Sei qui: Home > Leggi e banche dati > Resoconti consiliari > Archivio



Dettaglio seduta n.101 del 22/12/81 - Legislatura n. III - Sedute dal 9 giugno 1980 al 11 maggio 1985

Scarica PDF completo

Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BENZI


Argomento: Programmazione e organizzazione sanitaria e ospedaliera

Esame progetto di legge n. 121 : "Piano sociosanitario della Regione Piemonte per il triennio 1982/1984" (seguito)


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Riprende il dibattito sul piano socio-sanitario della Regione Piemonte per il triennio 1982/1984.
Ha chiesto di intervenire il Consigliere Montefalchesi che ha facoltà di parola.



MONTEFALCHESI Corrado

La proposta di piano socio-sanitario che è in discussione, sia per quanto riguarda il testo della legge che gli allegati, è a nostro avviso una apprezzabile legge di principe che, come tale e con alcune modificazioni, può essere sottoscritta da un ampio ventaglio di forze. Essa parte infatti, a nostro avviso, da una linea di fondo: la 833 è una buona legge ed a livello regionale si tratta solo di ribadirne la validità e di difenderla di fronte agli attacchi di chi non vuole riformare la sanità nel nostro Paese. Non starò qui a ribadire le critiche che come PdUP abbiamo mosso, da sinistra, alla 833: in parte queste critiche valgono anche per il piano oggi in discussione. L'elemento di fondo, che da subito mi preme sottolineare, è che una legge di principi è insufficiente: occorrono infatti norme e vincoli precisi se si vuole evitare che poi, nella realtà dell'intervento e dell'amministrazione quotidiani, prevalga, sia a livello regionale che a livello delle singole USL, la concezione della sanità intesa a livello curativo ed il tentativo, che sarebbe gravissimo, di "sanitarizzare" in questo modo l'intero territorio. Norme e vincoli precisi, dunque, che devono già essere nella legge e non affidati alla solerzia delle circolari assessorili, come condizione indispensabile per coinvolgere gli operatori del settore (che non sono soltanto i medici, a meno che non vogliamo perpetuare nei fatti l'assenza della riforma) e convogliare le risorse finanziarie e professionali particolarmente per la prevenzione.
C'è infatti una domanda che preliminarmente dobbiamo rivolgerci: il piano deve essere una razionalizzazione dell'attuale servizio sanitario o una razionale risposta ai bisogni della popolazione in ordine ai problemi sanitari e socio-assistenziali? La "filosofia" del piano sta tutta nella risposta a questa domanda: nel primo caso si chiederà agli utenti di essere pazienti, di capire i ritardi e le esigenze del personale che si occupa della sanità e dei servizi sociali; nel secondo caso si chiederà al personale di essere attento alle esigenze di salute che provengono dall'utenza e dal territorio. Solo in questo caso, tra l'altro, ha senso l'impegno della Regione per l'ulteriore qualificazione e professionalizzazione del personale, ed assumono valore le iniziative di informazione sanitaria the non sono, come qualcuno anche a sinistra pensa il mezzo perché la gente la smetta di chiedere "tutto e subito".
In realtà il malato acuto ha pieno diritto di chiedere "tutto e subito" e la popolazione quello di ottenere che gli ambienti di lavoro e di vita che siano sani, gli alimenti, i farmaci, non siano né inutili né dannosi.
Non vorremmo che, al contrario, a queste esigenze si rispondesse sempre con rinvii, come per quanto riguarda l'applicazione della legge Merli, o con provvedimenti sbagliati, come il passaggio, dal prossimo febbraio, del personale dipendente dagli Ispettorati del lavoro e dall'ENPI non già al servizio sanitario per la prevenzione, ma al Ministero dell'industria.
Questi sono a nostro avviso, segnali di pericolosa controriforma ed il tentativo di compiere inaccettabili identificazioni (difesa della salute difesa del malato; al posto di difesa della salute = difesa del sano perch non si ammali e assistenza al malato per il recupero del proprio stato di sano) che portano a privilegiare chi cura le malattie, sia esso dipendente pubblico o operatore privato. Non a caso i servizi privati di analisi e cura prosperano, ed i servizi privati di prevenzione sono inesistenti o costruiti su misura di chi li vuole usare per continuare a falsificare i dati sull'ambiente di lavoro e di vita, poiché introdurre modifiche ambientali gli costerebbe.
Noi non crediamo che il piano debba essere stravolto: sui principi siamo d'accordo. Chiediamo però che vengano inserite delle aggiunte ed apportate alcune modifiche perché i principi siano tradotti in realtà.
Sull'atteggiamento rispetto a queste proposte verificheremo la disponibilità politica della Giunta e l'atteggiamento dei Gruppi del Consiglio poiché abbiamo ragione di ritenere che non tutti quelli che sono per la riforma a parole lo siano anche nei fatti. Interessi corporativi e clientele sono in questo settore elementi che di fatto poi determinano una pratica politica e richiedono dalla politica coperture e favoritismi. E' un grosso segnale anche di riforma morale se con questo piano inviamo alla comunità piemontese un messaggio: abbiamo approvato una legge per migliorare i servizi socio-sanitari, perché il personale che opera nei servizi lavori meglio per difendere la salute, perché "l'industria della salute" ed i suoi profitti siano in Piemonte risanati e quelli che erano in passato profitti privati diventino risorse utilizzabili perché la gente non si ammali.
Sono queste le condizioni che consentono alla gente di aver fiducia nel servizio socio-sanitario e non, come oggi accade, di rivolgersi al servizio sapendo di pagare (dopo i contributi già versati, peraltro in misura prevalente da parte dei lavoratori dipendenti), una serie di tangenti agli industriali farmaceutici, ai medici, ai farmacisti. Cresce la sfiducia se invece, come ancora accade a livello nazionale, le precise denunce dei medici di famiglia riuniti in congresso nell'autunno scorso, rispetto ai doppioni esistenti o all'inutilità di alcuni farmaci restano senza risposta, le dichiarazioni documentate di percentuali di sconto ai farmacisti del 60 % su alcuni farmaci, i profitti realizzati dall'industria farmaceutica (il consumo dei farmaci è diminuito del 3,63 % nel 1980, ma la spesa farmaceutica è aumentata del 31,999 % dati riportati dalla Farmindustria) vedono l'acquiescenza in alcuni casi, in altri la complicità delle autorità e del Governo.
Questo è solo un esempio: tutti sanno dello spreco in questo settore di macchinari fatti acquistare da qualche medico per gli ospedali come fiori all'occhiello; di macchinari che non funzionano negli ospedali pubblici perché devono funzionare quelli delle cliniche private; di massicce richieste di analisi dietro le quali sta, nel migliore dei casi l'insicurezza del medico; di prescrizioni farmaceutiche inutili o dannose che hanno per obiettivo, anche qui nel migliore dei casi, di tranquillizzare il medico che li prescrive (si pensi al consumo di antibiotici).
Combattere gli sprechi, dunque, ma ricercare l'origine dello spreco.
Risulta troppo comodo, oltre che ingiusto e sbagliato, prendersela con l'utenza. Certo l'utenza è in molti casi diseducata, ma all'origine della diseducazione c'è in questo settore una grossa carenza dell'istruzione pubblica e la convinzione errata che la capacità di prevenire la malattia e di curarla sia compito esclusivo della classe medica. Voglio solo ricordare che almeno in due settori i medici ed i tecnici della salute hanno dovuto ammettere che la loro competenza andava integrata e, più spesso modificata, poiché era in realtà il prodotto del rapporto tra scienza e politica e cultura dominanti. Il primo settore è quello dell'ambiente di lavoro, della fabbrica. L'esperienza dei lavoratori su cosa rilevare e dove mettere gli strumenti di rilevazione è stata decisiva, ad esempio, per cogliere il rapporto ambiente di lavoro-salute.
Il secondo settore in cui gli utenti sono stati decisivi per modificare arcaiche concezioni e per rompere un rapporto di potere del medico sul proprio corpo è quello della salute della donna, tanto che oggi, ad esempio, corsi per apprendere l'autovisita al seno sono promossi dalle stesse USL (cito ad esempio la 73).
Si tratta in questi casi di consolidare delle conquiste, ma si tratta anche, culturalmente, di prendere atto che la professionalità degli operatori va coniugata con la soggettività degli utenti. Questo è lo sforzo che, insieme, l'istruzione sanitaria della popolazione e l'aggiornamento professionale degli operatori devono perseguire.
Un'ultima osservazione generale: perché il piano sia efficace occorre non solo destinare quote maggiori di spesa alla prevenzione (rilevazione dei rischi più frequenti, pericolosi e prevenibili e costruzione delle mappe di rischio), all'informazione e all'educazione sanitaria, alla formazione professionale e ai progetti-obiettivo. Occorre anche stimolare le USL perché le cifre destinate vengano investite. In questi settori infatti, le cosiddette "economie" di bilancio non sono tali, ma perpetuano situazioni di carenza del servizio sanitario. Citerò solo qualche dato preso dal rendiconto dell'esercizio finanziario 1980.
Il progetto per le Unità di base prevedeva una spesa di oltre 388 milioni, di cui più di 209 non sono stati spesi; il progetto per la tutela materno-infantile oltre 43 miliardi, di cui solo poco più del 50 % sono stati spesi; per il riordino dei servizi socio-assistenziali, per gli anziani erano previsti un miliardo e 465 milioni di spesa, dei quali solo 541 milioni sono in realtà stati utilizzati; i contributi ai Comuni per intervenire rispetto alle tossicodipendenze o all'alcoolismo erano quasi 780 milioni, di cui solo 24 milioni sono stati spesi, mentre la spesa prevista per erogazione a cliniche e case private (7 miliardi e 330 milioni) è stata quasi del tutto effettuata (si sono risparmiati in questo caso il termine è giusto) solo 6 milioni.
Si colloca, a questo punto, la nostra principale proposta di modifica del piano sociosanitario che è stato presentato, in quanto ci sembra che la qualificazione della spesa ed il risparmio con la riduzione, se non proprio l'eliminazione degli sprechi ci sembrano decisivi. Proponiamo quindi all'allegato 8 sulla politica del farmaco un'aggiunta: il piano triennale si propone il conseguimento del seguente obiettivo: diminuzione complessiva del consumo di farmaci in misura comunque non inferiore al 5% annuo.
Abbiamo calcolato che notevole può essere il risparmio sulla spesa farmaceutica, ottenibile attraverso il prontuario, la sensibilizzazione dei medici di base, la possibilità di consentire a tutti i medici, pubblici dipendenti, di prescrizione di ricette per le mutue: l'individuazione, a parità di qualità, dei farmaci da utilizzare rispetto al loro costo evitando le operazioni maggiormente speculative da parte dell'industria farmaceutica, come l'esperienza di Perugia insegna.
Ultimo aspetto che voglio sottolineare, che è anche una sollecitazione alla Giunta, è la necessità che la Regione imbocchi con decisione la strada del ruolo unico dei medici a partire dalle prossime assunzioni.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARCHIARO



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Devecchi.



DEVECCHI Armando

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, il piano socio-sanitario piemontese, ha imboccato la dirittura d'arrivo, è approdato cioè in quest'aula dopo evidenti segni di nervosismo e non pochi malintesi che hanno avuto anche punte piuttosto aspre nelle dichiarazioni degli esponenti, dei Gruppi politici presenti in questo Consiglio regionale. Non va però taciuta la faticosa, a volte tormentata, vicenda che si è snodata lungo il corso dei mesi quando attraverso le consultazioni, le discussioni le memorie, gli emendamenti, gli incontri - e perché no - gli scontri di opinioni, si è andato via via riscuotendo per la terza volta il piano socio sanitario della Regione Piemonte.
E' già stato ricordato da chi mi ha preceduto, che questa è la terza proposta di piano. Essa viene dopo - tanto per dare un nome e un cognome la proposta Enrietti e Vecchione alla quale è succeduta la proposta Bajardi Cernetti. Se mi è consentito, vorrei rivolgere all'Assessore Cernetti una domanda: sotto la seconda bozza di questo piano c'e o non c'è la sua firma? Dobbiamo considerarlo un piano Bajardi-Cernetti, oppure soltanto un piano Bajardi? Il padre è certo, in questo caso per noi, non altrettanto certa è la madre del piano.
Finalmente la terza e definitiva stesura, quella che ci è stata consegnata giovedì scorso e che è stata licenziata a maggioranza dalla V Commissione, è ora al nostro esame.
Essa, diventando legge regionale, dovrà nei prossimi tre anni dettare indirizzi e programmi agli operatori sanitari piemontesi, ma soprattutto dovrà dare garanzia e certezza alle nostre popolazioni, dovrà conseguire in una parola quegli obiettivi che sono indicati dalla legge 833 e che noi condividiamo. Anche in questo ci differenziamo da qualche esponente di altra forza politica che invece non ha fiducia nella legge 833.
E' innegabile che le discussioni e le polemiche intorno alla riforma sanitaria stanno attirando l'attenzione della stampa di informazione, vuoi per la notorietà di alcuni interlocutori (basterebbe qui ricordare l'intervento su "La Stampa" dell'ex Ministro Reviglio, oppure l'intervento del segretario generale della UIL. Benvenuto oppure il presidente dell'Ordine dei medici, Prof. Parodi). Vuoi, purtroppo talvolta per la superficialità con cui il problema stesso è stato accostato dal grosso pubblico. Noi siamo stati attenti a tutte le prese di posizione provenienti dai diversi settori dell'opinione pubblica, ma ci siamo sforzati e ci sforziamo, oggi come ieri, di distinguere le ragioni ed i motivi di fondo dalle ragioni contingenti, magari interessate e perciò stesso non sempre necessariamente obiettive, che muovevano, muovono e dettano certe prese di posizione.
Lungi da noi la convinzione che tutto vada bene, che non vi siano carenze e disguidi nell'attuazione in sede nazionale della legge 833; non per questo però la nostra fiducia nella legge è venuta meno. Quando il cittadino di buon senso si chiede se è vero che l'aspetto politico predomina troppo spesso sull'aspetto tecnico nei tempi e nei modi di attuazione della riforma, noi diciamo che una corretta interpretazione della legge n. 833 vuole che l'uno e l'altro aspetto abbiano le loro sfere di azione e di competenza; diciamo che il governo politico non deve prevalere o peggio prevaricare sul governo tecnico e viceversa. Qui sta uno dei nodi più delicati del problema, a nostro avviso. Senza un governo tecnico sanitario delle USL è quasi impossibile che il solo governo politico unitario possa garantire la pratica applicazione di uno dei principi fondamentali della riforma, cioè quello della globalità e della unitarietà dell'intervento sanitario sotto il profilo preventivo, curativo e riabilitativo.
Per noi democratici cristiani la legge in parola è stata ed è una legge necessaria, valida nella sua globalità che potrà dare frutti positivi per il nostro Paese, a condizione però, che la sua realizzazione non venga o non avvenga in modo squilibrato o distorto e se ne sappiano interpretare e realizzare correttamente gli obiettivi.
Oggi, a tre anni dalla sua approvazione, nonostante le condizioni socio economiche siano profondamente mutate, consideriamo la legge 833 come una delle leggi Sanitarie più valide in senso assoluto: per i principi che riafferma ed a cui si ispira, per le norme e gli istituti che pone in essere, per il rispetto e la valorizzazione che ha inteso promuovere delle svariate virtualità regionali e locali, delle quali sottolinea il ruolo e l'importanza, per il realistico disegno di dare a tutti i cittadini un corretto servizio sanitario.
In altri termini noi D.C., come è stato affermato ieri dal collega Martinetti, alla riforma sanitaria, alla sua necessità, alla sua attuazione crediamo, e perciò operiamo perché si attui, perché diventi realtà, perci abbiamo operato perché il disegno del piano regionale diventasse realtà anche in mancanza del piano nazionale. Riaffermiamo però che è attraverso un realistico piano nazionale che si può sperare od operare il tentativo di superare gli squilibri, il settorialismo e il burocraticismo. Ne siamo convinti, così come siamo convinti, che sia stata una scelta esatta quella operata dal legislatore nazionale nell'affidare il governo della salute dei cittadini ad un organismo unitario.
E' attraverso una corretta attuazione della riforma che si pu pervenire al recupero ed all'esaltazione della dignità umana, è attraverso una corretta attuazione della riforma che vogliamo si giunga all'integrazione dei servizi sociali e di quelli sanitari.
Per questo respingiamo le critiche superficiali o qualunquistiche peggio, le ironie che in materia sanitaria stanno venendo avanti anche sulla stampa quotidiana e periodica. Ad esse opponiamo il nostro impegno quotidiano. La dimostrazione l'abbiamo data con il nostro modo di agire e di porci anche durante i lavori della V Commissione. Né siamo d'accordo con quanto mi è parso di sentire che la legge di riforma giunge con 30 anni di ritardo. Una simile affermazione non tiene conto della realtà del nostro Paese, le stesse innegabili difficoltà odierne lo stanno a dimostrare.
Del resto sono fermamente convinto che oggi come ieri i veri nemici della riforma sanitaria non sono i critici, anche severi e rigorosi, ma coloro i quali credono di poterne applicare le norme in modo acritico ispirandosi a schemi ideologici astratti o poco realistici, peggio se dettati da intenti punitivi. Non sarà inutile ricordare che per noi riformare non vuol dire punire, non vuol dire agire contro qualcuno, ma vuol dire agire in favore di qualcuno, meglio se in favore di tutti.
E' innegabile infatti che di fronte a risorse limitate occorre proporsi obiettivi altrettanto limitati, che la eccessiva politicizzazione dei problemi sanitari non sempre è il modo migliore per risolverli, che prima di distruggere le vecchie istituzioni e le vecchie strutture occorre essere certi che le nuove siano in grado di fornire livelli di servizio perlomeno uguali.
E' un concetto che è stato più volte detto ed affermato dalla mia parte politica, ma non sarà mai sufficientemente ribadito.
Così questi mesi di lavoro sul piano, in Commissione e sul territorio secondo il mio parere, hanno contribuito non poco a far nascere nella gente una migliore coscienza sanitaria. I cittadini piemontesi hanno avuto l'occasione di dibattere (e spesso hanno dibattuto e discusso) sui temi sui problemi connessi al piano ed alla salute; si sono resi conto che molte strutture, molte presidi sono sovra o sotto dimensionati, che un servizio diventa funzionale, efficiente e soprattutto a misura d'uomo se c'è il concorso dell'uomo, cioè di tutti, dell'utente e dell'operatore, del tecnico e del politico, perché gli uni e gli altri sono ugualmente necessari.
Quindi, caro Bajardi, consentimi di precisare che l'aver a lungo analizzato Con severità ed obiettività il documento che ci è stato sottoposto, l'aver apportato modifiche e mosso critiche severe, ma rispondenti alle nostre convinzioni, è stata la dimostrazione più seria della nostra buona fede. Nessun interesse particolare ci ha mai guidato o mosso: anche questo va sottolineato. Nessuno di noi ha mai risposto ad altro desiderio all'infuori di quello di servire le popolazioni che qui ci hanno inviati. Che molti suggerimenti abbiano trovato ascolto o accoglienza, riteniamo sia da ascrivere come fatto positivo e come un frutto del cammino percorso insieme a tutte le forze politiche durante le consultazioni sul territorio e durante il lavoro svolto in commissione.
Il confronto tra le proposte iniziali ed il testo odierno è abbastanza significativo. Ci auguriamo che il confronto trovi ulteriori motivi e occasioni di convergenza durante questo dibattito. Ripeto, il tempo trascorso in commissione, il tempo di gestazione del piano non è stato certamente perso. Del resto, non è certo imputabile alla D.C. il fatto che troppe volte la maggioranza è mancata all'appuntamento rendendo impossibile il passaggio alle fasi successive e ponendo in posizione di stallo la commissione. Non è colpa nostra se la maggioranza si è trovata divisa ed insicura ed incerta, condizionata spesse volte. Sono problemi che la riguardano ma che non possiamo lasciare passare sotto silenzio.
Come è stato ricordato dal collega liberale, il senso di responsabilità del presidente Beltrami semmai, ha favorito l'iter di tutto il piano socio sanitario anche in quei momenti ed in quelle parti sulle quali nutrivamo molte e forti perplessità. Questo va detto e ribadito.
Già ieri il collega Martinetti ha esposto con quella chiarezza, con quella competenza e con quella serietà che gli sono proprie, i motivi di insoddisfazione e di dubbio che condizionano da un lato la nostra valutazione e dall'altro determinano il nostro atteggiamento.
Osiamo sperare troppo augurandoci che la maggioranza consiliare in quest'aula accolga quelle richieste, quegli emendamenti che la nostra parte politica ritiene irrinunciabili? Se non saranno accolti, non per questo l'atteggiamento e l'impegno nostro e quello dei nostri amici impegnati in periferia in prima persona nelle varie USL. sarà meno concreto nella fase attuativa del piano allorch esso diventerà legge. Questo concetto, teniamo a ribadirlo ancora una volta, perché forse troppe voci maliziose e interessate si sono sparse in proposito.
Comunque, che diventi legge della Regione con o senza i nostri voti, il piano sarà, come lo è stato sinora, da noi posto al vaglio della critica più seria per cercare se necessario di modificarlo, ma sarà attuato con tutto l'impegno, con tutta la serietà e con tutto il realismo che la complessità della materia richiedono.
Diremo per intanto che secondo noi, il piano risente di uno squilibrio di fondo: risente cioè del dualismo profondo tra l'aspetto sociale e quello sanitario, manca cioè l'armonia che dovrebbe a nostro avviso caratterizzarlo e fonderlo in un documento organico. E' sin troppo evidente che esso è il frutto di opinioni diverse. Risulta quindi un piano squilibrato. Assessore all'assistenza, in quale parte, in quale specifica stesura vede rispecchiato l'indirizzo del suo Assessorato? Meglio, dove ritiene e in quale misura ritiene che siano accolte concretamente nel piano le istanze che fanno capo ai servizi del suo Assessorato? Non le sembra che si tratti soprattutto di un piano sanitario, ma molto poco socio-sanitario? Ho la personale sensazione che ancora una volta il suo caro collega responsabile della sanità, non solo abbia monopolizzato gli indirizzi del piano, ma abbia ridotto l'Assessore all'assistenza, nelle vesti di un generale che dovrebbe e vorrebbe combattere una battaglia sacrosanta ed improcrastinabile, ma senza i mezzi e senza le truppe.
Sbaglio forse? Vorrei tanto sbagliarmi! Temo proprio di no.
Fuori di metafora ritengo, che sia stato molto più coerente il legislatore dell'Emilia Romagna quando ha titolato la sua legge n. 6 del 7/2/1981 semplicemente "Piano sanitario" lasciando l'aggettivo "socio" perché in esso l'aspetto prevalente è quello sanitario. Forse sarebbe stato più opportuno fare altrettanto anche per noi.
Quand'anche poi volessimo prendere per valide tante generiche affermazioni, che come forza politica non sempre condividiamo per motivi ideologici, come potremmo credere alla validità di uno strumento che non si appoggia alla legge di riforma nazionale e forse difficilmente potrà essere coordinato con la legge di riordino dei servizi socio-assistenziali della Regione (la ormai troppo famosa legge 54 per intenderci)? Che dire poi delle scarse, meglio risibili risorse economiche che all'assistenza vengono sistematicamente assegnate? Non ripeto qui quanto ho già detto altra volta. Se il piano deve diventare una realtà socio-sanitaria, se vuol dare un apporto decisivo come secondo noi dovrebbe dare, alla soluzione dei problemi sociali e sanitari, deve dimostrare una maggiore accentuazione per la parte sociale deve indicare precisi e puntuali indirizzi di natura socio-assistenziale ma realizzabili e concretamente attuabili, deve, in una parola, fornire alle USL quelle direttive e quei mezzi perché il servizio lo possano impiantare, organizzare e svolgere.
La maggioranza deve dimostrarci con corrispondenti ed indispensabili appostamenti di bilancio, che essa per prima crede che il piano è veramente un piano socio-sanitario. Sinora riteniamo non sia stato così. Infatti quanto stanziato lo scorso anno e quanto sarà stanziato a quanto pare anche per l'anno prossimo, sta a dimostrare il contrario.
Certo, Assessore Cernetti, il suo predecessore all'Assessorato all'assistenza è stato più fortunato di lei: almeno lui, la sanità, quando recava ancora il marchio "Enrietti" aveva dimostrato di essere relativamente generosa se è vero come è vero che aveva elargito ben otto miliardi per la riqualificazione delle case di riposo. Ma, in allora correva la primavera del 1980, non si faceva del nominalismo e anche le case di riposo potevano essere finanziate. Non voglio pensare comunque che il dirottamento di otto miliardi sia avvenuto perché le elezioni erano vicine.
Nella realtà delle nostre USL già oggi gravano grossi interrogativi perché insistenti voci vorrebbero il settore assistenziale sostanzialmente distinto e separato da quello sanitario. In altri termini, vorrebbero relegarlo in un angolo.
Perché non dire poi chiaramente che non pochi dubbi, non pochi interrogativi ci rendono sempre più perplessi quando qua e là, sempre e puntualmente, affiora l'aspetto polemico o punitivo verso le istituzioni private, verso quei non pochi enti che tanta parte hanno avuto e tante stupende pagine hanno scritto nella storia della nostra Regione? Si è che forse - e senza forse - ai valori della "carità" che è amore verso il prossimo, espressa attraverso i secoli e attraverso i decenni, oggi si vorrebbero sostituire altri valori.
Voglio augurarmi, vogliamo augurarci, che siano altrettanto validi però lasciatemi esprimere qualche dubbio. In realtà uno spirito punitivo sembra circolare nel disegno di legge e relativi allegati, nonostante l'accoglimento di tanti emendamenti nostri, e questo certamente non è una garanzia per noi che vediamo nella riforma sanitaria, come ho detto prima un mezzo, un'occasione per servire e non per punire.
Quando poi incontriamo affermazioni che suonano condanna dell'iniziativa privata, che va sì disciplinata, che va corretta nelle sue manifestazioni più esuberanti, ma che pur sempre, o quasi sempre è indice di coraggio, di inventiva - e perché no - spesso è anticipatrice delle soluzioni più valide, anche nel campo sanitario, le nostre perplessità aumentano.
Quando riscontriamo il desiderio di porre ostacoli alle libere scelte del cittadino, come ha ricordato ieri il Consigliere Marchini, quando avvertiamo il desiderio di misconoscere tutto o quasi quanto è stato realizzato in passato, i nostri dubbi aumentano e le nostre posizioni nei confronti del piano non possono più essere né accondiscendenti n incondizionatamente favorevoli.
Che dire poi del fatto che, Torino, un terzo del Piemonte, è sostanzialmente fuori del piano? Con felice immagine ieri si è detto che ancora una volta Torino ha prevaricato su tutto il resto della Regione.
Forse vi può essere dell'esagerazione nell'immagine, ma rispecchia una realtà innegabile. Questo per noi è un altro dei motivi di perplessità di fronte al piano, altri nel mio Gruppo si soffermerà a trattare più diffusamente il problema. Ma, come è possibile parlare di un piano regionale e di un programma regionale o di programmazione regionale tenendo fuori da esse un terzo della Regione? Se non vi fossero altri motivi, questo potrebbe essere sufficiente per determinare il nostro voto sul piano.
Vorrei ora soffermarmi su alcuni aspetti settoriali del piano stesso, o meglio su alcuni allegati. Su alcuni di essi le opinioni divergono notevolmente da quelle della Giunta, su altri si sono verificate significative convergenze, anche se non sempre entusiaste, per esempio sull'allegato n. 3 che tratta della tutela dell'ambiente. Questa parte del Piano ci ha visti ancora una volta dissenzienti. In Commissione abbiamo presentato un testo alternativo, molto ponderoso, ma dettagliato e abbastanza completo, poiché l'allegato di cui si parla tratta infatti di un settore tra i più importanti affidati alla competenza delle USL, quello cioè che dovrebbe tradurre in operazioni concrete le aspirazioni più rilevanti e più significative della riforma. Noi democratici cristiani abbiamo proposto che lo stesso titolo dell'allegato fosse sostituito con quello del "Servizio di igiene pubblica" meglio ancora con quello di "Tutela e promozione dell'igiene pubblica" dizione non solo più vicina alle indicazioni della legge 833, ma più rispondente, secondo noi, agli obiettivi che debbono prioritariamente essere perseguiti, individuando nel contempo gli interventi particolari da effettuare. Infatti per noi, ma direi per tutti, la tutela dell'ambiente trova una sua giustificata collocazione nell'ambito socio-sanitario regionale in quanto finalizzata non tanto o non solo a difendere le realtà biologiche o biopatologiche, ma perché finalizzata soprattutto alla difesa preventiva della salute dell'uomo che nell'ambiente stesso vive ed opera.
Va infatti ricordato che il concetto di qualità della vita, che così spesso viene associato con quello di tutela ambientale, altro non è che la reinterpretazione del concetto di salute quale stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, fatto proprio dalla Organizzazione mondiale della sanità.
L'igiene pubblica comprende quindi di fatto tutte le attività di prevenzione che riguardano la popolazione in generale. Non starò qui nuovamente ad illustrare i vari aspetti della nostra proposta, in molta parte accolta dalla Giunta ma per noi in misura non sufficiente. Mi preme però sottolineare ancora un aspetto particolare - e ciò sempre in quell'ottica secondo la quale prima di distruggere occorre sostituire qualche cosa di più valido - quando proponiamo di dare ai consorzi provinciali antitubercolari, che tante benemerenze hanno acquisito nel corso degli anni, una razionale collocazione, infatti, non possiamo dimenticare la realtà dell'epidemiologia tubercolare nelle nostre popolazioni, che ha mutato certamente aspetto, ma non è ancora arrivata alla diffusione zero, né va dimenticata l'esperienza acquisita nei consorzi provinciali antitubercolari nel vasto ambito della medicina preventiva. Non è il caso che io stia qui a soffermarmi anche, su questo problema ed a dilungarmi oltre, perché molti di noi hanno l'esperienza preziosa di amministratori delle province piemontesi e quindi conoscono di quale somma di esperienza e qualificazione siano apportatori i consorzi provinciali antitubercolari, che spesso hanno precorso quello che altri settori della sanità hanno compiuto solo molto più tardi.
Abbiamo dato voto favorevole;con riserva all'allegato n. 6 quello dedicato alla "formazione del personale". Ci riserviamo perciò di presentare qualche emendamento nel seguito della discussione.
Il nostro voto in allora ed oggi è determinato e dettato soprattutto dall'aver constatato la notevole evoluzione in senso positivo compiuto nelle varie stesure dell'allegato stesso.
Ne diamo atto alla Giunta, ma verremmo meno a un nostro preciso dovere se anche in questa sede non esternassimo altri nostri dubbi o se non chiedessimo alcune delucidazioni. Innanzitutto poiché il piano socio sanitario in questo specifico settore fa, come in tutti gli altri specifico riferimento ai quadranti e ai poli, vorremmo che le scuole ad essi facenti capo avessero indirizzi unitari e precisi, in altri termini vorremmo maggiori certezze in proposito.
In secondo luogo chiediamo sé è vero che in alcune USL i Comitati di gestione stanno assumendo dirigenti dei corsi scolastici tratti dall'esterno, cioè fuori dal personale socio-sanitario.
Se la notizia rispondesse al vero, non potremmo che esternare tutta la nostra disapprovazione.
Tutto il programma contenuto nell'allegato è poi realistico? Ho già manifestato i miei dubbi in Commissione, ma temo che il tutto rappresenti una rosea speranza Più che una probabile realtà. Quando si parla di riqualificazione del personale occorre innanzitutto fare i conti con tutto un bagaglio culturale ben preciso che sta alle spalle di ognuno di noi.
Sino a che punto, pur con la miglior buona volontà, siamo noi disposti a cambiare, a riformarci? Non si pecca di ottimismo nell'indicazione dei dati contenuti nell'allegato? A meno che per riqualificazione non si intenda come purtroppo è avvenuto e sta avvenendo a vari livelli, una legale e spesso comoda scorciatoia per arrivare ad ottenere la qualifica superiore senza di fatto riqualificarci? La frequenza di un corso dà troppo spesso il diritto ad accedere a mansioni diverse c spesso superiori. Non importa se poi nessuno vorrà più svolgere mansioni tanto utili quanto umili. Vorrà dire che allora si ricorrerà al volontariato, magari a quello cattolico animato da quello spirito di carità cui mi riferivo poc'anzi da quell'amore verso il prossimo che non lo fa guardare tanto alla qualifica ma soprattutto al bisogno da soccorrere.
La politica del personale richiederebbe anche in questo specifico settore una lunga trattazione, ma vi faccio grazie anche perché ieri del personale della Regione in genere si è parlato diffusamente e concretamente. Alla base di tutto però deve stare una seria preparazione che non può essere disgiunta dal riconoscimento della capacità e della professionalità. Non si può pagare, come diceva ieri il Presidente Viglione, il medico meno di un infermiere. Non si può perseguire da un lato l'appiattimento e dall'altro pretendere che la riforma venga attuata interamente e integralmente. Si deve ritornare per forza a riconoscere veramente i meriti laddove questi meriti esistono, non importa quale qualifica uno rappresenti o copra in quel determinato momento.
Infine, qualche accenno sulla riabilitazione funzionale. Ad essa viene dedicato specificamente l'allegato n. 17, votato anche dalla nostra .parte politica, sul quale però vorrei fare alcune brevi considerazioni.
E' questo un altro degli aspetti del piano che maggiormente fanno discutere. Se su di un piano teorico vi sono anche facili convergenze quando si parla di riabilitazione nei fatti le cose camminano con maggiori difficoltà. Forse non sarebbe stonato dedicare ad esso una più puntuale precisazione dei mezzi da impiegare. Gli esperti del settore ci dicono che se è giusto vedere attuato nel distretto il modello operativo di base per il recupero funzionale e riabilitativo, è altrettanto innegabile che una maggiore attenzione, quindi maggiori mezzi, vanno dati ai presidi ospedalieri. In altri termini, quelle famose divisioni di recupero e di rieducazione di cui si è parlato a lungo in Commissione non sono da smantellare tanto a cuor leggero, caso mai, andranno ampliate in alcuni settori. Faccio grazia di tutta una lunga memoria che probabilmente sarà giunta anche agli altri colleghi che espone le ragioni per cui questo settore va potenziato e non penalizzato, memoria che ci trova sostanzialmente concordi.
Vorrei quindi, concludendo, ricordare a me stesso prima che ai colleghi che condizione indispensabile perché il piano non fallisca è quella di avere il coraggio di imprimere anche nella gestione delle USL un più marcato senso manageriale. Occorre incentivare la professionalità a tutti i livelli. Occorre qualificare sempre più i servizi, occorre avere il coraggio di chiudere e tagliare i "rami secchi" e punire le aree di privilegio. Occorre iniziare concretamente una lotta seria contro gli sprechi.
Sapremo rispondere alle attese delle nostre popolazioni? Me lo auguro sinceramente.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Ferrari.



FERRARI Maria Sofia

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, come comunisti non possiamo che esprimere un giudizio positivo sul piano, giudizio che del resto è stato espresso anche dalla relazione del Consigliere Mignone e dal collega Viglione, anche se con sfumature diverse.
Il nostro non può che essere un giudizio positivo perché veniamo da lontano, da lotte che, partite da osservazioni spontanee di lavoratori, di utenti del servizio, si sono unificate e raffinate grazie al contributo dei tecnici ed alla successiva politica di elaborazione e gestione della Giunta.
Avremmo potuto fare di più se tutte le forze politiche fossero state in grado, ognuna dal proprio osservatorio, di coinvolgere tutti i soggetti interessati, come utenti e come operatori. Invece di defatiganti diatribe sarebbe stato più utile confrontarsi con i cittadini, il personale medico e paramedico, gli Enti locali al di sopra di singoli interessi partitici.
Il valore del piano sanitario esige da parte di tutti noi uno sforzo per uscire dal proprio particolare e misurarsi invece con una realtà complessa, sfaccettata, multiforme che a volte rifiuta le risposte univoche e quindi costringe al confronto e alla riflessione.
Il primo piano socio sanitario troverà difficoltà nella sua applicazione perché, tanto per fare un esempio, non sarà né facile n indolore coinvolgere ed integrare i tre soggetti: le direzioni aziendali, i lavoratori ed il personale sanitario.
Questa integrazione è indispensabile per realizzare i fini prioritari del piano e cioè prevenire, tutelare, riqualificare e tutto ciò all'interno di un processo dinamico di trasformazione sempre più rapido della società in tutte le sue strutture.
Questa è la sfida che tutte le forze politiche dovranno affrontare dopo aver discusso ed anche battagliato in tutte le strutture democratiche della nostra società, dagli Enti locali agli organismi di massa.
Voglio soffermarmi brevemente su alcuni allegati.
Allegato 6: Formazione del personale. Nelle consultazioni e nella discussione in Commissione è emerso che l'elemento indispensabile dell'attività dei servizi sanitari e socio-assistenziali sono gli operatori. Questa constatazione naturalmente è valida non solo in questo campo, anche se qui assume un significato tutto particolare per lo speciale rapporto che si crea fra utente ed operatore. Perché questo rapporto sia corretto è necessario da una parte un'educazione sanitaria generalizzata e dall'altra una qualificazione professionale che tenga conto delle mutate esigenze e della mutata formazione sociale e culturale dell'utenza, dello sviluppo tecnologico e delle nuove teorie scientifiche. Tutto questo sempre inserito in un processo dinamico di trasformazione della società. Il piano consente una programmazione della formazione sia qualitativa che quantitativa ed in, particolare di dare una giusta valutazione e collocazione al personale paramedico, forse quello che è stato investito di meno dai processi di trasformazione e che quindi ha bisogno di una attenzione particolare almeno in vesta prima fase. Come diceva il Consigliere Devecchi ciò non sarà facile, ma non mi pare che vi siano scorciatoie. Questo processo di qualificazione e riqualificazione necessita inoltre, di un rapporto costante con l'Università, rapporto che collegherà ricerca e applicazione, ricerca ed aggiornamento e quindi sarà proficuo per tutta la nostra realtà.
Lo spirito ed il valore di questo allegato è valutato mi sembra positivamente da tutte le forze politiche.
L'unica osservazione specifica riguarda una proposta di inserire fra il personale sanitario gli ottici, optometristi e gli odontotecnici alle quali la Giunta ha già risposto tenendo conto della regolamentazione esistente.
A riguardo dell'allegato 12, tutela della procreazione responsabile della Salute della donna, della maternità, dell'infanzia, dell'età evolutiva, debbo confessare che mi hanno meravigliato alcune affermazioni del collega Martinetti, che peraltro stimo e rispetto, e non perché abbia affermato, giustamente con orgoglio, di aver contribuito a migliorare questo progetto obiettivo, ma perché ha fatto intendere e non tanto velatamente, che vi sono delle forze politiche che hanno sempre avuto come obiettivo quasi unico e costante la liberalizzazione dell'aborto visto come un metodo contraccettivo qualsiasi. Caro collega Martinetti, ormai il tempo del referendum è passato. Sappiamo benissimo ambedue che la D.C. non sarebbe mai scesa sul terreno dello scontro se non vi fosse stata costretta dai radicali e questo non per motivi tattici, ma perché consapevole del dramma rappresentato dall'aborto clandestino.
Durante la battaglia referendaria vi saranno state senz'altro accentuazioni, basti ricordare il feto in barattolo ed esposto sui banchi del Consiglio comunale di Rivoli, per cui chi è senza peccato scagli la prima pietra.
Credo che invece correttamente, anche se non acriticamente - del resto anche noi riflettiamo sulle cose fatte - vadano valutate le battaglie da noi condotte per una diversa organizzazione della città, dai trasporti alla casa, della scuola, dagli asili-nido alle scuole superiori, delle strutture sociali, dalle attrezzature sportive ai centri culturali, dell'educazione sanitaria e sociale, dai consultori alle 150 ore, del mondo del lavoro dalla tutela della salute a una nuova organizzazione del lavoro.
Tutte queste battaglie che ci hanno visto sempre in prima fila, certo non da soli, hanno sempre avuto l'obiettivo di contribuire al miglioramento fisico, psichico e sociale delle donne e dei bambini e di fatto, quindi, di portare un contributo alla società intera.
L'applicazione del progetto-obiettivo richiederà uno sforzo collettivo non indifferente. Avremo modo di verificare tutti insieme il rispetto delle dichiarazioni fatte in quest'aula.
Riguardo all'allegato 13, progetto-obiettivo tutela della salute dei lavoratori nell'ambiente di lavoro, voglio sottolineare come per individuare i fattori di rischio occorra, come ho detto prima, una stretta collaborazione tra aziende, lavoratori e personale sanitario.
Le osservazioni spontanee hanno bisogno di essere raffrontate e misurate con la conoscenza dei processi produttivi e delle risultanze scientifiche.
Le esperienze in questi ultimi anni stanno a dimostrare che occorre in fretta individuare ed approfondire i fattori di rischio, occorre accelerare la formazione delle strutture e del personale anche alla luce delle innovazioni tecnologiche che stanno avanzando e che non devono attendere anni per essere studiate e confrontate. Occorre anche qui essere al passo con i tempi, che tendono ad essere sempre più celeri.
Questa ultima frase non vuole giustificare la richiesta di accelerare se si può accelerare un piano che stiamo discutendo da marzo, ossia da 10 mesi, ma per sottolineare che il perfetto esiste, come ci insegnano i cattolici, solo in cielo. Sulla terra è consentito anche sbagliare purch naturalmente non sia fatto per abitudine. Nella società esiste il perfettibile. Con quest'ultimo vogliamo misurarci.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Petrini.



PETRINI Luigi

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, non dimenticando di essere stato un tempo un operatore del settore sanitario, dico subito che chi parla è tra quelli, per quanto gli compete, che, prima di condannare la riforma sanitaria, provano ad attuarla. Un fatto è certo. Chi si aspettava che la riforma sanitaria fosse un toccasana magico di carenze antiche e nuove della nostra assistenza sanitaria non poteva che rimanere deluso.
Un conto è sancire un diritto alla salute uguale per tutti sulla carta un altro è illudersi che la sua applicazione pratica sia indolore ed esente da errori, come ci ricordava ieri il Presidente Viglione. In realtà una riforma sanitaria come quella pensata dal Parlamento italiano meritava e merita sacrifici maggiori di quelli richiesti ai cittadini, ma non meritava come è successo che parecchi degli operatori sanitari e degli assistiti cogliessero l'occasione del cambiamento per allargare il proprio orticello privato o per accrescere le loro pretese.
Le recenti richieste del Ministero del tesoro sono state infatti giustificate a mio avviso dalla necessità di ridurre la spesa pubblica e di contrastare l'inflazione. Ma nel contempo hanno messo in evidenza due esigenze fondamentali: la prima è che le Unità Sanitarie Locali devono non solo fungere da ufficiali pagatori, ma essere responsabilizzate nelle spese, molte delle quali appaiono meno importanti rispetto ad altre e comunque devono avere una gradualità secondo programmi stabiliti in anticipo.
La seconda è che tutti, politici, operatori sanitari, cittadini, devono essere consapevoli che essa potrà avere successo solo se ognuno farà la sua parte; nonostante le carenze e le sfasature, a mio avviso, l'impalcatura rimane valida senza togliere nulla a ritocchi che l'esperienza farà ritenere necessari. In questo senso l'altolà del Ministro Andreatta è apparso salutare anche per gli stessi assistiti. Una delle ragioni che ha spinto infatti il Governo ad usare l'arma del ticket che crea di per s altri intralci burocratici è stata quella di scoraggiare le visite e le spese superflue. E' una scelta necessaria che in fondo contrasta con la filosofia della riforma sanitaria; proprio perché è stata presa dall'alto questa via ha però un'alternativa, quella che i cittadini decidono da soli senza imposizioni sapendo però graduare le loro richieste, dando la precedenza a coloro che invece hanno oggi più bisogno, i vecchi, gli handicappati, i malati che corrono i veri pericoli. Se questa via sarà imboccata e sarà accompagnata da una più equa ripartizione degli oneri oggi posti in modo diseguale e ingiusto su molte categorie, la riforma sanitaria dal mezzo del guado potrà pervenire sulla sponda del fiume.
La proposta di piano socio-sanitario della Regione Piemonte al nostro esame, rappresenta certamente una base culturale per il raggiungimento delle finalità proprie della riforma sanitaria. Non si può infatti non condividere il fatto di aver posto l'accento sull'importanza della prevenzione nel servizio sanitario regionale e sull'obiettivo di avviare la necessaria integrazione tra servizi sanitari e servizio socio assistenziale. E la proposta di piano sanitario, pur con le sue carenze, è senza dubbio nella linea della riforma sanitaria varata nel nostro Paese.
Mi rivolgo quindi all'impegno, ricordato ieri dal collega Martinetti dell'Assessore Bajardi al quale va riconosciuto di avere presentato in quest'aula i due unici piani programmatori, quello dei trasporti e quello della sanità, che devono essere i veri modi di agire dell'Ente Regione nel campo prioritario delle grandi scelte programmatorie, del coordinamento e della legislazione conseguente per un progetto più rispondente alle reali esigenze di quello approdato in quest'aula, se si vorrà porre attenzione ad accogliere il contributo delle forze politiche e i singoli Consiglieri possono offrire in questa fase di analisi e di dibattito.
Nel contesto dei principe generali cui deve ispirarsi una programmazione regionale, appare poi determinante l'apporto che pu derivare dal metodo della consultazione ai fini della massima partecipazione degli organi locali per ogni utile contributo alla definizione dei problemi concreti del territorio. Per questo motivo nelle brevi indicazioni del mio intervento, mi atterrò prevalentemente a valutazioni emerse nel corso di tali consultazioni.
Desidero infatti portare un contributo relativo alla proposta di piano regionale, che certamente abbraccia un ambito territoriale che meglio conosco, ma che, ove è possibile, cerca anche dal particolare di fare emergere i problemi nel loro complesso. Vorrei dunque evidenziare alcune problematiche dell'Unità Sanitaria Locale 47 di Biella e 48 di Cossato.
Sulle previsioni di piano desidero innanzitutto esprimere alcune perplessità per quanto riguarda l'Unità Sanitaria Locale di Biella. Infatti la coesistenza di due poliambulatori di tipo A) a Biella ed uno di tipo B) ad Occhieppo (tra l'altro non viene precisato se si tratta di Occhieppo Inferiore o di Occhieppo Superiore che sono due distinti Comuni) non pare una soluzione che possa soddisfare criteri di una corretta distribuzione sul territorio dei servizi.
Fino a ieri operavano nella città di Biella un poliambulatorio nella sede ospedaliera che, seppure con una programmata definizione di limiti e di dimensione, può essere consolidato anche in prospettiva, e un altro poliambulatorio Inam, che incorporando l'adiacente ambulatorio pneumologico può rispondere alle esigenze richiamate. Il piano prevede invece un poliambulatorio negli ex locali Inam, l'altro nei locali del Consorzio antitubercolare adiacente all'Inam.
A mio avviso, bisognerà invece collocarne uno nel contesto dei servizi ospedalieri e l'altro nella parte opposta della città nei locali della ex Inam, accoppiando l'adiacente ambulatorio pneumologico. Infatti la localizzazione prevista di un poliambulatorio ad Occhieppo a 3 km, da Biella, oltre ad essere di non facile attuazione, non pare rispecchiare razionali criteri di collocazione sul territorio dei servizi. Se per l'aspetto poliambulatoriale queste sono le valutazioni critiche e le relative proposte, per quanto riguarda i presidi ospedalieri cercherò di evidenziare fra tutte una problematica assai rilevante.
Esiste all'ospedale di Biella una sezione autonoma di geriatria con un indice di occupazione media che si avvicina al 10 %. Il piano esclude la necessità di un reparto geriatrico, quindi tale reparto non viene specificatamente indicato nelle previsioni relative all'assetto definitivo dell'ospedale di Biella. D'accordo nell'evitare sovradimensionati reparti ospedalieri di geriatria, d'accordo sulla patologia, diremo così generale dell'anziano, ma certo a nessuno sfugge come l'esistenza di reparti di geriatria (e le scelte di altre Regioni lo confermano), non è sostenuta da esigenze infondate, prima fra tutte quella dell'esistenza di una patologia specifica dell'anziano. Vogliamo ancora riflettere serenamente su questo problema? Questo dibattito penso può fornircene l'opportunità. Per quanto riguarda le osservazioni sulle proposte relative all'Unità Sanitaria Locale 48 di Cossato, esse si incentrano essenzialmente sulle scelte di piano relative ai due presidi ospedalieri esistenti a Bioglio e Trivero per i quali è previsto il progressivo superamento.
Incominciamo a dire che in un'Unità Sanitaria Locale, che vede presenti 67.000 assistiti, si sopprimono due presidi ospedalieri strettamente legati alla storia della comunità ove hanno sede.
Mi chiedo davvero che senso abbia non utilizzare edifici e strutture esistenti, che sono costati alla Comunità locale tanti gravosi sacrifici.
E' giusto razionalizzare e riorganizzare la presenza sul territorio dei presidi ospedalieri, ma bisognava i tuttavia, a mio avviso, essere più cauti a prevedere la chiusura di tutti gli ospedali esistenti in un'unica Unità Sanitaria Locale che è la sola in tutto il Piemonte ad aver subito questa triste sorte. Infatti all'Unità Sanitaria Locale n. 48 non sono attribuiti nel piano i servizi ospedalieri. Tra l'altro, ripeto, sarebbe l'unica USL in Piemonte con un numero di assistiti superiore a 50.000 abitanti ad essere sprovvista totalmente di servizi ospedalieri, e ciò mi sembra inconcepibile.
Signor Assessore Bajardi, e colleghi, questa ripeto è l'unica Unità Sanitaria Locale con più di 67 mila assistiti che è priva in Piemonte completamente dei servizi ospedalieri ed è priva perché si distrugge l'esistente; ben due presidi ospedalieri raggiunti con estrema fatica da quelle comunità locali senza creare nulla di nuovo.
Come si può sostenere, in una USL che vede presenti così numerosi assistiti, la soppressione di strutture sanitarie ospedaliere senza fornire parallelamente livelli equivalenti e moderni di analoghi 'servizi? In particolare se si può capire la conversione d'uso per quanto concerne l'ospedale di Bioglio che dista dall'ospedale di Biella appena una decina di km., come si può accettare la soppressione di Trivero che dista più di 30 km da Biella, con comunicazioni stradali tortuose e tormentate, che specie, nei periodi autunnali ed invernali non consentono di giungere con rapidità alla struttura ospedaliera di Biella o di Borgosesia? In periodi autunnali o invernali con strade innevate, come ci troviamo oggi, occorrono circa 90 minuti di automezzo per raggiungere Biella e 70 per raggiungere Borgosesia.
In verità, signor Assessore e colleghi Consiglieri, questo di Trivero che potrebbe apparire un problema particolare ha una portata generale che supera la stessa dimensione sanitaria per abbracciare tutto l'arco della nostra politica per la montagna. La tendenza al declino con lo spopolamento della montagna biellese e piemontese non è stata ancora bloccata e si sbloccherà se saremo coerenti nelle nostre scelte con quanto andiamo affermando da anni, mantenendo i servizi alle popolazioni, dalla rete dei servizi scolastici e della sanità alla rete commerciale e così via. Il contenimento dello spopolamento evitando la pianurizzazione è uno dei punti di fondo del programma del Comprensorio del Biellese votato anche da questo Consiglio regionale.
La montagna, cari amici, non la si difende con le parole, ma con i fatti concreti. Perché scegliere dunque la strada della conversione d'uso per Trivero? E' discorso di fondo quello che vuole evitare la pianurizzazione? E' discorso di fondo quello che vuole portare fin dove è possibile i servizi vicino alla gente di montagna! E' discorso di fondo questo sì, la difesa di un patrimonio che la gente di montagna con immensi sacrifici ha costruito e che non può essere distrutto con l'indicazione di un piano rispondente forse a rigidi parametri di carattere generale, frutto di scelte forse tecniche che non convinceranno mai la gente di montagna sulla soppressione di questo insostituibile presidio ospedaliero.
Trivero è uno dei più vasti e popolari Comuni del comprensorio di Biella; l'economia del Comune è industriale per il forte sviluppo del tessile che conta numerosi stabilimenti di cui alcuni hanno conseguito fama mondiale.
Ma considerevole è anche il movimento turistico, sia estivo che invernale, favorito dalla posizione della panoramica Zegna, dai campi di sci di Bielmonte e dalla presenza di un'attrezzata e frequentatissima scuola alberghiera. Come si può pensare di sopprimere gli attuali servizi di degenza, che invece andrebbero ampliati anche per gli inevitabili pronti interventi che le molte industrie ed i campi da sci purtroppo procurano, se è vero come è vero che il pronto soccorso dell'attuale ospedale ha visto oltre 2.100 interventi nel corso dell'anno 1980, con una media quindi giornaliera di 6 interventi? Da tutto ciò deriva la reale necessità di trovare una nostra risposta adeguata; ciò per prevenire condizioni invalidanti che sono socio economicamente più dannose del costo di gestione di una corretta articolazione dei servizi, mantenendo altresì una struttura altamente funzionale come presidio sanitario ospedaliero, che ha visto in questi ultimi 10 anni un tasso di occupazione dei posti letto del 91 % e che ha servito un bacino di utenza di oltre 30.000 abitanti.
Lo stesso Presidente Enrietti si è reso conto, ancorché assente in questo momento, sabato 5 dicembre in Trivero che la richiesta unanime di tutte le forze politiche e degli Enti locali della zona e della Comunità montana sono dirette al mantenimento di una struttura ospedaliera efficiente e in questo senso non ha potuto che assicurare al riguardo la sua adesione alla richiesta. Per Trivero dunque occorre salvaguardare il nucleo organizzativo sanitario dell'ospedale in una dimensione anche più ampia e tale da poter soddisfare sul posto, anche in ordine all'ubicazione ed alle caratteristiche topografiche, le fondamentali richieste sanitarie delle comunità.
Ho concluso signor Presidente. Ripeto, la particolare angolazione di questo mio apporto non è in termini campanilistici, ma con l'intento di addivenire dal problema specifico all'indicazione, al suggerimento sul tema di fondo. E se maggiore evidenza ha assunto proprio un tema, la soppressione dell'ospedale di Trivero, che ha logicamente il maggior peso locale, non di meno ritengo che altre valutazioni possano avere uno sfondo comune sul territorio regione tale da ampliarne la portata.
Il mio augurio è pertanto che il contributo fornito possa essere accolto nell'interesse generale della comunità. Grazie.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bergoglio.



BERGOGLIO Emilia

Il Gruppo della D.C. non considera il dibattito sul piano socio sanitario come una passerella finale di una recitazione a soggetto durata molti mesi con protagonisti vari, attori, comprimari, registi, quello tecnico rappresentato dal Presidente della Commissione Beltrami, quello politico rappresentato dall'Assessore alla sanità, i suoi consulenti, tutti di parte, poco tecnici e molto politici. Quindi non considerando questo momento come una formalità finale in cui si fa l'inchino, il sorriso, il saluto e si esce, ma un momento di ulteriore e più completo approfondimento non solo tra i soliti addetti ai lavori.
Sul piano tecnico vorrei fare un'osservazione che è stata già accennata, ma che mi pare opportuno riprendere. Continuiamo a parlare di piano socio-sanitario e di piano sanitario. In realtà, sotto il profilo tecnico, tutti sappiamo che questo piano non è, perché, secondo una definizione tecnica, è piano ciò che prevede obiettivi, ciò che prevede delle finalità e ciò che individua tempi e mezzi per raggiungere obiettivi e finalità. Questo programma di intenti socio-sanitari prevede una serie di cose, alcune le condividiamo, altre meno. Ipotizza la chiusura di alcune strutture, modifiche di servizi, in alcuni casi prevede che ci siano dei nuovi servizi al posto di quelli esistenti. L'intervento ultimo del collega Petrini è sotto questo profilo emblematico e potremmo citare altre zone dove si prevede di chiudere l'esistente per eventualmente ricostruire qualche altra cosa, ma quest'altra cosa - non dimentichiamocelo - per essere costruita e realizzata richiede quei famosi mezzi sui quali poi cascano tutte le buone intenzioni della Regione e degli altri Enti.
Tengo a sottolineare questo aspetto perché non è irrilevante rispetto al discorso che andiamo facendo, anzi, direi che è il punto più importante e più difficile. Quando parliamo di programmi e di buone intenzioni possiamo trovare dei punti di convergenza, ma quando scendiamo alla verifica di ciò che possiamo realizzare concretamente, ci troviamo a dover fare i conti con i mezzi.
Quando si passa da una struttura esistente ad una nuova, si deve vedere che cosa è ancora compatibile con il nuovo, vedere che cosa è trasformabile e che cosa invece va distrutto. A noi sembra che questo programma si preoccupi di più delle strutture da distruggere che non di quanto realisticamente si potrà costruire. Noi siamo preoccupati specialmente per quel tipo di servizi che sono a scavalco tra il settore strettamente sanitario e il settore strettamente assistenziale, le strutture per gli anziani, le strutture per gli handicappati, le strutture per i tossico dipendenti (anche se questo termine si presterebbe ad ulteriori precisazioni). Tutte queste strutture, esistenti nella nostra Regione più che non in altre, sotto il profilo dei costi e rispetto ai servizi resi in altre, di minor onere rispetto alle ipotetiche strutture che si vanno delineando. Allora facciamo più attenzione al recupero e alla trasformazione dell'esistente più che all'ipotesi del nuovo, che a volte può sembrare teoricamente efficiente, Ma che poi di fatto si rivel soltanto più costoso.
Il Gruppo democristiano non intende difendere ad oltranza le strutture esistenti, ma intende ribadire che il nuovo deve fare tesoro dell'esistente, lo trasformi, lo recuperi. Le esigenze di servizi sono in aumento, le statistiche demografiche ce lo dimostrano con i dati sul rapporto tra campagna e città, tra zone rurali e zone urbane i tra il tasso di invecchiamento della popolazione g il tasso di natalità.
I problemi della popolazione anziana non possono essere considerati problemi di carattere generale. I problemi di carattere generale vanno risolti nelle strutture generali, ma i problemi specifici richiedono strutture specifiche. Non ci formalizziamo sulla terminologia, a noi interessa che sia prevista una varietà di interventi e di servizi che siano in grado di rispondere alle diverse e svariate esigenze della popolazione in particolare di quella anziana.
L'allegato relativo alle tossico-dipendenze merita una riflessione. Noi abbiamo proposto alcuni emendamenti che in Commissione sono stati sostanzialmente accolti e che mirano a rendere l'allegato più concreto e più aderente alle possibilità operative. Non si tratta solo di conoscere la consistenza statistica del fenomeno o di individuare la classe o la categoria sociale più soggetta a tali fenomeni perché ormai questi fenomeni sono diffusi in tutti gli stati sociali, negli ambienti urbani e in quelli rurali, in quelli più ricchi come in quelli più poveri, ma si tratta di individuare quei servizi che consentano di rispondere, laddove è possibile alle esigenze di cura e soprattutto di mettere in atto interventi di prevenzione in grado di informare correttamente l'utente secondo il suo grado di tossicità.
Questo dibattito è vivo non soltanto nella sede del Consiglio regionale, ma anche nelle famiglie che sono il punto di riferimento più giusto e più idoneo in questo campo. Il dibattito si è anche sviluppato sul problema dell'obbligatorietà o meno della cura. E' un tema che richiederebbe spazi maggiori e approfondimenti ulteriori più di quanto si possa fare qui. E' fuor di dubbio però che qualche cosa di più sostanzioso e di più capillare attorno a questo aspetto va fatto. E, riallacciando i due temi, un maggiore sforzo e un maggiore impegno va rivolto sull'allegato che si riferisce alla tutela della salute mentale, temi che hanno aspetti comuni in quanto sono legati a difficoltà di inserimento nella realtà nella quale queste persone vivono e a difficoltà di adeguare i servizi.
Sugli allegati 18 e 20 sarà opportuno un momento di verifica specifico da farsi in tempi brevi.
Sull'allegato 12 è intervenuta la signora Ferrari che non vedo presente (il copione di parlare, salutare e uscire è rispettato da molti di noi) alla quale volevo rispondere. Non abbiamo mai sostenuto, neanche nei periodi accesi della fase referendaria, che l'aborto sia uno strumento di contraccezione. E' indubbio però che la nostra posizione rispetto a questo problema è diversa da quella di altre forze politiche e il collega Martinetti lo ha giustamente sottolineato.
A nostro giudizio gli aspetti a favore della prevenzione dell'informazione, dell'educazione alla paternità e alla maternità responsabile, devono essere privilegiati attraverso una rete capillare di servizi rispetto ad altri servizi che attualmente sono già attuati. Questo aspetto è stato condiviso e lo consideriamo un fatto positivo.
E vengo al problema di Torino che è il nodo principale, nodo che il Consiglio deve sciogliere. Abbiamo la sensazione, che ci sia una specie di soggezione da parte dell'Assessorato alla sanità regionale rispetto ai responsabili del Comune di Torino. Per quanto riguarda l'Unità Sanitaria Locale 1-23 il piano ha delle strane timidezze. Non si sa che cosa faranno le 23 Unità Sanitarie in Torino, né conosciamo le direttive che la Regione dovrebbe dare. Di fatto il piano recepirà ciò che dirà l'USL 1-23.
Quella che ci viene presentata è una fotografia dell'esistente con qualche variazione sul tema di scarsissimo valore, anche perché non avrebbe senso quella Commissione per i servizi ospedalieri istituita nell'ambito dell'Unità Sanitaria Locale di Torino che dovrà stabilire, forse entro aprile (ma i termini non sono fissati perché prudenzialmente è meglio non fissarne) che cosa fare. In realtà non ci sono accordi, ma molti disaccordi. Se alcune iniziative non vanno avanti:è perché ci sono molte idee, forse troppe. Come per le altre Unità Sanitarie Locali per le quali abbiamo individuato alcuni adempimenti, così dovremmo comportarci per quelle di Torino. Secondo me questa è una extraterritorialità che concediamo a questa realtà che non trova nessuna giustificazione tecnica ma che trova le risposte in altre giustificazioni che non sono neppure di tipo politico.
Tutti riconosciamo che le 23 Unità Sanitarie Locali previste dalla legge 41 sono troppe, però non si ha il coraggio di affrontare questo problema. Il nostro Gruppo ha presentato una proposta di legge che ipotizza la ripartizione in sette Unità Sanitarie Locali. Se quella proposta non è valida, discutiamone un'altra. Non possiamo accettare il Comitato, che delega ciò che vuole, che si trattiene invece ciò che non vuole delegare che inverte anche lo spirito della legge perché questa USL non trova nella legge nessun riferimento. La legge parla di assemblee e di Unità Sanitarie Locali e non parla di una Unità Sanitaria centrale e di tanti comitati sanitari. Ci troviamo di fronte ad una piramide di pareri che poi di fatto vengono risolti in sede di Unità Sanitaria centrale? Diciamo che l'Unità Sanitaria di Torino è una sola e che questa è una scelta che si vuol fare ma non camuffiamoci dietro a questi fantomatici comitatini che sembrano dei nanetti con Biancaneve che li tutela! Il nostro Gruppo ha chiesto che si creino a Torino delle Unità Sanitarie reali che abbiano i poteri che loro competono che possano gestire alcuni servizi a livello multizonale, come prevede la legge.
Ci giungono molte notizie di corridoio e nessuna ufficiale in ordine ad una extrapolazione di enti ospedalieri di alta specializzazione per dare valenza sul piano regionale rispetto al contesto dell'Unità Sanitaria Locale 1-23.
Queste notizie sono comparse anche sui giornali e non sono state n smentite né ci sono state prese di posizioni. Vorremmo saperne .qualcosa di più. Come verranno gestiti gli ospedali di Torino? Da chi? Hanno o non hanno una dimensione sul piano regionale più che in ogni altra Unità Sanitaria Locale? Il fatto che la Regione sia delle indicazioni e stabilisca il tipo di servizi è pregnante ed è utile posto che molti servizi di alta specializzazione hanno sede proprio in Torino. L'Assessore sa, per esempio, che l'ospedale infantile Regina Margherita ha un tasso di pendolarità che supera il 30 %. Non sarebbe il caso che la Regione studiasse un decentramento di alcuni servizi per evitare la pendolarità dopo il momento di diagnosi e di cure intensive in ospedale? Perché su questo decide la Città di Torino? Che cosa si può dire l'Assessore in relazione all'ipotesi dei comitati ospedalieri di Torino? Si parla di fare cinque o sei Comitati. Si parla genericamente alla riduzione dei posti letto, però sulla base dei dati che ci sono stati forniti, non sappiamo né dove né come.
Che cosa avverrà dei Consigli di amministrazione degli ospedali torinesi? C'è un problema di assorbimento dei servizi che al momento non è né pensabile né praticabile. Vorremmo rimandare i Consigli di amministrazione al 30 di aprile quando, forse, il piano degli ospedali di Torino sarà pronto? Sono interrogativi che poniamo al di là delle considerazioni che si potrebbero fare sulla deliberazione del 6 di agosto.
Vorremmo che la Giunta ci dicesse che su questi problemi ha un piano ha una linea, ha delle idee che sta confrontando con le Unità Sanitarie interessate, ma non siamo a conoscenza né di un piano né di una linea né di eventuali idee.
L'indicazione generica della riduzione dei posti letto ospedalieri senza l'individuazione dei reparti e dei servizi è poco significativa.
Un'ultima osservazione vorrei fare sul Consorzio antitubercolare. In sede di Commissione abbiamo proposto un'ipotesi di emendamento, circa il mantenimento della struttura così com'è attualmente, perché non vorremmo che uno smantellamento dei servizi di prevenzione, di diagnosi e di cura, possa dequalificare i servizi stessi. Proponiamo che questo servizio sia mantenuto a livello di multizonale, con una dimensione autonoma rispetto agli altri servizi ovviamente sotto la guida, l'indirizzo e il coordinamento dell'assemblea e del Comitato di gestione.
I nostri interrogativi e le proposte sulla suddivisione della Città di Torino in sette Unità Sanitarie Locali meritano da parte dell'Assessore delle risposte precise e attente. Abbiamo la sensazione, e vorremmo essere smentiti, che la delega al Comune di Torino, già iniziata con la gestione Enrietti, continui. Certamente questa delega non va nella linea della riforma che vede nella Regione l'ente programmatore generale e complessivo.
Peraltro ci sembra quanto mai curioso che da questa funzione di programmatore di carattere generale e complessivo si stralci costantemente un terzo della sanità della Regione.



PRESIDENTE

Data l'ora sospendiamo i lavori con questo intervento.
La seduta riprende alle ore 15.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 12.10)



< torna indietro