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Dettaglio seduta n.110 del 27/01/82 - Legislatura n. III - Sedute dal 9 giugno 1980 al 11 maggio 1985

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI


Argomento: Rapporti Regioni - Governo - Problemi generali - Problemi istituzionali - Rapporti con lo Stato:argomenti non sopra specificati

Dibattito sui problemi della Giustizia e della situazione carceraria in Piemonte (seguito)


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Prosegue il "Dibattito sui problemi della Giustizia e della situazione carceraria in Piemonte", relativo al punto quarto all'ordine del giorno.
La parola al collega Marchiaro.



MARCHIARO Maria Laura

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, nel corso del dibattito che si era tenuto un mese fa sulla questione carceraria in Piemonte avevamo espresso l'esigenza che si portasse in Consiglio regionale una discussione generale sui problemi della giustizia.
Esprimiamo dunque il nostro pieno apprezzamento per il fatto che il dibattito di oggi sia nato da interrogazioni di Consiglieri, e che la relazione del Presidente della Giunta consenta di approfondire tali temi in tutta la loro estensione.
Molto si è già detto sulla estrema gravità e drammaticità della questione della giustizia nella nostra Regione ed in genere in tutto il Paese.
Vogliamo però ribadire che le ragioni di fondo della grave crisi che investe il mondo carcerario vanno ricondotte alla politica carente e frammentaria del governo nazionale.
Tre infatti sono i motivi di fondo della crisi: il fatto che non sia mai stata affrontata in modo sistematico la questione della revisione del processo civile e penale e si siano invece sovrapposte, in modo anche contraddittorio, norme a norme, con interventi settoriali talvolta di pura emergenza o di facciata la mancata attuazione della riforma penitenziaria. La legge del '75 contiene elemento di grande novità e di rinnovamento che avevano fatto fondatamente sperare nel miglioramento dell'amministrazione della giustizia del Paese. Oggi dobbiamo però constatare che gli aspetti più qualificanti della riforma sono stati affossati i ritardi enormi negli interventi di edilizia carceraria. Nel 1971 il Governo si era impegnato a realizzare 13 mila nuovi posti in 82 nuovi edifici carcerari. Oggi, a 10 anni di distanza, non si è realizzato nemmeno il 15% del fabbisogno che allora era stato indicato come strettamente indispensabile. Il Piemonte è fra l'altro proprio una delle Regioni più disastrate in questo campo.
Ripetute indicazioni di disagio abbiamo avuto in questi ultimi tempi.
Ricordo le iniziative dei Magistrati, la protesta delle guardie carcerarie che qualche mese fa ha portato la situazione delle Nuove di Torino a livello di guardia.
Il Procuratore Generale, all'apertura dell'anno giudiziario, ha denunciato questa situazione e nel corso del Convegno dell'Associazione dei magistrati, tenutosi a Palazzo Lascaris, ha ribadito gli aspetti più gravi della crisi della giustizia.
A fronte di questo voglio ricordare anch' io quanto è stato fatto in questi anni, al di là delle competenze specifiche, da parte della Regione Piemonte e del Comune di Torino, per l'attenuazione di questa crisi.
Proprio grazie ad un impegno eccezionale degli Enti locali si è avviata la costruzione del carcere delle Vallette, si sono potuti celebrare il primo processo e i processi della primavera del 1981 alle Br; il Comune di Torino si è adoperato per il miglioramento delle condizioni del carcere minorile Ferrante Aporti.
La nostra posizione, riferita anche alla relazione che ha presentato il Presidente della Giunta, è di piena adesione alle proposte avanzate, che vogliono essere concrete per incidere in modo efficace su questa situazione disastrata.
Vorrei soffermarmi sui tre punti più rilevanti.
La questione degli organici. A Torino l'immissione di giovani laureati in Magistratura è insufficiente ed è eccessiva e troppo rapida la rotazione dei Magistrati, i quali arrivano per lo più dalle Regioni del Sud si fermano per il periodo di apprendistato e poi ritornano alle loro sedi.
Come rimediare? La proposta fatta dal Presidente della Giunta di promuovere l'inserimento di giovani magistrati, nella realtà sociale, economica e culturale della città e dell'area metropolitana attraverso corsi di formazione professionale e la creazione di una scuola-seminario ci sembra importante e qualificante, quindi è una strada da percorrere.
Il referente di questo discorso non può che essere la Facoltà di giurisprudenza. Dobbiamo però dire che questa scuola torinese è stata in passato gloriosa e di grande tradizione ma in questi ultimi anni la sua influenza e la sua importanza si sono affievolite: è una facoltà un poco appiattita. E' importante per un magistrato conoscere profondamente la realtà in cui opera e quando questa significa una grande città come Torino con la complessità dei suoi problemi sia sotto il profilo della giustizia civile che sotto il profilo della giustizia penale ciò richiede un apprendistato molto più lungo. Una scuola che porti all'approfondimento di questi problemi è quindi necessaria ed è importante avviare subito con l'Università questi rapporti.
Gli altri due aspetti che ribadisco e che avevo già evidenziato nel corso del dibattito sulla questione carceraria riguardano l'ampliamento degli organici delle guardie di custodia e la questione relativa agli alloggi per consentire alle stesse di risiedere a Torino per periodi prolungati e possibilmente definitivi.
E' una questione delicata ed essenziale per questo tipo di operatori che lavorano in condizioni particolarmente difficili e pesanti.
Vi è poi la questione delle Carceri Nuove che è già stata sottolineata nella relazione del Presidente e in alcuni interventi. Abbiamo detto unanimemente che l'obiettivo irrinunciabile è l'eliminazione delle Nuove dalla realtà torinese. Ci rendiamo conto che questo obiettivo non è possibile nell'immediato e i dati lo dimostrano: 800 posti alle Vallette nel 1984 non risolveranno il problema si un carcere che ha 1200 ospiti.
Non vogliamo però che accada, come per certi aspetti già si tende a prevedere inevitabile, che accanto alle Vallette permanga il carcere delle Nuove, perché questo è, anche in condizioni di non sovraffollamento, un carcere disumano, un carcere che non consente né ai detenuti né al personale di custodia di svolgervi una vita civile.
E' importante che la Regione possa non solo conoscere i programmi di edilizia carceraria, ma possa essere parte determinante nelle scelte che riguardano la dislocazione, la caratterizzazione, la dimensione degli edifici carcerari. Nell'incontro imminente con il Governo, che ci ha annunciato il Presidente del Consiglio, questi aspetti dovranno essere evidenziati perché non ci si ritrovi nel 1984 con due carceri a Torino l'uno con mille posti e l'altro con 800 posti.
Chiediamo di poter fare un esame approfondito dei problemi dell'edilizia carceraria in Piemonte ma anche nelle regioni vicine vogliamo approfondire i temi cella funzionalità e della sicurezza di un carcere.
Apprezziamo le indicazioni contenute nella relazione del Presidente relativamente alle sedi giudiziarie.
L'Associazione Magistrati nel Convegno del 5 dicembre aveva respinto la soluzione della pluralità delle sedi e aveva indicato la questione degli edifici come un problema urgente.
Le sedi del centro storico sono una soluzione di transizione per fronteggiare le enormi difficoltà, ma non possono essere né una soluzione definitiva né una soluzione realistica. D'altra parte non siamo neppure convinti del reperimento, che ci sembra utopistico, di aree alternative e ribadiamo invece il valore e l'importanza delle indicazioni che vengono dall'area di corso Marche, avendo presente le condizioni, che erano indicate dalla relazione del Presidente, di una globalità di intervento, di una dislocazione di altri uffici in quelle aree.
Per noi è essenziale il fatto che quella sia una strada percorribile e realizzabile in tempi prevedibili; le altre sarebbero invece soluzioni troppo lontane, che sposterebbero nel tempo la possibilità di risolvere la questione delle sedi giudiziarie.
Siamo d'accordo con il Consigliere Viglione quando chiede di affrontare in modo globale questi complessi problemi, anche attraverso lo strumento di una Commissione che veda impegnati il Consiglio, la Giunta, gli Ordini degli avvocati e dei magistrati e gli operatori del settore.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marchini.



MARCHINI Sergio

Signor Presidente, signori Consiglieri, il dibattito si sta sviluppando e quindi diventa inopportuno riproporre notizie, argomenti, cifre doglianze che ormai sono patrimonio comune di tutti.
Comincio sottolineando come al primo documento del collega Majorino non si sia risposto e come questo dimostri insensibilità della Giunta a questa problematica. Ho l'impressione, e non vorrei sbagliare e se così fosse chiedo scusa fin d'ora, che la sensibilità della Giunta si sia improvvisamente rivelata dopo che ai numerosi documenti del collega Majorino ha fatto seguito un documento del Capogruppo del Partito socialista.
Questo comportamento è estremamente grave. Se dal collega Majorino ci allontanano molte cose, sul piano politico non dobbiamo dimenticare il rispetto istituzionale che deve essere dato in questa sede a tutte le forze politiche e a tutti i Consiglieri, in particolare nei confronti del collega Majorino si aggiunge il rispetto e la stima che ha da parte di tutti noi.
Mi permetto quindi di stigmatizzare lunghezza dei tempi di esame delle varie iniziative del collega Majorino da parte della Giunta, con questo mettendo in discussione la conclamata sensibilità della Giunta e della maggioranza a questi problemi.
Il quadro politico che regge questa maggioranza non riesce a risolvere il problema delle strutture giudiziarie di Torino e lo stesso quadro politico, che regge il Comprensorio, non riesce ad aprire un dibattito su questo argomento. Quindi prima di lasciarsi andare ai trionfalismi, sarei più cauto.
Il collega Viglione ha cercato di spiegare prima a se stesso e poi a noi, se abbia senso e cittadinanza in questa sede un dibattito sulla giustizia e su una funzione che è rimasta integralmente dello Stato.
I suoi argomenti sono apprezzati e condivisi laddove dice che lo Stato o la Repubblica Italiana è un fatto organico, integrale in cui le diverse valenze politiche si fondono l'un l'altra un un processo di crescita decisionale a diversi livelli.
Il Presidente della Giunta dice che una società che non sappia rendere al cittadino il servizio della giustizia non è una società democratica e aggiungo - non è una società. Quando negli anni ormai lontani studiavano le origini della giustizia, ci spiegavano che la giustizia si è realizzata sull'orbe terracqueo quando una pluralità di individui ha deciso di vivere in comunità ; in quel momento si è costituita la giustizia che non era altro che la rinuncia da parte degli individui del potere decisionale che veniva affidato alla collettività sotto la garanzia di un principe, di un sacerdote, di un capo, di un Presidente.
Quando questo patto sociale di non aggressione l'un l'altro e di ridistribuzione dei compiti e dei diritti viene messo in discussione, non viene messo in discussione il fondamento di uno Stato democratico, ma il fondamento dello Stato in senso molto stretto.
E' vero che i fenomeni dello Stato in questo Paese sono messi in discussione dalla crisi della giustizia. Dicevamo in altro intervento che uno Stato non si giudica dall'orario del treno, ma si può giudicare uno Stato dalle cifre estremamente preoccupante che ci, dava stamattina il Presidente Enrietti quando diceva che ben 25.000 innocenti sono nelle carceri del Piemonte, visto che la Costituzione prevede che il cittadino fin quando non è condannato, è un innocente.
Per molti di questi infelici poi non arriva mai il processo perché si assiste alla resa dello Stato di fronte alla realtà rappresentata dall'artifizio dell'amnistia con la quale si svuotano le carceri. E' sostanzialmente una dichiarazione di fallimento dello Stato.
Perché questo Paese non è più in grado di rendere il minimo dei servizi che deve rendere? Probabilmente non sarebbe difficile vedere il misconoscimento della funzione della giustizia e dei valori essenziali del magistrato in certe istanze politiche e in certi comportamenti degli anni '60-70.
Comunque la politica non è né polemica dietro copia ma è proposta.
Possiamo essere tutti d'accordo di cambiare pagina conché si decida veramente di cambiare pagina.
Un'altra ragione per cui ci sembra giusto svolgere un dibattito di questo genere è che probabilmente a questo livello si può intervenire su alcuni processi di tipo culturale e politico che nel nostro Paese stanno andando avanti e che preoccupano parecchio noi liberali. Si pensa di riaprire il carcere dell'Asinara. Certo che se non siamo molto soddisfatti del carcere di Rovigo, siamo estremamente preoccupati che una società matura come quella italiana pensi di riaprire il carcere dell'Asinara.
Giornali di grande informazione, magari moderata e magari liberale ritengono che l'ergastolo non solo debba essere rimesso in discussione ma debba essere allargato ad ipotesi di reato che una cultura giuridica moderna non ipotizza.
Avremmo altro da dire per esempio in ordine della polemica sulla libertà di iniziativa del pubblico ministero che certamente sta ad indicare che è messa in discussione la ripartizione delle funzioni fondamentali dello Stato previste dalla nostra Costituzione.
Personalmente ed i liberali in genere, sono molto attenti a questo problema perché sono convinti che la società in cui vivranno le nuove generazioni avrà necessità di garanzie a lungo termine perché gli spazi di libertà dell'individuo saranno sempre più ridotti dalle esigenze funzionali della collettività.
Voglio dire che una società basata sull'informatica e sull'energia nucleare non lascerà spazio al pioniere che si va a costruire la casa nella pianura verde dei western americani.
Mi pare quindi che una presa di coscienza a livello regionale su questi problemi possa contribuire alla soluzione dei problemi che contemporaneamente possa farci tutti presenti alla tematica della giustizia come una tematica di grande civiltà e di grande libertà e non soltanto di mattoni messi in un quartiere torinese o in un altro.
Siamo ovviamente d'accordo sulla necessità di cercare strumenti che prima promuovano e radichino la classe dei magistrati legata al Piemonte per estrazione di nascita e per maggiore conoscenza dell'ambiente, del territorio e dei problemi socio-economici della nostra Regione. Sono d'accordo nelle due iniziative proposte dal Presidente della Giunta peraltro, mi permetto di fare alcune considerazioni marginali.
Un corso di preparazione per aspiranti giudiziari è un'ipotesi interessante e affascinante. Teniamo presente che questo comportamento probabilmente dovremmo successivamente e consequenzialmente tenerlo nei confronti di altre categorie di operatori pubblici, per esempio, ai procuratori delle imposte.
Il ritardo del processo fiscale è anche condizionato dalla continua mobilità dei funzionari delle Imposte dirette, e comunque dei funzionari dello Stato in generale, che raramente sono estratti dall'ambiente piemontese.
Se facciamo questo sforzo nei confronti dei magistrati prepariamoci a farlo nei confronti di tutti quei settori della pubblica amministrazione nei quali riteniamo che la collettività abbia interesse ad avere funzionari stabili ed espressione della cultura piemontese.
Questa mia preoccupazione si trasferisce poi laddove andiamo a parlare di un seminario per magistrati che finirà per essere un istituto.
Vorrei capire che cos'è questo Istituto. La collega Marchiaro ha dato una sua prima interpretazione di che cosa dovrebbe essere, quindi un suggerimento. Ha visto come scopo di questo Istituto per magistrati la necessità, il fine di avere magistrati che abbiano maggiore conoscenza della complessa problematica dell'area metropolitana torinese.
Che cosa vuol dire questo? Essere più disponibili a dare attenuanti a certi fenomeni che hanno una loro giustificazione in un ambiente, in una storia, in una realtà? A me sembra una cosa molto diversa. La nostra realtà produce sul piano penale e sul piano civile fenomeni giuridici che hanno bisogno di una particolare capacità professionale per essere affrontati. Ho l'impressione che il fenomeno, per esempio, delle multinazionali della vicenda Rizzoli, producono situazioni di reato per molti versi addirittura difficili da ipotizzare, hanno necessità per essere governati e vigilati da una classe di magistrati che questi problemi li conoscano.
Difficilmente questi problemi li hanno conosciuti frequentando, per esempio, l'Università di Marsala e probabilmente non li conosceranno nemmeno frequentando l'Università degli Studi di Torino. Quindi, a mio avviso, questo Istituto deve essere di grande levatura scientifica e culturale. Guarderei con molta preoccupazione che si tendesse a fare di questi seminari un momento di maggior radicamento e conoscenza della realtà intesa in termini sociologici. Qui si parla di problemi scientifici e culturali, non si parla di problemi sociologici e politici. Su questo starei molto attento perché ho anche l'impressione che gli organismi ai quali ci rivolgiamo, le associazioni dei magistrati e degli avvocati e l'Università, sarebbero in grave imbarazzo qualora dall'istituzione non venisse dato un messaggio preciso, significativo, ma soprattutto molto trasparente e molto chiaro che non sia un ennesimo tentativo di coinvolgere il potere giudiziario in un terreno che non gli compete, come si è fatto negli anni passati salvo poi da parte delle stesse forze politiche lamentare la politicizzazione della Magistratura e chiedere che la magistratura, in quanto politicizzata, entri sotto il governo dell'esecutivo. Rifiutiamo questa logica e diciamo che la Magistratura resta indipendente, il pubblico ministero resta indipendente.
Facciamo atto di autocritica e diciamo che, per ottenere questo, non dobbiamo coinvolgerli in fenomeni di politicizzazione.
Molti magistrati sono stati premiati in termini di carriera per la loro collocazione politica.
Hanno occupato le prime pagine di molti giornali anche se sono passati alla storia del diritto soprattutto come estensori con mandati di arresto conseguenti a sentenze istruttorie mandate completamente nulle nelle sedi superiori.
Quanto alla sede giudiziaria abbiamo da esprimere dei dubbi.
In primo luogo richiamiamo le forze politiche di maggioranza che non hanno affrontato il problema nelle sedi competenti, che sono il Comprensorio e la città di Torino. Che il Comprensorio di Torino arrivi buon ultimo all'appuntamento del piano territoriale di coordinamento è un fatto che si qualifica già di per sé, ma che la Città di Torino non abbia preso una decisione e non abbia neanche prodotto materiale per la nostra riflessione è un fatto estremamente grave.
Non posso non condividere con il Presidente della Giunta e con i colleghi sulle caratteristiche positive e negative delle ipotesi che sono state ventilate, sui tempi lunghi e sull'irrazionalità qualora si rimanga nel centro storico, sulle incertezze e sui tempi non brevi qualora si vada ad utilizzare un'area che dovrebbe essere liberalizzata o da un'industria o da altre strutture, sui tempi brevi e certi per la soluzione Aeritalia.
Costruire una città giudiziaria alla periferia di Torino crea, a mio avviso, grossissimi problemi, soprattutto pone l'interrogativo generale sul centro storico della città di Torino. Posso capire che intorno alla cittadella giudiziaria (80.000 mq) venga anche posizionata la cittadella degli uffici finanziari e magari un certo tipo di terziario, diciamo per che l'attività giudiziaria e gli operatori di giustizia vivono a contatto con tutte le altre realtà che non sono velocemente trasferibili nella periferia.
Come può un avvocato con lo studio in periferia ricevere i clienti costringendoli a trasferirsi in periferia partendo dal centro di Torino? Teniamo anche presente che oggi l'avvocato non vive la sua vita come la viveva nei tempi eroici e in qualche misura romantici in cui viveva dietro una scrivania e i clienti facevano la coda in anticamera; l'avvocato moderno vive nei luoghi della vita attiva della società moderna, vive nei consigli di amministrazione, nei collegi sindacali, nelle compagnie di assicurazioni e in tutti i momenti cruciali della vita della città.
Per esempio, l'avvocato che si occupa di sinistri stradali come può in una sola giornata contattare più di una compagnia di assicurazione? Non vorrei farmi carico di un tipo di lagnanza e di riserva che pu sembrare corporativista. Certamente le preoccupazioni dei magistrati torinesi debbono essere tenute nel dovuto conto.
Perché queste questioni non possono essere prese in esame a tempi brevi? Le ragioni sono di tipo politico. L'amministrazione comunale di Torino deve affrontare un progetto speciale come quello delle strutture giudiziarie dovrebbe avere agilità, volontà e flessibilità politica, quindi intelligenza politica.
I magistrati non riescono a capire perché non si ipotizza una struttura completamente nuova, magari con qualche innovazione dal punto di vista verticale nella prima cintura o nella prima corona rispetto al centro storico. L'amministrazione comunale di Torino, che litiga sul tempo libero sulle gite che fanno i cittadini delle Vallette in quel di Cogne certamente avrà molte difficoltà ad accedere ad un progetto innovatore elastico e libero di pregiudizi in senso logico.
Il Tribunale nel centro della città è un problema, quindi lo si porta fuori, non è più un problema perché si prende un grande prato che qualcuno ha lasciato libero, si fa un bel disegno e si realizza la struttura, senza pensare ai problemi indotti e ai disastri che si andranno a creare nel centro storico.
Il Consigliere Astengo ci spieghi che cosa diventa un centro storico se si espellono il tribunale e i servizi.
Che senso ha dire che la città giudiziaria deve andare fuori dalle mura della Città e che gli uffici della Regione che è un servizio agli amministratori deve rimanere nel centro di Torino? A me sembrerebbe più normale che la Regione venisse localizzata sulle grandi arterie di comunicazione. Mettiamoci d'accordo. Non continuiamo ad acquistare immobili nel centro di Torino per la Giunta regionale e dire che gli uffici giudiziari vanno decentrati per le stesse ragioni. Ci vuole un minimo di coerenza e un minimo di equilibrio.
Non faccio carico di questi problemi più di quanto dovuto a questa Giunta. Devo però rilevare che anche questo dibattito indica come le maggioranze, che si sono istituite nel Comprensorio, nella Regione e nel Comune rivelino ogni volta che si va un po' più al di là dell'aspetto meramente rappresentativo e si entra nel vivo delle questioni, che non hanno il coraggio di affrontare i problemi e quando li affrontano, non hanno un quadro di programmazione generale.
Non vorrei che mi si portasse in ballo la questione delle autonomie perché altrimenti metterei in discussione il principio che comunque il governo della collettività avviene attraverso un processo integrato e complesso, che vede presenti i Comuni, la Regione, lo Stato.
Dobbiamo essere in grado di inventare e governare questo processo globale integrato.
Concludo dando l'assenso alle proposte della Giunta pregandola di voler considerare le preoccupazioni e le perplessità che ho illustrato.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Mignone.



MIGNONE Andrea

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, dibattito sui problemi della giustizia è opportuno per sottolineare l'importanza, il ruolo della giustizia in un sistema democratico in evoluzione con tutti i problemi che ad essa sono collegati. Tra i più gravi vi è quello del terrorismo e dell'espandersi del fenomeno della droga. Non è questa l'occasione per approfondire su come la Magistratura possa essere meglio attrezzata in termini di disposizioni legislative e procedurali o di organici per affrontare i due cancri più maligni della nostra società né è la sede per dilungarci sui problemi della sicurezza personale dei cittadini, sulle riforme "in itinere" per i procedimenti giudiziari, sulla efficacia delle recenti norme per l'amnistia, sulla sicurezza e le condizioni di vita nelle carceri. Sarebbe pure interessante approfondire il ruolo svolto dalla Magistratura piemontese in processi importanti nella dinamica sociale ed economica del nostro Paese, quali quello per le frodi petrolifere, per il contrabbando delle carni e del burro, esperienze da cui credo discende l'esigenza di un aggiornamento e di una maggiore qualificazione a fronte di reati per certi aspetti e per certi modi nuovi.
Le istituzioni debbono annettere importanza a una funzione certa e celere della giustizia, moderna ed efficiente cui occorre assicurare condizioni di lavoro adeguate e dignitose.
A questa Regione va riconosciuto che ha cercato di affrontare le questioni di sua competenza, di aver fornito indicazioni e aiuti per quanto possibile. Questa attenzione si è da ultimo concretizzata attraverso la Presidenza del Consiglio regionale nel convegno del 5 dicembre scorso.
Certo non bastano le petizioni o il riconoscimento del tributo pagato dalla Magistratura nella ricerca della verità e nel contribuire a difendere le condizioni di libertà dei cittadini.
Sempre più gli operatori manifestano insoddisfazione e disagio denunciano l'avvio progressivo verso la paralisi della giustizia, avvertono sulle carenze: fatti del resto evidenti dal numero di controversie dipendenti, dai tempi più lunghi necessari per giungere alla definizione dei procedimenti. Qui si innestano i problemi urgenti sottolineati in questo dibattito che riguardano il personale e la situazione delle sedi giudiziarie.
Enormi carenze di personale e vacanze di organici sono i due aspetti fondamentali sia per i magistrati che per il personale ausiliario non solo a Torino, dove il fenomeno è drammatico ma anche in altre sedi, per esempio in quella di Alessandria dove vi è assoluta insufficienza di organico ad ogni livello, dai magistrati ai cancellieri, ai coadiutori, e in altri tribunali, le cui relazioni ci dicono che non versano in migliori condizioni.
Condividiamo le proposte avanzate dal Presidente della Giunta, i suggerimenti per cercare di contribuire, unitamente a provvedimenti di competenza statale, a superare questa condizione, proponendo la regionalizzazione per certi concorsi e cercando di rendere più gradite le sedi della nostra Regione.
Particolare importanza annettiamo ai seminari di formazione e ai corsi di formazione professionale specie per segretari e coadiutori. L'unica questione sarà forse quella del riconoscimento giuridico dell'attestato nella possibilità di partecipazione alle selezioni e ai concorsi.
Un ruolo importante può giocarlo l'Università. Non condividiamo del tutto le indicazioni del Consigliere Marchiaro quando parla di appiattimento della Facoltà di giurisprudenza. Certamente occorre che quella facoltà si apra di più e meglio alla società.
E' peraltro una facoltà che annovera tra i suoi docenti illustri professori.
Il caso del prof. Conso ultimamente elevato al rango di componente della Corte Costituzionale è da questo punto di vista emblematico.
L'altro nodo centrale è quello delle sedi giudiziarie, per le quali non è possibile ulteriormente tergiversare,ma è opportuno prendere una decisione definitiva e chiara, anche con gradualità e pluralità di interventi.
Il problema va affrontato in un quadro complessivo per la città e per l'area immediatamente a ridosso di Torino; va quindi legato alle scelte urbanistiche nel settore industriale della Fiat e delle altre industrie e nel settore dei servizi.
L'attuale dislocazione degli uffici giudiziari è inadeguata e comporta contrattempi, ritardi, addirittura mortificazione per gli stessi operatori.
Le strade percorribili sono tre. L'ipotesi di mantenere gli uffici giudiziari nel centro cittadino in una unica sede moderna e più suggestiva ma è probabilmente impraticabile per una varietà di ragioni. Occorre intervenire urgentemente sugli edifici attualmente a disposizione come è stato opportunamente ricordato nella relazione del Presidente.
Riteniamo tuttavia che la soluzione definitiva sia perseguibile nell'area di corso Marche, purché questo intervento rientri in un quadro integrato di azioni e sia tale da creare un polo organizzato di servizi che non veda il palazzo di giustizia come un isolotto sperduto ed irraggiungibile. Ciò richiede un piano complessivo di interventi, dalla viabilità e dai servizi, alla previsione di uffici per magistrati ed avvocati, agli alloggi: un quadro programmatico, cioè complessivo di interventi per un uso integrato dell'area, integrata ed integrante della città. Ciò si inserisce anche in una diversa filosofia del piano territoriale volto non solo a privilegiare la direttrice Torino-Rivoli, ma ad uno sviluppo equilibrato di tutta l'area attorno alla città di Torino e quindi anche verso sud-ovest in un disegno complessivo di piano territoriale riequilibratore.
E' peraltro una questione su cui avremo modo di discutere più ampiamente in sede di esame del piano comprensoriale di Torino.
Né va dimenticata l'edilizia penitenziaria. Ci auguriamo che sia rapidamente agibile il nuovo carcere delle Vallette che, anche a pieno regime, non è ancora sufficiente a soddisfare le esigenze. Siamo anche d'accordo sul potenziamento dell'edilizia carceraria nelle aree decentrate.
Su questo però a nostro avviso occorre sempre far crescere l'opinione pubblica favorevole e occorre comunque un maggior coinvolgimento degli Enti locali nelle scelte di localizzazione. Il recente caso di Tortona con l'opposizione alla costruzione di un nuovo carcere può essere significativo anche al fine di evitare facili strumentalizzazioni. Mentre, per altro verso, andrebbe maggiormente valutato il rischio di inviare detenuti particolarmente difficili, pensiamo ai brigatisti in particolari, in carceri ubicate all'interno dei centri cittadini dove la sicurezza non è garantita neppure dalle eventuali ristrutturazioni. E' il caso di Alessandria, che già agli inizi del 1970 fu teatro di tragiche vicende e il caso di Rovigo che ha ulteriormente allarmato i cittadini per il fatto che nel carcere di Alessandria vi sono dei brigatisti o presunti brigatisti.
Non va trascurata l'esigenza segnalata per il materiale e le attrezzature a disposizione del personale. Anche qui occorre segnalare l'opportunità di un più ampio ricorso alle tecnologie elettroniche, alla meccanizzazione delle procedure e alla memorizzazione delle sentenze negli archivi sull'esempio di quanto è stato fatto dalla Corte di Cassazione.
Ci auguriamo che dal dibattito nasca la possibilità di rappresentare le indicazioni agli enti e agli organismi preposti, esplorando la possibilità di trovare dei modi di collaborazione e di studiare assieme al mondo della giustizia soluzioni per le quali la Regione abbia possibilità di intervento. Condividiamo la proposta del Capogruppo socialista Viglione.
Solo così potremo aiutare la giustizia a svolgere fino in fondo il proprio ruolo.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Picco.



PICCO Giovanni

Le polemiche e le reiterate posizioni dialettiche sulle strutture edilizie giudiziarie possono essere ridimensionate leggendo la relazione del Procuratore Generale della Repubblica di Torino resa in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario 1982.
Non mancano le denunce dei ritardi, ma un complesso di opere e di progettazioni in corso testimoniamo un processo di adeguamento in atto che non deve né ritenersi volto a risolvere problemi e esigenze di immediata prospettiva né essere elusivi rispetto alle problematiche che sono sottese.
Non voglio affrontare il complesso nodo delle trasformazioni delle strutture giudiziarie connesse alle riforme procedurali e legislative sulle quali si soffermerà maggiormente il collega Paganelli. In questi ultimi anni più di una volta ci si è soffermati in dibattiti e in convegni su problemi per i quali anche più di una volta mi è toccato in sorte di doverne parlare ed acquisire quindi i necessari aggiornamenti, innanzitutto come amministratore pubblico e poi come coadiuvante di laureandi che affrontavano il problema della progettazione di strutture giudiziarie nella nostra città.
Combattuto fra il costante dilemma di riutilizzare l'esistente e la radicale innovazione che viene costantemente offerta ed in molti casi imposta dai nuovi criteri funzionali e dalle tecnologie in evoluzione possiamo comunque dire che la complessità dei problemi da affrontare e i nuovi rapporti che si sono posti a difesa delle istituzioni, a difesa delle libertà costituzionali come la lotta al terrorismo e i sempre più diffusi comportamenti asociali hanno posto in discussione non solo e tanto la inadeguatezza funzionale quanto la dimensione strategica legata a determinati condizionamenti di tipo urbanistico.
L'insorgere di una vertenza politica oggi, credo che sia oggetto di grandi rilievi per riscontri di efficienza del sistema giudiziario da un lato e di sicurezza per gli operatori dall'altro, ma anche per il ruolo che tali strutture sono destinate ad assolvere per le garanzie istituzionali comunque mai astratte dal contesto socio-culturale, economico, operativo esistente nella realtà piemontese.
Mi piace qui riprendere, da un documento del dicembre 1980 della DC torinese, la definizione che veniva data delle strutture giudiziarie: "In una società pluralistica, garante - si diceva non tanto e solo del potere costituito, quanto degli stessi patti sociali che consentono, regolano diritti e doveri della convivenza civile".
Orbene, riteniamo che da tali definizioni derivino delle implicazioni di carattere urbanistico oltre che culturale e, perché tali possano essere in termini ubicazionali, debbano essere tenuti in evidenza i significati ed i caratteri delle strutture urbane, esprimendo le strutture giudiziarie significati quindi che sono anche ideologici, tali cioè da condizionare sistemi di relazioni tra il cittadino e le strutture pubbliche e di servizio, tra il cittadino e le strutture amministrative, istituzionali e rappresentative in genere dello Stato.
Non siamo così semplicistici da voler confondere tale centralità di relazione con la centralità urbana tradizionalmente intesa. Ma non possiamo nemmeno ignorare, e credo che il richiamo debba essere fatto con un certo senso di responsabilità, quella che è la realtà europea della città e la funzione di centralità delle città nella realtà europea, ivi compresa la realtà torinese. Ma non possiamo accettare il ribaltamento in termini di riorganizzazione e di ricomposizione di queste relazioni astraendo dal come queste si sono andate consolidando, si sono andate rafforzando nelle aree centrali determinando delle ormai insostituibili relazioni.
Già il collega Marchini si è argutamente soffermato esemplificando taluni di questi rapporti, non vogliamo ridurli ad una mera giustificazione di natura esattoriale o professionale, però non vi è dubbio che esistono dei rapporti che, al di là degli operatori, investono il cittadino, sui quali la cultura di oggi non abbia rinnegato l'opportunità di farle salve in tutta la loro evidenza e in tutta la loro significatività.
Il richiamo a quel documento che ho citato mi esime dal riprendere tutte le considerazioni critiche che su tali temi sarebbe necessario svolgere, a fronte dei più generali obiettivi che intendono privilegiare comunque una maggiore articolazione delle funzioni sul territorio e di tutto ciò che è connesso al decentramento in quanto tale, come condizione di riqualificazione di certe aree.
Il confronto su questi temi è in atto con le proposte del primo piano territoriale e noi intendiamo collocare questa nostra posizione su questo specifico problema delle strutture edilizie giudiziarie come contributo rispetto a quello che speriamo dica quello schema di piano territoriale.
Purtroppo finora documenti che, nonostante la diversa articolazione e definizione dei determinati ambiti di aree territoriali oppure di aree strategiche, finiscono per dire tutti quanti le stesse cose; purtroppo nonostante il tempo che sta passando non si approfondiscono i contenuti della localizzazione delle strutture terziarie, non si dice quali debbano essere le strutture terziarie e quali ruoli debbano avere.
Questo è il momento di confrontarci andando a prospettare ipotesi di riorganizzazione territoriale che siano funzionali alla prospettiva socio economica che si va delineando agli investimenti che sono fattibili, alle soluzioni concrete che si possono delineare.
In questa sede la valutazione politica nostra a favore di una permanenza e di una articolazione delle strutture giudiziarie delle aree centrali del centro storico o in alternativa ad aree limitrofe è ancorata alle seguenti considerazioni che cercherò di esporre brevemente: 1) non è dimostrata l'indifferibilità nell'ineluttabilità di mega strutture giudiziarie monolitiche su di un'unica area 2) la dinamica dei rapporti interni funzionali di queste strutture, pur comportando esigenze di netto superamento, non ne escludono assolutamente il recupero. Queste strutture edilizie tradizionali sono ben lungi dall'essere buttate come inutilizzabili per queste funzioni. Certo richiedono adeguamenti e che alcuni esempi significativi di recupero sono già stati realizzati. Quindi non ne escludono il recupero né prefigurano contenitori o aggregazioni di spazi funzionali non realizzabili in aree centrali. Non è richiesto il grattacielo - siamo d'accordo - ma non sono nemmeno richiesti volumi interni paragonabili a sale di spettacolo o a sale di grandi riunioni, quindi sono volumi edilizi articolati e realizzabili in superfici delle aree centrali (100 mila metri quadrati).
Credo di dover demitizzare il discorso che le strutture giudiziarie nelle aree centrali comporterebbero l'esclusione degli abitanti.
3) Il corretto recupero di funzioni terziarie pubbliche nelle aree centrali (quando si dice "recupero" non si parla di aggravio, quindi non si tratta di aggiungere funzioni a funzioni, quindi di creare a congestione ulteriore congestione) corrisponde ad un obiettivo di umanizzazione e di socializzazione che è pressoché insostituibile per le aree centrali. Vorrei essere smentito se così non è. La residenza e le strutture di servizio al terziario privato si integrano e si esaltano ambedue però quando le sole residenze o le sole strutture terziarie private rimangono in aree separate e in settori separati. Certo queste, di per sé, ghettizzano l'uso dei contenitori edilizi pensanti a volte o costruiti altre in funzione di tale integrazione e non già come astratte specializzazioni formali. E' il caso tipico delle strutture edilizie del centro di Torino le quali avevano di per sé, per L'acculturazione che è derivata quando Torino fu capitale del Regno Sabaudo e del Regno d'Italia questa capacità di recepire e di ospitare ai piani nobili e ai piani bassi strutture di tipo terziario per allocare nei piani superiori strutture residenziali, che comunque queste possono essere recuperabili ad usi terziari.
4) La scelta di destinare risorse - ed entriamo nel merito più politico generale rispetto a scelte che si intendono delineare 'in chiave territoriale - a tali strutture non deve essere il supporto per giustificare o legittimare altri investimenti di risorse a sostegno di attività private. Credo che tutti capiscano a cosa mi sto riferendo soprattutto per quanto riguarda la legittimazione dei contenuti relativi alla terziarizzazione dell'area di Collegno.
Nell'attuale difficile congiuntura economica i 50 miliardi stanziati dallo Stato possono essere sufficienti per integrare gli investimenti in corso e giungere nei prossimi 5 anni a un buon livello di razionalizzazione. Però la stessa cifra deve ritenersi raddoppiabile - come ha già accennato il collega Viglione - io dico triplicabile almeno per quanto attiene alle sole urbanizzazioni primarie e secondarie e non a quelle indotte, per quanto riguarda la sola struttura giudiziaria, su aree esterne. La scelta di Collegno è per noi sbagliata ed improponibile in un contesto privo di riferimenti, di relazione, di collegamenti attuati sia in termini di trasporto pubblico, sia in termini stradali, in mancanza di quelle strutture amministrative che tutti hanno indicato come essere comunque indispensabile supporto di corredo rispetto alla giustificazione di tale insediamento.
Non v'è dubbio che tutti i carichi di investimenti e di urbanizzazioni nel caso in cui si andasse in questa direzione, devono dare per scontata la destinazione di risorse pubbliche locali per le urbanizzazioni quando in realtà l'insediamento, o nelle aree centrali o nelle aree limitrofe a quelle centrali, sono ormai in stato di completa urbanizzazione e quindi non richiedono certo questi aggravi a carico degli Enti locali.
5) Tali investimenti contraddirebbero poi macroscopicamente tutti i principi di programmazione delle risorse e di destinazione agli obiettivi prioritari che sono stati ampiamente enunciati nel primo Piano di sviluppo soprattutto nella direzione del privilegio della qualità della vita, quando è noto che tale qualità deve essere prioritariamente recuperata nelle aree centrali con scelte e con investimenti e non solo a parole. Se occasioni come queste delle strutture giudiziarie non vengono colte per realizzare parcheggi e per realizzare condizioni di accessibilità diverse all'indiscriminato uso dell'auto, a volte capezzale a volte al talamo dell'utente, mi chiedo quando mai si presenteranno ancora queste occasioni per potere attuare nelle aree centrali gli investimenti consistenti che quindi risolvono i nodi che la civiltà moderna ha posto, ma che comunque sono anche oggetto dell'impegno ripetutamente offerto solo a parole che poi di fatto non tradotto in atti concreti.
Richiamiamo questo giudizio critico degli amministratori in un quadro che non può collocare queste scelte in un contesto di settorialità e quindi di dispregio di principi e di obiettivi che si intendono perseguire sul piano generale.
6) L'amministrazione di centro sinistra di Torino ha lasciato nel luglio 1975 un patrimonio di progetti di realizzazione avviate cui non è seguita, nei 7 anni successivi,alcuna alternativa di fondo dalla variante 16 del '73 ai piani particolareggiati che investivano anche questo problema adottati nel 1975, che affrontavano specificatamente nel merito questi problemi, abbiamo assistito da questi atti, per spirito di pura contraddizione che non per convinzione e per reale giustificazione, ad un infossamento delle decisioni che si allinea con l'infossamento tipico delle decisioni di non realizzare la metropolitana sotterranea, comunque di non realizzare determinate infrastrutture che tutti invocano come assolutamente necessarie delle quali tutti vorrebbero avere la paternità immediata delle realizzazioni.
Queste scelte sono maturate in coerenza, sono perseguite con coerenza rispetto agli investimenti che in questi ultimi anni si è dovuto constatare essere necessari in merito alle acquisizioni, in merito ad alcuni adattamenti che sono in atto? Pensando poi a tutte le compromissioni che questi tipi di atteggiamenti determinano anche rispetto ad aree e a contenitori, come quello dell'ex ospedale psichiatrico, che invece era una delle soluzioni di aree da noi indicate nel nostro documento e che continuiamo ad indicare come ottimale, sia per ubicazione, sia per centralità sia per possibilità di risolvere tutti quei problemi di accessibilità, di parcheggi, sotterranei, o al limite anche non sotterranei che sono necessari in questi casi. Certo, che se i comportamenti sono conseguenti solo allo spirito della contraddizione e poi se ne vuole far derivare da questi degli atteggiamenti coerenti in termini di programmazione i risultati sono quelli che sono.
L'area di Via Giulio è un'area che aveva tutte queste possibilità, di fatto viene sprecata destinandola oggi a delle imprecisate destinazioni di tipo pubblico, ma senza una precisa strategia né in rispetto alle strutture pubbliche e amministrative degli Enti locali né rispetto alle strutture giudiziarie.
7) La rilocalizzazione delle strutture giudiziarie non può quindi essere oggi assunta con disinvoltura e con incoerenza rispetto ad altre decisioni e con la facilità di spesa che è stata tipica della seconda legislatura regionale, che è nella testimonianza e rispetto ai nostri occhi e rispetto alle nostre constatazioni, ne abbiamo parlato anche questa mattina rispetto ad un tipo di struttura che non è ancora riuscita a decollare, però rendiamoci conto che ci stiamo avviando verso una congiuntura finanziaria e di disponibilità di risorse dove tutti questi miliardi che sono stati qui enunciati come necessari a sostenere determinati tipi di investimenti, non so dove andremo a prendere. La localizzazione di Collegno non è solo un lusso e non è solo uno spreco in questa situazione, ma certo è una scelta politica che non mancheremo oggi e domani, non noi forse altri, di additare come tipica di un condizionamento a logiche partitiche e a volte clientelari non meglio definite.
Non possiamo quindi essere d'accordo che questa possa essere, oggi nella congiuntura attuale e nella fase di possibilità realisticamente offerta dalle nostre risorse regionali, una scelta urbanisticamente e strategicamente corretta sul piano politico.
Noi quindi richiamiamo il documento che è stato reso noto nel dicembre 1980 per quanto attiene alla soluzione delle strutture sia nella sua articolazione relativa al cosiddetto complesso degli uffici del civile, sia per quanto attiene alla soluzione del penale, che proponevamo allora e ribadiamo oggi essere benissimo ubicabili, l'uno nell'articolazione attorno alla Curia Maxima, l'altro nell'articolazione attorno all'Istituto psichiatrico femminile di Via Giulio, quindi non scendo nel merito dei metri quadri e dei metri cubi che sono necessari perché questo fa parte di dati che sono agli operatori ampiamente noti e che i colleghi si possono facilmente documentare.
Non possiamo però non richiamare la posizione degli operatori che sono stati ampiamente sollecitati a più riprese quasi che riconvocandoli per fasi successive fosse possibile far loro modificare opinione: abbiamo assistito a riunioni promosse prima dall'associazione A, dall'associazione B, poi dalla sigla A e B in modo da costringere questi operatori. E' chiaro che questi operatori sono al punto di un'estenuazione di sollecitazioni e quindi costretti a dover dire "fate quello che volete purché lo facciate": questo è il tipo di atteggiamento che si è creato nell'opinione pubblica non solo degli operatori ma anche del cittadino.



VIGLIONE Aldo

Tu sostieni la tesi degli avvocati.



PICCO Giovanni

Non sostengo la tesi degli avvocati, dico che gli avvocati oggi sono al punto dell'esternazione rispetto alla possibilità di esprimere liberamente il loro giudizio perché si trovano di fronte a prese di posizione negative contro il decentramento e dopo aver espresso disponibilità a ricercare nelle aree immediatamente limitrofe queste soluzioni, è chiaro che si arrendano e dicano: purché si faccia qualche cosa. Questa possibilità di ricercare altro non vuole essere perseguita quando, ad esempio, nelle aree limitrofe al centro storico dell'ex centro direzionale si renderanno disponibili prossimamente aree per quanto riguarda il carcere delle Nuove l'area Westinghouse, la Caserma Poniani, di fronte all'ex Caserma Cavalli quindi è possibile quel richiamo che Viglione faceva alle aree industriali dismesse prossime al centro storico, ovviamente ricercando una localizzazione concentrata perché non se ne può pensare ad una struttura alla Nebiolo ed un'altra nell'area della Westinghouse. Bisogna su questo avere un minimo di consequenzialità.
Con questi sette punti pensiamo di essere stati sufficientemente chiari, non attribuiteci responsabilità di ambiguità. Siamo nettamente contrari alla posizione esterna e ci muoveremo anche nelle dovute sedi politiche - a livello nazionale per contrastare decisioni che comportano di fatto uno sperpero di risorse ed un tipo di soluzione urbanistica che non condividiamo.
Per quanto attiene alla posizione della Regione abbiamo sentito questa mattina, dalle parole del Presidente della Giunta, la collocazione ancora abbastanza morbida della Giunta su una problematica di questo tipo sulla quale pensavamo che dopo le lunghe attese di sollecitazioni che sono venute da dibattiti, da pronunciamenti, da indicazioni, anche da scelte che sono state operate, vi fosse da parte della maggioranza e della Giunta una posizione molto più certa e molto più precisa. Questa posizione più certa e più precisa non la rivendichiamo tanto in ordine alle decisioni subite, ma la indichiamo nella direzione delle decisioni volute e quindi delle decisioni che sono oggetto di comportamenti conseguenti per quanto riguarda le certezze sulle realizzazioni che vi saranno e in quali tempi vi saranno sulle infrastrutture, sui trasporti; in termini di certezza per quanto riguarda le risorse che si intendono rendere disponibili in termini di programmazione; in termini di certezza sui finanziamenti che si intendono destinare per un'operazione di questo tipo. Perché se i 50 miliardi arrivano e non volete collocarli nel deserto di Collegno dell'area del campo volo è chiaro che a questo punto ne debbono conseguire delle decisioni di investimenti finanziari che non sono disponibili e non so dove possono essere reperiti.
Venendo al problema delle carceri, il nostro partito è favorevole allo smantellamento delle Nuove. Da tempo si è battuto per costruire il nuovo Carcere alle Vallette e quindi punta su questa ipotesi non solo in termini di riqualificazione del modo d'essere di queste strutture ma anche in funzione di quelle prospettive che sono delineate nella relazione del ministro Darida che ci è stata allegata e resa nota questa mattina e che prefigurano un sistema di sostanziale modificazione anche del rapporto di queste strutture rispetto al territorio.
Il criterio della sedimentazione prefigura un complesso di 600 strutture, addirittura una ogni 13 Comuni, che ovviamente dovrebbe investire anche l'area torinese, ricreando delle condizioni di rapporti tra i detenuti ed i familiari che, se sono legittime in altre aree, non si vede perché non lo debbano essere anche nell'area torinese. Quindi l'ipotesi di avere assolto a tutti gli obblighi e doveri in termini di strutture giudiziarie nell'area torinese non si risolve solo con il Carcere delle Vallette. Mi spiace dirlo, ma su questo dobbiamo avere chiarezza tutti quanti: la detenzione, che noi auspichiamo sia sempre meno commista tra gli innocenti e i non innocenti in un unico carcere e poi queste strutture più articolate sul territorio sulla semi-detenzione. Questo dovrebbe prefigurare la soppressione delle carceri Nuove sulle quali siamo ampiamente d'accordo.
La prospettiva che viene delineata anche nelle relazioni del Procuratore generale di fatto testimonia che su questo piano ci si sta muovendo, quindi dobbiamo dire come giudizio politico che determinate iniziative di marca scandalistica o di denuncia dovrebbero essere riconsiderate in funzione di ciò che si sta facendo e di come la situazione si va evolvendo.
Riteniamo che su questo piano vi siano ancora dei vuoti da colmare, ci sono stabilimenti giudiziari anche in Piemonte in stato di realizzazione ma con tempi di realizzazione ancora eccessivamente tardi, ricordo quello di Biella che è stato ampiamente sollecitato dalla nostra amministrazione comunale e che, a giudizio del Procuratore Generale della Repubblica dovrebbe avere conclusione entro l'anno 1982 e individuiamo quindi in questa direzione l'esigenza anche di un impegno da parte della Regione per programmare e per sostenere lo sforzo che gli Enti locali vanno svolgendo per consentire l'insediamento di queste strutture, sulle quali pendono problemi di organizzazione territoriale, di modificazione, a volte di allargamento degli strumenti urbanistici, ma pendono anche problemi di risorse finanziarie da destinare per quanto attiene all'urbanizzazione o alle opere connesse. Se c'è impegno da parte della Regione su queste cose deve essere concretamente dimostrato in atti concreti amministrativi giuridici e, quando necessario, finanziari per sostenere questa posizione.
Penso che il dibattito di oggi metta in condizione le forze politiche di capire qual è la loro posizione però che esistono ancora larghi margini di approfondimento e di verifiche da operare perché si possano dire concluse certe scelte e quindi si possa approdare tranquillamente e disinvoltamente verso certe realizzazioni.
Questo tipo di considerazione mi è stato suggerito in particolare dalla relazione del Presidente Enrietti avendo impostato il suo intervento più in termini di legittimazione di una certa scelta politica, che anche il PSI si sa bene ha subito rispetto a determinate scelte territoriali, che non in termini di precisa volontà di muoversi sul piano della programmazione e sul piano della pianificazione territoriale per quanto riguarda in particolare L'area torinese in termini di proposta politica complessiva per dare cioè una soluzione a questo problema che sia coerente con tutte le scelte che devono essere operate, sia per quanto riguarda in positivo, cioè che si vuole fare di nuovo, sia anche per quanto riguarda ciò che si vuole lasciare in negativo. Credo di aver evidenziato come il problema del centro storico di Torino richieda tutte queste attenzioni e tutte queste preoccupazioni.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bontempi.



BONTEMPI Rinaldo

Signor Presidente, amici Consiglieri, il dibattito di oggi è uno di quei dibattiti che forse hanno stentato a prendere incisività e vivacità probabilmente per il motivo che sappiamo che su queste cose si dovrà ritornare, ma credo che abbia offerto spunti molto importanti per addivenire a degli indirizzi, a dei comportamenti, credo anche a delle decisioni in questa materia così centrale, come ricordava Viglione, nello sviluppo civile di una comunità. Mi soffermerò avendo avuto la fortuna di essere preceduto per il mio Gruppo dall'intervento della collega Marchiaro esclusivamente sul problema delle sedi, perché mi sembra questo uno dei punti che, come ha dimostrato l'intervento del collega Picco appena terminato, che dovrebbero essere più prossimi ad una decisione. Mi sembra intanto di dover fare un ragionamento sull'utilità e sulla funzione di questo tipo di dibattito. Credo che sia stato utile per assumere degli orientamenti per una decisione che deve essere avviata in altre sedi innanzitutto dal Comprensorio, e deve poi essere resa definitiva dalla Regione che ha compito di approvare lo schema di piano comprensoriale di Torino, che, come è noto, sta per essere varato.
Nello stesso tempo, però l'occasione di parlare in questi termini come è stato posto il problema cioè dal Presidente Enrietti e anche da Viglione come grande urgenza di continuare un impegno che abbiamo già detto nel passato, ma urgenza pure per quanto riguarda questo problema di esercitare come Regione e come Consiglio in un dibattito, in un confronto come questo una funzione di stimolo, un'assunzione di impegno, una richiesta esplicita perché si decida molto rapidamente, ecco allora che troviamo le ragioni precipue del nostro dibattito di oggi. E le conclusioni a cui mi sembra di arrivare per questa prima parte diciamo così di metodo e di funzione di questo dibattito credo che debbano essere presto lo schema di piano territoriale per le ragioni più generali di organizzazione del territorio dell'area metropolitana, ma anche e molto per la decisione relativa agli uffici giudiziari. Di qui un impegno ovviamente perché anche da parte della Regione si provveda presto all'approvazione dello schema. Quali contenuti deve però avere questa decisione? Credo di poter dire con molta tranquillità che mi dichiaro d'accordo completamente con l'introduzione del Presidente in generale, ma anche in particolare, dato che credo siano stati proposti con chiarezza gli orientamenti della Giunta sul problema delle sedi. E' stata una posizione sintetica, ma una posizione chiara. Diceva Picco una posizione morbida, ma non so se si debba necessariamente affermarlo con una particolare enfasi verbale, credo che non ce ne sia bisogno, mi pare di dover riprendere nient'altro che dall'intervento del Presidente l'estrema chiarezza con cui si è detto nella sua relazione no alla collocazione nel centro storico, i dubbi e le perplessità riguardo al recupero di un'area dismessa dall'industria Nebbiolo di Via Bologna, e invece la prospettazione di soluzione più realistica, più rapida e confacente alla soluzione di corso Marche. Quindi mi limiterò, oltre che a riaffermare questo consenso, ad aggiungere e ad esporre le valutazioni dei comunisti anche facendo un discorso su alcuni momenti più di fondo, più generali, su cui mi ha trascinato con il suo intervento, che devo riconoscere è stato chiaro, del Consigliere Picco, sono le ragioni di una scelta non ideologica, come qualcuno vorrebbe far credere, ma di una scelta invece meditata, verificata, inserita questo sì, e qui ci sono anche le idee non le ideologie, in un quadro programmato, in un progetto più complessivo su cui tornerò dopo. La soluzione di corso Marche ci pare rapida, realistica, idonea, adeguata, conveniente e, aggiungo, coerente con un progetto ed un disegno più ampio di trasformazione della città. Sono state sottoposte tre ipotesi: il mantenimento nel centro storico. Non faccio altro che riprendere le affermazioni che ha fatto Enrietti, ma altri le hanno fatte - e questo mi pare il segno di un'attenzione ad un'importante iniziativa.
La posizione dell'Associazione nazionale dei magistrati, è una posizione che, per quanto riguarda la collocazione nel centro storico, è oltremodo netta. La posizione dei magistrati è per la costruzione di un edificio unico, secondo il modulo delle cellule edilizio-giudiziarie con forti interrelazioni, ma che si possono trovare solo in un complesso unitario. Ritiene - cito testualmente - "La volontà diretta a mantenere le strutture giudiziarie nel centro storico mi sembra contrastare con la stessa soluzione del palazzo unico". In un'altra parte della relazione vengono espresse chiaramente le contrarietà ad un riuso, pur difficile e pur da contrastare anche per altre ragioni, di una serie di edifici collegati per l'esercizio di questa funzione.
Ma quello che sta sotto a questa relazione per i motivi di merito a cui dobbiamo ovviamente indirizzare l'uso e la destinazione dei contenitori, mi pare stia in una nuova idea dell'esercizio della funzione della giustizia.
Queste relazioni che vengono richiamate tra civile e penale, che i colleghi avvocati possono confermare, le esigenze di andare ad una serie di servizi che rendano possibile un'esplicazione a pieno titolo e nelle pienezza delle facoltà di questa funzione, rende a giudizio degli stessi magistrati praticamente indifferibile la ricerca di una soluzione unica organizzata per cellule, che l'Associazione nazionale magistrati chiama cellule edilizio-giudiziari. Mi sarebbe facile citare alcuni passi, ma questo l'hanno letto altri e quindi è facile ritrovarlo. Devo dire a questo proposito che un'indicazione di questo genere, un'indicazione anche di rifiuto della soluzione del centro storico da parte dei magistrati oltreché una risposta coerente con le esigenze che hanno gli operatori della giustizia, è anche però da parte dei magistrati una risposta che va nel senso di impedire che si perda altro tempo. Ricerche di soluzioni o meglio di suggestioni non di soluzioni in questo terreno, a questo punto ci parrebbero, dato che nessuno è in grado di definire l'impatto, il rapporto scusa Picco checché ne dica tu - nei confronti degli abitanti del centro storico, i problemi del congestionamento ulteriore. Credo davvero che questa posizione che è una posizione forte, seria, che si rende conto dei problemi strutturali che stanno alla base del perché oggi a Torino un'operazione di grande trasformazione su cui stiamo parlando da tempo dell'area metropolitana della città passi attraverso un discorso complessivo dell'area metropolitana. E' quindi una considerazione non di una nuova città, ma di una città più ampia, di una città nuova che parta dalle funzioni che ci sono ora per definirne altre, le più moderne e le più avanzate, anche in altre località.
Credo che questo elemento sia un elemento forte, un elemento in cui noi accompagniamo delle valutazioni precise sulla nostra contrarietà ad un intervento che per corrispondere a quell'esigenza non potrebbe che essere talmente massiccio, ma dall'altra parte talmente lungo da rendere pressoch inevitabile un'alterazione profonda dell'attuale assetto del centro storico a scopi residenziali, specie per le categorie che in esse stanno e dall'altra parte, troppo eventuale o diciamo, peggio ancora, troppo illusorie. Anche altri partiti mi pare sostengano queste posizioni. Mi pare che, per esempio, il Partito liberale abbia sostenuto grosso modo questa posizione. Qui non voglio replicare solo e sempre con gli argomenti miei che mi pare peraltro siano difficilmente oppugnabili vorrei solo - mi spiace che non ci sia Bastianini - leggere a Marchini o, comunque ai Consiglieri quello che l'ing. Attilio Bastianini, di cui leggo sempre con attenzione i documenti, ha scritto a presentazione di questo libro peraltro interessante che si è fatto premura di inviarci sul confronto Lione-Torino. Vorrei precisare, signori colleghi, che non sono molto favorevole a questa proposizione di modelli, che spesso e volentieri il collega Bastianini ci fa. Ritengo che ci siano delle ragioni di autonomia e di diversità di storia tra l'una e l'altra città, ritengo che, in questo come in altri campi, esportare dei modelli anche urbani non sia un'operazione meccanicamente possibile, ma è un fatto che questo argomento è stato usato. Mi ricordo un convegno. Questo volume, forse un po' strumentalmente per dimostrare che a Lione hanno fatto e che qui invece a Torino, specie dal '75, non abbiamo fatto molto. Leggo solo un passo che mi pare interessante: "la localizzazione dell'attività terziaria". Delle cose la principale scelta che gli amministratori lionesi hanno compiuto negli anni '60 è stata quella di spezzare la centralità della Presse Quille creando sulla riva sinistra del Rodano un nuovo centro di affari capace da un lato di alleggerire la pressione di utenza sulle aree tradizionali e dall'altro, dare sostanza alle iniziative di riordino e riorganizzazione territoriale ad est". Con la realizzazione del centro direzionale e commerciale del Parbieu nei pressi del quale tra l'altro sono stati spostati gli uffici giudiziari si è in sostanza spostato il baricen tro dell'attività terziaria e del sistema metropolitano senza con ci penalizzare le aree centrali naturalmente predisposte a tale vocazione.
Anzi, grazie alla presenza della linea metropolitana, che collega in pochi minuti i due centri, quello tradizionale e quello di nuova realizzazione, i due poli, risultano essere tra loro perfettamente integrati, anche se con le loro differenziazioni.
Uso questo argomento, non è uno dei miei, ma è un argomento che viene spesso proposto, perché credo che il ragionamento riguardo alle funzioni specifiche, al collegamento, fatto correttamente da Enrietti e da Viglione tra le funzioni terziarie pubbliche e private e questa specifica funzione taglia un po' alla radice - se è valido tin argomento che senz'altro viene spesso proposto da chi lo ha scritto - l'obiezione che tutto si pu spostare, ma vedi caso, non quello che si decide o che si ha la possibilità di spostare subito e comunque non gli uffici giudiziari per le ragioni che appunto questi dovrebbero rimanere nel centro storico. Mi pare che laddove si è operato, si è operato in questa direzione. Non credo che sia nell'Europa occidentale il solo esempio. Detto questo credo anche che, per quanto riguarda la seconda delle alternative, cioè quella dell'area della Nebbiolo di via Bologna, pongo qui delle obiezioni, non a priori, ma misurate nel merito del problema: il rischio che questa si riveli insufficiente. L'Associazione magistrati, devo essere chiaro, nella sua relazione pare tenerla in considerazione come quella migliore se non vado errato e tira un po' i numeri per dire "magari è sufficiente". Credo che nel momento in cui si debba operare, utilizzando al meglio e più rapidamente le risorse che Sono disponibili o che dovremo rendere disponibili, in questo senso rischiare di andare di fronte ad un problema di insufficienza dei locali, sia un rischio grosso. A questo aggiungiamo le ragioni che poneva Enrietti: la lunghezza, la complessità, l'incertezza.
Aggiungerei anche che mentre facciamo il discorso della riorganizzazione della trasformazione, dell'inserimento del terziario, pubblico e privato nelle città dovremo non solo in questo caso, ma anche in altri casi tener conto, per esempio, dei problemi che nascono da una struttura democratica che ci siamo dati e che recentemente ho visto con piacere che il Gruppo del PSI in suo convegno ha valorizzato, anzi, indicando delle linee di autogoverno, autoresponsabilità che sono i quartieri. Dobbiamo porci nella locazione delle strutture, nel disegno di una città anche in un rapporto democratico, dialettico, ma con una grande disponibilità, che giustamente il PSI ha richiamato nel suo convegno alle esigenze del quartiere. Per quanto mi risulta il quartiere ha delle altre esigenze; in ogni caso, con il quartiere e con un non secondario problema di servizi per quel quartiere che ne è particolarmente carente noi dovremo fare i conti. Dall'esclusione che ritengo di dover fare e scendendo nel merito, quindi non aprioristicamente di quelle che sono le altre due soluzioni, penso che emerga con maggiore forza e demotivato di ogni apriorismo ideologico il nostro sì mette d'altra parte, è noto, all'area di corso Marche.
Vorrei qui aggiungere ancora e finisco alcune considerazioni di carattere più generale, in parte sono già state presenti nell'intervento che ho svolto finora. Le scadenze sono vicine. Nel giro di pochi mesi per competenze istituzionali dovremo definire su un'area investita pesantemente dalla crisi e su cui da tempo è avviato un confronto per la sua organizzazione, e la sua trasformazione quelle decisioni che impronteranno largamente il destino di quest'area, quindi della comunità, quindi del Piemonte per gli anni a venire. Siamo oggi nella necessità di compiere azioni, scelte di governo,e la base del programma di questa maggioranza era molto chiara, che vadano nel senso della sua trasformazione, della modernità, dell'adeguamento. Credo che, sotto questo profilo noi possiamo legittimamente riconoscere partendo da questo problema, ma certo non isolandolo, al disegno che non abbiamo in testa, ma abbiamo ormai in atto (dirò poi qualcosa di più sul lavoro che si è fatto in questa direzione perché sembra sempre che si inventi ad un certo punto qualcosa). E' un lungo processo, anche contrastato, per certi motivi forse legittimi, ma per molti altri a me sembra strumentalmente un disegno, un progetto di riorganizzazione di trasformazione, di nuovo sviluppo dell'area metropolitana. Badate questo non è un titolo, frutto di uno scopo giornalistico né di quel modo di far politica che oggi porta troppi personaggi politici a viaggiare un po' sull'inconsistente, sulle trovate sulle suggestioni, sulle proposte le più variegate. Credo invece che qui ci troviamo di fronte ad un atto che per la sua concretezza, richiede un atto che è azione di governo concreta fino in fondo, la governabilità governabilità che deve fondarsi appunto sulle scelte, sulla capacità di prenderle quando è necessario, e su un lavoro paziente e sistematico per realizzarle e nella tempestività della definizione. Quindi in questo senso noi rivendichiamo alle amministrazioni di questi anni il lavoro che è stato fatto e le intuizioni che vengono tra l'altro anche da più lontano, intanto da una critica allo sviluppo di una città monocentrica, statica e ingiusta mi limito a questo, ma penso che ci siamo sufficientemente capiti, da un progetto di rilancio di una nuova funzione integrata di un'area policentrica, quindi una città attiva di più vite, di più centri e che si tradusse nella proposta della Giunta Viglione, dell'Assessore Rivalta schema di piano territoriale del Comprensorio di Torino del 1976, proposta che non andò avanti forse perché troppo avanzata e forse venne proprio rallentata da troppe suggestioni, tipo le bolle di sapone. Invenzioni che sorgevano qua e là, ma credo che poi i fatti, non perché fosse frutto di una divinazione o di un'illuminazione improvvisa, ma perché era frutto di una constatazione realistica di qual era la situazione della città, di quali erano le occasioni del suo sviluppo e quali le condizioni più rapide più agibili, più idonee, più convenienti per realizzarlo. Oggi ci si viene a dire che scopriremmo queste esigenze. Non lo credo. Credo che oggi accentuano la crisi certe esigenze di organizzazione. Non scopriamo da oggi, non abbiamo aspettato la crisi per proporci un nuovo modello di organizzazione della città e delle sue funzioni. Certo all'incontro della crisi questo diventa in qualche misura più cruciale, i tempi del confronto dopo che si è ampiamente esplicato debbono lasciare il posto alla decisione, all'atto di governo.
Oggi abbiamo gli atti terminali di questo lavoro, c'è stato questo lavoro per il piano territoriale di coordinamento, il documento di dicembre, che su questo tema ancora non si esprime, ma oggi credo un altro passetto in avanti l'abbiamo fatto. Comunque credo che dobbiamo chiedere anche da questo Consiglio regionale che i ritardi vengano colmati e c'è una ragione di più perché lo schema di piano territoriale con queste grandi operazioni che caratterizzeranno gli anni futuri della vita della nostra comunità, della nostra metropoli e della sua area, per un Piemonte in una funzione dinamica e più equilibrata nei confronti del resto del Piemonte.
E' in questo senso quindi una nostra sollecitazione, non solo nel merito, l'abbiamo data penso con tutta la chiarezza, ma perché si addivenga presto e si ritorni qui in Consiglio regionale all'approvazione dello schema con questi argomenti. Sono state richiamate posizioni diverse. Penso che sia abbastanza chiaro che oggi più che ieri c'è una funzione e deve esserci una funzione autonoma, ricca e produttiva, feconda del dibattito tra i partiti e anche in maggioranza. Per esempio, non ho difficoltà a riconoscere al partito socialista che questo dibattito si è collocato correttamente oggi ma anche in altre sedi, una funzione importante, quello di aver introdotto, rafforzato, sottolineato un concetto che a noi era presente, che è quello della complessità e integrazione dell'intervento quello della non esclusività.
Mi permetto di dire, che la nostra non è una politica puntiforme che individua un punto, lo carica magari di significati ideologici e su questo si fanno le barricate. E' tutt'altra politica, è una politica processuale che nasce dalle cose, dalle esigenze, dalle cose possibili già quando venne la proposta di schema di piano territoriale, presentato dalla Giunta Viglione e dall'Assessore Rivalta, già allora indicavamo come un'area suscettibile di sviluppi concreti, ma insieme la non sua esclusività l'indicazione di altri possibili poli per altre funzioni di sviluppo.
In questo senso la dialettica che è andata avanti credo abbia prodotto anche dei risultati positivi. Riconosciamo peraltro i contributi di tutti.
Ci pare però, e voglio concludere, che a questo punto la posizione che esprimeva Picco a nome del suo Gruppo (non tanto la sua valutazione pienamente legittima e interessante perché comunque supportata da un ragionamento) secondo cui se le scelte degli Enti locali, quelli che sono eletti dal popolo, le maggioranze che attualmente governano gli Enti locali dovessero portare alla collocazione di Collegno, non mancheremo - mi pare dicesse Picco - di fare in modo che il Governo lo impedisca. Mi pare questo sinceramente una cosa non accettabile, salvo che la disinvoltura istituzionale sia tale e tanta da non riconoscere che quando una maggioranza in democrazia c'è, ha il diritto di esprimersi e ha il diritto pena solo la sua responsabilità politica, di portare avanti le scelte per cui ha lavorato. E credo piuttosto bene in questi anni.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Paganelli.



PAGANELLI Ettore

Signor Presidente, signori Consiglieri, questo dibattito, è stato già ricordato dal Consigliere Marchini, si tiene con un certo ritardo.
Se ne è parlato più volte nelle riunioni dei Capigruppo ma è sempre scivolato. Resta il fatto che due nostri colleghi i Consiglieri Majorino e Viglione, quasi contemporaneamente avevano sollevato questo problema nell'ottobre del 1980. Lo hanno ripreso nei mesi scorsi; particolarmente dopo il convegno del 5 dicembre, che si è tenuto in questa sede, e recentemente lo ha sollecitato anche il Gruppo repubblicano attraverso la collega Vetrino.
Dobbiamo essere grati a questi colleghi particolarmente ai Consiglieri Viglione e Majorino i quali come uomini politici e come operatori di diritto (non so se a tempo pieno o parziale, stante il fatto che la politica sottrae molto tempo alle proprie occupazioni) hanno portato questo problema con una diretta conoscenza e in modo certamente utile al dibattito. La meditazione che dobbiamo trarre dal ritardo con cui si tiene il dibattito non è una meditazione per ricercarne delle colpe, ma per farci dire che conseguentemente al termine di questo dibattito dobbiamo essere molto pratici, concreti ed operativi.
Io stesso rinuncio ad addentrarmi in analisi che specie in questi ultimi tempi, sono state abbondantemente fatte.
Sull'argomento della crisi della giustizia in Piemonte vi sono tre documenti completi a cui occorre fare un preciso riferimento non solo oggi ma anche in futuro se si vuole correggere la crisi.
I documenti sono le due relazioni che sono state tenute al Convegno citato, quello del Presidente dell'Associazione magistrati in Piemonte e Valle d'Aosta e quella del Presidente dell'Ordine degli avvocati di Torino avvocato Gabri, a cui va aggiunta la relazione del Procuratore Generale Bongiovanni tenuta pochi giorni fa in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario.
Gli esperti sono ormai concordi nel ritenere che i punti acuti della crisi sono da individuarsi nell'edilizia giudiziaria, cui va collegata l'edilizia penitenziaria, e negli organici dei magistrati e degli ausiliari.
Sui problemi dell'edilizia vi è stato per il nostro Gruppo l'intervento del Consigliere Picco. La posizione della DC per quanto riguarda gli uffici giudiziari di Torino è nota ed è già stata espressa anche in sede ufficiale. Ricordo, per esempio, l'intervento del Consigliere Montanaro nel Consiglio Comunale di Torino. C'è stato l'intervento del Consigliere Picco a proposito del quale voglio precisare che non è che Picco abbia voluto dire che il Gruppo della DC si serve illegittimamente delle posizioni politiche. Egli ha voluto semplicemente dire che in ogni sede dove sia possibile far valere l'opinione del Gruppo della DC, questo sarà fatto.
Nessuno né vuole né cerca sedi illegittime per far valere la nostra opinione ed il nostro pensiero. Del sistema istituzionale e democratico siamo garanti in questo Paese, anzi, a questo proposito voglio fare un inciso che non c'entra con il dibattito che stiamo facendo.
Il Presidente del Consiglio stamattina ha ricordato l'ultimo fatto di sangue che è avvenuto nel nostro Paese e credo che non avrebbe fatto male ricordare che le forze dell'ordine hanno sventato l'eccidio della massima dirigenza della DC. In una Regione che si è occupata di terrorismo e che è all'avanguardia in questo campo era opportuno ricordare che la DC era in procinto di pagare un grosso contributo di sangue oltre a quelli che ha già pagato.
Chiudo questa parentesi che ho voluto aprire per ricordare la nostra fedeltà alla democrazia e ai principi istituzionali che regolano lo Stato.
Il contrasto tra chi propugna gli uffici giudiziari ai confini della Città di Torino e chi ritiene opportuno mantenere la sede al centro della città ove è ubicata la Curia Maxima è notevole.
Si è fatto riferimento alla relazione dell'Associazione magistrati che dimostra certe preferenze. Il collega Bontempi ha anche rilevato che in quella relazione sta chiaramente scritto: "Neppure la Magistratura dimostra di essere concorde. Conviene che la costruzione di un unico palazzo è essenziale e risolutiva, ma non tutta accetta ad abbandonare la tradizionale storica sede della Curia Maxima".
Più avanti si dice che è più valido vedere se l'area di Collegno sia veramente l'unica per realizzarvi il palazzo ovvero se ne esistano altri quindi anche nella Magistratura il problema è aperto e le problematiche sono tutte da decidere.
Dopo aver espresso e richiamato la posizione della DC (nota attraverso i vari interventi e il documento che il collega Picco citava) occorre decidere.
Il Gruppo Comunista ha tenuto una posizione molto chiara e coerente con l'atteggiamento tenuto in altre sedi. Qual è il pensiero definitivo della Giunta regionale? E' conforme a quello del Comune e a quello del Comprensorio, quando questo pensiero sarà espresso? D'altra parte il Consigliere Viglione nelle interrogazioni del 27 ottobre 1980 e del 10 dicembre 1981 chiedeva proprio di conoscere il pensiero della Giunta.
La Giunta non può limitarsi a dire che ci sono tre soluzioni evidenziando i rischi di collocazione degli edifici giudiziari in centro e collegando invece le altre ipotesi ad insediamenti futuri sui quali dovrebbe essere precisa in ordine ai tempi e alle richieste economiche che questi insediamenti richiederebbero.
Nel momento in cui si discutono i problemi dell'edilizia giudiziaria, a mio avviso, non è sufficiente soffermarsi su Torino. A Torino la situazione è preoccupante e drammatica: dobbiamo però guardare anche alle altre sedi giudiziarie in Piemonte.
Dobbiamo tener conto che si dovrebbe e si potrebbe arrivare, anche a tempi non molto lunghi, all'emanazione del nuovo codice di procedura penale.
D'altra parte sul codice di procedura penale si sta discutendo nella Commissione Giustizia della Camera.
Nell'ipotesi del varo del codice di procedura penale le conseguenze sarebbero sconvolgenti e questo ulteriore argomento deve essere tenuto presente oltre alle tre relazioni che ho richiamato.
Mi limito a richiamare alcuni passi della relazione Morlino al disegno di legge 31.10.1979: "Disposizioni per l'emanazione del Nuovo Codice di procedura penale", alle necessità dell'emanando nuovo codice di procedura.
"Invero da un rapporto della Commissione per l'attuazione del Codice risulterebbe fra l'altro che occorrono per il Pubblico Ministero 3398 magistrati al posto degli attuali 625, per il giudizio di I grado 3339 giudici, al posto degli attuali 1529, mentre occorrono 12.629 locali al posto degli annuali 1834, 1317 aule al posto delle 900 attuali".
Penso che per Torino si e tenuto conto anche di queste previsioni e di questi dati.
Bisogna però guardare in prospettiva anche alle altre sedi giudiziarie del Piemonte. Inoltre occorre tenere conto che nel 1981 lo Stato ha inserito nel suo bilancio per l'edilizia giudiziaria una cifra ingente che mai era stata prima inserita nel bilancio dello Stato.
I Comuni sono stati invitati ad avanzare domande per nuovi palazzi e restauri. Quali comuni piemontesi lo hanno fatto? Questa indagine va fatta.
Il Comune di Alba ha chiesto un nuovo palazzo di giustizia; mi pare di aver letto che Casale ha chiesto la somma di oltre un miliardo per la ristrutturazione del palazzo esistente.
Sono dati che dobbiamo avere presenti per avere un quadro preciso della situazione e per poter esprimere proposte e suggerimenti al Governo.
Il, discorso grave di Torino, deve essere ampliato alle situazioni dell'edilizia giudiziaria del Piemonte.
Veniamo agli organici. Se si rapportano i dati del Piemonte con quelli delle altre Regioni risulta che la Sicilia ha 220 unità in più, la Lombardia, la Campania, il Lazio ne hanno 300 in più.
Se si considera che l'organico del Piemonte è scoperto per 94 posti mentre è quasi totalmente coperto nei distretti meridionali, si ha il quadro di una evidente difficile situazione e il quadro si completa con i notevoli vuoti anche per quanto riguarda i cancellieri, i segretari, gli ufficiali giudiziari. E' stato detto in una relazione: "L'inevitabile lentezza della giustizia, al di là degli sforzi e della buona volontà dei singoli operatori, avvocati, magistrati, finisce di manifestarsi in alcuni settori che sono facilmente percepibili anche dai non addetti ai lavori.
La sezione addetta alle cause di separazione e divorzi fissa l'udienza di comparizione a distanza di 10-12 mesi.
Si pensi che una causa civile va a decisione dopo l'istruttoria a distanza di 2 anni e talora 2 anni e mezzo".
L'epicentro di questa crisi è Torino, ma occorre ricordare che anche in altri uffici giudiziari del Piemonte la situazione è grave.
Mi è parso che ci siamo lasciati prendere troppo dal discorso gravissimo di Torino.
Il Consiglio regionale deve ampliare su tutta la Regione il suo osservatorio.
Puntualmente il Presidente dell'ordine degli avvocati di Torino, Gabri se ne è fatto carico in quella relazione.
"E' difficile fare delle graduatorie, ma non si è lontani dal vero se si dice che, ad esempio, in due uffici giudiziari del Piemonte, a Vercelli e a Verbania la situazione è tragica. A Vercelli ci sono gli avvocati in sciopero da mesi, a Verbania e anche a Omegna la situazione è ai limiti della tollerabilità. La situazione tende a peggiorare anche in altre sedi di tribunali".
Al Tribunale di Alba mancava un solo giudice ma un pretore è stato trasferito, il Procuratore della Repubblica sarà collocato in pensione il prossimo mese; ecco che anche in quel tribunale una situazione ieri soddisfacente, oggi si fa gradatamente drammatica.
L'analisi dei vuoti di organico non può essere sbrigativamente liquidata dando la colpa al Governo.
Il Governo potrà avere le sue colpe, ma altre considerazioni debbono essere fatte.
Concorsi se ne fanno per i vari livelli, ma il Piemonte non è una sede ambita proprio perché è distante rispetto al luogo di origine dei vincitori del concorso.
La proposta di incentivare la partecipazione dei piemontesi ai concorsi nell'aspettativa legittima, ove questi risultino vincitori e richiedano poi sedi piemontesi è senza dubbio una proposta da coltivare. Posto che la formazione professionale rientra nelle competenze regionali, con un'interpretazione estensiva, rapportata alle carenze di organico e alle esigenze, essendo le Regioni - lo ha detto Viglione - integrative dello Stato in questo settore, penso sia da appoggiare la proposta contenuta nell'interrogazione di Viglione, di Majorino e che le Regioni Veneto e Toscana stanno già sperimentando, di affidare, in concerto con la Facoltà di Giurisprudenza, corsi di formazione per chi intende partecipare ai concorsi da uditore giudiziali, corsi che dovranno essere abbondantemente pubblicizzati.
Concordo con i Consiglieri Marchini e Vetrino che ai corsi per aspiranti magistrati si dovrebbero aggiungere corsi per aspiranti cancellieri, segretari e ufficiali giudiziari e corsi che potrebbero riguardare altri campi della pubblica amministrazione.
Questi corsi debbono essere richiesti dall'ente che ne sarà beneficiario. Per esempio, i corsi per i laureati in giurisprudenza, che dovrebbero poi accedere alla Magistratura, dovrebbero essere richiesti ed organizzati dall'Associazione Magistrati e dall'Ordine degli avvocati. La Regione non deve organizzare in prima persona i corsi ma deve dare un concorso determinante collocandosi correttamente ai limiti ed entro le sue competenze.
Ho qualche perplessità maggiore per quanto riguarda la proposta del corso di aggiornamento scientifico con seminario permanente per Magistrati già in attività.
In questo caso la Regione andrebbe al di là delle sue competenze.
Sono invece d'accordo con il Presidente della Giunta per trovare dei meccanismi per l'assegnazione di alloggi a magistrati.
Il discorso dei concorsi su base regionale che possono attuarsi per il cosiddetto personale ausiliario del giudice e per gli operatori dei penitenziari è certamente da coltivare nel rapporto Regione-Ministero di Grazia e Giustizia.
L'altro problema che è stato abbondantemente toccato negli interventi è quello dell'edilizia penitenziaria, che ha ancora registrato polemiche anche in occasione dell'inaugurazione dell'Anno giudiziario.
A mio avviso non si può infatti portare avanti l'equazione: nuovo carcere alle Vallette uguale eliminazione delle cosiddette Nuove, posto che la capacità del carcere delle Vallette è di 700-800 detenuti e che le Nuove, prima della recente amnistia, ospitava circa 1200 carcerati. Se si vuole veramente eliminare la vergogna delle Nuove, concetto su cui credo tutte le forze politiche sono d'accordo, occorre dire sin da ora come è possibile far fronte alla maggiore innegabile necessità di posti o con limitato ampliamento delle Vallette (ma su questo le perplessità che introduceva Viglione del megacarcere sono le perplessità che tutti hanno) o con un sistema integrato di carceri regionali in grado di recepire ciò che il carcere di Torino non può ospitare.
Il documento consegnato ai Presidenti delle Giunte regionali dal Ministro di Grazia e Giustizia introduce anche il concetto delle case per la semilibertà.
Credo che questo problema debba essere affrontato anche da Torino oltre che da tutti gli altri Comuni.
Anche su questi problemi occorre essere concreti, se non si vuole rimanere solo ad affermazioni di principio. Occorre pronunciarsi concretamente sui problemi delle carceri in tutto il Piemonte, sulla dislocazione degli uffici giudiziari in Torino, sugli uffici giudiziari delle altre sedi, sulla riorganizzazione di tutti gli uffici, argomento introdotto dal Consigliere Vetrino. Se per ipotesi dovessimo dare pareri su soppressioni di Preture, sulla riorganizzazione dei tribunali, dovremmo essere pronti a dare pareri che siano contro i campanilismi: dobbiamo essere disponibili a fare tutto questo nei limiti della nostra competenza nei settori assegnati.
Ho dato atto al Presidente della Giunta di essere stato concreto in tanti aspetti ma quella introduzione secondo cui la Regione deve sempre intervenire su ciò che avviene è un'affermazione generica. Se siamo disposti ad essere concreti su tutte queste cose, abbiamo titoli per intervenire, per appoggiare presso il Governo richieste che gli organi competenti, Magistratura, Ordini forensi, hanno già avanzato o avanzeranno.
Quindi ringrazio i proponenti per avere introdotto questo dibattito nel quale ci siamo inseriti con le nostre opinioni e con la nostra posizione.
Con questo dibattito la Regione dimostra di voler entrare nel vivo del problema: ne prendiamo atto.
È un primo passo verso la più completa acquisizione degli elementi ed è anche l'inserimento nel problema per la sua risoluzione. Per quanto ci riguarda, nella chiarezza delle posizioni che abbiamo espresso, specie per quanto concerne la dislocazione degli uffici giudiziari di Torino, ci dichiariamo disponibili ad iniziative operative che al termine di questo dibattito dovranno prendere corpo come conclusione di questa giornata di lavori.
Le iniziative che devono mirare (gradatamente, perché non si pu pensare di cambiare le cose dall'oggi al domani) al concreto le ritengo doverose da parte della massima assemblea elettiva del Piemonte verso una Magistratura ed un Foro che in momenti difficilissimi, anche pagando di persona, hanno sempre dimostrato di saper fare la loro parte.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Cernetti.



CERNETTI Elettra, Assessore all'assistenza

Il quadro emerso dal dibattito sui problemi della giustizia, dalla relazione del Presidente della Giunta e dagli interventi che si sono susseguiti ha bisogno di essere completato da un chiarimento per quanto riguarda la semi- detenzione accennato dal Capogruppo Paganelli.
Nell'ultima Conferenza dei Presidenti delle Giunte regionali è emersa la richiesta di collaborazione che il Ministero di Grazia e Giustizia ha avanzato alle Regioni su questo importante problema.
Come ricordato di recente dal Ministro di Grazia e Giustizia, non appare sufficiente utilizzare per la semidetenzione le attuali case mandamentali. In Piemonte le strutture destinate a casa mandamentale sono 15, di cui funzionanti solo 7, e ciò sia perché le altre sono attualmente inagibili, sia perché i Comuni interessati non riescono ad attivarle.
Inoltre bisogna tener conto che le case mandamentali presentano una distribuzione spaziale ineguale, non tenendo conto dello stanziamento della popolazione nelle varie zone.
D'altra parte l'esecuzione della semidetenzione postula uno stretto collegamento con le comunità locali, in relazione anche al presumibile tipo di delinquenza propria dei soggetti cui sarà applicata. Tale delinquenza infatti appare essere minore e di ridotta pericolosità; reati di competenza del Pretore, spesso espressione di una conflittualità radicata nell'ambiente di vita dell'autore, che deve pertanto trovare in tale ambiente la giusta soluzione.
Da ciò deriva appunto la richiesta del Ministro di Grazia e Giustizia di istituire apposite case di semidetenzione, opportunamente dislocate sul territorio.
Queste strutture dovrebbero essere rappresentate da piccoli istituti dalla capienza limitata (non più di 10-12 soggetti) con esigenze di sicurezza prevedibilmente minime. E' ovvio che nelle grandi città se ne potrà prevedere l'istituzione di più d'una. Queste strutture dovrebbero così rispettare i caratteri peculiari e le differenziazioni delle comunità locali.
Da ciò l'ipotesi di affidare le case di semidetenzione alle comunità locali, proprio per garantire la vicinanza all'ambiente di provenienza dei soggetti.
Lo Stato d'altra parte si accollerebbe ogni spesa necessaria, dagli immobili, ai salari, alle attività di trattamento, onde rimuovere ogni ostacolo alla istituzione e al funzionamento di tali strutture.
Il Ministro di Grazia e Giustizia ha previsto appositamente la costruzione di una casa per semidetenzione ogni 13 comuni. Non sappiamo ancora quanti potranno essere i detenuti interessati alla semidetenzione. I giudici in questi giorni stanno valutando il numero dei detenuti della Regione Piemonte che possono essere soggetti di semidetenzione.
Sarà nostro compito informare gli Enti locali più direttamente interessati e, insieme ad essi, reperire i possibili spazi e individuare le possibili soluzioni da proporre al vaglio del Ministero di Grazia e Giustizia nel corso della prossima riunione della Commissione Nazionale per i rapporti con le Regioni, che è stata convocata appositamente per il 15 16/2/1982.
Oggi c'è stata la prima riunione della Commissione regionale per individuare, sentiti gli Enti locali, i territori sui quali potrebbero sorgere le case di semidetenzione nella nostra Regione.
Con riferimento poi alle "linee programmatiche su disadattamento devianza, criminalità" approvate nel dicembre scorso da questo Consiglio regionale, la Giunta regionale piemontese si è impegnata ad offrire il massimo di collaborazione al fine di ottenere la ristrutturazione delle case mandamentali già esistenti, il reperimento da parte dei Comuni interessati di aree da destinare a case mandamentali, e ciò proprio perch l'esecuzione della pena, e quindi la rieducazione del condannato, deve avere un insostituibile momento di supporto nella dislocazione delle strutture penitenziarie il più possibile vicina alla residenza delle famiglie dei detenuti stessi.
Il problema del personale addetto agli istituti di pena, sia esso civile, sia esso militare e cioè più strettamente addetto alla custodia appare altrettanto urgente e grave.
E' nota a tutti la carenza di agenti di custodia che li costringe a turni massacranti creando uno stato di disagio diffuso sia tra loro sia nella stessa popolazione detenuta. Basti pensare che nella nostra Regione per assicurare un miglioramento della situazione occorrerebbero in media 420 unità circa di personale militare, senza contare le 180 unità necessarie per aprire il nuovo istituto di Vercelli e le 250 unità per garantire i necessari servizi legati ai processi d'appello che si terranno tra breve al carcere "Le Vallette", e relativi a brigate rosse e prima linea.
Non meno grave è la carenza di personale civile da destinare agli istituti penitenziari del Piemonte: mancano 357 unità su 565.
Per entrambi i settori sono ipotizzabili concorsi su base regionale (e il Ministero di Grazia e Giustizia è già stato a ciò interessato), la facilitazione nel reperimento di alloggi e l'attivazione di corsi di qualificazione e di attività di aggiornamento, da studiarsi nei modi e nei tempi, a seconda delle esigenze.
Sulla base di quanto indicato nelle linee programmatiche più sopra richiamate e di quanto indicato anche dalla Commissione Nazionale per i rapporti con le Regioni, appare auspicabile che questo aggiornamento avvenga in comune tra personale del Ministero di Grazia e Giustizia e personale degli Enti locali, proprio per superare le rispettive carenze e per creare il terreno comune di base per la reciproca collaborazione operativa. Proprio in quest'ottica sta lavorando la Commissione regionale sui problemi penitenziari.
Altro strumento ritenuto opportuno dagli operatori penitenziari e dagli altri operatori sociali cointeressati al problema è la programmazione e l'attuazione di un corso di preparazione di base e di corsi di aggiornamento ricorrenti per gli assistenti volontari in carcere, che dovrebbe essere sperimentato tra breve unitamente all'Assessorato regionale alla formazione professionale.
Quanto poi ai problemi più specifici legati al settore agenti di custodia, un'apposita Commissione ristretta sta lavorando a livello di Giunta regionale, al fine di pervenire al superamento degli ostacoli più gravi evidenziati dall'Ispettorato distrettuale per gli istituti di prevenzione e pena e dal Comando regionale degli agenti di custodia.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Rivalta.



RIVALTA Luigi, Assessore ai piani territoriali

In un paese in cui i problemi crescono con un'accelerazione maggiore di quanto non siano le soluzioni la parola urgenza è usata anche inutilmente ma per il problema della Giustizia, richiama a precisa responsabilità civile, sociale, oltre che amministrativa di tutti noi.
Credo che abbia ragione il Consigliere Paganelli quando dice che questa urgenza l'abbiamo misurata con maggiore intensità nella vita del Consiglio regionale per la situazione di Torino ma che è un'urgenza che va vista in generale nel Paese e nella Regione.
Probabilmente l'intensità dei problemi di Torino ci ha distolto dal cogliere la gravità dei problemi presenti anche nel resto della Regione.
Di fronte alla sollecitazione di Paganelli mi dichiaro impreparato a cogliere gli aspetti presenti nel resto della realtà regionale e mi soffermo al problema di Torino.
Non c'è dubbio che un modo sostanziale per intervenire è quello di dare all'esercizio della giustizia le possibilità funzionali dando soluzione ai problemi della edilizia giudiziaria.
Di fronte ai problemi della edilizia giudiziaria ci troviamo a dover rispondere in maniera nuova alle esigenze di ristrutturazione e di funzionamento complessivo degli uffici finanziari, della metropolitana e di una serie di altri problemi che sono presenti nella Regione e che in altre sedi abbiamo richiamato.
Sotto il duplice profilo dell'urgenza quello di merito riguardante l'attività della giustizia e quello indiretto riguardante interventi necessari in altri settori per una ripresa economica, occorre aggiungere rapidamente ad una decisione in ordine all'edilizia giudiziaria.
Occorre altresì che questa riunione del Consiglio regionale non metta ulteriori elementi di difficoltà e di confusione per portare a termine un processo di decisioni in questo senso.
Sono perché da questa riunione vengano indicazioni orientative, sulle quali si lavorerà ancora nelle sedi opportune, che sono appunto le sedi del Comitato comprensoriale, dei Comuni interessati e ancora il Consiglio regionale che promuovano in tempi rapidi il momento della decisione.
Gli stessi magistrati indicano importante e non rinunciabile una soluzione che abbia il carattere dell'unitarietà un sistema di cellule. Una soluzione di questo tipo è difficile poterla realizzare nel centro storico di Torino.
Non esistono aree disponibili, se non preparate attraverso interventi che potrebbero prefigurarsi come veri e propri sventramenti di edifici esistenti per poter trovare questo tipo di soluzione.
Di qui la nostra indicazione, che non è stata così generica come qualcuno ha voluto dire, per orientare la soluzione in aree che siamo disponibili con immediatezza.
Il problema dell'urgenza che ci spinge ad uscire dal centro storico e ad utilizzare le aree disponibili non è l'unica ragione, che sarebbe insufficiente rispetto alla scelta che abbiamo orientato al di fuori del centro storico di Torino.
Non si tratta di un accidenti che ci troviamo di fronte rispetto al quale dobbiamo dare qualche soluzione urgente, ma si tratta di un orientamento che noi abbiamo dato alla luce della politica complessiva di riorganizzazione dell'area torinese.
Tutti dobbiamo fare uno sforzo per superare la concezione della Torino del passato, la Torino del dopo guerra. Da allora ad oggi questa Torino è profondamente mutata: dai 700 mila abitanti alla fine della guerra con poche decine di migliaia di abitanti nella cintura ci troviamo oggi con una città di un milione e 100 mila abitanti ed un'area torinese complessiva che ha raggiunto la dimensione di 2 milioni di abitanti.
Dobbiamo rispondere alla dimensione attuale della città e dobbiamo soprattutto sapere, che quando si opera per la realizzazione di strutture come gli uffici giudiziari, gli uffici finanziari, nuove strutture universitarie che comportano spese che lo Stato non può sostenere se non una volta in un secolo. Dobbiamo fare i conti non solo con il presente, ma anche con il futuro di lunga portata.
Sosteniamo - e qui c'è un valore culturale - un contingente, di cui dovete dare atto indicazioni territoriali che abbiamo dato.
Dobbiamo avere coscienza che nell'area torinese occorra un intervento che sia in grado di partecipare alla riorganizzazione e alla ristrutturazione dell'area di costituire uno spazio urbano nuovo, che ricuperi il vecchio, lo storico, ma che sia in grado di promuovere processi di mutamento, di qualificazione sul tessuto urbano, di prefigurare le condizioni per ulteriori sviluppi futuri. Non dobbiamo ragionare come di una città che si ultima nel suo farsi, nel suo evolversi, ma dobbiamo sapere che queste decisioni sono nel corso di un processo che non ha fine e che quindi devono incidere nella gestione degli sviluppi futuri.
Comincio a confutare alcune questioni qui dette. Intanto non si tratta di andare ad operare in un deserto. Si è parlato del campo volo come di una landa sperduta e sconosciuta. Proprio l'espansione che è avvenuta a partire dal dopo guerra, ha fatto sì che il campo-volo geometricamente divenisse un' area interna a una grande conurbazione. E' un'area che ha alle spalle abitati come quello di Collegno, di Grugliasco, di Rivoli, di Alpignano, di Rivalta, che nel loro complesso rappresentano una popolazione di circa 200 mila abitanti: a quell'area fanno riferimento diretto, fisico, i comuni limitrofi ma anche i quartieri del comune di Torino lì insediati.
Allora il giudizio dell'area nel deserto non è corretto a meno che non voglia significare che quell'area non è ancora sufficientemente integrata in una funzionalità complessiva.
Dovremmo allora rivedere le ragioni di questa situazione, i processi che hanno determinato questa situazione, le responsabilità politiche e amministrative per cui si è espansa e dilatata una città in piena dimensione senza che fossero create quelle condizioni strutturali e di funzionamento complessivo che oggi renderebbero più agevoli le opportunità di insediamento che il campo volo ci offre.
Non vogliamo d'ora in poi ripetere gli errori del passato per, cui la città si è espansa per successive dilatazioni mandando fuori dal perimetro abitato delle operazioni o povere, nel senso dal puntò di vista residenziale, o pubbliche capaci di promuovere processi di qualificazione e di speculazione nei terreni circostanti.
L'area di Collegno non è un deserto caso mai lo sarebbe stato l'area di Candiolo per l'insediamento degli uffici direzionali Fiat.
Non mi pare sia corretto dare per scontato che finora non si è fatto nulla.
Esistono altri problemi, come quello del trasporti, e ma non a caso pur essendo una questione aperta a problemi non ancora definiti, ma in via di definizione, si è scelto nel quadro della mobilità che una linea di metropolitana fosse orientata verso la zona ovest di Torino, proprio perch si era già deciso che in quell'area ci fossero attività terziarie, anche se non definite nella loro classificazione.
Potremmo anche porci il problema del Palazzo della Giustizia nel centro storico, ma quella della giustizia è davvero una funzione che possiamo inserire nelle strutture esistenti del centro storico senza fare pagare prezzi alti dal punto di vista dell'agilità, della flessibilità? Se guardiamo la giustizia nuova che utilizza di strumenti moderni e di tecnologie informative e di comunicazione non solo la soluzione unitaria sollecitata dai Magistrati ma anche la soluzione in un edificio nuovo è quella che può dare i maggiori benefici.
Dobbiamo muoverci verso un progetto complesso che non comprende soltanto il palazzo della Giustizia ma anche gli uffici finanziari.
E' possibile che si debba decidere anche per un centro di carattere terziario espositivo che deve essere impostato, ma che non è detto che non possa trovare su questo asse 'terziario che si vuole costruire nella zona ovest.
Dobbiamo misurarci con questa dimensione e con questo livello di problemi.
D'altra parte il centro storico di Torino nel periodo dal 1951 al 1971 ha perso la metà della sua popolazione (da circa 130 mila abitanti è passato a 65 mila abitanti).
Non dobbiamo fare pagare al centro storico un ulteriore perdita di Popolazione. Dobbiamo invece creare le condizioni perché la popolazione che è rimasta possa stabilmente permanere e caso mai recuperare la qualità di vita, di ambiente e di lavoro del centro storico non con l'aggiunta di funzioni.
Questa operazione non è quindi contro il centro storico ma per il centro storico.
All'interno di questi problemi dobbiamo portare la prefigurazione della Torino degli anni della prima metà del secolo del duemila.
Dobbiamo recuperare la capacità del lontano passato di Casa Savoia quando ha deciso la Torino romana organicamente con una visione organizzativa dell'intero complesso queste capacità di prefigurazione e di determinazione dei processi è venuta mancare nel corso del processo di rivoluzione industriale.
In questo senso siamo collocati senza presunzione, confrontandoci con questo problema e inserendolo nel problema più generale dell'organizzazione dell'area torinese.



PRESIDENTE

La parola al Presidente della Giunta.



ENRIETTI Ezio

Presidente della Giunta regionale. Farò alcune considerazioni finali su questo importante e serio dibattito in cui il contributo di tutti è stato devoluto alla ricerca di soluzioni unitarie anche se, come è legittimo esistono elementi di valutazione non del tutto coincidenti.
Tralascio qualche puntura di spillo su un presunto cedimento del PSI o su altri elementi. Non voglio raccogliere voglio riprendere invece il filo maestro dei lavoro costruttivo che abbiamo fatto qui.
E' importante che la voce più autorevole dell'opposizione abbia sottolineato che con questo dibattito si dimostra di voler entrare nel vivo del problema.
Caro Paganelli, è proprio così: con questo dibattito vogliamo entrare nel vivo del problema senza fretta, senza voler percorrere tutte le tappe in breve tempo, ma con determinazione.
Forse questo dibattito è stato fatto al momento politicamente più giusto, su una serie di temi che ci possono far scegliere in maniera corretta tra le varie soluzioni che si innestano.
Si sta delineando un discorso programmatorio preciso che ha bisogno di una visione complessiva non soltanto limitata ai problemi della giustizia.
In questi giorni vanno a maturazione i problemi della metropolitana torinese, i problemi degli insediamenti che, insieme con il Comprensorio e i Comuni della cintura torinese dovremo esaminare, ecco allora che si costruisce il discorso programmatorio generale che con chiarezza, senza prevaricazione ho illustrato nella mia relazione iniziale.
Quando ho accennato alla collocazione dei palazzi giudiziari nella zona del campo-volo ho parlato di una soluzione rapida e confacente che avrebbe il pregio di decongestionare il centro restituendo alcuni edifici, quali quello della Curia Maxima per usi culturali e sociali, che sono carenti nella città. Credo che ci sia la necessaria chiarezza perché il Consiglio abbia degli orientamenti e perché il Comprensorio di Torino possa fare le sue scelte senza prevaricazione.
Chiarezza quindi, non volontà di sfuggire al compito di orientare chi deve essere orientato.
Sul problema degli organi non sono emerse contrapposizioni, ma soltanto suggerimenti preziosi che sicuramente verranno, ognuno per le proprie competenze, tenute a mente.
Dopo 10 anni di esperienza le Regioni devono sempre più diventare interlocutrici nel complesso della politica di governo e sempre meno esecutrici di atti amministrativi. Noi oggi con questo dibattito ci siamo collegati nell'ottica di competenze che riguardano l'orientamento complessivo della Regione nei confronti degli orientamenti complessivi del governo.
Iniziative operative. I suggerimenti che sono emersi da questo dibattito saranno valutati da una Commissione composta da membri di Giunta e di Consiglio, che è la sede più opportuna per concretizzare le soluzioni operative prospettate.
Con questa proposta finale rimando le conclusioni di questo dibattito sicuro che oggi il Consiglio ha svolto una positiva azione di governo.
Siamo convinti di aver svolto la nostra parte.


Argomento: Comunita' montane: Statuti

Modifica dell'art. 1 dello Statuto della Comunità montana Alta Valle Elvo


PRESIDENTE

Il punto quinto all'ordine del giorno ci rimanda all'esame modifica dello statuto della Comunità montana Alta Valle Elvo, che è stato approvato all'unanimità dalla Commissione, secondo il seguente testo: "Il Consiglio regionale visto l'art. 10 della legge regionale 11/8/1973, n. 17, relativo alle modifiche ed alle integrazioni degli Statuti delle Comunità montane; vista la deliberazione n. 302 in data 16 ottobre 1981 adottata dal Consiglio della Comunità montana Alta Valle Elvo visto l'art. 32 dello Statuto della Comunità montana Alta Valle Elvo relativo alle modifiche ed integrazioni dello Statuto stesso visto il parere favorevole espresso alla I Commissione permanente del Consiglio regionale delibera di approvare la richiesta della Comunità montana Alta Valle Elvo riguardante le modifiche al proprio Statuto, secondo quanto di seguito riportato il quarto comma dell'art. 1 è sostituito dal seguente: 'Gli uffici della Comunità hanno sede in uno dei Comuni facenti parte della stessa previa adozione di idoneo provvedimento deliberativo del Consiglio"'.
Chi approva è pregato di alzare la mano. La deliberazione è approvata all'unanimità dei 32 Consiglieri presenti.


Argomento: Comunita' montane: Statuti

Modifica dell'art. 13 dello Statuto della Comunità montana Bassa Valle di Susa e Val Cenischia


PRESIDENTE

Ancora in merito al punto quinto all'ordine del giorno: "Modifica dell'art. 13 dello Statuto della Comunità montana Bassa Valle di Susa e Val Cenischia, viene esaminata la seguente deliberazione: "Il Consiglio regionale visto l'art. 10 della legge regionale 11/8/1973, n. 17, relativo alle modifiche ed alle integrazioni degli Statuti delle Comunità Montane; vista la deliberazione n. 75 in data 2 ottobre 1981 adottata dal Consiglio della Comunità montana Bassa Valle di Susa e Val Cenischia; visto l'art. 26 dello Statuto della comunità montana Bassa Valle di Susa e Val Cenischia relativo alle modifiche ed integrazioni dello Statuto stesso visto il parare favorevole espresso dalla I Commissione permanente del Consiglio regionale delibera di approvare la richiesta della Comunità montana Bassa Valle di Susa e Val Cenischia riguardante le modifiche al proprio Statuto secondo quanto di seguito riportato l'ultimo comma dell'art. 13 è sostituito dal seguente: 'Delibera sulle spese di importo non superiore a L. 6.000.000' ".
Chi approva è pregato di alzare la mano. La deliberazione è approvata all'unanimità dei 32 Consiglieri presenti.


Argomento: Industria (anche piccola e media)

Richiesta di iscrizione all'ordine del giorno del "Decreto legge 30/12/1981, n. 801, art. 1. Proroga dei termini contenuti nei D.P.G.R. rilasciati ai sensi dell'art. 2 della legge 24/12/1979, n. 650" e della deliberazione riguardante: "Approvazione piano di riparto dei contributi regionali ex art. 1 legge regionale 19 gennaio 1981 n. 4. Insediamenti produttivi finanziabili: 1 stralcio. Importo di L. 17.501.654.800 e di L. 1.527.619.000"


PRESIDENTE

Chiedo che vengano iscritte all'ordine del giorno le seguenti deliberazioni: "Decreto legge 30/ 12/1981 n. 801, art. 1. Proroga dei termini contenuti nei D.P.G.R. rilasciati ai sensi dell'art. 2 della legge 24/12/ 1979, n. 650".
"Approvazione piano di riparto dei contributi regionali ex art. 1 legge regionale 19 gennaio 1981, n. 4. Insediamenti produttivi finanziabili: 1 stralcio. Importo di L. 17.501.654.800 e di L. 1.527.619.000".
Chi approva l'iscrizione all'ordine del giorno e le due delibere, è pregato di alzare la mano.
L'iscrizione delle deliberazioni e approvata all'unanimità.
Passiamo quindi all'esame della prima deliberazione: "Il Consiglio regionale vista la proposta della Giunta regionale di concedere ulteriore proroga dei termini relativi alla realizzazione di impianti di depurazione stabiliti nei D.P.G.R. rilasciati a titolari di insediamenti produttivi ai sensi dell'art. 2 della legge 65011979, in base alla facoltà in tal senso concessa alle Regioni dall'art. 1 del D.L. 30/12/1981, n. 801 tenuto conto che il Presidente della Giunta regionale può essere delegato alla concessione, mediante decreto, della proroga dei termini di cui all'art. 2 della legge 650/1979 tenuto conto che con successiva deliberazione della Giunta regionale verrà istituita una Commissione tecnica per l'esame delle succitate richieste di proroga sentito il parere della Commissione consiliare competente delibera 1) di autorizzare il Presidente della Giunta regionale a concedere mediante decreto, la proroga di cui all'art. 2 della legge 650, in conformità al disposto dell'art. 1, primo e secondo comma, del decreto legge n. 801 del 30/12/1981, su parere della Commissione tecnica appositamente istituita, la quale dovrà valutare i motivi che hanno impedito o ritardato la piena realizzazione degli impianti 2) le domande di proroga di cui sopra devono essere redatte sulla base del modello allegato alla presente deliberazione e dovranno pervenire all'Assessorato per l'ambiente e l'energia-piazza Castello n. 153, Torino entro e non oltre il 30 giorno successivo alla pubblicazione della presente deliberazione sul Bollettino Ufficiale della Regione Piemonte. Le domande redatte in carta legale (originale e una copia) devono contenere: a) dettagliata descrizione degli interventi già attuati fino alla data fissata nel decreto di autorizzazione rilasciato dal Presidente della Giunta regionale ai sensi dell'art. 2 della legge 650/1979 b) indicazione delle ragioni per le quali non è stato rispettato il termine fissato nel D.P.G.R. corredata da idonea e dettagliata documentazione di prova di quanto affermato e dell'eventuale permanere delle difficoltà di attuazione del programma (in caso di inosservanza dei termini contrattuali da parte delle ditte fornitrici, allegare copia della conferma d'ordine e/o del contratto d'acquisto dell'impianto e/o di altro analogo documento) c) indicazione del termine entro il quale si prevede di ultimare gli interventi per l'adeguamento degli scarichi 3) al fine di consentire i controlli previsti dalla legge, copia della suddetta domanda deve essere inoltrata entro lo stesso termine anche al Comune in cui è situato l'insediamento produttivo, ovvero al Presidente del, Consorzio per la depurazione delle acque, nei casi in cui sia quest'ultima l'autorità competente al controllo 4) non sono ritenute valide le richieste di proroga pervenute a quest'Amministrazione prima della pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della presente deliberazione".
Chi approva è pregato di alzare la mano.
La deliberazione è approvata all'unanimità dei 32 Consiglieri presenti.
Infine passiamo all'esame della seconda deliberazione: "Il Consiglio regionale vista la proposta della Giunta regionale di approvare il piano di riparto dei contributi di cui alla legge regionale n. 4 del 191111981 riguardante 'Provvedimenti per la realizzazione di impianti di depurazione degli scarichi degli insediamenti produttivi in attuazione dell'art. 2o della legge 10/5/1976 n. 319 e dell'art. 5 della legge 24/12/1979 n. 650' tenuto conto che tali contributi vengono concessi alle imprese industriali, imprese artigianali e imprese agricole assimilate agli insediamenti produttivi nonché ai soggetti di cui all'art. 5, secondo comma, della legge 650/79, con impianti produttivi localizzati in Piemonte in attività alla data dell'11111975, secondo modalità, priorità e criteri stabiliti nella deliberazione del Consiglio regionale dell'1/4/1981 n. 108 2906 attuativa della succitata legge regionale n. 4/1981 considerato che con la deliberazione del Cipe dell'11/7/1980 'Riparto delle disponibilità finanziarie di cui agli artt. 4 e 5 della legge 1979 n.
650' sono stati assegnati alla Regione Piemonte L. 22.076.500.000 a favore delle imprese industriali e artigianali e L. 6.369.711.980 a favore delle imprese agricole assimilate agli insediamenti produttivi, rispettivamente disponibili sui capitoli n. 8930 e n. 8940 del bilancio 1981 premesso che la Giunta regionale provvederà all'assunzione degli impegni di spesa con propria deliberazione premesso inoltre che l'effettiva erogazione dei contributi in favore delle ditte inserite nell'allegato piano di riparto verrà effettuata con decreto del Presidente della Giunta regionale, previa presentazione da parte delle medesime della documentazione comprovante l'avvenuta realizzazione degli impianti e delle opere relativi ai contributi concessi nonché la certificazione della loro funzionalità sentito il parere della Commissione consiliare competente delibera di approvare il 1 stralcio del piano di riparto dei contributi regionali ai sensi dell'art. 3 della legge regionale 191111981, n. 4 'Provvedimenti per la realizzazione di impianti di depurazione degli scarichi degli insediamenti produttivi in attuazione dell'art. 20 della legge 10/5/1976, n. 319 e dell'art. 5 della legge 24112/1979, n. 650' (allegato AO per un ammontare di L. 17.501.654.800 per imprese industriali e artigianali e di L. 1.527.619.000 per imprese agricole assimilate agli insediamenti produttivi; tale allegato A fa parte integrante della presente deliberazione.
I documenti che devono essere prodotti sono: a) copia autenticata delle fatture - con date di emissione e di quietanza - successive al 13 giugno 1976, relative alla progettazione e realizzazione di opere murarie, impianti tecnologici e strumenti di controllo direttamente attinenti all'installazione di impianti di depurazione delle acque prescritti dalle leggi 319/76 e 650/79 oggetto della domanda presentata ex legge 4/1981.
Le spese potranno essere documentate anche con altro documenti fiscalmente idoneo: (a- estratto notarile del libro giornale da cui risulti la capitalizzazione delle spese; b- estratto notarile del libro inventario), a condizione che lo stato patrimoniale sia analitico, cioè figuri la voce 'per impianto di trattamento acque' o simile b) dichiarazione sostitutiva di atto notorio ex legge 411/1968 n. 15 comprovante il riferimento delle fatture prodotte a spese concernenti la voce 'impianto di trattamento acque' o simile (devono essere riportati i numeri delle fatture e l'importo complessivo delle medesime, al netto Iva nonché l'elenco delle opere realizzate, relative alle fatture stesse) c) la certificazione dell'autorità competente al controllo attestante: c1) nel caso di realizzazione di impianto di depurazione, la funzionalità dell'impianto stesso c2) nel caso di ammodernamenti dell'impianto preesistente, l'avvenuta realizzazione delle opere medesime c3) nel caso specifico di realizzazione di impianti con produzione di biogas un'attestazione rilasciata dal competente ente pubblico per il controllo, comprovante la presenza di una percentuale di metano nel biogas non inferiore al 60 e una dichiarazione dell'interessato dalla quale risulti l'utilizzo del biogas a fini energetici d) idonea documentazione attestante l'avvenuta diminuzione del consumi idrico, nel caso di recupero e/o risparmio idrico e) dichiarazione di non aver ottenuto altro finanziamento, nei casi in cui le ditte abbiano dichiarato nella domanda di contributo di avere in corso pratiche per l'ottenimento di agevolazioni per la costruzione di impianti di depurazione sulla base di altre leggi regionali o statali.
Tale dichiarazione dovrà essere fatta anche da parte delle ditte che hanno avviato pratiche per l'ottenimento di altre agevolazioni per la costruzione di impianti di depurazione, successivamente alla data di presentazione della domanda in base alla legge regionale n. 4/1981.
Nell'allegato piano di riparto vengono specificatamente indicati per ogni ditta i documenti richiesti.
E' fatta salva la facoltà da parte della Regione di richiedere gli ulteriori documenti, comunque tra quelli previsti nella presente deliberazione, che si rendessero necessari prima dell'erogazione del contributo.
I sopraelencati documenti dovranno pervenire alla Regione Piemonte Assessorato per l'ambiente e l'energia, piazza Castello n. 153, Torino entro e non oltre il 31 dicembre 1982".
Chi approva è pregato di alzare la mano.
La deliberazione è approvata all'unanimità dei 32 Consiglieri presenti.
Il Consiglio sarà convocato il giorno 4/2/1982 ore 9,30 e 15, con all'ordine del giorno il proseguimento del dibattito sul turismo.
La seduta è tolta.
(La seduta ha termine alle ore 18,15)



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