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Dettaglio seduta n.13 del 05/11/70 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VITTORELLI


Argomento: Statuto - Regolamento

Esame del progetto di Statuto della Regione (seguito della discussione)


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Ha chiesto di parlare il Consigliere Garabello. Ne ha facoltà.



GARABELLO Enzo

Signor Presidente, signori Consiglieri, nella precedente seduta abbiamo ascoltato gli interventi dei colleghi componenti la Commissione Statuto e ci siamo resi conto peraltro dopo averne già avuta esperienza diretta nelle sedute di Consiglio del clima politico che si è instaurato in Commissione ed in Consiglio in merito ai problemi statutari. Potremmo dire che le forze politiche presenti in Consiglio hanno ricercato con attenzione e con puntualità piuttosto ciò che unisce rispetto a quanto può dividere. E' stato già rilevato da altri colleghi che le forze politiche si trovano in condizioni estremamente simili, anche se per motivi diversi, a quelle in cui si trovarono al momento della Costituzione della Repubblica italiana.
Allora, sulla spinta dei valori della Resistenza e con l'urgenza di dare una carta costituzionale coerente a questi valori per ricostruire la vita democratica nel nostro Paese, seppero superare aspetti particolaristici per puntare su valori essenziali largamente condivisi.
Di fronte alle Regioni le forze politiche si sono trovate in una situazione analoga; dopo venticinque anni molti aspetti della vita politica vengono contestati, le forze politiche hanno perduto di credibilità e in questo momento la Regione, che pure avrebbe dovuto nascere ventidue anni fa, nasce come un ripensamento, alla ricerca di valori comuni. Le forze politiche hanno saputo puntualmente cogliere l'occasione ed io non posso fare altro che associarmi a coloro che hanno ritenuto questo clima politico un clima fecondo, adatto ad una discussione serena. E' però necessario affermare (proprio per riacquistare credibilità, per superare fasi di contestazione, per dare alla Regione tutto il suo contenuto innovatore e di raccordo con le esigenze popolari) la necessità di una ricerca di chiarezza politica a tutti i costi. Soltanto nella chiarezza politica, soltanto nel confronto, nel dibattito e, se necessario, anche nello scontro si possono cogliere quei frutti di credibilità e di fiducia che abbiamo, in molti riposto nell'istituto della Regione.
Pertanto, mentre iniziamo questo dibattito nel merito dello Statuto con l'esame degli articoli, dobbiamo chiedere a noi stessi uno sforzo per un franco contributo al dibattito, dobbiamo uscire dalla volontà di rigida contrapposizione che molte volte ha distinto la vita politica italiana. Non dobbiamo però fermarci a possibili e deteriori forme di compromesso strisciante che nascondono la mancanza di chiarezza nella esposizione delle proprie convinzioni.
E' necessario quindi - e credo possiamo essere tutti d'accordo - che nel merito dello Statuto, il Consiglio Regionale riacquisti quella parte propria che ha ceduto, delegando ad una commissione di tipo assembleare i suoi poteri nella fase delle proposte. Ora il Consiglio deve affrontare i temi anche controversi, con lo stesso spirito unitario, con lo stesso spirito di servizio nei confronti della comunità regionale, però con estrema chiarezza, convinti che soltanto da questa può nascere una genuina comprensione e collaborazione tra le forze politiche. Deve essere condotto un esame critico ed in questo senso aspetti critici li evidenzierò anch'io nel mio intervento.
Fra l'altro ci sentiamo un po' tutti dei soci del "partito della fretta" in quanto sia per il periodo estivo, sia per i condizionamenti che avevamo, si sono dovuti tagliare i tempi.
Siamo stati condizionati dai termini della Legge Scelba in quanto soltanto ora è più vasto il numero di coloro che, come me da sempre, non annettono alla legge stessa altri compiti se non transitori. Siamo stati anche condizionati dalla legge finanziaria, che fissa, alla approvazione dello Statuto, l'inizio dei finanziamenti: tale data non è ben certo quale sia e comunque si possono ancora nutrire seri dubbi sull'approvazione in Parlamento entro il 31 dicembre.
E' pur vero che i centoventi giorni sono stati determinati anche con una libera espressione consiliare e quindi, a questo punto, bisogna rispettarla.
Naturalmente non possiamo far carico di questa situazione alla Commissione Statuto che ha lavorato con spirito unitario e impegno generoso. E' indubbio però che la Commissione ha dovuto compiere un duro lavoro a porte chiuse. La partecipazione nostra è pertanto praticamente riservata a questa fase e quindi è necessario un fervido apporto critico del Consiglio alla definizione del testo.
Il primo dei temi statutari che mi ripropongo di affrontare, è quello della partecipazione. Nello Statuto è stata individuata la partecipazione come elemento fondamentale della vita della Regione. Penso che tale individuazione colga l'essenza dell'attuale situazione politica: i partiti politici hanno dalla Costituzione il compito di canali dell'opinione pubblica e trovano difficoltà ad esercitarlo. Sempre più forti si fanno le propensioni nei confronti di una partecipazione alla vita delle istituzioni: le forze politiche la devono cogliere e ricercarvi un proprio serio rilancio.
Nello Statuto, alla partecipazione si è dato molto spazio; gli istituti di partecipazione sono numerosi, hanno una loro organicità. Vi è stato anche un esperimento, la consultazione degli Enti locali su alcuni aspetti di loro maggiore interesse: il risultato dovrà essere ancora da noi successivamente approfondito, perché, pur avendone colto alcuni aspetti essenziali nel testo statutario, è indubbio che tutto il materiale pervenuto (essendo stata la consultazione semplicemente guidata da alcuni temi di carattere generale e non dalla richiesta di giudizio critico su un testo predisposto) contiene notevoli elementi di meditazione.
Ed inoltre anche nella consultazione degli Enti locali dobbiamo riconoscere che è stata determinante la fretta.
Genericità delle richieste e fretta hanno consentito che, oltre ad indicazioni valide ed utili, venissero evidenziate molte delle istanze che gli Enti locali avanzano da sempre e che la Regione potrà solo in parte soddisfare.
La creazione di aspettative su argomenti non di competenza regionale rischia di alimentare delusione e sfiducia.
Io dirò che se si fosse prevista per lo Statuto una forma di prima e seconda lettura in aula con una partecipazione intermedia degli Enti locali, delle associazioni, del mondo del lavoro, di tutti coloro che vogliono partecipare e che noi dobbiamo sollecitare alla partecipazione certamente il testo sarebbe risultato migliore e più comprensivo delle esigenze che pure ci sforziamo di interpretare.
Mi rendo conto delle difficoltà, lo accenno semplicemente perché quello che non si è potuto fare in sede di Statuto, d'ora innanzi, attraverso una ricerca approfondita dei metodi di lavoro, diventi normale nell'attività legislativa e di programmazione che la Regione si accinge ad affrontare.
Il tema della partecipazione è tutto da scoprire; prima di tutto riguarda noi portatori di un mandato in seno all'assemblea regionale e comporta l'esclusione del tipico atteggiamento da "addetti ai lavori" che molte volte hanno assunto gli uomini politici e che, in parte, può avere inquinato anche noi. Non vi è dubbio che facendo gli amministratori degli Enti locali l'andare a discutere nei consigli di quartiere, nelle assemblee di base, il sentire le proteste e le proposte ha richiesto per molti, un difficile adeguamento psicologico ed intellettuale: l'"addetto ai lavori" è duro a morire...
Ora noi dobbiamo affermare che siamo qui per svolgere un compito, per non siamo soli nel suo svolgimento e per questo dobbiamo sentire su di noi la responsabilità, se vogliamo anche educativa, di assumere un diverso atteggiamento nei confronti dell'elettorato. In questo spirito dobbiamo utilizzare gli istituti della partecipazione dobbiamo fare in modo che non si venga a creare una ristretta cerchia di Consiglieri regionali "onorari" ma dobbiamo suscitare energie nuove, andare a ricercare nel mondo del lavoro, nel mondo dei giovani, coloro che sono capaci di esprimere le genuine aspirazioni popolari e che, finora, o non sono stati messi nelle condizioni di farlo o che tali condizioni non hanno saputo sfruttare. Se noi avessimo soltanto la preoccupazione di avere una cerchia ristretta di Consiglieri "onorari", non raggiungeremmo lo scopo della partecipazione e creeremmo soltanto una grave mistificazione: una partecipazione che non sia veramente aperta a tutte le conseguenze che porta in se stessa, pu diventare un boomerang che ad un certo punto distruggerebbe le possibilità della Regione. La partecipazione è un qualcosa di più di un metodo, è una strada che quando la si imbocca non si può tornare indietro; e di questo ce ne dobbiamo fare carico perché la stesura dello Statuto finisce fra poco e poi inizia la vita della Regione. Se ci saremo semplicemente preoccupati di fare un bel testo che corrisponda il più possibile ad esigenze conclamate senza poi attuare i contenuti di queste esigenze, avremo fatto una sostanziale mistificazione.
Mi voglio soffermare rapidamente su un altro punto che ritengo qualificante del nostro Statuto: la programmazione. Lo Statuto comincia a parlare di programmazione fin dall'art. 4, sul quale debbo dire francamente che ho avuto ed ho tuttora dei dubbi, in quanto ha notevoli caratteristiche di un manifesto e di un'impostazione programmatica e presenta aspetti positivi e negativi. Quest'articolo è il più suggestivo di tutto lo Statuto, è quello che si fa leggere di più, vorrei dire che è un po' il richiamo che facciamo ai nostri elettori, alle nostre popolazioni rispetto a quelle che possono essere le linee d'azione della Regione. In questo senso direi che è didattico e ha un aspetto positivo in quanto afferma una volontà politica. Ecco: il Consiglio Regionale ha identificato tutta una serie di problemi sui quali vuole impegnarsi a fondo per portarli a soluzione, e questo è l'aspetto positivo. Vi sono, però, all'art. 4 aspetti negativi. Anzitutto, vi sono dei limiti costituzionali di materie che non possiamo superare, infatti non è lo Statuto che dà i compiti alla Regione perché alla Regione i compiti glieli ha già dati la Costituzione. Il problema essenziale nostro oggi è ricercare e ottenere da Governo e Parlamento l'interpretazione più ampia e di maggior respiro, le migliori possibilità di azione sui punti che l'art. 117 della Costituzione ha fissato.
Però non possiamo, anche se è nella nostra volontà politica e nelle nostre speranze, darci dei compiti che non ci sono propri per definizione costituzionale. Fra l'altro non vi può essere neanche, nei compiti, alcuna difformità fra le varie Regioni a Statuto ordinario. Non è che un compito una Regione lo ha perché sta scritto nello Statuto e un'altra Regione non lo ha perché non vi è scritto. Ripeto quindi che, a mio modo di vedere, è discutibile l'inserimento di un articolo di tipo programmatico nello Statuto, perché potrebbe diventare un ostacolo per la sua approvazione o motivo di impugnativa per bloccare l'attività legislativa della Regione.
E mentre prima riconoscevo che uno degli aspetti positivi dell'art. 4 è l'aspetto didattico nei confronti di coloro che stanno al di fuori di quest'aula, non potrei dire che sia educativo, perché il prendersi la Regione degli impegni, fare in un certo senso delle promesse statutarie che poi è dubbio possa mantenere integralmente, non so quanto sia positivo da un punto di vista di formazione dell'opinione pubblica. Noi dobbiamo stare attenti, perché se non siamo certi di poter realizzare le cose che abbiamo scritto nello Statuto, rischieremmo di mettere noi stessi e le forze politiche che rappresentiamo nel pericolo di poca credibilità da parte dei nostri elettori.
E' pericoloso affermare che la Regione risolve "tutto" o quasi: non ha "tutti" i compiti costituzionali, non ne avrà i poteri, non ne avrà i mezzi. Bisogna che noi vediamo nella Regione un interlocutore aperto nei confronti dello Stato, per integrarlo e riformarlo, e per combattere una leale e democratica battaglia con gli organi centrali per la massima estensione dei poteri costituzionali e della delega amministrativa. Non dobbiamo però porre la Regione in una condizione di pura contestazione nei confronti dello Stato e ciò anche per i riflessi che avrebbe sull'opinione popolare.
Dobbiamo quindi evitare di mettere la Regione, per una volontà politica malintesa che potrebbe diventare velleità, in condizione di trovarsi come interlocutore la Corte Costituzionale. Noi vogliamo come interlocutore il Parlamento, cioè una forza democratica e propulsiva. Nel Parlamento dobbiamo ricercare, e ci sono, le forze regionaliste; dobbiamo far capire al Parlamento che se le Regioni funzioneranno bene, il Parlamento stesso sarà alleggerito di molti compiti e ciò gli consentirà maggiore respiro legislativo, maggiore possibilità di impegno politico.
Vorrei dare in proposito un'indicazione che supera gli aspetti strettamente statutari: possiamo, ben presto, ed in unione con le altre Regioni, farci promotori di un dialogo con il Parlamento (su quelle materie in cui è presumibile una certa difficoltà da parte dello Stato nel consentire ampia autonomia), attraverso proposte di legge-cornice di iniziativa regionale. Ciò, inoltre, ci aiuterebbe a superare la tentazione isolazionistica, che certamente è un grave errore: pur avendo caratteristiche proprie le altre Regioni hanno gli stessi problemi generali del Piemonte e unendoci, specialmente nell'interlocuzione con lo Stato dovremmo avere comuni vantaggi e sperimenteremmo una valida forma di collaborazione.
Come interlocutore, avremo anche il Governo. E qui vorrei dare un'indicazione: se la Regione deve determinare un salto di qualità nella vita politica nazionale, dovremo fare in modo di non trovarci quale interlocutore ordinario, il Ministero degli Interni: il nostro interlocutore deve essere la Presidenza del Consiglio dei Ministri. E' quello, infatti, il luogo qualificante del potere politico nazionale, ed è con quello che vogliamo dialogare, non con la burocrazia così ben conosciuta nella nostra attività di amministratori locali.
E, per le Regioni, la Presidenza del Consiglio dei Ministri significa in via ordinaria, il Ministro per l'attuazione delle Regioni. Noi dobbiamo chiedere che dalla Presidenza del Consiglio sia dato al Ministro per le Regioni il compito di coordinare gli altri Ministeri per dare linee unitarie alle leggi di delega e alle leggi-cornice, affinché la collaborazione che oggi richiediamo allo Stato non debba trasformarsi in una rissosa contestazione, foriera di immobilismo e di scontento generale.
Con questa serie di considerazioni ho voluto argomentare i miei dubbi in merito all'art. 4. Realisticamente, mi rendo conto che la richiesta della sua abolizione provocherebbe profondi contrasti e un'interminabile discussione di incerto esito. Mi limito pertanto a preannunciare un emendamento che spero possa limitare i pericoli di natura formale.
Qualche altro elemento di discussione sulla programmazione ed in particolare sull'attività di piano. Stiamo elaborando alcuni emendamenti migliorativi, per avere un miglior legame fra gli articoli fondamentali sulla programmazione.
Noi riteniamo che l'attività di programmazione sia fondamentale per la vita della Regione. Il fatto di avere creato una apposita Commissione permanente del Consiglio ne fa rilevare l'importanza e crea naturalmente dei problemi molto delicati di rapporto fra il legislativo e l'esecutivo che debbono essere chiariti.
Dobbiamo affermare che l'organo che ha collegialmente il compito di predisporre il piano e gli strumenti della programmazione, è la Giunta mentre la Commissione consiliare ha compiti particolari di fiancheggiamento, di preparazione del lavoro per il Consiglio, di controllo. Naturalmente è necessario che vi siano degli organi di natura tecnica: probabilmente la Giunta dovrà individuare un assessore alla programmazione e, nell'organigramma funzionale della Regione, un ufficio del piano. Mi pare chiaro però che l'eventuale previsione di un ufficio del piano nel testo dello Statuto come era già stato proposto e come viene ventilato da qualche parte non possa essere accolta.
Infatti la Giunta deve mantenere intatte le proprie prerogative per le scelte politiche, ma non deve ritrovarsi uno strumento di natura squisitamente tecnica che abbia la possibilità, proprio per la sua posizione nello Statuto, di porsi in termini tecnocratici. Strumento importante, necessario, però sempre e soltanto strumento. Altro discorso deve essere fatto, per chiarezza, in merito agli studi e alle ricerche per la programmazione.
La necessità di obiettività e di disponibilità per l'approfondimento delle ricerche stesse, fa propendere decisamente per strumenti di tipo pubblico, controllabili anche se autonomi. Se gli strumenti di tipo pubblico esistono, li dobbiamo inquadrare e utilizzare; se non esistono li dobbiamo creare; se esistono con caratteristiche difformi o insufficienti rispetto alle necessità, li dobbiamo adeguare. D'altronde, su questo argomento, viene chiaro il riferimento all'istituto esistente nella nostra Regione, organo prima della Provincia di Torino, poi dell'Unione delle province piemontesi e ora, per deliberazione consiliare, in corso di passaggio alla Regione; mi riferisco all'IRES.
Le caratteristiche di ente degli Enti pubblici, proprie dell'IRES offrono in partenza le garanzie di pubblicità richiamate. La Regione, che sta assumendo la funzione di leader tra gli Enti fondatori, pu direttamente assumere le garanzie relative alla disponibilità. In tali condizioni è agevole prevedere la possibilità di ristrutturazione, di potenziamento, di messa in atto delle misure necessarie, anche sul piano finanziario, a renderlo completamente idoneo ai nuovi scopi. Per consentire la certezza di poter eseguire tali operazioni, l'inserimento nel testo statutario si rivela certamente opportuno.
Nel settore della programmazione ritengo che non sarebbe male se sottolineassimo in uno degli articoli citati gli aspetti territoriali e urbanistici del piano regionale, che sono certamente primari per la Regione, perché costituzionali. Io però vorrei dare anche a ciò un valore positivo, e non soltanto di agganciamento alla Costituzione. Non dobbiamo dimenticare, nel momento in cui la Regione si mette in movimento, che la decongestione dei centri urbani saturati da uno sviluppo abnorme e la previsione di un territorio strutturato a "misura d'uomo" è un obiettivo fondamentale.
Gli Enti locali, e i Comuni in particolare, hanno ormai raggiunta la massima chiarezza di visione sulla necessità di avere delle indicazioni precise, di avere un contesto definito in cui collocare le proprie scelte e le proprie previsioni di sviluppo.
L'inserire nello Statuto gli aspetti territoriali e urbanistici della programmazione, sarebbe un modo certo di assicurare gli Enti locali che la Regione si sta preoccupando, fin dall'inizio, dei loro problemi fondamentali. In proposito quindi ci proponiamo di portare avanti un emendamento aggiuntivo affinché lo Statuto dica in proposito una parola stringata ma chiara.
Un aspetto cui ritengo necessario riferirmi, proprio per l'importanza che potrà avere in prospettiva, è quello dei comprensori. L'idea dei comprensori non è ancora molto concreta, non ha ancora trovato delle individuazioni organizzative che consentano allo Statuto di esprimersi chiaramente. Io mi riterrei soddisfatto se venisse eliminata la limitazione prevista dal testo (realizzare i compiti di cui all'art. 73 dello Statuto).
A parere di molti il comprensorio, in futuro, si rivelerà la nuova forma amministrativa intermedia fra Comuni e Regione e pertanto, pur rimandando alla legge la sua definizione, ritengo utile modificare il testo proposto.
Ultimo punto: gli Enti locali. Tutti quanti noi siamo stati, penso amministratori locali. Avendo vissuto la realtà degli Enti locali ci rendiamo concretamente conto che uno dei significati fondamentali della Regione è quello di modificare i rapporti fra Enti locali e Stato. E nello Statuto affermiamo che vogliamo operare per l'autonomia e il decentramento.
Se riusciremo a dare più autonomia agli Enti locali, la Regione avrà svolto una parte importante del suo compito.
Il testo dello Statuto, a proposito degli Enti locali è certamente ricco di previsioni: partecipazione all'attività legislativa della Regione potestà legislativa propria, delega per le attività amministrative e finalmente, nuova impostazione dei controlli. Accennerò essenzialmente alla delega e ai controlli.
Occorre affermare subito (e per questo presenterò emendamento aggiuntivo), che le situazioni locali, gli orientamenti programmatici delle amministrazioni locali e le loro possibilità operative devono essere attentamente valutati nel momento in cui si fanno le leggi di delega. La Regione non deve operare come ha fatto lo Stato per tanti anni, credo fin dall'unità d'Italia proclamata in quest'aula, dando carichi agli Enti locali, molte volte gravandone anche le finanze e senza mai alleviarle. E tutto ciò, a volte, in nome del decentramento...
Pur senza voler complicare le cose, direi che l'argomento dei rapporti con gli Enti locali, è di tale importanza che non sarebbe stata di troppo oltre alla commissione permanente per il bilancio e la programmazione, la previsione di una seconda commissione permanente. Ciò potrà eventualmente trovare spazio successivamente, nella vita del Consiglio. L'emendamento aggiuntivo che proporrò è significativo nella sostanza: mentre su tutti gli altri argomenti la partecipazione è una facoltà delle commissioni legislative, per la formazione delle leggi di delega è obbligatorio sentire gli Enti locali.
Ancora un cenno sui controlli. La consultazione degli Enti locali ci ha evidenziato le richieste in merito, avanzate dai Consigli Comunali e Provinciali.
Esse sono essenzialmente due: la prima, che i comitati di controllo siano decentrati, cioè vicini agli Enti locali; la seconda che gli Enti locali abbiano la possibilità di una diretta partecipazione ai comitati stessi. Sulla prima, lo Statuto ha previsto la localizzazione decentrata, e va bene.
Per quanto riguarda la seconda, poiché non è potere della Regione determinare la fisionomia dei comitati di controllo, in quanto previsti da legge dello Stato, dovremo farci portatori della richiesta degli Enti locali. Questo non è un problema di Statuto, ma di volontà politica. Rilevo fin d'ora l'opportunità di accordi con altre Regioni per una proposta di legge di iniziativa regionale, che colga questa giusta rivendicazione dei nostri Enti locali. Per la freschezza della nostra esperienza amministrativa, non possiamo che esserne convinti tutti quanti.
Signor Presidente, signori Consiglieri, non avevo l'intenzione di affrontare tutti i problemi; ne ho scelto qualcuno e non so se sono stato chiaro nelle mie considerazioni e proposte. In conclusione dirò che si è creato finora un clima di generale collaborazione e il risultato è una proposta di Statuto che nella sua ossatura e in molte delle sue definizioni è buono. Se saremo capaci, nel dibattito che seguirà, sugli emendamenti e sui singoli articoli, di chiarire i rispettivi punti di vista probabilmente avremo uno Statuto apprezzabile.
Dobbiamo naturalmente affermare fin d'ora alcuni aspetti successivi all'approvazione dello Statuto. Per i noti motivi di tempo la partecipazione è stata scarsa, tranne che per l'episodio della consultazione degli Enti locali: dobbiamo impegnarci quindi alla sua massima pubblicizzazione. Non basta che lo Statuto venga stampato in un bell'opuscolo e sia pubblicato dai giornali; dobbiamo portarlo alla base e questo è un problema che riguarda i partiti, ma al limite potrebbe riguardare anche la Regione come tale; dobbiamo suscitare su di esso dibattiti, discussioni anche in contraddittorio, per facilitare la formazione di nuovi rapporti civili nell'ambito della società regionale, e questo è uno dei compiti fondamentali della Regione.
Sul piano politico abbiamo la necessità di mettere in funzione al più presto gli organi esecutivi. Le proposte di leggi statali di iniziativa della Regione ed i collegamenti da stabilire con le altre Regioni (ai quali ho fatto cenno), sono elementi che richiedono una pronta messa in funzione degli organi stessi.
Il Parlamento e il Governo devono trovare nella Regione Piemonte un interlocutore veramente valido e la Regione, a sua volta, deve essere interlocutore valido per le istanze popolari.
La comunità regionale, colleghi Consiglieri, attende che facciamo la nostra parte per risolvere i suoi problemi. Noi non vogliamo interpretare la nostra parte, staccati dalla comunità stessa: vogliamo offrire ai cittadini del Piemonte occasioni concrete per essere parte determinante del proprio sviluppo.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare il Consigliere Viglione.



VIGLIONE Aldo

Colleghi Consiglieri, i cittadini della nostra regione ed in particolare della provincia di Cuneo ben possono dare un giudizio positivo del documento, o meglio della Carta Costituzionale che questo nuovo consesso sta per votare. Il processo formativo della Regione, anzi l'adempimento costituzionale, è stato assai lungo, se non addirittura tormentoso. Abbiamo detto che i cittadini della provincia di Cuneo ben possono essere soddisfatti perché furono gli antesignani, nel corso della guerra di Liberazione, di questo processo formativo con la Repubblica Autonoma di Alba, che insieme all'Ossola rappresentava il primo passo verso quelle autonomie prorompenti al momento della Liberazione, soffocate dai governi moderati, se non reazionari, che si succedettero a partire dalla metà del 1947 sino all'esperienza Tambroni che segnò il punto più basso e lacerante della nostra giovane democrazia.
E ricordo nei lontani 1943 - 1945 già l'intrecciarsi delle discussioni delle proposte, delle attese sui modi e metodi di autonomia e partecipazione ai poteri decisionali che via via venivano maturando nel corso della lotta armata e che avrebbero successivamente trovato, nel l'immediato dopoguerra, una larga adesione popolare e una convergenza delle forze politiche democratiche che l'avevano guidata. Perché la Regione è nata dalla Resistenza. E' nata dalla Resistenza come fatto democratico di partecipazione popolare che non si estrinsecava soltanto nella lotta armata, per la cacciata dei fascisti e dei nazisti, ma poneva altresì le basi per un rovesciamento delle situazioni politiche e sociali, contro il centralismo burocratico, contro le decisioni del vertice senza alcuna partecipazione della base, contro il sopruso e l'ingiustizia come fatto quotidiano. Chi, come noi, è vissuto nelle valli dell'arco alpino cuneese ben conosce a quale punto di degradazione economica e sociale fossero state portate quelle popolazioni, obbligate alla emigrazione nella vicina Francia, senza case, senza lavoro, esposte alle mille insidie atmosferiche in condizioni igieniche spaventose, senza ospedali, senza alcuna prospettiva. A queste popolazioni, che ben potevano risollevarsi con la partecipazione attiva e democratica, con l'enucleare tutte le risorse di intelletto e di capacità di cui sono capaci i lavoratori, con la volontà tradizionalmente nota, si rispose prima con i governi liberali mandandoli alla guerra di Libia, a colonizzare chi non voleva affatto essere colonizzato, poi a morire massacrati nelle trincee carsiche e del Trentino infine come conclamata e suprema volontà rinnovatrice, a morire di ameba di malattie infettive, di stenti nelle pianure abissine per la pretesa grandezza dell'Impero fascista che altro non era, invece, che sfruttamento ed aggressione delle classi capitalistiche e borghesi, una vera autentica rapina sulle spalle dei giovani lavoratori italiani e delle popolazioni che si volevano colonizzare, non disdegnando i gas micidiali per stanare i poveri abissini ed i massacri del gen. Graziani in Addis Abeba per riportare l'ordine nuovo.
Ecco la democrazia ed il premio che ebbero le nostre popolazioni contadine ed operaie della provincia di Cuneo, i nostri montanari mandati poi a morire a decine di migliaia nei campi di Russia, di Grecia dell'Africa. Ogni nostro Comune porta le lapidi dei caduti e non è lontano dal vero il calcolo recentemente fatto che negli ultimi 70 anni oltre duecentomila abitanti della nostra provincia sono caduti, o mutilati, o feriti, od imprigionati, o torturati o hanno perduto interamente i loro beni in virtù delle guerre che si sono alternate con ritmo sempre più impressionante. Questa è la sorte che ha avuto la nostra provincia dalla centralizzazione del potere, dalla sottrazione dei poteri decisionali ai lavoratori, dall'esclusione, come metodo e come sostanza, dalla partecipazione alla formazione ed alla guida della cosa pubblica. Così i contadini, i montanari, i lavoratori della provincia di Cuneo hanno subito e pagato tutte le follie della classe dominante di questi ultimi 50 anni con tragedie senza fine.
E questa centralizzazione del potere è certamente una delle cause determinanti delle distorsioni di enorme gravità che si sono verificate nella nostra società nel corso dell'ultimo settantennio. E non a caso ho ricordato la Repubblica partigiana dell'Ossola e di Alba, come antesignane di questo movimento verso le autonomie che non significavano, come volle far apparire la destra sempre più cieca del nostro Paese, la distruzione dell'unità nazionale, ma nuova forma di partecipazione, di autodecisione.
Colleghi Consiglieri, voi pensate quante sofferenze avremmo evitato se l'adempimento costituzionale fosse stato portato tempestivamente innanzi.
Soltanto nella nostra provincia oltre centomila abitanti sono emigrati per la gravissima situazione economica e sociale. E ciò senza poter decidere in merito, senza risposta a tutti gli interrogativi preoccupanti di quanti vedendoli partire, pensavano che presto sarebbe toccato il loro turno. Se si fosse attuato tempestivamente l'ordinamento regionale gli abitanti della Bormida, da Cengio sino ad Acqui avrebbero potuto rappresentare la situazione di oltre 50 Comuni investiti dalle esalazioni delle acque contenenti prodotti chimici, residui di lavorazioni Montedison, in tale quantità da impedire ogni vita del fiume e da rendere ogni prodotto della terra circostante incommestibile. Sono 50 Comuni toccati direttamente o indirettamente, chi più o chi meno, per il solo profitto capitalistico che non accenna nemmeno ad affrontare il problema. Le acque della Bormida, per decine e decine di chilometri hanno il colore del cioccolato, schiumose tali da far ribrezzo solo a guardarle. E ciò non all'uscita dallo stabilimento, ma a 60/70 Km. di distanza. Ebbene, la Magistratura milanese foro della Montedison, ha dato torto a migliaia di agricoltori che avevano promosso una causa da oltre vent'anni, dicendo che tutto era perfetto e condannandoli ancora alle spese di giudizio. E tanto era enorme la cosa che l'Amministrazione della Provincia di Cuneo si assunse l'onere del pagamento per dimostrare la propria solidarietà con le popolazioni colpite. Né da meno è il problema della silice che investe ormai centomila agricoltori della pianura di Cuneo sino ad Alba. La silice immessa dagli stabilimenti del Vermenagna, passa al Gesso, ai canali irrigatori e si deposita nei campi stratificando i terreni ed impedendo alle polle d'acqua riemergere.
Questo fenomeno si va ormai estendendo a tal punto che parte dell'Astigiano ne è già investito. Se la Regione fosse stata presente non avremmo avuto lo scempio urbanistico di questi ultimi vent'anni. Nella città di Cuneo ed in provincia negli anni decorsi e prima dell'avvento della cosiddetta legge ponte del compagno Mancini, si è avuta una serie continua di violazioni con deturpazione del paesaggio in modo irrimediabile. E' mancato totalmente un organo democratico di guida e di controllo. Torino e la sua cintura sono urbanisticamente letteralmente distrutte.
Oggi si compie, con l'approvazione dello Statuto, un atto veramente rivoluzionario. E' un momento esaltante quale noi non avevamo dal 25 aprile 1945, giorno della Liberazione del nostro Paese. Ma i momenti esaltanti possono anche passare se non si darà un vero contenuto. Ed il vero contenuto dello Statuto che noi stiamo discutendo sta proprio in quegli istituti di partecipazione democratica che sono alla base di ogni ordinamento civile ed avanzato. Le solite forze, che per tanti anni osteggiarono l'avvento della Regione, in nome di uno Stato vecchio, cieco ingiusto, cercheranno e non perderanno l'occasione di dimostrare che la demagogia ha prevalso, che il popolo non è ancora maturo, che il bastone ed il poliziotto sono ancora i rimedi migliori che possa offrire questo tipo di società. Noi non crediamo nella taumaturgica bontà della legge e tanto meno crediamo ai poliziotti. Noi crediamo alla coscienza popolare, a quel senso altissimo di responsabilità che le classi lavoratrici hanno sempre dimostrato nel corso della storia del nostro Paese. La Regione vuol dire avviare finalmente questo processo, vuol dire mettere alla prova la validità di questa affermazione. Certo, non si arrenderanno tanto facilmente i retori ed i laudatori di queste lugubri teorie. Eccoli a dire: "la classe lavoratrice è incapace di autogovernarsi, incapace ancora di decidere, incapace di operare". Queste cose affermano questi donchisciotteschi eroi, fautori dell'elite che è poi soltanto sottrazione di potere a tutti i cittadini.
Ma se questa tesi dovesse ancora trovare accoglienza da alcuna parte sarebbe sufficiente ricordare che i lavoratori erano mandati a morire su tutti i fronti di guerra per l'arricchimento delle classi agiate ed industriali; i lavoratori possono morire nelle fabbriche e nei cantieri visto che ogni due ore muore in Italia un operaio per incidente sul lavoro.
Gli operai possono ben produrre nei luoghi di lavoro più insani, nella polvere, nei materiali corrodenti, nella silice, nelle miniere, nelle vetrerie. A Cuneo, nelle fabbriche di vetro, non vi è quasi giorno che non succeda una disgrazia con feriti, alcuni dei quali in modo grave. Non vi è operaio che passi indenne più di qualche anno per il caldo, le malattie gli infortuni. Recentemente in una fabbrica metalmeccanica di Cuneo un operaio ha avuto tutte e due le mani tranciate e per tutta la vita porterà i segni di una terribile sventura.
Nei cantieri della nostra provincia sono decine i feriti e molti i morti per l'intenso sfruttamento, per la mancanza di idonee protezioni, per incuria assoluta dell'imprenditore.
Si dice che le masse lavoratrici non sono ancora mature per assumere i poteri decisionali ed ottenere una larga partecipazione. Ma sono maturi i contadini ed i montanari delle nostre valli alpine per vivere e produrre in condizioni disumane, in case senza servizi igienici, senza alcun conforto sparse nelle zone più impervie. Eppure vivono e producono e se la città è rifornita di tante belle cose lo si deve all'abnegazione ed allo spirito di sacrificio dei nostri contadini e dei nostri montanari.
E questi lavoratori, chiamati a pagare sempre, sarebbero quelli immaturi per il referendum, per l'iniziativa legislativa popolare, per la petizione! Ecco il grande momento della Regione. Si tratta di decidere subito, e senza mezzi termini, che le forze politiche presenti sono con i lavoratori che le forze politiche credono in questa partecipazione popolare, che le norme codificate non debbono riflettere soltanto delle soluzioni epidermiche e generiche, ma debbono incidere profondamente nella mutata realtà socio-economica del nostro Paese. In sostanza con la partecipazione popolare al governo della Regione si attua una forma nuova, un nuovo concetto non soltanto nel metodo, ma altresì nella sostanza.
Quello Stato inefficiente, cieco e lontano, irraggiungibile ai più deve scomparire per sempre, ma scompare attraverso la Regione.
Non vi sarà carenza di poteri nella misura in cui il Consiglio Regionale opererà con immediatezza e senza attendere oltre che le pastoie burocratiche o le resistenze atroci di chi per tanti decenni ha beneficiato di questa abnorme situazione possano rallentarne la marcia. La lotta quindi, si sposta dall'aula al Paese, come suol dirsi in termini politici.
Senza l'aiuto dei lavoratori, senza l'adesione degli intellettuali progressisti, degli scienziati, degli studenti, di tutti i democratici della nostra Regione e dell'intero Paese, uniti in un movimento possente diretto al passaggio immediato dei poteri costituzionali nella loro interezza alla Regione, nulla potrà essere fatto. L'abbiamo già visto in Parlamento in occasione della discussione per la legge elettorale e la legge finanziaria, come la destra liberale missina, ed in piccola parte anche della stessa Democrazia Cristiana, si sia battuta per contrastare il varo dell'adempimento costituzionale della Regione. Lo vediamo oggi qui come la destra missina tenti, a mezzo di centinaia di emendamenti, di bloccare l'approvazione dello Statuto, o quanto meno di ritardarne il naturale corso.
Ha detto bene il compagno Sanlorenzo che il progetto di Statuto potrà portare ad un buon Statuto sol che la volontà politica si manifesti in questa direzione. Noi siamo qui in rappresentanza delle forze popolari che ci hanno eletto. E non siamo presenti per operare in prima persona, ma per far partecipi ed operanti quanti vorranno e crederanno in questa nuova forma di organizzazione democratica del potere che ha bandito e dovrà bandire per sempre ogni autoritarismo, ogni pressione e disonestà politica.
Ma a questo punto, e per la realizzazione di quella che noi crediamo che sia la parte determinante del documento che ci apprestiamo ad esaminare, discutere e votare, occorre un reale confronto fra le forze politiche che hanno creduto e credono in questa riforma sostanziale che oggi noi andiamo vivendo ed elaborando. Questo per non cadere nel puro velleitarismo o nel mondo dei sogni, come mi è parso di cogliere negli interventi di Gerini e Cardinali, che per qualche parte coincidono. Ma proprio per questo occorre questa verifica, questo costante e continuo confronto. Ci dicono: ma che cosa volete voi socialisti? Rispondiamo che vogliamo l'avanzata di questa società nel suo insieme. Ho detto questa società non come forma stratificata o stratificante, ma come inizio di un vero discorso sulle riforme che passa attraverso il contributo decisivo e sostanziale di tutto il mondo del lavoro. Per cui noi riteniamo che la fase del centro-sinistra, nel senso tradizionale e deteriore della parola, abbia fatto il suo tempo ed occorra cercare più larghe convergenze in una società in continuo movimento per coglierne l'essenza ed essere gli anticipatori di nuovi incontri, di nuove soluzioni, di radicali mutamenti che sono ormai nell'aria e che bisogna esser ciechi per non comprendere.
La Regione ci offre, ripeto, questa occasione. Non dirò del Partito Comunista, per carità, questa forza politica sa ben dire e ben portare innanzi le sue istanze e le sue iniziative. Ma quando parliamo di confronto ed apertura a tutte le forze democratiche presenti nella nostra società non ci possiamo esimere dal ricordare tutti i movimenti, le associazioni, e parliamo dei movimenti studenteschi che tanta parte hanno avuto negli ultimi anni nel portare e rappresentare le nuove strutture che dovrebbe avere la scuola italiana; parliamo dei movimenti sindacali, od anche degli stessi gruppuscoli, che non possono essere ignorati, quand'anche il nostro giudizio spesso non coincida; parliamo del mondo del lavoro autonomo, dei piccoli imprenditori ed operatori economici, che soffrono, come soffrono i lavoratori dipendenti, di una crisi costante di questo tipo di società.
Ecco che cosa intendiamo parlando di "società nel suo insieme", società in cui le forze vive non possono essere ignorate, o spesso schernite, per la sola circostanza che il loro giudizio non è consono al nostro.
Ma questo nuovo modo di fare politica richiede anche chiarezza. Lo Statuto sarà la vera Carta Costituzionale moderna nella misura in cui noi opereremo delle scelte precise. Ed in primo luogo un giudizio definitivo sulla Legge Scelba. La sua incostituzionalità balza evidente, come da più parti si è già puntualizzato. Secondo l'art. 123 della Costituzione, "ogni Regione ha uno Statuto, il quale, in armonia con la Costituzione e con le leggi della Repubblica, stabilisce le norme relative alla organizzazione interna della Regione.." Dice la Costituzione: "in armonia con la Costituzione e con le leggi della Repubblica". Ciò non sta a significare che gli Statuti regionali debbono senz'altro soggiacere alle disposizioni (che su di essi sarebbero in ogni caso prevalenti) delle leggi statali ordinarie, ed in particolare della n. 62 del 1953. Si è detto bene, nel ricorso della Regione lombarda, che in siffatta ipotesi si degraderebbe la potestà delle Regioni di dettare i propri Statuti a livello di una potestà semplicemente regolamentare, destinata ad operare solamente e timidamente negli interstizi per avventura lasciati liberi dal legislatore ordinario dello Stato. In tal modo si potrebbe giungere al risultato di svuotare di concreto rilievo la potestà auto-organizzatrice propria della Regione, in contrasto con la volontà del Costituente, che ha voluto garantirla allo scopo di consentire gli opportuni adattamenti della struttura interna a situazioni ed esigenze locali. E se lo Statuto Regionale dovesse cedere il passo alle leggi ordinarie della Repubblica, od anteriori allo Statuto medesimo o posteriori (con la conseguente possibilità dello Stato di abrogare o modificare gli Statuti Regionali), ne nascerebbe una conseguenza paradossale, e che voi tutti, colleghi Consiglieri, comprenderete perfettamente, e cioè che in materia di Statuto subiremmo delle tremende limitazioni, non sancite dalla Costituzione ma da una legge ordinaria.
E la contraddizione sarebbe ancor più evidente laddove si dice nella Costituzione che per l'esercizio della potestà legislativa ordinaria è sufficiente che la Regione si attenga "ai principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato" (ed eviti il contrasto con l'interesse nazionale e con quello di altre Regioni).
Il rinvio, quindi, dell'art. 123 alle leggi della Repubblica va di conseguenza interpretato come riferimento a quelle leggi statali alle quali esplicitamente la Costituzione riserva la disciplina di alcuni limitati aspetti dell'organizzazione regionale (la legge elettorale per l'art. 122 la legge finanziaria regionale per l'art. 119, la legge sulla costituzione dell'organo regionale di controllo sugli atti delle Province, dei Comuni degli altri Enti locali, per l'art. 130).
E se si vuole ancora precisare meglio il concetto, anche di fronte a certe perplessità di alcune forze politiche, l'approvazione dello Statuto con legge della Repubblica rappresenta una sufficiente garanzia della conformità degli Statuti regionali ai sommi principi che assicurano l'unità dell'ordinamento giuridico del nostro Stato pur nella sua articolazione regionale. In altre parole, il Parlamento, giudicando oggi, dovrà far giustizia per quanto riguarda il contrasto con tutta la legislazione previgente.
La Giunta non ha ritenuto di impugnare la Legge Scelba per illegittimità costituzionale, e noi, come Partito Socialista, riteniamo più giusto e rispondente portare avanti il Parlamento questo problema. O la Regione si ingabbia o la Regione si libera. Noi socialisti, è evidente siamo per questa seconda soluzione. La Regione deve avere tutto il suo spazio costituzionale, e lo Statuto deve essere il documento primo che lo recepisce; ogni equivoco o transazione al riguardo sarebbe pura follia vorrebbe dire ritornare al centro quanto per decenni abbiamo reclamato.
Un secondo punto vorremmo ancora puntualizzare in questa discussione ed è il metodo di governo e degli equilibri politici generali.
Il Partito Socialista Italiano dà fondamentale importanza al metodo di governo. La battaglia condotta in tutti questi anni per le Regioni aveva un significato di adempimento costituzionale, questo è vero, ma anche perch la Regione era una via importante per una riforma generale dello Stato.
Lo dicono tutti, anche i liberali, anche la destra più reazionaria, che pure ama lo statalismo ultracentralizzato, che lo Stato non funziona. Si dice ancora che lo Stato soffre dei gravi mali del burocratismo e della corruzione, che non consente una partecipazione efficace della base del Paese alla formazione della volontà collettiva. Ci si grida ogni giorno di non seguire le orme dello Stato, di fare qualcosa di nuovo, di snello, di efficiente. E qui si deve aprire un discorso della Giunta regionale, ovvero del Governo.
L'indirizzo del nostro partito, ed è assai noto, è quello di seguire i seguenti criteri: 1) assicurare la collegialità dell'azione di governo attribuendo alla Giunta nel suo insieme, e non al solo Presidente, la funzione di indirizzo politico ed amministrativo 2) svincolare per quanto è possibile i componenti della Giunta dai compiti di amministrazione in senso stretto, e ciò sia per garantire loro la possibilità di partecipare effettivamente alla determinazione dell'indirizzo generale di governo, sia per impedire che essi si facciano portatori di interessi settoriali, economici e burocratici, operanti nei settori di loro competenza 3) garantire al potere politico, cioè la Giunta, ed al Presidente una posizione di preminenza nei confronti della burocrazia regionale 4) ridurre al minimo gli apparati burocratici di tipo tradizionale, sia mediante un largo uso della delega agli Enti locali, sia mediante la creazione, per determinati settori operativi, di amministrazioni di tipo nuovo, dotate di un particolare grado di autonomia e di una struttura di tipo aziendale, sul tipo delle "agenzie" largamente usate in altri Paesi.
Ho parlato delle "agenzie", a proposito delle quali debbo dire che noi ci guardiamo bene dal farne una mitizzazione. Perché, se è vero che il ricorso a gestioni di tipo aziendale può essere in determinati e precisi casi un fattore di efficienza e di speditezza, è anche vero che una proliferazione di agenzie e di Enti regionali, come dimostra l'esperienza di qualche Regione a Statuto speciale, può favorire la formazione di carrozzoni e di sinecure di sottogoverno, privi di reali funzioni tecniche ed amministrative.
Si tratta, dunque, di studiare con concretezza e doverosa cautela la possibilità che determinate funzioni di carattere essenzialmente operativo come ad esempio l'esecuzione di opere pubbliche o la prestazione di servizi pubblici, che non siano delegabili agli Enti locali, siano esercitate da amministrazioni dotate di particolare autonomia; il che significa, in concreto, sottratte al sistema generale dei controlli preventivi ai singoli atti e soggette ai controlli successivi sull'insieme dell'attività svincolate da determinate norme della legge di contabilità generale dello Stato, che sono state estese dall'art. 20 della legge finanziaria all'amministrazione regionale ordinaria. Significa anche che in questi casi ci si può avvalere con maggior libertà dell'opera di personale tecnico (vedi Ires), utilizzandolo in tal modo di volta in volta, oppure dell'opera di illustri scienziati e uomini di cultura che possono accettare di collaborare occasionalmente, ma che non sarebbero disposti alla trafila degli impieghi statali.
Naturalmente, sull'attività delle agenzie resta fermo il controllo del potere politico, e l'obbligo di far rifluire nel bilancio regionale sottoposto all'approvazione del Consiglio, tutti i bilanci delle agenzie o amministrazioni autonome degli Enti regionali.
Colleghi Consiglieri, è il momento più esaltante dopo il 25 aprile 1945. Non soffochiamolo! Questi sono i postulati per i quali opererà e si batterà il Partito Socialista Italiano.



PRESIDENTE

Prima di dare la parola al collega che svolgerà il successivo intervento, vorrei pregare i Consiglieri ancora iscritti a parlare di esporre più lentamente, specialmente quando leggono i loro discorsi.
Forse non tutti si rendono conto che il lavoro che fanno le nostre stenografe è estenuante: al Parlamento, gli stenografi si alternano in turni di un quarto d'ora; qui, le due persone che curano i verbali stenografici lavorano più ore di seguito, ed in questi giorni sono impegnate mattina e pomeriggio, con la sola interruzione meridiana.
Inviterei pertanto i Consiglieri che abbiano scritto integralmente il loro discorso e che non intendano apportarvi aggiunte o variazioni di darne preventivamente comunicazione alle stenografe, perché esse possano durante quell'intervento riposare, e quelli che improvvisano a tener presente che per poterci dare i resoconti perfetti, la cui fedeltà esemplare abbiamo tutti avuto modo di verificare, le nostre gentili collaboratrici devono sottoporsi ad una prova di fatica fisica oltre che mentale che finirà con il lasciarle completamente svuotate al termine della discussione dello Statuto.
Ha chiesto di parlare il Consigliere Armella. Ne ha facoltà.



ARMELLA Angelo

Molti motivi di meditazione sono emersi dal dibattito, soprattutto dalla presentazione che così egregiamente dello Statuto è stata fatta dal Presidente e dai componenti la Commissione che lo ha elaborato. Questi interventi ci hanno dato occasione di un ulteriore riesame dei compiti propri della Regione, che tutti vorrebbero, sotto un profilo o l'altro veder trasparire dallo Statuto stesso.
Il fatto di trovarci riuniti in quest'aula, così ricca di storici ricordi, non può non richiamarci ad una considerazione: ci muoviamo proprio in direzione opposta a quella seguita dagli uomini migliori del Risorgimento nazionale, i quali, nel timore degli spettri degli antichi Stati, si preoccuparono di impedire che le autonomie si esprimessero in forma così completa come quella introdotta nella Costituzione repubblicana.
Se mi è consentito, vorrei riportare qui, stralciandole dalle letture fatte in questi giorni sul richiamo della discussione svoltasi in quest'aula, le poche, ma importantissime, considerazioni che l'on. Ruini Presidente della Commissione dei Settantacinque che elaborò la Costituzione, disse a proposito del Titolo V, appunto intitolato "Regione e Comuni" perché i Settantacinque non pensavano alla sopravvivenza della Provincia come ente autonomo, poi tradotto nella Costituzione in "Regioni Province e Comuni", in merito a questo grosso fatto innovativo della Costituzione: "L'innovazione più profonda introdotta dalla Costituzione è nell'innovamento strutturale dello Stato su basi di autonomia, e può avere portata decisiva per la storia del Paese. Certo si è che noi assistiamo ad un fenomeno inverso a quello del Risorgimento, e sembra anch'esso irresistibile, verso le autonomie locali. Non si tratta soltanto, come si diceva allora, di portare il Governo alla porta degli amministrati con un decentramento burocratico ed amministrativo sulle cui necessità tutti oggi concordano: si tratta di porre gli amministrati nel governo di se medesimi". La partecipazione, dunque, entrava già nelle preoccupazioni dei Costituenti. E ricordava l'on, Ruini una felice affermazione di Stuart Mill: che "nelle autonomie locali si ha un ingrandimento della persona umana" e che "senza istituzioni locali una Nazione può darsi un Governo libero ma non lo spirito della libertà".
Orbene, mi pare che il primo concetto che è racchiuso in questo grosso fatto innovativo, il più importante fra i più importanti della Costituzione, sia proprio l'autonomia politica delle Regioni. Questa autonomia politica noi vogliamo veder trasparire dalla nostra carta statutaria. Lo Statuto, nella bozza che ci è stata presentata, ne fa ripetuto cenno, considerandola soprattutto come mezzo per operare al fine di garantire, salvaguardare il raggiungimento dei fini fondamentali previsti dalla Costituzione, così che ad un certo punto, direi, prorompe in quell'art. 4 di cui ha fatto una acuta esegesi il collega Garabello. Ma questa indicazione vuol essere soprattutto, in primis, come presupposto coscienza di una chiara cognizione, oltre che dei fini che si propongono dei mezzi, del contenuto che questa autonomia comporta. E' un contenuto legislativo, che fa sì che la Regione legiferi in determinati campi; si arresta, come è stato detto da Ambrosini, mi pare in sede di Costituente alla soglia dello Stato federale, ma si concreta nel concetto dello Stato regionale.
Richiamo questo perché ho sentito da taluno presentatore della bozza di Statuto un accenno quasi iroso ad una pretesa che sarebbe propria dei regionalisti, delle forze regionaliste presenti nel Consiglio, che sembra voler dire: ora che avete l'autonomia non vi basta, la volete in misura ancor maggiore, vi siete sforzati di cercare, attraverso lo Statuto, oltre che di violare la legge, anche di estenderla al di là dei limiti che l'autonomia comporta. Quasi che l'autonomia di per sé, l'autonomia politica delle Regioni, vulnerasse il principio dello Stato. Ma lo Stato è anche la Regione: lo Stato è stato costruito, previsto dalla Costituzione come Stato regionale, con competenze, pertanto, che si esprimono attraverso l'autonomia politica delle Regioni.
Ho rilevato, però, ed è motivo di meditazione, una certa imprecisione per non dire confusione, cui forse ho contribuito anch'io, parlando per la prima volta in questo consesso, sulla competenza della Regione, prevista dall'art. 117 della Costituzione. Ho cercato di chiarire a me stesso, prima che agli altri, il contenuto di quell'articolo, di precisare, in certo qual modo, i limiti di questa competenza. Perché in effetti noi oggi assistiamo a questo: ora che la Regione ormai esiste, è un fatto concreto, anche se non tutti gli Statuti sono pervenuti al Parlamento, a fianco di una presa di coscienza, che è consapevolezza, della esigenza di dare apporto contributo alla risoluzione dei problemi dello Stato attraverso la Regione e la sua legiferazione, si manifestano contrasti proprio su quello che la Regione deve fare. Indubbiamente, qui è questione di limiti, che sono non soltanto della Regione ma dello Stato.
Se noi ci rifacciamo all'art. 117, se bandiamo l'iter per cui si è giunti a quella formulazione, constatiamo con chiarezza che non c'è propriamente una legislazione subordinata della Regione: c'é un limite nel fatto che la Regione può deliberare nell'ambito appunto di legittimità di principi fondamentali dell'ordinamento giuridico, oltre che nel merito (come ben sappiamo, l'interesse della Nazione e l'interesse delle altre Regioni); ma c'è parimenti, e ciò è apparso ben chiaro nei lavori preparatori, un limite posto dalla Costituzione allo Stato, così che, una volta fissati i principi fondamentali della competenza delle Regioni, lo Stato non si può sostituire alle Regioni nei compiti che sono a queste assegnati, non può legiferare in loro vece.
Qualcuno ha addirittura posto il quesito: se le Regioni rimanessero inerti - ipotesi evidentemente del tutto teorica ed accademica, perché è impensabile che così possa essere, vista la spinta che stanno prendendo i Consigli regionali, - non legiferassero, che cosa succederebbe? E la risposta è stata che rimarrebbero in vigore anche le norme di attuazione anche quelle regolamentari esistenti nella legislazione statale. Il che significa che nelle materie di sua competenza soltanto la Regione pu legiferare.
Di fronte a queste constatazioni non possiamo non trovar naturale che le Regioni rivendichino nella loro ampiezza questi loro poteri; ed a mio avviso è parimenti naturale, anche se in contrasto con quello che taluno ha affermato, che cerchino di estenderne l'applicazione.
Alla formulazione dell'art. 117 si è giunti dopo un iter che ha visto un progetto, quello dei Settantacinque, che indicava tre competenze della Regione. Leggendo, proprio in questi giorni, nel bollettino n. 1 che ci è pervenuto, la relazione del Presidente della Commissione per lo Statuto dell'Emilia-Romagna, Curci (non so poi cosa sia successo successivamente per quanto abbia visto stamattina circolare qui degli schemi di sistemazione degli uffici che non riguardano, peraltro, se non una parte molto limitata della competenza regionale), a proposito della competenza della Regione, avevo rilevato come egli ponesse il quesito se nello Statuto dovesse risultare una specificazione tra le competenze di ordine primario e quelle di ordine secondario o concorrente, o subordinato; e mi ero domandato da dove derivasse questa distinzione. Posso concludere anticipando, che la distinzione, in oggi, con il testo statutario, non esiste più, ma prima esisteva, e fu motivo di discussione proprio fra i Costituenti, perché quel progetto dei Settantacinque prevedeva: una competenza primaria, esclusiva, nell'ambito dei principi generali dello Stato (vorrei sottolineare quel "generali", che vale per "generalissimi") in cui si potesse legiferare senza attendere nulla da parte della legislazione statale (e l'art. 109 del progetto indicava, in questa competenza esclusiva, una serie di importanti materie che si trovano ora elencate nel 117, compresa l'urbanistica e la beneficenza pubblica); una competenza concordata nell'ambito delle direttive che il Parlamento avrebbe dato adeguando la propria legislazione alle esigenze delle autonomie regionali, che comprendeva l'assistenza ospedaliera (mi pare di molto rilievo, perché è stata oggetto anche recentemente di discussioni), le acque pubbliche e l'energia elettrica (al di fuori di quelle di interesse statale che sono state poi tolte dal quadro dell'art. 117), le linee automobilistiche, tramvie eccetera; infine, una terza competenza, di integrazione e di attuazione, che ha dato origine a quel comma del testo della Costituzione che rimanda genericamente a leggi che lo Stato può fare per demandare alla Regione il compito di legiferare, e che concerneva in allora igiene e sanità pubblica (ecco l'aggancio alle discussioni attualmente in corso in sede ministeriale, o in Parlamento, e qui potrebbe entrarci anche, parzialmente, il decretone), l'istruzione elementare (che proprio Einaudi diceva essere "così importante da doversi affidare alle Regioni"), la disciplina del credito, dell'assicurazione, del risparmio (forse si può ritenere eccessivo in oggi), industria e commercio, le miniere, la navigazione interna.
Orbene, per avere una larga maggioranza in sede di Costituente si finì con l'affermare soltanto la competenza concorrente, riunendo nell'art. 117 praticamente, quello che era contenuto, previsto, e per la legislazione primaria e per la legislazione concorrente. E si finì con il demandare, con un rinvio (anche allora si rinviava alle leggi successive, come adesso nello Statuto vediamo ripetutamente fatto per le leggi regionali) alle Regioni la competenza su altre materie, quelle indicate, per una integrazione e per una attuazione.
Tutto questo mi pare di sommo rilievo per indicare che è chiaro che dal momento che le Regioni sono costituite, ed iniziano questo cammino attraverso le istituzioni - come è stato detto autorevolmente in una Regione vicina alla nostra -, si deve prender atto di questa coscienza, di questa consapevolezza del positivo apporto che esse vogliono dare. E quindi della necessità di un riesame di tutta la competenza regionale, non già per porsi in contestazione con lo Stato ma per attuare la Carta Costituzionale vista nel quadro delle odierne esigenze, a quasi vent'anni dall'entrata in vigore della Costituzione.
Non dovrebbe essere motivo di meraviglia, collega Carazzoni, che su questo punto possano collimare le posizioni di forze contrapposte nella visione della democrazia, che praticamente democristiani, psiuppini e comunisti a volte dicano le stesse cose a questo proposito, pur avendo ognuno ben presenti i propri fini: senza fare il processo alle intenzioni altrui, per quanto riguarda noi posso dire che questa indicazione, questa volontà, questa richiesta, non è strumentale, ma è sincera ricerca di quanto di meglio si possa fare per l'attuazione della Carta Costituzionale e per le fortune della nostra terra e per assolvere degnamente il mandato che dalla società civile ci è stato affidato.
In questo quadro si deve vedere il superamento della legge del 1953.
Superamento, a mio avviso, positivo in diversi punti: non soltanto in quelli su cui si sono appuntati subito i primi strali (contenuto dello Statuto, o controlli su Comuni), che un più attento esame ha dimostrato che non si poteva modificare, proprio perché quella parte è costituzionalissima, cioè perfettamente conforme a quelle leggi cui il collega Viglione faceva richiamo, le leggi per cui lo Statuto dev'essere in armonia con la Costituzione e le leggi della Repubblica; ma anche in quelli relativi alla elezione del Presidente e della Giunta (in questo senso ha operato la Commissione Statuto della Regione Piemonte, ma lo stesso ha fatto chi ha approntato le bozze di Statuto di altre Regioni).
I comunisti, per bocca autorevole del Consigliere Sanlorenzo, hanno sostenuto, riferendosi alla Legge del 1953, la cosiddetta "Legge Scelba" la tesi della volontà di mantenere per meschino calcolo un involucro senza contenuto al fine di legare con un vincolo costrittivo partiti che non possono stare insieme. Ma così non è. Quella legge costituisce una scelta fatta dopo lunga meditazione, che risponde a motivi di chiarezza, e trova riscontro nel progetto di legge De Mita, nel progetto di legge che il Governo nel 1964 ha presentato per la legislazione delle Regioni a statuto ordinario, che la Commissione affari costituzionali ha presentato in tal senso, anch'essa nel '64: voto palese, legame Giunta-Presidente discussione e scelta del Presidente e della Giunta sopra documenti programmatici che impongono un dibattito politico e, direi conseguentemente, una scelta che deve unire le forze in una coalizione fra loro per assicurare non già una qualsiasi amministrazione, come prevedeva il modello di legge comunale e provinciale del 1915, che è stato trasfuso nella legge del 1953, fatta in un contesto politico diverso, riferita ad una scelta intuito personale, cioè in relazione alle capacità personali dei singoli, più che con una prevalenza di indirizzi politici che invece sono alla base di una votazione per appello nominale, con chiaro sfondo di indicazioni politiche.
Nelle relazioni svolte in sede di discussione dello Statuto toscano nella primavera scorsa si trovano larghe e positive indicazioni (io mi sono riletto la relazione fatta dal prof. Ugo De Servio in tale circostanza) sui rapporti tra organi di governo, che caldeggiano con evidente simpatia questa scelta per il governo della Regione (dico "governo della Regione" proprio per sottolinearne l'importanza) anche ai fini dei rapporti tra Giunta e Consiglio. Mi pare che questo dovrebbe aggiungere motivi di chiarezza di cui tutti, nell'attuale contesto politico del Paese, abbiamo bisogno. La Costituzione si esprime in questi termini: "Organi della Regione sono il Consiglio, la Giunta e il suo Presidente".
Ormai siamo in procinto di essere tutti dimissionari, noi componenti la Giunta, e quindi le mie parole non hanno riferimento personale ad alcuno ma indubbiamente la preminenza del Presidente è in rapporto alle funzioni che la legge affida allo stesso Presidente, deriva dal compendiare egli la volontà comune che si esprime nella votazione per la Giunta, e quindi che si esprime attraverso una valutazione politica che concreti la coalizione tra le forze politiche che danno origine alla Giunta. Indubbiamente l'organo di governo è la Giunta, e la Giunta ed il suo Presidente, insieme provvedono a quanto di iniziativa dev'esserci nel governo della Regione.
Voler ridurre la Giunta a compiti esclusivamente esecutivi porterebbe ad una confusione che non gioverebbe né all'attività legislativa, né, in definitiva, alla Regione, rischiando di comprometterne l'operatività.
Nella relazione, già citata, del Presidente della Commissione Statuto dell'Emilia-Romagna, Curci, leggevo, a proposito della Giunta, che essa deve avere non solo il compito di attuare i deliberati del Consiglio ma anche di promuovere e preparare l'attività del Consiglio stesso. Questo mi pare sintetizzi quanto si può dire sui compiti e sulle funzioni che da una Giunta si richiedono ove si interpreti in modo costituzionalmente corretto l'ordinamento regionale. Non confusione di compiti, pertanto, con il Consiglio, non spostamento al Consiglio di operatività pertinenti all'iniziativa della Giunta. E' vero che il Consiglio Regionale non è un organo avente esclusivamente compiti legislativi, essendo ben noto - lo si ricava da quello stesso articolo della Costituzione in cui si parla di referendum e si fa riferimento a referendum non solo sulle leggi ma anche sui provvedimenti amministrativi - che deve anche provvedere all'adozione di provvedimenti amministrativi; ma sbaglierebbe, a mio avviso, chi ritenesse che da tale formulazione si possa pervenire così, con facilità ad una confusione di compiti amministrativi e legislativi che porti ad inglobare nel Consiglio l'intera attività costituzionale della Regione; e una tale convinzione denoterebbe la mancanza di un approfondimento sui provvedimenti amministrativi che il Consiglio deve prendere.
La prima esemplificazione sorge proprio dall'indicare i regolamenti che sono atti amministrativi, dal determinare deleghe per quanto ci sarà da discutere su quel che sia compito del Consiglio e quel che sia compito della Giunta, a questo proposito, tra legge che dà la delega e specificatamente il compito che questa comporta, nel quadro dell'iniziativa di governo dell'amministrazione. In ogni caso, il raffigurare compiti amministrativi nel Consiglio non deve comportare confusione con quel carattere di iniziativa di governo che è della Giunta, che ad un tempo dev'essere proprio per dare possibilità di responsabilizzare gli organi della Regione. Non è pensabile che da una situazione di confusione possa derivare una responsabilizzazione dell'attività della Regione. Occorre che la responsabilità sia assegnata ben chiaramente alla Giunta, perché la Giunta possa risponderne di fronte al Consiglio. Proprio per evitare questa confusione occorre dedicare la massima attenzione alle norme dello Statuto che concernono i compiti della Giunta e i compiti del Consiglio.
Il superamento della Legge Scelba è una scelta politica. A me pare che l'essere andati avanti in questo discorso abbia dissolto i dubbi che molti avevano a proposito dei modi di superamento della legge del 1953. Li avevamo allora elencati: o ricorso alla Corte costituzionale, o riferimento all'art. 121, che consente il ricorso delle Regioni al Parlamento; oppure ancora, terza possibilità, che citavamo però con scarsa convinzione approvazione di Statuti in contrasto con la Legge Scelba, così da provocare la modifica di questa. La tendenza oggi prevalente tra le forze politiche che, si può dire, compongono larga parte del Parlamento è ormai notoriamente di interpretare la Legge Scelba così come taluni già nel 1953 avevano proposto di interpretarla (anzi, si era proposto che ci fosse un apposito articolo, direi, a conclusione della legge), cioè attribuendole una validità di carattere propedeutico, per avviare l'attività delle Regioni, fino all'approvazione in forma autonoma degli Statuti delle Regioni, ma non un carattere precettivo per le successive fasi della vita delle Regioni.
Per attuare la Costituzione, pertanto, nella visione di insieme, direi approfondita, delle proprie competenze, in una volontà di espansione che dimostra consapevolezza, le forze politiche hanno trovato il modo di superare la Legge 1953 senza ricorrere alle pastoie dei ricorsi giurisdizionali. Attuare la Costituzione per la Regione non vuol dire soltanto, secondo me, attenersi pedissequamente al testo costituzionale, ma interpretarlo, valersi della propria autonomia per introdurre strumenti nuovi, quali la partecipazione e la programmazione. Su questo punto non mi attardo, perché sulla partecipazione il collega Garabello è stato largo di indicazioni e sulla programmazione si è già soffermato, parlandone con ampiezza, il Consigliere Simonelli.
Certo è che con compiti di questo genere dovrà porsi una particolare attenzione non solo all'ordinamento delle funzioni, come taluno ritiene sia sufficiente fare, ma anche alla strutturazione degli uffici, alla scelta del personale della Regione. E qui mi pare veramente giusto che si debba superare la Legge del 1953, che chiude con indicazioni che ricalcano l'ordinamento delle Province e dei Comuni: dopo aver proclamato la nostra concezione della Regione come nuovo strumento di coordinamento degli Enti locali, di propulsione di tutte le attività, di tutte le energie comprese nel territorio che essa abbraccia, se si pensasse di ricalcare gli schemi della legge comunale e provinciale e delle leggi susseguenti in questa materia si darebbe proprio l'impressione di utilizzare uno strumento vecchio per realizzare una volontà nuova, diversa e nuova, il che, secondo me, è inammissibile. Dobbiamo pertanto avere coscienza delle cose nuove che sono maturate e dimostrare la volontà di adeguarci per essere capaci di affrontare, con ordinamenti nuovi, le preoccupanti prospettive che incombono sul nostro Paese.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Furia. E' l'ultimo iscritto per questo pomeriggio, poiché, avendo annotati i nomi di altri cinque oratori ritengo impossibile esaurire la discussione questa sera e penso di rinviarla a domattina, con la previsione di concludere in mattinata il dibattito di carattere generale.
Ha, dunque, facoltà di parlare il Consigliere Furia.



FURIA Giovanni

A questo punto del dibattito generale credo, signor Presidente ed egregi Colleghi, che non resti molto da aggiungere, in particolare a me dopo gli interventi ampi già svolti dai miei colleghi di gruppo Sanlorenzo e Berti.
Noi abbiamo espresso, è già stato detto, un giudizio complessivamente positivo sia sui primi mesi di dibattito e di lavoro della Regione Piemonte, sia sul progetto di Statuto sottoposto al nostro esame.
Si è parlato, a proposito dello Statuto, di approssimazione giuridica di genericità, di carattere eccessivamente programmatico. Rispetto tutte le opinioni, ma non mi sento di condividere fino in fondo queste valutazioni e ne vorrei capire meglio il significato. Sono anch'io dell'avviso che si può far meglio, rendere giuridicamente più corrette talune formulazioni e meno generiche talune altre. Però, essenziale è che lo Statuto esprima fino in fondo la realtà nella quale nasce. Anche sotto questo punto di vista credo che alla bozza si possano apportare ulteriori, modifiche migliorative.
Abbiamo già detto, ed io ribadisco, che noi annettiamo grande importanza al fatto che lo Statuto sia tale da poter raccogliere il pieno consenso di tutte le forze-regionaliste del nostro Consiglio. A questo fine abbiamo lavorato, per questo siamo intenzionati a lavorare ancora, convinti che potremo raggiungere questo obiettivo se daremo tutti il nostro contributo quando affronteremo i singoli articoli, nello spirito che auspicava il Consigliere Bianchi allorché diceva che questa ultima fase non deve rappresentare la semplice celebrazione di un rito ma deve vedere ciascuno di noi impegnato all'approfondimento dei contenuti dello Statuto.
Voglio ancora aggiungere che una approvazione unanime dello Statuto da parte delle forze regionaliste servirà anche a qualificare positivamente la Regione piemontese; ed anche sotto questo aspetto noi dovremo adoperarci per non deludere le aspettative delle popolazioni della nostra Regione.
Nello sforzo per migliorare ulteriormente il progetto di Statuto che ci è stato presentato dalla Commissione io penso che ci possa essere di grande aiuto l'esperienza che abbiamo già compiuto in questi primi mesi esperienza che io ritengo dobbiamo recepire fino in fondo.
Quali sono gli elementi di maggior rilievo di questa esperienza? A mio avviso soprattutto tre sono da sottolineare.
In primo luogo, essa ci ha dimostrato, e ci dimostra, che noi abbiamo già avviato un processo nuovo nel rapporto fra assemblee elettive e masse popolari, ottenendo qualche risultato per favorire la partecipazione popolare.
In secondo luogo, attraverso la nostra attività, abbiamo avviato un processo - consentitemi la espressione - di rifondazione degli Enti locali, ridando vigore alla battaglia per una effettiva autonomia dei Comuni e delle Province, sollecitando nei Comuni, nelle Province, negli Enti locali la ricerca di un nuovo modo di far politica. Così, in realtà noi abbiamo accompagnato, e stiamo accompagnando, alla fase costituente della Regione una fase che si potrebbe dire "ricostituente" dei Comuni e delle Province.
Il terzo elemento caratterizzante la nostra attività è dato dal fatto che nel corso di questi mesi abbiamo già avviato un processo nuovo anche tra le forze politiche. L'essersi formata nel nostro Consiglio Regionale una maggioranza di centro-sinistra, che noi comunisti abbiamo decisamente osteggiato, non ha impedito il sorgere di una dialettica nuova anche tra le forze politiche, nel rifiuto - mi pare di poter fare questa affermazione del concetto antidemocratico di delimitazione della maggioranza e nella ricerca di apporti positivi da parte di tutte le componenti democratiche nel Consiglio. Come diceva Garabello, non la ricerca di compromessi deteriori, non sulla base di un compromesso strisciante, ma di un rapporto franco, chiaro, che ha visto ciascuno sostenere, difendere le proprie posizioni, pur tuttavia consentendo di realizzare utili, interessanti importanti convergenze.
Ci si potrebbe anche qui rifare a ciò che diceva il collega Bianchi riferendosi al modo in cui si è lavorato intorno allo Statuto. Rare altre occasioni abbiamo avuto, dopo la fase costituente, di verificare nei fatti come sia possibile ritrovare una comunanza di intenti allorché si affrontano problemi concreti di indirizzo. Io credo che questo sia un fatto di notevole rilievo politico, che deve indurci a riflettere, nel corso di questo dibattito e oltre questo dibattito, proprio per le implicazioni più generali che questo fatto può avere nella vita della nostra Regione e nella vita dell'intero Paese, per l'oggi e anche per il futuro. Come le lotte dei lavoratori hanno dato uno scossone alla vita politica, al modo stesso di far politica, così la nascita delle Regioni ha determinato in realtà una condizione nuova più favorevole ad un processo nuovo anche nel rapporto tra le forze politiche.
Questi tre sono, almeno a nostra opinione, gli elementi caratteristici positivi più significativi emersi in questi primi mesi della nostra esperienza nella Regione Piemonte. Che cosa, se non questo, volevamo dire noi comunisti quando abbiamo impostato il discorso della Regione aperta? E tutti oggi possono verificare che l'impostazione data dai comunisti non portava affatto a quel salto nel buio che alcuni avevano voluto preconizzare, ma, al contrario, ad una Regione aperta alla partecipazione delle masse, aperta ai contenuti delle lotte dei lavoratori, aperta a nuove esperienze tra le forze politiche.
Di tutto ciò noi comunisti ci siamo dichiarati complessivamente soddisfatti, e ci ha fatto piacere constatare come altrettanto soddisfatte si siano dichiarate, con espressioni che abbiamo ragione di ritenere sincere, altre forze. Ciò impegna tutti a dare alla esperienza che abbiamo compiuto un seguito duraturo, una prospettiva sicura.
Naturalmente, nel dichiarare il nostro giudizio complessivamente positivo, non dimentichiamo affatto le carenze, anche gravi, che abbiamo constatato insieme. Una prima carenza è costituita dal ritardo con il quale ci si avvia a togliere al nostro Stato il carattere di Stato burocratico ed accentratore. Ma su questo aspetto non mi voglio soffermare, perché mi pare che stamattina il collega Berti abbia dimostrato in modo esauriente come questo sia un dato di fatto della nostra realtà.
Ma c'è un altro limite che dobbiamo lamentare: il ritardo della Regione Piemonte a compiere interventi concreti che sarebbero stati possibili già durante questi mesi. Noi avevamo detto che non dovevamo e non potevamo considerare la fase costituente della Regione come una fase semplicemente statutaria; ritenevamo che anche durante tale periodo la Regione potesse esser messa in grado di intervenire in alcuni settori importanti della vita politica, economica e sociale del nostro Paese. Qualcosa abbiamo fatto, non lo neghiamo, e non ignoriamo affatto che la Regione si è ritrovata e si ritrova tuttora con mezzi e poteri alquanto limitati; ma siamo anche dell'avviso che forse qualcosa di più si poteva fare, e dobbiamo qui denunciare una certa timidezza - voglio usare questo termine e non altri soprattutto da parte delle forze che compongono la maggioranza nell'affrontare questa tematica di intervento della Regione, timidezza che noi riteniamo debba essere superata al più presto, sia per ciò che concerne gli interventi che possiamo attuare nella nostra Regione piemontese, sia per quel che riguarda i rapporti che dobbiamo stabilire con lo Stato centrale.
Dette queste cose, credo possiamo chiederci ora se nel progetto di Statuto che stiamo esaminando sia interamente recepita l'esperienza positiva che abbiamo compiuto. Noi riteniamo che questa esperienza sia stata recepita solo in parte. Certo, per parti molto importanti; ad esempio, per ciò che riguarda la partecipazione io riconosco che si sono fatti sforzi notevoli per cogliere la spinta che viene dalle masse lavoratrici e dal Paese. E mi dichiaro ancora una volta d'accordo con il collega Bianchi quando egli sostiene che commetteremmo un errore gravissimo se ci attardassimo in vecchi schemi o in vecchie strutture, così come condivido l'opinione del collega Garabello, che il tema della partecipazione è un tema tutto da scoprire. Meno d'accordo sono invece sul concetto - sostenuto dal collega Bianchi - che la via della partecipazione è un po' la via della salvezza. Forse si tratta solo d'intendersi. In ogni caso, a mio parere, deve essere chiaro che non si tratta di salvare il Consiglio Regionale da una marea montante che rischia di sommergerlo e alla quale è estraneo, ma di affermare che noi stessi siamo parte di questa marea e vogliamo essere sempre più protagonisti del processo di partecipazione.
Anche per ciò che riguarda le questioni della programmazione, anche, a me sembra che abbiamo recepito gran parte delle esperienze che abbiamo vissuto in questi mesi. Qualcuno ha detto che tutta la parte riguardante la programmazione è molto generica, forse insufficiente. Può darsi. Vedremo affrontando gli articoli quel che potremo fare per migliorare anche questa parte. A noi sembra comunque importante che a proposito dei temi della programmazione si affermi, intanto, che la Regione deve essere soggetto di programmazione, si affermi il ruolo che deve avere la Regione nella politica di piano per uno sviluppo armonico del Piemonte, si affermi il ruolo che deve avere la Regione per uno sviluppo armonico nazionale, che dia quindi un contributo al superamento della permanente crisi del Mezzogiorno.
Fino a qualche tempo fa, del problema del Mezzogiorno d'Italia, in realtà, erano i comunisti e pochi altri ad interessarsi, mentre la maggior parte delle forze politiche faceva discorsi in cui si parlava più delle aree forti dell'Europa che non del problema dello sviluppo omogeneo del nostro Paese. Sono maturate condizioni tali per cui anche altri hanno dovuto convenire sulla esigenza assoluta, per uno sviluppo equilibrato del nostro Paese, di risolvere fino in fondo il problema del Mezzogiorno. Con piacere, quindi, noi sottolineiamo oggi il fatto che nel nostro progetto di Statuto si affermi con forza questa esigenza. Ed è giusto che sia così nello Statuto della Regione piemontese, perché, se non facessimo tale affermazione, verremmo meno al ruolo che deve assumere la classe operaia dei centri industriali, del Nord, e quindi di Torino e del Piemonte; nonch al ruolo che può esercitare la Regione Piemonte nella soluzione di questo problema nazionale.
A proposito delle questioni della programmazione, mi sia consentito però, in riferimento a ciò che ha sostenuto il collega Garabello, fare alcune altre considerazioni. In merito all'art. 4 - definito articolo programmatico - il collega Garabello diceva di avere l'impressione che da una serie di formulazioni venisse, in sostanza, un qualcosa che vuole andare al di là della Costituzione; l'impressione che la Regione risolva tutto; ed infine l'impressione di una pura volontà di contestazione nei confronti dello Stato. Ebbene, io non condivido alcuna di queste affermazioni. Al di là della Costituzione? Ma cosa significa? Vi sono forse norme, passi, contenuti del progetto di Statuto che contrastino con quelle della Costituzione? Se così fosse, credo che l'osservazione di Garabello potrebbe essere pertinente; ma questo a me non pare che sia. Andiamo al di là delle competenze specifiche che la Costituzione attribuisce alla Regione? Questo non lo nego, ma credo che ciò sia giusto, legittimo, e dobbiamo farlo se non vogliamo venir meno ai nostri doveri.
Noi dobbiamo rispettare in tutto e per tutto la Costituzione; ma non possiamo dimenticare che essa è nata venticinque anni or sono, quando taluni concetti, per esempio quello dell'urbanistica, non erano certo paragonabili alla valutazione attuale. Quel che importa è che tutto ciò che affermiamo nel progetto del nostro Statuto muova nella direzione voluta dalla Costituzione. E se questo sarà, io non credo che, come diceva il collega Garabello, anziché avere per interlocutore il Parlamento, dovremo costantemente avere per interlocutrice la Corte costituzionale. Questo lo dovremmo evitare, a meno che nei confronti della Regione Piemonte, nei confronti dello Statuto che andiamo democraticamente elaborando, non si vogliano compiere dei soprusi. Ma questa è altra questione.
Non credo neanche che possiamo accreditare l'ipotesi che la Regione risolva tutto: ci rendiamo benissimo conto che la Regione non può trovare la soluzione per tutti i problemi. Ma penso che oggi, nel momento in cui ci apprestiamo attraverso questo Statuto a delineare finalità, obiettivi propositi, non sarebbe giusto che ci preoccupassimo prioritariamente di evitare di creare troppe aspettative. La nostra massima attenzione dev'essere diretta in altro senso: ad evitare, ad impedire, che una preoccupazione di tal genere ci porti a costruire uno Statuto che addirittura stia al di sotto delle reali possibilità che la Regione potrà avere nella realtà del nostro Piemonte.
Sono tornate qui alla ribalta le valutazioni sulla Regione come organo unicamente in funzione contestativa nei confronti dello Stato. Sono valutazioni che noi respingiamo. In senso generale la questione è già stata risolta. Per quel che ci compete, noi non abbiamo mai sostenuto che la Regione dovesse nascere come organo contestativo nei confronti dello Stato ma abbiamo sempre sostenuto anche che non potesse nascere come organo subordinato allo Stato. Credo che pertanto ci possiamo perfettamente intendere in questo senso: in linea generale si deve stabilire, tra Regione e Stato, un rapporto dialettico di dare ed avere; in particolare, nei confronti di questo Stato, che tarda - come ho denunciato prima, e come ha denunciato ancor meglio nel suo intervento di questa mattina il collega Berti - a riconoscere alle Regioni poteri e mezzi perché esse possano funzionare, non possiamo non assumere anche un atteggiamento contestativo credo anzi che questo rientri nei nostri compiti, sia un nostro dovere.
Per fortuna, il collega Garabello ha concluso il suo intervento dicendo che dalla sua argomentazione non intendeva far discendere la proposta di un emendamento soppressivo di questo art. 4. Ne prendiamo atto. Ci sia consentito tuttavia di dire che è grande il nostro stupore per essere venute proprio da rappresentanti della sinistra della Democrazia Cristiana proposizioni di questo genere, che qualora venissero accolte in sede di Statuto porterebbero decisamente ad un peggioramento del nostro progetto.
Dove lo Statuto non recepisce affatto l'esperienza che abbiamo compiuto è nella parte riguardante la composizione, la elezione, la funzionalità della Giunta, e quindi il problema dei rapporti fra Consiglio e Giunta.
Ritorneremo certamente su questi argomenti nel corso del dibattito sugli articoli, ma fin da ora affermo che gli articoli a tale proposito inseriti nella bozza contrastano con tutta l'ispirazione democratica dello Statuto.
E non ci si venga a dire che si tratta di questione di importanza secondaria: anche questa è una questione che noi riteniamo qualificante perché, tra l'altro, da una soluzione negativa può davvero venire un colpo a quella esperienza positiva, che noi tutti abbiamo sottolineato in modo favorevole, della dialettica reale che si è stabilita nel Consiglio e nella Commissione Statuto.
Ho notato che, a proposito delle questioni della Giunta composizione, elezione ecc. - si continua a far leva sul concetto di moralizzazione del voto (il collega Gandolfi ha detto addirittura "deterrente ai giochi di potere tipo quelli che si sono verificati nelle Regioni a statuto speciale"): ebbene, questo è un argomento assolutamente non convincente, se riferito alla realtà nostra, piemontese, che - ripeto quanto avevo già sostenuto nel corso del dibattito generale, al momento della costituzione della Giunta - suona offesa ai Consiglieri regionali.
Ma se vogliamo andare al di là delle nostre esperienze, e guardare, come suggeriva il collega Gandolfi, alle Regioni a statuto speciale, ebbene dico che mi sembra piuttosto semplicistico ritenere che i giochi di potere o quanto avvenuto in queste Regioni - fenomeno dei franchi tiratori e via dicendo - siano originati soltanto dal fatto che in quelle Regioni si era adottato il voto segreto anziché quello palese.
Così, anche gli argomenti della stabilità e della responsabilità sono a mio avviso argomenti abbastanza poveri, e insufficienti, in ogni caso, a convincerci della bontà delle soluzioni che ci vengono proposte.
L'esperienza di questi mesi ha fatto giustizia, a mio parere, di una polemica artificiosa che si è accesa fra noi nelle prime settimane di vita della nostra Regione, allorché a vicenda ci accusavamo di volere da un lato una gestione assembleare, dall'altro una gestione presidenziale; ci ha dimostrato che è possibile lavorare bene stabilendo un corretto rapporto tra assemblea ed esecutivo. Ora, noi vorremmo che si approfondissero con molta attenzione le proposte sostitutive che abbiamo, e sulle quali insisteremo: in particolare gli articoli 30, 31 e 32. Se questo si farà, ci si potrà rendere conto che in esse sono copiosamente espresse, seppure con una ispirazione diversa, certo, sia le questioni riguardanti la chiarezza politica - difatti noi prevediamo in modo esplicito il dibattito, il programma, il voto palese sul programma, eccetera -, sia le questioni concernenti le responsabilità ed anche la stabilità della Giunta.
Maggioranze chiare? Certo. Nessun compromesso strisciante? Giustissimo.
Ma proprio voi venite a dircelo? Non credo davvero che possiate portarci ad esempio di una maggioranza chiara, o di un qualcosa che non ha niente a che vedere con i compromessi striscianti, la maggioranza di centro-sinistra che si è determinata in questa Regione. Noi abbiamo denunciato allora il modo in cui nasceva questa maggioranza di centro-sinistra, abbiamo rilevato le profonde contraddizioni, i profondi contrasti che la incrinano. E mi pare che anche questo dibattito sullo Statuto stia a comprovare le discrepanze che esistono all'interno di questa maggioranza. Io mi chiedo se è di questa maggioranza che noi vogliamo parlare, se è di questi compromessi striscianti che vogliamo fare a meno.
Il collega Cardinali già l'altra volta, e anche ora, ha indicato una facile soluzione del rapporto fra maggioranza e minoranza: per lui, la maggioranza si deve dare un programma, e su questo programma deve convergere l'attenzione delle minoranze, delle opposizioni. Nossignori, noi un rapporto di questo tipo non l'accettiamo: il problema è quello di un giusto rapporto fra maggioranza e opposizione. Perché se è vero che la maggioranza nasce attorno ad un programma, ha un suo programma, è altrettanto vero che anche l'opposizione ha un suo programma, ed è tra diversi programmi che bisogna fare i conti, se davvero si vuole instaurare nel Consiglio Regionale una dialettica vera, non fittizia.
Cosa c'entra tutto questo con l'adozione della formula 8-14 Assessori o, peggio ancora, con l'adozione del voto palese, quando da votare non sono i programmi ma sono gli uomini? Come sottrarsi all'impressione che questa scelta voglia a tutti i costi irreggimentare maggioranze che sono, proprio sui programmi, tutt'altro che omogenee e solide? E poi, perché, ammesso che si realizzi una effettiva convergenza su un dato programma, si deve prevedere che obbligatoriamente questa convergenza ci sia anche sugli uomini? Può benissimo esserci convergenza di un certo tipo, solida, per quel che riguarda il programma, ed invece differenza di opinione, di valutazione, per quel che riguarda gli uomini. Ed allora perché lo dobbiamo escludere, adottando formule che liquidino in modo assolutamente sbagliato questa problematica? Ecco le ragioni per le quali abbiamo insistito, insistiamo ed insisteremo ancora perché vi sia, a proposito di questi aspetti, una radicale correzione in senso migliorativo dello Statuto, che ci porti ad esprimere su di esso un giudizio non solo complessivamente ma totalmente positivo. Questo può essere un obiettivo raggiungibile solo se noi sapremo superare queste divergenze. E quando noi sosteniamo l'esigenza di modificare queste norme, di ridurre il numero degli Assessori, di eleggere in modo diverso la Giunta, non lo facciamo, sia ben chiaro, in omaggio alla Legge 1953: lo facciamo perché di questo siamo profondamente convinti perché ci rendiamo conto, cioè, che come sono essenziali per la vita della Regione Piemonte tutto il capitolo della partecipazione, quello della programmazione, ed altre parti importanti dello Statuto, riteniamo che dalla soluzione positiva anche delle parti che critichiamo possano derivare per la nostra Regione capacità maggiori di affrontare con successo i suoi compiti. Se ciò faremo tutti insieme credo che il nostro Statuto supererà una contraddizione che ancora in esso vi è: sarà più coerente in tutto e per tutto, al suo interno e in rapporto alla spinta democratica che esiste nel Paese, e in questo caso davvero io credo che arriveremo alla elaborazione di una Carta regionale di cui potremo tutti essere interamente orgogliosi, senza riserve.



PRESIDENTE

Vi sono altri sei iscritti a parlare nella discussione generale.
D'altra parte, sono stati presentati fin qui, o stanno per essere presentati, circa 300 emendamenti al progetto di Statuto. Dovremo, quindi preventivare un lavoro abbastanza intenso nel corso dei prossimi giorni.
Ritenendo che non intendano iscriversi a parlare altri Consiglieri (quando avranno svolto i loro interventi i sei iscritti, avranno preso la parola, nella discussione generale, 23 Consiglieri su 50, cioè circa la metà: se, alla Camera, in una discussione generale, parlassero metà dei deputati si avrebbero trecento discorsi), penso che, al termine delle esposizioni di questi sei Consiglieri, si possa chiudere la discussione generale, e quindi la conclusione dovrebbe aversi al termine della seduta mattutina di domani, e che domani pomeriggio si possa iniziare l'esame degli articoli.


Argomento:

O.d.g. della seduta di domani


PRESIDENTE

Il Consiglio è quindi convocato per domattina in questa aula, alle ore 10, con l'ordine del giorno delle due sedute di oggi, ossia: 1) approvazione verbale precedenti sedute 2) esame del progetto di Statuto della Regione (seguito della discussione) 3) formazione delle Commissioni perma nenti 4) esame della mozione sui problemi dell'agricoltura.
Qualcuno ha obiezioni? Ha facoltà di parlare il Consigliere Calleri.



CALLERI Edoardo

Non ho capito bene se le iscrizioni si considerano chiuse o restano aperte, nel qual caso l'indicazione della chiusura della discussione per domani a mezzogiorno sarebbe solo sul piano previsionale.



PRESIDENTE

Le iscrizioni restano aperte. Il suo nome è comunque compreso fra i sei iscritti. Se altri Consiglieri desiderassero ancora iscriversi avranno sempre facoltà di farlo.
Se non vi sono ulteriori obiezioni, l'o.d.g. s' intende approvato.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 19)



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