti del Consiglio regionale in aderenza al suo Statuto e al suo Regolamento porti a riassumere l'attività consiliare regionale nei tre capisaldi: la funzione di indirizzo programmatico e politico di cui il Consiglio è titolare la traduzione in atti legislativi e regolamenti che discendono da questi indirizzi l'esercizio del controllo sugli atti determinati dall'attività regionale.
Programmazione, quindi, legislazione e controllo. Argomenti questi, già messi in evidenza da alcuni interventi che mi hanno preceduta.
Ognuno di questi tre punti merita un approfondimento. In particolare il primo punto merita una considerazione particolare andando esso ad interferire anche in quel rapporto Giunta-Consiglio che va delineato e definito. Come repubblicani attribuiamo a questa funzione di indirizzo un'importanza fondamentale, ritenendo la sede del Consiglio quella più idonea alle definizioni del quadro programmatorio e politico sul quale l'attività regionale generalmente intesa si uniformerà attraverso le scelte che la maggioranza politica riterrà o non riterrà di far discendere da quegli indirizzi.
In questa visione, particolare importanza assumono da un lato la conferenza dei Capigruppo cui compete la programmazione dei lavori del Consiglio e delle Commissioni e dall'altro le forze politiche organizzate nel Consiglio attraverso i Gruppi consiliari.
Questo protagonismo impone il problema del loro funzionamento sotto l'angolo giusto che, per quanto riguarda la conferenza dei Capigruppo, non è quello della formulazione di un calendario settimanale o plurisettimanale, ma quello dell'identificazione di un programma trimestrale o quadrimestrale di intervento cadenzato sui grandi temi aperti nella comunità regionale con visione politica di essi, con capacità di mettere in moto strumenti tempestivi d'indagine e di conoscenza, con possibilità di programmare per tempo il lavoro di vaglio legislativo delle Commissioni, con inquadramento organico del lavoro di aula e di Commissione.
E', dunque, questione soltanto di redigere un programma di lavoro? No.
E' questione innanzitutto di far fare un passo avanti alla concezione del rapporto Giunta-Consiglio.
Si tratta di un rapporto che gira su di un fulcro: il programma regionale che, per quanto riguarda la nostra Regione, è il piano regionale di sviluppo che è lo strumento di programmazione più ampio, articolato e complesso dal quale discenderanno quegli atti legislativi e regolamentari che realizzeranno il piano. Piano di sviluppo che collocandosi in uno scenario di programmazione congiunta dovrà tener conto del rapporto Stato Regioni e Regioni - Enti locali, raccordo che per la confusione, che evidenzia soprattutto verso il nesso Regioni - Enti locali, ha offerto ed offre occasioni di incertezza anche nelle Commissioni di riferimento.
Sembra a noi che questa incertezza stia per giungere ad un punto di lacerazione prossima. Siamo molto più avanti di quel bastone al quale accennava stamattina Viglione; si impone pertanto uno sforzo di ristrutturazione tenendo presente che le soluzioni istituzionali passano attraverso una riconsiderazione anche spregiudicata della distribuzione disordinata ed ineguale degli Enti che svolgono una funzione intermedia tra Comuni e Regioni. Prima che il conflitto tra Comprensorio e Provincia diventi guerra, occorre che la Regione intervenga. La carenza di questo piano di sviluppo è poi stata anche la causa per cui molte volte abbiamo avuto difficoltà a programmare gli stessi lavori del Consiglio. Ecco perch finora il Consiglio regionale si è stancamente trascinato da una seduta all'altra alla ricerca ogni qualvolta di un argomento che lo giustificasse o lo caratterizzasse indulgendo sovente a convenienze particolari temporali quando non a strumentalizzazioni politiche.
Vorrei a questo punto essere molto chiara. Abbiamo un'idea precisa di quelli che devono essere i dibattiti all'interno del Consiglio regionale siamo sempre i sollecitatori di dibattiti che tendono a sviscerare quegli indirizzi dei quali parliamo. Si sono fatti in questo Consiglio dei dibattiti importanti quale quello sulla cultura, sul turismo, sull'energia sulla siderurgia, dibattiti che hanno fornito alla maggioranza gli indirizzi generali e la maggioranza, nell'ambito della sua autonomia, delle sue scelte, avrà deciso di volta in volta di tener conto di quello che era l'orientamento anche delle altre forze politiche, che all'interno del Consiglio rappresentano la comunità nel suo complesso. Finora, però, ci è mancato quello strumento di programma regionale definito, ci è mancata l'essenza dalla quale far discendere e dalla quale ricondurre gli atti legislativi e regolamentari.
Quante volte in questi diciotto mesi abbiamo detto che tutto andava riferito al piano di sviluppo, alle risorse disponibili, ai progetti che erano da definire. Questa carenza ha anche bloccato, probabilmente l'iniziativa politica dei Gruppi rispetto a temi che sono ancora nell'elaborazione propositiva regionale e che, sino a quando non sono noti non possono sollecitare l'intervento legislativo.
Ho parlato altresì del protagonismo dei Gruppi consiliari quali espressioni politiche della comunità regionale ed i cui membri la comunità ha liberamente eletto a questo incarico. "Contesto istituzionale e forze politiche sono tutt'uno". Sono parole di Ugo La Malfa contenute nel saggio: "La Repubblica probabile del 1972". Egli continuava dicendo: "Su tutto deve dominare la convinzione che tocca ai partiti misurarsi sui problemi concreti, individuare le risposte e le domande della società, commisurare la propria azione alla crescita di una comunità civile, mai scaricando le loro insufficienze sulle strutture costituzionali o istituzionali bensì adeguando i loro sforzi alle esigenze del buon governo".
E' un messaggio di incitamento a noi che così vogliamo operare ed è un monito a coloro che, continuando a mettere in dubbio la credibilità dei partiti, alimentando la rivolta che contro di essi soffia nel Paese.
Certamente la comunità non si esaurisce nei partiti, come ha detto stamattina Viglione e ogni forma di partecipazione, di consultazione deve essere sicuramente incrementata, anzi enfatizzata quando necessario.
D'altra parte lo Statuto della Regione Piemonte si caratterizza non soltanto per l'idea innovativa di programmazione che aveva introdotto ma anche per quella della partecipazione. A questo riguardo, vorrei rivalutare la funzione delle Consulte all'interno dell'organizzazione strutturale del Consiglio regionale.
Spero che in un futuro molto prossimo la Consulta regionale femminile o la Consulta europea non abbiano più motivo di essere perché questo significherà che l'attenzione della società politica e civile rispetto a questi problemi avrà fatto il suo corso e questi problemi verranno esaminati contestualmente agli altri e con il dovuto interesse e la dovuta pregnanza.
Oggi non è così. Oggi la Consulta femminile ha ancora ragione di essere perché la donna non ha ancora nella società civile piemontese quel riconoscimento che deve avere, tant'é vero che ci rendiamo conto ogni volta che quando chiude una fabbrica le prime ad essere licenziate sono proprio le donne; quindi noi riteniamo che fintanto che questa società non si presenterà come una società che offre uguaglianza di opportunità a tutti gli uomini e a tutte le donne, le Consulte, che hanno questo scopo precipuo di tenere vivo un problema che la società non ha ancora risolto, debbono continuare ad avere la loro parte ed a comportarsi correttamente come si stanno comportando. La Consulta femminile ha un programma nuovo molto importante e molto intenso. Ci auguriamo che continui ad essere presente nella comunità regionale con questa stessa importanza.
Il secondo punto che intendo approfondire è quello che si riferisce all'attività del Consiglio che più gli è propria: quella legislativa e cioè quell'attività attraverso la quale il Consiglio può dimostrare la sua ragion d'essere producendo delle buone leggi.
L'approfondimento di questo aspetto obbliga ad un esame degli strumenti e delle opportunità attraverso i quali il Consiglio esercita la sua attività legislativa.
Le materie attribuite alle sette Commissioni consiliari, ancorch disomogenee (ma disomogenei sono anche gli Assessorati), non hanno finora creato intralci alle attività delle Commissioni. Semmai si possono accusare le Commissioni di scarsa produttività ed avendo responsabilità di Vicepresidenza in una Commissione consiliare, debbo evidenziare che questa scarsa produttività ha qualche volta cause politiche piuttosto che tecniche. Se è coretto e tecnicamente sostenibile che occorra affrontare l'esame di un argomento con certezza di dati e di cognizioni, è politicamente inaccettabile rinviare per mesi l'esame di un provvedimento perché non si ha la certezza sull'atteggiamento di maggioranza rispetto a quel provvedimento, disconoscendo in tal modo e palesemente la prerogativa della Commissione di momento di confronto, anche politico e dimenticando che, con l'introduzione del processo programmatorio, compito della Commissione non è solo quello del momento legislativo ma altresì quello della formazione dell'indirizzo programmatorio, della sua attuazione e quindi del suo controllo. In questi mesi abbiamo più volte tutti parlato della necessità che si potenzino le strutture di supporto all'attività delle Commissioni consiliari. E' indubbio che per fare delle buone leggi occorre intanto che i Consiglieri regionali siano presenti nelle Commissioni consiliari, ma anche un Ufficio Legislativo che funzioni, con l'organico previsto dalla legge sulle strutture e che sia in grado a sua volta di potersi dotare di tutti quegli strumenti capaci di assicurare alla Commissione il contributo tecnico e giuridico che è indispensabile alla Commissione stessa.
L'assistenza legislativa dovrebbe accompagnare un provvedimento per tutto il tempo della sua elaborazione compresa quella dell'aula quando emendamenti affrettati possono rivelarsi tecnicamente e giuridicamente insostenibili e pregiudicare il buon esito della legge stessa. Anche i rinvii hanno un costo. L'Ufficio Documentazione e la Biblioteca sono funzionanti per loro stessi. Non è entrata ancora nelle consuetudini n delle Commissioni né dei Commissari di accedere a questi importanti strumenti di informazione.
Queste strutture, a nostro avviso, dovrebbero e potrebbero avere un ambito di espressione e di riferimento più ampio rispetto all'attuale: pensiamo ad un collegamento istituzionalizzato tra Università, Facoltà di Giurisprudenza e Centro Documentazione e pensiamo ad un'apertura del Centro alle esigenze degli Enti locali (amministratori, sindaci, segretari comunali).
Occorre che diventino strutture vive e vivaci, così come occorrerebbe far risuscitare in qualche modo il terminale qui collocato che consentirebbe il collegamento del Consiglio con il CSI per quanto attiene alle procedure per la gestione del bilancio e che dovrebbe permettere di conoscere in ogni momento la situazione del bilancio regionale sia in riferimento alle aree di intervento che ai singoli capitoli. Non solo, ma si potrebbero provvedere ulteriori dati informativi, quali per esempio lo stato della spesa di una legge e il suo livello di attrazione.
Ma chi sa usare o ha mai usato questo strumento? Questo strumento o lo si fa partecipare alla vita di questo Consiglio o lo si elimina.
Rimane per una disamina completa dell'attività consiliare quella inerente il controllo ai fini della verifica di coerenza tra gli indirizzi fissati, i provvedimenti legislativi e le procedure che la legge stabilisce per raggiungerli.
L'esame della produzione legislativa di un decennio rileva che la legge regionale non ha dimenticato questa funzione del Consiglio, anzi, la esalta.
Qualche giorno fa il collega Paganelli ha chiesto alla I Commissione di avere un elenco delle leggi nelle quali si è contemplato un controllo annuale o una relazione sugli effetti del provvedimento legislativo.
Noi abbiamo più volte lamentato che sugli enti strumentali, per esempio, la Regione ed in particolare il Consiglio, fossero pesantemente carenti in quanto non solo non venivano forniti gli indirizzi politici e programmatori sull'attività degli enti, ma non si esercitava nessun controllo sui risultati dell'ente stesso, nemmeno in questi casi, come l'IRES e la Finpiemonte da parte dei quali c'erano state esplicite dichiarazioni di avere un rapporto più stretto e collegato con la Regione.
Ricordo che nella conclusione di quella grande consultazione che fecero l' Assessorato al lavoro e la Presidenza della Giunta per arrivare alla definizione degli 84 progetti era stato richiesto alla Regione un maggior raccordo ed un maggior controllo da parte degli enti strumentali.
C'è un altro controllo che più volte noi abbiamo sollecitato in sede di dibattito dei documenti contabili e finanziari ed è il controllo dello stato di attuazione delle leggi e degli effetti prodotti anche con un intento di revisione del quadro legislativo regionale attraverso l'accorpamento delle leggi in testi unici.
Lo sforzo che oggi stiamo facendo ha l'intento di realizzare quella centralità del Consiglio che è espressione di democrazia e di civiltà.
Poiché sono in chiusura, vorrei dire che la centralità del Consiglio prima che fatto istituzionale è un fatto politico, è un problema di rapporti tra maggioranza e minoranza, è questione che più nei documenti la risolva nei fatti.
I fatti non li fa solo la maggioranza, vi contribuisce anche la minoranza. Questa mattina ho sentito con molto dispiacere la dichiarazione del Capogruppo della D.C., il quale, in risposta ad una situazione spiacevole per tutti, ha annunciato la decisione del suo Gruppo di non partecipare più alle conferenze dei Capigruppo. Credo che questa dichiarazione sia giustificata nel momento in cui viene fatta, sulla quale la D.C. dovrà ritornare perché non è consentito ad un partito della forza numerica e politica come quello della D.C. di assumere una posizione di questo genere perché creerebbe delle difficoltà a tutto il Consiglio regionale.
Al di là delle rappresentanze politiche, ognuno di noi ha una responsabilità individuale, una responsabilità collegiale ed anche sul risultato di responsabilità e di comportamenti individuali ognuno di noi deve interrogarsi.
Vorrei fare un ultimo cenno alle funzioni dell'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale.
I suoi compiti sono diffusamente esplicitati all'art. 9 del Regolamento e non dovrebbero sussistere dubbi sulla loro comprensione.
La presenza nel seno dell'Ufficio di Presidenza della rappresentanza politica di quasi tutti i Gruppi può essere garanzia di rappresentanza generale della comunità regionale.
La caratteristica di sintesi istituzionale e politica che trova nella Presidenza del Consiglio la sua massima espressione, obbliga i suoi membri e comportamenti conseguenti e ad atteggiamenti coerenti.
Questa è anche un'occasione per rivolgere un invito ai membri del Consiglio regionale a continuare ad attenersi a questa caratteristica nella consapevolezza che questo è anche un modo per garantire ogni cittadino piemontese.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Revelli.



REVELLI Francesco

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, questo dibattito ci richiama a questioni di merito e a questioni di ordine istituzionale e politico.
Credo anch'io che sia estremamente corretto, affrontando il dibattito e in qualche modo la verifica del modo d'essere del Consiglio, farlo partendo da una impostazione culturale che cerchi di restringere al massimo il divario e le contraddizioni tra i valori riconosciuti e teorizzati e la loro realizzazione, tra il modo di essere quotidiano nelle assemblee elettive ed i principi informatori delle stesse. Il Consigliere Viglione nel suo intervento ha messo il dito sulla piaga.
La distinzione chiarissima fatta tra democrazia consociativa e metodo della distinzione tra maggioranza ed opposizione, che è anche chiamata a dirigere nell'ambito dell'assemblea elettiva su programmi, su definizioni precise, o imporre il proprio punto di vista, dimostra che ciò è possibile oggi più che nel passato perché si è affermato più saldamente il principio della democrazia, del metodo democratico. Ci troviamo senza dubbio in situazione diversa da quella, uscita dal fascismo, che aveva favorito un metodo consociativo, per molti aspetti, di larga diffusione, non solo delle assemblee elettive, dei poteri locali, ma della presenza degli eletti per favorire un radicamento della democrazia delle masse italiane.
Le masse, la grande maggioranza dei cittadini, dei lavoratori di ogni ordine e di ogni campo, che erano stati esclusi dal tentativo di partecipare alle decisioni non hanno più bisogno di essere legittimati dalle istituzioni perché lo sono ormai da tempo grazie alle loro lotte e alle battaglie di decenni ed anche grazie al ruolo dei partiti di massa oltre che di quelli di opinione che hanno dimostrato ampia fedeltà al dettato costituzionale.
La democrazia del nostro Paese è matura per dispiegare pienamente le regole del suo funzionamento.
E ciò è tanto più importante nella fase storica qual è quella della crisi profonda che attraversiamo che ci fa riscoprire i limiti dello sviluppo quantitativo e postula che il tema della qualità dello sviluppo e della qualità della vita è una scelta responsabile da compiere ma anche una necessità. Tutto ciò ci richiama ad affermare l'esigenza di una direzione di questo sviluppo, dì precisarne gli orientamenti, i fini che a questo compito sono chiamate non uniche, ma certamente in modo non secondario, le assemblee elettive e gli esecutivi.
La distinzione tra metodo consociativo e maggioranza ed opposizione non comporta quindi una sommaria ed astratta condanna dell'esigenza della funzione dello Stato democratico (come vorrebbe e predica da tempo un'impostazione neo-Liberista) né implica una polemica confusa, gratuita contro l'idea di uno statalismo soffocante, guidato da una razionalità prescrittiva, pedagogica: anzi, cerca di rendere più evidente che il rapporto tra conflittualità, antagonismi sociali e democrazia è una questione che non può essere risolta una volta per tutte.
Ci si è accorti che per avere qualche decina di miliardi in più nei Comuni o nelle Regioni si sono private le Regioni e prima i Comuni delle competenze previste dall'art. 119 della Costituzione: Comuni e Regioni non partecipano alla redistribuzione delle risorse nazionali non per responsabilità di chi governa e non per responsabilità dell' opposizione.
L'opposizione comunista che governa tanti Comuni ha sempre chiesto più soldi e magari non ci si è neanche accorti di questo, e le Regioni hanno taciuto: ecco il tema della cultura della democrazia, della politica e della funzione legislativa.
La distinzione portata qui dal collega Viglione non è di poca importanza. Vorrei ricordare - e non per civetteria intellettuale l'opinione di una persona che, al di là del fatto che era mio compagno di partito, ha vissuto l'esperienza dell'unità nazionale più di ogni altra attraverso esperienze consociative della riforma istituzionale. E' l'opinione del compagno Di Giulio che ricordava in una sua nota intervista che questi problemi della riforma dello Stato, delle autonomie e quindi delle Regioni ci ricordano le polemiche scientifiche che si svolsero nel '500 e nel '600 sul sistema terrestre: vi erano due tesi, quella tolemaica della centralità della terra rispetto al sole, quella copernicana della centralità del sole rispetto alla terra ed ai pianeti. Quelle tesi si risolsero abbastanza semplicemente verificando la verità di entrambe. Oggi in campo politico si pone la stessa questione, ma non è così facile compierne la- verifica perché le due ipotesi attraversano trasversalmente quasi tutte le forze politiche: i tolemaici credono che il centro sia dato dalle coalizioni e dagli schieramenti e che ad essi vengano subordinati tutti i problemi di contenuto; i copernicani ritengono invece che il centro sia costituito dai contenuti politici e dagli obiettivi di trasformazione quindi il sistema di alleanze è una condizione per determinare una maggioranza ai fini di realizzare i contenuti.
Sono ottiche opposte: l'una appartiene ai conservatori e garantisce la continuità del potere anche con alleanze spregiudicate; l'altra delimita forze vaste di rinnovamento che combattono la battaglia di trasformazione.
Il tema della riforma dello Stato non come tema istituzionale ma come fatto di verifica dell'intreccio tra Stato, economia e realtà sociale è l'impossibilità di ridurre tutto ad uno, cioè ad un controllo e ad un governo dall'alto è l'impossibilità di praticare, non solo per l'esperienza del Paese in cui viviamo, ma per l'esperienza storica, ormai universale che si è dimostrata non efficiente e non portatrice di maggiore democrazia di progresso e di una programmazione imperativa. Questo ci dice che esiste una crisi dei partiti che si richiamano alla concezione vecchia della conservazione del potere che ha come fatto essenziale la rincorsa di un elettorato vecchio e nuovo mantenendo posizioni all'interno dello Stato così com'è, comunque occupando spazi; per altro verso esistono anche, sarà per quelle forze copernicane, delle difficoltà per i partiti e le forze di sinistra a trovare la soluzione non dico complessiva ma anche di metodo idee e forza per farle vivere come questioni che animano lo scontro politico.
Sotto questo aspetto c'è un messaggio che viene dalle cose che ho sentito: più nessun partito può vivere di rendita.
E' un avvertimento questa difficoltà anche per la sinistra. Anche per i partiti e le forze della sinistra non è più possibile, come per la D.C.
vivere di rendita (come dice Di Giulio). In una società caratterizzata da cicli brevi dove non sono più possibili identificazioni che durano decenni come accadeva nelle società agrarie - occorre saper proporre in modo sempre rinnovato la prospettiva del cambiamento.
Noi comunisti non ci sottraiamo a questo compito. E' difficile definire da una parte i buoni o i cosiddetti cattivi a seconda dell'ottica in cui ci si colloca ed immaginare che le forze della trasformazione e del rinnovamento siano tutte etichettabili e catalogabili nei partiti così come sono.
Viglione ricordava che la società è molto più ricca dei partiti, ma debbo anche ricordare che i partiti, che per antonomasia dovrebbero essere della trasformazione, non se la possono assumere completamente. Ne viene un'immediata conseguenza nel governo di un'assemblea elettiva. Al di là della battaglia che conduciamo contro la cultura del potere così come si è realizzata, di cui siamo anche noi parte (perché anche quando non ci sono Assessori democristiani rimane il modo di essere della cultura che non definisco in negativo, ma definisco come fatto collegato ad un tempo storico che ha dato i suoi frutti, ma che oggi mostra la corda), il ruolo di opposizione, quindi di governo, deve vedere la centralità dell'assemblea elettiva correttamente intesa come proposta.
C'è una sensibilità democratica che deve essere espressa dall'insieme delle forze del Consiglio e dagli esecutivi, quando sono chiamati in causa.
Per esempio, non possiamo lasciar giacere i provvedimenti di legge per mesi e mesi senza un esame.
Lo strumento è deficiente. Abbiamo fatto delle Commissioni di tipo parlamentare senza potere alcuno. Tutti i poteri sono incentrati sulla I Commissione che ha poteri istituzionali forse più elevati di altre, ma che oggi mostra la corda.
Le Commissioni vanno riformate e così il metodo di lavoro. Perché non si procede per sessioni? La ragione è comprensibile. Si è detto che la presenza e il bisogno di affermarsi della Regione doveva vedere il Consiglio impegnato in aula ogni settimana. I tempi non sono più quelli.
Dieci anni sono sufficientemente lunghi perché una Regione possa anche porre il problema generale ma anche quello particolare di una mini riforma.
Gli anni '70 iniziarono con due riforme di grande portata: lo statuto dei lavoratori e l'attuazione dell'ordinamento regionale. Intorno ad essi si sono aggregate altre riforme di derivazione dalle riforme sociali del centro-sinistra, grandi conquiste civili e grandi attività legislative. Ma in questo decennio si sono organizzati i primi importanti tentativi, non riusciti pienamente, di un governo democratico dell'economia basato più sui temi economici che non sui temi sociali.
Ma c'è un altro aspetto che ci ha fatti ingenui in questo decennio e che non emerge dalle assemblee elettive: è tutta quella parte di politica che si è organizzata come risposta in negativo alla strategia delle riforme degli anni '70, quei poteri reali che si sono realizzati nella società in quella mediazione particolare tra parti delle istituzioni e la società civile, gruppi di potere che si sono formati, a volte, soltanto per poter rinnovare una cultura, un sistema di potere o anche per dare risposte a problemi non risolti.
E poi, queste riforme in che modo si sono ottenute? Tutte strappate dal basso, tutte anticipate da sperimentazioni, mai sanzionate definitivamente da leggi-quadro, da leggi complessive che permettessero al Parlamento di esprimersi. Basti ricordare la legge 382 e il tempo che ha richiesto la sua approvazione, la conflittualità con lo Stato per ottenere il decreto 616.
Emergono questioni strutturali. La prima è molto semplice, è quella che chiamiamo questione morale, ma che sarebbe bene chiamarla questione strutturale.
Sono dell'avviso (e il nostro partito vuole significare questo quando ne parla), di non fare il processo moralistico a nessuno né di lanciare accuse, ma di porre il problema nei suoi termini veri e restituire ai partiti il loro ruolo costituzionale. Allora occorre andare a distinzioni drastiche, fisiche, visibili. Un fatto sono i partiti, un altro fatto sono i Gruppi consiliari e gli esecutivi che derivano dagli eletti.
Il ruolo dei partiti non è quello di spiegare o di ordinare ad ogni singolo Assessore o ad una Giunta ciò che devono fare. La funzione dei partiti è quella di svolgere il compito di tramite tra la società e le istituzioni. Quando questo non avviene, quando c'è l'occupazione di terreni strettamente istituzionali, si manifesta più fortemente il distacco tra società ed istituzioni. E' un distacco che nasce dall'idea che sia in crisi la politica, mentre invece è in crisi la possibilità di rispondere con politiche alla crisi che attraversiamo, quindi con l'esclusione della trattazione dei problemi veri.
E' importante quello che dicono il Regolamento e lo Statuto.
L'assemblea elettiva però non è complessiva di tutta la società, neanche un Comune riesce ad essere questo: la società è più ricca e più articolata e i partiti vivono nella società con una dialettica che è sconosciuta negli altri Paesi di democrazia occidentale, dove, quando le forze di sinistra vanno al governo, c'è un patto sociale e il governo conservatore che va all'opposizione si garantisce con la stessa norma del governo ombra; in altri casi invece è aperta la conflittualità, ma c'é sempre una dialettica a due termini: partito e sindacato da un lato, partito e Stato dall'altro.
Qui c'è una dialettica più complessa: i partiti sono delle istituzioni a sé, ma non devono invadere e non possono invadere le istituzioni.
In questo senso si è manifestata una lunga conflittualità tra le Regioni e lo Stato, che poi si è pacata ed è diventata più tranquilla anche perché le Regioni iniziavano a morire: di questo bisogna parlare.
Siamo alla soglia di un soffocamento, non per una strana volontà di qualcuno o per un impedimento al disegno riformatore; ci sono dati oggettivi di fatto. La programmazione nella dimensione regionale è legata essenzialmente a due condizioni: l'attuazione di un progetto di sviluppo economico per uscire dalla crisi e l'inserimento delle Regioni nel processo di riforma dell'ordinamento statale. Non si può rimanere in questa indeterminatezza in cui tutto è e nulla è al tempo stesso.
Di fatto che cosa è avvenuto? Oggettivamente verifichiamo che non si è realizzata né una linea centralistica né una linea di decentramento, ma soltanto un quadro di vincoli procedurali per la contrattazione che è sempre più diffusa e continua tra Ministero singolo e Assessorato singolo regionale per l'attribuzione di quote di risorse pubbliche. Questo non è consociativismo vasto di democrazia.
Se la Regione non ha i poteri sulle autonomie locali che cos'ha? I controlli sono di legittimità e non di merito sui programmi. Parliamoci chiaro, la riforma delle autonomie è una riforma che non accetta questa dimensione di governo della Regione, che può articolarsi in modi diversi tra l'esecutivo e l'assemblea elettiva che ha anche compiti di controllo oltre che di amministrazione.
Abbiamo i controlli prefettizi. Non sono contrario a questo tipo di controllo, ma si scelga un modello e lo si porti avanti. Chi comanda in Piemonte non è il Commissario di Governo, ma sono i Prefetti. Se si ritorna a queste forme di controllo possiamo democratizzare anche queste. Leggiamo le osservazioni alle leggi, guardiamo i rapporti con i Segretari comunali guardiamo le tecniche con cui una legge di riforma nazionale a livello regionale viene diffusa. Basta la modulistica e il comando è già espresso.
Sul piano del decentramento e della partecipazione abbiamo delle circoscrizioni estremamente limitate. Bisogna riproporre la modifica di questa legge.
Non voglio andare oltre, voglio solo proporre che il Consiglio e la Giunta, ognuno nella propria specificità, riescano a dare un contributo alla ripresa del dibattito sulla riforma del sistema delle autonomie perch la legislazione vigente costringe le Regioni nei confronti dei Comuni e delle Province a controlli minuti e la Regione di fatto viene privata nella gran parte del suo territorio dell'esercizio dei suoi poteri e della programmazione democratica.
E' da valorizzare l'esperienza piemontese di programmazione e di partecipazione di questi dieci anni, che è andata ben oltre i limiti della ridistribuzione delle risorse, ha tentato di superare l'orizzonte corporativo. I Comprensori (strumenti che forse dovranno essere cambiati) sono stati un'anticipazione della riforma, non hanno solo ridistribuito risorse, ma hanno tentato di chiamare la comunità regionale ad una forma di partecipazione superiore, alle consultazioni sulle leggi.
Se l'orizzonte della riforma delle autonomie è lontano, dobbiamo riaprire il dibattito e porci l'obiettivo di essere anticipatori della riforma come Regione che riforma se stessa. E' un obiettivo sbagliato quello di avere un gabinetto inglese, un esecutivo più orizzontale? Realizzare una parte di deleghe? Per esempio, mettere mano al riassetto delle deleghe possibili con risorse? Fare lavorare insieme il sistema delle autonomie locali con il controllo e la partecipazione del Consiglio e delle Commissioni? Fare lavorare i Comprensori nella seconda fase del piano della programmazione territoriale e socio-economica? E' un obiettivo sbagliato quello di affrontare un disegno di per l'ente intermedio di Biella, lavorare con la comunità regionale per ridisegnare l'ente intermedio, per chiamare a confronto la Commissione parlamentare che se ne sta occupando, che ha bisogno di conoscere e di stare più vicino alle esperienze positive e negative della Regione? Occorre poi affrontare il tema del rapporto tra soggetti pubblici e soggetti sociali. La conflittualità generale e la piccola conflittualità si esprimono in una produzione legislativa nazionale, leggi e leggine, che hanno riflessi qui in questa Regione e in altre Regioni con una dispersione e una frantumazione delle forme di rappresentanza e di partecipazione delle Regioni ad organi nazionali, micidiale. Sono settanta gli organi nazionali in cui sono presenti le Regioni e sono 30 mila gli organi centrali e periferici in cui sono rappresentate le organizzazioni sindacali.
Come può esserci una centralità del Consiglio al di là che questa Giunta sia buona o cattiva? Come può esserci la centralità del Consiglio quando il sindacato si rivolge all'esecutivo? Quando non c'é tregua perch la crisi è sopravvenuta quando gran parte del Paese non aveva ancora conosciuto lo sviluppo? Perché ci sia un rapporto con l'assemblea elettiva bisogna anche che ci sia una ricerca da parte dell'assemblea elettiva.
Perché le Commissioni non hanno una funzione di indagine, di conoscenza e di partecipazione diretta nella comunità regionale? E' noto come si sia ormai diffuso un altro tipo di rapporto e di rappresentanza sommersa, una lobby come fatto ordinario, di cui siamo partecipi quando sollecitiamo una legge al Parlamento. Quante sono le lobby che premono sugli Assessorati, sui singoli parlamentari, sulle autonomie sulle rappresentanze sociali? Quanti sono i parlamentari nel nostro Paese che rappresentano categorie sociali e non partiti? Il sindacato, questo problema, in parte l'ha risolto.
C'è, infine, l'estensione dei rapporti diretti a volte istituzionalizzati con l'esecutivo al di sopra e sulla testa delle rappresentanze politiche.
Tutto questo mi fa dire che non è semplificabile la realtà di una Regione e questo non lo dico a difesa di una Giunta, che si misura per i suoi atti, per quello che sa fare e che riceve un giudizio positivo o negativo. Non sta qui la questione. Sta nello stato grave di crisi a cui si è giunti.
Quanto tempo passa un Assessore nell'amministrazione? Quante carte firma senza sapere che cosa sono? Perché non c'é una responsabilità diretta della burocrazia entro certi limiti? Anche questi fatti limitano l'interesse politico di qualunque esecutivo di fronte ad un dibattito che può avvenire su temi generali, su grandi questioni.
C'è di più. Credo che la Regione, e per essa il Consiglio regionale debbano diventare fisicamente centro di vita e di iniziativa politica luogo di incontri, momento in cui possono arrivare altre istituzioni e partiti a chiedere e a mediare. Vorrei vedere il Sindaco di Torino venire qui per discutere, per confrontarsi, per instaurare un principio ed un valore gerarchico nelle istituzioni, valore gerarchico che non è dato dal fatto che il Comune è più o meno importante della Regione, ma è dato dal comando legislativo che fa diversa la Regione. Se alla Fiat si avvitassero i bulloni delle macchine allo stesso modo con cui si ubbidiscono le leggi nazionali e regionali, l'Italia sarebbe tutto un incidente stradale. La disobbedienza legislativa è dell'ordine dell'80/85%.
Quanto all'informazione ritengo di dover dire che partecipa colui che sa e non partecipa colui che non sa. C'è un problema di informazione funzionale (che non è propaganda politica). Tra le tante iniziative che la scorsa legislatura ha assunto, ci sono anche le Consulte, che non sono iniziative agglomerate l'una sull'altra, ma sono risposte, anche immediate che hanno prodotto dibattiti e partecipazione.
C'è bisogno, di altro personale qualificato all'interno delle Commissioni, che non possono lavorare sulla base di un segretario o di qualche altro funzionario. C'é un ruolo legislativo e c'è un prodotto legislativo che deve essere conosciuto. C'è una cultura del potere ed una cultura del governo democratico dell'economia di cui ogni Consigliere regionale, di maggioranza o di opposizione, deve essere portatore.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marchini.



MARCHINI Sergio

Affronto questo dibattito con imbarazzo e qualche difficoltà anche perché l'intervento del Gruppo liberale si pone in un momento centrale in cui argomento si è aggiunto ad interrogativo rendendo sempre più oscuro e meno comprensibile lo sbocco che questo dibattito dovrà avere.
Prima di lasciarmi prendere da considerazioni magari non molto attinenti al risultato che questo dibattito dovrebbe avere, sono a suggerire quanto ebbi già a dire e cioè che non si tenda a chiudere con proposte e decisioni. Occorrerà un momento di riflessione su quanto detto dai colleghi perché i Gruppi possano fare proposte operative organizzative, legislative. Chiedo, quindi, che non si chiuda questo dibattito con un ordine del giorno che potrebbe scontrarci sulla proposizione e sui termini. Quella che stiamo facendo è una disamina a volo molto elevato sulla poca determinazione dei problemi, sui quali si apre un confronto tra le forze politiche, sui quali la D.C., il Partito Socialista e il nostro partito hanno preso posizione.
Se questa proposta verrà accolta, il nostro Gruppo potrà sottrarsi a quello che sembrava l'obbligo specifico di entrare nell'ulteriore determinazione delle nostre riserve sul documento della Presidenza e su ulteriori specificazioni della nostra proposta integrativa, magari per riflettere su alcune osservazioni, in particolare su quelle del collega avversario Revelli che ha citato la caratteristica specifica del momento legislativo dell'istituto regionale.
Ho apprezzato l'intervento del Consigliere Viglione; devo però dire che mi ha deluso quando tendeva a dare alla funzione del Consiglio un'accezione un po' localistica perdendo di vista il fatto che siamo nello Stato delle autonomie.
Soprattutto in occasione di dibattiti che non si concludono con un voto, è opportuno fare qualche rimeditazione sulle radici del problema perché non sembra che la conclusione sia determinata da una nostra scelta e non da uno sviluppo storico e politico.
Rispetto a questo processo dobbiamo dire che ci poniamo in termini di adesione, in termini di revisione, in termini conflittuali, in termini critici.
Il costituente relatore della parte attinente alla ripartizione della Repubblica quindi alla riforma regionalistica ed autonomistica dello Stato italiano, ebbe a dire che la novità più significativa della Costituzione non era tanto l'art. 2, ma era la previsione di uno Stato fondato sulle autonomie. Questo non significava ripartire lo Stato, ma creare uno Stato.
Capacità legislativa delle Regioni non vuol dire parcellizzazione sul territorio contrapposta e differenziata ma chiamata di un più ampio strato di partecipanti al processo democratico di decisione dello Stato nel suo insieme. La riforma regionale su questo piano non è andata avanti perch non c'è stata la crescita della cultura della legge, considerata come fatto che anche se appartiene al Piemonte è rivolto a tutti i cittadini della collettività, così come la legislazione nazionale in "nuce" vale per tutti i cittadini del Paese.
Questo rapporto di interscambio non è avvenuto per ragioni politiche da attribuire al sistema dei partiti.
Sulla vicenda delle deleghe abbiamo qualche preoccupazione. Per esempio, temiamo che lo Stato delle autonomie sia stato concepito non tanto come lievitazione del sistema integrato, ma come espulsione del sistema burocratico del territorio e come sostituzione del sistema burocratico con il sistema dei partiti. Non si tratta di ripartire a cascata il potere, si tratta di lavorare in termini legislativi per far partecipare i cittadini alle scelte decisionali. Il sistema dei partiti ha contribuito ad impedire questo processo. I nostri partiti hanno tradizione, estrazione finanziamento ed anche classe dirigente di tipo nazionale. Questo tende a non far assumere ai livelli regionali dignità, responsabilità, e soprattutto quella capacita di interscambio di esperienze con lo Stato attraverso gli altri livelli di partito.
Questo è dimostrato oltre che dalla crisi dell'istituto Regione dal fatto che non è approdato nessuno di quei disegni di riforma che erano nella letteratura dei partiti di tutte le forze politiche.
Per esempio, nulla si è fatto né per riconoscere la necessità che il momento legislativo nazionale fosse anche momento di raccordo con le realtà regionali (per esempio, con il Senato e con le Camere delle Regioni), n per far avanzare idee-guida su un rapporto integrato continuo, attraverso la partecipazione fisica delle Regioni al momento legislativo che le riguarda. Per esempio, è da lamentare (anche se è da apprezzare dall'altro lato) che i rapporti con lo Stato li tenga la Giunta e non li tengano le Commissioni consiliari.
Le notizie sulla legge 393 devono pervenire dalla Commissione competente della Camera alla Commissione competente della Regione Piemonte e non devono essere una cortesia che chiediamo all'Assessore competente (che a sua volta le chiede non si sa bene a chi).
Parlare di funzionalità del Consiglio non vuol dire parlare solo in termini di efficienza di uffici e di personale, ma significa anche verificare se le ipotesi di lavoro che la cultura politica ha prodotto nel Paese, dalla Costituzione ad oggi, non possano trovare ipotesi di sperimentazione da parte del Consiglio regionale. Per esempio, proponga la cultura politica dei partiti che sulle leggi-quadro ci sia la richiesta di parere obbligatorio, non vincolante, dei Consigli regionali.
In questa misura la funzione delle Regioni, intesa come scelta di tutta la comunità, alla quale concorre ogni Regione per la sua specificità, è una funzione legislativa.
Se la funzione legislativa non è la scelta di fondo della collettività si accetta una situazione di arretramento sul piano qualitativo, sul piano funzionale e sul piano politico.
In effetti è quello che stiamo assistendo perché le Regioni stanno diventando il braccio secolare dello Stato; lo Stato dà comandi di carattere generale, la Regione attua, senza far pesare la specificità del proprio territorio e delle proprie problematiche, le leggi dello Stato. A questo punto non esiste uno Stato delle autonomie, ma esiste uno Stato centralista che si organizza nella periferia, non più attraverso il sistema burocratico, ma attraverso il sistema dei partiti.
Il primo sforzo sarà quello di recuperare all'inventiva regionale la sua funzione così com'é prevista nella Costituzione. In questo senso l'intervento di Viglione mi sembrava localistico perché non si faceva carico di rivendicare la funzione che la Costituzione attribuisce alle Regioni di concorrere al processo legislativo dello Stato nel suo complesso.
Sarà opportuno promuovere questo dibattito per riaprire la trattativa con lo Stato affinché si riconduca la funzione legislativa, che è la ragion d'essere delle Regioni, a una dignità più accettabile. Direi di più. Spesso le Regioni hanno anticipato lo Stato in termini di stimolo e di pungolo offrendo un modello di proposta, ma in questa misura non si è fatto lo Stato delle autonomie, ma si è prevaricato in due sensi: la Regione ha indirizzato le decisioni dello Stato, il quale ha subito l'indicazione della Regione e l'ha estesa, attraverso una legge nazionale, alle altre Regioni. Quindi, ho l'impressione che se vogliamo difendere la funzione legislativa del Consiglio, la dobbiamo difendere come funzione di scelta di vita, di qualità della vita, di obiettivi, di risultati attraverso un movimento complesso che coinvolge Stato e Regioni. Se le Regioni accettano il concetto della separatezza e si accontentano di governare all'interno delle leggi-quadro, senza influire su di esse, non sono più soggetti di pari dignità rispetto al soggetto nazionale, nella massima espressione che è l'imperium.
Ho fatto questa premessa al documento che è a vostre mani che atteneva alle chiose, che abbiamo fatto al documento dell'Ufficio di Presidenza.
Il nostro Gruppo ha, e sembra abbia anche il Gruppo socialista, la denuncia di uno stato di frustrazione dei Gruppi consiliari che si sentono emarginati rispetto all'attività e al protagonismo della Giunta, i quali vanno a barattare la loro capacità di autonomia, la loro sovranità di legislatori e di depositari della legittimazione della stessa Giunta attraverso momenti di coinvolgimento che non possono che condurre a quella serie di conseguenze illustrate qui dal Consigliere socialista. Ci sembra superfluo ripetere argomentazioni fatte da altri colleghi.
Al di là delle questioni di principio che attengono alla preoccupazione che, al momento di proposta legislativa e di esame, si passi da un sistema di democrazia conflittuale ad un sistema di democrazia consociata, una forza politica deve fare qualche riflessione su problemi di tipo gestionale ai quali la funzionalità del Consiglio è legata.
Abbiamo tutti l'impressione che la centralità del Consiglio non si attua soltanto attraverso l'aula, ma si attua nel suo complesso e probabilmente si attua meglio e di più attraverso le Commissioni. Nella mia qualità di Presidente di Commissione ritengo che non si possa parlare di rilancio della funzione delle Commissioni, senza una modifica dello Statuto. E' scorretto mettere i Presidenti nel rischio di assumere iniziative non statutariamente e non regolarmente previste (esiste il Presidente e la Commissione più efficiente, per esempio, quando elabora un documento sulle deleghe, senza titolo. Ci vuole una proposta e qualcuno deve farsene carico). Alcune Commissioni trattano materie delicate sulle quali nascono problemi di riservatezza o meno nei confronti esterni, nasce il problema della capacità di iniziativa della Commissione e del suo Presidente. Nasce il problema dell'autonomia finanziaria, perché non sembra serio che ogni volta che il Presidente di Commissione per scrivere alla Giunta debba chiederne l'autorizzazione al Presidente del Consiglio.
Se questi sono i limiti statutari del Regolamento, non possiamo certamente pensare che le Commissioni assumano quella capacità di indirizzo, di verifica e di proposta che auspichiamo.
E' stato detta che è opportuno il raffronto istituzionale speculare tra Commissioni e- d Assessorati. Questa proposta mi sembra poco funzionale anche perché si dovrebbe arrivare all'assurda ipotesi di un numero di Commissioni equivalente al numero degli Assessorati. Ripropongo la proposta fatta nella riunione dei Presidenti di Commissione che le. Commissioni siano istituzionalizzate all'inizio o nel corso di legislatura in funzione degli obiettivi e delle problematiche della Regione. Gli uffici legislativi e quelli delle Commissioni debbono però essere organizzati in termini funzionali alle grandi aree di intervento della Regione onde evitare di perdere quel livello di professionalità che si è acquisito in questi dodici anni.
Non sembra serio che funzionari che hanno, seguito per anni talune materie siano espulsi perché vengono create Commissioni che sono la conseguenza della partenogenesi di Presidenti di Commissione. Il recupero della capacità professionale dei nostri funzionari più capaci a livello di isole e di gruppi di lavoro attraverso un interscambio orizzontale è uno degli obiettivi che dobbiamo cercare di perseguire.
Mentre non esprimo un giudizio altrettanto drastico sulle Consulte o su altre iniziative del genere, devo dire, in contrasto netto con il collega Revelli, che questa è la sede in cui si fanno le leggi, questa è la sede dalla quale esce l'autorità della legge, pertanto occorre capire che cosa è bene che abbia luogo in questa sede e che cosa è bene che non vi abbia luogo.
Se esaminiamo la quantità del lavoro che viene fatto in questo palazzo finalizzata alla funzione legislativa, scopriamo che i cervelli e le risorse impegnate nella funzione legislativa sono una parte minoritaria rispetto ai cervelli e alle risorse impegnate in attività diverse.
Recuperare la centralità del Consiglio attraverso la sua funzione prevalente significa affermare che l'Ufficio Legislativo non può essere costituito da un valorosissimo funzionario chiuso in una stanza, ma significa fare cultura tra i funzionari i quali, tutti, debbono essere messi in condizione di essere parte dell'Ufficio Legislativo.
Quindi bisogna creare isole, in cui la preparazione professionale dei funzionari avvenga a isole diverse, una superiore all'altra, non in termini qualitativi, ma che non si identifichi sul piano orizzontale. Ci sembra assurdo pensare che un funzionario venga caricato della funzione legislativa della Regione come ci sembra assurdo pensare che i funzionari addetti alla raccolta della documentazione non abbiano una preparazione ed un'attenzione alle problematiche di tipo legislativo.
Incominciamo a fare una scrematura delle osservazioni che abbiamo evidenziato, incominciamo a valutare quante risorse, quanti cervelli quanto tempo viene speso per funzioni che non sono quelle legislative dopodiché avremo anche la legittimazione totale a rivendicare la capacità di controllo e di impostazione politica che viene fatta sulla Giunta.
Il problema dei rapporti con la Giunta è annoso e tutto da disputare.
Ognuno di noi, se è in grado di condizionare politicamente questa assemblea, può far interpretare come centralità del Consiglio regionale quello che ritiene. La centralità del Consiglio regionale scritta nello Statuto e nei Regolamenti si incentra in atti e fatti specifici, per esempio, nell'approvazione del documento programmatico che sta alla base dell'investitura della Giunta.
Dobbiamo anche rifuggire dal tentativo del protagonismo a tutti i costi. Non misuro la capacità del Presidente o di un Assessore dal numero di fotografie che compaiono sul giornale, né misuro la capacità del Consiglio sulla sua capacità di fare notizia all'esterno e di identificare Palazzo Lascaris come luogo dove si fanno mostre e i più strani convegni.
Dobbiamo, invece, avere capacità di indagine, di analisi, di sintesi, di armonizzazione delle istanze che vengono dalla società, di esame delle problematiche non nell'ambito localistico regionale, ma come portatori di scelte di carattere nazionale delle quali siamo compartecipi.
Altrimenti, finita la stagione prodigiosa delle leggi di principio (prima e seconda legislatura) si finirà di ridurre la centralità del Consiglio alla farsa di chiamare leggi gli atti amministrativi, con i quali si provvede ai bisogni dei consociati.
Ritengo che il Consiglio debba interpretare il bisogno dei consociati attraverso un momento legislativo e non attraverso un momento amministrativo. Auguriamoci che il contributo che ognuno di noi ha potuto dare possa ricondurre l'istituzione regionale e la cultura del sistema dei partiti politici in Italia al rispetto della Carta Costituzionale che ha costruito uno Stato delle autonomie in cui separatezza e feudi non sono consentiti.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Valeri.



VALERI Gilberto

E' stato più volte sottolineato che del ruolo del Consiglio, il funzionamento e la sfera di impegno delle sue articolazioni interne è parte non certo secondaria per cui, ai fini della maggiore efficacia concreta del nostro dibattito, credo sia opportuna una riflessione sul funzionamento del procedimento legislativo svolto dalle Commissioni.
L'ultima modifica regolamentare che ha portato a sette il numero delle Commissioni, mentre da un lato ha creato le condizioni per uno snellimento dell'iter di lavoro, evitando per alcune sovraccarico di impegni dall'altro sta comportando per certi aspetti conseguenze negative. Mi riferisco al ricorso frequente alle assegnazioni congiunte con conseguenti difficoltà ed inconvenienti di varia natura. Ritardi dovuti anche al fatto che, non essendo individuate a livello regolamentare la Commissione responsabile dell'iter del procedimento di legge, si ingenerano intoppi nell'iter medesimo.
Il problema va evidentemente affrontato in termini regolamentari. A questo riguardo si potrebbe individuare una Commissione responsabile dell'iter e della conduzione delle consultazioni. Si potrebbe anche prevedere la partecipazione delle altre Commissioni chiamate all'esame congiunto nella fase ultima decisionale. Mi pare però più adeguato assegnare in sede referente i provvedimenti di legge ad una sola Commissione assegnando ad altre l'esame consultivo, per un parere prevedendone anche i tempi. Questa soluzione più lineare dovrebbe prevedere però anche un'attenzione particolare agli aspetti istituzionali che attraversano orizzontalmente l'insieme dell'attività legislativa del Consiglio.
Sempre in ordine a questo ordine di problemi è già stato sottolineato che l'assenza di un quadro di riferimento complessivo può produrre incongruenze e contraddizioni. Proprio queste considerazioni, che già sono state richiamate e che faccio mie, esigono una preliminare verifica unitaria dei provvedimenti che propongono modifiche di carattere istituzionale. La sede di verifica preliminare ed obbligatoria potrebbe individuarsi nella I Commissione cui sono affidati gli affari istituzionali in analogia a quanto si verifica in Parlamento nella sede della Commissione Affari Costituzionali.
In ordine al funzionamento delle Commissioni del Consiglio sono condivisibili le considerazioni fatte dal compagno Viglione circa la necessità di evitare confusione dei ruoli tra Consiglio e Giunta, tra maggioranza e minoranza, configurabili, ad esempio, nel ricorso sistematico alla prassi delle Commissioni miste, di cui non è chiara la collocazione istituzionale. Però una riflessione particolare merita l'attuale fase istituzionale regionale.
Le Regioni, non solo la nostra, si trovano ad affrontare quella che qualcuno ha definito la seconda fase costituente e una rifondazione della propria immagine. Un impegno di questa natura richiede uno stretto raccordo tra i diversi livelli istituzionali, anche interni alla Regione, Consiglio e Giunta, ma richiede anche momenti più complessivi di raccordo dell'insieme delle forze istituzionali. Un compito di questo genere va ben al di là di un corretto confronto ed una corretta distinzione tra maggioranza ed opposizione. I problemi di riassetto istituzionale non possono non vedere direttamente coinvolte tutte le forze istituzionali, a maggiore ragione in assenza di un quadro complessivo di riferimento nazionale quale dovrebbe determinarsi con la riforma del sistema delle autonomie, ora ferma perché il Governo, malgrado gli impegni, non ha ancora presentato il proprio progetto di legge. Questa carenza sottolinea maggiormente l'esigenza della messa a punto di un progetto regionale, pur con le sottolineature che il Consigliere Viglione faceva sui caratteri di sperimentazione delle possibili iniziative. Sperimentazione che non potrà essere frutto di empiria o di scelte scoordinate tra i diversi Assessorati le diverse Commissioni e i diversi livelli istituzionali. In tal senso quindi, ferme restando le considerazioni che ho richiamato fatte da Viglione, mi pare si ponga l'esigenza di scelte originali nell'individuare gli strumenti ad hoc per consentire, in tema di riassetto istituzionale un'iniziativa coordinata. Questo è anche il quesito conclusivo emerso nella riunione di ieri con la Province piemontesi.
Rispetto alla problematica oggi dibattuta ritengo possibile un più efficace utilizzo delle Commissioni alleggerendo i lavori di aula in ordine a dibattiti specialistici e attribuendoli alle Commissioni competenti in sedute pubbliche con la partecipazione della stampa e del pubblico.
Anche la risposta ad interrogazioni strettamente settoriali potrebbe avvenire in sede di Commissione competente, in seduta pubblica. Tale orientamento potrebbe accelerarne le risposte oltre che snellire i lavori dell'aula. La modifica potrebbe essere operata attraverso l'opportuna integrazione all'art. 18 dello Statuto.
Circa il processo legislativo vorrei richiamare l'attenzione sul fatto che lo Statuto della Regione Liguria prevede all'art. 49 l'esame in Commissione dei provvedimenti legislativi in sede redigente. Tale procedura alleggerisce l'aula dell'esame degli emendamenti e il Consiglio procede solo più alla valutazione degli articoli e del testo complessivo di legge dando parere favorevole o contrario.
Va accertato se una tale innovazione per essere introdotta debba essere preceduta da una modifica statutaria. Forse non è necessario. Infatti il prof. Levi, nel suo commento allo Statuto della Regione Piemonte ipotizzava la possibilità dell'introduzione, tramite norme regolamentari del procedimento redigente, stanti le modalità di approvazione delle proposte previste dall'art. 44 dello Statuto stesso.
Altri hanno trattato il tema dell'attività di indagine che potrebbe essere svolta dalle Commissioni per iniziativa propria o su incarico del Consiglio. Mi unisco, senza dilungarmi, alle sottolineature espresse riguardo alla maggiore e più sistematica utilizzazione di questi spazi di attività.
Mi pare opportuno sottolineare brevemente che un più proficuo funzionamento delle Commissioni lo si avrebbe anche qualora venisse applicato l'art. 12 del Regolamento che disciplina il principio contenuto nel secondo comma dell'art. 25 dello Statuto, secondo cui i lavori del Consiglio sono organizzati per programmi quadrimestrali.
A conclusione vorrei fare alcune brevi considerazioni sul procedimento legislativo e sul prodotto che ne consegue in rapporto al contributo che può e deve venire dall'insieme delle strutture del Consiglio. Mi riferisco alla competenza ed al ruolo delle strutture delle Commissioni e dell'Ufficio Legislativo. Condivido le sottolineature sulle necessità di un ruolo meno accessorio e meno routinario degli apparati tecnici nel procedimento legislativo, innalzandone la qualità e mettendo a frutto la capacità professionale dei singoli e del complesso delle strutture.
Un'esigenza di fondo da cui partire è rappresentata dall'omogeneizzazione delle procedure delle leggi. E' questa una risposta indispensabile per ovviare ad incoerenze esistenti in ordine a procedure largamente divergenti e differenti tra di loro, ad esempio, in ordine ai criteri di accesso alle agevolazioni; al ruolo ed alla composizione delle Commissioni consultive alla durata dei provvedimenti legislativi, le cui differenze non sempre sono validamente motivate; agli interventi delle Commissioni consiliari anche in fase attuativa e di gestione, previsti in alcuni casi, assenti in altri.
L'omogeneizzazione delle procedure è un problema incontrovertibile e da affrontare urgentemente.
Mi pare opportuno prevedere un intervento dell'Ufficio Legislativo nel corso dell'esame dei provvedimenti, il che comporta il potenziamento e la ristrutturazione dell'Ufficio Legislativo stesso per adeguarlo a queste esigenze, nonché l'individuazione degli opportuni raccordi tra tale Ufficio e le singole Commissioni competenti.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Majorino.



MAJORINO Gaetano

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, va innanzitutto ricordato come la Carta Costituzionale abbia enunciato gli organi fondamentali delle Regioni (individuandoli nel Consiglio, nella Giunta e nel suo Presidente) ed abbia fissato alcune linee essenziali sulle loro rispettive competenze e sui loro rapporti interorganici, ma abbia, nello stesso tempo, lasciato un certo margine di discrezionalità al costituente regionale in sede di definitiva regolamentazione della materia. Tant'è che in sede di redazione degli Statuti relativi alle Regioni ordinarie sono emerse due tendenze l'una diretta a riconoscere una netta preminenza al Consiglio regionale ed a delineare quindi una forma di governo tendenzialmente assembleare (nell'ambito del quale la Giunta si presenta come una specie di Comitato esecutivo del Consiglio) e l'altra che rimarca maggiormente il ruolo del governo regionale e il ruolo prevalentemente legislativo del Consiglio.
Questa seconda linea - contraria ad un governo assembleare - è quella che è stata recepita dallo Statuto piemontese, e al riguardo è sintomatica la disposizione consacrata nell'art. 36 dello Statuto che, riecheggiando l'art. 95 della Costituzione (secondo il quale il Presidente del Consiglio dei Ministri dirige la politica generale del governo e ne è responsabile) dichiara che il Presidente della Giunta dirige e coordina l'attività della Giunta ed assicura l'unità dell'indirizzo politico ed amministrativo della Giunta stessa. Anche se, in concreto, l'elezione della Giunta avviene sulla base di un provvedimento di contenuto politico e propositivo.
Si tratta indubbiamente di un modello condivisibile che va mantenuto perché si ispira al principio fondamentale della divisione dei poteri.
Nel quadro del modello recepito dallo Statuto piemontese la funzione legislativa e quella regolamentare sono tipiche e preminenti, o almeno dovrebbero essere preminenti per il Consiglio e costituiscono lo strumento di iniziativa e di indirizzo politico del Consiglio stesso.
E' in ordine alla funzione primaria del Consiglio (che è quella legislativa) che si possono fare alcune considerazioni ed osservazioni di un certo rilievo.
Al riguardo, si riscontra un'eccessiva proliferazione di leggi nel senso che c'é la tendenza ad amministrare con legge. Cito come esempio tipico di amministrazione con legge (e quindi di anormale attività della Giunta, quando propone, e del Consiglio, quando legifera) la legge quadro regionale istitutiva dei parchi e delle riserve naturali. Questa legge (che è una legge cornice) nel fissare i requisiti-base di ogni parco o riserva naturale, prevede un piano regionale dei parchi da attuarsi mediante deliberazione della Giunta. La legge cornice prevede inoltre che ogni parco debba venire istituito con legge formale. A parte la abnormità e la stranezza sistematica di prevedere che una legge formale (istitutiva del singolo parco) debba essere conforme ad un atto amministrativo di carattere generale - com'è il piano dei parchi - sta di fatto che, nella sostanza, la legge istitutiva di un parco o di una riserva naturale, è un atto amministrativo perché non contiene norme generali o astratte, ma vincola piuttosto, nel concreto, beni specifici.
Un'altra anomalia, già ricordata nel corso di altri interventi riguarda l'eccessiva lentezza di alcune Commissioni permanenti nell'esame referente dei progetti di legge: lentezza che viola di gran lunga i tempi tecnici previsti dal Regolamento. In realtà, accade ancora che, di fronte ad un disegno di legge presentato dalle forze politiche di opposizione o di minoranza, le Commissioni permanenti usano "segnare il passo" sino a quando, nella medesima materia, anche la Giunta, o i Gruppi di maggioranza non abbiano presentato un proprio disegno di legge. Cito un esempio tipico: il progetto di legge presentato il 14/5/1981 dal Gruppo D.C. in materia di "modificazioni alla legge urbanistica". Il progetto è rimasto congelato in sede di II Commissione sino a dicembre 1981, sino a quando la Giunta ha presentato un proprio disegno di legge, sulla medesima materia. Solo nei giorni scorsi si è disposto l'esame dei due progetti di legge riuniti.
Sempre nell'ambito di queste anomalie, c'é un caso di esperienza personale che debbo citare: verso la metà del mese di gennaio sono stato convocato davanti alla I Commissione (di cui non faccio parte) perché il Presidente e la maggioranza della Commissione avevano deciso di iniziare l'esame referente di un disegno di legge in materia di enti strumentali da me proposto. Il giorno in cui doveva iniziarsi l'esame, l'esame stesso è stato rinviato a data da destinarsi, su richiesta della Giunta la quale aveva fatto sapere che stava per far pervenire un proprio disegno di legge.
Questo sistema anomalo di fermare i disegni di legge finché non ci sia il progetto della Giunta è un sistema non commendevole.
Vorrei ora ricordare quanto ha detto questa mattina il collega Viglione, ai fini di limitare l'eccessiva produzione legislativa. Egli ha fatto una proposta che, a mio avviso, non è ortodossa: ha suggerito cioè che invalga la prassi, o la direttiva, che da parte del Consiglio regionale si emanino semplicemente "leggi di principi". Il contenuto di queste leggi di principi dovrebbe avere come destinataria la Giunta, la quale a sua volta dovrebbe attuare la legislazione attraverso atti amministrativi, sia pure sotto il controllo delle Commissioni permanenti.
In questa maniera - con questo metodo - gli atti della Giunta continuerebbero a rimanere formalmente atti amministrativi, ma, nella sostanza, sarebbero normativi: in quanto sarebbero attuativi di una legge di principio emanata dal Consiglio regionale. Orbene: in base ai vigenti principi costituzionali il Consiglio è l'unica ed esclusiva fonte normativa regionale e pare quindi che si venga a violare questa regola e si violi anche, la regola in forza della quale la legislazione di principio compete ed è devoluta unicamente allo Stato o, meglio, al Parlamento.
Si possono poi ampiamente condividere le osservazioni fatte dai colleghi Vetrino e Marchini in punto alla necessità che, con le opportune modifiche regolamentari, le Commissioni vengano munite di migliori strutture tecniche. Al riguardo, sarebbe molto opportuno (dato che un'iniziativa in tal senso, se assunta in maniera sistematica, avrebbe assai benefici effetti sulla funzione legislativa del Consiglio) che la Giunta si avvalesse della funzione consultiva del Consiglio di Stato.
E voglio addentrarmi brevemente in questo argomento (che ritengo di una certa importanza) ricordando che l'art. 100 della Costituzione enuncia che il Consiglio di Stato è l'organo di consulenza giuridico - amministrativa e di tutela della giustizia dell'amministrazione e che le normative vigenti che disciplinano la funzione consultiva le individuano nell'emanazione di pareri "sopra le proposte di legge e sugli affari di ogni natura" in ordine ai quali il Governo venga "interrogato" dai Ministri e nella formulazione di progetti o di regolamenti.
Con l'attuazione dell'ordinamento regionale è sorto il quesito ampiamente dibattuto, se anche le Regioni potessero avvalersi direttamente e immediatamente, dei pareri consultivi del Consiglio di Stato.
Senza ripercorrere gli itinerari delle relative discussioni dottrinali va ricordato che l'Adunanza Generale del Consiglio di Stato ha emanato un parere, nell'aprile 1980, con il quale ha statuito la piena legittimazione delle Regioni di avvalersi della funzione consultiva del Consiglio di Stato. Questo parere era stato provocato da un quesito che aveva posto al Consiglio di Stato la Regione Veneto, in ordine all'interpretazione della legge 3/1/1971, n. 1, in materia di accelerazione delle procedure esecutive delle opere pubbliche.
Il Consiglio di Stato ha emanato questo importante parere fissando la regola di principio che, con l'introduzione dell'ordinamento regionale, è consentita la sostituzione degli organi regionali agli organi statali e che ai Ministri si sostituisce "de plano" il Presidente della Giunta regionale per tutte le materie di amministrazione attiva, in passato appartenenti alla competenza statale.
Siccome il Consiglio di Stato è notoriamente un organo "super partes" imparziale ed altamente qualificato sotto il profilo tecnico, penso che instaurare la prassi di avvalersi (per i provvedimenti di maggiore importanza e segnatamente per quelli legislativi) della consulenza preventiva del Consiglio di Stato sia cosa estremamente opportuna.
Al riguardo ho presentato un progetto di legge in quanto, ai fini di un'opportuna cornice, è bene che questa facoltà venga introdotta nello Statuto.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PICCO



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Mignone.



MIGNONE Andrea

Il dibattito avviato oggi in seno al Consiglio potrà essere utile, a patto che produca orientamenti in ordine ad interventi ritenuti idonei per migliorare il funzionamento della nostra istituzione. Da questo punto di vista, la nostra discussione può anche ritenersi un approfondimento del dibattito in corso - in occasione del decennale dello Statuto regionale sulle Regioni, sul loro significato e sulle loro attività.
In merito, la discussione potrebbe essere assai lunga. Riteniamo tuttavia, più utile circoscrivere il dibattito ad alcune questioni più specifiche e più semplici. Ma, è stato detto, la semplicità non è il punto di partenza, bensì il fine. Allora, cercherò di svolgere il mio intervento concentrandomi su alcune aree: problema. Vale a dire: 1) come intendere il Consiglio quale sede politica, 2) come centro del processo legislativo, 3) come struttura organizzata. Per concludere; poi, con la considerazione che l'esame di queste aree - problema non può non comprendere anche la questione più generale sulle riforme o modifiche istituzionali per migliorare il funzionamento della nostra assemblea e, quindi, per attivare gli strumenti per arrivare a queste riforme. Quindi, dobbiamo chiarirci sul tipo di Regione e sul ruolo che essa deve avere. E' anche un approfondimento sulle ipotesi progettuali e sull'assetto dei poteri. La prima area - problema è quella del Consiglio come sede politica. Noi riconosciamo la necessità di rafforzare il ruolo e l'immagine di un Consiglio attivo per la definizione delle politiche regionali e quindi la definizione degli obiettivi strategici della programmazione, delle scelte di piano. Cioè, per l'attivazione di un rapporto dialettico ma costruttivo con le altre Regioni, in particolare con le Regioni a noi confinanti, con il Governo e con il Parlamento, per l'approfondimento dei disegni programmatori, delle scelte rilevanti (alcuni in discussione proprio in questo periodo, ad esempio, per quanto riguarda l'energia e la grande viabilità). Non perciò mero rivendicazionismo regionalistico solo per appesantire le attività amministrative o per avere un maggiore ruolo gestionale, per cui siamo talora come una navicella sbatacchiata dall'ondata di incombenze e carichi o per rendere difficile al cittadino il districarsi tra mille competenze parallele e un decentramento a dir poco impigliato, o ancora, con il rischio di finire verso la particolarizzazione dei processi amministrativi.
Un Consiglio regionale, quindi, come massima espressione politica in grado di lavorare per progetti, di delineare strategie, attento alle dinamiche sociali, alle varie articolazioni socio-economiche, pronto sui grandi temi a portare il proprio contributo di iniziativa e di idee.
Sotto questo profilo, da un lato va ricondotto al Consiglio questo insieme di incombenze senza scavalcamenti e confusioni ; dall'altro, nel Consiglio non può non esserci chiarezza nei rapporti tra le forze politiche: ciò vale per la regola, già ricordata, del dispiegarsi del rapporto tra maggioranza ed opposizione qual, è a fondamento delle grandi democrazie europee e la logica della responsabilità per i ruoli che si rivestono e della distinzione, vale a dire all'esecutivo la parte che deve istituzionalmente fare, al Consiglio la funzione di controllo e di attivazione delle grandi scelte attraverso lo strumento legislativo.
E', infatti, l'iniziativa legislativa che va ravvivata e nel contempo razionalizzata.
Siamo anche d'accordo con quanto diceva il Consigliere Viglione sulla necessità di recuperare un senso concreto ed operativo per la partecipazione, non da vedersi come mero coinvolgimento formale o come creazione di una sorta di trincea ad imbuto dell'espressione della comunità piemontese.
Da questo punto di vista va sicuramente riconsiderato il significato ed il ruolo delle varie Consulte o Commissioni, in questi anni attivate, delle quali sovente non si colgono appieno le finalità entro le attività del Consiglio regionale ed i rapporti con la funzione di direzione politica dell'assemblea.
Questa idea di partecipazione non deve diventare un criterio rigido esclusivo e preclusivo poiché allora, come un abito troppo stretto, quanto prima si scucirà. E ciò perché non ci si può fermare al mero coinvolgimento o, ancor peggio, alla mera individuazione di sedi per la ricerca del consenso; organismi settoriali o categoriali o generazionali oltre una certa soglia si polverizzano e quindi si disperdono e si vanificano. Ci non vuol dire negare l'esperienza positiva in tal senso. Chiediamo semmai un approfondimento ed una pausa di riflessione poiché ogni innovazione va studiata prima, sperimentata poi, modificata se necessario in funzione della sua utilità. Anche l'orchestrazione istituzionale, per così dire, è una ricerca senza fine a meno che non si vogliano costruire monumentali castelli di carte.
Condividiamo, senza dilungarci, anche l'opinione, ancora di Viglione sulla democrazia consociativa, nata questa idea dopo le tensioni del 1968 che si diffuse in particolare con l'esperienza della solidarietà nazionale.
Per passare alla seconda area - problema, il Consiglio come centro del processo legislativo. Va ricondotta al Consiglio la centralità del processo legislativo nei suoi vari stadi: processo, non procedimento, inteso quindi non come una serie di atti meramente giuridico-formali, ma come insieme dei flussi di domande, di bisogni e di aspirazioni emergenti dalla società e delle risposte che l'assemblea è in grado di approntare. Il Consiglio al riguardo, è e deve essere la massima espressione dell'area regolativa nell'ambito della distribuzione dei poteri, non ruolo di mediazione e di registratore dell'equilibrio raggiunto dai vari interessi o principi in gioco. Questo non lo vogliamo.
La capacità legislativa regionale sta nel sapersi far carico sì dell'esigenza espressa dal sociale, ma in un'ottica di più ampio respiro di trasferimento delle istanze entro obiettivi da perseguire in un significato strategico.
Il processo legislativo è oggi una delle fasi più delicate, nel funzionamento della Regione, ma anche delle più proprie e più esaltanti.
Due condizionamenti vanno però tenuti presenti: il non completo quadro legislativo nazionale per gli indirizzi e la chiarezza di competenze da un lato, cosa che auspichiamo; il ricorso troppo sovente a leggine e a provvedimenti legislativi particolari o specifici dall'altro, con il risultato di una legislazione talora frastagliata e minuta, difficilmente comunque, dipanabile.
Si tratta, a nostro avviso, innanzitutto di mettere in condizione le Commissioni di esaltare le proprie capacita legislative. Certo, con maggior presenza e partecipazione dei Consiglieri, ma allargando le loro possibilità di rapporto con la comunità piemontese, di informazione e di proposizione; di ricerca, di indagine: sul sistema, ad esempio, di quanto avviene con le Commissioni americane ed il loro sistema di udienze.
Mettere, poi, gli apparati delle Commissioni in grado di poter approfondire gli aspetti giuridici e la ricerca legislativa.
Vi è poi il problema dell'informazione e della documentazione necessaria per i Consiglieri, fatto decisivo per consentire un lavoro serio e documentato al singolo Consigliere, altrimenti soggetto a notizie sovente frammentate e non sempre disinteressate, nonché a pressioni localistiche.
Questa per noi è la chiave di volta per giungere a garantire al Consigliere capacità propositiva innanzitutto e poi possibilità di giudizio documentato e conoscenze sufficientemente ampie. Un sistema informativo consiliare moderno e consistente. L'impianto articolato e radiale del nostro istituto, la fitta rete di canali che legano la sfera legislativa al sistema politico in complesso e al sistema sociale, chiedono varietà e flessibilità delle procedure e progressivo adeguamento alle esigenze concrete. Un sistema informativo non soltanto su piccole vicende, di carattere magari locale, ma su grandi questioni tipo la programmazione ed il bilancio. Un sistema informativo adeguato toglierebbe anche il Consigliere dalle pressioni dei Gruppi e dalle spinte particolari del proprio collegio elettorale.
Grosse questioni, certo, che qui non è l'occasione di approfondire, ma che riguardano il dibattito che sta riemergendo sulle forme di neo corporativismo o sulla crisi del Welfare State.
Terza area - problema: il Consiglio come struttura organizzata.
Soltanto pochi riferimenti. Innanzitutto una politica per il personale più decisa, e condivido al riguardo tutte le indicazioni date nel suo intervento introduttivo, molto puntuale, dal Presidente del Consiglio, che fu già oggetto di discussione specifica quando affrontammo i problemi più in generale del personale regionale. Diciamo solo: un personale professionalmente preparato per lo svolgimento in particolare della funzione legislativa, un'organizzazione del lavoro non soltanto verticale con Commissioni come compartimenti stagni, tra loro poco comunicanti, ma anche intese in senso orizzontale. Naturalmente questo comporta anche il problema delle sedi, già toccato, e della conferenza permanente dei Presidenti delle Commissioni, per esaminare ed affrontare assieme le questioni.
Infine, la questione generale è quella delle modifiche istituzionali sia attraverso leggi, sia con modifiche di Statuto sino a giungere anche alla modifica del Regolamento e degli strumenti per le riforme.
La questione non è solo formale, riguardando sul piano sostanziale sia il tipo di Regione che vogliamo ed il ruolo che deve avere, sia nel complesso degli assetti istituzionali che nei confronti della comunità piemontese. Né voglio far riferimento alle modifiche per la seconda Camera non vista come semplice doppione o pensatoio, ma come Camera della programmazione con rappresentanza delle Regioni e rappresentanza indiretta degli interessi.
In questo quadro, con rinnovato vigore, si è nuovamente ravvivato il dibattito sulla riforma istituzionale. Il fatto di aver riproposto questo tema nella centralità del dibattito politico sta certamente a significare la presa di coscienza di un sistema politico sovraccaricato, non più in grado di dare risposte certe e rapide alle domande di una società in cui le relazioni sono più strette e le articolazioni più dinamiche. Due premesse sono d'obbligo e debbono essere tenute presenti anche quando affrontiamo i problemi delle modifiche al Regolamento o allo Statuto. Innanzitutto, non attribuire capacità liberatorie o taumaturgiche alla mera ingegneria istituzionale, posto che molte volte siamo abituati a pensare come se gli apparati vivessero di vita propria e non invece nel modo e nella misura in cui li fanno vivere gli uomini e le forze che vi sono dentro. Poi, il problema cardine è la crisi dei partiti, poiché la crisi delle istituzioni deriva anche dalla crisi dei partiti che di quelle sono, come nel caso italiano, l'architrave. I partiti sono diventati meri articolatori di istanze particolaristiche e non sovente aggregatori. La discussione sulla riforma istituzionale ha lunga storia e il dibattito dall'800, in poi si è andato arricchendo con punte estreme quando il sistema va in crisi.
Certamente esso coglie un problema reale delle moderne democrazie. Vi è bisogno di ricostruire dei momenti di autorità in un sistema in cui tutti negoziano con tutti e le scelte politiche sono sempre più difficili. Se l'assetto istituzionale è dispersivo, può rapidamente disperdere nei suoi meandri politiche all'inizio vigorose e fortemente sostenute.
La questione riguarda quindi non l'utilità, ma la fattibilità delle riforme. A questa concorrono non solo le Condizioni del governo quotidiano ma occorre qualche cosa di più: un clima di più generale novità; solo un potere percepito come nuovo è abilitato dalla collettività a chiedere e a ottenere nuove regole del gioco.
In questo quadro i ritocchi risulteranno sicuramente possibili, forse saranno anche utili, ma è ben probabile che siano molto meno di quello che davvero servirebbe.
Gli assetti istituzionali innovativi hanno bisogno di propellente speciale. Una politica nuova a cui la gente li senta legati, percependo che la nuova autorità che si chiede verrà spesa per qualche cosa che vale.
E' questa perciò la sfida della governabilità, una sfida che non accantona il discorso istituzionale, ma gli impone di essere parte di una prospettiva innovativa più generale, una sfida che potrà essere vinta solo se sapremo costruire una prospettiva innovativa adatta ai tempi della quale purtroppo sentiamo di possedere però solo alcuni frammenti. Noi saremo attenti, in ogni caso, per l'esame di quelle modifiche che tutti assieme riterremo necessarie.
In conclusione, e siamo di questo convinti, occorre muoversi con un approccio che fa ricorso all'uso della ragione, senza fideismi n catechismi confezionati. Perché in tal senso - qui riprendiamo il riferimento al '600 toccato da Revelli - faremo anche noi come Galileo quando fu chiamato dal Sant'Uffizio: si presentò vestito con il saio bianco del penitente sulla giumenta per abiurare; giurò sui Sacri Testi, come dice il cronista, che era vero che la terra era ferma e che era il sole a girarvi attorno. Tuttavia, pare che, uscendo, abbia mormorato sotto voce "eppur si muove".



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Paganelli.



PAGANELLI Ettore

Signor Presidente, colleghi, mi rendo perfettamente conto dell'ora tarda e dello stato di stanchezza in cui si trova il Consiglio, ma non posso neanche pronunciare quelle celebri frasi che gli oratori hanno per abitudine di dire in certe occasioni, che renderebbero felici i Miei colleghi, e cioè: sarò breve. Cercherò di non essere lungo, ma certamente non sarò breve.
Questo dibattito lo abbiamo aspettato per tanto tempo e tante volte il Gruppo D.C. lo ha richiesto, perciò non possiamo ora, con un colpo di spugna, rinunciare a dire le cose che il Gruppo stesso, in modo particolare oggi, ritiene di dire. Cercherò anche di non prendere gli spunti che da alcuni autorevoli interventi sono venuti che hanno elevato questo dibattito ma che, se venissero da me raccolti, mi porterebbero alquanto lontano dal centro delle considerazioni che intendo fare. Se anch'io mi mantenessi su un diverso tono e non scendessi alle cose che riguardano il Consiglio regionale del Piemonte, al tema in discussione arriverei fra un'oretta o poco più facendo tante citazioni sull'universo, sui massimi sistemi. E qualcuno potrà dire: "Ci siamo tolti anche questo dibattito e domani continueremo corna prima".
No, signori Consiglieri, domani non si continuerà come prima.
Consentitemi però qualche accenno perché se questo dibattito fosse tenuto nel particolare del Consiglio regionale del Piemonte potrebbe apparire localistico, come diceva il collega Marchini. Questo dibattito avrebbe un ruolo riduttivo se non lo inquadrassimo nel discorso più ampio delle Regioni.
Le Regioni sono oggi più che mai in un "cono di ombra", come dicono alcuni studiosi, e noi faremmo un pessimo servizio alla causa delle autonomie locali se fingessimo di non accorgerci di questo cono d'ombra.
Non voglio fare un lungo elenco di richiami, ma qualcuno lo faccio.
Comincio dagli atti del Convegno sullo Stato delle autonomie, con l'introduzione del Preside della Facoltà di Giurisprudenza, prof. Casetta: "Si parla delle Regioni dopo dieci anni e possiamo dire con franchezza che il quadro globale dell'esperienza regionale e del sistema complessivo delle autonomie non è confortante". Ricorda poi il Cheli dicendo che "nella seconda legislatura era parso con la legge 382 e con altre leggi, che si uscisse dal cono d'ombra, invece la situazione è ribaltata e la giustificata critica di taluni giunge al punto di giustificare un sostanziale disinteresse per le Regioni o di non lasciare spazio che a qualche debole considerazione difensiva. Così che oggi vediamo che autori quali Barbera e Cammelli, da sempre legati all'ideologia e alle vicende del regionalismo, parlano della riforma regionale come di una riforma a metà del guado o affermano che non sono poche le aspettative deluse né limitate le responsabilità dei vari protagonisti".
Non solo nella dottrina, ma anche nel sistema delle autonomie ci sono osservazioni allarmate delle quali dobbiamo tener conto. Sono documenti recenti: nel Congresso delle Province tenuto a Pescara il Presidente uscente dell'UPI ha rimarcato che spesso accade che le Regioni "per un malinteso complesso di superiorità non siedono pregiudizialmente ad un unico tavolo con Comuni e Province anche per discutere questioni di interesse comune e si attardano nella gestione di funzioni amministrative e dei servizi senza delegarli". Il futuro Presidente dell'UN (non so se sia già stato eletto o meno, comunque penso sia sempre dell'area socialista) ha puntato il dito sulle Regioni "la cui resistenza al coinvolgimento degli Enti locali nel processo di gestione della cosa pubblica sarebbe all'origine dei tentativi, in parte riusciti, di recupero di potere da parte degli organi centrali".
Se andiamo nel campo dei politici troviamo delle affermazioni preoccupate sul rapporto tra Regioni, Comuni e Province. Sempre al Congresso di Pescara, il Ministro Aniasi ha concluso auspicando "la fine della conflittualità tra Regioni, Comuni e Province" e, viceversa, il Convegno dell'ANCI si è aperto con un articolo del responsabile degli Enti locali del Partito Socialista, on.le La Ganga, il quale dice: "l'ultima questione tutta interna al mondo delle autonomie riguarda l'esame dei sempre più difficili rapporti tra le Regioni da un lato e Comuni e Province dall'altro".
Sono sintomi evidenti della crisi dell'esperienza regionale che si manifesta nell'insufficiente capacità di spesa delle Regioni che hanno così finito di dimostrare palesemente l'insufficienza di uno dei nodi centrali per cui è avvenuto il decentramento regionale oppure nell'accentramento delle funzioni amministrative, con la costruzione di una macchina prevalentemente burocratico - amministrativa, la cosiddetta regione segmentata in ministeri, con le mancate deleghe, con la crisi nei rapporti tra Regioni ed Enti locali.
Se c'è una crisi è ovvio che bisogna ricercarne i motivi.
I motivi sono la mancanza di leggi quadro o cornice - e qui sta la critica allo Stato. Ma se è vero che uno dei motivi è la mancanza di leggi quadro, un altro motivo è anche l'insufficienza qualitativa della funzione legislativa, l'incapacità di un disegno innovativo ed originale perché le Regioni hanno finito di considerare la loro attività legislativa come semplice integrazione della legge statale. Vi è un illuminante articolo di Onida sulla rivista "Le Regioni" dove dice: "Si supponeva che le Regioni avrebbero potuto favorire l'esprimersi delle esigenze e del genio locale liberando energie ed aspirazioni compresse dall'assetto centralistico dello Stato risorgimentale".
Che cosa è accaduto nel decennio trascorso? Risponde: "Certamente chi riflette all'enfasi che in assemblea costituente fautori ed avversari dell'istituto regionale posero sul carattere decisivo che avrebbe avuto il riconoscimento alle Regioni della potestà legislativa, che appariva la novità istituzionale più rilevante nell'assetto autonomistico dello Stato e consideri il ruolo ed il contenuto della legislazione regionale di questo decennio, potrebbe essere portato ad accreditare l'impressione di un notevole scarto fra previsioni e realtà".
Con questa considerazione chiudo questa parte che anch'io ho dovuto fare per non rinchiudermi in un ambito troppo locale del dibattito ed entro nel vivo della nostra discussione.
Se è vero che le Regioni sono in un cono d'ombra non ne escono con un'attività gestionale e con una struttura di Assessorati - Ministero.
Escono con l'esaltazione, la valorizzazione del ruolo dei Consigli regionali, ove maggioranza ed opposizione si confrontano sui programmi e ove si esercita il controllo sull'attuazione dei programmi che la maggioranza ha scelto. In questa dichiarazione vi è la risposta al tema delle due possibili categorie poste dal collega Viglione; l'attività consociativa e l'attività che fa riferimento alle grandi democrazie occidentali dove il dibattito si svolge fra le maggioranze e le opposizioni.
La domanda che insistentemente ci poniamo, specie in questa legislatura ed affrontiamo il tema specifico di questo Consiglio - è se questo Consiglio svolga il ruolo di esaltazione e di valorizzazione della Regione e, per stare alle categorie del Consigliere Viglione, se la dialettica maggioranza - opposizione sia strettamente esercitata in questo Consiglio.
La nostra risposta è prevalentemente - sottolineo questo prevalentemente - negativa.
Il nostro giudizio si basa su un duplice ordine di considerazioni che riguardano il ruolo del Consiglio regionale ed il suo funzionamento.
Ruolo del Consiglio regionale. Quando ci capita di partecipare a concorsi all'interno della Regione chiediamo quali sono le competenze del Consiglio regionale e vogliamo sentirci dire almeno alcune cose fondamentali, per esempio, in riferimento all'art. 16 dello Statuto (esercita la potestà legislativa, approva il piano di sviluppo, stabilisce le direttive e i conseguenti rapporti finanziari in merito alla delega di funzioni amministrative a Province, Comuni ed altri Enti locali, approva il bilancio). Chiediamo come avvengono queste competenze all'interno del Consiglio.
Come si può parlare di programmazione in un Consiglio regionale se, a circa due anni dal suo insediamento, non ha ancora approvato il piano di sviluppo che invece deve approvare entro quattro mesi? Allora, noi non stiamo muovendoci sui binari maestri della programmazione, come suggeriva Viglione. Già questa è una linea deformata di azione, di attività, di collocazione di forze e gruppi all'interno del Consiglio.
Il discorso delle deleghe, che comporterebbe la revisione di diverse leggi, non fa un passo avanti, cosicché bisogna mettere in dubbio le volontà politiche. Non con la esemplificazione scherzosa che faceva il Consigliere Viglione sui Presidenti delle Province che vogliono le deleghe per domani. Ma è certo che bisogna sciogliere questo nodo che, per la verità, non è solo un nodo di questa Regione.
Leggendo gli atti del convegno ANCI ho scorto l'intervento di un Presidente di una Provincia del Veneto che imputava a quella Giunta di essere carente in campo di deleghe e citava l'esempio di deleghe sull'allevamento dei cavalli da corsa! L'iniziativa legislativa ristagna in questa Regione. Ci sono leggi e leggine che non hanno la dignità di questo nome. Riteniamo che la Giunta sia troppo assorbita dall'attività gestionale e sia segmentata in strutture ministeriali. Le convenzioni e i protocolli che leggiamo sui giornali credo siano il simbolo di questa attività. Magari si invitano anche i Capigruppo ad assistere alla firma, alla foto storica della convenzione, ma i contenuti delle convenzioni e la gestione restano nebulosi e sconosciuti.
La maggioranza non solo ha una limitata iniziativa, ma frena anche quella dei Consiglieri. I Gruppi hanno presentato molte proposte di legge che però segnano il passo, ovvero sono in parcheggio. Il Consigliere Viglione riferendosi a questo grande disegno in astratto, non ipotizzava un sistema parlamentare in cui vi sia una maggioranza che propone e un'opposizione che sta solo a guardare o che si atteggia in posizione contraria. Da noi direi che sulle proposte di legge la situazione è esattamente capovolta: vi è un'opposizione che ha l'iniziativa legislativa e vi è una maggioranza che sta a guardare, che frena fino a che su qualche materia non riesce ad inserirsi con una sua autonoma proposta.
Così come non vi è alcuna iniziativa per il riordino della legislazione esistente, per testi unici che potrebbero qualificare la produzione legislativa. Mi richiamo a quanto avevo letto sulla rivista "Le Regioni" e ricordo che tutti i costituenti, favorevoli o contrari alle Regioni, hanno sognato una legislazione regionale più qualificata di quella dello Stato.
Se pensiamo poi all'altro punto: "approva il bilancio" sappiamo come vanno a finire le cose. Alla fine del mese, il bilancio sarà presentato però entro il 20 del mese successivo deve anche essere approvato: in sostanza siamo di fronte ad un bilancio in gestazione per mesi e mesi da par t e de Ila Giunta, mentre si lascia alle consultazioni e al Consiglio solo venti giorni di tempo. Questo sistema mortifica, non dà quel grande respiro e quel grande confronto che è proprio delle democrazie.
Per coprire questi vuoti politici si fa sempre più ricorso ai dibattiti che impegnano intere sedute di Consiglio, che si concludono vagamente.
Molti non lasciano segno. Solo alcuni sono necessari. Il dubbio che abbiamo è che se la prima legislatura regionale passerà come la legislatura costituente e di impianto, se la seconda sarà la legislatura di leggi magari discutibili ma fondamentali, la terza legislatura, andando avanti di questo passo, sarà la legislatura dei dibattiti.
Quando Viglione, in qualità di Presidente della Giunta nella seconda legislatura, parlava di certe leggi come di grandi affreschi, sorridevo: oggi, in rapporto alla produzione legislativa attuale, quelle leggi finiscono di apparire davvero dei grandi affreschi appesi, che non producono nulla al di là di una piacevole lettura.
Parallelamente, dal versante del Consiglio regionale, la maggioranza porta avanti tutta una serie di iniziative collaterali, incontri, convegni mostre che hanno finito per diventare la principale ed assorbente attività dell'Ufficio di Presidenza, che viene in questo modo distorto in gran parte dai suoi compiti istituzionali, che sono quelli del funzionamento del Consiglio nelle sue varie articolazioni.
Nel documento socialista che circolava mesi fa su questo dibattito c'era un'affermazione che il Consigliere Viglione questa mattina ha ripreso: "Prevale una visione organicistica di coinvolgimento se non addirittura di mobilitazione". Di questo disegno di mobilitazione il Consigliere Viglione ha parlato, ma se queste sono le considerazioni che il Gruppo socialista fa, deve trarne anche le conseguenze allorquando queste iniziative vengono portate avanti.
Non riteniamo che il Consiglio regionale sia una inespugnabile o riservata torre d'avorio, ma non accettiamo neanche la trasformazione di fatto della sede del Consiglio in palazzo delle manifestazioni o dei congressi. Riconosciamo che il Consiglio regionale, la sua Presidenza possa avere una limitata ma rilevante presenza esterna in momenti che possiamo definire altamente culturali, ma allora la funzione della Presidenza del Consiglio non deve limitarsi ad una defaticante organizzazione logistica, propria di una segreteria di palazzo dei congressi, ma deve essere momento di significativa presenza sotto il profilo culturale e sotto il profilo del pluralismo.
Chiudo il discorso sul ruolo del Consiglio ricordando altri due momenti di confronto nell'ambito del Consiglio regionale: quello delle interrogazioni e delle interpellanze, altro strumento di controllo democratico. Quando si ritarda oltre ogni limite a dare le risposte, si vanifica il dialogo e si pone in essere la credibilità. Ho presentato un'interrogazione il 24 novembre che riguardava un Comune che aveva ricevuto una lettera del Presidente della Giunta regionale che gli comunicava il finanziamento di un'opera; il Comune ha ultimato l'opera e poi si è sentito dire che il finanziamento non c'era. Oggi non si è ancora risposto all'interrogazione. Qui l'opposizione entra nel gioco democratico perché l'immagine della Regione sia quella che deve essere.
Le Commissioni sono la proiezione del Consiglio. Non hanno un metodo di comportamento, sono lasciate alla disponibilità maggiore o minore degli Assessori. In alcuni casi il confronto avviene tra l'opposizione e i consulenti, i quali, non avendo la responsabilità politica, sono anche altezzosi nel confronto con i Consiglieri dell'opposizione. Se dovesse continuare questo atteggiamento i Consiglieri della D.C. saluteranno i consulenti e abbandoneranno le Commissioni.
Vengo al tema del funzionamento. Scelto questo sistema parlamentare di dialogo tra maggioranza ed opposizione, bisogna vedere come si attua questo modello.
Mi limito a denunciare alcuni temi che potranno essere discussi nella sede opportuna.
Occorre ripensare l'attuale organizzazione del Consiglio. E' valida l'individuazione attuale di tanti servizi? E' il caso di individuare grandi aree omogenee? Non voglio ora scendere nei particolari. Probabilmente tre grandi aree consentirebbero al Consiglio regionale di funzionare meglio: segreteria generale (con i servizi tecnici in riferimento ai Consiglieri e si Gruppi), un'area di studio, di elaborazione di documentazione legislativa socio-economica, ed un'area di supporto all'attività legislativa a livello di Commissioni e di aula.
Oggi in questo Consiglio, al di là della capacità, professionalità dedizione di alcune persone bravissime, non emerge una struttura da parlamento regionale come Viglione ricorda spesso e come tutti noi vorremmo.
Un'articolazione a grandi aree porrebbe in tutta evidenza il rapporto tra le strutture di supporto all'attività legislativa e quella di studio di elaborazione legislativa, per far compiere un salto di qualità alle segreterie di Commissione, oggi appiattite in una funzione meramente burocratica. Si potrebbe immaginare un meccanismo analogo a quello della Camera dei Deputati o del Senato. Occorre assicurare alle Commissioni equipe di funzionari esperti nelle varie materie e nella rapida individuazione delle fonti, evitando dispersioni di energie, o eventuali riposi, e i doppioni inevitabilmente connessi all'alternativa del gonfiamento dello staff di ciascuna Commissione. Occorre pensare al rapporto tra strutture del Consiglio e della Giunta, che è sostanzialmente un problema di informazione sull'attività dell'esecutivo. Il Consigliere regionale è poco informato. E' successo a ciascuno di noi di constatare che ai livelli comprensoriali sono note molte più notizie che ai Consiglieri regionali.
Sono temi da discutere, da approfondire. Ma ha senso discuterli ed approfondirli se siamo tutti convinti che questi problemi vengono affrontati con un Ufficio di Presidenza che intende esercitare fino in fondo la sua azione di interlocutore e di guida. Non un Ufficio di Presidenza troppo occupato a dispensare sale e patrocini o impegnato in iniziative varie, ma consapevole che il protagonista del Consiglio regionale è il Consigliere regionale come singolo o come Gruppo nell'espletamento del mandato che gli elettori gli affidano.
Come è pensabile che un Gruppo come quello della D.C., che rappresenta un terzo del Consiglio regionale, come è pensabile che venti Consiglieri e cinque funzionari possano lavorare in cinque o sei stanze, quando ci sono funzionari o consulenti che addirittura hanno due uffici? Come è pensabile che passino mesi senza che questi problemi vengano risolti? Il Presidente del Consiglio ha fatto un accenno nella sua introduzione a questo problema. Ebbene, che cosa dobbiamo fare? Dobbiamo occupare qualche ufficio? Fare qualche azione clamorosa per essere messi in condizione di poter dignitosamente lavorare? Se il Consigliere regionale è il protagonista bisogna metterlo in condizione di conoscere tutto ciò che avviene, di svolgere la sua funzione di legislatore e di controllore, di poter informare sulla sua attività.
Ciascuno di questi temi apre discussioni infinite.
Qui, in questo momento, ciascuno di noi può meditare se queste astrattamente indicate, e non altre, sono le condizioni in cui noi Consiglieri esercitiamo il nostro mandato.
Dopo la diagnosi, dobbiamo essere propositivi. Sul ruolo del Consiglio vi è dal 29 giugno 1981 la nostra proposta di modifica dello Statuto.
Riguarda temi fondamentali: maggiore centralità del Consiglio rafforzamento delle caratteristiche di collegialità della Giunta formalizzazione più precisa delle deleghe per i componenti dell'esecutivo disciplina legislativa dei dipartimenti e del loro funzionamento, modalità precisa per regolamentare i rapporti Giunta - Consiglio, compiti più pregnanti e significativi per le Commissioni.
Chiediamo che si inizi immediatamente la discussione di questa proposta di legge in I Commissione. I contributi di altre forze politiche potranno rendere migliore la proposta, ma il permanere dell'inerzia non giova a nessuno. Ci avvarremo della facoltà del quarto comma dell'art. 32 del Regolamento chiedendo che sia iscritto all'ordine del giorno del Consiglio.
Sul funzionamento del Consiglio le proposte emerse sono molteplici sono venute da tutte le parti politiche, frutto di meditazione e di esperienza. Noi proponiamo che le valuti un'apposita Commissione, che entro sessanta giorni dovrà riferire al Consiglio per i conseguenti adempimenti legislativi e regolamentari.
Ci auguriamo che il dibattito possa produrre effetti positivi. Diciamo che non si può pensare di aver risolto ogni problema con lo sfogo di questo dibattito. Se non ci saranno correzioni concrete di rotta e di funzionamento il Gruppo D.C. prenderà posizione, così come nostro malgrado siamo stati costretti a fare stamane.
Ringrazio i Consiglieri per i riconoscimenti che hanno avuto per il nostro Gruppo, ma devo dire che per cambiare la nostra posizione ci vuole l'impegno perché qualcosa muti.
Nel Consiglio, nel parlamento regionale (per ripetere un'espressione cara a Viglione) noi ci siamo sforzati di estere compartecipi, non l'opposizione. Il parlamento è la casa di tutti, deve essere la casa di tutti, dei Gruppi grandi e piccoli, tenendo conto solo per certi aspetti, e nemmeno per tutti, del numero.
Questa è la casa che consente quel grande confronto delle democrazie occidentali. Ma in questa casa bisogna sentirsi a proprio agio. Bisogna sentire che la casa è di tutti, indipendentemente dal ruolo che si occupa nel grande confronto proprio delle democrazie, anche perché il ruolo pu cambiare senza che cambino le regole della convivenza nella casa.
Mi è toccato, purtroppo, dimostrare che in questa casa da alquanto tempo non ci sentiamo affatto a nostro agio (l'episodio di questa mattina non è isolato) e non certo per fatto o colpa nostra. Se le cose non cambieranno dovremo sentirci opposizione anche nell'organo del Consiglio regionale ( proprio quel lo che paventava questa mattina Viglione).
Intendiamoci, opposizione come la intendiamo noi, per far funzionare l'istituzione o, meglio, per farla vivere.
Cosi faremo anche per il Consiglio regionale.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bontempi.



BONTEMPI Rinaldo

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, a me tocca spesso il ruolo non del tutto semplice di chiudere dibattiti impegnativi per i temi che vengono trattati e difficili perché trovare un fuoco comune, unificante, unitario quando la possibilità di approcci è molteplice non è semplice.
Innanzitutto, vorrei ringraziare i colleghi Viglione, Mignone, Marchini Picco e Vetrino, i quali in maniera diversa e su piani diversi hanno colto elementi reali con riflessioni tutt'altro che banali e piatte. Ho la fortuna di essere stato preceduto da due interventi del mio Gruppo: uno sul funzionamento e sugli "interna" del Consiglio e delle Commissioni, l'altro di grande prospettiva e di indicazioni concrete (sol che si sappiano leggere interventi di quel tipo). Spiace che Paganelli, che d'altra parte l'ha premesso, non abbia fatto riferimento all'intervento del Consigliere Revelli.
Il nostro Gruppo ha sostanzialmente portato all'attenzione dei Consiglieri la necessità e l'urgenza di rispondere alla crisi dell'istituto regionale (il cono d'ombra di cui parlava il Consigliere Paganelli è in crisi). E' importante non stare fermi, non solo con piccole misure organizzative o funzionali, ma traguardando l'analisi sui tempi, sulla storia della democrazia, ai compiti nuovi ed inediti che ci vengono posti dall'esplodere di una crisi economico-sociale.
Voglio stare sulla falsariga di Paganelli, credo che dobbiamo giustamente riferirci ad uno schema. Quello che ci ha proposto Viglione è un arricchimento al giudizio sullo stato delle assemblee elettive, compresa la nostra, è uno schema che nella democrazia rappresentativa nell'incontro nello scontro e nel confronto tra le maggioranze e le opposizioni produce l'effetto delle decisioni e delle scelte. Però quando parliamo di ruolo e di funzionamento mettiamo in gioco l'assetto complessivo e il modo di far politica dei partiti, il modo con cui i partiti stabiliscono i rapporti con le istituzioni e il modo con cui partiti ed istituzioni hanno i rapporti con i cittadini.
Convengo sull'analisi fatta delle disfunzioni, delle cose non corrette ma non posso convenire sul gioco di questi argomenti in termini piatti, che possono apparire addirittura strumentali. Non si può dire che il ruolo del Consiglio è in crisi e che il suo funzionamento segna delle gravi difficoltà perché c'è questa maggioranza o c'è questo Ufficio di Presidenza. Faremmo un torto a quello che è invece lo spessore di un processo che a livello culturale abbiamo fatto in questi anni nel ripensare agli schemi, alle forme di espressione dei partiti ed anche al divenire del nostro modo di fare questo mestiere, che è quello di Consigliere regionale.
Di fronte allo squassamento enorme che la crisi sta provocando, non solo nell'economia, questa Giunta è stata la risposta più giusta, più adeguata, più puntuale, più coerente alla crisi. Non lo dico per mera difesa d'ufficio, lo dico perché ne sono convinto.
Paganelli ha citato il piano di sviluppo. E' giusto richiederlo, ma è anche giusto considerare che non c'erano i documenti programmatici, non c'era soprattutto lo sviluppo di un ragionamento sulle conseguenze che la crisi ha portato, è giusto considerare che, strada facendo, abbiamo dovuto maturare sull'entità dei fenomeni, sulla gravità e sulla specificità di essi. Chiedere piattamente perché la Giunta non ha presentato il piano di sviluppo è sterile. La Giunta ha preso l'impegno di fare un pre-dibattito prima di completare il piano di sviluppo. Io credo che sia importante perché dobbiamo intenderci su che cosa voglia dire in questo momento avere le coordinate necessarie, non un libro dei sogni o pretese vane e velleitarie.
Potrei dire la stessa cosa sull'iniziativa legislativa. Ha ragione Paganelli nel dire che la seconda legislatura è stata la legislatura delle leggi e che questa è inferiore. C'è una ragione. Non è che le grandi leggi possano prodursi in modo continuo indefinito perché c'é un limite oggettivo alla normazione. La legge sulle procedure della programmazione, quella sulla tutela del suolo, il piano di sviluppo quanto tempo e quanti atti di governo richiedono? Il sistema di potere negli istituti regionali ha fatto prendere atti reali di governo fuori dalle assemblee elettive. Quando il Presidente Enrietti o qualche Assessore firmano le convenzioni, compiono atti di governo, attuano linee programmatiche, innescano azioni concrete che producono consistenti risultati e significativi approdi.
Della revisione dell'attività legislativa parliamo da tempo, ma diciamolo chiaramente che non si può imporre un comando legislativo solo in quanto è scritto ed approvato. Sappiamo che il problema è di fare assurgere alla dignità del comando le leggi. Parliamo genericamente di revisione delle leggi, ma quando ci siamo cimentati ci siamo resi conto che prenderla per pezzi è spesso un modo per non arrivare alle conclusioni. In realtà il problema oggi è di riuscire a dare nuovi fini, nuove prospettive e nuovi elementi. Qualsiasi tentativo in campo di deleghe è drammatico, non per mancanza di idee. E' faticoso farle procedere anche soltanto in due o tre campi ed avere un atteggiamento convinto ed ispirato alla stessa stregua.
C'è il rischio che le deleghe siano viste come una "spartizione della salma". La democrazia non si esprime dove ognuno in qualche misura gioca il suo ruolo indipendentemente dall'interesse collettivo, ma dove dalla pluralità di posizioni e di ottiche si compongono interessi collettivi.
Il Consigliere Picco parlava di contropotere. Credo che in questa legislatura si sia agito con grande correttezza nella dialettica nei confronti dello Stato. Non c'è stata mai una concezione di contropotere o strumentale al fatto che non siamo al Governo. Le prove le abbiamo date.
Devo anche dire che c'è un sistema delle autonomie che va governato, a cui non si deve ordinare né si deve comandare. Altre Regioni avranno fatto questo, non questa Regione, e qualora episodi del genere si verificassero è bene correggerli. è bene non avere pietà, perché sono episodi che distruggono il tessuto connettivo che deve tenere assieme il sistema e che non può permettersi arbitri ed arroganze da parte della Regione, ma neanche contropotere da parte delle autonomie. Per la renitenza a capire che questo Paese si salva se si hanno certi indirizzi c'é la tentazione ad arraffare quello che si può in termini di deleghe, in termini di vantaggi elettorali in termini di propaganda. Queste sono vie chiuse, morte. Il nostro partito ha da sempre cercato di cambiare, di trasformare per far entrare come protagoniste nuove grandi masse, per ridurre l'ingiustizia, per migliorare la qualità della vita e il suo sviluppo. Il nostro partito è convinto che le istituzioni debbano affrontare questi problemi per risolvere la crisi di organizzazione che viene dal modo in cui le assemblee sono state quasi sistematicamente disattese nella carica di innovazione e di trasformazione.
C'è il fallimento di classi dirigenti che hanno pensato, un po' tradizionalmente, ad uno Stato che non doveva dare fastidio o che doveva servire per interessi di parte.
Il Consigliere Revelli parlava di rifondazione, di - vedere come si pu esplicare la partecipazione alla nostra attività da parte delle comunità del sistema istituzionale, delle organizzazioni. Su questi temi c'é tanto da salvare in Piemonte. Sono convinto che sia opportuna una semplificazione delle istanze di unione dei vari sistemi degli Enti locali o dei centri di decisione: semplificare per non appiattire, non per riportare ad uno schema che veda un'autorità piramidale, ma semplificare per avere la certezza che una decisione, una volta presa, si attui, per partecipare in tempi definiti perché le decisioni non vengano ostacolate da ulteriori zeppe. Questa è democrazia, questa è la capacità di non rifiutare che la democrazia si esprima attraverso maggioranze ed opposizioni. Potremo percorrere una nuova strada comune se ci anima lo stesso spirito politico. Non è blasfemo dire questo, non mi sogno neanche per un momento di risuscitare fantasmi sepolti di solidarietà, di unità nazionale. Se la Regione è in crisi credo che un comune confronto, con parità di termini e di linguaggio, con uso comune di strumenti e con un lavoro comune, sono l'unica via di uscita, partendo dalla pluralità e dalla diversità delle esperienze.
Non discuto sull'impegno e sul lavoro che in questa legislatura la D.C.
ha svolto presentando progetti legislativi interessanti, partecipando ai lavori nelle Commissioni, ma tutto questo non può essere giocato per mettere sul banco d'accusa la Giunta, la maggioranza e l'Ufficio di Presidenza. All'Ufficio di Presidenza abbiamo spesso fatto dei cattivi favori, abbiamo rilevato le sue incertezze sulla sua definizione e sulla sua collocazione, sul suo ruolo; a volte ha fatto troppo poco, a volte ha fatto troppo. Dobbiamo metterci d'accordo su questo, dobbiamo richiamarci allo Statuto e al Regolamento per costruire le condizioni di dibattito, di responsabilità, di presenza per garantire un miglior funzionamento del Consiglio.
Le proposte fatte sono molte ed alcune anche suggestive. Non possiamo però pensare che con la scorciatoia dei facili capi d'accusa si possa uscire da questa situazione. La prima e la seconda legislatura hanno visto un comun denominatore, che era quello di un comune sentire sulle questioni istituzionali, di un affinare graduale e tormentato di regole del gioco.
Oggi è in discussione il mondo, perciò non mi stupisce e non mi scandalizza che siano in discussione anche queste regole, però per ridiscuterne correttamente, forse dovremo rimetterci di nuovo insieme a pensarle.
Noi comunisti riteniamo di dover aderire alle iniziative che saranno assunte dopo questo dibattito. Il Piemonte ha bisogno di un Consiglio regionale, di un'assemblea che lavori, che si organizzi, che dibatta politicamente i problemi per assicurare la governabilità insieme alla comunità per la trasformazione. Tre sostantivi che hanno il significato ed il senso del nostro impegno oggi e continuativamente.
Nelle Commissioni il nostro Gruppo è sempre presente. C'é il problema dei Gruppi PRI, PLI e PSDI che non hanno invece questa possibilità e questo ha molta importanza sul funzionamento del Consiglio proprio per assicurare quella pienezza del ruolo che i Consiglieri hanno il dovere di rivendicare.
Il nostro partito ritiene di effettuare la sua parte con molta serietà senza farsi sentire com'è nella sua natura. Di insensibilità da parte nostra né per i ruoli politici né per:' a dignità di chi profonde nel lavoro il suo impegno personale ed intellettuale, non ne verrà mai.
Noi comunisti veniamo da una storia pesante di discriminazioni e avendola patita sulle nostre spalle, non abbiamo mai pensato, come lo dimostrano le posizioni attuali del nostro partito, di poterla usare nel momento in cui fossimo stati dall'altra parte dei banchi, anzi, vogliamo essere garanti di questa divisione di ruoli, intesa come divisione funzionale e non come divisione che possa arrecare danno alla democrazia.
In qualche misura in questi anni questa garanzia ve l'abbiamo sempre data.



PRESIDENTE

Ringrazio per le cose dette, l'impegno che prendo con l'Ufficio di Presidenza è quello di valutare questo importante dibattito che segna un punto nuovo.
Su questo ci rivedremo ancora o in Commissione o in dibattito per chiarire le cose dette.


Argomento: Partecipazioni azionarie regionali - Centri intermodali

Esame legge rinviata dal Governo: "Partecipazione della Regione Piemonte alla Società Interporto di Torino (S.I.T.O.) S.p.A."


PRESIDENTE

Passiamo al punto sesto all'ordine del giorno che reca: Esame legge rinviata dal Governo: "Partecipazione della Regione Piemonte alla Società Interporto di Torino (S.I.T.O.) S.p.A.". Il testo è stato licenziato a maggioranza dalla I Commissione nella seduta del 10/2/1982.
La parola al relatore, Consigliere Bontempi.



BONTEMPI Rinaldo, relatore

Non vorrei dare ragione ai colleghi che potrebbero pensare che dopo aver predicato bene il funzionamento del Consiglio, questo funzionamento è subito negativo. Non ero presente in Commissione il giorno in cui venne votata questa legge. Vorrei far presente come abbiamo risposto ai rilievi del Governo.
Reca un duplice ordine di rilievi: il riscontro di difformità tra le previsioni di cui all'art. 2 della legge e la relazione illustrativa, con riguardo: all'indicazione, nel testo della legge, dell'acquisto di azioni per un valore complessivo nominale di L. 441 milioni; nella relazione, di un acquisto di azioni per nominali L.
1.102.500.000 la violazione del divieto di apportare variazioni al bilancio in data successiva al 30 novembre, sancita dall'art. 15, ultimo comma, della legge 19/5/1976, n. 335, nonché dall'art. 41, ultimo comma, della legge regionale 14/3/1975, n. 12, concernente la contabilità regionale.
Preso atto dei rilievi di cui sopra ed, in particolare, di quelli relativi agli aspetti contabili del provvedimento, conseguenti al ritardo con cui si è pervenuti all'approvazione del testo definitivo della legge in dipendenza della necessità di complessi rapporti preliminari con i soggetti che partecipano alla S.p.A. di cui trattasi, la Giunta propone al Consiglio una nuova adozione del provvedimento, nel testo rivisto in accoglimento dei rilievi mossi dal Governo.
Conseguentemente, vengono modificati, anche in relazione all'intervenuta chiusura dell'esercizio 1981, i riferimenti finanziari mentre rimane fermo l'ammontare complessivo della spesa immediatamente autorizzata, di L. 441 milioni, pari, appunto, al 49 % del capitale sociale della S.I.T.O. S.p.A., che risulta di L. 900 milioni, suddivisi in n. 9.000 azioni, da L. 100.000 ciascuna.
Il già citato, intervenuto decorso dell'anno 1981, inoltre, comporta che siano immediatamente determinati i limiti di spesa per tutto l'esercizio 1982, in quanto la proiezione su futuri esercizi di ulteriori previsioni di spesa - di cui all'art. 2, primo comma, del disegno di legge ha senso solo a far tempo dall'esercizio 1983.
Da tali considerazioni discendono, rispetto al testo approvato il 10/12/1982, le seguenti modificazioni: art. 2, primo comma: autorizzazione alla Giunta ad acquisire ulteriori azioni, entro l'esercizio 1982, per L. 661.500.000, in relazione ad eventuali aumenti del capitale sociale, per mantenere il valore della quota di partecipazione regionale (49%) art. 4, primo e terzo comma: determinazione in L. 1.102.500.000 della dotazione, di competenza e di cassa, dell'istituendo capitolo di spesa correlato alla partecipazione in oggetto.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Viglione.



VIGLIONE Aldo

Alla legge relativa alla partecipazione della Regione alla S.p.A.
S.I.T.O., il Governo ha fatto l'osservazione che sul bilancio, a quella data, non poteva più essere operata alcuna variazione. Abbiamo accolto quella osservazione e abbiamo modificato la legge sulla quale il Gruppo socialista esprime parere favorevole.



PRESIDENTE

Passiamo alla votazione dell'articolato.
Art. 1 "La Regione Piemonte - in armonia con gli indirizzi generali del piano di sviluppo e con quelli del piano dei trasporti ed al fine di coordinare la realizzazione delle opere per l'infrastrutturazione del Centro Intermodale plurifunzionale per il trattamento delle merci, collegato allo smistamento ferroviario di Orbassano, previsto dall'art. 13 della legge regionale 6/3/1980, n. 11 - assume, ai sensi dell'art. 4 della stessa legge regionale n. 11, una partecipazione azionaria nella S.p.A. S.I.T.O., con sede in Torino".
Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico l'esito della votazione: presenti e votanti 52 hanno risposto SI 30 Consiglieri si sono astenuti 22 Consiglieri L'art. 1 è approvato.
Art. 2 "La Giunta regionale è autorizzata a compiere tutti gli atti necessari per l'acquisizione al patrimonio della Regione di azioni della S.p.A.
S.I.T.O., per un valore complessivo nominale di L. 441.000.000, pari al 49 del capitale sociale, nonché ad acquisire ulteriori quote di partecipazione per un'ulteriore spesa, fino ad un massimo di L. 661.500.000 - in relazione ad eventuali aumenti di capitale, che fossero deliberati nel corso dell'esercizio 1982, al fine di conservare la propria quota di partecipazione azionaria.
La Giunta regionale è, altresì, autorizzata a cedere ad Enti locali della Regione e ad Aziende di Stato azioni, acquisite o da acquisire ai sensi della presente legge, in misura tale che sia, comunque, assicurata alla Regione Piemonte una quota minima di partecipazione, pari al 19% del capitale della Società.
La Giunta regionale è autorizzata a sottoscrivere in relazione alle disponibilità di bilancio previste dalle leggi di approvazione dei bilanci stessi - azioni della S.I.T.O. S.p.A., in relazione agli aumenti del capitale sociale fino ad un massimo di L. 10 miliardi, per mantenere la propria percentuale di partecipazione nei limiti delle quote di cui ai commi precedenti.
La Giunta regionale è autorizzata a prestare garanzie fidejussorie alla S.p.A. S.I.T.O., per le eventuali necessità di finanziamento, nel limite degli stanziamenti di bilancio annualmente determinati con le leggi di approvazione dei bilanci stessi".
Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico l'esito della votazione: presenti e votanti 52 hanno risposto SI 30 Consiglieri si sono astenuti 22 Consiglieri L'art. 2 è approvato.
Art. 3 "1 membri del Consiglio di amministrazione e del Collegio sindacale della S.p.A. S.I.T.O., la cui nomina sarà riservata alla Regione Piemonte ai sensi dell'art. 2458 e seguenti del Codice Civile, saranno designati dal Consiglio regionale, assicurando la rappresentanza della minoranza.
I Consiglieri di amministrazione come sopra nominati sono vincolati nell'esercizio del mandato, all'osservanza degli indirizzi e delle direttive dei competenti organi della Regione".
Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico l'esito della votazione: presenti e votanti 52 hanno risposto SI 30 Consiglieri si sono astenuti 22 Consiglieri L'art. 3 è approvato.
Art. 4 "Per l'attuazione della presente legge è autorizzata, per l'anno finanziario 1982, la spesa di L. 1.102.500.000.
All'onere di cui al precedente comma si provvede mediante una riduzione di pari ammontare, in termini di competenza e di cassa, del fondo speciale di cui al cap. 12600 dello stato di previsione della spesa per l'anno finanziario 1982.
Nello stato di previsione della spesa per l'esercizio finanziario 1982 sarà, conseguentemente, istituito apposito capitolo, con la denominazione: 'Oneri relativi alla sottoscrizione od all'acquisto di azioni della S.1.T.O. S.p.A, di Torino' e con lo stanziamento, in termini di competenza e di cassa, di L. 1.102.500.000".
Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico l'esito della votazione: presenti e votanti 52 hanno risposto SI 30 Consiglieri si sono astenuti 22 Consiglieri L'art. 4 è approvato.
Art. 5 "La Regione, mediante apposito provvedimento legislativo, potrà acquistare direttamente le aree necessarie per l'intera struttura intermodale di Orbassano e provvedere ai finanziamenti per l'urbanizzazione primaria, ai sensi della legge regionale 6/3/1980, n. 11.
Ove intervenga l'approvazione di tale legge, la Giunta regionale è autorizzata alla cessione dei diritti di superficie alla S.p.A. S.I.T.O., a mezzo di convenzioni che ne definiranno il corrispettivo, tenuto conto degli oneri affrontati dalla Regione.
La S.p.A. S.I.T.O. è delegata all'esecuzione delle urbanizzazioni primarie, e potrà provvedere alla cessione dei diritti di superficie stessi agli operatori".
Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico l'esito della votazione: presenti e votanti 52 hanno risposto SI 30 Consiglieri si sono astenuti 22 Consiglieri L'art. 5 è approvato.
Art. 6 "Agli oneri derivanti dall'esercizio della facoltà di cui al terzo comma dell'art. 2 della presente legge, si farà fronte con l'istituzione nel bilancio di previsione per l'esercizio 1983 e successivi, di apposito capitolo, con la denominazione: 'Oneri relativi alla sottoscrizione o all'acquisto di azioni della S.I.T.O. S.p.A.', i cui stanziamenti, in termini di competenza e di cassa, saranno determinati con le leggi di approvazione dei bilanci.
I proventi derivanti dall'eventuale alienazione delle azioni deliberata dalla Giunta regionale in favore degli Enti locali piemontesi e di Aziende di Stato, ai sensi del secondo comma dell'art. 2 della presente legge, saranno introitati in apposito capitolo, che sarà istituito nello stato di previsione dell'entrata per l'esercizio finanziario 1982 e successivi, con la denominazione: 'Proventi connessi all'alienazione di azioni della S.p.A. S.I.T.O.'".
Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico l'esito della votazione: presenti e votanti 52 hanno risposto SI 30 Consiglieri si sono astenuti 22 Consiglieri L'art. 6 è approvato.
Art. 7 "Il Presidente della Giunta regionale è autorizzato ad apportare con proprio decreto, le variazioni di bilancio conseguenti all'attuazione della presente legge.
La presente legge regionale è dichiarata urgente ed entra in vigore nel giorno della sua pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione Piemonte, ai sensi dell'art. 45 dello Statuto".
Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico l'esito della votazione: presenti e votanti 52 hanno risposto SI 30 Consiglieri si sono astenuti 22 Consiglieri L'art. 7 è approvato.
Passiamo alla votazione sull'intero testo della legge.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico l'esito della votazione: presenti e votanti 52 hanno risposto SI 30 Consiglieri si sono astenuti 22 Consiglieri L'intero testo della legge è approvato.


Argomento: Programmazione e organizzazione sanitaria e ospedaliera

Esame legge rinviata dal Governo: "Piano socio-sanitario della Regione Piemonte per il triennio 1982/1984"


PRESIDENTE

Esaminiamo ora il punto settimo all'ordine del giorno che reca: Esame legge rinviata dal Governo: "Piano socio-sanitario della Regione Piemonte per il triennio 1982/1984", il cui testo è stato licenziato dalla V Commissione in data 9/2/1982.
La parola al Consigliere Paganelli.



PAGANELLI Ettore

Volevo informare che questa legge non passerà con rapidità, ci sono delle esigenze di dibattito.



PRESIDENTE

La parola al relatore, Consigliere Mignone.



MIGNONE Andrea, relatore

Sul rinvio da parte del Commissario di Governo del piano socio sanitario della Regione ci sono state, in Commissione, discussioni che attenevano non tanto alla lettera del rinvio quanto alla successiva comunicazione con là quale venivano sottolineate alcune questioni attinenti ad aspetti particolari del piano stesso.
La Commissione è stata reinvestita dell'esame dei rilievi formulati dal Commissario di Governo e la Giunta ha predisposto le proposte di modifica che la Commissione ha valutato, approvato e portato all'esame del Consiglio regionale.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Martinetti.



MARTINETTI Bartolomeo

L'incertezza che abbiamo visto serpeggiare al momento della ricerca del relatore si accompagna ad una incertezza anche maggiore. Non so se i Consiglieri abbiano osservato che questa proposta di riesame della legge ci è presentata con un testo licenziato dalla V Commissione in data 9 febbraio e non si sa se all'unanimità o a maggioranza.
In realtà, neanche la maggioranza prevista dal Regolamento per l'approvazione di deliberazioni è stata raggiunta nella sede propria.
Il Consigliere Viglione sostiene che questo è un difetto procedurale superabile. Lascio alla Presidenza del Consiglio di valutare se questo è vero oppure se tutta la procedura non sia da considerarsi adeguata. Circa i rilievi formulati dal Governo non abbiamo molto da dire anche perché la Giunta li ha accolti e ne propone il recepimento all'interno della legge e degli allegati al piano. Quanto al rilievo che concerne l'allegato sulla politica del farmaco, riguardo al quale noi avevamo contestato l'opportunità della predisposizione del prontuario terapeutico zonale viene accolta "ad absundantiam" la nostra richiesta, quindi siamo d'accordo sul nuovo testo, così come siamo anche d'accordo che, sia pure escludendo i farmaci non registrati in Italia, si mantenga presso gli ospedali sede dei quattro quadranti il famoso deposito di farmaci rari e particolarmente costosi per l'evidente loro finalità pratica e sociale.
Una maggiore rilevanza ci sembra abbia il rilievo circa l'art. 25 della legge di piano, quell'articolo che era stato inserito all'ultimo momento perché contenente la proroga della cosiddetta salvaguardia di certi vincoli e alle decisioni autonome delle USL e all'apertura di nuovi laboratori.
Attiene ad un richiamo costituzionale. C'è una certa tendenza, quando si è convinti dell'opportunità politica di una certa determinazione, a non tenere eccessivamente conto del quadro giuridico esistente, come se si trattasse di formalità che la volontà politica può facilmente superare.
Credo che questo richiamo possa spingerci a riflessioni ed osservazioni.
Il Governo invita poi il Consiglio a precisare che la procedura stabilita all'art. 18 della legge circa la formazione dei programmi zonali è appunto una procedura e non si vogliono superare i controlli previsti dalla legge mediante il Comitato di Controllo.
Va risottolineato il principio che abbiamo già vigorosamente sostenuto e cioè che i Comuni e le USL. che sono forme associative di Comuni per esercitare delle attribuzioni proprie dei Comuni e le funzioni delegate dalla Regione, sono titolari di funzione proprie, primarie.
La Regione non può inventare altre forme di controllo, di vincoli, di limitazioni di autonomia oltre a quelle previste dalle leggi statali vigenti.
Noi non ci esimiamo da un giudizio complessivo su questo intervento del Governo. Abbiamo fatto le nostre battaglie in Consiglio, in Commissione ed in aula, ci siamo astenuti da qualsiasi segnalazione, intervento, pressione presso il Governo, al quale, comunque, sarebbe stato forse utile conoscere le nostre argomentazioni ampiamente illustrate in aula ed in Commissione perché se le avesse conosciute e se le avesse meditate, forse avrebbe potuto fare qualche altro rilievo anche più importante di quelli che sono stati fatti. Stupisce che il Ministro Altissimo avesse dichiarato poche settimane prima in una riunione cui partecipavo personalmente, che il piano avrebbe dovuto essere respinto perché precedente al piano nazionale e che non si sia dato alcun segno di una valutazione in questo senso.
Sappiamo che il Ministro Altissimo ha in questi giorni in preparazione delle strumentazioni procedurali più snelle per l'approvazione del piano sanitario nazionale. Ci auguriamo che questa approvazione avvenga al più presto e consenta una verifica del nostro piano regionale con le statuizioni del piano nazionale ed eventualmente un adeguamento dello stesso.
Veniamo al "giallo" della seconda bordata di osservazioni fatta pervenire dal Commissario di Governo alle quali il relatore Mignone ha fatto riferimento.
Non neghiamo che si tratta di un intervento irrituale, fuori dalle regole del gioco, ma ciò sottolinea l'eccezionalità dell'intervento. Un alto funzionario che, pur sapendo che sarebbe andato incontro a critiche e a qualche rischio, ha ritenuto suo dovere farci conoscere alcune osservazioni a lui pervenute rispetto alle quali manifesta un certo giudizio di attendibilità. Ci poniamo una domanda precisa: chi di noi colleghi Consiglieri, accorgendosi oggi o domani che nel piano c'è qualcosa di illegittimo, di incostituzionale, di inopportuno o contrario all'interesse pubblico, non sentirebbe in coscienza il dovere di fare quanto è possibile per porvi rimedio? Basta questa semplice domanda per convincere che la strada giusta sarebbe stata un riesame anche rispetto ai problemi sollevati.
Ricordiamoci che se illegittimità vi sono, restano tali anche se il Governo nel suo intervento rituale non li ha rilevati.
Se illegittimità rimangono, potranno sempre causare delle sorprese in futuro.
Il secondo comma dell'art. 83 del Regolamento consente al Consiglio di limitare la discussione solo alle parti che hanno dato luogo al rinvio ufficiale. Non abbiamo difficoltà a riconoscere che si è sempre fatto così e che vi sono anche ragioni di opportunità nell'evitare un riesame complessivo che potrebbe dar luogo ad altri rinvii governativi. E' per questo che non abbiamo presentato nuovi emendamenti per introdurre modifiche in relazione alle osservazioni che il Commissario di Governo ha fatto in modo informale.
Non abbiamo però rinunciato a riflettere su questi problemi. Ci siamo convinti che almeno su alcune osservazioni bisogna esprimersi per prendere delle determinazioni.
Sono tre i punti sottolineati dal Commissario di Governo nella lettera del 30 gennaio.
Il primo riguarda le competenze delle Province in materia di pianificazione sociosanitaria, il secondo riguarda il problema della regolamentazione dei servizi socio-assistenziali attribuiti ai Comuni, il terzo riguarda il ' problema degli ospedali dipendenti dall'Ordine Mauriziano.
Gli ultimi due riguardano problemi che in sede di discussione del piano abbiamo toccato e sui quali abbiamo espresso delle riserve circa l'impostazione data dalla Giunta e dalla maggioranza.
Per quanto riguarda il problema delle Province ci battiamo il petto come deve fare tutto il Consiglio.
Questo problema era sfuggito a noi come era sfuggito alla Giunta e a tutti gli altri Gruppi, ma ciò non è un buon motivo per tacere ora. La nostra responsabilità di Gruppo di opposizione è minore e non disponiamo n di uffici legali né di schiere di consulenti a cui appoggiarci.
Il D.P.R. 616 all'art. 26 stabilisce: "La Provincia nell'ambito dei piani regionali approva il programma di localizzazione dei presidi assistenziali"; all'art. 33: "La Provincia nell'ambito dei piani regionali approva il programma di localizzazione dei presidi sanitari"; all'art. 12 della legge 833: "Spetta alle Province approvare la localizzazione dei presidi e servizi sanitari regionali e fino all'entrata in vigore della legge della riforma delle autonomie locali".
E' raro nella legislazione italiana trovare delle forme che non si prestano a dubbi come questa. Il legislatore infatti l'ha ripetuta tre volte nello stesso modo.
Dire che a ciò si è assolto con le consultazioni a cui le Province, gli Enti sono stati invitati, è dire una cosa che non ha senso e che non pu dare nessun affidamento.
Le stesse Province in questi giorni hanno incominciato ad avvertire l'esproprio di precise competenze a cui sono state soggette. E' stato sollevato il problema nella Provincia di Torino, so che in una consultazione avvenuta ieri nella sede del Consiglio regionale le Province hanno rivendicato la loro competenza in questo campo.
Per rispondere in modo obiettivo a questa osservanza, che comunque concerne un'argomentazione valida, bisogna chiarire che quanto nel piano concerne "localizzazione di presidi e di servizi" va inteso in senso indicativo. Nell'ambito del piano le Province dovranno essere chiamate ad approvare la localizzazione degli stabilimenti ospedalieri, dei poliambulatori, delle strutture multizonali, dei servizi socio assistenziali.
Questo forse non è quello che chiedono le Province, le quali pensavano di dover approvare prima che le localizzazioni fossero inserite nel piano.
Il problema delle funzioni socio-assistenziali attribuite ai Comuni è un argomento che ritorna continuamente, mi spiace che non sia presente l'Assessore perché avremmo avuto modo di avvalorare le tesi che sosteniamo.
Bisogna stare attenti a pensare che si possano privare i Comuni con un provvedimento dall'alto con un vincolo disposto dalla Regione, privarli della funzione amministrativa relativa ai servizi socio-assistenziali loro direttamente attribuita dalla legge.
Prima della legge di riforma, l'integrazione e la gestione unitaria dei servizi socio-assistenziali deve essere sì perseguita e sollecitata, ma in accordo tra le USL ed i Comuni, anche se ciò comporta difficoltà di intesa.
Ciò che nasce faticosamente dal confronto democratico ha radici più salde di ciò che è imposto dall'alto con provvedimenti, del resto, di dubbia legittimità.
Infine, c'è la questione degli ospedali dipendenti dall'Ordine Mauriziano. In Commissione l'Assessore Bajardi ha dato un'interpretazione che possiamo accogliere. Le determinazioni del piano rappresentano la visione della Regione sulla sistemazione di quelle strutture, ovviamente la definizione ultima sarà fatta attraverso una convenzione con l'Ordine Mauriziano. Questa interpretazione va definita.
Lo strumento per queste definizioni esiste. Secondo noi, è un ordine del giorno, ai sensi dell'art. 76 del Regolamento.
Dimostrando che tutta la nostra azione all'interno del Consiglio regionale ha lo scopo di una severa opposizione ma anche di collaborazione per contribuire a dare della Regione l'immagine di un Ente che impone quello che può imporre, che agisce nel quadro della legislazione vigente che non travalica le sue competenze, abbiamo rinunciato a proporre emendamenti e abbiamo predisposto un ordine del giorno, che rassegno alla Presidenza.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Gastaldi.



GASTALDI Enrico

I rilievi del Governo al piano socio-sanitario non solo sono stati fatti in due tempi diversi, seguendo una prassi non abituale e rituale, ma sono effettuati con valutazioni e modalità ben diverse: quelli del 26 gennaio sono stati presentati come categorici ed impositivi, invece quelli del 30 gennaio come opinione di altri e non del Commissario e meritevoli di esame e di approfondimento.
Anche se quelli del primo gruppo hanno una indiscutibile logica legale di accordo tra leggi nazionali e regionali, comporteranno certamente in pratica alcune difficoltà e conseguenze non desiderabili ed anche economicamente svantaggiose.
Mi riferisco alla necessaria eliminazione dell'armadio farmaceutico per i medicamenti non reperibili in Italia, che nel piano avevo giudicato come una buona proposta, tanto più che conoscevo la vera storia e i veri motivi di certe cancellazioni dagli elenchi ufficiali di alcuni medicinali certamente molto utili e talora indispensabili.
Mi riferisco ad esempio al Leukerand di indubbia e quasi esclusiva efficacia nella cura della leucemia linfatica che è stato cancellato dalla farmacopea italiana non solo per il rifiuto dell'aggiornamento del prezzo ma per impedire che l'estero, dove tale aumento era stato concesso in L.
7.500 relativamente alle L. 1.500 italiane, venisse a rifornirsi presso le farmacie italiane a prezzo ridotto.
L'armadio proposto dal documento della Giunta non riduce certo tali difficoltà perché è tutt'altra cosa da quello che era stato previsto dal piano socio-sanitario approvato il 23/12/1981.
Sarà necessario perciò fare presto una legge che regolamenti tutto il settore farmaceutico regionale come previsto d'altra parte dall'art. 28 della legge 833.
Per quanto riguarda quello che il primo piano chiamava impropriamente "prontuario regionale e zonale", devo dire che è bene che si sia trovato il modo di mantenerlo cambiandone soltanto il nome da "prontuario" in quello di "scheda". Si sa, infatti, che gli studi e le ricerche sulla patogenesi di certe malattie sono in continua evoluzione e portano successivamente ad identificare cause e momenti nuovi per i quali i laboratori farmaceutici apportano ed approntano sostanze nuove.
E' vero che tali risultati vengono riferiti dalla stampa e dalle comunicazioni scientifiche; esse però di solito riguardano singoli farmaci e raramente compaiono comunicazioni che paragonano tra di loro i vari farmaci relativamente ad effetti che essi hanno sulle varie cause della malattia.
Le schede proposte dalla Giunta quindi sono certamente utili soprattutto per il medico di base che potrà usufruire delle esperienze e del consiglio dei medici ospedalieri di zona, soprazonali, che hanno certamente maggiore possibilità di sperimentazione e quindi di sintesi.
Per quanto riguarda il secondo gruppo di osservazioni del Commissario di Governo le giudico in parte inaccettabili ed in parte non giustificabili.
Non paiono giustificate secondo me la terza, la quarta e la Onta osservazione perché è ben noto che le scelte sono sempre subordinate a leggi nazionali esistenti ed attuabili ai tempi nei quali le convenzioni previste dalla stessa legge 833 saranno stipulate.
Più complesse e più importanti sono le altre due che però mi pare si possano rifiutare.
Per la prima, infatti, che pretende da parte delle Province l'approvazione sulla localizzazione dei presidi si possono portare motivi teorici e motivi pratici.
Nel commento fatto all'art. 12 della legge 833 dal dott. Salerno autore della pubblicazione "La riforma sanitaria" con commento ai singoli articoli pubblicata nel 1979 si legge che "Il legislatore in materia sanitaria non ha inteso attribuire alle Province altri compiti relativamente alla nuova organizzazione sanitaria oltre a quelli consultivi previsti dai singoli Statuti regionali". Un atto formale quindi di approvazione non sembra richiesto dall'art. 12 della legge 833 prima dell'approvazione del piano socio-sanitario.
E poi non precisando la legge quando e su quale documento le Province debbono dare l'approvazione potrebbe succedere che qualsiasi piano socio sanitario regionale venga rimandato a tempo indeterminato procrastinando quella riforma sanitaria che tutti dicono di voler attuare in tempi brevi.
Basti pensare alla discussione che l'ultimo allegato provocò in Consiglio senza vedere un accordo tra opposizione e maggioranza sui vari punti; discussioni che sarebbero prorogate all'infinito se dovessero partecipare in modo determinante le Province e se esse dovessero rilasciare un atto formale di approvazione.
Più importante è la seconda osservazione: se essa è accettata potrebbe portare alla dissociazione dei due momenti della riforma, sanitario e sociale, e all'eliminazione dal piano di quasi tutta la parte che riguarda la parte sociale che è, non solo in Italia, giudicata ormai indispensabile ed indilazionabile e la cui soluzione non solo per le leggi regionali ma per lo stesso D.P.R. 616, art. 25, e la legge 833, art. 11, devono procedere in modo appaiato.
Le osservazioni del Commissario del Governo non paiono accettabili per per altri motivi e precisamente: l'unico documento che si riferisce alla legge nazionale sull'assistenza è il D.P.R. 616 che però a ben leggerlo non esclude la possibilità da parte delle Regioni di dettare norme anche coattive (art. 25, secondo comma) ai Comuni sui modi e sui luoghi in cui svolgere i servizi di assistenza e beneficenza, ma soltanto sulle modalità del trasferimento ai Comuni delle IPAB. Però anche indipendentemente dal D.P.R. 616 l'osservazione del Commissario del Governo pare rifiutabile.
Dai commenti legali alla legge 833, ai quali già prima mi sono riferito, si ricava, infatti, che il termine "associazione" usato dalla legge 833 per le USL. è improprio e non può avere altro valore che quello di consorzio perché è l'unica forma associata tra Comuni nella nostra legislazione.
Ed il consorzio è un'associazione con la quale si delega la gestione dei servizi o pubblici o di interesse di più Comuni senza che essi perdano alcuna delle funzioni delle quali sono titolari.
Sono motivi questi opinabili, però riflettono giudizi di esperti legali sugli articoli della legge 833 e quindi non paiono sufficienti per rifiutare le osservazioni del Governo contenute nel secondo documento presentato il 30/1/1982.
Il mio voto sul piano socio-sanitario, che viene oggi presentato corretto a seguito delle osservazioni fatte dal Commissario del Governo sarà favorevole.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Majorino.



MAJORINO Gaetano

Condivido quanto ha detto il Consigliere Martinetti e per non ripetere sia pure con parole diverse, i medesimi concetti che ritengo corretti e puntuali, mi limiterò a rilevare attraverso questa breve dichiarazione, che in base al principio dell'autotutela la pubblica amministrazione allorquando rileva che un proprio provvedimento è illegittimo, provvede a revocarlo oppure ad annullarlo e la regola dell'autotutela è unanimemente accettata ed è una regola di correttezza e di buona amministrazione.
Applicando il medesimo principio, la Giunta, riscontrando, sia pure attraverso quell'abnorme e il rituale comunicazione del Commissario di Governo, ma riscontrando, che durante l'iter procedimentale del disegno di legge contenente il piano sanitario, si era omesso un adempimento essenziale previsto da due disposizioni di legge, avrebbe dovuto, a mio avviso, ritirare la legge il che era in suo potere di farlo posto che, a termini di Regolamento, il Consiglio dopo il rinvio era investito dell'approvazione dell'intera legge.
A mio avviso, si corre soltanto il grosso e serio rischio, che la legge per questo vizio che si trascina dietro, venga rinviata dal Governo, il quale di fronte alla legge riapprovata, in quanto il Consiglio in base al Regolamento la riapprova nel suo testo complessivo, non incontrerà nessuna preclusione e rilevare l'illegittimità che è stata messa in evidenza.



PRESIDENTE

Sull'ordine del giorno del Gruppo D.C. chiede di parlare l'Assessore Bajardi. Ne ha facoltà.



BAJARDI Sante, Assessore alla sanità

E' già stato osservato che alcuni rilievi del Governo sono ovvi. Non vale quindi la pena di tornarci. Quello che ha una rilevanza politica, e che il collega Martinetti, ha ripreso, è quello contenuto sull'allegato 8 relativo al capitolo farmaceutico.
La linea dell'allegato di piano è la linea unitaria di tutte le Regioni per quanto riguarda la politica del farmaco.
Dato che il problema può essere posto anche in termini giuridici e non solo in termini politici, la Giunta ha accolto la proposta dell'eliminazione e del mantenimento di quella parte che è legittima (anche se in ogni legge c'è sempre un elemento che tenta di precostituire e di andare avanti), ritenendo che dal capitolo dei prontuari terapeutici zonali non si sfuggirà. Sarà un capitolo a dimensione nazionale nella quale le Regioni porteranno un certo discorso particolarmente in Consiglio Sanitario Nazionale.
Le procedure rapide sono diverse da quelle che il Ministro aveva annunciato nella riunione a cui faceva riferimento il collega Martinetti.
Il Ministro ha accettato che il Parlamento inizi la discussione sul testo approvato dalla Commissione Sanità del Senato, rinunciando alla riorganizzazione della legge e del piano, e si è riservato di presentare in Parlamento le mie osservazioni.
Ho proposto il richiamo all'art. 20 che chiarisce il ruolo delle Province, ossia la localizzazione nell'ambito delle USL. Dato che il piano regionale non specifica il Comune nel quale è localizzata la struttura particolarmente la struttura multizonale, l'espressione citata dall'art. 22 "La legge regionale individua le USL in cui sono istituite" lascia aperto il capitolo in ordine a l Comune dell'USL in cui va definito il ruolo della Provincia.
Sulle questioni inerenti le strutture socio-assistenziali la collega Cernetti intende intervenire.
Sul terzo punto relativo al Mauriziano è fuor di dubbio che il capitolo viene risolto dalle convenzioni. Il Mauriziano ha una sua autonomia nell'esercizio delle proprie attività. La Regione ha la facoltà di mantenere il convenzionamento per quelle strutture consensualmente definite.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Cernetti.



CERNETTI Elettra, Assessore all'assistenza

La proposta della D.C. è accettata in gran parte e suona in questo modo: "In attesa della definizione della legge quadro nazionale sull' assistenza, l'integrazione dei servizi socio-assistenziali e la loro gestione unificata da parte degli organi delle USL. che il piano sollecita a sensi dell'art. 25 del D.P.R. 616/1977, dell'art. 15, ultimo comma, della legge 833/1978 e dell'art. 28 della legge regionale 3/1980, dovranno essere promosse sentiti i Comuni interessati, titolari delle funzioni amministrative relative alla materia".



BAJARDI Sante, Assessore alla sanità

Dovremmo richiamare l'art. 22.



PRESIDENTE

Poiché queste modifiche sono accettate pongo in votazione l'ordine del giorno. Ve ne do lettura: "Il Consiglio regionale visto il piano socio-sanitario della Regione Piemonte per il triennio 1982/1984 approvato il 23/12/1981 e le modifiche proposte dalla Giunta regionale in accoglimento dei rilievi formulati dal Governo ai sensi dell'art. 127 della Costituzione visto l'art. 76 del Regolamento, interno approvato il 29/11/1979 precisa le seguenti direttive di applicazione del piano stesso: 1) ai sensi degli artt. 26 e 33 del D.P.R. 616/1977 e dell'art. 12 della legge 833/1978, spetta alle Province di approvare, nell'ambito del piano socio-sanitario e di quanto previsto dall'art. 22 della legge 833/1978, la localizzazione dei presidi e dei servizi sanitari ed assistenziali. La Giunta regionale, pertanto, dovrà assicurare in sede di applicazione del piano il rispetto di tale adempimento 2) in attesa della definizione della legge quadro nazionale sull'assistenza, l'integrazione dei servizi socio-assistenziali e la loro gestione unificata da parte degli organi delle USL. che il piano sollecita a sensi dell'art. 25 del D.P.R. 616/1977, dell'art. 15, ultimo comma, della legge 833/1978 e dell'art. 28 della legge regionale 3/1980, dovranno essere promosse sentiti i Comuni interessati, titolari delle funzioni amministrative relative alla materia 3) le previsioni dell'allegato 28 del piano in merito a stabilimenti ospedalieri dipendenti dall'Ordine Mauriziano, data la posizione giuridica dello stesso a norma della XIV disposizione transitoria della Costituzione devono considerarsi indicative dell'assetto che la Regione ritiene congruo alle esigenze della programmazione sanitaria regionale, ma saranno definite mediante intesa bilaterale in sede di convenzione tra la Regione e l'Ordine stesso".
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
L'ordine del giorno è approvato all'unanimità dei 52 Consiglieri presenti in aula.
Si proceda alla votazione degli articoli modificati tenendo conto delle osservazioni del Governo.
Art. 18 "Dopo il sesto comma inserire il seguente: 'La normativa di cui ai commi precedenti attiene la fase procedurale di approvazione dei programmi zonali, fermo restando quanto disposto in materia di controlli sugli atti delle Unità Sanitarie Locali di cui all'art. 49 della legge 23/12/1978, n. 833 e alla legge regionale 21/1/1980, n. 3'".
Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico l'esito della votazione: presenti e votanti 52 hanno risposto SI 48 Consiglieri si sono astenuti 4 Consiglieri



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico l'esito della votazione: presenti e votanti 52 hanno risposto SI 48 Consiglieri si sono astenuti 4 Consiglieri Il nuovo art. 25 è approvato.
Passiamo alla votazione degli allegati modificati tenendo conto delle osservazioni del Governo.
Allegato 3 (Tutela dell'ambiente) "Al paragrafo 2, ultimo capoverso, dopo la parentesi, prima della parola 'norme', inserire 'applicazione delle'".
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
L'allegato è approvato con il seguente esito: presenti e votanti 52 favorevoli 52 Consiglieri Allegato 8 (Politica del farmaco) "Il testo viene così sostituito: 'Provvedimenti in materia di farmaci.
In aggiunta a quanto previsto al punto 27 sub 1) dell'allegato 1, si formulano i seguenti ulteriori elementi di indirizzo.
In ogni presidio ospedaliero generale unico deve essere attivata la farmacia interna in modo da consentire l'approvvigionamento e la somministrazione dei farmaci.
Entro il 1982 nelle USL. non dotate di ospedale, la farmacia interna per la somministrazione di farmaci a pazienti durante la loro permanenza per cura nei presidi dell'USL sarà localizzata nel poliambulatorio di maggiori dimensioni: tale farmacia che provvederà alla fornitura di farmaci per tutti i presidi sanitari a diretta gestione dell'USL sarà posta sotto la diretta responsabilità del farmacista dipendente che nelle USL al di sotto di 50.000 abitanti e senza presidi ospedalieri potrà identificarsi con farmacista assegnato al servizio di assistenza sanitaria di base degli uffici centrali dell'USL.
Entro il 1982 deve essere reso funzionante presso le farmacie interne: dell'Ospedale Maggiore e della Città di Torino dell'Ospedale Civile di Cuneo dell'Ospedale Civile di Alessandria dell'Ospedale civile di Novara un deposito speciale di farmaci: di raro impiego di altissimo costo.
La gestione di tali depositi speciali è affidata all'USO nel cui territorio sono ubicati i predetti presidi ospedalieri.
L'elenco dei farmaci dei depositi speciali con i relativi prezzi e le procedure connesse al prelievo e ai rimborsi dovranno essere portate a conoscenza di tutti i presidi sanitari delle USL.
A cura dell'Assessorato regionale alla sanità verranno: elaborate e distribuite agli operatori sanitari schede informative farmacologiche e cliniche che illustreranno proprietà essenziali, gli usi principali dei farmaci, gli effetti secondari ed indesiderati, ecc., con possibilità di periodici aggiornamenti.
Entro il 30/6/1983 dovrà provvedersi alla gestione computerizzata delle forniture, giacenze, consumi dei farmaci utilizzati all'interno dei reparti, divisioni e sezioni di presidi sanitari a diretta gestione dell'USL. nell'ambito secondo i criteri generali e specifici del sistema informativo regionale.
Obiettivo generale che il piano triennale si propone è la diminuzione progressiva del consumo di farmaci in misura comunque non inferiore al 5 annuo'".
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
L'allegato è approvato con il seguente esito: presenti e votanti 52 favorevoli 52 Consiglieri Allegato 12 (Tutela della procreazione responsabile, della salute della donna della maternità, dell'infanzia e dell'età evolutiva) "Al paragrafo 1 - Obiettivi, sestultima riga, sostituire le parole 'mortalità scolastica' con 'le cause di interruzione del ciclo di studi obbligatorio'".
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
L'allegato è approvato con il seguente esito: presenti e votanti 52 favorevoli 52 Consiglieri Pongo in votazione l'intero testo della legge.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico l'esito della votazione: presenti e votanti 52 hanno risposto SI 30 Consiglieri hanno risposto NO 21 Consiglieri si è astenuto 1 Consigliere L'intero testo della legge è approvato.


Argomento: Personale del servizio sanitario

Esame deliberazione Giunta regionale n. 234-13423: "Copertura di posti vacanti finalizzati all'attuazione di leggi speciali"


PRESIDENTE

In merito al punto ottavo all'ordine del giorno pongo in votazione la deliberazione della Giunta regionale n. 234-13423: "Copertura di posti vacanti finalizzati all'attuazione di leggi speciali". Ve ne do lettura: "Il Consiglio regionale vista la deliberazione della Giunta regionale n. 234-13423 del 26/1/1982 sentito il parere espresso dalla V commissione consiliare permanente delibera di autorizzare la copertura, anche a titolo precario, dei posti vacanti nelle piante organiche provvisorie delle sottoindicate Unità Sanitarie Locali, finalizzati all'attuazione delle leggi di cui all'art. 1, quinto comma, del D.L. 26/11/1981 n. 678 e specificatamente: U.S.L. nn. 1-23 di Torino: n. 1 posto di Aiuto Neurologia presso l'Ospedale Martini di Torino n. 1 posto di Assistente di Neurologia presso l'Ospedale Martini di Torino.
U.S.L. n. 24 di Collegno: n. 1 posto di Medico della I qualifica professionale.
U.S.L. n. 43 di Torre Pellice: n. 1 posto di Aiuto di Psichiatria n. 1 posto di Aggiunto n. 2 posti di Applicato.
U.S.L. n. 53 di Arona: n. 1 posto di Primario dei Servizi Psichiatrici Territoriali n. 1 posto di Aiuto dei Servizi Psichiatrici Territoriali.
U.S.L. n. 56 di Domodossola: n. 1 posto di Primario di Psichiatria n. 1 posto di Aiuto di Psichiatria n. 1 posto di Assistente di Psichiatria n. 6 posti di Infermiere.
U.S.L. n. 71 di Valenza: n. 1 posto di Psicologo n. 1 posto di Assistente Amministrativo n. 1 posto di Coadiutore Amministrativo.
La presente deliberazione è dichiarata immediatamente esecutiva ai sensi dell'art. 49 della legge 10 febbraio 1953, n. 62 e sarà pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione a norma dell'art. 65 dello Statuto".
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
La deliberazione è approvata con il seguente esito: presenti e votanti 52 favorevoli 52 Consiglieri


Argomento: Questioni internazionali

Ordini del giorno sul Salvador (rinvio)


PRESIDENTE

Passiamo ora alla votazione degli ordini del giorno sul Salvador.
Chiede di parlare il Consigliere Viglione. Ne ha facoltà.



VIGLIONE Aldo

Poiché la discussione sul Salvador c'è stata, propongo di riportare l'argomento alla prossima settimana; nel frattempo i Gruppi potranno valutare i vari ordini del giorno presentati per una mediazione.



PRESIDENTE

La proposta è accolta dall'assemblea.
Comunico, infine, che il Consiglio è convocato per il 18 febbraio prossimo.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 20,20)



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