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Dettaglio seduta n.93 del 27/01/77 - Legislatura n. II - Sedute dal 16 giugno 1975 al 8 giugno 1980

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SANLORENZO


Argomento:

Approvazione verbali precedenti sedute


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
I Consiglieri hanno ricevuto il processo verbale dell'adunanza consiliare del 18 gennaio scorso; se non vi sono osservazioni possiamo considerarlo approvato.


Argomento:

Comunicazioni del Presidente


PRESIDENTE

Poiché non vedo l'Assessore Simonelli che dovrebbe rispondere all'interrogazione e all'interpellanza sull'IRES, passo al punto terzo cioè alle comunicazioni del Presidente.


Argomento:

a) Congedi


PRESIDENTE

Comunico intanto che i Consiglieri Bertorello, Fonio, Paganelli Enrietti, Soldano e Debenedetti hanno chiesto congedo.


Argomento:

b) Apposizione visto Commissario del Governo


PRESIDENTE

Comunico che il Commissario del Governo ha apposto il visto alle seguenti leggi regionali: alla legge regionale 9/12/76 "Norme per l'organizzazione a convegni congressi ed altre manifestazioni, per l'adesione ad Enti ed associazioni e per l' acquisto di documentazione di interesse storico" alla legge regionale 16/12/76 "II variazione al bilancio per l'anno finanziario 1976" alla legge regionale 16/12/76 "Modifiche alla legge regionale 4/6/75 n. 43 - 'Norme per l'istituzione dei parchi e delle riserve naturali' " alla legge regionale 16/12/76 "Proroga e modifiche delle disposizioni della legge regionale 12/8/74, n. 23, concernente l'incentivazione turistico-ricettiva" alla legge regionale 23/12/76 "Integrazione straordinaria per il piano regionale di risanamento delle acque approvato dalla legge regionale 29/4/75 n. 23" alla legge regionale "Modificazione della legge regionale 4/5/76, n.
19 ed integrazione di spesa per la formazione professionale".


Argomento:

c) Mancata apposizione visto Commissario del Governo


PRESIDENTE

E' stata invece rinviata a nuovo esame da parte del Commissario del Governo la legge regionale "Modificazioni agli stanziamenti del bilancio di previsione per l'anno 1976 per l'assistenza ospedaliera".


Argomento:

d) Presentazione ed assegnazione disegni di legge


PRESIDENTE

Sono stati presentati numerosi disegni di legge: n. 169 "Contributo regionale per l'assistenza farmaceutica ed integrativa agli esercenti attività commerciali per il primo semestre dell'anno 1977" presentato dalla Giunta regionale in data 12/1/77 ed assegnato alla V Commissione in data 18/1/77 n. 170 "Contributo regionale per l'assistenza farmaceutica ed integrativa agli artigiani per il primo semestre dell'anno '77" presentato dalla Giunta regionale in data 12/1/77 ed assegnato alla V Commissione in data 18/1/77 n. 171 "Contributo regionale per l'assistenza farmaceutica ed integrativa ai coltivatori diretti per il primo semestre dell'anno '77" presentato dalla Giunta regionale in data 12/1/77 ed assegnato alla V Commissione in data 18/1/77 n . 172 "Interventi per iniziative e manifestazioni di promozione del turismo regionale", presentato dalla Giunta regionale in data 12/1/77 ed assegnato alla V Commissione in data 18/1/77 n. 173 "Modifiche ed integrazioni alle leggi regionali n. 1 del 14/1/74 e n. 24 del 31/10/73 - Istituzione del fondo regionale per le calamità naturali in agricoltura" presentato dalla Giunta regionale in data 18/1/77 ed assegnato alla III Commissione in data 20/1/77 n. 174 "Normative sulle aree zoo-safari", presentato dalla Giunta regionale in data 20/1/77 ed assegnato alla II Commissione in data 21/1/77 n. 175 "Rendiconto generale per l'esercizio finanziario 1975" presentato dalla Giunta regionale in data 26/1/77 ed assegnato nella stessa data alla I Commissione n. 176 "Integrazione della legge regionale 25/6/76 n. 32 Istituzione dell'Azienda regionale per la gestione della tenuta 'La Mandria' ", presentato dalla Giunta regionale in data 26/1/77.
Ho esaurito le mie comunicazioni.


Argomento: Varie

Comunicazioni del Presidente della Giunta regionale


PRESIDENTE

La parola al Presidente della Giunta per alcune comunicazioni.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Signori Consiglieri, la "Stampa Sera" di ieri ha pubblicato un articolo che direttamente mi riguarda, ed in parte riguarda anche la Regione, e che certamente non vi sarà sfuggito. Per quanto riguarda l'attività dell'Università, non voglio entrare nel merito: entro esclusivamente nel merito delle argomentazioni che sono state svolte nell'articolo e che riguardano un preteso intervento del Presidente, o comunque della Regione nei confronti dell'Università facendo pressioni per ottenere posti.
Ho inviato ieri al Direttore di "Stampa Sera", e ne ho dato comunicazione a tutte le forze politiche e a tutti i giornali, una lettera che vi leggo: "Leggo su 'Stampa Sera' l'articolo di Cosimo Mancini riguardante mio figlio 'Insegna chirurgia, ma non potrebbe nemmeno assistere'. Non entro nel merito delle questioni trattate, poiché è di competenza della Facoltà universitaria. L'Università ieri sera, da quanto ho letto questa mattina, ha diffuso un suo comunicato. Desidero invece smentire, categoricamente, le illazioni che sono gravemente lesive della mia onorabilità e che mettono in causa la stessa Regione. Non sono mai intervenuto sulle questioni riguardanti mio figlio e i suoi rapporti con l'Università; non sono al corrente di particolari situazioni inerenti all'insegnamento né tanto meno la Regione ha in corso grossi contributi a favore dell'Università di Torino (anche un bambino capirebbe che la Regione non può certo finanziare un Ente statale).
Considero pertanto questo uno degli episodi di grave provocazione nei confronti della mia persona e dell'Amministrazione regionale".
Ho chiesto al Direttore di "Stampa Sera" che fosse pubblicata questa lettera e che vi fosse naturalmente una corrispondente smentita alle illazioni che riguardano specificamente la mia persona e l'attività regionale.



PRESIDENTE

Vi sono richieste di parola sulla comunicazione del Presidente? Non ve ne sono. Il Consiglio prende atto.


Argomento: Esercizio delle funzioni amministrative trasferite o delegate dallo Stato alle Regioni

Informazione della Giunta sul Convegno di Milano relativo alla legge 22/7/1975, n. 382


PRESIDENTE

Passiamo al punto quarto dell'o.d.g.: "Informazione della Giunta sul Convegno di Milano relativo alla legge 22/7/1975 n. 382".
La parola al Presidente della Giunta, Viglione.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Signori Consiglieri, sin dall'avvio dell'attività delle Regioni, nel corso della prima legislatura concordemente abbiamo sottolineato in tutte le sedi, locali e nazionali, l'importanza e l'urgenza di un completamento della riforma regionale. Infatti, le materie che la Costituzione, secondo l'art. 117, attribuisce alle Regioni sono state trasferite in maniera disorganica ed incompleta, generando una sovrapposizione di compiti e di interventi da parte di Comuni, Province, Enti locali , oltre che da parte dello Stato.
Tutto ciò certamente non si è determinato per un fatto casuale, ma risponde ad una carenza di volontà politica nell'attuazione della completa riforma regionale. Sono infatti esistite, ed esistono, forti pressioni centraliste, che tendono a bloccare il ruolo che le autonomie possono svolgere in un processo democratico di decentramento di funzioni. Abbiamo richiamato in numerose circostanze l'importanza di un corretto sistema autonomistico profondamente legato ai problemi sociali esistenti a livello periferico e caratterizzato da una sempre più vasta partecipazione dei cittadini.
Nell'attuale situazione di crisi politico-economica che il Paese attraversa abbiamo sottolineato l'importanza di una profonda riforma dell'amministrazione a livello centrale e l'esigenza di una riorganizzazione dei livelli amministrativi periferici. Un radicale riordinamento della pubblica amministrazione costituisce, infatti, uno degli elementi portanti e forse determinanti anche per il superamento dell'attuale crisi economica.
Uno dei punti cardinali sovente rivendicati unitariamente dalle Regioni riguarda il rapporto politico tra Governo e Regioni. Le Regioni, infatti non possono accettare di avere un ruolo passivo accettando scelte già decise. Esse vogliono porsi, per l'importanza istituzionale e politica che rivestono, quali interlocutori attivi nei confronti del Governo.
Richiedono che venga loro riconosciuto un ruolo positivo, una reale partecipazione nella fase di elaborazione e di studio delle scelte non soltanto inerenti alla specifica materia di loro competenza, ma in tutti i momenti determinanti e, in particolare, nelle scelte politiche, economiche programmatiche e produttive. E' questa una premessa indispensabile che, se realizzata, produrrà effetti positivi per tutto il sistema delle autonomie.
Non è poi realistico pensare ad un decentramento di funzioni da parte della Regione ai Comuni e agli Enti locali permanendo l'attuale stato di paralisi e di crisi finanziaria. Anche nei confronti dei Comuni e delle Province, le Regioni sostengono l'esigenza di un radicale rinnovamento e la riforma ormai improcrastinabile della finanza locale. Riteniamo che i problemi riguardanti Comuni e Province gravino anche sulle Regioni e viceversa, e che essi, nei confronti del Governo nazionale, non debbano presentarsi come interlocutori separati.
Come abbiamo discusso con chiarezza di alcuni problemi certamente esistenti per quanto attiene la Provincia e la crisi istituzionale che su di essa grava, così discuteremo domenica prossima dei problemi finanziari dei Comuni italiani in una riunione che si svolgerà a Torino, richiedendo al Governo interventi realmente capaci di risolvere, attraverso un processo definitivo, la crisi dei Comuni, superando la politica dei provvedimenti "tampone".
Ho ritenuto di fare le precedenti considerazioni prima di affrontare più direttamente il tema della legge 382, inerente alle norme sull'ordinamento regionale e sull'organizzazione della pubblica amministrazione, perché ritengo che questo argomento vada trattato in un contesto più globale e politico, non essendo soltanto di interesse specifico delle Regioni, ma rientrandovi una fase di quel processo di riorganizzazione della pubblica amministrazione, che vede, nel completamento della riforma regionale, un'esigenza prioritaria.
Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 20/8/75 la legge 382 è entrata in vigore il 5 settembre successivo. Tale legge delegava, come è noto, il Governo a completare il trasferimento, alle Regioni delle funzioni, degli uffici, dei beni e dei mezzi finanziari ancora appartenenti allo Stato o ad Enti pubblici nazionali o interregionali nelle materie che la Costituzione attribuisce alla competenza regionale.
Caratteristiche salienti della legge sono: a) - l'esplicita ammissione che il trasferimento delle funzioni operato nel 1972 è risultato parziale ed incompleto b) - l'estensione dei trasferimenti anche alle funzioni, uffici e beni degli Enti pubblici nazionali o interregionali, rimasti indenni dai trasferimenti del 1972 c) - la delega al Governo ad attribuire direttamente a Comuni e Province nuove funzioni di interesse locale, tanto nelle materie di competenza regionale, quanto in altre materie d) - la previsione di ampie possibilità di ulteriori deleghe di funzioni alle Regioni in materie diverse da quelle previste nell'art. 117 della Costituzione.
I decreti delegati previsti all'art. 1 della legge dovevano essere emanati entro il 4 settembre '76.
Per rispettare tale termine le Regioni avrebbero dovuto ricevere gli schemi dei decreti delegati nell'aprile del 1976, al fine di esprimere il parere richiesto dalla legge. Per avviare la predisposizione dei decreti venne costituita una Commissione di studio formata da magistrati del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, da funzionari parlamentari, da studiosi, presieduta dal prof. Massimo Severo Giannini. Il Ministro Morlino allargò successivamente tale composizione, confermando sostanzialmente il ruolo della Commissione.
La Commissione Giannini in questo periodo ha prodotto un notevole studio, articolato in sei sottocommissioni: 1) - Assetto del territorio, lavori pubblici, ambiente, acque edilizia, trasporti 2) - Servizi sanitari e sociali 3) - Agricoltura e foreste, caccia e pesca, parchi e riserve naturali 4) - Turismo, artigianato, industria, credito, cave e torbiere commercio 5) - Attività culturali, beni culturali, istruzione professionale assistenza scolastica 6) - Enti locali e problemi finanziari.
Possiamo ritenere che la Commissione abbia sostanziato di un contenuto regionalista la legge di delega; la prima fase di studio della Commissione si è chiusa nel marzo scorso con un documento provvisorio che è a conoscenza di tutti noi.
Il testo dello studio è stato sottoposto ad un primo dibattito nel convegno svoltosi a Bologna il 3/4 maggio 1976. Fu quella un'occasione nella quale le forze regionaliste ritennero di poter dare un giudizio globalmente positivo sui risultati conseguiti dalla Commissione.
In quella sede si evidenziò, da parte delle Regioni, l'esigenza di un ulteriore approfondimento dei compiti e degli interventi regionali, in particolare nella materia dell'attività produttiva e dello sviluppo economico, soprattutto in riferimento alla riconversione e all'incentivazione delle piccole e medie industrie, ai problemi dell'occupazione e del lavoro. Il testo Giannini lasciò poi irrisolti altri punti: gli interventi sui mercati agricoli, l'alimentazione, i trasporti locali, la polizia amministrativa, i beni culturali, tutti settori nei quali la Commissione non ha accolto richieste ed esigenze da tempo prospettate, non senza valide ragioni, dalle Regioni. Vediamo come i beni monumentali stanno cadendo a pezzi, Palazzo Reale ne è un esempio: le Regioni non hanno alcuna competenza e lo Stato non interviene. Inoltre, il caso dell'utilizzazione, tutela e regimazione delle acque pubbliche, della gestione del patrimonio edilizio pubblico, degli istituti di ricovero e cura riconosciuti a carattere scientifico, dell'Egat, delle Camere di Commercio, dell'Enit, dove le soluzioni accolte appaiono più arretrate di quelle da tempo indicate dalle Regioni. Vi è stato tuttavia un primo giudizio positivo di massima da parte delle Regioni sulla relazione Giannini.
A quest'iniziativa di studio non ha tuttavia fatto seguito l'adempimento dovuto da parte del Governo. Il non aver rispettato le scadenze costituisce un fatto politico la cui gravità dobbiamo sottolineare. Né richiedere la piena attuazione della 382 costituisce una difesa di parte per le Regioni, che vogliono venga rispettata la volontà del Parlamento che nella 382 ha inteso conferire alle Regioni una pienezza di funzioni rispondente a quanto sancito nella Costituzione.
Tale richiesta e tanto più importante oggi di fronte al rafforzarsi delle spinte centralistiche e di un rapporto fra lo Stato e le Regioni non rispondente allo spirito prima ricordato.
Ne sono esempio due recenti provvedimenti, quello per la riconversione industriale e quello per l'occupazione giovanile che conferiscono alle Regioni un ruolo marginale, o i recenti pronunciamenti negativi e perentori del Governo in ordine a prese di contatti o proposte di iniziative delle Regioni nell'ambito della Comunità Europea.
Ci rendiamo conto che un più completo trasferimento di funzioni ridurrebbe in modo drastico l'esigenza stessa del permanere di alcuni Ministeri, ad esempio quelli dell'agricoltura, del turismo, dei lavori pubblici, della sanità, in particolare dopo il completamento e la revisione del lavoro da parte della Commissione Giannini che si è rimessa nuovamente al lavoro ed ha consegnato un testo, ulteriormente ampliato, il 31/12/1976 al Ministro per le Regioni, al Presidente per la Commissione parlamentare per le questioni regionali, ai Presidenti delle Giunte regionali, testo che è attualmente in fase di stampa a cura delle Regioni.
In quest'ultima stesura vi sono precisate indicazioni inerenti alla soppressione degli uffici centrali dei Ministeri su ricordati, che operano in materie da trasferire o da delegare; vengono inoltre soppressi numerosi ispettorati e uffici centrali. Vengono colmate alcune carenze inerenti alla polizia amministrativa e alla polizia locale, soprattutto in riferimento agli esercizi commerciali, alberghieri e turistici.
Miglioramenti notevoli sono apportati nel settore dei trasporti dell'edilizia residenziale pubblica e degli inquinamenti ed ancora in materia radiotelevisiva, di distribuzione commerciale, di disciplina del credito agevolato e dei rapporti con gli istituti di credito.
Certo, restano aperti alcuni grossi problemi già ricordati, inerenti alla posizione delle Camere di Commercio, alcuni punti inerenti ai beni culturali, su cui la Commissione non ha trovato una linea comune.
Va inoltre sottolineata la quasi totale carenza della Commissione Giannini nell'affrontare la parte finanziaria, per la quale era del resto indispensabile l'apporto dei competenti Ministeri ed amministrazioni centrali.
Così pure è carente il complesso degli interventi sulle attività produttive e lo sviluppo economico ed insoddisfacente la riserva allo Stato degli interventi per la riconversione e ristrutturazione industriale e l'incentivazione alla piccola e media industria.
Per ora le Regioni, parlando della legge 382, non possono che fare riferimento al testo elaborato dalla Commissione Giannini, perché non si conosce alcun documento o presa di posizione ufficiale da parte del Governo. Come sapete, il problema fu affrontato nell'ultimo Consiglio dei Ministri, ma non venne risolto. Si parlò anche della soppressione dei suddetti Ministeri, ma una posizione definitiva sarà assunta, forse, dopo il Convegno di Milano.
Occorre in proposito ribadire che, nello spirito della legge 382 l'ultima parola non può spettare né alle burocrazie ministeriali o degli Enti strumentali, né ai Ministri di settore. Vietando di trasferire le funzioni,così come sono ripartite, dai Ministeri, la legge 382 ha fissato il principio della responsabilità collegiale del Governo (e questo è uno dei nodi centrali) e dunque, in questa fase istruttoria, della Presidenza del Consiglio, della quale fa parte il Ministro per le Regioni, che, come sappiamo, ha sempre dimostrato una larga disponibilità verso le Regioni.
Riteniamo quindi che sarebbe in contrasto palese con lo spirito e la lettera della legge 382 riconoscere ad ogni Ministro una sorta di potere di veto per le questioni che stanno a cuore al singolo Ministero.
Risulta che l'ufficio legislativo della Presidenza del Consiglio dei Ministri avrebbe il compito di predisporre gli schemi dei decreti delegati sulla base di quanto espresso dalla Commissione Giannini e delle esigenze dei Ministeri. Il Ministro Morlino, in un incontro che risale alla fine dello scorso anno con alcune Regioni, ha dichiarato inoltre di aver affidato all'ISPE la predisposizione di uno studio per valutare le proposte già esistenti. Lo studio avrebbe dovuto essere presentato intorno al 20 gennaio. Ci è stato detto da parte di uno dei responsabili che lo studio è completo.
Di fronte ai ritardi del Governo nei confronti dell'attuazione della legge, in carenza i valutazioni ufficiali in ordine à quanto fino ad oggi prodotto dalla Commissione Giannini, le Regioni non possono ulteriormente dilazionare una presa di posizione possibilmente unitaria. Si colloca in questo contesto il Convegno, indetto -:alle Regioni a Milano il 28 e 29 gennaio, per un confronto politico e l'individuazione di una linea politica che tenga conto di tutti gli orientamenti espressi comuni a tutte le grandi forze politiche recenti nelle singole Regioni. Ciò è tanto più necessario a seguito di alcuni recenti orientamenti tendenti a minimizzare il ruolo delle Regioni.
Prima ho ricordato l'occupazione giovanile e la riconversione industriale che tendono ad emarginare le Regioni proprio nei settori più delicati dell'economia e nelle scelte di carattere programmatico, oltre che in campi di competenza regionale. A questa tendenza, che finirebbe per svuotare di contenuto le competenze regionali e la natura stessa del potere legislativo, è necessario rispondere in maniera chiara, operando unitariamente per un rilancio in termini politici dell'attività delle Regioni. Qualche giorno fa, a Milano, in un incontro, tutte le forze politiche concordarono su questa linea. Il Convegno di Milano è stato preceduto da una prima attività di studio articolata sulla base dell'impostazione di lavoro della Commissione Giannini e mi pare che il documento sia stato consegnato. E' la prima volta che le Regioni si collocano con una proposta concreta precisa rispetto agli obiettivi della legge 382 e alla stessa relazione Giannini.
La Regione Piemonte insieme alla Basilicata, alla Calabria, all'Emilia Romagna, al Lazio e alla Lombardia ha coordinato il gruppo di lavoro inerente al settore secondario e terziario; dopo aver fatto parte della Commissione, per quanto riguarda il territorio, ha poi steso la relazione per i rapporti con l'Europa. Si tratta di una prima stesura di considerazioni e riflessioni in ordine alle competenze trasferibili e alle valutazioni generali d'impegno regionale in queste materie. Il documento sarà ulteriormente discusso integrato nelle Commissioni di lavoro previste per il pomeriggio di venerdì 28 gennaio a Milano, così come verranno definiti i documenti elaborati dalle altre Regioni.
Al di là delle considerazioni particolari o di settore, auspichiamo che dal prossimo Convegno delle Regioni scaturisca innanzitutto una linea politica di azione delle Regioni e che le richiesto di completamento della riforma regionale vengano accolte dal Governo. Spetterà poi Consiglio regionale (sembra che entro febbraio gli schemi saranno consegnati) esprimere un parere di merito sugli schemi di decreti delegati che il Governo dovrà emanare.
L'appuntamento di Milano vuole essere uno stimolo, un rilancio delle attività delle Regioni per una sempre più incisiva presenza nel tessuto economico e sociale del Paese ed un richiamo al Governo sull'esigenza di dotare le Regioni competenze e strumenti operativi. Cioè una riforma a metà non risolve assolutamente nulla. Riteniamo che tutto ciò vada in direzione di quell'obiettivo di riordinamento della pubblica amministrazione che le forze politiche, che operano per un reale rilancio della vita istituzionale e produttiva del nostro Paese, non possono non condividere.
La corretta interpretazione della legge 382, da un punto di vista di razionalizzazione, fa risparmiare una quantità immane di risorse finanziarie e di tempo per la-definizione delle pratiche da parte dei pubblici uffici. Recentemente mi è stato detto che al Ministero dei lavori pubblici vi sono ancora 1600 dipendenti, ma soltanto una o due sezioni sono in grado di operare. Quindi, sotto questo aspetto avrebbero fine molti parassitismi di cui si accusa la pubblica amministrazione.
Il completamento delle funzioni regionali (competenze, risorse, beni periferici, quindi tutto il complesso che deve essere trasferito) considerato in questo contesto, potrà essere un contributo al superamento degli squilibri esistenti nel nostro Paese tra Regioni del Nord e Regioni del Sud, chiarendo inoltre gli stessi rapporti fra Regioni e Comunità Europea.
Il Parlamento ha espresso chiaramente la sua volontà politica, le forze democratiche hanno oggi il dovere di esprimersi per sollecitare il completamento della riforma regionale per i riflessi positivi che la riforma avrà nei confronti degli Enti locali e dell'ordinamento statale soprattutto nei confronti della Regione ed in definitiva dell'intero Paese.



PRESIDENTE

L'informazione del Presidente della Giunta regionale è stata svolta, il dibattito è aperto. La parola al Consigliere Martini.



MARTINI Mario

Desidero svolgere alcune considerazioni sulle comunicazioni del Presidente Viglione, che indubbiamente non hanno la finalità di aprire un dibattito. Per quanto riguarda le informazioni sull'iter parlamentare e burocratico della legge 382, dobbiamo dire che la relazione del Presidente è più che esauriente ed anche opportuna, nel senso che la legge si trascina ormai da anni ed era necessario puntualizzarne l'iter per richiamare le forze politiche a guardare con maggiore attenzione ad una legge che di per sé è improntata a validissimi principi.
Per quanto riguarda, invece, l'informazione sul documento elaborato dalla Commissione Giannini che domani e dopodomani a Milano dovrà finalmente essere analizzato con maggiore profondità ed attenzione dobbiamo dire che ci troviamo nell'impossibilità di esprimere un qualsiasi giudizio. Abbiamo avuto un primo documento della Commissione Giannini che dietro pressione delle forze politiche, era stato distribuito con la definizione di provvisorio, incompleto e carente in molte parti, prima delle elezioni del giugno scorso; abbiamo poi ricevuto un secondo documento, definito nel mese di dicembre e unitariamente approvato, che come abbiamo appreso ora dal Presidente della Giunta, ed inoltre da notizie molto schematiche apparse sui giornali di partito, è stato consegnato al Ministro per le Regioni, al Presidente della Commissione parlamentare per le Regioni e al Comitato dei Presidenti delle Giunte regionali. Però, di fatto, andiamo a Milano senza avere in mano il documento finale. E' vero che il Presidente Viglione ha annunciato che le Regioni hanno assunto l'iniziativa di dare alle stampe il documento, può darsi che venga distribuito domani, ma, per ora, il documento non è a nostre mani. Dobbiamo andare, quindi, al Convegno con un'informazione molto sommaria delle innovazioni apportate e con una conoscenza, peraltro filtrata da un giudizio evidentemente politico, del Presidente della Giunta regionale.
Sono carenze che non possono essere imputate alla Giunta, ma, forse più in generale, vanno imputate ad un metodo seguito finora nella trattazione dell'argomento specifico, che,di fatto, è stato demandato al livello istituzionale, alle Regioni perché assumessero un loro comune atteggiamento nei confronti del Governo centrale; mentre c'é stato un certo disinteresse in merito da parte delle forze politiche, questo disinteresse non è diffuso alla base, tant'é vero che ultimamente abbiamo visto come si siano moltiplicati i convegni richiesti sia dagli Amministratori provinciali, sia da quelli comunali, sia dai nuovi Amministratori dei Comprensori, dalle forze politiche periferiche, convegni in cui si sono affrontate tematiche a livello locale che hanno una loro concatenazione e una logica precisa da collocarsi nell'ambito della legge 382.
Quindi domani andiamo a Milano con un grosso rischio che mi auguro venga superato nella realtà: il rischio è che il discorso continui a svilupparsi sulla scia dell'angolo visuale delle Regioni come istituzioni che si pongono in posizione dialettica nei confronti del Governo centrale con punte più o meno accentuate, ma senza un chiarimento di precise responsabilità politiche.
E' necessario che le forze politiche si riapproprino del discorso della legge 382 e della riforma dei vari livelli istituzionali per motivi e di opportunità e di sostanza. Fra i motivi di opportunità porrei soprattutto questo: ritengo sia bene non fermarsi dietro schemi che tornano comodi a tutti e che generalmente sono acquisiti dall'opinione pubblica politica (che spesso è un po' troppo qualunquista), cioè di guardare al Governo centrale come ad una massa di Ministri assolutamente insensibili all'esigenza di completamento della riforma regionale; di guardare all'amministrazione centrale come a una specie di burocrazia onnipotente che condiziona i vari Ministri e che, nello stesso tempo, cerca d'impedire ogni riforma della pubblica amministrazione per salvare chissà quali interessi.
D'altro canto questo quadro è emerso, sia pure con tinte che il Presidente opportunamente non ha voluto accentuare, quando in mezzo a tutto il grigiore ministeriale vediamo spuntare l'aureola di un solo Ministro, il Ministro Morlino, che è l'unico ad essere convinto della riforma, ma che si trova nell'impossibilità di portarla avanti.
E' un giudizio incompleto, che però si deve tradurre in precise accuse di carattere politico: questo è il compito che le forze politiche devono assumersi. E' opportuno uscire allo scoperto poiché, ad un certo punto, non basta parlare di forze regionaliste: tutti infatti, fatta eccezione forse per la Destra Nazionale (il MSI-DN prima era assolutamente contrario, il nuovo partito da poco costituitosi non si è ancora pronunciato su questi argomenti), siamo d'accordo nel portare avanti la riforma. Quindi, si devono individuare delle precise responsabilità politiche, perché oggi la riforma non va avanti e ho la sensazione, quando si notano queste remore che le si voglia addossare alla D.C. Ritengo che la D.C. abbia in questo campo le carte perfettamente in regola e una discussione politica su questo terreno ritengo non possa nuocerle, ma possa favorire lo sblocco della situazione.
Ci sono poi motivi di merito e di sostanza che non possono essere trascurati. Intanto, se è vero che nel mese di febbraio, come è stato indicato dal Presidente, dovrebbero essere trasmesse alle Regioni le bozze del decreto, o dei decreti delegati, avremo 60 giorni di tempo per esprimere il nostro parere. Naturalmente, allora dovrà esserci una presa di posizione ben precisa, perché in quell'occasione dovremo dire chiaramente quali reali poteri riteniamo di poter riservare all'Amministrazione centrale dello Stato, quali poteri dovranno essere trasferiti, quali ancora dovranno essere riservati alle autonomie locali, a norma della lettera e) dell'art. 1 della legge 382. Tutto sommato questi argomenti sono stati trascurati. Lo abbiamo avvertito nei recenti convegni che hanno trattate la materia.
Non dimentichiamo che parliamo in una città come Torino che, quando ha visto, oltre un secolo fa, la capitale spostarsi da Torino a Firenze, ha contato nelle strade decine di morti. C'erano allora più motivazioni politiche che non di carattere puramente impiegatizio e di necessità di vita. Ma è indubbio che una città come Roma, con il 20% della popolazione che vive di questo tipo d'industria, cioè sulla burocrazia ministeriale può costituire delle remore per i trasferimenti di poteri previsti dalla 382. Non sono soltanto remore innalzate da una certa burocrazia mastodontica e parassitaria, ma sono remore di cui le forze politiche devono farsi carico perché non si traducano sul piano politico in movimenti di protesta e di eversione.
Su questi problemi, che hanno delle implicanze di carattere politico e sociale, dobbiamo chiaramente esprimere il nostro parere, nella convinzione che nell'attuazione dell'istituto regionale portiamo un elemento politicamente valido e positivo nella ristrutturazione dello Stato, a livello pluralistico.
Per quanto riguarda le autonomie locali, è necessario che preveniamo i tempi. E' indubbio che, quando dovremo pronunciarci in merito agli schemi delegati della legge 382, non saremo in condizione di avere le idee chiare sull'indirizzo da seguire per il trasferimento di determinate funzioni agli Enti locali territorialmente meno estesi. Non viviamo fuori della realtà.
E' un terreno tutto in movimento e in ebollizione e le forze politiche non hanno sufficientemente approfondito questa tematica: ma è certo che dobbiamo pretendere l'attuazione della legge 382. Non si dimentichi che la legge 382 era inizialmente inserita nel contesto più vasto della riforma dell'amministrazione statale. Su pressione delle Regioni c'é stato lo stralcio finalizzato soprattutto alla riforma regionale. Ma facciamo in modo che la riforma regionale crei le premesse e non chiuda le porte ad un'ulteriore riforma da inserire nel quadro più completo della riforma dello Stato e degli altri livelli di governo locale.
Il convegno di domani e di sabato ha una sua importanza: in quella sede ritengo che tutte le forze politiche possano continuare nella linea sin qui seguita di esigere che i tempi della legge 382 vengano rispettati e che la riforma regionale venga completata. Ma il lavoro sarà più proficuo se in quella sede le forze politiche cominceranno a confrontarsi anche su alcuni temi di fondo, quali la riserva di determinati poteri al governo centrale i poteri reali che devono essere trasferiti alle Regioni e i poteri che devono essere riservati ad un livello autonomo minore.
Se procederemo su questa strada, ritengo che riusciremo anche a rimuovere le remore governative che non si possono imputare alla forza politica che in questo momento ha responsabilità di governo. Sono convinto che dal Convegno di domani usciranno le premesse per un discorso più approfondito e politicamente più valido perché ogni forza politica possa chiaramente esprimere il proprio parere.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Rossotto.



ROSSOTTO Carlo Felice

Signor Presidente, signori Consiglieri, l'intervento del Consigliere Martini mi ha sollecitato a intervenire in questo momento.
Era intenzione dei liberaldemocratici conoscere i risultati dello sforzo unitario tra Governo e Regioni, sforzo che avverrà nell'ampia e qualificata sede, quale sarà quella di Milano, dell'incontro che avviene dopo 7 anni di approfondimento dei temi e dei contrasti responsabili esistenti tra le tendenze accentratrici e quelle democratiche, stabilite dalla Costituzione. Parlare della battaglia che è stata condotta per l'attuazione della legge 382, dei continui ritardi che sono avvenuti, è qualcosa che ormai fa parte del passato. In ogni modo, l'intervento del collega Martini ha degli aspetti estremamente positivi e costringe ognuno di noi alla riflessione. Si sono persi 20 anni nel dibattito politico su grossi schemi, su questioni di principio, mentre poco, di fronte alla realtà sociale del Paese, si sono approfonditi realmente i temi relativi all'affermazione della battaglia delle Regioni. Da un lato vi è lo Stato centralista quale abbiamo conosciuto (non andiamo ad esaminare i motivi storici), che trova il motivo della sua aggregazione nel discorso della burocrazia, dall'altro lato vi è il decentramento e la necessità di creare più punti decisionali vicini alle esigenze delle comunità.
Lo sforzo di tutte le Regioni si compie non soltanto perché è garantito dalla Costituzione e dalle leggi dell'ordinamento giuridico dello Stato, ma perché realmente crediamo che negli Enti locali e nella loro dinamica articolazione esista la salvaguardia della democrazia. Domenica tutte le forze politiche presenti in Consiglio si sono trovate d'accordo su alcuni punti fondamentali sul decentramento delle decisioni (nessuno vuole fare carico esclusivamente a una forza politica della situazione attuale), ma è indubbio che ogni forza politica deve rimeditare su alcune dichiarazioni fatte. Nei giorni scorsi da alcune parti della D.C. è stato criticato il ruolo della Regione in merito al Piano di sviluppo. Non siamo nati ieri e sappiamo in realtà che cosa vuol dire politica industriale, da quanti elementi è determinata la sua realizzazione.
Come liberaldemocratici ci facciamo carico di tutta quella battaglia svoltasi sul modo in cui venivano realizzate le Regioni negli anni '67 e '68, poiché ognuno deve farsi carico di alcuni atteggiamenti; ma ritengo che l'azione unitaria con cui le Regioni si misureranno nei confronti del Governo rappresenti un passo in avanti. Intendo considerare l'intervento del collega Martini, svolto a nome della D.C., come un profondo ripensamento, non soltanto nei rapporti a livello centrale, ma anche nei rapporti con gli Enti locali. Deve essere motivo di profondo ripensamento il continuo richiamo alle forze politiche che fanno parte della maggioranza alla responsabilità di una politica unitaria nel rapporto Regione ed Enti locali, Regione e Comprensori, in una visione che non può soltanto vedere posizioni partitiche, preconcette e precostituite.
Cosi si riesce anche ad eliminare le facili polemiche, sorte in questi giorni, che nulla dicono, che portano ad ulteriori polemiche, ma che nulla costruiscono. Quanto abbiamo letto nei giorni passati non rientra nello spirito delle dichiarazioni del collega Martini. Se dopo trent'anni che il sistema democratico è alla guida delle istituzioni non riusciamo a dare nel nuovo rapporto la sostanza del discorso democratico, allora abbiamo veramente perso una grande occasione. Spesso si sono sentiti nel nostro Consiglio richiami a ripensamenti, ad autocritiche, si sono sentiti appelli culturali, i quali tutti possono portarci al confronto costruttivo di Milano in posizione unitaria con le altre Regioni d'Italia, stabilendo insieme una linea d'intesa, d'azione e di confronto costruttivo e serio.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Calsolaro. Ne ha facoltà.



CALSOLARO Corrado

Signor Presidente, siamo tutti convinti che la lunga battaglia per trasformare le istituzioni dello Stato e per costruire la Repubblica delle autonomie stia entrando in una fase definitiva. Nei prossimi mesi si giocano le residue possibilità per realizzare concretamente l'unica vera riforma istituzionale che si è iniziata in questi trent'anni nel Paese attraverso la creazione delle Regioni. Esse non sono decollate nel 1970 e ne conosciamo le ragioni; c'e stato il trasferimento di spezzoni di competenze, anziché di piene competenze costituzionali.
Siamo convinti che in questi giorni si gioca la riforma fondamentale della nostra Repubblica. Quindi, o le Regioni diventano quello che devono essere secondo il disegno costituzionale, o rimangono degli Enti locali un po' più grossi degli altri. Quando si è indetto il Convegno di Milano si prevedeva che le Regioni fossero in grado di esaminare e di discutere lo schema di decreto delegato (o gli schemi di decreti delegati). E' noto infatti che l'impegno del Governo era di presentare gli schemi entro il 20 gennaio. Molti partiti avevano organizzato in questi giorni riunioni nazionali per affrontare il problema in vista del Convegno unitario di Milano. Abbiamo invece appreso dai giornali che nella riunione del Consiglio dei Ministri della scorsa settimana il Ministro Morlino ha illustrato lo schema del decreto delegato di cui alla legge 382 e che è previsto che il Governo lo esaminerà e lo approverà entro tre settimane quindi presumibilmente entro il 10 febbraio. La legge di proroga è stata pubblicata qualche settimana fa sulla Gazzetta Ufficiale e quindi il decorso dei sei mesi è già iniziato. In ogni caso, ammesso che i tempi vengano seguiti con regolarità, ci sarà un ritardo di un anno rispetto ai termini fissati dall'art. 1 della legge 382, il che vuol dire un anno perduto per le Regioni, sempre che l'iter della proroga segua il suo cammino regolare. Quindi, la seconda fase costituente delle Regioni ha già subito questo intoppo.
Il comunicato ufficiale del Consiglio dei Ministri ci sembra estremamente generico. In esso si parla di svolta storica nell'ordinamento del nostro Paese, ma è assente da esso qualsiasi riferimento alla concezione autonomistica dello Stato; infatti si indica come finalità nello spirito della Costituzione "... di realizzare un ordinamento su base regionale idoneo ad assicurare una migliore ed efficiente amministrazione".
Soprattutto non vi è nessun riferimento alle conclusioni che sull'argomento ha indicato la Commissione Giannini, i cui lavori devono costituire la base dei decreti governativi. E' evidente che un giudizio definitivo sarà possibile solo quando il testo dei decreti delegati sarà noto e le Regioni e la Commissione interparlamentare dovranno esaminarlo.
Dopo le recenti vicende che hanno riguardato la finanza degli Enti locali, non vorremmo trovarci di fronte ad un rigurgito di neocentralismo che tendesse a svuotare di ogni significato la riforma, così com'è prevista dalla legge 382. Siamo quindi d'accordo di promuovere la più ampia mobilitazione possibile con la presenza delle Regioni e di tutte le forze politiche, sociali e sindacali. Proprio dal Convegno di Milano deve muoversi un impegno per raggiungere il fine che è quello di accentuare non il ruolo amministrativo, ma il ruolo politico delle Regioni.
Le riserve della burocrazia centrale, le remore frapposte non sono una geremiade di tipo qualunquistico: l'attacco alla burocrazia centrale è contenuto nelle considerazioni generali della Commissione Giannini, dove si segnala al Parlamento il fatto che le Amministrazioni statali più interessate hanno di proposito evitato la discussione contenuta nel rapporto di lavoro. La stessa Commissione Giannini considera questo, e lo dichiara a chiare lettere, un pessimo esempio di costume non democratico.
E' evidente che la Commissione Giannini si è resa conto nei suoi lavori degli ostacoli che vengono frapposti dalla burocrazia centrale. Non dimentichiamo i decreti delegati del 1972. Basta la loro semplice lettura per renderci conto che il testo era stato redatto in realtà dalla burocrazia centrale, non dalle forze politiche. Riflettiamo, quando leggiamo, per esempio, che dovrebbero essere eliminate molte divisioni ministeriali e che addirittura alcuni Ministeri dovrebbero scomparire.
E' una discussione che si faceva al momento dell'istituzione delle Regioni: si diceva allora che i Ministeri del turismo e dell'agricoltura dovevano scomparire; successivamente il Ministero dei lavori pubblici; oggi il Ministero della sanità. Questo significa dare un ruolo politico alle Regioni. Non come si dice, e l'ho accennato prima, nel comunicato finale del Consiglio dei Ministri " assicurare una migliore ed efficiente amministrazione".
Occorre, invece, assicurare alle Regioni quel ruolo politico che è loro affidato dalla Costituzione e dar loro competenze, limitate dalla Costituzione, ma piene nelle materie previste dall'art. 117. Tuttavia l'atteggiamento di resistenza delle forze centrali può essere superato se vi è un accordo generale, una pressione di tutte le Regioni e delle forze politiche e sociali che sono rappresentate nel Paese, che diano la spinta verso la creazione di una repubblica regionale delle autonomie.
Il Convegno di domenica scorsa sui Comprensori ha dato una risposta chiara sulle autonomie locali. La Regione Piemonte ha già avviato tale discorso. E' la Regione leader in questa materia. L'istituzione dei Comprensori rappresenta già un momento di riassetto degli Enti locali.
Concludo dicendo che, a nostro avviso, una piena attuazione della legge 382 implica, naturalmente, il riassetto dei poteri locali e quindi un duplice impegno delle Regioni, non soltanto per quanto riguarda le loro competenze ma per quanto riguarda appunto il riassetto dei poteri locali.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Oberto.



OBERTO Gianni

Il mio è un intervento marginale. Desidero intanto prendere atto della relazione svolta dal Presidente della Giunta che ci aggiorna, per quanto è possibile, dell'iter della legge 382. Non conosco il testo dicembrino ultimo, ma mi auguro che coloro i quali interverranno domani a Milano ne possiedano almeno una copia, per poter prendere visione prima dell'intervento, in caso contrario intervenire significherebbe soltanto acchiappare le mosche e nient'altro! Tenere dei Convegni che non danno la possibilità di un risultato concreto, creare altro malumore e altre attese disperate, senza concludere nulla di positivo, non ha significato. Mi auguro che un testo ci sia, anche se non ancora varato con il placet del Consiglio dei Ministri.



PRESIDENTE

Questo è certo, cioè il testo ipotetico dei decreti, sia pure in bozza non c'é. Il Governo lo ha detto chiaramente. E' un Convegno di pressione.



OBERTO Gianni

E' un grosso buco. Tutto va a Milano, il Samia va a Milano, le Regioni vanno a Milano. Facciamo un po' di chiasso, ma non arriviamo mai a nulla di concreto, di preciso! Ripeto tuttavia che il mio intervento è marginale.
Penso che il Presidente della Giunta, in quanto relatore, e il Vicepresidente Bajardi, che si è occupato di alcuni problemi connessi ai Parchi nazionali, saranno presenti e vorranno sottolineare l'assurdo giuridico che si sta consumando. La relazione Giannini prevede una regolamentazione dei Parchi nazionali d'Italia, quello del Gran Paradiso degli Abruzzi, del Circeo, della Calabria (istituito per legge da sette anni e non ancora entrato in funzione), mantenendo però il carattere nazionale degli Enti e sentendo peraltro le rappresentanze periferiche in qualche misura interessate al problema. Contestualmente - ed è questo Assessore Bajardi, che vale la pena di sottolineare - è stato presentato un disegno di legge relativo all'allargamento per la Regione Val d'Aosta delle competenze che le mancavano, ponendola finalmente sullo stesso piano delle Regioni a Statuto ordinario. Vi era infatti l'assurdo della Regione Valle d'Aosta, a Statuto speciale, che aveva possibilità d'intervento in certi settori minori che non le Regioni a Statuto ordinario. Il disegno di legge suddetto contiene all'art. 5, per il Parco nazionale del Gran Paradiso, che geograficamente si trova in Piemonte, una destinazione, una regolamentazione, una gestione che, con tutto rispetto, definirei mezzadrile. Mezzadrile in quali termini? Quanto del Parco nazionale cade nel territorio della Regione Valle d'Aosta verrebbe gestito da un consorzio costituito con l'organo centrale, con il Governo, per cui sarebbe ignorata e scavalcata la Regione Piemonte e totalmente dimenticata la Provincia di Torino che è stata pronuba dell'iniziativa per la creazione del Parco nazionale del Gran Paradiso (un tempo tutta la Valle d'Aosta faceva parte della Provincia di Torino).
E' un discorso che può sembrare marginale, ma che non interessa soltanto il Piemonte. La definizione del Parco nazionale d'Abruzzo, del Parco della Calabria che un giorno aprirà finalmente le sue porte, del Parco del Circeo, o di quel che potrà essere rimediato, sono realtà naturalistiche che hanno una grandissima importanza e che non possono trovarsi a cozzare con disposizioni di legge l'una diametralmente opposta all'altra.
Pensate alla regolamentazione che potrebbe essere stabilita dalla Regione Valle d'Aosta, estremamente larga e permissiva, e quella che potrebbe essere stabilita dalla Regione Piemonte per la parte di territorio che ricade in Piemonte, più restrittiva. Pensate ai conflitti e alle profonde dissonanze e discrasie che si verrebbero a creare.
Non mi è possibile domani e dopodomani essere a Milano, perciò ho voluto consegnare questo cruccio, questa ansia e questo motivo di dibattito a chi sarà presente, perché anche in quella sede vale la pena di sottolineare l'argomento dei Parchi.
Tutti gli italiani debbono essere interessati ai Parchi nazionali ed a tutti gli organismi ai quali è demandato il compito della loro difesa. Ora si tende a creare altri parchi, che trovano dissenzienti le popolazioni, e che pertanto nascono male, come male è nato il Parco del Gran Paradiso come male è nato il Parco d'Abruzzo, perché non si è tenuto conto dei discorsi contrari che le popolazioni facevano, e perché non si è fatta una legge fondamentale che tenesse conto della necessità degli indennizzi (il che avrebbe messo a tacere le maggiori ragioni di dissenso ed avrebbe reso ciascuno padrone a casa propria). E' ingiusto che vi siano dei cittadini i quali pagano con la restrizione di loro interessi e di loro diritti per un bene di carattere nazionale, mentre altri cittadini ne godono e ne fruiscono.
Credo che questo discorso possa essere opportunamente collocato domani prima che da parte del Ministro dell'agricoltura, che presiede alla gestione dei Parchi nazionali (non ho mai capito la ragione profonda di questa Presidenza) venga emanato il disegno di legge, venga esaminato dallo stesso Consiglio regionale valdostano, recepito in sede nazionale, con il rischio che contenga espressioni legislative che cozzano l'una contro l'altra.



PRESIDENTE

Ha chiesto la parola il Consigliere Marchini. Ne ha facoltà.



MARCHINI Sergio

Ho ascoltato prima un collega esibire i suoi titoli per parlare sulle Regioni. Quelli della mia forza politica, anche se titoli diversi, sono altrettanto legittimi, poiché la mia forza politica aveva fatto una battaglia leale e corretta su presupposti e su temi incontestabili nei confronti delle Regioni.
L'altro giorno abbiamo sentito dire che le Province sono superate, in quanto rappresentano dei limiti burocratici. Vorrei proprio sapere quando le Regioni hanno avuto altro che limiti burocratici in termini territoriali. Come era stata leale la nostra opposizione alla costituzione delle Regioni, altrettanto leale in tutto il Paese è stata la collaborazione del nostro partito nelle sedi e nel modo in cui ha potuto esercitarla, per cui avere più o meno titoli in materia regionalistica mi pare abbastanza difficile.
Le Regioni ci sono, quindi bisogna farle funzionare, bisogna che il dettato costituzionale venga integrato, bisogna che le leggi abbiano la loro realizzazione. Non mi pare giusto tirare sul tappeto i soliti totem le solite teste di turco contro cui siamo abituati a scagliarci: la burocrazia e lo Stato. La burocrazia e lo Stato, in un Paese democratico governato da forze politiche, e da certe forze politiche in particolare, da trent'anni a questa parte, non sono che teste di turco che si picchiano girano e tornano nel posto dov'erano prima. La burocrazia è quella che, e lo Stato è quello che noi, forze politiche, abbiamo permesso che fosse.
Allora, riprendendo il discorso del collega Oberto, mi pare che vi sia una causa immediata e remota del non decollo delle Regioni; e questa causa va ricercata nel nostro modo d'essere.
In definitiva, abbiamo una dimensione a carattere nazionale e tante dimensioni a carattere regionale. A mio avviso, le nostre forze politiche non hanno una dimensione regionale, intendendo per regionale un modo d'essere e non una collocazione geografica, qui il Piemonte, là la Lombardia e là il Lazio. E' evidente che vengono fuori delle distonie.
Parecchie Regioni non sentono il problema della tutela del suolo e dei valori ambientali, che poi vanno a collocarsi in una zona estranea al loro territorio, ma che è pur sempre un problema regionale inteso come organizzazione demandata alle Regioni. Una delle giustificazioni che lo Stato può portare per la resistenza nei confronti dell'istituto regionale è rappresentata dall'incapacità delle forze politiche regionali e di valutare l'aspetto generale dei problemi specifici.
In altri termini, mi pare che una forza politica non possa proporre in Regione Piemonte una legge urbanistica completamente diversa da quella della Regione Toscana, perché si va a toccare un problema di carattere costituzionale. Non è affatto pensabile che la Regione Piemonte dia a favore dei meno abbienti delle provvidenze che i siciliani non hanno, per quel che riguarda il diritto allo studio; lo stesso discorso lo possiamo fare per l'edilizia popolare, e così via.
Allora vediamo che le riserve, le remore dello Stato trovano la ragion d'essere nell'incapacità delle forze politiche di assumere nel complesso una dimensione regionale, cioè un modo d'essere a livello regionale. Si sta facendo una legge urbanistica che per molti versi penalizzerà il Piemonte e nel momento in cui penalizzerà il Piemonte creerà privilegi da un'altra parte. Alcuni giorni fa qualcuno diceva che la nostra legge urbanistica deve dare la possibilità di realizzarsi all'80%. Ma se la nostra legge urbanistica impedisce all'80% dell'edilizia privata, necessaria in Italia di realizzarsi in Piemonte, finisce per privilegiare un'altra Regione e soprattutto finisce per portare un'altra Regione a proporre una legge che privilegi l'iniziativa privata. Fin quando le nostre forze politiche non riusciranno a darsi una strategia unitaria a livello regionale, sarà giustificata, in una certa misura, la diffidenza e la resistenza dello Stato a dare alle Regioni la completezza dei poteri che tutti quanti rivendichiamo. Pensiamo alla norma della nostra Regione che blocca l'apertura di laboratori di analisi in Piemonte, mentre in Lombardia la questione non si pone. Cosa faranno i professionisti che abitano a dieci chilometri dal confine lombardo? Andranno a lavorare in Lombardia. Queste cose non sono assolutamente concepibili.
E' una responsabilità che non possiamo attribuire allo Stato né alla burocrazia, ma è da attribuire alle forze politiche, e quindi, sotto questo profilo, va fatto uno sforzo notevole.



PRESIDENTE

Non vi sono altre richieste di parola, quindi considero concluso il dibattito.
Il Consiglio regionale, d'altra parte, riprenderà il discorso al termine del Convegno di Milano sulla base dei decreti, quando verranno emanati dal Governo, e sulla base di un approfondito esame in sede di Commissione, per arricchire la seconda fase costituente che tutti vogliamo della stessa dignità e livello della prima. E' una fase indispensabile, se vogliamo che le Regioni decollino davvero. Dopo un avvio promettente, c' stato uno oscuramento nella prospettiva regionale e una certa caduta di tensione, ma non nel modo come è stato riportato dalla stampa. In effetti le Regioni hanno continuato a fare e ad operare più di quanto non sia apparso all'opinione pubblica generale del nostro Paese.
Il dialogo che si riprende a Milano nei confronti del Governo, del Parlamento, delle forze politiche dovrebbe preludere al rilancio delle autonomie. Il Piemonte partecipa al Convegno con almeno una parte delle sue carte in regola. L'impegno che abbiamo profuso nei Comprensori, in questo aspetto della riforma dello Stato, ci consente di dare un contributo in alcuni punti del disegno generale del rilancio delle autonomie. Le Commissioni di lavoro che si formeranno a Milano permetteranno di approfondire i singoli elementi con la partecipazione della nostra delegazione che sarà composta di circa venti Consiglieri, fra Giunta e Consiglio. Avremo quindi tutti gli elementi in mano per dare il contributo successivo alla precisazione di ogni singolo decreto della legge 382.


Argomento: Programmazione: argomenti non sopra specificati

Interpellanza dei Consiglieri Bianchi, Paganelli, Alberton, Martini, Picco Franzi ed interrogazione del Consigliere Marchini: "Indirizzo della Giunta e misure per garantire la massima efficienza dell'Ires ed una sua equilibrata autonomia per lo svolgimento delle sue funzioni"


PRESIDENTE

Si potrebbero svolgere ora l'interpellanza presentata dal Gruppo della D.C. e l'interrogazione del Consigliere Marchini, entrambe relative all'Ires.
Se non vi sono richieste di parola, pregherei l'Assessore Simonelli d'intervenire, concedendogli qualche minuto in più dei quattro regolamentari, poiché deve rispondere ad un'interpellanza e ad un'interrogazione.



SIMONELLI Claudio, Assessore alla programmazione

Signori Consiglieri, cercherò di rispondere sinteticamente sui punti sollevati dall'interpellanza e dall'interrogazione.
Innanzitutto desidererei fosse chiaro al Consiglio che l'Ires è largamente utilizzato dalla Regione. Nel corso del 1976 ha concluso 16 ricerche e ne ha in corso altre 22, tutte affidate dalla Regione. Occorre dire che l'Ires stesso denuncia la difficoltà a soddisfare la mole di lavoro richiesta dalla Regione, tant'è vero che in un documento che il Direttore ha fatto pervenire alla Giunta il 26 ottobre si esprime l'avviso che sia necessario un potenziamento. Si dice, per la precisione, che "per far fronte il più ampiamente possibile ai compiti di ricerca più sopra delineati è innanzitutto necessario che l'Ires persegua più incisivamente la linea di connettersi con gruppi esterni di ricerca oltreché adeguare le sue strutture di ricerca interne".
Desidero partire di qui per evidenziare che non c'è una sottoutilizzazione dell'Ires, semmai una difficoltà dell'Istituto a svolgere la mole di lavoro richiesta. Lo dimostra il fatto che alcune ricerche sollecitate dalla Regione non hanno potuto essere svolte per impossibilità da parte delle strutture dell'Istituto, altre in corso hanno subito pesanti ritardi che stanno anche pregiudicando il completamento di alcuni programmi che la Regione ha in atto.
La partecipazione dell'Ires alla formazione del Piano regionale di sviluppo, com'è noto, è consistita nella preparazione di un documento preliminare, che poi la Giunta ha utilizzato, e nella partecipazione attraverso ricercatori, insieme a funzionari regionali e a tecnici esterni a tutte le Commissioni che hanno operato per l'elaborazione del piano.
Il documento, di cui ho citato qualche frase, è stato consegnato dal Direttore dell'Ires al Presidente della Giunta, al Vicepresidente, ed a me in data 26 ottobre '76, quando il Piano era già largamente noto consegnato, ufficialmente, discusso da tutti. In quel documento, che indicava le linee generali di programma e di attività dell'Ires, non viene mosso nessun appunto circa l'attribuzione di un ruolo minore di quello che spetterebbe all'Istituto.
Credo sarà bene sviluppare una discussione sulle polemiche nate intorno a tale argomento in altra sede, quando discuteremo del Piano regionale di sviluppo. Penso che si possa discutere a lungo e opportunamente sulla scientificità delle previsioni, delle stime e delle ipotesi che stanno dietro alle indicazioni di Piano.
In questa sede, vorrei ribadire quali sono i ruoli rispettivi della Regione e dell'Istituto di ricerca: gli istituti svolgono le ricerche, le forze politiche fanno il Piano. Sotto questo profilo, a nostro avviso l'Ires è stato correttamente utilizzato nella fase di formazione del Piano.
In passato, chi faceva le ricerche faceva anche il Piano, vi era una tecnocrazia di ricercatori che in realtà guidava la programmazione, vizio da cui non è stato immune nessuno dei centri di ricerca esistenti nel Paese, dall'Ispe a livello nazionale agli istituti di ricerca operanti a livello regionale. Semmai qualche ambizione del genere dovesse ancora essere coltivata, credo che si tratti di un equivoco da chiarire subito con fermezza.
Sul piano dell'attendibilità scientifica e sul piano del confronto metodologico tutti i discorsi sono aperti ed è giusto non solo difendere ma salvaguardare e potenziare la pluralità degli approcci metodologici delle scelte culturali, nel pieno rispetto dei ruoli. Tutti ricordiamo quanto abbia influito sulle scelte politiche degli Enti locali e anche della Regione una visione delle prospettive di sviluppo legata ad una concezione del Piemonte collegato con la realtà dei Paesi altamente industrializzati d'Europa e quanto questa visione abbia influenzato pesantemente l'evoluzione del dibattito tra le forze politiche. Si parl allora di visione "carolingia" del Piemonte. Anche se questa visione non ha richiamato il tintinnare di scudi ed il clamore dei grandi eserciti, né i tempi di Carlo Magno o di Carlo Martello, ma piuttosto quelli di Pipino il Breve, certamente ha suscitato forti polemiche negli anni passati ed è stata ancora riproposta - anche se con minore fortuna - in tempi recenti.
Possiamo dunque concludere riaffermando che l'Istituto di ricerca non può avere un ruolo politico. Il Piano va fatto dalle forze politiche, va fatto qui in Consiglio regionale dopo aver avuto il supporto di tutte le indagini, delle elaborazioni e delle ricerche necessarie.
Successivamente alla consegna della proposta di Piano c'é stato uno scambio di lettere tra me, il Direttore e il Presidente dell'Istituto iniziato con lettera del 24 novembre, nella quale, facendo seguito ai colloqui intercorsi, confermavo l'intenzione della Giunta di avviare rapidamente iniziative "intese al potenziamento delle capacità di ricerca dell'Istituto", che era quanto l'Ires chiedeva nella sua memoria del 24 ottobre, "nel quadro degli accresciuti impegni connessi alle nuove esigenze della Regione nella fase di decollo della politica di programmazione conseguente all'elaborazione del Piano regionale e al prossimo inizio di attività degli organi comprensoriali. La prego di voler pertanto comunicare le proposte per l'ampliamento di organico dell'Istituto.... " ecc. A questa lettera il Direttore dell'Istituto rispondeva il 25 novembre dicendo che "....il potenziamento dell'Istituto dovrebbe avvenire tenuto conto degli incarichi di ricerca che possono esserci affidati, ma anche delle esigenze di non dilatare, se non gradualmente, l'Ires, per non correre il rischio di non consentire l'integrazione del nuovo personale nelle strutture dell'Istituto. Tenuto conto di quanto sopra e dell'opportunità che l'Ires ricorra anche a competenze specialistiche esterne, mi parrebbe di poter indicare nel numero di 6/7 ricercatori ed eventualmente di un impiegato esecutivo il primo fabbisogno di personale dell'Istituto". Il Direttore si riservava di comunicarmi le conseguenti necessità finanziarie in ordine al bilancio 1977. Successivamente, il 7 dicembre, scrivevo al Presidente e al Direttore: "In occasione della riunione del Consiglio di amministrazione dell'Ires, che mi risulta essere convocato per domani, desidero confermarle quanto il Presidente della Giunta e gli Assessori hanno avuto occasione di dichiarare a lei nel corso del recente incontro circa la preminente importanza che la Giunta intende dare ai problemi della ricerca per la programmazione e in modo particolare al ruolo che in questo quadro sarà chiamato a svolgere l'Istituto. In questo spirito la Giunta sta preparando un documento programmatico contenente le valutazioni sull'attività di ricerca e sul ruolo dell'Ires, nonché le proposte di potenziamento dell'Istituto".
Una settimana dopo, e precisamente il 18 dicembre, veniva inviato il documento programmatico nel quale la Giunta ribadiva l'impegno "....conseguente alla necessità di dare applicazione a metodi di governo fondati sulla politica di Piano per privilegiare l'attività di ricerca", e aggiungeva che "in questo quadro diviene particolarmente urgente precisare il ruolo dell'Ires in relazione soprattutto alle crescenti esigenze conoscitive che devono essere affrontate dall'Amministrazione regionale sia per quanto riguarda l'avvio operativo del Piano di sviluppo, sia per quanto riguarda il progressivo allargamento dei campi di intervento connessi all'ampliamento delle competenze delegate. La Giunta regionale ritiene in particolare che l'Ires debba costituire una struttura in grado di svolgere in modo interdisciplinare le attività di ricerca finalizzate alla definizione e alla gestione della politica di Piano della Regione, una struttura volta ad adeguare e innovare la metodologia di analisi dei fenomeni socio-economici che incidono sulla realtà regionale, una struttura di riferimento dell'attività di ricerca promossa dagli organi decentrati della Regione, in particolare dai Comprensori e dagli Enti locali, al fine di stimolare l'adozione di metodologie e procedure di indagini omogenee che permettano non solo la compatibilità dei risultati di ricerca, ma la loro cumulabilità come fonte di arricchimento del sistema informativo regionale.
Una struttura chiamata ad adempiere un ruolo di consulenza istituzionalizzata, in relazione alle competenze dirette ed indirette della Regione e degli Enti locali minori".
Si diceva in questo contesto che alcuni filoni di ricerca dell'Istituto, particolarmente carenti alla luce delle nuove necessità avrebbero dovuto essere potenziati. In particolare si citava lo sforzo rilevante che dovrà essere fatto per sviluppare meglio le attività di ricerca nei settori dell'economia generale, con particolare attenzione al mercato del lavoro, all'economia industriale, ai processi di terziarizzazione e alla finanza pubblica, tutti settori nei quali è stata rilevata una carenza di capacità di ricerca dell'Istituto.
Da parte della Giunta si riteneva opportuno che il potenziamento dell'attività di ricerca arrivasse ad assumere 8 ricercatori, un impiegato tecnico e una stenodattilografa, più di quanto lo stesso Direttore aveva indicato come plafond per potenziare l'Istituto.
Correlato a questo scambio di documenti, che è stato particolarmente intenso ed indicativo di una volontà precisa della Giunta non solo di mantenere, ma di sviluppare e di potenziare le capacità dell'Ires, è andato di pari passo l'impegno finanziario conseguente.
Nel bilancio del 1973, prima della regionalizzazione dell'Istituto, vi era uno stanziamento di 300 milioni; nel 1974 lo stanziamento fu di 350 milioni più 250 milioni di fondo di dotazione (come i Consiglieri ricordano, la legge istitutiva prevedeva un fondo di dotazione "una tantum" di 250 milioni); nel 1975 lo stanziamento fu di 300 milioni più le ricerche che venivano pagate a parte; nel 1976, di 400 milioni; nel 1977 sono previsti a bilancio 600 milioni. Lo stato dell'Ires, quale emerge dalle informazioni succinte che ho dato al Consiglio, non è certo quello di un Istituto in disarmo, ma è quello di un Istituto che si è visto raddoppiare il contributo normale nel giro di tre anni e che ha una previsione di potenziamento per far fronte ai nuovi impegni che la politica di Piano pone alla Regione.
Devo aggiungere che l'Ires ha anche bisogno di un regolamento interno che consenta una partecipazione dei ricercatori e di tutte le energie dell'Istituto nell'attività di ricerca. Viene lamentata da parte dei ricercatori la non completa utilizzazione delle loro possibilità e la mancanza di interdisciplinarietà nella conduzione delle ricerche. La Direzione è ritenuta di tipo eccessivamente burocratico e gerarchico. La necessità di un nuovo regolamento che tenga conto dell'opportunità di procedere ad un lavoro di gruppo e ad un maggior interscambio disciplinare all'interno dell'Istituto e stata riconosciuta dal Consiglio di amministrazione il quale ha già avviato, attraverso una Commissione paritetica di membri del Consiglio di amministrazione, di ricercatori e di rappresentanti del personale, un'iniziativa intesa ad una prima stesura di regolamento.
Ci troviamo di fronte ad un Istituto abbandonato a se stesso, al quale la Giunta non ha dedicato le necessarie energie? Credo sia vero esattamente l'opposto. Sotto questo profilo non mi pare che tutta l'azione che ho ricordato meriti censura. Le ragioni che possono avere spinto il Direttore dell'Istituto a rassegnare le dimissioni possono riguardare, o no, i problemi trattati in questa sede.
L'Istituto si trova ad una svolta nella sua storia perché ha esaurito le capacita di fare ricerca nel modo che si usava negli anni '50 e deve incominciare ad operare nel modo che serve negli anni '80. Questo non vuol dire non riconoscere il pluralismo. Guai se immaginassimo che esista un solo modo per fare le ricerche, che esistano dei sistemi di verifica e controllo tali per cui il ricercatore risponde anche delle metodologie al suo committente politico. Crediamo che debbano essere salvaguardati la più ampia libertà di ricerca e il più ampio pluralismo. Ci interessa che le ricerche siano fatte e che l'Istituto sia in grado di svolgere le ricerche di cui la comunità ha bisogno, intendendo per comunità non solo la Regione ma l'insieme degli Enti locali e, più ampiamente, la società civile del Piemonte.
Il Presidente dell'Ires nella sua lettera, dopo aver espresso il ringraziamento al prof. Detragiache e il rammarico per le sue dimissioni dà atto alla Giunta "della sensibilità dimostrata nei confronti dell'Istituto, il cui rilancio e la cui espansione sono stati anche finanziariamente garantiti, come da comunicazione del 18 dicembre. Il Consiglio di amministrazione dell'Ires è intenzionato a realizzare fino in fondo gli ambiziosi programmi che la Regione ha voluto e vorrà fissare".
Per questi motivi precisa alcune esigenze di fondo per l'immediato futuro.
"E' necessario, con estrema urgenza, che venga designato il successore del prof. Detragiache e che l'incarico venga assegnato a persona di grande prestigio e di indiscussa autorità nel settore della ricerca; venga scelta quindi al di fuori di ogni ristretta logica partitica; che questa nomina sia sottoposta all'esame del Consiglio regionale, per continuare a garantire all'Ires quelle caratteristiche di pluralismo e di autonomia che gli hanno consentito finora di svolgere un proficuo e decisivo ruolo al servizio dell'intera comunità regionale".
La Giunta e completamente d'accordo con queste indicazioni. Le proposte intese a designare il nuovo Direttore dell'Istituto saranno portate avanti vedremo con quali procedure, in modo da rispondere a questi requisiti.
Ho ristretto l'attenzione per i lati polemici della vicenda. Preferisco sorvolare sulle dichiarazioni rese e sulle polemiche nate, che troveranno in altra sede il terreno idoneo per essere argomentate, discusse e confrontate.
Mi preme dire che l'Ires sta a cuore alla Giunta, ma ci sta a cuore un Istituto capace di funzionare bene.
Credo di avere così risposto all'interpellanza della Democrazia Cristiana. Per quanto riguarda l'interrogazione del Consigliere Marchini penso che, in particolare, si riferisse alle pesanti valutazioni fatte dal prof. Detragiache nei confronti della proposta del Piano regionale di sviluppo. La sede per discutere queste cose sarà il prossimo dibattito che avremo sul Piano. Non ritengo sia una proposta interessante organizzare un pubblico dibattito tra il Direttore dimissionario e gli esperti, anche perché il prof. Detragiache non è più Direttore dell'Ires. Se qualcuno vorrà dedicarsi a questo tipo di confronto in qualche sede culturale, credo che i protagonisti della vicenda, prima che la loro fatica passi alla storia del Paese, saranno disponibili a confrontarsi. La Regione non pu in quanto tale, mettere a disposizione un "ring" per questo tipo di confronto che non sarebbe proficuo per l'ulteriore svolgimento dei nostri lavori.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Alberton. Ne ha facoltà.



ALBERTON Ezio

La nostra interpellanza nasce dall'estrema rilevanza che assegnano all'Istituto di ricerca, dal giudizio positivo che esprimiamo sulle sue attività del passato per quello che ha rappresentato nel Piemonte in tutti questi anni.
Dobbiamo e vogliamo ricordare il grado di prestigio che l'Istituto si è conquistato in 20 anni, la capacità di essere un punto di incontro tra correnti culturali e politiche diverse, le garanzie che esso ha dato in questi anni sulle analisi che gli Enti pubblici, prima le Province, poi la Regione stessa, svolgevano sulla realtà piemontese.
L'Istituto è stato sempre garante nei confronti delle forze politiche che sedevano all'interno delle istituzioni e nei confronti di tutti gli altri interlocutori delle istituzioni, siano forze sociali od economiche.
L'Assessore Simonelli ha cercato di descrivere quali dovrebbero essere le funzioni dell'Istituto di ricerca riguardo al Piano di sviluppo.
Non vogliamo in questa sede svolgere il dibattito sul Piano di sviluppo, ma, prendendo lo spunto dalle considerazioni fatte dall'Assessore, abbiamo il diritto di chiedere e la Giunta ha il dovere di rispondere se si è consentito che l'Ires svolgesse il suo compito proprio in relazione al Piano di sviluppo regionale.
Crediamo che avrebbe potuto esserci (ma non c'è stato) un largo contributo dell'Istituto, non visto come strumento di qualcuno, ma visto come sede permanente in cui tutte le forze politiche del Consiglio possano rivolgersi per analizzare e prospettare, secondo criteri di scientificità e non di scelta politica aprioristica, le condizioni della nostra Regione dei suoi rapporti nel contesto nazionale o internazionale. Rimaniamo pienamente convinti che questo non è avvenuto. Anche noi siamo consapevoli e convinti che il quadro delle competenze e delle attività dell'Ires debba subire degli aggiornamenti, essendosi sicuramente sviluppata la problematica complessiva, Le indicazioni dell'Assessore Simonelli indicavano l'allargamento dell'orizzonte su alcuni aspetti di socio economia, di politica industriale vera e propria con tutto ciò che ne consegue, di politica del lavoro, della formazione professionale e su altri aspetti di cui mancano da parecchio informazione e conoscenza.
Riteniamo giusto anche tutto il riferimento all'analisi della problematica degli Enti locali, sia nella loro organizzazione comprensoriale, sia nella loro organizzazione tradizionale, dei problemi della finanza locale e così via; sono indicazioni certamente valide, ma proprio per questo, non credo che la storia dei rapporti Giunta-Ires sia solo leggibile attraverso l'elenco e la crescita dei contributi erogati in questo anno e mezzo di gestione della nuova Giunta.
L'Assessore ha dato queste indicazioni perché ne è convinto. Sotto questo aspetto ribadiamo anche la nostra convinzione: non si capisce perch una certa programmazione delle attività dell'Ires non sia scattata ben più a monte, né si capisce il motivo dello scambio di lettere avvenuto nel periodo tra ottobre e dicembre 1976, dopo un anno e mezzo in cui i rapporti non erano già dei più facili.
Sulla vicenda del Piano, al di là dei contenuti (dei quali non è certamente questa la sede della discussione), i rapporti erano difficili e da molto tempo prima dell'ottobre 1976. La Giunta è libera di dare una sua interpretazione del modo in cui deve essere condotta la cosa, ma non pu venirci a dire che ha utilizzato l'Istituto di ricerca come avrebbe potuto e dovuto utilizzare.
Ci possono essere anche degli aspetti interni all'attività dell'Ires che hanno contribuito a generare fenomeni di tensione e a condurre a questi sbocchi.
La Direzione è stata definita burocratica e gerarchica. La Giunta ha il dovere di interrogarsi se ha fatto tutto il possibile perché i rapporti anche di carattere gestionale, potessero svolgersi nella forma più corretta.
L'Ires, o qualsiasi altro Istituto, riceve prestigio e garanzia nella misura in cui il rapporto è estremamente formalizzato tra il committente e colui che riceve la commessa e si evitano, per quanto è possibile interferenze e rapporti di altra natura, estranei al rapporto con le vesti ufficiali dell'Istituto.
Diciamo questo per ricordare che interpretiamo l'Istituto di ricerca come altri eventuali strumenti di cui la Regione disponesse, non come un organo della Giunta.
Questo deriva quasi implicitamente dalle affermazioni che l'Assessore fa nel momento in cui riconosce che l'Istituto ha determinati compiti e gli organi politici ne hanno altri. Vogliamo riscontrare una prima carenza e credo che tutti dobbiamo prenderne atto. Rispetto alla legge istitutiva dell'Ires manca uno degli interlocutori, che avrebbe dovuto essere quel C.R.S.P., il quale avrebbe costituito l'interfaccia naturale dell'Ires ed avrebbe dovuto rimarcare e risottolineare che l'Ires è uno strumento della Regione, non della Giunta regionale. Questi sono aspetti che ci sembra necessario mettere in evidenza.
Con queste parole crediamo di non avere dato giudizi di parte. Non ci interessa la difesa della persona, se non nei limiti in cui la si riconosce valida, ma non certamente per le sue caratteristiche o le sue qualifiche di tipo politico.
Vogliamo salvaguardare la specificità, il ruolo, il prestigio dell'Istituto e degli altri strumenti del genere, nei confronti del Consiglio regionale e nei confronti degli interlocutori esterni.



PRESIDENTE

Ha chiesto la parola il Consigliere Marchini, ne ha facoltà.



MARCHINI Sergio

Le argomentazioni svolte dal Consigliere Alberton suffragano la richiesta forse un po' colorita che ho fatto alla Giunta.
Se è vero che l'Ires si configura come una sede di informazione permanente per le forze politiche, e se è vero che questo organo, nella persona del suo Direttore, anche se dimissionario, ha dato un giudizio di assoluta stroncatura al Piano, ho buoni motivi per pensare che la critica si riferisse al metodo, alla materia oggetto del Piano di sviluppo e al lavoro di ricerca.
Quindi non mi pare assolutamente contraddittorio chiedere, insistere e lamentare che la Giunta non abbia fatto propria la mia richiesta di confronto con il prof. Detragiache, non a livello politico, ma a livello tecnico.
Per le forze di opposizione, che non hanno le tranches per pagare i consulenti e per fare il Piano, questa richiesta è ovvia nel momento in cui si viene a sapere dal prof. Detragiache, che è garante di una raccolta obiettiva e realistica di dati, che il Piano non sta in piedi.
E' una richiesta da parte di un Consigliere il quale chiede alla Giunta di mettere a confronto i tecnici che hanno preparato il materiale, non quelli che l'hanno elaborato. Bisogna chiaramente distinguere.
La Giunta incomincia a dare segni di insofferenza quando parla il sottoscritto, ma mi chiedo perché è da considerare del tutto fuori luogo una richiesta del genere, mi chiedo se è fuori luogo sentire dalla viva voce del prof. Detragiache e del prof. Mossetto dove e in che cosa si configura la stroncatura sul Piano.
Evidentemente questa consiste nel metodo di elaborazione del Piano e su quanto è oggetto di discussione del Piano, non certamente sulle scelte politiche che la Giunta ha appoggiato, né su quelle che ogni forza politica in Consiglio riterrà di fare. Mi pare che si dica chiaramente:"....il prof.
Detragiache ha delle considerazioni da fare sul Piano. A noi non interessano......" Allora mi chiedo, il PLI, il PSDI e il PRI quale metro hanno se non possono verificare attraverso l'Ires la serietà dei dati che sono alla base del Piano? La mia richiesta di questa specie di tete -à-tete , anche se sembra folcloristica, avrebbe dato la possibilità al prof. Detragiache di fare il suo dovere nei confronti della collettività piemontese che lo ha pagato in questi anni.



PRESIDENTE

L'interpellanza e l'interrogazione sono state svolte.


Argomento: Consorzi - Enti strumentali

Esame Statuto del Consorzio piemontese per trattamento automatico dell'informazione


PRESIDENTE

Vi è ora una richiesta delle Democrazia Cristiana di anticipare la discussione sul punto ottavo dell'ordine del giorno, cioè sullo Statuto del Consorzio piemontese per trattamento automatico dell'informazione.
Vi sono difficoltà? Nessuna. Passiamo quindi all' "Esame dello Statuto del Consorzio piemontese per il trattamento automatico dell'informazione".
La parola al Presidente della Giunta.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Con gli atti sottoposti all'esame ed alle decisioni del Consiglio regionale si conclude la fase di preparazione delle attività del "Consorzio piemontese per il trattamento automatico dell'informazione".
Dopo l'incontro con il Ministro Malfatti, del quale ho riferito in una precedente comunicazione, una delegazione del Comitato provvisorio ha successivamente incontrato il Sottosegretario on. Del Rio, con il quale sono state chiarite le implicazioni che riguardano l'Università ed il Politecnico di Torino. Un'apposita Commissione scientifica del Ministero ha valutato il progetto del Consorzio, e gli organi ministeriali hanno preso visione della bozza di Statuto predisposta nei mesi scorsi. L'esame di questi documenti ha consentito al Ministero di comunicare ai due Rettori che non vi era da parte ministeriale alcuna opposizione a che il Consorzio potesse essere costituito.
E' motivo per me di compiacimento sottolineare che tutto ciò testimonia quanto seri e validi siano stati i lavori svolti dal Comitato provvisorio e dal Comitato scientifico, istituiti in via transitoria come organi della Regione.
In tali organi hanno attivamente collaborato i membri designati dai due Atenei, a conferma che la volontà politica di dar vita al Consorzio ha accomunato dall'inizio tutti e tre gli Enti promotori.
Il Consorzio sarà formalmente costituito al momento in cui, sulla base dell'art. 1 dello Statuto, verrà sottoscritta l'apposita convenzione; si tratta dunque ora di ridurre al minimo i tempi tecnici che precedono tale atto formale, affinché il Consiglio d'amministrazione del Consorzio insediato nella pienezza dei suoi poteri, possa iniziare a definirne l'attività e le linee di sviluppo predisponendo gli strumenti a ciò idonei e procedere alla strutturazione dell'Ente.
La fase transitoria di passaggio dalla situazione attuale, nella quale i tre Enti promotori disponevano di proprie risorse di calcolo (esistono i due Centri di Calcolo dell'Università e del Politecnico), a quella consortile è stata accuratamente predisposta affinché il nuovo Consiglio di amministrazione possa operare nell'ottica dei fini istituzionali del Consorzio (art. 3 dello Statuto) senza peraltro che si abbiano deterioramenti di qualità per l'attuale utenza scientifica, dovuti alle necessarie ristrutturazioni, prima fra tutte il trasferimento delle macchine nella sede propria del Consorzio.
La Giunta regionale, di concerto con i Comitati provvisorio e scientifico, si è già mossa per definire, in ogni suo aspetto l'allestimento di una sede adatta presso l'ex Casa di Riposo per anziani di corso Unione Sovietica; Università e Politecnico, per parte loro garantiranno la gestione operativa delle macchine fino a quando queste saranno trasferite ed il Consorzio avrà proceduto all'assunzione di personale proprio.
Mi preme, in questa sede, non tanto entrare nei dettagli tecnici di tutta la complessa articolazione della fase transitoria, quanto sottolineare il criterio fondamentale che ha ispirato il lavoro del Comitato provvisorio, criterio che assume le caratteristiche di una precisa scelta politica.
Bisognava da una parte tener conto dei vincoli esistenti. Le soluzioni che sono state predisposte dovrebbero consentire al Consorzio di prevedere un periodo iniziale (dell'ordine dei due anni) durante il quale gli Enti consorziati non dovrebbero incontrare difficoltà aggiuntive rispetto alla situazione attuale, e nel frattempo il Consorzio dovrebbe poter progettare le proprie strutture con sufficiente libertà di iniziativa, nell'ambito dei propri fini istituzionali.
Mi paiono questi la sede ed il momento - adatti per esprimere brevemente alcune valutazioni sul significato che assume la costituzione del Consorzio piemontese per il trattamento automatico dell'informazione.
La prima riflessione riguarda i rapporti della Regione Piemonte con gli Atenei piemontesi. La costituzione del Consorzio è un momento molto significativo nell'ambito di questi rapporti.
L'autonomia culturale ed istituzionale degli Atenei è fuori discussione ed è ovvio che la loro attività ed i loro campi di interesse non possono n devono esaurirsi in un ambito puramente regionale. Cadrebbe in una deplorevole ottica provincialistica chi pensasse di risolvere in un rapporto con la Regione la funzione degli Atenei piemontesi. E' anche vero però che queste istituzioni pubbliche potranno recuperare una loro autentica funzione sociale e sperare di uscire dalla crisi, non solo strutturale, che le attanaglia se riusciranno a stabilire un rapporto costruttivo con il territorio sul quale operano e quindi in primo luogo con l'Ente Regione.
Non saremo noi a risolvere la crisi dell'Università - ed urge a questo proposito l'intervento del legislatore in senso realmente riformatore - ma credo che iniziative come il Consorzio siano qualificanti del ruolo che la Regione intende assegnare, per quanto le compete, agli Atenei piemontesi nel pieno rispetto dell'autonomia di questi e nella riaffermazione del primato di sintesi politica che la Regione deve operare con le sue decisioni operative.
La seconda riflessione riguarda il ruolo dell'informazione negli Enti pubblici, cui non ci si può non richiamare in un'occasione come la presente.
Non si vuole certo sostenere che il Consorzio sia destinato ad accentuare in se stesso tutte le funzioni di elaborazione automatica e soprattutto le procedure gestionali della Regione e di altri Enti locali e territoriali.
La Regione, anzi, non intende concedere deleghe ad altri Enti su questa materia; essa intende gestire in prima persona la sua ristrutturazione assumendo anche in questo settore iniziative di coordinamento e di programmazione nei confronti degli Enti locali.
E' per questo motivo fra l'altro che lo Statuto del Consorzio definisce il più possibile una struttura agile e funzionale, coerente peraltro con la natura pubblica degli strumenti di controllo e di gestione. Il Consorzio però può costituire un valido strumento promozionale per la diffusione dell'informatica a livello regionale decentrato. A questo proposito vorrei insistere presso i Consiglieri che vadano a vedere al Bit il nuovo corso presso il Centro di formazione professionale che è di interesse estremo.
Vale la pena di citare per esteso a questo proposito quanto recita l'art. 3: "Scopi del Consorzio - Finalità del Consorzio è mettere a disposizione degli Enti e delle organizzazioni consorziate, attraverso la creazione di un organico sistema informativo regionale, i mezzi per il trattamento automatico dei dati necessari al conseguimento dei rispettivi fini istituzionali nei campi della programmazione, della ricerca, della didattica e della gestione operativa.
Compito del Consorzio è la progettazione, la realizzazione e la gestione di un sistema regionale di elaborazione dei dati che, operando nel quadro della politica regionale di programmazione e promovendo la connessione tecnica ed operativa degli Enti ed organizzazioni consorziate garantisca lo scambio diretto delle informazioni e delle conoscenze l'utilizzazione in comune delle risorse, la standardizzazione delle procedure, faciliti l'accesso alle tecniche informatiche da parte degli Enti di minore dimensione e la loro estensione a nuovi settori di interesse sociale, favorisca la formazione di tecnici dell'informatica orientati ai problemi economico-sociali della Regione".
Mi sembra del tutto realistico sostenere che se il Consorzio assolverà queste finalità, potrà contribuire non poco a diffondere nella pubblica amministrazione della Regione una "cultura informatica". E' la carenza di una buona base culturale in questo campo, infatti, una delle cause per cui gli amministratori sono spesso in balia del "mercato dell'informatica" alimentando inconsapevolmente una forma di consumismo che anche in questo settore è fonte di spreco.
E' su questa linea di rigore culturale che da tempo la Regione si è assestata, quando ha scelto di dotarsi di una propria struttura interna per risolvere i problemi più urgenti. Non si è così delegato a tecnici specializzati esterni il compito di risolvere dei problemi settorialmente definiti, ma si è avviata una dialettica assai feconda, grazie alla quale la maturazione tecnica delle soluzioni si accompagna alla valutazione critica delle medesime, il tutto nell'ambito di una scelta che privilegia il Consorzio come momento di aggregazione e di coordinamento.
In questa linea la Giunta propone e mette voto la deliberazione.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Ferrero.



FERRERO Giovanni

Signori Consiglieri, la I Commissione ha concluso l'esame degli atti necessari all'iter costitutivo del Consorzio piemontese per il trattamento automatico dell'informazione. L'introduzione fatta dal Presidente della Giunta e quanto potrà essere aggiunto da altri Consiglieri mi esimono dal dilungarmi in sede di relazione sui singoli aspetti tecnici ed operativi del Consorzio medesimo.
Fin dall'avvio della seconda legislatura regionale questo tema ha accompagnato l'attività del Consiglio; peraltro ha impegnato in modo specifico i Consiglieri Alberton, Benzi, oltre al sottoscritto, a seguire insieme al Presidente del Bit, al Presidente della Giunta regionale all'Assessore Simonelli i lavori del Comitato provvisorio che ha definito gli atti preparatori alla costituzione del Consorzio medesimo, i Consiglieri già presenti durante la prima legislatura potrebbero riferire del dibattito dell'attività legislativa fin da allora sviluppato. La I Commissione ha quindi ribadito, in conformità a quanto espresso anche in passato dalle forze politiche, l'importanza del fatto che la Regione si impegni, insieme all'Università e al Politecnico, nella costituzione di una struttura unica di coordinamento dei diversi aspetti di ricerche applicative che l'informatica assume nella nostra Regione.
I contributi che derivano agli Enti consorziandi, pur nella loro autonomia e nell'osservanza delle proprie finalità, richiedono una struttura agile ed efficiente, ma che sia espressione della volontà degli Enti.
Per conseguire questo scopo è stato redatto lo Statuto oggi sottoposto all'approvazione del Consiglio, che aveva già trovato un'approvazione di massima da parte dei tre enti e che non ha sollevato nessuna obiezione da parte del Ministero della Pubblica Istruzione. Esso è ampiamente illustrato nella relazione allegata che i Consiglieri hanno trovato nel materiale distribuito.
La I Commissione ha esaminato anche lo schema di conto economico del Consorzio. Esso contiene in modo specifico l'indicazione dell'ammontare del fondo di avviamento proposto in 200 milioni, da ripartirsi rispettivamente in 100 milioni alla Regione, 60 milioni all'Università e 40 milioni al Politecnico, e una traccia delle entrate e delle uscite durane la fase di avvio dell'iniziativa.
Risulta evidente a tutto il Consiglio l'impegno che la Regione si assume nelle sviluppare e nel diffondere l'utilizzazione questi strumenti accanto a un processo di rinnovamento della struttura organizzativa e delle finalità degli enti medesimi.
Su questa materia la I Commissione ha unanimemente espresso parere favorevole e sottopone quindi la deliberazione all'approvazione del Consiglio regionale.
Colgo l'occasione per comunicare che vi è un ordine del giorno presentato all'Ufficio di Presidenza e sottoscritto in modo unitario dalle forze politiche, il quale puntualizza e precisa alcuni elementi collaterali che risultano indispensabili per ottenere i risultati che con la deliberazione presentata intendiamo prefiggerci.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Alberton



ALBERTON Ezio

E' certamente superfluo che il nostro Gruppo ribadisca il giudizio positivo che dà all'iniziativa in corso. Abbiamo già espresso in sede di Commissione il giudizio positivo sullo Statuto del Consorzio. Ci sia per consentito di approfittare di questa occasione per fare alcune considerazioni.
Il Consorzio è visto dalla Regione sotto due ottiche: una è quella della razionalizzazione del sistema informatico e di una maggiore efficienza del medesimo, un'altra è quella dello sviluppo e del potenziamento del settore.
In merito al primo aspetto, è opportuno che il Consiglio regionale, nel momento in cui delibera lo Statuto e quindi dà il via formale alle attività del Consorzio, prenda consapevolmente atto dello sforzo finanziario che la Regione sta facendo in questa direzione. Non sarebbe molto opportuno che imboccassimo una strada di questo genere senza essere fino in fondo consapevoli di quello che stiamo compiendo.
Vorrei ricordare alcune cifre che emergono dal conto economico, pur considerando le probabili varianti che dovrà ancora subire.
Nel 1977 la Regione conta di spendere 90 milioni per un reale utilizzo del sistema informativo e altri 385 milioni per contributi una tantum contributi a ripiano, fondo di dotazione per l'attività del Consorzio. In più allestisce la sede del Consorzio medesimo.
Nel 1978, sempre rispetto alle previsioni che si possono trarre dal conto economico, la Regione prevede di spendere 430 milioni per un utilizzo del sistema informativo e aggiunge altri 345 milioni per far quadrare complessivamente il bilancio. Sono cifre di notevole rilevanza, Già in sede di Commissione abbiamo avuto occasione di ricordare come cifre di questo genere impongano al futuro Consiglio d'amministrazione un'esigenza di estrema correttezza della gestione finanziaria.
Non sembri riduttivo parlare di questi argomenti in un momento così importante come quello del varo del Consorzio, ma ci sono Enti universitari che da questo traggono sicuramente un beneficio economico, Il sistema di conti che il quadro economico prevede fa sì che minore è l'utilizzo delle macchine, maggiore sia la quantità di fondi da erogare a ripiano del conto economico.
E' chiaro che debbono esserci degli impegni estremamente seri e oculati da parte degli Enti consorziandi per garantire che le quote di utilizzo delle macchine previste si realizzino.
La nostra proposta è che gli impegni finanziari siano assunti a preventivo.
Questa considerazione suggerisce la necessità di definire con estrema urgenza e precisione le priorità e le risorse necessarie, almeno per quanto riguarda la Regione.
Nel momento in cui si sta varando una struttura consortile, dobbiamo fare una raccomandazione agli altri Enti, poiché è emerso dalle analisi dell'utilizzazione del Centro di Calcolo dell'Università un bassissimo utilizzo del medesimo e sarebbe uno spreco se gli Enti universitari non si impegnassero per una completa saturazione.
Sotto questa ottica devono leggersi le prese di posizione che abbiamo assunto, nei mesi scorsi, quando invitavamo la Giunta regionale, nelle more della definizione formale del Consorzio, a mettere a fuoco tutti i, passi che debbono compiersi per raggiungere questi obiettivi.
Nel conto economico si prevede che l'utenza regionale passi da 90 milioni nel 1977 e 430 milioni nel 1978; c'é un rapporto da uno a cinque.
La Regione si impegna seriamente: di qui la richiesta, che compare nell'ordine del giorno, per conoscere nei dettagli quali sono le iniziative che la Regione intende prendere sia nei termini di selezione degli obiettivi, dei programmi e dei settori da caricare sul Consorzio, sia in termini di risorse aggiuntive di cui dotarsi per soddisfare queste esigenze.
Il Consiglio deve essere consapevole che gli impegni della Regione nel settore del sistema informativo regionale non si esauriscono nell'ambito del Consorzio. Sotto questo profilo, abbiamo chiesto di conoscere quali altre iniziative la Regione stia portando avanti in settori analoghi che possano avere attinenza con le attività del Consorzio. Dobbiamo essere molto franchi: sono mesi che si sente parlare di convenzioni, ci è stato detto in un primo momento che erano cose che non riguardavano le interazioni Regione-Consorzio e Regione-Enti universitari. Eravamo e siamo del parere opposto.
Abbiamo sollecitato questi aspetti per rispettare la dignità ed il coinvolgimento degli Enti universitari, sono stati portati nel Comitato provvisorio, poi è calato di nuovo il silenzio. Vi è un viavai di posizioni che pretende una certa chiarezza.
Come Democrazia Cristiana abbiamo fatto alcune proposte sul modo di intendere il Consorzio. Abbiamo sottolineato che, oltre l'aspetto della formazione dei tecnici informatici, il Consorzio potrebbe proporsi obiettivi più ambiziosi (che sono correlati con quanto diceva il Presidente circa un'analisi da svolgersi all'interno delle strutture). E crediamo sia cosa opportuna fare riferimento al Consorzio proprio per trovare in quella sede il coinvolgimento degli istituti universitari di ricerca.
Riteniamo opportuno fare queste considerazioni.
Approviamo l'ordine del giorno e ci attendiamo che la Giunta, nel prosieguo delle attività per la messa in opera effettiva del Consorzio riferisca ancora al Consiglio.



PRESIDENTE

La parola alla dottoressa Castagnone Vaccarino.



CASTAGNONE Aurelia

A nome del Gruppo repubblicano intendo dare il nostro giudizio positivo alla creazione di questo Consorzio.
Riteniamo essere già espresse nell'ordine del giorno le eventuali preoccupazioni e quindi le richieste che vengono rivolte alla Giunta in ordine allo svolgimento e all'operatività successiva del Consorzio stesso.
Speriamo che il Consorzio abbia funzione di stimolo anche nei confronti dell'Università e del Politecnico.
Occorre dire che sarebbe opportuno offrire (non dico costringere perché gli Enti sono autonomi) agli Enti la possibilità ed il vantaggio dello sfruttamento del Consorzio, in modo che non si creino tanti piccoli consorzi a livelle comunale. E' semplicemente un invito. Sarebbe utile e opportuno far risparmiare agli Enti autonomi denari sovente consumati inutilmente.



PRESIDENTE

Esaurite le dichiarazioni dei Gruppi, metto in votazione la deliberazione di cui vi dò lettura: "Il Consiglio regionale, sulla base della valutazione espressa dalla I Commissione consiliare in merito alla costituzione del 'Consorzio piemontese per il trattamento automatico dell'informazione' da istituirsi tra Regione Piemonte, Università e Politecnico; valutando positivamente l'attività del Comitato provvisorio e del Comitato scientifico che ha portato alla definizione dello Statuto del Consorzio e dell'allegata relazione al fine di mettere a disposizione degli Enti pubblici i mezzi per il trattamento automatico dei dati necessari al conseguimento dei propri fini istituzionali nei campi della programmazione, della ricerca, della didattica e della gestione operativa riafferma l'importanza che il Consorzio riveste per la progettazione la realizzazione e la gestione di un sistema regionale di elaborazione dei dati che, operando nel quadro della politica regionale di programmazione e promovendo la connessione tecnica ed operativa degli Enti ed organizzazioni consorziate, garantisca lo scambio diretto delle informazioni e delle conoscenze, l'utilizzazione in comune delle risorse, la standardizzazione delle procedure, faciliti l'accesso alle tecniche informatiche da parte degli Enti di minore dimensione e la loro estensione a nuovi settori di interesse sociale, favorisca la formazione di tecnici dell'informatica orientati ai problemi economico-sociali della Regione.
Ai sensi della legge regionale 4 settembre 1975 n. 48 delibera 1) di approvare l'allegato Statuto del Consorzio piemontese per il trattamento automatico dell'informazione 2) di dare mandato al Presidente della Giunta regionale di sottoscrivere l'atto costitutivo del Consorzio stesso con il Rettore dell'Università degli Studi di Torino e con il Rettore del Politecnico di Torino".
Chi approva è pregato di alzare la mano.
La deliberazione è approvata all'unanimità dei 48 Consiglieri presenti.
Pongo in votazione l'ordine del giorno sottoscritto da tutte le forze politiche che ora vi leggo: "Il Consiglio regionale del Piemonte, in occasione dell' approvazione della deliberazione concernente la costituzione del 'Consorzio piemontese per il trattamento automatico dell'informazione' riconosciuta la validità delle attività svolte al fine di dare una risposta alla necessità della Regione di dotarsi di strutture nel settore dell'informatica impegna il Presidente della Giunta regionale a definire e dare rapido avvio a quanto necessario per consentire nel più breve tempo possibile al Consorzio di entrare in attività, riferendo tempestivamente al Consiglio regionale sul merito delle iniziative intraprese e da intraprendere, fra cui in particolare, quelle già in corso, quali: a) gli adempimenti necessari alla stipula della convenzione, nel quadro del conto economico predisposto dalla Segreteria del Comitato provvisorio ed esaminato dalla I Commissione consiliare; alla sistemazione edilizia del Consorzio e a quanto necessario a consentire un rapido avvio all'attività del Consorzio b) le iniziative già avviate o in fase di realizzazione o di studio inerenti alle attività della Regione in campo informatico che possano avere attinenza con l'attività del costituendo Consorzio".
Chi approva è pregato di alzare la mano. L'ordine del giorno è approvato all'unanimità dei 48 Consiglieri presenti.


Argomento: Parchi e riserve

Esame deliberazione Consiglio regionale per l'approvazione del Piano regionale dei parchi e delle riserve naturali - Legge regionale 4 giugno 1975, n. 43


PRESIDENTE

Passiamo al punto quinto dell'ordine del giorno: "Esame deliberazione Consiglio regionale per l'approvazione del Piano regionale dei parchi e delle riserve naturali - Legge regionale 4 giugno 1975, n. 43".
Ha la parola l'Assessore competente, Rivalta.



RIVALTA Luigi, Assessore alla pianificazione territoriale

La deliberazione posta oggi in approvazione al Consiglio regionale consegue all'applicazione della legge n. 43 del 1975.
La legge, all'articolo 1, assume come finalità principale quella di conservare e difendere l'ambiente e di valorizzare le economie locali. Tale finalità è più opportunamente attribuibile ad una politica generale del territorio regionale, poiché non è possibile pensare che il conservare e difendere il paesaggio e l'ambiente ed il valorizzare le economie locali debba essere una prerogativa delle politiche svolte in qualche parte soltanto del territorio regionale.
Gli ultimi esempi di disastri ambientali ed ecologici nel nostro Paese il caso di Seveso, di Agrigento e di altre località - ci indicano come un'attenzione particolare alla conservazione e alla difesa dell'ambiente e alla valorizzazione delle economie locali debba essere portata all'insieme del territorio.
Vi sono esempi negativi delle politiche svolte nel passato anche in vari punti della nostra Regione. Non sto a richiamare le responsabilità politiche, perché non è questo il tema del dibattito. Ne traggo per elementi per porre in evidenza la necessita di una diversa politica del territorio.
Sotto questo profilo credo che abbia peso e importanza generale la discussione che è in corso nella comunità regionale sul disegno di legge sull'uso del suolo, che viene a colmare, rispetto alla legge 43 del '75 una dicotomia nell'attenzione da portarsi nei confronti del territorio regionale. Attenzione, appunto, che va estesa a tutto il territorio finalità che già era implicita nelle dichiarazioni di tutte le forze politiche, nella passata legislatura, come in questa.
Su questo siamo stati d'accordo al momento della votazione della legge 43.
Perché allora questa politica dei parchi? Perché l'attenzione che va posta sul territorio in generale, trova in alcune zone della Regione un'esigenza di anticipazione di interventi prioritari.
La presenza di valori naturalistici è particolarmente evidente in alcune aree dove fauna, flora o altri aspetti della natura, assume un interesse di carattere scientifico, tanto da far considerare queste aree dei veri e propri laboratori di osservazione della natura, esterni alle strutture tradizionali di ricerca ma connessi con essi, per cui deve essere portata su di esse una salvaguardia assoluta.
In altre parti del territorio, zone montane e collinari, ed anche in qualche zona di pianura, in particolare dove sono presenti laghi, boschi e foreste, vi sono aspetti naturalistici forse meno evidenti perché meno singolari, ma ugualmente interessanti nel loro insieme e sotto il profilo ambientale e paesistico.
Sono queste le ragioni che giustificano la Legge n. 43 del 1975, legge che anticipa una politica che in certa misura deve essere condotta in tutto il territorio.
Nella sua applicazione si è proceduto tenendo fede alla procedura individuata dalla legge, che invitava la comunità regionale, nella sua articolazione istituzionale, culturale e sociale, ad indicare aree aventi caratteristiche ambientali e naturalistiche emergenti, e tali da motivarne l'inserimento in questa anticipazione di politica di difesa del territorio.
Si sono consultati gli Enti locali, le organizzazioni di carattere scientifico, ricreativo e sociale, come richiede l'art. 2 della legge 43.
Dalle risposte ricevute, per selezione, si è proceduto alla formulazione del quadro che qui viene oggi proposto.
Le informazioni che sono pervenute dalla comunità regionale, riguardano 130 aree. Dalle 130 aree si è passati alle 29 che fanno parte della deliberazione; tale selezione è stata condotta dall'Assessorato attraverso le consultazioni. Sono state prese in considerazione le aree per le quali le indicazioni fornite e raccolte costituiscono una documentazione esauriente, e sono state sospese le aree per le quali la documentazione si presentava non ancora completa, non sufficiente a cogliere tutti gli aspetti di interesse.
Si è tenuto conto anche dell'esigenza di intervenire in quelle aree dove il rischio ed il pericolo imminente di degradazione richiede misure urgenti. La riduzione e selezione è anche motivata dal fatto che stiamo introducendo una politica nuova nella nostra Regione, e per molti aspetti nuova nel Paese, che è frutto di una maturazione culturale e di coscienza che ha bisogno ora di una sperimentazione esemplare. Vi è l'esigenza di procedere per gradi al fine di creare elementi concreti di realizzazione che ottengano consenso, credibilità, fiducia, e creino le condizioni per procedere oltre.
La selezione era stata già condotta a livello di Assessorato riconducendo le 130 aree a 32, rispetto alle quali era stata formulata la proposta del piano regionale dei parchi presentato dalla Giunta. Nel corso della discussione in Commissione la proposta delle 32 aree è stata ulteriormente ridotta, ed oggi le aree sono 29.
L'attuale proposta che esce dal dibattito della Commissione, oltre alla riduzione delle aree, contiene le variazioni di confine, in qualche caso in diminuzione rispetto alla prima delimitazione, in altri casi in espansione.
La Commissione ha proceduto a questa riduzione soprattutto seguendo il principio, che già l'Assessorato aveva tenuto in massimo conto nel corso di elaborazione della proposta, di ottenere il massimo consenso della comunità regionale, ritenendo che per applicare una politica di questo genere, è necessario operare con le comunità locali, non in opposizione ad esse, in modo illuministico o dirigistico.
Diventerà estremamente difficile procedere alla fase successiva di costruzione reale della politica dei parchi se non si acquisirà un minimo di consenso che ci permetta successivamente di colloquiare efficacemente e speditamente con le comunità locali.
In merito alle aree che sono state sospese, in particolare l'area della collina morenica di Rivoli, della Volvera e del Lago di Viverone, il colloquio con le comunità locali non ha raggiunto un grado di maturazione tale da permetterci di ottenere consensi.
Si è ritenuto di sospendere le decisioni con l'impegno e con l'intenzione, come è tradotto dalla deliberazione che è uscita dalla II Commissione, di portare avanti questo discorso affinché nel primo aggiornamento del piano regionale dei parchi anche queste aree possano essere recuperate e inserite.
Con la deliberazione di oggi, che, come credo, troverà l'approvazione unanime del Consiglio avendola trovata in Commissione (dopo una fase unitaria di lavoro che ci ha visto discutere ed operare dall'aprile '75 fino ad oggi) si aprirà una successiva fase che vedrà in una certa misura più impegnata la Giunta ed anche il Consiglio regionale. La fase prevede l'istituzione, attraverso provvedimento legislativo, dei singoli parchi.
Le leggi istitutive dovranno essere costruite attraverso il consenso e la partecipazione delle comunità locali, soprattutto dei Consigli comunali dei Comuni a cui appartengono i territori destinati a parco. Avremo quindi la possibilità di ricuperare quanto di impreciso può essere contenuto in questa fase che è di definizione programmatica e propedeutica alla fase attiva della politica dei parchi.
Quella che seguirà, sarà una fase in cui il rapporto con le comunità locali e il consenso delle popolazioni dovranno essere più approfonditi.
Dovrà realizzarsi non più soltanto sulla base della linea generale impostata dalla legge n. 43; dovrà essere un consenso legato alle finalità specifiche che si individueranno per le singole aree.
Richiamo questi aspetti perché, mentre per alcune aree che si configurano come vere e proprie riserve naturali, per gli aspetti botanici zoologici, archeologici che presentano, quindi veri e propri laboratori a riserva integrale, dove forse la presenza umana dovrà essere bandita, per altre aree, di notevole dimensione, all'interno delle quali vivono comunità, il discorso dovrà entrare nel merito della modalità di sviluppo della presenza umana, in una prospettiva di valorizzazione e di utilizzo plurimo delle zone.
Regolare i comportamenti, avendo come finalità centrale la tutela e la difesa ambientale delle zone insieme con la valorizzazione delle economie locali, richiede un discorso che non può che essere fondato sulla larga presenza e partecipazione, anche decisionale, delle comunità. Sotto questo profilo assume particolare rilevanza la presenza delle attività agricole e delle attività silvopastorali, che si intrecciano con le rilevanze strettamente naturalistiche.
Le discussioni che in questi ultimi mesi abbiamo già condotto con le comunità locali e all'interno della Commissione ci permettono di partire in modo corretto. Nel dibattito tenutosi nel 1975, al momento dell'approvazione della legge n. 43, nella relazione consegnata a giugno del 1976 dall'Assessorato e nel dibattito di questi ultimi mesi si rileva una particolare attenzione del Consiglio regionale nel considerare l'agricoltura e le attività silvopastorali non soltanto un modo d'essere e di vita delle comunità locali, ma un dato essenziale per la stessa difesa dell'ambiente e del territorio.
Abbiamo sottolineato che l'abbandono di tali zone, e l'abbandono delle attività agricole e silvopastorali, è stato l'elemento che ha innescato un processo grave di degradazione che potrebbe raggiungere in futuro situazioni di pericolo.
Occorre avviare una fase di approfondimento con le comunità locali perché la situazione delle 29 aree venga ulteriormente approfondita specificata e arricchita in modo tale da diventare base fondamentale per la formazione della legge istitutiva e per la definizione dei piani di utilizzo. Verrà anche precisato il carattere della gestione: si dovranno evitare direzioni di carattere centrale e dirigistico, quali sono le esperienze fatte in sede nazionale. Dovremo trovare strutture di gestione che rendano effettiva la partecipazione delle comunità locali. La legge dell'aprile 1975 dà degli indirizzi in questo senso, che ovviamente dovranno essere approfonditi.
Noi abbiamo cercato già in questa fase il consenso non per un accomodamento facile. Abbiamo accettato alcune proposte di riduzione perch lo abbiamo ritenuto politicamente necessario e, mentre non abbiamo fatto alcuna concessione sulla linea generale, abbiamo operato nei due momenti di lavoro, dell'Assessorato e della Commissione, perché il problema del consenso fosse visto come un processo di progressiva e dialettica maturazione. Abbiamo operato per fare in modo che questo processo di maturazione assumesse e assuma carattere di aggregazione sociale e culturale, cercando di vincere le divisioni e le contrapposizioni che sono sorte attorno a questo problema.
Nella fase successiva di perfezionamento e di definizione delle leggi istitutive dovremo portare avanti questo processo, cercando di realizzare unità di intenti in cui possano trovare corretta soluzione i vari interessi di carattere ricreativo, economico e culturale. La politica dei parchi, se giustamente condotta, è anche momento di aggregazione sociale e culturale e non momento di divisione e di contrapposizione come in qualche caso durante le discussioni, si è voluto far emergere.
Con quanto detto, mi sono limitato alla presentazione generale della deliberazione, poiché dei problemi delle singole aree si è discusso all'interno e all'esterno del Consiglio regionale. Cito soltanto un caso quello dell'area appartenente al Parco del Gran Paradiso. L'area è adiacente al perimetro attuale del parco e si connette al parco esistente nel territorio francese della Vanoise. Deve essere tutelata per i rapporti di migrazione e di interscambio della fauna che vi sono tra i due parchi.
Ha trovato un contrasto da parte dell'Amministrazione comunale. E' uno dei casi in cui è stata più decisa da parte nostra la forzatura nei confronti dell'Amministrazione comunale. Ma la ragione sta appunto nell'esigenza di dare congiunzione ai due parchi nazionali appartenenti all'Italia e alla Francia. Il nostro impegno a difesa del Parco del Gran Paradiso assume oggi un significato particolare, lo richiamava l'avv. Oberto: è in discussione il destino del Parco nazionale del Gran Paradiso.
Voglio sottolineare personalmente che trovo improvvisata e immatura la decisione di trasferire i parchi nazionali alle Regioni. Non sono ancora state chiarite in sede nazionale, nella revisione della legislazione quadro, la politica del territorio e l'articolazione delle presenza e delle competenze nei confronti delle politiche dei parchi.
Ci sono situazioni che per valore naturalistico, storico e culturale e per tradizione, debbono rientrare in una politica nazionale.
Il Parco del Gran Paradiso, per il suo significato storico e per il suo valore deve essere ritenuto una di quelle aree che dovrebbero attenere ad una politica di carattere nazionale, all'interno della quale collocare partecipazioni delle Regioni.
Credo sia difficile oggi rimettere in discussione la questione. Sarebbe comunque importante sospendere la decisione che anticipa il passaggio di una parte del parco alla Regione Valle d'Aosta, con la legge speciale proposta per quella Regione, e rimandare ogni decisione alla legge 382 dove anche il passaggio potrà trovare una soluzione organica relativa ad entrambe le Regioni interessate.
Noi comunque diciamo fin d'ora che stiamo attenti a questi problemi, e nella misura in cui diventeranno competenze regionali, opereremo per il massimo di apporto positivo.



PRESIDENTE

Propongo di sospendere ora i lavori per riprenderli alle ore 15,30.
La riunione dei Capigruppo è fissata per le ore 15, per una serie di questioni da esaminare.
Vi sono obiezioni a questa procedura? Non ve ne sono.
La seduta è pertanto tolta.



(La seduta ha termine alle ore 12,50)



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