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Dettaglio seduta n.112 del 11/02/82 - Legislatura n. III - Sedute dal 9 giugno 1980 al 11 maggio 1985

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI


Argomento:

Approvazione verbali precedenti sedute


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Punto primo all'o.d.g.: "Approvazione verbali precedenti sedute". Se non vi sono osservazioni, i processi verbali delle adunanze del 27 gennaio e 4 febbraio '82 s'intendono approvati.


Argomento:

Approvazione verbali precedenti sedute

Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale


PRESIDENTE


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale

Argomento:

a) Congedi


PRESIDENTE

In merito al punto terzo all'o.d.g.: "Comunicazioni del Presidente" comunico che hanno chiesto congedo i Consiglieri: Astengo, Carazzoni Cerchio, Marchesotti, Ratti, Reburdo.


Argomento:

b) Presentazione progetti di legge


PRESIDENTE

Sono stati presentati i seguenti progetti di legge: N. 182: "Riconoscimento dell'anzianità economica e giuridica ai fini economici per il personale di cui alla legge 1/6/77 n. 285", presentato dalla Giunta regionale in data 5/2/82 N. 183: "Disposizioni per l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici di edilizia residenziale pubblica da realizzarsi da parte degli Istituti Autonomi per le case popolari e dei Comuni", presentato dalla Giunta regionale in data 5/2/82 N. 184: "Inquadramento nel ruolo regionale del personale proveniente dallo Stato, dagli enti ospedalieri e dagli enti disciolti di cui al D.P.R.
24/7/77, n. 616 e alle leggi 17/8/74, n. 386, 29/6/77, n. 349, 23/12/78, n.
833", presentato dalla Giunta regionale in data 5/2/82.


Argomento:

c) Deliberazioni adottate dalla Giunta regionale


PRESIDENTE

Le deliberazioni adottate dalla Giunta regionale nelle sedute del 26/1/82 e 4/2/82 - in attuazione dell'art. 7, primo comma, della legge regionale 6/11/78, n. 65 - sono a disposizione presso l'Ufficio Aula.
L'elenco delle medesime è allegato al processo verbale.


Argomento:

Sull'ordine dei lavori


PRESIDENTE

Nel corso della seduta dei Capigruppo si era stabilito di passare subito alla discussione sul funzionamento del Consiglio regionale. Ho per ricevuto in data odierna una richiesta da parte del Gruppo PCI che leggo: "I sottoscritti Consiglieri regionali, a norma del secondo comma dell'art.
49 del Regolamento, le chiedono di proporre al Consiglio l'inversione dell'ordine del giorno, portando al primo punto dello stesso la discussione sulla tragica situazione del Salvador".
Su tale proposta possono intervenire un Consigliere contro e uno a favore.
Chiede di intervenire il Consigliere Revelli.



REVELLI Francesco

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, ho fatto questa richiesta unitamente ai Consiglieri Alasia e Valeri non certo per venir meno alle decisioni dei Capigruppo, che tra l'altro non conoscevo, ma dopo aver preso visione dell'ordine del giorno.
Ho chiesto che il Consiglio regionale si pronunci sull'inversione dell'ordine del giorno portando al primo posto la questione del Salvador perché pare a noi che questo corrisponda alla sensibilità che il Consiglio ha dimostrato in molte altre occasioni.
Il Salvador, così lontano dagli altri, è scoperto rispetto alle grandi e vincolanti garanzie diplomatiche e sempre più fa notizia e sempre più sta diventando una tragica attualità, malgrado i tentativi di non parlarne che caratterizzano l'informazione televisiva pubblica ma che, ben al di là dei calcoli dei giornali della sinistra, occupa spazio e coscienze.
Lo ha ricordato il Presidente della Repubblica Pertini dicendo che è un dovere per chi condanna la gravissima soppressione delle libertà in Polonia denunciare gli orrori che avvengono in zone in cui gli Stati Uniti d'America non ammettono quei diritti e quei valori che tanto strenuamente vogliono difendere altrove. Lo ha ricordato la Chiesa con il discorso di Glemp, il Primate di Polonia, che ha aperto sulla vicenda della giustizia della libertà, della pace e della guerra, contenziosa anche l'America latina. Ce lo impone l'alleanza di cui facciamo parte, lealtà che non significa allineamento in una logica di blocco, di cui la cautela, il compromesso e il silenzio della diplomazia del Governo italiano non riescono a convincerci, così come non convincono le dichiarazioni del segretario della D.C. on. Piccoli.
Ce lo richiede, infine, la sensibilità democratica della nostra Regione che non accetta la tragedia del Salvador.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Viglione.



VIGLIONE Aldo

Non abbiamo difficoltà ad accettare l'inversione dell'ordine del giorno. Si devono però stabilire i tempi della discussione in modo da ricondurre tutto alla decisione dei Capigruppo.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Brizio.



BRIZIO Gian Paolo

La richiesta è piuttosto sorprendente perché contraddice l'impostazione data in sede di conferenza dei Capigruppo.
Il Presidente del Consiglio sa che in quella sede noi già avevamo espresso delle perplessità sullo svolgimento di questo argomento come primo punto dell'ordine del giorno, perché finirebbe per togliere spazio al dibattito sul funzionamento del Consiglio già rinviato quattro volte malgrado la sua straordinaria importanza.



PRESIDENTE

Il Regolamento stabilisce che sulla richiesta di inversione dell'ordine dei lavori possono parlare un Consigliere a favore e uno contro; le due discussioni sono avvenute, metto pertanto in votazione la proposta di inversione dell'ordine del giorno.



REVELLI Francesco

Ho precisato nella mia dichiarazione il motivo della mia richiesta. Non conoscevo le decisioni dei Capigruppo. Con i miei colleghi ho preso visione dell'o.d.g. e, in totale autonomia di Consigliere regionale, ho fatto la richiesta.



PICCO Giovanni

E' tutta ipocrisia. E' stato concordato dopo la riunione dei Capigruppo.



REVELLI Francesco

Chiedo che il Vicepresidente, Picco, risponda di questa sua affermazione di fronte al Consiglio. E' una scorrettezza grave. Faccio una questione per fatto personale perché qui si vuole imporre una logica che vieta ad un Consigliere di contraddire il proprio Capogruppo non conoscendone le decisioni. Queste supposizioni sono false e tendenziose.



(Voci in aula)



PRESIDENTE

Pongo in votazione la richiesta d'inversione degli argomenti all'ordine del giorno.
Chi approva è pregato di alzare la mano.
La proposta è approvata con il seguente esito: presenti e votanti 42 Consiglieri favorevoli 23 Consiglieri contrari 18 Consiglieri non ha partecipato alla votazione 1 Consigliere La parola al Consigliere Paganelli.



PAGANELLI Ettore

Certamente, l'argomento è di grossa rilevanza e noi non faremmo quello che faremo se si trattasse di un altro argomento, cioè abbandoneremo l'aula.
Prego di prendere atto che da questo momento il Gruppo della D.C. non parteciperà più alle conferenze dei Capigruppo essendo le stesse praticamente inutili.
L'atteggiamento del Gruppo della D.C. sarà ogni volta determinato in aula.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Viglione.



VIGLIONE Aldo

La decisione della D.C. è grave perché interrompe un rapporto di grande conforto che, proprio questa mattina, avremmo ribadito nel nostro intervento sul funzionamento del Consiglio.
Vorrei ricondurre quella decisione ad una rimeditazione. Non credo che un Gruppo politico possa collocarsi definitivamente in una sorta di opposizione statutaria.
Questo problema è stato discusso ieri alla Camera. Vi sono state posizioni articolate senza per questo arrivare a scontri o a conseguenze di Governo. Pensate se il nostro Capogruppo Labriola avesse dichiarato di non partecipare più ai lavori dei Capigruppo alla Camera per il semplice fatto che eravamo divisi nelle posizioni! Non possiamo pensare che un Gruppo come quello della D.C. possa stare fuori dalle decisioni che debbono essere assunte.
In aula le posizioni non possono essere assunte perché il Regolamento stabilisce che l'organizzazione dei lavori avviene nella sede dei Capigruppo. Non lasciamoci attrarre da queste vicende perché ne soffrirebbe tutta la D.C., in questo momento soprattutto in cui la situazione del paese è già tanto grave e il Governo sta cercando di superare dure prove.
Il Gruppo socialista collabora con la D.C. in sede nazionale e in molti Enti locali, ha una lunga tradizione di governo che va sotto il nome di centro sinistra e non può pensare che questa dichiarazione non possa essere rimeditata.
Chiedo al Presidente del Consiglio di riunire i Capigruppo per decidere l'atteggiamento che deve essere tenuto e chiedo alla D.C. di partecipare alla riunione.



PRESIDENTE

La parola al Vicepresidente della Giunta.



SANLORENZO Dino, Vicepresidente della Giunta regionale

Chiedo al Presidente del Consiglio che cos'è in discussione in questo momento. Sono le dichiarazioni del Capogruppo della D.C. o il dibattito sulla situazione nel Salvador? Il metodo per violare qualunque decisione del Consiglio o dei Capigruppo, consiste nel fare una dichiarazione, un simpatico dibattito di due ore sulla dichiarazione di un Consigliere, il che stravolge le decisioni dei Capigruppo.



(Voci in aula)



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bontempi.



BONTEMPI Rinaldo

Ritengo di dover dichiarare l'inaccettabilità di una simile posizione che è contro il Regolamento vigente, che prevede la sovranità del Consiglio.
Le dichiarazioni del Consigliere Revelli sono state chiare. Noi richiamiamo la sensibilità generale su un problema di grande gravità. Già in casi precedenti abbiamo posto temi di questo tipo alla trattazione di altri argomenti.
Il nostro Gruppo ha chiesto per tre volte nella conferenza dei Capigruppo, che questo punto venisse anticipato.
Si è concordato l'ordine del giorno per volontà delle altre forze politiche. Nei Consiglieri del mio Gruppo è fortemente presente questa sensibilità e questa preoccupazione e la richiesta di inversione è nient'altro che la concretizzazione di una facoltà che è stabilita da una norma del Regolamento e non penso possa abilitare nessuno a ritenerla una offesa politica, anzi, è offesa politica non considerare quello che stabilisce il Regolamento e le implicazioni che esso pone.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bastianini.



BASTIANINI Attilio

Chiedo scusa al Presidente se uscirò dai tempi concessi per una breve dichiarazione.
Mi associo alla richiesta del Consigliere Viglione di sdrammatizzare questo momento teso del Consiglio. Non posso però sottovalutare la gravità di quanto è successo questa mattina in aula.
Nel corso della riunione dei Capigruppo, non in un momento di distrazione, ma dopo un'ora e più di discussione, si era giunti ad una soluzione di compromesso tra le posizioni prospettate dal Gruppo comunista e quelle prospettate dalla Giunta, la quale aveva chiesto l'inserimento al settimo punto dell'o.d.g. l'argomento sul Salvador. Noi stessi ci siamo fatti portavoce di una richiesta che garantisse a questa importante discussione, a cui non intendiamo sottrarci, una posizione più consona alla tematica trattata. Vi era stata questa mediazione all'interno dei Capigruppo a cui hanno aderito tutte le forze politiche. Non mi stupisco che il Consigliere Revelli proponga una modifica dell'o.d.g., mi stupisco che il Gruppo comunista e i Capigruppo abbiano aderito a questa proposta smentendo una posizione assunta dopo un'ora e più di trattative e di mediazioni all'interno della conferenza. Questo lamentiamo.
Procediamo pure con l'ordine del giorno, ma non sottovalutiamo il fatto che, se invale questo comportamento per cui ad una posizione del Capogruppo, in base ad una diversa posizione di un Consigliere, il Capogruppo modifica la sua posizione e i lavori vengono stravolti.
Mi associo con forza alla richiesta di Viglione di convocazione immediata dei Capigruppo.



PAGANELLI Ettore

Il richiamo al Regolamento, che lei signor Presidente ha fatto, mi pare che non sia stato rispettato. L'inversione dell'o.d.g., ai sensi dell'art.
49 richiede la maggioranza assoluta degli assegnati a questo Consiglio quindi ci volevano 31 voti.



PRESIDENTE

E' vero. Convoco i Capigruppo per pochi minuti.



(La seduta, sospesa alle ore 10,10 riprende alle ore 10,30)


Argomento: Questioni internazionali

Dibattito sulla situazione nel Salvador


PRESIDENTE

La seduta riprende.
Nella riunione dei Capigruppo si è deciso di iniziare il dibattito sulla situazione del Salvador.
Ha la parola il Consigliere Marchiaro.



MARCHIARO Maria Laura

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, già qualche giorno fa, abbiamo presentato un ordine del giorno sulla questione del Salvador perché ci fosse in Consiglio un pronunciamento.
Oggi chiediamo che il dibattito si svolga in questi termini, proprio perché gli ultimi avvenimenti dimostrano che la situazione è di estrema gravità, anzi, si carica anche di pericoli di un'estensione possibile del conflitto. A fronte di questa realtà, ci sembra estremamente debole e compromissoria la posizione del Governo italiano così come è emersa dal dibattito in Parlamento ieri.
Vogliamo esprimere, oltre che questa preoccupazione profondissima per la tragedia del Salvador, e per i rischi oggettivi che tutto il mondo corre in questa vicenda, l'angoscia per questa enorme tragedia, vogliamo esprimere il senso di solidarietà del nostro partito, delle forze democratiche italiane, del Consiglio regionale verso un popolo che sta subendo da mesi e da anni atroci massacri e che in questi ultimi mesi ha subito assalti e aggressioni che non hanno precedenti.
Nessuno può pensare che noi leviamo la voce in difesa del popolo del Salvador per una qualche ritorsione perché vogliamo distogliere l'attenzione della scena polacca, perché vogliamo attenuare le responsabilità di chi ha voluto il colpo militare in Polonia, compresa l'Unione Sovietica.
Noi siamo stati di una chiarezza assoluta, che tutte le forze politiche italiane e non solo italiane ci hanno riconosciuto, siamo stati di una chiarezza assoluta nella condanna, nella dissociazione, in un'analisi, che ci è costata dolore, che ci costa angoscia, degli errori che si stanno commettendo all'est.
Del resto noi abbiamo già detto altre volte che non vi sono pesi e misure diverse di fronte alle tragedie dei popoli, di qualsiasi popolo si tratti, qualsiasi tipo di repressione e aggressione subiscano.
Non vi sono aree e cause che appartengono alla sinistra, aree e cause che appartengono al centro, alle forze moderate; non vi sono popoli che contano di più e popoli che contano di meno, non vi sono periferie del mondo che possono essere abbandonate in balia dell'imperialismo da qualsiasi parte stiano.
Certo, questa posizione di assoluta chiarezza non è così per tutti e lo dimostra anche la difficoltà, l'incidente di questa mattina in Consiglio.
Lo dimostrano fatti più generali, lo dimostra la presa di posizione della D.C. in Parlamento europeo, che ancora recentemente ha dichiarato appoggio alla Giunta del Salvador, e complessivamente l'atteggiamento della D.C.
internazionale presieduta dall'on. Rumor che ha finora sistematicamente coperto le infamie della Giunta. E così non è - lo diceva già nella sua motivazione il Consigliere Revelli - per il segretario della D.C., l'on.
Piccoli, che dichiara che Duarte è un democristiano serio e che bisogna ancora vedere se in Salvador ci sono quelle stragi di cui si parla e in tal modo ignora in un modo che noi riteniamo sorprendente, che a denunciare i massacri, i delitti che accadono in Salvador è innanzitutto la chiesa salvadoregna, in particolare la Charitas canadese, presente oggi in quel paese, Pax Christi, che lo fa da anni, quindi forze cattoliche a cui spero che la D.C. possa riconoscersi. Al di là delle notizie che vengono dai giornali stranieri (purtroppo devo dire che la stampa americana è ben più sensibile a questo problema di gran parte della stampa italiana, lo dicono le immagini dei servizi che sono stati fatti in questi giorni da fotografi e giornalisti di tutti i Paesi).
Al di là di questo, riteniamo di una gravità inaudita la posizione che ha assunto ieri per il Governo il Ministro Colombo in Parlamento.
E' una gravissima copertura e giustificazione a Duarte. Si parla soltanto di una generica condanna dei diritti umani, non si nomina neppure l'amministrazione Reagan e, per l'atteggiamento degli Stati Uniti, si fa semplicemente riferimento al contesto latino-americano, in tal modo giustificando una logica di aggressione.
Ora, dalle posizioni del Ministro Colombo in Parlamento si sono dissociati i socialisti, i socialdemocratici - l'ho notato dalle dichiarazioni della stampa - con grande difficoltà e imbarazzo anche alcuni democristiani dell'area di Zaccagnini.
Dunque, il Governo italiano ha di nuovo dimostrato incapacità ad essere autonomo dal Governo degli Stati Uniti e ciò è profondamente lesivo della dignità del nostro Paese. Siamo l'ultimo paese europeo che mantiene in Salvador il suo ambasciatore. Il Governo francese e quello di Bonn hanno invece apertamente preso posizione a favore della lotta del popolo salvadoregno.
Concordo con quanto ha detto il Presidente Pertini nel messaggio di Capodanno, che pure veniva ricordato da Revelli: "non ha diritto a pronunciare condanne nei confronti della Polonia e dell'Unione Sovietica chi non sa condannare con altrettanta forza i massacri che si vanno consumando in Salvador".
Chiediamo ai colleghi di riflettere su queste cose. Non abbiamo mai evitato di condannare quello che non funziona all'est, allo stesso modo condanniamo chi non osa dissociarsi dalle infamie della Giunta Duarte e dalle indegne complicità degli Stati Uniti.
Che cosa sta accadendo oggi in Salvador? Che cosa accade da anni in quel povero paese del centro America? Si parla di 35.000 morti (pari allo 0,3% della popolazione totale) vittime della repressione della Giunta democristiana e militare. 35.000 morti in due anni, 70 al giorno.
La stessa chiesa salvadoregna fa dichiarazioni di genocidio. Sono massacri di popolazioni inermi, di civili, sono massacri di rappresaglia interi villaggi devastati, migliaia di persone uccise, accatastate nelle strade. Vi sono fotografie che rappresentano donne sventrate, bambini decapitati e tutto questo per cancellare la resistenza di un popolo che continua a lottare per la sua liberazione. Il fronte democratico rivoluzionario è una grande realtà unitaria in quel Paese che ha profonde radici nel popolo, e una realtà che è riuscita a costruire delle alleanze politiche vastissime, che rappresenta l'intero Paese. Questo del resto è emerso anche nel Convegno che noi abbiamo fatto l'anno scorso e c'è una dichiarazione di ieri, di una fonte insospettabile che è la Stampa in cui si riporta una intervista a Caietano Carpio, leader del fronte democratico di liberazione, in cui dice: "il programma dei guerriglieri in Salvador è un ampio programma aperto ai contributi di tutti, dai contadini ai commercianti, un programma antifascista e democratico che affonda le sue radici in vicende ben anteriori al castrismo (questo per rispondere alle strumentali accuse di Haig). E' una lotta di popolo che dura da 50 anni".
Di fronte a questa situazione c'è una Giunta che vuole a tutti i costi reggersi sul terrore, c'é un'amministrazione democratica come gli Stati Uniti che manda aiuti militari, consiglieri per addestrare appositi reparti proprio al massacro t alla distruzione della popolazione civile.
Ci sono documentazioni. I reparti dell'esercito regolare che hanno perpetrato i massacri più terribili sono stati addestrati dai "berretti verdi" americani. Ma c'è di più. C'é oggi un oggettivo pericolo di intervento diretto. Certo, il congresso è contrario, nella stessa amministrazione Reagan ci sono posizioni contrarie, l'opinione pubblica americana è violentemente contraria a questo pericolo di un eventuale nuovo Vietnam Ma ci sono anche dichiarazioni di Haig e di Reagan, c'è uno stanziamento di 55 milioni di dollari per contributi in armamenti e munizioni al Salvador. C'é appunto questa visione di un'area del mondo, che gli Stati Uniti non possono in alcun modo lasciarsi sfuggire dalle mani.
Ciò significa che questo intervento può allargare la piaga della guerra, come già qualche segnale dà, al Guatemala, all'Onduras, al Nicaragua. C'è una aperta dichiarazione di ritorsioni su Cuba.
La domanda che noi poniamo è questa: di fronte alla vastità di questo dramma e ai pericoli che vi sono quale ruolo devono assumere, non solo le forze di sinistra, ma le forze democratiche in Europa, per dare una giusta soluzione politica a questo conflitto? Quale posizione dovrà assumere il Governo italiano? Non si può aspettare ancora. Non accettiamo di aspettare una farsa elettorale come quella di fine marzo annunciata da Duarte che sarà un tentativo antidemocratico di legittimare una Giunta sanguinaria, proprio perché si svolgerà in un clima spaventoso di terrore e di morte.
Noi chiediamo, proprio perché nel nostro Paese il movimento di solidarietà è grande e vasto, c'é una grande forza come la nostra che si batte per la libertà del Salvador e dei paesi dell'America latina, che il nostro Governo svolga una ruolo attivo per arrivare a un negoziato.
il nostro Paese ha una parte non secondaria e può avere un'incidenza notevole, proprio perché è necessario oggi prima di tutto, che cada la protezione della democrazia internazionale sulla Giunta Duarte.
Chiediamo che da questo Consiglio esca oggi una posizione chiara di condanna degli Stati Uniti, che si ponga fine ai massacri, che vengano ripristinati i diritti umani e civili, che si arrivi a un negoziato, che possa portare a una soluzione politica che liberi il Salvador da una dittatura sanguinaria.
Riteniamo che il nostro Paese e l' Europa possano avere un ruolo attivo, lo esprimiamo nel nostro ordine del giorno, chiediamo ai colleghi del Consiglio e ai Gruppi politici che aderiscano unanimemente al nostro ordine del giorno.



PRESIDENTE

Ha la parola il Consigliere Viglione.



VIGLIONE Aldo

Il problema del Salvador - e prego gli amici della D.C. di volerci credere - si è aggravato nelle ultime ore anche per una posizione più aggressiva che gli Stati Uniti d'America hanno tenuto nei confronti di quel paese.
Sembrava che l'amministrazione Carter volesse condurre il paese a elezioni democratiche. E' succeduta l'amministrazione Reagan che ha posto il problema in termini più aggressivi; un appoggio incondizionato all'attuale Giunta, la fornitura di armi sofisticate e di specialisti già sperimentati in altri momenti contro le guerriglie e contro le opposizioni a un governo costituito, quindi non vi è dubbio che la situazione già grave possa diventare gravissima con lo stato di guerra e un generale massacro.
Una Giunta che si esprime con le armi, con la prigione, con il soffocamento di ogni libera voce non può essere definita democratica.
Il Gruppo socialista ha aderito a questo dibattito senza riserve, senza infingimenti, senza allontanamenti nel tempo per poter diminuire il dibattito riconoscendo la gravità della situazione del Salvador.
L'immediatezza del nostro intervento da sola non può modificare lo stato delle cose ma, se rapportiamo tutti i movimenti del mondo che hanno concorso alla soluzione del problema del Vietnam, che hanno dato vita ad una opinione pubblica mondiale che ha obbligato gli USA a ritirarsi dallo scacchiere asiatico, riteniamo che la nostra voce, partendo dal Piemonte insieme con molte altre voci democratiche delle istituzioni, delle associazioni, delle forze sociali, sindacali e politiche di tutto il mondo possa essere risolutiva.
Questo vale per quel Paese, ma vale anche per il governo di Reagan che ha appoggiato senza riserve quel governo vale anche per chi ha mandato aiuti militari, per chi non aiuta lo sforzo di quanti in quel paese combattono per la libertà e per la democrazia.
Noi apparteniamo a una di quelle forze che vengono massacrate in Salvador.
Ieri alla Camera vi è stata una valutazione diversa da parte del Ministro degli Esteri, on. Colombo. Il nostro Capogruppo e il nostro partito si sono dissociati da quelle dichiarazioni esprimendo che il giudizio che diamo al governo di quel Paese, per i metodi che pratica, è un giudizio negativo a una dittatura che vuole mascherarsi dietro un governo che finge di essere democratico, che ha anche indetto le elezioni per la fine di marzo che non avranno alcuna caratteristica di libertà perch avverranno in un momento di guerra e di massacro.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Devecchi.



DEVECCHI Armando

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, del travagliato mondo latino americano il Salvador costituisce attualmente il punto più caldo. Forse è il caso più emblematico per evidenziare tragiche situazioni nazionali. Esse sono scaturite da decenni di ingiustizie così radicate da far seriamente temere, a volte, che non possano essere eliminate se non a prezzi inimmaginabili.
La stessa opinione pubblica internazionale, non sempre eccessivamente sensibile ai problemi che investono le piccole repubbliche del centro America, pare incredula di fronte alle notizie che sempre più puntuali anche se indirette, denunciano un crescendo di violenza, di soprusi, di cieco fanatismo. Esse recano invariabilmente con sé l'immancabile conclusione di spettacoli terrificanti di morte e di inumanità.
Le immagini di cadaveri abbandonati sui marciapiedi, vittime di un odio, come ha ricordato domenica Mons. Glemp, che uccide direttamente per le strade, ma che uccide anche un Vescovo all'altare, ci toccano tutti da vicino, non possono lasciarci indifferenti e silenziosi.
Vi sono momenti, vi sono fatti di fronte ai quali il silenzio e l'inerzia diventano colpa.
Per questo abbiamo presentato un ordine del giorno, contribuendo a questo dibattito.
Non c'é stato mai un solo momento in cui la D.C. abbia pensato di poter diluire nel tempo il dibattito al fine di poterlo rimandare sine die.
Vorremmo però che questo dibattito fosse il più possibile obiettivo: vorremmo cioè, non lasciarci guidare da emozioni e stati d'animo, i quali per quanto comprensibili, facilmente, sotto l'incalzare degli avvenimenti e delle notizie non sempre disinteressate e sicure, potrebbero farci indulgere a considerazioni o a conclusioni affrettate.
Sappiamo tutti che in Salvador il Governo è rimasto sostanzialmente in mano ai militari dal 1932.
La compagine governativa attuale era nata da un colpo di Stato compiuto nel 1979 da giovani ufficiali progressisti. Il "golpe" aveva avuto in allora l'adesione di molti dei partiti dell'opposizione, entrati poi anche a far parte della Giunta di Governo. Quest'ultima si era infatti impegnata a realizzare una serie di riforme sociali e a ristabilire la democrazia.
Ma, forse delusi per il ritardo e gli ostacoli frapposti dalla mancata realizzazione delle riforme promesse, i rappresentanti di alcuni partiti hanno successivamente abbandonato il governo a cui è rimasto solo l'appoggio di parte della D.C. e in particolare di Napoleon Duarte, che accettava di presiedere la Giunta di Governo. Fu veramente solo la delusione per le mancate riforme, il motivo principale del passaggio all'opposizione di alcune forze politiche? Forse quello delle mancate riforme, non fu il motivo essenziale, comunque secondo noi, non sufficiente per giustificare il passaggio alla lotta armata e alla guerriglia.
Probabilmente matrici ideologiche non sono state estranee alle scelte operate, che portarono a costituire i primi nuclei della guerriglia. Il fronte sandinista era troppo vicino per non influenzare i salvadoregni di una certa parte politica. Né va dimenticato oggi (senza con questo voler pronunciare giudizi di assoluzione dai quali siamo ben lontani) che Duarte è stato per molti anni un duro e coerente avversario di tutte le dittature del Salvador, che la sua azione si è proposta anche un largo programma di riforme.
Egli, che era stato costretto all'esilio sotto i regimi militari precedenti, era stato nelle elezioni del 1972, il candidato alla presidenza per tutta l'opposizione, con l'appoggio anche delle sinistre, tanto che la destra lo aveva allora classificato come un "burattino dei comunisti".
La sua presenza nella Giunta ha assicurato a quest'ultima una certa rispettabilità e anche l'appoggio di alcuni governi esteri. Del resto il programma che si era impegnato a realizzare era un programma di chiara impostazione riformista.
Il Governo salvadoregno oggi, tra l'altro, accusa gli oppositori di averlo abbandonato troppo in fretta, dimostrando una scarsa fiducia nel cammino politico del popolo, per il quale le riforme necessarie avrebbero avuto bisogno di un più lungo cammino. Esso ritiene che in presenza della guerra civile non sia possibile procedere a nessuna reale riforma: " necessario prima garantire un minimo di ordine pubblico sconfiggendo la guerriglia. Sostiene poi che i guerriglieri ricevono armi e aiuti" da Cuba e dai paesi socialisti, o direttamente o attraverso il governo di Nicaragua, e mirano a costituire nel Paese un governo nel quale l'ideologia marxista sarebbe egemone.
Nelle sue dichiarazioni ufficiali però il governo di Duarte ha preso e prende la distanza anche dall'estrema destra, dalla cosiddetta oligarchia identificata una volta con le famose "quattordici famiglie", divenute negli ultimi anni certo più numerose, che si oppongono però ferocemente a ogni riforma sociale ed economica, usando anche l'illegalità e la violenza per impedirle.
La Giunta di Governo avrebbe cercato quindi, di presentarsi come promotrice di una serie di riforme da realizzare sia contro l'estrema destra sia contro l'estrema sinistra, che sarebbero state entrambe interessate ad impedirle.
Tra le forze dell'opposizione occorre distinguere poi il fronte politico da quello militare. Il fronte politico che sol o dopo molti anni di contrasti interni ha trovato un denominatore comune nel Frente Democràtico Revolucionario (FDR), comprende i rappresentanti di tutti i partiti che si oppongono politicamente al governo, inclusi i socialdemocratici e quei membri della D.C. che non condividono la linea di Duarte. L'opposizione politica copre perciò un arco molto più ampio, di quello che ha dato vita alle formazioni guerrigliere, che conducono la lotta armata.
Queste ultime, esse pure a lungo divise e rivali tra loro, solo nell'aprile 1980, sono riuscite a darsi un comando unico costituendo il Frente Farabundo Martì de Liberanciò Nacional. Nel gennaio '81, i due organismi hanno costituito una commissione politico-diplomatica di sette membri destinata a diventare il primo nucleo di un governo rivoluzionario.
Se questo a grosse linee è la situazione del Salvador, non vi è chi non veda come tale situazione sembri essere assai diversa da quella del Nicaragua al momento della rivoluzione sandinista. Non solo è cambiata la congiuntura internazionale, ma nel Salvador, non esiste un' unica famiglia che governi dispoticamente il Paese asservendolo ad interessi stranieri bensì una oligarchia che noi condanniamo e che, per quanto elitaria, si presenta pur sempre come nazionale. Soprattutto esiste una classe media che preferirebbe una soluzione negoziata a quella rivoluzionaria, e la stessa opposizione, a motivo delle sue passate divisioni interne, è stata fino a poco tempo fa incapace di formulare un progetto nazionale nel quale l'intero popolo si riconoscesse. Anzi, l'opposizione non sembrerebbe essere ancora riuscita a coalizzare interamente tutte le componenti del popolo salvadoregno intorno al proprio progetto politico. Nè va dimenticato inoltre, che, in conseguenza delle azioni della guerriglia, è stata ed è tuttora la popolazione civile a subire la repressione più dura e spietata nei casi in cui i guerriglieri si ritirano per ragioni tattiche dai villaggi "liberati". Già mons. Romero, (il vescovo trucidato all'altare) aveva rimproverato ai guerriglieri il fatto di esporre la popolazione inerme alle rappresaglie delle forze governative di repressione così come aveva invitato i soldati dell'esercito a rifiutarsi categoricamente di sparare contro i loro fratelli.
Le forze di opposizione, a cui peraltro fanno eco non pochi organismi attendibili, anche a livello internazionale, sostengono che la Giunta non ha tenuto fede agli impegni assunti, ed in particolare non ha realizzato nessuna delle riforme promesse, impegni e riforme che si riassumevano nei quattro punti seguenti: rispetto dei diritti umani, ed in particolare amnistia per i prigionieri politici; epurazione dei corpi di sicurezza e delle forze armate per eliminare almeno gli elementi più indegni e corrotti riapertura del dialogo con le forze di opposizione attuazione di un programma di riforme che si identificava soprattutto in quella agraria e nella nazionalizzazione delle banche.
Che cosa è avvenuto realmente? Sulla continua ed estesa violazione dei diritti umani, non esiste disaccordo tra gli osservatori. Si discute invece sul numero delle vittime imputabili a ciascuna delle due parti in lotta. Le fonti più attendibili tra cui la Charitas internazionale, non esitano comunque ad attribuire almeno l'85 % delle vittime all'azione delle forze armate, dei corpi di sicurezza e delle formazioni paramilitari di destra, quali la famigerata "Orden" sciolta di nome, ma purtroppo e tristemente operante nei fatti.
In secondo luogo all'interno delle forze mentre gli elementi più moderati, primo fra tutti il col. Adolfo Majano, uno dei protagonisti del colpo di Stato del '79, sono stati allontanati o imprigionati, altri sono stati costretti ad autoesiliarsi.
In terzo luogo gli oppositori quasi mai, sono stati riconosciuti come interlocutori ufficiali, ma spesso sono stati oggetto di persecuzioni.
Il decreto sul salario minimo non è stato applicato, meglio, ha incontrato una feroce opposizione nell'oligarchia economica dominante. La legge di riforma agraria ha toccato solo in minima parte le terre in possesso dei latifondisti e talvolta si è impedito con la forza che i contadini si insediassero nelle terre loro assegnate. Molti contadini sono stati massacrati in queste azioni, senza che le autorità o l'esercito intervenissero a difenderli.
Pertanto l'immagine ufficiale della Giunta come premuta tra due estreme forze politiche, la destra e la sinistra ne verrebbe smentita, quali che possono essere le sue intenzioni, dichiarate o reali. Essa sarebbe parsa infatti molto più impegnata ad impedire il consolidamento di ogni organizzazione popolare e ogni rivendicazione dei ceti più poveri, che non a limitare gli eccessi della destra o dell'oligarchia.
La copertura data da una parte della D.C. alla Giunta di Governo si presta perciò ad equivoci. Già mons. Romero in una sua omelia, rivolgendosi agli uomini della D.C. impegnati nel Governo, diceva: "Vi chiedo di analizzare non solo le vostre intenzioni, che senz'altro possono essere molto buone, ma anche gli effetti reali della vostra presenza. La vostra presenza sta dando copertura soprattutto a livello nazionale al carattere repressivo dell'attuale regime. E' urgente che come forza politica del nostro popolo, consideriate quale sia il modo più efficace di utilizzare questa forza a favore dei nostri poveri: se isolati e impotenti in un governo egemonizzato da militari repressivi, o come un'altra forza ch aderisca a un ampio progetto di governo popolare, la cui base non solo le forze armate, sempre più corrotte, ma il concetto della maggioranza del nostro popolo".
Ma il fallimento dell'azione della Giunta è ribadito anche da altre organizzazioni internazionali come la Conferenza Episcopale Canadese secondo la quale l'insuccesso della Giunta Duarte è da addebitarsi anche: alla impossibilita di effettuare un reale cambiamento sociale senza la partecipazione delle organizzazioni popolari alla corruzione delle forze armate alle collusioni tra sfere governative, forze armate, organizzazioni di estrema destra scarsa capacità della Giunta di fare una efficace sintesi politica capace di dare al popolo quelle riforme che erano state promesse.
Sempre secondo la Conferenza Episcopale Canadese, la repressione ha toccato tutti i settori della vita salvadoregna: contadini in maggioranza ma anche studenti, impiegati, professionisti, piccoli commercianti religiosi (28 preti, pare siano stati uccisi nel 1980). Sembra che anche 600 democristiani siano caduti sotto il piombo di alcune forze di repressione o della guerriglia.
Inoltre è indubbio che il 25 % dei religiosi residenti sono stati arrestati o torturati.
Questa situazione di fatto lascia pensare che la Giunta al potere tenti di eliminare l'opposizione allo scopo di permettere agli alti gradi militari corrotti di controllare il paese e di privilegiare un'infima minoranza di grandi proprietari.
Questo quadro che fa da sfondo e purtroppo da tragico contorno ai 30 (o cinquantamila) morti che in meno di tre anni si sono accatastati sulle contrade del Salvador, è un quadro veramente desolante. Di fronte all'entità del massacro, che è innegabile, qualunque tentativo di difesa sarebbe colpevole. Giustificazioni per noi, non ve ne sono, né ve ne possono essere. L'uso indiscriminato delle armi a fini politici, deve trovare e trova la nostra più ferma condanna.
Gli aiuti militari esterni, da qualunque parte provengano, debbono essere fatti cessare. "La Comunità internazionale (ha detto il sen.
Granelli e noi siamo d'accordo con lui) trovi le forme, i mezzi, le iniziative, perché finisca al più presto lo scontro militare e con esso l'intollerabile massacro".
A questo punto si pensa, da parte della Giunta che le elezioni del 28 marzo prossimo possano dare credibilità e legalità ad un nuovo governo. Noi crediamo nelle elezioni in generale. Avremmo infatti voluto che anche nel Nicaragua si fossero tenute.
Noi non ci nascondiamo che le elezioni così come sono state programmate possono offrire una scarsa affidabilità, né d'altra parte si può sostenere che la guerriglia possa condurre a quella riconciliazione nazionale di cui il Salvador, come ogni altro paese, ha bisogno, quando voglia progredire e crescere civilmente.
Non sappiamo quanto fossero sicure ed attendibili le iniziali buone intenzioni di Duarte (di buone intenzioni è lastricata anche la strada dell'inferno). Certo sì, è che a n che se ha avuto - come pare l'intenzione ed il disegno di democratizzare l'esercito, come altri politici in anni passati, oggi dobbiamo constatare che il suo disegno è in gran parte fallito. Il cammino purtroppo si è svolto nella direzione opposta: dal distacco dagli altri partiti, alle dimissioni dei ministri della D.C., con conseguente scissione all'interno del partito dall'assassinio di mons. Romero all'estromissione di elementi moderati dall'esercito.
Oggi, secondo noi, così come è stato rilevato il 1" gennaio 1980, da certe organizzazioni ecclesiali che agiscono in Salvador, la situazione è veramente tragica. Nel loro documento, oltre a denunciare i mali del paese in maniera dura e feroce, si nega legittimità al governo, accusato di essere dalla parte degli oppressori del popolo e si giunge a dare, in base alla gravità delle circostanze, una giustificazione alla lotta armata.
Il tono duro e profetico del documento è espresso da queste organizzazioni cattoliche, dalla misura della tragedia che il popolo salvadoregno vive e nella quale anche la Chiesa è implicata in prima persona.
Non sembra strano se qui noi, vogliamo richiamare una frase che Helder Camara, noto Vescovo del Brasile, ha pronunciato in un suo recente discorso tenuto a Milano: "La Chiesa rischia continuamente di dividersi: in una Chiesa verticalista interamente occupata con Dio, con la vita eterna, con l'orazione, con la catechesi e, una orizzontalista che, sotto il pretesto di amare il prossimo, affoga nei problemi economici, sociali che non le spettano, che si mette in politica senza esserne capace, che finisce per essere strumentalizzata da pericolosi agitatori (com'è purtroppo spesso avvenuto). La croce di Cristo è l'unione delle due braccia, la verticale e l'orizzontale, allo stesso modo nel quale Cristo ha uniti i due comandamenti: l'amore a Dio e l'amore al prossimo, che insieme costituiscono la legge...".
Infatti, nelle condizioni in cui è costretta ad operare in America Latina ed in Salvador in modo particolare la Chiesa, fare un discernimento che sia politicamente costruttivo, è un compito arduo. Soltanto coloro che vivono direttamente impegnati sul posto possono decidere il cammino migliore per il proprio popolo senza indulgere né alla mistica della violenza, né a una rassegnazione inerte.
Oggi, secondo noi, è indispensabile manifestare con chiarezza, prima di tutto agli Stati Uniti, ma anche a Cuba e alle repubbliche fornitrici di armi, la contrarietà assoluta di tutti i paesi civili ad interventi militari diretti o indiretti. Oggi più di'ieri, siamo convinti che occorre dare tutto il nostro sostegno possibile, cominciando da una iniziativa congiunta dell'Europa, a soluzioni politiche - diplomatiche. Esse, se operate con pazienza, con serietà e con impegno sono le uniche che possono portare a una vera distensione tra gli animi.
Sappiamo che il successore di mons. Romero, mons. Rivera Damas, pur apprezzando molte ragioni dell'opposizione e pur denunciando le responsabilità della Giunta di Governo e dissociandosi talvolta anche dalla presa di posizione della sua Conferenza Episcopale, sembra ultimamente aver preso le distanze anche dalle forze rivoluzionarie, manifestando chiaramente i propri dubbi sul tipo di governo che una rivoluzione vittoriosa potrebbe instaurare e soprattutto sottolineando come a suo parere, manchi una delle condizioni per ritenere il popolo legittimato ad una insurrezione perché mancherebbe la probabilità concreta di un successo e si corre il rischio di determinare un inutile spargimento di sangue.
Egli lo scorso anno, si è impegnato con una intensa opera di mediazione, per la soluzione politica e negoziata del conflitto. Per questo, alla ricerca di appoggi che potessero rendere concreta questa ipotesi di mediazione, ha intrapreso un viaggio in Europa, in Germania federale, in Vaticano e negli Stati Uniti, nel corso del quale ha rilasciato molte interviste di cui la Stampa si è fatta anche portavoce.
I risultati oggi sappiamo purtroppo, non sono stati sufficienti. Certo non coronati da successo, ma la via da seguire per noi è quella, anche se appare evidente che il mutato quadro internazionale sembra aver allontanato per il Salvador una soluzione equa che consenta al popolo di scegliere realmente il regime che esso giudica più adatto, tenendo conto delle proprie aspirazioni e dell'urgente necessità di "superare la situazione di ingiustizia che ne caratterizza le strutture socio-economiche.
La stessa amministrazione Reagan pare infatti considerare i problemi del Terzo Mondo in termini semplicistici di confronto est-ovest, per cui Cuba, Nicaragua e i movimenti popolari dell'America Latina non hanno, in questa visione del mondo, nessuna esistenza autonoma, ma costituiscono altrettante escrescenze dell'espansione comunista.
In tale ottica il Salvador appare oggi come una delle principali vittime dell'aggravamento complessivo della situazione internazionale.
Per capire la sua tragedia, bisogna come si è detto, guardare al Nicaragua, all'America Centrale, all'America Latina in generale. Ma non si può ignorare il legame con il peggioramento complessivo del quadro mondiale.
In altre parole, il Salvador paga anche avvenimenti lontanissimi geograficamente, come per esempio l'invasione sovietica dell'Afghanistan.
E' stato detto a ragione, che nelle guerre civili, e particolarmente in quelle dell'America Latina, la matassa delle ragioni e dei torti è sempre difficile da districare. E se ciò vale per tutte le repubbliche dell'America Latina, vale soprattutto per la situazione del Salvador in questo particolare momento, dove allo stadio attuale delle cose non sembra purtroppo che lo spargimento di sangue in atto possa aver termine a breve scadenza.
Infatti, anche la guerriglia dispone di uomini, di mezzi, di risorse sufficienti per combattere a lungo.
Data questa situazione di stallo, la volontà di giungere a una soluzione negoziata dovrebbe farsi strada presso entrambe le parti in conflitto, anche se tale soluzione non potrà non scontentare quanti, da entrambe le parti, avevano puntato su una soluzione puramente militare.
E' perciò da auspicare che cessi ogni interferenza esterna negli affari del Salvador e che si sviluppi invece un'opera efficace di mediazione da parte di quanti abbiano sufficiente probabilità di essere ascoltati da due continenti.
Si, è vero, qualunque paragone con la Polonia ci pare assolutamente fuori luogo: anche perché ogni fatto storico secondo noi, ha unicamente in sé stesso un termine di paragone.
Non vi è chi non sappia che le condizioni geografiche, storiche sociali, culturali ed etniche, sono completamente diverse tra i due paese.
Condizioni queste determinanti per poter esprimere un giudizio.
No, la Polonia non sta alla Russia, come il Salvador sta agli Stati Uniti; è un'equazione che non regge. Duarte non è uguale a Jaruzelski.
Gli avversari di Duarte sono forze guerrigliere armate che combattono la dura e sanguinosa battaglia per conquistare la guida dello Stato. Essi rifiutano le elezioni anche se hanno molti motivi per rifiutarle.
D'altra parte vi è invece in Polonia un sindacato disarmato che non aspira alla conquista violenta del potere, né essendo stato costretto al silenzio, si è rifugiato o ha tentato di rifugiarsi nella guerriglia.
E' stato si reo di essersi organizzato, di avere effettuato scioperi in un Paese che si proclama socialista. Questa è stata la sua colpa più grave.
Quindi completamente diverse le due situazioni che noi non vogliamo paragonare a meno che qualcuno non voglia usare il diversivo salvadoregno per far dimenticare le delusioni polacche.
Detto questo però, ripetiamo e ribadiamo che noi per il Salvador come per ogni altra parte del mondo, respingiamo la violenza e la lotta armata perché non è attraverso l'odio, le uccisioni e la forza delle armi, che si può giungere alla pacificazione degli animi.
Riteniamo ancora oggi, che per quanto osteggiate e per quanto possano essere strumentalizzate, il ricorso ad elezioni svolte sotto il controllo di osservazioni internazionali e Parlamenti europei (come era stato proposto a Brexelles dalla D.C.) possa rappresentare un passo importante verso la comprensione tra le varie componenti del paese e avviare la pacifica soluzione dei problemi più urgenti.
Infine, noi siamo d'accordo, con quella parte della Stampa e dell'opinione pubblica americana che, con lungimiranza e timore si chiede se per caso l'amministrazione Reagan non stia azzardando troppo nei confronti del Salvador.
Senza ricorrere ai tristi ed amari ricordi dell'avventura vietnamita noi temiamo fortemente che l'éscalation militare possa portare conseguenze imprevedibili. Perciò chiediamo che il nostro Governo si impegni perché in tutte le sedi si operi per l'inizio di una effettiva e reale pacificazione degli animi.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bastianini.



BASTIANINI Attilio

Vi è un principio a cui come forza politica ci siamo sempre attenuti su questa materia e a cui chiediamo che anche le altre forze politiche facciano riferimento. Sui temi delle libertà, dei diritti civili, del riconoscimento dei diritti umani, non vi deve essere la difficile ricerca di equilibri a tutti i costi, di parallelismi, cioè non si deve avere la riserva mentale di giudicare ed esprimere con franchezza il proprio parere su quanto avviene in una parte del mondo solo a condizione di poter porre sull'altro piatto della bilancia quanto avviene in altra parte del mondo.
Le ragioni della libertà sono eguali anche quando cercano di trovare strade in condizioni storiche diverse, quando i motivi dell'oppressione sono diversi, quando le strutture sociali attraverso le quali le ragioni della libertà stentano a trovare varchi, sono diverse.
Per questo non abbiamo avuto alcuna riserva ad accettare, oggi, un dibattito che esprimesse con chiarezza la posizione della comunità piemontese sui problemi del Salvador, e vi devo dire con franchezza che non avremmo avuto nessuna incertezza anche se questo dibattito non fosse stato preceduto nelle settimane e nei mesi, da una espressione di giudizio, sui fatti della Polonia.
Così come non abbiamo nessuna incertezza in questa sede e in questo momento ad esprimere la preoccupazione dei liberali per quanto sta capitando in Turchia, tanto più preoccupante e tanto più grave, perch interessa un paese legato a noi da comuni interessi economici e militari e perché avviene in un paese in cui i passi della storia hanno già fatto conoscere il sapore della democrazia, così come in Polonia e meno purtroppo, nel Salvador.
Quindi, ci troverete sempre pronti, a esprimere con chiarezza il nostro giudizio sui fatti che la storia segna nelle diverse parti del mondo e in questo giudizio a ricercare sempre le ragioni della libertà.
La diagnosi sulla situazione del Salvador l'ha già fatta con grande pacatezza e compiutezza di analisi, il Consigliere Devecchi, che ringrazio per aver portato in questo dibattito non soltanto le preoccupazioni di schieramento o le volontà di immagine esterna, ma uno sforzo di seria comprensione, di analisi di quanto è capitato e capita in questo paese.
E questa prova di serietà che ci viene dalla D.C. ci deve indurre a riflettere come sia assolutamente necessario ricostruire nel Consiglio un rapporto pieno e completo con questa irrinunciabile forza politica.
Io, la voglio richiamare questa diagnosi sulla situazione del Salvador per grandi tranches, come in fondo mi sembra possa essere schematizzata: uno stato di sistematica ed offensiva ingiustizia sociale, la mancanza di una reale vita democratica di un pluralismo articolato, e in tale habitat la saldatura tra le proteste legittime degli oppressi e le azioni strumentali di destabilizzazione, che, nel quadro internazionale di uno scacchiere di tanta importanza, sicuramente si svolgono, guidate da lontano e pilotate da vicino dai cubani, che non perdono occasione, in America e in Africa, di operare come braccio secolare dell'espansionismo sovietico.
Un dramma della storia e all'interno di questo un dramma di popolo. Un dramma della storia per le contraddizioni che in quello scacchiere si manifestano e, all'interno di questo, le sofferenze di una popolazione che non solo è privata delle libertà ma anche del diritto di vivere.
In questo quadro la strada degli Stati Uniti è una strada difficile: tutelarsi da un lato dall'aggressività degli sforzi e penetrazione dell'egemonismo che nasce da lontano e contemporaneamente cercare di onorare anche in questi paesi i diritti umani e cui le azioni degli Stati Uniti per motivi storici sempre si sono conformate.
Questa è una strada difficile perché troppo spesso il fine sembra giustificare i mezzi. Credo che dobbiamo riflettere su questa difficile posizione degli Stati Uniti che sono come vittime di un ricatto da cui non riescono ad uscire: una minaccia reale che si spostino gli equilibri in un'area in cui gli Stati Uniti hanno interessi legittimi, e la tentazione di appoggiarsi al sistema di potere esistente, come strada più breve di contenimento, legittimandone, però, le ingiustizie, cause prime del sorgere di movimenti di guerriglia. Ha ragione Devecchi, di cui ho molto apprezzato l'intervento, quando rileva che gli Stati Uniti troppo spesso semplificano le realtà democratiche con le quali si trovano a fare i conti, riducendo tutto ad uno schieramento a tinte forti e non comprendono invece l'articolazione complessa che nelle realtà sociali difficili, quale quella del Salvador, si manifesta. Ad esempio, il ruolo della Chiesa, un ruolo politico, inimmaginabile in paesi di democrazia liberale consolidata, ma pur così importante in paesi dove la giustizia e l'oppressione trovano delle vie di risoluzione anche dall'impegno della Chiesa. Questa posizione ci preoccupa molto perché non riconosce l'esistenza di una opposizione politica forte, complessa, in cui sono presenti i germi delle libertà, ma costringe di fatto a collegarsi con l'opposizione della guerriglia e del cambiamento violento.
Credo che dobbiamo esprimere senza alcuna incertezza la nostra preoccupazione sulla strada che l'amministrazione Reagan ha assunto. Ci sembra una strada non solo non giustificabile sotto il piano dei diritti civili ed umani ma anche una strada pericolosa, perché indebolisce le difese morali dell'occidente e perché corre il rischio di essere perdente.
La violenza nei rapporti internazionali può essere usata dai paesi violenti e gli Stati Uniti non sono un paese violento.
All'interno degli Stati Uniti vi è una capacità di controllo e di dibattito interno che indebolisce le forze della violenza come ha insegnato il Vietnam. Gli Stati Uniti devono sapere che a differenza di altri paesi a differenza di altri regimi in altri tempi e anche in questo tempo, non possono usare della violenza, perché al loro interno nascono spinte controlli, movimenti di opinione pubblica, che di fatto li lasciano in mezzo al guado, troppo esposti per una soluzione politica, e troppo incerti, per una soluzione militare.
Quale strada seguire? Io ero negli States quando si era appena insediata l'amministrazione di Carter, e mi ricordo che un giorno viaggiando con la radio accesa ho sentito uno dei primi discorsi, un discorso commovente, la grande speranza che Carter espresse di rispondere ai missili e alle penetrazioni violente con la forza morale dei diritti civili, di essere flessibili sui problemi di forza e di essere intransigenti sui problemi dei diritti civili. Questa strada che pur mi aveva colpito si è purtroppo dimostrata insufficiente di fronte alle ragioni della storia. Mentre l'America, parlava di diritti civili, l'Unione Sovietica modificava gli equilibri di forza nei diversi scacchieri, mentre l'America credeva di poter risolvere i problemi degli schieramenti mondiali dando voce e spazio al dissenso nei paesi dell'est la Russia trovava motivo ed occasione da tale fatto per giustificare l'accrescimento della propria forza militare.
Ma se la strada dell'utopia di Carter era una strada perdente, noi crediamo che sia una strada perdente anche la strada del realismo della forza che sembra aver imboccato questa amministrazione. Da questa, un invito che nasce anche dal Piemonte, all'azione del nostro Governo per esprimere con chiarezza al di là di ogni dubbio queste preoccupazioni, per chiedere un'azione ferma negli obiettivi in modo che nessuno si possa illudere di poter spostare gli equilibri. In fondo, affermare la trasformazione in senso aggressivo del polo cubano non fu la guerriglia a Cuba, fu la minaccia di cambiare scacchiere, fu il telefono rosso, l'avviso che comunque non si sarebbero tollerate determinate forzature.
Questa è l'azione a cui dobbiamo come Europa esprimere tutta la nostra solidarietà ma dobbiamo anche chiedere un'azione intelligente che non obblighi le forze politiche del mondo e del Salvador a riconoscersi nelle violenze e nelle ingiustizie della Giunta Duarte o nelle violenze e nelle ingiustizie del movimento della guerriglia.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Montefalchesi.



MONTEFALCHESI Corrado

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, credo sia di grande importanza questo dibattito non soltanto perché cade in un momento drammatico di aggravamento della situazione in Salvador, ma anche perché proprio in questo momento è necessario riuscire a costruire un movimento a livello italiano, europeo, internazionale che sia in grado di fermare le atrocità che vengono compiute dalla Giunta militare capeggiata da Duarte nel Salvador.
Un movimento che sia in grado di imporre una soluzione negoziata, della vicenda che travaglia il Salvador.
Molti si sono soffermati sulle atrocità. Non ci ritorno se non in modo estremamente sintetico e breve. Ieri il New York Times denunciava le uccisioni dei bambini dagli elicotteri con ufficiali Usa a bordo.
Deploriamo quanti non sono conseguenti di fronte a questa tragedia e a questo crimine, quanti non condannano o non lo fanno con la necessaria fermezza come il nostro governo e la D.C.; le responsabilità dell'amministrazione americana che fornisce armi ed istruttori agli assassini della Giunta Duarte.
La non ingerenza vale solo all'est o vale anche per gli Stati Uniti? Riteniamo che i diritti umani, il protagonismo della popolazione, la capacità e il diritto di decidere sul proprio futuro valgano in qualsiasi paese del mondo. Per questo condanniamo in modo fermo l'amministrazione Reagan.
Abbiamo accolto con favore l'ulteriore posizione di chiarezza assunta dal PSI e dal PSDI con la dissociazione di questi due partiti dalle posizioni del Governo italiano, espresse ieri alla Camera dal Ministro Colombo, di non condanna della Giunta Duarte. Non ne avevamo certo dubbi anche perché questi partiti sono alla testa della lotta di liberazione nel Salvador. Dobbiamo rilevare (e su questo vorremmo una risposta chiara da parte dei colleghi della D.C.), come la posizione della D.C. nel Salvador non sia univoca, c'é la posizione ufficiale di Duarte, i crimini di Duarte ma ci sono le posizioni di dirigenti illustri, c'è la posizione di Roberto Lara Velado, fondatore insieme con Duarte nel 1960 della D.C.
Ebbene, Lara Velado si esprime così: "Duarte accettando di entrare nella Giunta proprio nel momento in cui alti dirigenti D.C. ed esponenti democratici del paese, tra cui Ungo, se ne allontanavano, ritenendo impossibile e suicida una collaborazione con i militari, ha commesso un errore di portata storica, ha messo il partito in un vicolo cieco in fondo al quale non c'è e non ci può essere che il fallimento totale e irreversibile di un progetto politico cristiano e popolare che avevamo in mente nel varare il partito negli anni '60. Oltre che la vergogna di aver contribuito in maniera determinante d massacro del nostro popolo e alla sua riconsegna nelle mani dei signori di Washington".
Vorrei capire con chiarezza da Che parte sta la D.C. del Piemonte; ci sono due posizioni chiare. Non possiamo non rilevare come la D.C. europea ha dimostrato di fare una scelta a favore di Duarte, non possiamo non rilevare come ancora recentemente a Genova, Piccoli abbia espresso l'appoggio a Duarte considerandolo una brava persona.
Credo che non si possano condannare formalmente i crimini senza essere conseguenti. Non solo condanniamo la Giunta Duarte per i suoi crimini, non solo condanniamo la Giunta americana per l'appoggio a questi crimini ma chiediamo che il Consiglio regionale si esprima con la richiesta del ritiro dell'ambasciatore italiano del Salvador.
L'Italia è l'unico paese europeo che mantiene l'ambasciatore, e questo è un riconoscimento politico della Giunta Duarte. Abbiamo presentato un nostro ordine del giorno perché nell'ordine del giorno dei compagni comunisti questo non veniva chiesto.
Chiediamo anche che l'ordine del giorno, che ci auguriamo venga approvato, venga inviato al Presidente del Consiglio, al Ministro degli Esteri, e anche al Presidente della Re pubblica, quale esplicito riconoscimento e apprezzamento per le posizioni che il Presidente della Repubblica ha recentemente espresso su questa vicenda.
Riteniamo che sia necessaria la costituzione di un movimento europeo internazionale per arrivare a quella soluzione politica che già altre nazioni hanno indicato e sulla quale hanno fatto una scelta chiara, la Francia e il Messico.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Vetrino.



VETRINO Bianca

Visto l'andamento dei lavori che riteniamo di porci rispetto al dibattito in un modo differente dal quale ci saremmo posti se il dibattito avesse avuto un decorso concordato nella riunione dei Capigruppo.
Ho ascoltato con interesse e con estrema angoscia la relazione introduttiva dell'amica Marchiaro, ho apprezzato la tensione morale che ha accompagnato i dibattiti e le espressioni dei colleghi che mi hanno preceduta. Non abbiamo però condiviso la decisione presa dal Consiglio, e abbiamo votato contro la proposta che veniva fatta, sulla richiesta di anticipazione di discussione su questo argomento, avanzata a termini di regolamento dal PCI.
Riteniamo che il Consiglio regionale attraverso i suoi rappresentanti che sono i Capigruppo nella sede istituzionale, avessero dimostrato rispetto a questo problema una grande sensibilità, tant'è vero che il problema era stato iscritto all'ordine del giorno anticipando la sua discussione anche rispetto a leggi importanti sulle quali peraltro il Consiglio deve ritornare.
E' vero che la situazione è precipitata, come ci ha fatto osservare il Presidente della Giunta nella riunione dei Capigruppo, ma è vero che comunque l'argomento era iscritto all'ordine del giorno. Avremmo compreso una richiesta urgente di iscrizione all'o.d.g. di questo argomento se esso non fosse stato iscritto.
Sono angosciata per quello che sta accadendo in Salvador come ogni uomo libero che crede nella liberta e nei diritti di giustizia che devono avere gli uomini e sono dispiaciuta di non poter trasmettere al Consiglio il mio intervento che avevo preparato e che si proponeva di sollecitare al Consiglio una richiesta di presa di coscienza di ogni uomo, rispetto a questa tragedia e alla minaccia che sovrasta tutti.
La giornata di oggi, che si presenta lunga, poteva raccogliere in un'atmosfera meno tesa di quello che le scaramucce iniziali hanno fatto emergere, anche se probabilmente ugualmente disattenta, e poteva far emergere le posizioni. Non penso che si possa accusare il Gruppo repubblicano di scarsa sensibilità politica se rimane della convinzione che un dibattito sulla grave tragedia che si sta realizzando nel Salvador poteva avere tutta la sua efficacia anche a due ore di distanza.
Ho l'onore di appartenere ad un partito che non ha bisogno di avere una voce in un Consiglio regionale, due ore prima del previsto, per ottenere la patente di democrazia.
Realisticamente dobbiamo dire che con la decisione del Consiglio rimandiamo il dibattito su aspetti che attengono alla nostra responsabilità istituzionale e non rispondiamo alla comunità dei doveri ai quali la comunità costantemente ci chiama soprattutto in un momento di grave difficoltà quale quella che sta attraversando il Piemonte.
Se l'aver anticipato questo dibattito oltre a soddisfare le ansie del PCI per il dramma salvadoregno - e comprendiamo queste ansie perché sono le nostre ansie, che vorremmo vedere in un giusto equilibrio rispetto a quello che continua ad avvenire in Polonia - potrà contribuire a restituire sicurezza e pace in un paese tanto sfortunato, i repubblicani lavorano per questa prospettiva e non potranno che essere soddisfatti.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Mignone.



MIGNONE Andrea

Signor Presidente, egregi colleghi, abbiamo avuto in questa aula più occasioni per condannare la guerra come arma politica, per esecrare massacri e sofferenze imposte a popolazioni inermi, per condannare invasioni ed aggressioni. Il quadro internazionale sta diventando purtroppo sempre più fosco, i rapporti tra i paesi sempre più rigidi.
Sta riapparendo la logica dei blocchi contrapposti su cui giocherebbero le grandi potenze senza molto riguardo, rispetto all'autonomia delle nazioni e dei popoli. Registriamo che stanno di nuovo ricomparendo guerre economiche, lo spettro del protezionismo doganale.
Pensiamo alla guerra per l'acciaio fra gli Stati Uniti e l'Europa, alla guerra del vino e alle guerre militari. Già abbiamo avuto occasione di ricordare che l'ombra del Leviatano, questo mostro di guerra, sta di nuovo girando per il mondo, come di nuovo sta riaffiorando l'imperialismo che non è frutto soltanto della borghesia o del capitalismo, ma è da intendersi come metodo di lotta e di confronto fra i paesi. Sta anche diventando sempre più importante il ruolo del potere dei militari nella gestione della vita pubblica. Sta diventando un fatto grave per noi socialdemocratici, col quale, pare si debba sempre di più fare i conti.
Ha figura diversa da paese a paese. Comunque emerge nelle società in cui l'ideologia conosce il tramonto, in cui è soffocata la tensione per aspirazione di libertà e di giustizia, quegli ideali a cui da sempre ci ispiriamo.
Su questi principi fondiamo la condanna morale più profonda per i gravi fatti che stanno avvenendo nel Salvador, auspichiamo un ripensamento dell'amministrazione Reagan che va condannata per gli atteggiamenti che sta assumendo in questa vicenda. Bisogna dire a chiare lettere che un Vietnam non è ripetibile perché sarebbe una avventura dal rischio incalcolabile.
Chiediamo che si aprano canali internazionali, per l'avvio di un negoziato che consenta il proseguimento verso il ristabilimento di condizioni di libertà.
Nel centro America la situazione è estremamente delicata e a fianco di fatti positivi, come quello del Costarica, che pur dobbiamo riconoscere, vi sono i fatti negativi presenti nelle altre nazioni del centro America. La situazione è delicata e non si può tollerare né un inasprimento per ragioni di stato né le atrocità fatte subire alle popolazioni inermi.
Ferma condanna, quindi, morale e politica dell'azione dei militari di fronte alla quale non vi possono essere né equilibrismi né posizioni neutrali. Certamente non vi è da parte nostra il tentativo di fare dei confronti con le situazioni e le condanne altrettanto pesanti che devono essere fatte per gli avvenimenti accaduti in altri paesi come in Polonia.
Ogni vicenda ha una sua ragione. Noi siamo stati fra i primi a condannare quello che è successo in Polonia, e credo che non si possa dire che si cerchi di fare delle contrapposizioni o di trovare ciascuno il proprio spazio dando un colpo a destra e un colpo a manca.
Credo che vi sia da intervenire sempre e comunque quando vi sono aggressioni e interventi militari di questo tipo e che non si possa cercare di far scendere la condanna su questi livelli.
Noi socialdemocratici crediamo che ci si debba mobilitare per una azione tesa alla pace in cui i principali protagonisti, oltre alle parti interessate del Salvador, dovrebbero essere anche gli altri paesi del centro America, come il Messico, come il Venezuela, come il Panama e i paesi appartenenti al Gruppo del patto Andino.
Forse per l'amministrazione Reagan potremmo essere sembrati simpatizzanti dei movimenti di guerriglia o per l'Unione Sovietica potremmo sembrare amici degli Stati Uniti nei confronti delle vicende della Polonia o del centro America.
E' assolutamente chiaro che noi respingiamo nel mo do più assoluto una dittatura di sinistra, come anche una dittatura di destra.
Nel caso specifico non si può non rimarcare il crescente ricorso alle armi, alla violenza, alla distruzione, alla guerra, alle devastazioni, alle orribili condizioni di vita imposte alle popolazioni; e non si può non condannare l'atteggiamento degli Stati Uniti che provocano una escalation del ricorso alle armi. Basti pensare all'impegno dei 55 milioni di dollari in aiuti militari immediati, all'impegno per il 1982 di altri 126 milioni di dollari per aiuti economici e militari. Come non si può non condannare il progetto predisposto per l'invio di giganteschi elicotteri per il trasporto di truppe, per l'invio dei C123 e dei bombardiere A37.
Credo che sia in errore l'amministrazione Reagan in questi comportamenti e mi paiono giustificate le dimostrazioni che al riguardo da varie parti dei rappresentanti democratici sono state fatte nei confronti dell'amministrazione Reagan.
Occorre avviare iniziative politiche che possano contribuire ad attivare negoziati basati su questi fatti, occorrono degli aiuti per una profonda trasformazione della realtà socio-economica. Su questo vi deve essere l'impegno dei paesi industrializzati più progrediti. Occorre dire che si può anche garantire l'ordine interno e la sicurezza attraverso l'affidamento di responsabilità in quel paese ai civili. Bisogna creare le condizioni per l'avvio di un processo elettorale realmente democratico e occorre una forte iniziativa dell'Italia a livello di Comunità Economica Europea, e della Comunità stessa nei confronti delle due superpotenze perché si possa da un lato frenare il sempre più frequente ricorso ad aiuti esterni militari e dall'altro avviare un negoziato a livello internazionale con tutte le parti presenti in quel paese, perché possa finire il regime dittatoriale e il clima di terrore nel Salvador.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PICCO



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Majorino.



MAJORINO Gaetano

Presidente, colleghi Consiglieri, così come riferiscono i giornali di tutto il mondo, il Salvador è sconvolto da una atroce guerra terroristica condotta con estrema ferocia da ogni parte, non solo da parte dei seguaci di Duarte, ma anche da parte dei seguaci del Frente de Liberacciòn. Si soggiunge che la Giunta che governa il paese è sostenuta economicamente e militarmente dagli Stati Uniti e che le causali di questa atroce guerra civile sono remote e si riassumono nel fatto che il Salvador è economicamente in mano a pochi potenti che possiedono quasi l'intera ricchezza nazionale ed i latifondi dove si lavora in una situazione simile a quella della schiavitù.
Si soggiunge infine che il capo della Giunta Duarte è accusato di pesanti atrocità e nel contempo gli si attribuisce la volontà di indire elezioni generali a fine marzo. Ma per essere sinceri, Duarte non pare il più indicato a gestire da solo e con i suoi seguaci, una siffatta operazione né a rassicurare che le riforme che si impongono per fare uscire la sua gente dalla miseria sarà in grado di gestirle. Ci sarebbe una soluzione: che Napoleon Duarte se ne vada o sia costretto ad andarsene come fece il Batista 22 anni fa ad Avana. Ma ad Avana arrivò Fidel Castro e Cuba diventò la centrale della guerriglia di tutto il mondo.
In questa situazione, di fronte a questo precedente storico, se da un canto è vero che è estremamente preoccupante l'attuale situaz ione del Salvador, è evidente il pericolo del dopo Duarte, il pericolo cioè che dopo Duarte si instauri un governo ed una dittatura tipo Fidel Castro, oppure di stampo sovietico.
Questa è una realtà incontestabile. E allora ai fini di evitare questo pericolo e quindi la prevedibile situazione incandescente del dopo Duarte che creerebbe nuove complicanze internazionali, l'unica soluzione seria ed additabile è quella di libere elezioni, ma sotto il controllo di una commissione internazionale che se ne renda garante.
In altri termini la strada da battere è quella di un negoziato politico e di una soluzione politica.
Siamo contrari a qualsiasi intervento militare e, se sono vere le notizie di agenzia secondo le quali Reagan avrebbe nei giorni scorsi ricevuto 5 emissari della guerriglia salvadoregna di entrambi le parti in campo, sembrerebbe che la volontà prioritaria degli Stati Uniti si vada orientando verso una soluzione politica.
In questa prospettiva dovrebbe orientarsi ad operare il governo italiano, operare, cioè, sul presupposto di una condanna delle atrocità che si consumano nella guerra civile del Salvador da qualunque parte vengano e sul presupposto comunque di un no a soluzioni militari ad operare per un negoziato internazionale della vicenda da attuarsi attraverso e con l'intervento mediatore dell'ONU.
L'ONU è super partes e, se c'é veramente la volontà politica di tutti gli stati aderenti, potrà essere lo strumento per sbloccare la tragica situazione nel Salvador.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bontempi.



BONTEMPI Rinaldo

Signor Presidente, signori Consiglieri, non avrei voluto prendere la parola per rispettare l'impegno che ho manifestato in sede di conferenza dei Capigruppo perché il tempo dedicato a questo dibattito fosse quello giusto per una netta presa di posizione da parte delle altre forze politiche.
Al di là della fase preliminare, mi ha confortato la posizione estremamente seria e responsabile tenuta dai Gruppi socialista e socialdemocratico con una differenza che non posso non rilevare rispetto agli atteggiamenti tenuti in altre sedi 'da parte del Gruppo della D.C.
Non abbiamo nessuna difficoltà a registrare con favore e a cogliere come elementi importanti tutti i passi che vengono fatti da qualsiasi parte per svincolarsi da una logica di schieramento, dall'appiattimento nella logica dei blocchi che giudichiamo perversa, come ha detto il Consigliere Devecchi, che ha tentato di far eco di posizioni che sono dentro al movimento cattolico e con una distinzione dalle posizioni assunte nazionalmente dal suo partito.
Lo giudico un atteggiamento serio di fronte a un dibattito del genere.
Non ho ritrovato la stessa serietà nell'intervento di altri Gruppi e in particolare in quello liberale.
Non accettiamo, caro Bastianini, il tuo discorso che con la solita capacità di giudizio, di analisi, e con intelligenza hai fatto: è un'affermazione secondo cui noi saremmo ispirati da tatticismi di partito.
E' bene dire le cose come stanno.
Tu sei notoriamente capace di alate e d'ispirate parole, quando ritieni di farlo e, specie su questi argomenti, sai dare un impulso a che le decisioni si prendano, a che i punti si mettano all'ordine del giorno, a che se ne discuta nella debita maniera.
L'altro giorno nella conferenza dei Capigruppo, non mi è sfuggito che sei stato zitto e l'immagine che mi ha dato è stata della costrizione di uno stato di necessità che la tua intelligenza ti faceva cogliere come obbligato e la partecipazione reale che ha cercato di mettere nel tuo intervento era molto relativa.
Questo svela tante cose. Il dibattito di oggi c i trova convinti assertori della necessità di discutere e di utilizzare l'occasione del Salvador come dimostrazione di quello che andiamo dicendo da tempo, che non è tatticismo, ma è la strategia e l'identità del nostro partito, la ripulsa della logica del blocchi, la condanna, subito e comunque, di tutte le occasioni in cui libertà, indipendenza dei popoli vengono violate. L'aver accentuato questo aspetto offende il nostro partito ed è un modo sbagliato di collocarsi in questi dibattiti.
Abbiamo l'impressione che alcune forze politiche in Italia abbiano dentro un livore nascosto, il livore di trovarsi di fronte a questo Partito comunista, e non a quello che forse più comodamente, frontalmente avrebbero potuto ritrovare su certe analisi, una certa strategia, che una certa linea, sia pure con grande dramma per noi, sta portando avanti in tutte le parti del mondo e verso qualsiasi occasione si manifesti in cui i grandi valori della democrazia, della libertà, della pace e della vita umana vengono messi a repentaglio.
Mi sia permesso di riaffermare a chi ritiene di poter usare le une e le altre occasioni per esprimere più o meno esplicitamente questo tipo di disappunto nei confronti del nostro partito, che noi continueremo la nostra strada.
Nel documentario della TV italiana si parlava di azioni di guerra dei guerriglieri afghani e si dava la narrazione di come portassero a morte i soldati sovietici che capitavano nelle loro mani. Invocare questa violenza è confusione, è una scusa per non trattare il vero problema della legittima invasione dell'Unione Sovietica in Afghanistan.
Come noi riteniamo di non usare questi argomenti e di usare gli altri chiediamo anche un momento di riflessione e di meditazione a chi invece ritiene di non doversi mai farsi sfuggire l'occasione di veri e propri tatticismi d'aula e di parte.
E' questo che mi indigna ed è per questo che ho chiesto la parola per esprimere l'opinione del nostro Gruppo.



PRESIDENTE

Sono stati presentati quattro ordini del giorno.



VIGLIONE Aldo

Il Gruppo socialista sta presentando un ordine del giorno.
Chiediamo di rimandare all'ultima parte della seduta del pomeriggio la votazione degli ordini del giorno sul Salvador.



REVELLI Francesco

Il Gruppo comunista ritira il proprio ordine del giorno.



PRESIDENTE

Il Consiglio concorda sulla proposta del Consigliere Viglione.


Argomento: Consiglio, organizzazione e funzioni

Dibattito sul funzionamento del Consiglio regionale


PRESIDENTE

Passiamo all'esame del punto quarto all'o.d.g.: "Dibattito sul funzionamento del Consiglio regionale".
Il dibattito, che la conferenza dei Presidenti ha deciso si tenesse oggi, si svolge in un momento in cui particolarmente attuale è il tema della crisi che l'Istituto regionale sta attraversando a 12 anni dalla sua attuazione.
Dopo le grandi speranze degli anni '70, le Regioni si trovano ora pesantemente limitate da un lato da rigurgiti neo-centralisti particolarmente pesanti, dall'altro dallo stato di incertezza che da troppo tempo ormai caratterizza il sistema delle autonomie in assenza della relativa riforma.
Dobbiamo quotidianamente constatare come meccanismi arrugginiti e procedure fossilizzate da un lato, e una legislazione in gran parte scritta prima che nascessero le Regioni (o che, pur scritta dopo, ha tenuto in ben poco conto la loro esistenza) rendono difficile il funzionamento delle Regioni e delle autonomie locali.
Proprio la mancata riforma dello Stato ai suoi vari livelli, che avrebbe dovuto accompagnare la nascita delle Regioni, sta alla base dell'attuale stato di incertezza e di malessere in cui non ha più ragion d'essere lo Stato accentrato, ma non c'é ancora lo Stato regionale.
E' evidente che questa situazione non può non riflettersi anche sull'assemblea, che, in quanto organo titolare del potere legislativo, cioè della funzione caratterizzante la Regione rispetto agli altri Enti locali risente particolarmente di questa incertezza di ruoli e di spazi.
Basta pensare alle conseguenze che derivano all'attività legislativa regionale dalla mancata emanazione, in molti dei settori assegnati alla competenza legislativa regionale, delle cosiddette "leggi cornice" o comunque di provvedimenti che permettano di individuare con certezza quei "principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato" nei limiti dei quali l'art. 117 della Costituzione consente alle Regioni di emanare norme legislative.
Basta pensare alla difficoltà di operare all'interno di una normativa statale ben lontana dall'avere adeguato i propri principi e metodi alle esigenze dell'autonomia e del decentramento, come solennemente afferma l'art. 5 della stessa Costituzione.
Questi limiti e questi condizionamenti negativi sono ben presenti alle Regioni che stanno anche assumendo in merito iniziative specifiche. Fra queste, vorrei ricordare qui, quella recentissimamente decisa da i Presidente dei Consigli regionali riuniti a Firenze, di organizzare per il prossimo maggio, a Roma presso il Parlamento, un seminario proprio sul tema dei rapporti Stato-Regioni con specifico riferimento alle "leggi cornice" alla riforma della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri ai modi e alle procedure con cui la legislazione statale può adeguarsi alle esigenze delle autonomie.
Uno dei modi per accelerare il rilancio della Regione è anche quello di chiarire gli aspetti positivi e negativi connessi al funzionamento dell'Ente. Ed è quanto oggi ci accingiamo a fare con questo dibattito sul Consiglio regionale da cui mi auguro emergano proposte, indicazioni, spunti per un suo potenziamento, per una miglior definizione del suo ruolo sia nei rapporti con l'esecutivo regionale sia in quello verso l'esterno, inteso sia come cittadini singoli e organizzati che come Enti.
Infatti la partecipazione da un lato e il rapporto con gli Enti locali dall'altro sono due funzioni di cui l'organo Consiglio è specificatamente titolare e sono due funzioni che, dopo aver registrato in passato risultati positivi, risentono ora in parte dello stato di incertezza di cui parlavamo prim'a e che presuppongo come condizione una reale centralità del Consiglio. Spetta infatti al Consiglio un ruolo di raccordo e di coordinamento con gli Enti locali e con la comunità regionale al fine di sviluppare un rapporto ampio e capillare con la società, rapporto che permetta di recepire e valorizzarne, soprattutto nella produzione legislativa, l'apporto e il contributo.
Che cosa funziona e che cosa non va nel nostro Consiglio: credo che, in concreto, sia un po' questo che deve emergere dal nostro dibattito di oggi.
E allora, lasciamo ad altri di approfondire i temi istituzionali relativi al ruolo del Consiglio nel quadro dei rapporti Stato-Regioni e Regioni-Autonomie, vorrei fare alcune considerazioni circa i mezzi e le strutture attraverso cui, in concreto, il Consiglio opera.
Innanzitutto la sede: da oltre due anni abbiamo finalmente la sede definitiva, ma questa si è già rivelata insufficiente sia per le nostre esigenze attuali, in particolare per quelle dei Gruppi, attualmente ospitati in una sede provvisoria d'affitto, sia in vista di ulteriori incombenze che attendono il Consiglio. Innanzitutto ricordo che ai sensi della recente legge regionale istitutiva del Difensore Civico è il Consiglio che deve fornire i locali per i relativi uffici. Si tratta di questione estremamente urgente, stante che i termini temporali previsti dalla legge per la nomina del Difensore Civico sono già scaduti.
Inoltre, quanto dirò tra poco circa il personale comporterà la necessità di poter disporre di nuovi locali. Lo stesso dicasi per le esigenze di funzionamento di quelle istanze di partecipazione che abbiamo noi stessi istituito: mi riferisco alle Consulte e al Comitato RAI che dovrebbero poter trovare una sede stabile per il loro funzionamento. Queste esigenze ci sono da tempo presenti e abbiamo cercato soluzioni funzionali e organiche. Posso a questo proposito anticipare che in accordo con la Giunta regionale si stanno cercando, con possibilità di esito positivo, nuovi locali che permettano di risolvere una volta per tutte il problema.
Quanto al personale, ricordo che si è finalmente proceduto alla definizione dei servizi e delle relative piante organiche. Restano per ancora alcuni problemi che richiedono soluzione urgente. Alcune vacanze di organico attendono da troppo tempo di essere coperte creando situazioni di grave disagio e disfunzioni nel funzionamento dei servizi. Stiamo da tempo sollecitando la Giunta perché venga reperito questo personale eventualmente attraverso appositi concorsi per i posti vacanti presso il Consiglio.
Speriamo che questo avvenga rapidamente anche perché l'attuale dotazione organica di 122 unità è insufficiente ai compiti di un Consiglio regionale di cui tutti vogliamo potenziare il ruolo e l'Ufficio di Presidenza è intenzionato a procedere ad un rigoroso esame delle attuali strutture chiedendo, se risulterà necessario, le opportune integrazioni. Del resto credo siamo uno dei Consigli regionali con meno personale rispetto al numero dei Consiglieri e delle attività svolte.
Ritengo che questi siano i problemi principali di funzionamento che caratterizzano in questo momento il nostro Consiglio. Altri sì stanno avviando, pur con qualche intoppo a soluzione, come quello del personale per i Gruppi consiliari.
Il superamento di questi intoppi e la creazione di strutture agili e ben funzionanti sono le condizioni che auspichiamo tutti siano rapidamente realizzate per permettere al Consiglio ed ai suoi organi di operare per l'attuazione dei principi, solennemente affermati dallo Statuto, della programmazione, della partecipazione (e dell'informazione come suo necessario presupposto) e dello sviluppo delle autonomie in vista del potenziamento del ruolo del Consiglio inteso come momento di raccolta elaborazione e sintesi delle proposte, dei suggerimenti, delle potenzialità che emergono dalla società piemontese. La parola al Consigliere Viglione.



VIGLIONE Aldo

Il dibattito sul rilancio della funzione del Consiglio equivale in buona parte ad un dibattito sul rilancio dell'autonomia regionale.
Una considerazione meditata dell'esperienza fin qui maturata dall'organo rappresentativo della Regione e una indicazione di nuove prospettive devono investire il Consiglio nella complessità della sua funzione e del suo ruolo: funzione politica, normativa e di controllo ruolo espressivo della politica, degli interessi regionali, di sintesi dell'intero sistema del governo locale nonché di guida del processo programmatorio e della ridefinizione all'interno di questo, degli assetti istituzionali coinvolti dalla politica di programmazione.
Non possiamo escludere che questa riconsiderazione complessiva induca alla fine, a concludere nel senso dell'opportunità, peraltro già portata innanzi da altre forze politiche come la D.C., di portare qualche modificazione al regolamento del Consiglio, a talune le::i regionali se non addirittura ad alcune norme statutarie.
E' certamente nell'intenzione di tutti la valorizzazione della funzione politica del Consiglio regionale, funzione politica non deve significare soltanto la capacità dell'assemblea di farsi cassa di risonanza delle molteplici e spesso contradditorie istanze della collettività regionale, ma deve significare altresì capacità e impegno in direzione dell'elaborazione di progetti politico - amministrativi coerenti, fortemente sostenuti ed efficacemente attuati. Questa è una premessa senza della quale la stessa politica di programmazione viene a svuotarsi, ha da apparire uno schermo dietro al quale si nasconde come può la carenza di direzione politica.
Ma essa è altresì una premessa necessaria per una consistente presenza della nostra Regione sul piano nazionale (infatti il Presidente Enrietti ha proposto una relazione sui rapporti tra la Regione Piemonte, il Governo e il Parlamento), dove stanno avviandosi procedure cooperative tra Regioni e Stato nelle quali l'identità autonomistica regionale rischia qualche volta di perdersi se non è sostenuta alla base da una chiara e vigorosa prospettiva politica.
Non è neppure il caso di sottolineare la gravità dei problemi economici, sociali ed energetici con i quali la nostra capacità di iniziativa politica dovrà confrontarsi.
La domanda di ordine istituzionale che queste premesse pongono è quella che tocca la concezione stessa del funzionamento di un'assemblea politica come quella in cui operiamo. E' a tutti noto che due sono i modelli di riferimento teorici ai quali ci possiamo ispirare ed ai quali in momenti diversi della sua vita questa assemblea in varia misura si è ispirata. Da un lato vi è la visione conoscitiva del Consiglio come macchina politica unitaria che non conosce in principio al suo interno diversità di ruoli tra maggioranza ed opposizione. Le proposte di legge e deliberazioni in questo senso giungono al Consiglio in maniera aperta, suscettibili di tutte le trasformazioni, di tutte le contrattazioni alle quali saranno sottoposte nei lavori consiliari. In parte questo ci va bene. Meglio ancora se già le proposte sono formulate sulla base di un largo consenso, di una larga consultazione tra il più largo schieramento possibile del Consiglio.
Questa è la democrazia conoscitiva.
Ciò dovrebbe consentire di superare, già dal momento dell'elaborazione delle proposte, la logica degli schieramenti, dei ruoli differenziati. In questa logica il potere propulsivo della Giunta deve cedere all'iniziativa consiliare e nei casi in cui la proposta di Giunta è indispensabile per motivi statutari o pratici (bilancio, piano di sviluppo, piano socio sanitario) si tende ad associare il Consiglio attraverso le sue Commissioni alle attività preliminari dell'esecutivo. Questa è la democrazia consociativa, alla quale noi non partecipiamo se non per certa parte, come dirò in seguito.
L'altra concezione dei rapporti politici all'interno dell'assemblea elettiva si fonda invece sul rapporto dialettico maggioranza - opposizione e questa è la nostra posizione ed è la posizione delle grandi democrazie occidentali. Tale rapporto è finalizzato alla chiarezza dei ruoli rispettivi delle diverse parti politiche di maggioranza e di opposizione e all'individuazione di una funzione di decisione distinta dalla altrettanto essenziale funzione di critica e di controllo.
Questa è la nostra posizione.
Sul piano generale si deve osservare che la logica consociativa, se portata alle sue conseguenze più diffusive, risulta contraria alle esigenze del governo per programmi poiché ogni deliberazione diviene aperta alla contrattazione caso per caso tra le forze politiche, ciò che pu compromettere la coerenza del quadro di insieme.
D'altra parte e chiaro che questo tipo di condotta assembleare risulta poi tendenzialmente chiusa alle esigenze del controllo politico ed alla responsabilità dei soggetti politici decidenti, poiché ciò presuporrebbe l'esistenza di quadri generali di riferimento al fine di valutare la coerenza delle singole scelte successive e chi ne è responsabile.
Il modello in questione rende evanescenti tutti questi contorni. A questa considerazione si deve aggiungere che la pratica degli accordi preliminari tra forze politiche fuori dello schema maggioranza - o p po siz ione, porta necessariamente alla predisposizione di testi rigidi che molto difficilmente si prestano ad un esame significativo nel suo complesso. In sostanza, il superamento dei ruoli istituzionali se rende fluidi i rapporti tra le forze politiche non garantisce affatto il potenziamento del ruolo politico dell'organo consiliare il quale, anzi, risulterebbe relegato ad un ruolo di mera registrazione.
E' frutto di una visione organicistica deteriore la concezione dell'attività politica come coinvolgimento generale in un'unica funzione di decisione. Tale visione non concede spazio alcuno alla funzione della critica e del controllo, una funzione - è bene sottolineare - che non è soltanto nell'interesse delle forze politiche di opposizione (che, se così fosse, esse potrebbero dismettere tale ruolo) è invece nell'interesse generale (anche di chi si riconosce n ella maggioranza) che una funzione di tal genere vi sia e sia svolta coerentemente.
Infine, la concezione dell'attività politica come prodotto costante di accordi consociativi aprirebbe la strada ad equivoci rapporti tra soggetti della maggioranza ed altri dell'opposizione, rapporti che potrebbero servire a forzare le situazioni all'interno della stessa maggioranza di governo. Questa potrebbe essere la premessa di uno scadimento della gestione del potere a forme di accordo occulto e politicamente irresponsabile, ma lontane nella sostanza (per quanto diverse nel segno politico) dalle degenerazioni denunciate nella prima legislatura regionale.
Quest'ultima considerazione unita alla già rilevata implicazione dell'impostazione considerata in quanto veicolo di contrattazione caso per caso, decisione per decisione, può far fondatamente temere una visione della politica di tipo essenzialmente compositivo, corporativo o spartitorio, ciò che non ha nulla a che vedere con l'auspicata iniziativa progettuale di impulso politico che in questa sede si tratta concretamente di organizzare.
D'altra parte, per quel che riguarda l'altro modello di riferimento quello proprio della tradizione parlamentare a cui noi ci riferiamo e dentro il quale ci ritroviamo, occorre rilevare che se esso risulta meno esposto ai rischi degenerativi testè denunciati risulta a sua volta carente sotto altri profili. Questo è il momento in cui la partecipazione corale deve trovare realizzazione affinché nei momenti in cui si decidono i grandi programmi la Regione, come tale, risulti attiva e protagonista. Da quel che si è venuti osservando, emerge con chiarezza l'esigenza di fondo che ci anima in questa discussione sul ruolo e sul funzionamento del Consiglio regionale, l'esigenza da un lato di predisporre un sistema di funzionamento del rapporto tra le forze politiche che apra alla massima partecipazione il momento programmativo ed ideativo eliminando le pregiudiziali che potrebbero derivare da una concezione troppo rigida del rapporto maggioranza - opposizione; ma dall'altro lato l'esigenza che la realizzazione delle scelte generali avvenga ad opera di forze omogenee fuori della contrattazione caso per caso e sotto il controllo rigoroso delle opposizioni.
In questo modo crediamo si apra la possibilità di valorizzare il ruolo politico e programmatico del Consiglio in termini di democrazia senza perdere poi in coerenza ed efficienza sul piano delle realizzazioni conseguenti.
Si può così prefigurare altresì un forte impegno sul piano delle scelte programmatiche e programmatrici da parte di tutte le forze politiche. Ecco perché noi non intendiamo presentare documenti comuni e chiediamo che ciascuna forza si esprima attraverso propri progetti, non perché vogliamo essere forza protagonista, ma perché vogliamo che ciascuno si identifichi.
In conclusione, è abbastanza chiaro che in questo modo si giunge a prefigurare due ti più di maggioranza: una maggioranza consiliare fondata sulla logica della partecipazione al momento delle scelte fondamentali, una maggioranza di realizzazione fondata sulla logica della chiarezza delle responsabilità e della omogeneità dell'azione politica nel momento dell'azione esecutiva dei programmi.
Noi vogliamo che il governo sia governo e quindi risponda di fronte al Consiglio e di fronte alla comunità e non si confonda in momenti consociativi per cui non si sa più chi è responsabile degli atti. Quindi non muoverei sempre critiche dal Consiglio al Governo per atti che magari non adempie, non programma, non attua.
Anche per ciò che riguarda il rapporto tra il Consiglio regionale e le forze sociali della collettività regionale riteniamo che debba essere svolta una riflessione attenta. In primo luogo, riteniamo che debba essere rimossa la tentazione di concepire la partecipazione in termini di coinvolgimento, che è una versione soltanto un poco edulcorata della mobilitazione. La partecipazione affinché sia democraticamente vitale richiede che si rispetti l'autonomia delle forze sociali dal momento politico organizzato, che non si veda il Consiglio regionale come l'unico luogo di espressione della comunità regionale, ma si riconosca anche a questo riguardo il pluralismo per mettere le premesse per un effettivo controllo della collettività sulle forze politiche rappresentate nel Consiglio.
Si è così molto lontani dall'indiscriminato coinvolgimento, dai discorsi fumosi sulla centralità dell'assemblea elettiva che, fuor di metafora, significano una ipervalutazione - questo giudizio deve essere interpretato per quello che è, non come una degradazione o un taglio al sistema dei partiti politici - del sistema dei partiti nel contesto politico e sociale più vasto.
Occorre riconoscere che, fermo restando il Consiglio come organo principale di espressione politica regionale, occorre rompere la visione chiusa che accentra in esso tutto ciò che vi è di politicamente legittimo.
La società è assai più ricca spesso dei sistemi e dei partiti e dunque deve essere riconosciuta per quello che essa è, magari in posizione critica rispetto ai partiti ed al luogo della loro espressione privilegiata che è il Parlamento o le istituzioni.
In questo quadro deve essere considerata l'utilità degli istituti partecipativi prima fra tutte le consultazioni che paiono oggi spesso come rituali defatiganti, ma tuttavia utili ad avvalorare l'idea del Consiglio come realtà politica assorbente o come strumenti di mobilitazione.
Occorre riconsiderare la materia nella stessa prospettiva in cui si sono formulati i rilievi che precedono in ordine ai rapporti tra le forze politiche presenti in questo Consiglio.
In primo luogo, sembra necessario distinguere la partecipazione sulle grandi scelte di indirizzo da quella sulle scelte successive di ordine attuativo che spettano al governo regionale.
Legittime e democraticamente necessarie le prime, ma non altrettanto sembra che si possa dire delle seconde che oltre ad assumere un carattere marcato di contrattazione spicciola dominata dalla logica degli interessi comportano uno scadimento di qualità dell'azione politica a vantaggio di interessi settoriali e frammentati.
Altra questione sulla quale riteniamo debba essere por tata l'attenzione del Consiglio è quella della proliferazione di enti, organismi e organizzazioni promossi dalla Regione e talora dal Consiglio, chiamati a svolgere funzioni parapolitiche. In passato si è assunto forse troppo acriticamente che la presenza di tali istituzioni sia il segno dell'apertura democratica della Regione stessa, capace in questo modo di ampi coinvolgimenti, (ne abbiamo ormai una serie numerosa, mi domando se faremo anche le consulte dei metalmeccanici e delle domestiche. Non ho mai capito perché c'è la Consulta femminile e non c'è la Consulta degli uomini.
Per me è una forma di degrado, non una forma di aiuto).
Nella passata legislatura era emersa una motivata tendenza contraria volta a mettere ordine e a contenere in limiti stretti queste strutture. Si è allora sottolineato che la gran parte delle funzioni attribuite a quegli organismi appartiene alla responsabilità delle forze politiche come tali le quali tali responsabilità devono onorare e non evitare rinviandole a commissioni, associazioni; delegando compiti a organismi settoriali di incerta natura e responsabilità. In quest'ottica deve essere ripreso il problema per arrivare a una semplificazione della situazione esistente e a una riconduzione più precisa delle attività disperse nell'ambito della responsabilità del Consiglio accanto a un censimento delle strutture che mantengono il loro obiettivo e utilità data la presenza di elementi accentuatamente tecnici nelle funzioni da esercitare. Occorre esaminare quanto vi è di superfluo e ripetitivo e quanto nell'ambito di strutture che nel loro complesso dimostrano l'utilità vi è di eccessivo invece nel senso di una dilatazione delle funzioni, della stessa composizione in una direzione politica che rischia di apparire una sovrapposizione rispetto al Consiglio.
Sul piano dell'efficienza dell'organizzazione interna sembra opportuno istituzionalizzare il rapporto di coerenza tra le Commissioni e la struttura della Giunta regionale, non per la cogestione delle funzioni tra Consiglio e Giunta, ciò che apparirebbe in contrasto con la premessa di questo discorso e con la stessa impostazione statutaria regionale, ma per rendere più preciso, competente e infine concludente il rapporto di reciproco stimolo delle due istanze regionali. E' il potere di controllo del Consiglio sulla Giunta.
Tutto ciò appare importante in sé, ma ancor più nella logica della escogitazione di nuove procedure normative che superino l'attuale rigida situazione dominata da un uso eccessivo di strumenti legislativi.
Quest'ultimo è un punto di grande importanza che è sentito come momento critico nell'organizzazione e nello svolgimento delle funzioni regionali.
La pratica seguita fino ad ora di formalizzare in leggi della Regione la stragrande maggioranza delle sue decisioni normative appare alla lunga insostenibile tanto più quanto è maggiore la consapevolezza dell'esistenza di numerosi e importantissimi settori di attività regionale nei quali non si tratta tanto di giungere a definizioni stabili di assetti o rapporti bensì si tratta di promuovere e guidare processi, di trasformazione che non possono passare se non attraverso fasi intermedie sperimentali sempre sottoposte a verifica ed adeguamenti.
Penso ad esempio al processo di ridefinizione del processo dei poteri locali in cui la Regione è fondamentalmente chiamata dalla sua posizione costituzionale di coordinatrice del sistema regionale del governo locale come è stato ribadito esplicitamente dal D.P.R. 616. La politica delle deleghe agli Enti locali è un aspetto di questo processo riorganizzativo che non può che essere condotto all'interno della logica della programmazione.
Ora, politica delle deleghe, procedure e strumenti programmatori assetto degli Enti locali sono tutti elementi in movimento che necessitano per ora non di essere fissati in punti fermi dettati dalla legislazione regionale, bensì di essere messi in movimento su binari convergenti ma sufficientemente ampi da consentire la compartecipazione in soluzioni provvisorie e sperimentali di tutti i soggetti istituzionali interessati. A tal fine, occorrerà predisporre un'attività regolatrice del Consiglio regionale che non può basarsi sulla sola legge, che ha invece di mira la definizione di scelte sufficientemente chiare e stabili. L'esigenza è che il Consiglio ponga i principi fondamentali del processo da aprire consentendo poi la libera applicazione della dinamica istituzionale all'interno di tali punti iniziali.
Un modello di riferimento potrebbe essere quello della legislazione delegata. Ahimè! Ma tutti sanno che il livello delle fonti primarie a livello regionale è chiuso, non essendo consentito alle regioni istituire altre fonti primarie diverse da quelle previste dalla Costituzione.
Non pare invece impossibile prevedere un sistema nel quale il Consiglio ponga i principi fondamentali delle materie da regolamentare e la Giunta attraverso propri atti privi di valore legislativo primario, pervenga alla regolamentazione parziale e provvisoria dei rapporti che si vanno via via costruendo. Tutto ciò darebbe una maggiore elasticità all'intervento regionale di guida in questi processi, in attesa che la situazione, una volta fosse sufficientemente stabilizzata, risulti idonea ad una formalizzazione in via legislativa.
Nell'ambito di procedure di questo genere è chiaro che occorre prevedere le forme di una presenza incisiva del Consiglio, nella fase attuativa dei principi da esso stesso posti nella legge di principio. A questo compito dovrebbero essere deputate le Commissioni consiliari competenti sulla base del modello che si sta sperimentando con successo anche a livello centrale nei rapporti normativi tra Parlamento e Governo.
Ancora una volta dunque l'accento cade sull'importanza delle Commissioni risultando confermata l'opportunità di un loro coordinamento con la struttura della Giunta e viceversa.
Noi ci opporremo sempre alle Commissioni miste, salvo quelle che trattano problemi importanti come quello dell'energia.
Un punto dolente dell'attività del Consiglio regionale, che investe direttamente i rapporti tra l'Istituto regionale e gli Enti locali minori è lo scarso collegamento con gli organi regionali di controllo sull'attività di questi ultimi. E' a tutti noto come il CORECO e le sue sezioni decentrate funzionino ad un livello difficilmente accettabile. E' del resto questo un aspetto della organizzazione regionale sul quale alcuni settori delle forze politiche centrali si stanno muovendo nella prospettiva di una riforma. Ma, per intanto, occorrerebbe potenziare gli strumenti di collegamento e coordinamento che il Consiglio ha, alla stregua dell'art. 69 della legge regionale che disciplina l'attività dei Comitati. E' troppo nota la lamentela, assolutamente giustificata, degli Enti locali, i cui atti si trovano esposti a criteri di valutazione oscillanti, da sezione a sezione, e quindi maturano l'impressione di essere rimessi all'arbitrio altrui.
Inoltre, sul piano del controllo di merito, che finora non ha funzionato, ma che pure potrebbe rivestire un qualche interesse per un ente come la Regione che vuole agire per programmi ed obiettivi, il Consiglio regionale, alla stregua dei contenuti del piano regionale, potrebbe utilmente assumere un ruolo propulsivo. E' prevalso finora un certo disinteresse tra le forze politiche sul tema dei controlli sugli Enti locali, ma è chiaro che questo è un settore sul quale si gioca in buona misura la correttezza dei rapporti tra i diversi enti che compongono il sistema integrato dei poteri locali nell'ambito regionale. Sarebbe dunque sommamente opportuno che il Consiglio affermasse anche su questo terreno la presenza di un proprio indirizzo che, salvaguardando il carattere imparziale del controllo di legittimità, non rinunciasse tuttavia a portare ordine attorno ad indirizzi unitari.
Quanto al controllo di merito, è chiaro che questo non può non essere orientato e quindi una presenza dell'organo massimo di orientamento nell'ambito regionale è ancor più opportuno e necessario.
Questi sono gli indirizzi che il Gruppo socialista delinea. S'impegna altresì in un alto rapporto all'interno del Consiglio fra le forze politiche dividendo nettamente la maggioranza dall'opposizione perché il cittadino abbia chiaro il comportamento delle forze dell'uno e dell'altro schieramento, talché appaia che questo rapporto può essere destinato a capovolgersi o a rimanere se il cittadino dà un giudizio sufficientemente chiaro dell'attività.
Questo è il modello di una democrazia a cui il Consiglio non è estraneo.



PRESIDENTE

I lavori terminano qui. La seduta riprende alle ore 15.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 13,00)



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