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Dettaglio seduta n.86 del 02/12/76 - Legislatura n. II - Sedute dal 16 giugno 1975 al 8 giugno 1980

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SANLORENZO


Argomento: Patrimonio culturale regionale (linguistico, etnologico, folcloristico, storia locale)

Esame proposta di legge n. 54: "Tutela del patrimonio linguistico e culturale del Piemonte""(rinvio)


PRESIDENTE

La seduta è aperta. Passiamo al punto quarto dell'ordine del giorno: "Esame proposta di legge n. 54; "Tutela del patrimonio linguistico e culturale del Piemonte".
Nei confronti di questa proposta di legge sono pervenuti alla Presidenza del Consiglio numerosi telegrammi, di cui non leggo il testo, ma desidero per lo meno citare coloro che li hanno inviati, perch testimoniano un interesse, una partecipazione di cui vorremmo fossero sempre oggetto le leggi regionali: prof. Guio Sobiela, linguista spagnolo esule a Zurigo; Associazione Internazionale per la difesa delle lingue e culture minacciate; Federazione Pro Loco dell'Alta Langa; Amici di Piazza di Mondovì; Movimento autonomista Occitano: Presidente della Provincia di Cuneo; Comuni di Montaldo, Ormea, Vigliano Biellese, Mondovì, Boves, Ceva ma forse ho dimenticato qualcuno.
Il relatore della proposta di legge è il Consigliere Calsolaro a cui do la parola.



CALSOLARO Corrado, relatore

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, la proposta di legge per la tutela del patrimonio linguistico e culturale del Piemonte, in attuazione dei principi fissati dallo Statuto, è stata presentata nel dicembre dello scorso anno, ma risale in realtà al 14 settembre 1972 quando, nel corso della I legislatura, il Gruppo socialista presentò l'analoga proposta di legge, n. 41.
La proposta di legge n. 41, per ragioni diverse che non è il caso di richiamare, e nonostante esistessero tutte le condizioni obiettive per l'esame e l'approvazione, non fece molti passi avanti; anzi per la verità non ne fece alcuno. Risultarono così inutili tutti gli sforzi per rimuoverla dalle secche della procedura legislativa in cui era rimasta immobilizzata.
All'inizio di questa seconda legislatura la proposta di legge è stata ripresentata: si è allargata l'area dei firmatari, si è richiesta e si è sollecitata - al di là del diverso impegno politico e della diversa collocazione di schieramento - l'adesione, che riteniamo esista convinta e sincera in Consiglio, anche da parte di quei Gruppi che non sono formalmente rappresentati nell'elenco dei proponenti ed ai quali chiediamo ancora una volta il voto favorevole al fine di realizzare la più larga convergenza possibile dei consensi.
Ho ritenuto di dovermi avvalere delle disposizioni regolamentari relative ai termini per la presentazione delle relazioni da parte delle Commissioni al Consiglio a seguito dell'ulteriore scadenza della proroga concessa nel corso della sessione estiva, ed in considerazione dell'avvenuto approfondimento e della maturazione di un dibattito che ha avuto come protagonisti gli Enti locali, le Comunità montane, gli Enti e le associazioni culturali, i gruppi minoritari, organi di informazione nazionale e regionale, esponenti di varia estrazione ideologica sostenitori di un autentico regionalismo che affondi le sue radici nella autonoma capacità creativa delle popolazioni locali.
La proposta di legge colloca l'intervento regionale su due piani: quello più propriamente piemontese al titolo II; la tutela delle lingue e dei dialetti delle minoranze etnico-linguistiche al titolo III.
Sul primo punto, e cioè sul piemontese, ci sembra opportuno richiamare alcune osservazioni: Lo scopo dell'iniziativa legislativa non è quello di stabilire se il piemontese sia una lingua o un dialetto, ma, come si dice nella relazione di promuovere il risveglio delle periferie, con un lavoro di alfabetizzazione scolare teso non alla folklorizzazione con la creazione di musei umani occasionali e viventi, ma all'arricchimento culturale generale attraverso uno specifico che i fatti hanno dimostrato essere un valido antidoto ad una massificazione consumistica che, con l'accentramento linguistico, rappresenta una vera e propria forma di fascismo.
Il problema è di trasformare il rapporto di prevaricazione tra cultura ufficiale e cultura subalterna in rapporto dialettico. Ciò non sarebbe più possibile con la scomparsa, o l'abrogazione, della cultura subalterna.
L'obiettivo primo è pertanto quello di creare le condizioni per la resistenza di tutte le forme alterne e subalterne di cultura.
L'importanza di offrire almeno la possibilità di ottenere l'insegnamento della lingua materna appare chiara se si tiene conto che il fatto democratico presuppone la pluralità delle voci: perciò nella misura in cui si vuole parlare di "democrazia linguistica" si presuppone l'addestramento plurilinguistico, in alternativa all'attuale addestramento monolinguistico tradizionale.
L'acquisizione - oltre che della lingua nazionale - di ogni tipo di parlata di cui la comunità alla quale l'allievo appartiene si serve per comunicare, fa del bilinguismo naturale di una gran parte della popolazione piemontese una scuola di formazione intellettuale che la libera dal monolitismo di una sola grammatica e di una norma dogmatica.
Se è vero che la proposta di legge non ha come obiettivo quello di risolvere legislativamente il dilemma lingua-dialetto, non ci sono dubbi che il piemontese è ormai riconosciuto come lingua dagli studi più aggiornati ed aperti, tanto per le peculiarità fonetiche e per la ricchezza lessicale, quanto per le tradizioni letterarie, espresse in una "koiné" o lingua comune, utilizzata anche per la redazione di numerosi dizionari e grammatiche.
Il piemontese ha finora avuto dal potere pubblico un trattamento inversalmente proporzionale alla sua importanza nella storia e nel presente.
Esso possiede le sue grammatiche a partire dal XVIII secolo (la prima fu infatti opera del medico Maurizio Pipino e fu pubblicata nel 1783 presso la Stamperia Reale) fino ai nostri giorni. L'ultima in ordine di tempo, è di Camillo Brero ed è preceduta da un'acuta prefazione critica del prof.
Gianrenzo Clivio delle Università di Harvard e di Toronto nella quale fra l'altro si dice: "Oggi i segni di un rinnovato interesse per la parlata piemontese sono più vivi che mai, specie in quegli ambienti dove il sentire umanistico invita a rifiutarsi alla spersonalizzazione e alla massificazione: parlare piemontese, infatti, in regime di dilagante e talora meschinamente snobbistica italofonia, è un ottimo modo per dichiarare senza riserva non solo la serena coscienza del proprio passato e l'orgoglio di esso, ma anche il rigetto della fattura in serie, buona per le automobili, disumanante per i vivi".
E ancora: "Se si rinuncia alla propria lingua tradizionale, si rinuncia anche a tutto il patrimonio che essa racchiude e si perde, allo stesso tempo, una parte della propria individualità: l'italofonia totale sarebbe certo un inutile 'instrumentum regni' (e ben lo comprese la dittatura del ventennio) perché si comanda meglio ad automi che a uomini. Si rifletta infine, che l'accettazione di una lingua di maggior prestigio è spesso determinata, come insegna la sociologia linguistica, da un senso di insicurezza o perfino da un complesso di inferiorità che si crede di poter guarire o mascherare mutando il proprio comportamento".
Fu proprio il senso di inferiorità che fece vergognare i piemontesi delle categorie medie di parlare nella lingua regionale e li indusse a non insegnarla più ai propri figli. Il fatto è andato via via aggravandosi per la completa ignoranza, complice la scuola, del nostro patrimonio culturale regionale.
Ho detto di un piemontese che ha le sue grammatiche, ma anche di una copiosa serie di raccolte lessicali e di dizionari; che è stato usato in Chiesa.
E' abbastanza singolare e significativo il fatto che le società per la diffusione della Bibbia, come la "British and Foreign Bible Society" citino sempre il piemontese come una delle lingue nelle quali il sacro testo è stato tradotto. Del resto, recentissime iniziative dei cattolici hanno consentito la celebrazione della Messa interamente in piemontese cosa che non è accaduta per i sardi e i friulani che pur godono della quasi generale considerazione di lingue.
Assunto a dignità letteraria fin dal XII secolo, con i "Sermones subalpini", prima quindi dello stesso volgare toscano, il piemontese è passato attraverso espressioni di creatività del tutto originali ed autonome che vanno dai canti popolari alle opere di autori insigni quali fra gli altri, padre Ignazio Isler, Edoardo Calvo, Angelo Brofferio, fino a Nino Costa.
E' dall'ispirazione nata dalla sofferta partecipazione e dall'infinito dolore per la morte del figlio Mario, caduto combattendo nella guerra partigiana contro i tedeschi nell'agosto 1944, che Nino Costa scrisse in piemontese nel libro "Tempesta" alcune fra le pagine artisticamente ed umanamente più alte della poesia della Resistenza.
Non ci sembra necessario, dopo questi brevi cenni, approfondire un tema quale è quello relativo a ciò: se il piemontese sia una lingua o un dialetto, pur accogliendo in via di principio la prima proposizione - che non è di competenza del Consiglio regionale, e che soprattutto non ha alcun rilievo né dal punto di vista scientifico, ne da quello letterario, né da quello giuridico, né avendo alcuna implicazione in ordine alla proposta di legge.
E' peraltro noto che il presupposto secondo cui le cosiddette lingue si differenziano in modo più accentuato e comunque diverso rispetto ai dialetti è completamente errato. Esistono lingue romanze assunte a dignità di lingua nazionale che si differenziano dall'italiano molto meno di quanto taluni dialetti italici si differenziano dal toscano. In realtà ciò che conta è valutare se ci troviamo di fronte ad un gruppo linguistico nel quale l'idioma rappresenti, anche se non in via esclusiva, il fattore di aggregazione del gruppo e di separazione di esso dal gruppo contrapposto.
Così la lingua d'oc fu lingua al tempo dei trovatori, decadde a dialetto dopo la conquista dei re capetingi, è ritornato a dignità di lingua con Federico Mistral e con i riconoscimenti contemporanei.
L'olandese è lingua nei Paesi Bassi e nel Belgio, è dialetto in Germania, e quasi lingua in Francia.
E' per questo che la proposta di legge, enucleando il principio secondo cui quando un popolo prende coscienza del proprio strumento linguistico utilizzandolo non solo in letteratura, ma anche nella scuola e nei culti conferisce al dialetto dignità di lingua e recependo le istanze di base quali si evidenziano dalle norme statutarie deliberate dalle Comunità montane che già si sono pronunciate in tal senso, si riferisce al piemontese come lingua, anziché come dialetto.
Il recupero del patrimonio linguistico e culturale del Piemonte esige fra le misure di immediata applicazione, che di esso se ne occupi la scuola a tutti i livelli. Solo la scuola, infatti, è in grado di far fruttare nel modo più efficace le somme che la Regione destinerà allo scopo, perché solo la scuola realizza in modo totale l'incontro delle nuove generazioni con la cultura.
La prima fase di intervento si realizza pertanto con la promozione di corsi per insegnanti. Sarebbe infatti assurdo e dannoso nasconderci che gli attuali insegnanti, usciti da un tipo di ordinamento scolastico dal quale la lingua e la cultura regionale sono da molti anni di fatto banditi, non posseggono neppure il minimo delle nozioni necessarie per assolvere il fine che si propone la legge.
Per la verità la cultura regionale in Italia non si è sempre trovata fuori dalla scuola.
Se nel 1867 il ministro Coppini e nel 1880 il De Sanctis raccomandavano, nei regolamenti scolastici, di non curarsi dei dialetti nel 1890 il ministro Rosai incoraggiò i dizionari dialettali per insegnanti. Nel 1923, i dialetti entravano nelle scuole. Era peraltro evidente che la politica rigidamente nazionalistica del governo fascista non potesse tollerare a lungo l'affermazione scolastica delle lingue regionali. Dopo il 1930 la lingua regionale è finita in quello che viene chiamato "el canton dij desmentià", mentre per cultura regionale si gabellava un folklore superficiale e falso. Del resto che non potesse essere altrimenti è facilmente comprensibile: non si poteva evidentemente conciliare la realtà delle culture popolari, per loro natura libere e antiretoriche, con il mito di Roma imperiale e con l'esterofobia imperante.
Le culture regionali, con i loro stretti rapporti con la più profonda civiltà europea, non si adattavano affatto con le rigide divisioni fra Stato e Stato, create artificiosamente dalla mentalità nazionalista.
L'avvento delle Regioni ha contribuito in modo determinante a sensibilizzare di più la gente sui problemi e sui valori locali.
Già alla vigilia delle prime elezioni regionali Enti ed associazioni politiche e culturali rivolgevano un appello per l'insegnamento nelle scuole del Piemonte della lingua e della cultura regionale.
Da tempo la "Compania dij Brandè" aveva raccolto attorno a sé le energie più vitali e più schiette della nuova cultura, sopravvissuta agli anni della dittatura, operando e lottando per la salvezza e per la ripresa della lingua e della cultura piemontese nella prospettiva di una Europa dei popoli, unita e democratica.
Il Centro Studi Piemontesi (Ca de Studi Piemontèis) si apprestava a pubblicate una rivista a carattere interdisciplinare, dedicata allo studio della cultura e della civiltà con saggi e studi originali, risultati di ricerche e di documenti riflettenti vita e civiltà del Piemonte, rubriche e notizie delle iniziative, delle attività, dei problemi comunque interessanti la Regione nelle sue varie epoche e manifestazioni.
In questi anni vi è stato un continuo rifiorire di iniziative che hanno provocato l'interesse più vivo delle popolazioni locali e che hanno investito in modo pressoché esclusivo la scuola e i giovani. Fra queste l'annuale festa del Piemonte con la promozione di ricerche linguistiche e culturali tra gli allievi delle scuole del Piemonte.
Si tratta ora di raccogliere le fila di questo vasto movimento di promozione e di affermazione dei valori culturali vivi e vitali del Piemonte: e che la proposta di legge corrisponda con sufficiente coerenza a questa istanza ne abbiamo avuto la prova tangibile in una molteplicità di adesioni e di incoraggiamenti provenienti da ogni parte.
Il Presidente del Consiglio regionale ha accennato ad una serie di telegrammi, e lo stesso potrebbe fare, penso, il Presidente della Giunta (mi auguro che non stia trattando con Gheddafi la cessione di parte del nostro territorio regionale, e voglio sperare che, caso mai, ce ne avvertirebbe tempestivamente...).



OBERTO Gianni

Se avessimo del petrolio...



CALSOLARO Corrado, relatore

Mi pare meritino citazione due documenti che io reputo interessanti provenienti il primo dalla Federacion de Asociaciones Piemontesas de Argentina; il secondo dal prof. Sobiela, noto linguista e ricercatore spagnolo, tuttora in esilio, appassionato cultore delle discipline regionalistiche. Nel primo, dopo aver precisato che l'associazione, la F.A.P.A., rappresenta tre milioni di Piemontesi e loro discendenti, e dopo aver enunciato i fini dell'Associazione, si auspica che il nostro Consiglio regionale approvi quanto prima la proposta di legge a tutela della lingua o dialetto piemontese, facendo riferimento alla visita che l'allora Presidente della Giunta regionale, avv. Oberto, fece alle comunità piemontesi di Argentina, e si sollecita l'interessamento dell'attuale Presidente della Giunta, Viglione, verso questa iniziativa legislativa.
Nella sua lettera, spedita da Zurigo, il prof. Sobiela, dopo aver accennato alla proposta di legge, dice alcune cose interessanti, con accenni anche all'attuale situazione politica spagnola, in particolare la situazione politica in cui si trovano i Catalani, che, com'è noto, hanno la loro capitale in Barcellona. Ne do una traduzione, scusandomi se sarà un po' approssimativa: "Ho visitato alcune scuole in cui si parla il piemontese e l'unica scuola della regione in cui si adotta il provenzale. Ho poi partecipato al Corso di lingua e cul tura piemontese istituito per i maestri dagli amici di Mondovì Piazza. So quindi quali risultati possano raggiungere insegnanti appositamente preparati facendo leva sulla cultura recata a scuola dai fanciulli. Solo così si colmerà l'abisso tra questa cultura e l'insegnamento scolastico, tra esso e l'ambiente naturale ed umano degli alunni; solo così il futuro cittadino scoprirà le ricchezze della propria civiltà, imparerà ad interrogare i genitori, i nonni ed altri parenti e a rispettare l'opera e la fatica degli avi; solo così saprà ridimensionare le tentazioni del consumismo.
Mi congratulo per lo speciale accenno ai piccoli immigrati. Ricordo una bella poesia piemontese scritta da una scolaretta oriunda sarda. Imparando la lingua del nuovo ambiente, quella fanciulla vi si era inserita molto meglio di quanto gliel'avrebbe permesso l'italiano.
A spezzare una lancia per le lingue del Piemonte mi muovono anche le mie origini catalane. Prima del 1939 gran parte della Catalogna, con Barcellona, godeva della bilinguità scolastica. Il feroce dispotismo istituito da Franco proibì di usare a scuola la nostra favella.
Ciononostante, grazie all'agilità mentale dovuta alla bilinguità, la nostra capitale, Barcellona, è rimasta il maggior centro culturale della penisola anzi, certe opere letterarie escono in traduzione catalana prima che in spagnolo.
Ora, morto il tiranno, pare ci si stia avviando, pur con troppe esitazioni, a riaprire alla nostra favella le porte della scuola. La democrazia italiana, sorta dall'eroismo della Resistenza, non deve rimaner dietro alla Spagna di Giancarlo (che è poi Juan Carlos: mi pare abbastanza significativo questo modo di tradurre, che da noi assume una intonazione del tutto particolare), in quanto ad uso scolastico delle lingue minori minori in forza, non certo in dignità. Poi, il piemontese e il provenzale sono più affini al catalano che non all'italiano, dal quale differiscono più di quanto il catalano differisca dallo spagnolo. Una sollecita ratifica della proposta di legge mostrerebbe ai catalani ed agli altri cittadini spagnoli che il Piemonte, l'Italia e la democrazia ritengono doveroso introdurre a scuola le lingue del popolo lavoratore".
Vorrei concludere questa prima parte del mio intervento dedicata alla lingua piemontese raccomandando al Consiglio l'accoglimento di quella istanza che è stata formulata nella prefazione dell'Armanach dij Brandé del 1976, racchiudente, a mio avviso, il senso più profondo, lo spirito, che ha animato l'iniziativa legislativa. Questa prefazione, intitolata "E noi i seguitoma" è in questi termini: "E' forse perché parliamo e scriviamo in piemontese che i responsabili della cosa pubblica non ci capiscono: è forse perché la nostra battaglia è solo una battaglia per la difesa dei valori spirituali, civili, culturali e linguistici della nostra gente che i nostri amministratori, i nostri pastori non se ne curano. Le questioni materiali da risolvere sono tante ed è giusto dar loro la precedenza, anche perché le parole e i gesti sovente bastano a salvare la faccia. Ciononostante, noi continuiamo a parlare a scrivere, perché crediamo e speriamo, cosi come in Spagna i nostri fratelli catalani e baschi hanno creduto, sperato e combattuto per tanto tempo e adesso stanno per raccogliere. Speriamo anche che la Regione Piemonte sappia finalmente regalare nel 1976 una briciola di tempo al problema della cultura piemontese e riesca con una legge ad aprirle le porte delle scuole. E' giusto che i nostri bambini, i nostri giovani conoscano il nome di casa loro e conoscano la ricchezza del filone ideale che li sostiene. Questa conoscenza li porterà all'amore che li salverà dall'alienazione, e tutto il popolo piemontese sarà più vivo".
Il Titolo III della proposta di legge contiene invece le disposizioni per la tutela delle lingue e dei dialetti delle minoranze etnico linguistiche. La normativa segue il filo del titolo II, con la variante relativa alla composizione della Commissione, cioè tiene conto della diversa situazione in cui si trovano le tre minoranze: provenzale, franco provenzale e walser.
Infatti, come si dice nella relazione, mentre ci sono associazioni culturali già da tempo operanti nell'ambito delle Valli di lingua d'oc, in quelle franco-provenzali il risveglio della cultura popolare è ancora agli inizi, per cui, in difetto di enti qualificati, è sembrato opportuno demandare la designazione degli esperti alle Comunità montane. Per quanto riguarda poi la comunità walser, si tratta di soli cinque Comuni: appare quindi, più logico e pratico affidare la designazione degli esperti alle cinque Amministrazioni comunali interessate.
L'art. 6 della Costituzione stabilisce che la Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche. In realtà, la Repubblica non ha applicato in alcun caso l'art. 6, in quanto le minoranze tutelate lo sono per cause indipendenti da questo articolo.
La tutela della minoranza di lingua francese della Valle d'Aosta deriva dal decreto legislativo luogotenenziale del 7 settembre 1945, n. 545 emanato per sventare la minaccia di separatismo valdostano e dell'annessionismo francese.
La tutela della minoranza di lingua tedesca della provincia di Bolzano deriva dall'accordo di Parigi del 5 settembre 1946, stipulato per impedire l'eventuale ritorno della provincia all' Austria e per placare il sentimento etnico della popolazione, nella sua maggioranza poco favorevole allo Stato italiano.
La tutela della minoranza di lingua slovena della provincia di Trieste deriva dallo Statuto speciale firmato a Londra il 5 ottobre 1954 quale allegato II del memorandum d'intesa che assegnò allo Stato italiano l'amministrazione della Zona A dell'ex Territorio libero di Trieste.
La tutela della minoranza slovena della provincia di Gorizia, che si limita all'assistenza di scuole statali slovene, deriva dal fatto che queste scuole, esistenti al tempo dell'appartenenza del territorio all'Austria e chiuse dal Governo fascista, furono riaperte durante l'insurrezione partigiana, mantenute nel periodo dell'occupazione anglo americana ed ereditate dallo Stato italiano in virtù della firma del Trattato di pace del 10 febbraio 1947. Questa situazione di fatto è stata poi regolarizzata soltanto con una legge del 9 ottobre 1961.
In tutti questi casi la Costituzione non c'entra. La tutela si fonda in modo esclusivo su rapporti e questioni di carattere internazionale. Queste minoranze godono, però, pur sempre di una tutela, anche se incompleta mentre esistono altre minoranze che non godono di alcuna tutela, come quelle di lingua provenzale (o d' oc), catalana, sarda, greca, albanese e croata.
Lo Stato italiano opera poi un'altra grave discriminazione all'interno delle stesse minoranze tutelate, nel senso che, come è specificato nella relazione - per rimanere nell'ambito territoriale regionale - in Valle d'Aosta la lingua francese, il franco-provenzale e il tedesco della Valle del Lys (di Issime e Gressoney), sono insegnate a scuola, in attuazione di norme costituzionali (come è per il francese) o per iniziativa legislativa della Regione (come il franco-provenzale e il tedesco), mentre le stesse lingue non sono tutelate nella Regione Piemonte.
Così, per rendere più chiaro l'esempio, è tutelata la minoranza di lingua slovena delle province di Trieste e di Gorizia, ma non quella della provincia di Udine, che fa parte della stessa Regione autonoma del Friuli Venezia Giulia.
In sostanza, gli appartenenti alle minoranze linguistiche sono nel nostro Paese più di 2 milioni e mezzo (cioè, circa il 5% della popolazione): di essi sono tutelati meno di 400.000.
Carlo Marx, se mi è consentito citarlo, ha scritto ne "L'ideologia tedesca" che la lingua non e l'espressione della coscienza (ciò sarebbe idealismo), ma la coscienza stessa. Così, l'ipotesi antropologica del grande linguista americano Edward Sapir è che "è una illusione immaginare che sia possibile adattarsi alla realtà senza far uso della lingua. Il mondo reale è in gran parte fabbricato inconsciamente a seconda delle abitudini linguistiche del gruppo. I mondi in cui vivono società diverse sono mondi distinti, non semplicemente lo stesso mondo cui sono attaccate etichette diverse".
In quest'ottica possiamo anche comprendere le ragioni che al momento della delimitazione dei confini comprensoriali spinsero i rappresentanti dei movimenti cosiddetti occitani a proporre una dimensione comprensoriale montana autonoma ed una più copiosa rappresentanza dei Comuni minori, in cui la presenza di questa popolazione è per l'appunto più rilevante.
E' perché si denuncia come "deportazione etnica" la chiusura della Vetreria di Vernante e la conseguente dispersione dei lavoratori appartenenti a quella comunità di lingua d'oc.
E' vero che la Regione Piemonte non può sostituirsi allo Stato nella tutela delle minoranze linguistiche, né può surrogarlo nell'esercizio, mai esercitato, di una competenza che appare di suo esclusivo dominio. Almeno fino ad oggi. Ma è anche vero che la Regione Piemonte, a norma del suo Statuto, può assumere tutti i provvedimenti diretti a difendere l'originale patrimonio linguistico, di cultura e di costume delle comunità locali favorendone la valorizzazione.
Le norme dello Statuto regionale sono state la base dalla quale si sono mossi gli amministratori delle Comunità montane per chiederne la sollecita e concreta attuazione nella prospettiva di un'azione propria delle stesse Comunità, espressione diretta della volontà popolare.
Nella relazione sono sistematicamente collocate le previsioni statutarie, le diverse e multiformi previsioni statutarie delle Comunità montane: da queste sono pervenute le più convinte sollecitazioni all'approvazione della legge Quindi, nessun conflitto di competenza fra Stato e Regione, ma iniziativa autonoma della Regione a difesa del proprio patrimonio culturale. E' quanto, del resto, ha già fatto la Regione Veneto, il cui Consiglio regionale ha approvato all'unanimità nella seduta dell'8 aprile 1974, la proposta di legge volta alla "Tutela del patrimonio storico linguistico e culturale del Veneto". L'art 1 della legge 40 del Veneto testualmente recita: "In attuazione del principio contenuto nell'art. 2 dello Statuto, la Regione sostiene e sviluppa le iniziative rivolte alla conservazione e valorizzazione del patrimonio storico, etnico e culturale delle singole comunità del Veneto, con particolare riguardo alle espressioni linguistiche delle minoranze.
A tal fine concede a Comuni e loro Consorzi, a Enti, Istituti Associazioni e Comitati che svolgono preminente attività di studio, ricerca e divulgazione e conservazione, contributi annuali entro i limiti dello stanziamento previsto dalla presente legge. Le iniziative di cui al I comma possono consistere nella istituzione e conservazione di musei e biblioteche, nell'organizzazione di seminari e corsi di studio, di incontri e convegni culturali, nell'allestimento di mostre, nella pubblicazione di riviste periodiche a carattere divulgativo e scientifico e nella concessione di borse di studio".
Su questo problema - lo ha ricordato prima il Presidente del Consiglio regionale - si è pronunciato, nel corso della sessione autunnale del 2 e 3 novembre ultimo scorso, il Comitato federale per le Comunità etnico linguistiche e per la Cultura regionale in Italia, facendo riferimento a due proposte di legge: quella presentata in Piemonte da PSI, PSDI, PRI eccetera, e quella presentata alla Regione Calabria dal Gruppo consiliare del Partito comunista italiano, a firma Ambrogio, Geri, Rosso, Aiello ecc.
sull'insegnamento dell'albanese, del greco e dell'occitano nelle comunità interessate della Regione Calabria. La deliberazione di questo Comitato federale plaude all'iniziativa dei presentatori, si riferisce agli articoli 3 e 6 della Costituzione repubblicana e degli Statuti rispettivamente della Regione Piemonte e della Regione Calabria alle istanze più volte espresse dai Comuni e dalle Comunità montane anche nei loro Statuti, e sollecita l'approvazione della proposta di legge, così come già ha fatto il Consiglio regionale del Veneto per la parte di sua competenza.
Non credo esistano contrasti in questo Consiglio sulla effettiva esistenza nella nostra Regione delle tre minoranze considerate dalla proposta di legge.
La consistenza numerica della minoranza occitana è stimata per approssimazione a 200.000 persone, quella franco-provenzale a 90.000 a quella walser ad alcune unità di migliaia, compresi i walser della Valle d'Aosta.
La situazione dei walser piemontesi e particolarmente drammatica, e la loro sopravvivenza come entita culturale è legata all'impegno di alcuni privati volenterosi che organizzano corsi liberi di tedesco. Situazione ben diversa da quel la in cui si trova, ad esempio, il prolungamento svizzero del braccio walser, a Bosco Gurin, nel Canton Ticino, in cui i diritti dei walser sono tutelati in modo pieno, e dove esiste una scuola pubblica tedesca per quella popolazione scolastica, che non supera le quindici unità.
E' stato inaugurato, poche settimane fa, un museo "walser", e la stampa vi ha dato grande rilievo. Si tratta di una iniziativa di notevole importanza, che merita tutto il nostro appoggio - penso che l'Assessore Moretti vorrà dare ad essa un forte contributo, com'è giusto, tanto più che è un albanese, e quindi rientra in questo circuito culturale minacciato -.
Ma, al di là di questo appoggio, mi sembra opportuno, anzi necessario, con l'occasione, ribadire un principio che è fondamentale nella proposta di legge, e che non riguarda solo la cultura e la lingua walser. Noi non intendiamo mantenere il privilegio dell'alfabetizzazione alla lingua della cultura egemone, della trascrizione delle lingue subalterne ai soli accademici addetti ai lavori.
Questa proposta di legge si rivolge non agli studiosi, ma ai parlanti.
Questi ultimi non intendono rimanere solo oggetto di studio, ma vogliono essere soggetti di cultura, nel convincimento che autonomia locale significa anche riscoperta della propria identità ed autonomia nel gestire la propria cultura originaria e la lingua che l'esprime.
L'amico Gustavo Buratti, che molti di noi hanno in amicizia e che della proposta di legge è stato, con gli amici dei Brandè, prezioso e valido consulente (gratuito...), e per la cui collaborazione ed impegno è stato possibile sviluppare quegli incontri e quei convegni che hanno portato alla elaborazione ed alla formulazione definitiva della proposta di legge, ha giustamente e saggiamente scritto che: "La proposta di legge non considera le parole come farfalle da infilare nello spillone dell'entomologo, né i parlanti come oggetto da ascoltare, oltre a quelli da vedere in un museo del lavoro contadino in Piemonte". Anche a noi, come a Buratti, piace vedere le farfalle mentre volano, non quando sono infilzate nello spillone dell'entomologo.
La condizione della comunità occitana è relativamente meno drammatica di quella walser, pur nel quadro generale di incombente minaccia per la sopravvivenza della relativa cultura, con la conseguente urgenza di immediati provvedimenti di sostegno.
Intanto, alle spalle di essa si muove il movimento di rivalutazione della cultura occitana di Francia. La loi Deixonne del gennaio 1951 ha riconosciuto la "Langue occitane"; essa è insegnata nelle scuole ed è oggetto, sia pure facoltativo, di esame di maturità. Cattedre di lingua e di letteratura occitana esistono nelle Università di Marsiglia, Montpellier e Tolosa.
Inoltre, la comunità occitana del Piemonte gode del favore di una notevole concentrazione di popolazione in una fascia geografica montana continua, che le consente facilità di scambi e di contatti; in alcune zone come nel Pellice, di favorevoli condizioni culturali (la presenza, per esempio, di un forte nucleo valdese occitano); in altre, come nella provincia di Cuneo, delle caratteristiche autenticamente popolari del movimento, con forti influenze sulla vita amministrativa locale.
Infine, gode dell'espansione accelerata ad opera delle associazioni culturali locali, della domanda rivendicativa.
Non ci sembra tuttavia di poter condividere, lo dico con tutta onestà e sincerità, alcuni accenti posti in essere da gruppetti, che in gergo politico potremmo definire extra-parlamentari e di scarso seguito nell'ambito locale, i quali, anziché accettare lo spirito democratico che ispira la legge, rivolta essenzialmente a consentire alle comunità locali la gestione della loro identità culturale come forme di partecipazione politica, seguono teorie intese ad affermare forme infantili di nazionalismo e di razzismo linguistico che noi non accettiamo e che comunque non toccano affatto questa proposta di legge.
In un numero speciale della rivista "Les temps modernes", dedicato alle "minorites nationales en France", Jean Paul Sartre denunciava il genocidio culturale delle minoranze in Francia, ma nello stesso tempo metteva in guardia contro il "charlatanisme" di Fontan - fondatore del Parti nationaliste occitan -, che non può avere altro sbocco che in un razzismo altrimenti detto fascismo, e mai smentito dai membri del P.N.O.
Gli atti politici dei movimenti democratici occitani come l'UDAVO (Unione degli Autonomisti delle Valli Occitaniche) e Coumboscuro, e dei militanti occitani dei partiti democratici, sono chiaramente rivolti in altra direzione, che è quella della proposta di legge.
Credo che le lidee direttrici lungo le quali si muove l'iniziativa legislativa siano abbastanza evidenti e chiare. Quello che ci interessa, a questo punto, è di non perdere più tempo, affinché la minaccia che incombe sulla cultura linguistica della nostra Regione non si trasformi nella sua definitiva abrogazione.



PRESIDENTE

Chiede di parlare il Consigliere Oberto. Ne ha facoltà.



(L'intervento del Consigliere Oberto è svolto in piemontese, fra il divertito interesse dei presenti, ma viene trascritto in italiano data la difficoltà della grafia)



OBERTO Gianni

Signor Presidente del Consiglio, signor Presidente della Giunta, cari colleghi Consiglieri, mi sembra proprio che la materia che stiamo discutendo richieda l'adozione del piemontese almeno per una parte del discorso. Mi auguro vivamente che mi comprendano le due stenografe, e soprattutto mi auguro che mi comprendano tutti i Colleghi, ai quali mi rivolgo.
Ho voluto considerare se parlando in piemontese corressi il rischio di violare lo Statuto, ma non ho trovato in esso alcun divieto del genere. Ho anche controllato il Regolamento, e neppure lì ho rilevato alcun impedimento. Ho concluso: allora, io che a casa mia parlo in piemontese voglio una volta tanto usare questa parlata nel rivolgermi rispettosamente ai colleghi per esporre loro il mio pensiero, che è anche quello del Gruppo della Democrazia Cristiana, su questo argomento, certamente importante, in questo momento, per i vari motivi che ha già sviluppato l'amico Calsolaro promotore di questa proposta di legge nella precedente legislatura e che in questa ha voluto ripresentarla, insieme a socialdemocratici e repubblicani.
Una proposta di legge alla quale andrà certamente la nostra adesione sostanziale, anche se abbiamo la convinzione che non si tratta di una legge perfetta, di quelle che, come si dice in piemontese stretto, "a flambo 'l bòcc ", e che, dal momento che non potrà probabilmente essere discussa a fondo oggi, in sede di Consiglio, potrebbe essere opportuno vi ritornasse a brevissima scadenza, fra una settimana o poco più, dopo un riesame in Commissione per la messa a punto di qualche particolare che andrebbe meglio puntualizzato. Mi è sembrato logico, dicevo, parlare così, se me lo permettete, almeno per una parte dell'intervento, poiché, essendo il parlare in buon piemontese cosa assolutamente non facile, non so se potr reggere fino alla fine.
Einaudi, che era un vero piemontese e che è stato, a mio modo di vedere, la più bella figura di Presidente che abbia avuto la Repubblica italiana, pur scrivendo in lingua italiana di materie ostiche come quelle finanziarie, parlava piemontese, e quando riceveva a Roma qualche piemontese che gli aveva chiesto udienza gli riservava un'accoglienza particolarmente calorosa, perché gli sembrava di essere di nuovo fra la sua gente per il fatto di potersi esprimere nella sua parlata (non so se si possa o meno definire lingua, e non mi soffermo neppure a discuterne con l'amico Calsolaro).



MENOZZI Stanislao

Il fatto è che non ti capisco. Mi ci vorrebbe un interprete. Sono emiliano e vivo nell'Astigiano, ove si parla un piemontese assai diverso.



OBERTO Gianni

L'interruzione dell'amico Menozzi viene proprio a dimostrare come il problema sia veramente delicato. Che ci sia una lingua piemontese è mia assoluta convinzione, anche se so che questa convinzione non è convalidata da studiosi della materia, professori di università. Mi è capitato ad una "tavola rotonda" ad Ivrea, ad esempio, di trovarmi in minoranza rispetto al pensiero che aveva espresso il prof. Grassi, indubbiamente un competente di questioni linguistiche, il quale nega al piemontese la caratteristica di lingua. L'interruzione di Menozzi, dicevo, dimostra proprio la grande difficoltà di rendere possibile l'attuazione della legge, difficoltà che tuttavia dev'essere superata, proprio per la differenza di linguaggio che c'è fra alessandrini, abitanti della zona dell'Appennino ligure, biellesi vercellesi, novaresi, torinesi autentici, canavesani, cuneesi. Ma sono piccole diversificazioni, quelle sì veramente dialettali. Il fondo del discorso è però che c'è un ceppo, un principio comune, che costituisce veramente la base del piemontese.
Mi pare, però, che si possa fare una affermazione, tutti insieme: che la legge che tutela le minoranze linguistiche, e non solo linguistiche, che tutela la lingua piemontese, parlata o scritta, è la sostanza della cultura del nostro passato, della civiltà, degli studi che sono stati fatti, della storia della nostra terra, del nostro Piemonte, chiuso nel cerchio delle sue montagne. "Chi non conosce bene il passato - è un concetto, questo, di cui tutti ultimamente hanno riconosciuto la validità, e desidero citare un profeta non di casa mia, Gramsci, precisamente una sua frase contenuta in una lettera scritta dal carcere - non può affrontare neanche il suo futuro". Non conoscere la tradizione, la letteratura, la lingua nostra piemontese vuol dire non avere le idee chiare per procedere nella strada che ci siamo tracciata.
La parlata è un elemento che avrebbe dovuto essere considerato fondamentale anche al momento della creazione delle Regioni. Permettete che io muova una critica: le Regioni sono state volute dal Costituente fin dal 1947, al momento di promulgare la Carta costituzionale, ma sono state create solo nel 1970, e si è lasciato passare tanto tempo senza preoccuparsi di apportare opportune modifiche. La Regione piemontese, per esempio, avrebbe potuto trovare correttivi notevoli, importanti: una parte del Novarese avrebbe potuto avere una più idonea collocazione, e così una parte dell'Alessandrino e persino una parte del Cuneese, non solo in rapporto alla parlata, importante ma non essenziale, ma per un complesso di altri motivi. La parlata è anche un fattore della etnia, cioè di una componente delle caratteristiche alle quali si deve far riferimento nell'applicare i criteri che sovrintendono alla delimitazione di una Regione. La quale ha le sue canzoni, i suoi proverbi, le sue storie, i suoi sermoni, il suo teatro, le sue preghiere, le sue favole, le sue satire cioè ha alle spalle un bagaglio letterario che fa dire come possa essere una lingua; perché se non ci fosse tutta questa tradizione letteraria mai si potrebbe parlare di lingua; una parlata che non abbia alle spalle una tradizione letteraria non può assumere dignità di lingua.
Oggi si parla in qualsiasi ambiente l'italiano, ma quante espressioni stridenti di italiano si sentono usare da coloro che rinnegano il loro piemontese per parlare italiano. Una mi ha colpito particolarmente in questi giorni: "Mi somiglia proprio che si debba fare cosi"! "Sembra" che diventa "somiglia", cioè il piemontese volto pari pari in italiano. Tra il parlare in piemontese e il parlare l'italiano penso sia molto meglio scegliere il primo caso.
C'è poi il grosso problema degli immigrati. E' un problema sul quale desidero soffermarmi brevemente, e che merita una certa attenzione nella legge speciale che noi vogliamo fare, la quale, come ha detto giustamente il collega Calsolaro, non è ancora la legge definitiva, quella destinata a tutelare la cultura linguistica e le minoranze vere e proprie, ma è una legge che costituisce strumento di premessa. Noi vogliamo stanziare una certa somma per reperire maestri e maestre che conoscano il piemontese e la storia del Piemonte e siano in grado di insegnarli ai loro allievi. Siamo però stati al centro di vicende che sono capitate nella sua provincia Presidente della Giunta regionale, come nel mio Canavese, nella provincia di Torino. Studenti siciliani, sardi, calabresi e piemontesi si sono riuniti ed hanno compilato, in collaborazione fra loro, una specie di dizionario in cui le singole parole sono tradotte in siciliano, in sardo in calabrese, in piemontese: ne è venuto fuori un manuale di notevole utilità ed importanza. Perché, anche se non conosco molto da vicino il mondo del lavoro, mi rendo conto che il complesso di inferiorità che possono aver provato gli immigrati venuti qui a cercar lavoro e che hanno trovato sistemazione alla Fiat o in altre nostre fabbriche, sia derivato anche in buona misura dalla difficoltà di comprensione della parlata locale, e dalla conseguente difficoltà di contatti umani.
Non voglio ripetere quanto già ha detto tanto bene l'amico Calsolaro, e che io trovo perfettamente calzante. Dico però: tenete presente che c'è tutta una tradizione. Ci sono sette dizionari della lingua piemontese. Di questi, uno ha i termini tradotti in piemontese, italiano, francese e latino: si tratta di due grossi volumi, di importanza non indifferente, che danno la misura che si tratta proprio di qualcosa di più che un dialetto.
Anche se in Valle d'Aosta, dove si parla il "patois" e non c'è una lingua diversa da quella che possa essere il francese, dopo l'italiano, imparato c'è anche per il "patois" tanto di grammatica e di dizionario, compilato dall'Abbé Chierloni, e anche da un canavesano, un piemontese, che si chiamava Costantino Nigra. E la raccolta delle poesie in piemontese di Costantino Nigra sta a dimostrare che c'è un fatto di cultura attuale recente, che va a collegarsi a quelli antichi che sono stati ricordati da Calsolaro, i Sermones del 1100. Insomma, noi ci rifacciamo ad una tradizione ultrasecolare, esattamente come capita nella Catalogna. E ci sono stati vescovi che hanno raccomandato ai parroci delle loro diocesi di rivolgersi nelle prediche ai fedeli in lingua piemontese, cioè nella lingua in cui avrebbero potuto essere meglio seguiti e compresi, oltre al fenomeno della Messa che tu, Calsolaro, hai voluto ricordare: ma credo che né tu n io ci vorremmo mettere in condizioni di essere in certo modo considerati allineati alle idee di mons. Lefevre...



CALSOLARO Corrado

Io, veramente, non vado neppure a Messa.



OBERTO Gianni

Sono fatti e fenomeni che indubbiamente devono esser tenuti ben presenti.
Del resto, leggendo i quotidiani, abbiamo avuto modo di vedere su "Specchio dei Tempi" de "La Stampa" e "Lettere al Direttore" o "Opinioni" della "Gazzetta del Popolo" di frequenti lettere di lettori che parlavano del problema della lingua piemontese e dell'opportunità dell'insegnamento della lingua piemontese nelle scuole. Cosa vuol dire questo? Che c'è molta attesa nell'opinione pubblica, non soltanto da parte di quelli che vengono definiti "quattro matti che han voglia di fare un po' di chiasso attorno a questo argomento", per una soluzione di questo problema. E questa soluzione si troverà solo il giorno in cui noi avremo veramente fatto una cernita di maestri e maestre che conoscano il piemontese come lingua, come storia come tradizioni; che sappiano, per esempio, che ci sono nella letteratura piemontese un Isler, un Calvo che nulla hanno da inviare ai più celebrati scrittori in lingua italiana. Cito Bersezio, di cui "le miserie 'd monssù Travet" sono ancor oggi rappresentate e considerate un capolavoro. Ma alla radio e alla televisione di trasmissioni in piemontese non ne sentiamo assolutamente (speriamo che adesso che vi saranno trasmissioni fisse dalle 14,30 alle 15 per noi queste anomalie siano messe in evidenza), mentre sentiamo De Filippo, sentivamo Govi, quando c'era, sentiamo trasmissioni in veneto. E' vero che padre Dante, parlando del piemontese, l'ha definito "turpissimum eloquium" (Dante era solito scagliare violentissime invettive e non escluderei che abbia usato questa espressione per essersi trovato in grave difficoltà a parlare in piemontese): tuttavia, la "Divina Commedia" è stata tradotta anche in piemontese. Non è anche questo un fatto di cultura non è un modo per avvicinare alla gente capolavori letterari non solo piemontesi ma italiani, per meglio portarli alla comprensione della gente? Ecco, a me sembra di poter arrivare allora ad una certa conclusione.
Tu, Calsolaro, hai ricordato Nino Costa. Signor Presidente del Consiglio amici della Giunta, mi permetto di rivolgervi una domanda che potrebbe essere un tantino impertinente, ma che vi prego di interpretare nel modo migliore: avete letto le poesie scritte da Nino Costa nell'ultimo periodo quello che inizia da quando suo figlio, partigiano, cadde nelle vallate del Pinerolese? Sono sette. Se nelle scuole del Piemonte nel testo originario e in quelle di tutta Italia, tradotte, venissero lette quelle sette poesie i ragazzi conoscerebbero tutta intera la storia della Resistenza, la sentirebbero, la condividerebbero, la capirebbero nella sostanza dei fatti che si sono verificati. Non è un fatto di letteratura che val la pena di tutelare, di considerare, di aiutare ad affermarsi? Sono stato in questi anni in Argentina - anche questo l'amico Calsolaro ha voluto ricordare - e vi ho avuto contatti con i nostri emigrati. Ebbene là, essi o parlano il catalano o parlano il piemontese, quasi nessuno si esprime in italiano. Parlano in piemontese perché in casa i vecchi emigrati hanno sempre parlato piemontese, e i più giovani parlano la lingua del Paese che li ospita: l'italiano non lo conosce nessuno. Questo è male, e la "Dante Alighieri" cerca di far qualcosa anche in questa direzione; però è una realtà della quale dobbiamo tener conto. Non basterà che noi in una legge ci occupiamo solo delle cose di casa nostra, della Regione piemontese: dovremo guardare anche oltre i nostri confini, non fosse altro che per far giungere dei documenti, dei libri, dei testi, delle pubblicazioni a quegli emigrati, che amano la loro terra con la sua letteratura, la sua tradizione, la sua storia.
Quanto alle minoranze, bisogna far molta attenzione. Credo che tutti voi conosciate, e forse abbiate anche letto, il libro di Sergio Salvi, un socialista se non vado errato, dal titolo "Le lingue tagliate ". Vi si afferma proprio che ad un certo momento si tende a creare una specie di egemonia impedendo che abbiano diritto di cittadinanza altre parlate, che invece devono in qualche modo essere conservate.
Voglio fare riferimento ancora ad un piemontese della sua provincia di Cuneo, Presidente, anch'egli dimenticato, lo storico Carlo Denina, di Revello, di cui veramente si può dire che "a flamba 'l bocc ", morto nel 1813. In un libretto intitolato "Chiave delle lingue" si legge: "Se il dialetto piemontese fosse stato coltivato fin dai tempi del Duca Amedeo VIII o anche solo del Duca Emanuele Filiberto, sarebbe oggi una lingua illustre almeno tanto quanto lo sono la portoghese e l'olandese, di cui l'una è allo spagnolo, l'altra al tedesco, ciò che è il piemontese all'italiano". Mi sembrano parole che dovrebbero effettivamente farci un poco pensare e meditare. Occorre scegliere insegnanti, fare concorsi, in modo da trovare chi si offra spontaneamente per questo tipo di insegnamento. Certo, senza rendere l'insegnamento obbligatorio in modo assoluto, perché ciò equivarrebbe ad una forte menomazione della libertà.
Ho sentito citare dal Presidente una espressione presa a prestito ancora da Gramsci: "La lingua non è veste del pensiero, è il suo corpo stesso, e sentire in quel modo è l'essenza della persona. Noi la lingua italiana la vogliamo perché ci sentiamo italiani, ma non possiamo etnicamente non tener presente che a Bologna, che a Firenze non si parla l'italiano ma si parla il bolognese, si parla il dialetto fiorentino in maniera preminente e particolare, quel dialetto fiorentino che per circostanze particolari ha assunto poi una dignità di lingua tale da imporsi in qualche maniera anche agli altri".
Vorrei ricordare quel che ho visto scritto in una rivista alpinistica "Scandere", del 1971, a proposito della rinascita delle parlate alpine a Mialeisa e a Santo Lucio. Si riferisce a quanto in sintesi brevissima ha detto Calsolaro: c'è stato un momento, nel nostro Paese, in cui nelle scuole si poteva insegnare la lingua, o il dialetto, piemontese. A volerlo era stato il ministro Gentile, molto legato ad Ernesto Monaci ed al pedagogista Lombardo Radice (quest'ultimo poi eliminato, non fisicamente ma come insegnante, dal fascismo). "Quale diretta conseguenza, a decorrere dall'anno successivo, si moltiplicano i manuali e le grammatiche dei dialetti italiani, mentre sia la parlata che la cultura regionale entrarono a far parte dei programmi di insegnamento. Ma la riforma scolastica Gentile era destinata ad aver vita breve, il fascismo non tardo a percepire come la presenza di una cultura dialettale nelle scuole costituisse un assioma di libertà in completa antitesi con i metodi e i miti littori. Così senza che l'ordinanza ministeriale venisse abrogata, ma semplicemente astenendosi dall'applicarla, e cioè con una di quelle azioni di sottogoverno ancor oggi di attualità, si passò dall'insegnamento dei dialetti alla condanna più assoluta di questi e al bando più rigoroso dalle scuole".
La rivista che ho citato non è una rivista linguistica, ma del Club Alpino Italiano, e l'autore dello scritto è Sergio Hertel.
Più recentemente ancora abbiamo altri motivi che ci incoraggiano a volere questa legge, possibilmente perfezionata e completata, se i proponenti sono d'accordo, in Commissione, riportandola in Consiglio per una valutazione articolo per articolo entro brevissimo tempo, nel volgere di otto-dieci giorni. In "Piemonte vivo", la rivista ufficiale di quel grosso istituto finanziario che è la "Cassa di Risparmio di Torino", è apparso un lunghissimo articolo di Luca Terzolo, in cui si valorizza indirettamente questa legge. Immagino che ciò non sia stato consentito senza l'intenzione da parte dell'Istituto di sostenere finanziariamente queste posizioni. Della legge si è pure parlato positivamente in un'altra rivista, dei giornalisti piemontesi, con un articolo scritto da me e un altro di Vincenzo Picco, in questo momento capo spirituale dei Brandè (varrebbe forse la pena, a scanso di equivoci, di spiegare che i Brandè non sono quelli che bevono la "branda", ma quelli che si adoperano per la sopravvivenza della parlata piemontese, per tenerla "unita" così come si tengono raccolti i ceppi nel camino mediante gli alari). Luca Terzolo ricordando che a Torino esiste l'Istituto di Dialettologia italiano, ove si lavora all'atlante linguistico ed ove opera proprio quel prof. Grassi che ho prima menzionato e che io stimo e considero pur non condividendone l'opinione sul concetto di lingua, dice: "Quanto vale per il settore più direttamente rifacentesi allo studio dei dialetti piemontesi può essere agevolmente riferito alle altre due branche sulle quali si orienta l'attività dell'istituto: la educazione linguistica direttamente rivolta alla preparazione didattica dei nuovi insegnanti, e la 'sociolinguistica'".
Se questa rivista della "Cassa di Risparmio di Torino", riportando in evidenza gli articoli di Luca Terzolo (questo è addirittura in carattere corsivo) dà il via alla legge, è segno che la Regione potrà contare su un sostegno importante a questa iniziativa, che richiede una disponibilità non so se di 50, 80 o 100 milioni. Tanto più che lo stesso Luca Terzolo dice ancora: "Alla esplorazione di questo vuoto rappresentato dal nodo lingua dialetti nel territorio piemontese dedicheremo una serie di articoli miranti a definire entro le differenti zone economiche, più che non nelle classiche aree dialettali, le fondamentali linee di sviluppo di questo perpetuo incontro-scontro".
Mi sembra che le cose che ho detto - molto affrettatamente e disordinatamente, anche per evitare di ripetere quanto già era stato detto e per non sottrarre troppo tempo a coloro che ancora desiderano intervenire sull'argomento - dimostrino come giustamente la Democrazia Cristiana sia d'accordo che il problema venga affrontato, con quelle specificazioni che sono necessarie per rendere la legge uno strumento agile, pronto ad essere applicato rapidissimamente, perché non incontri la sorte tristissima che ha avuto alla sua prima presentazione, quindi fissando un termine minimo, se i presentatori della legge sono d'accordo, perché un piccolo gruppo di componenti la Commissione inseriscano in essa le aggiunte derivanti dall'accoglimento di parte almeno dei suggerimenti venuti in questa discussione.
Gli amici di Mondovì Piazza, che io ho conosciuto e che sono davvero spiacente di non aver potuto accompagnare, hanno tenuto, autorizzati dal Ministero della Pubblica Istruzione, signor Presidente della Giunta regionale, con decreto che reca il numero 4869 del 24 febbraio 1973, un Corso di cultura piemontese e provenzale. Hanno elaborato un testo dattilografato in cui praticamente si racconta la storia della lingua.
Varrebbe veramente la pena che, fra le tante pubblicazioni, la Regione prendesse cura anche di questa come motivo di acquisizione di conoscenza di una cultura che noi assolutamente non vogliamo perdere o lasciar cadere.
A Nizza Monferrato c'è un Centro Museo, con una raccolta interessantissima di carte e di attrezzi vignaioli (ne ho parlato già con l'Assessore Marchesotti, più direttamente interessato alla cosa). Segue questa iniziativa Arturo Bersano, che oggi si occupa più di questo museo che di vini, ed ha compilato un dizionario dei termini che usavano i contadini nelle campagne per poter comunicare fra loro. E' un'altra iniziativa che permette di segnalare al Presidente della Giunta regionale che so essere tenero in questa direzione, perché qualche volta anche lui il piemontese lo parla, magari quanto è irritato, e lo parla certamente bene.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Fiorini mi suggeriva il termine "strument" là dove tu hai detto "attrezzi".



OBERTO Gianni

In quei documenti si parla proprio di "attrezzi".
E' una legge che comporta un impegno finanziario piuttosto modesto, una legge che, perfezionata, farebbe concludere questo anno 1976 in bellezza al Consiglio regionale, in quello spirito che sia il proponente Calsolaro sia, penso, gli altri proponenti socialdemocratici e repubblicani desiderano veder riaffermato, come uno degli strumenti utili per difendere la nostra libertà.



PRESIDENZA DEL VICE-PRESIDENTE BELLOMO



PRESIDENTE

Ringraziamo l'avv. Oberto per la bella lezione che ha dato. Il dibattito continua con l'intervento del Consigliere Rossotto, a cui dò la parola.



ROSSOTTO Carlo Felice

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, riconosco la validità dell'iniziativa del collega Calsolaro, l'opportunità di indicare tutte le complesse, pesanti e gravose responsabilità che in questo momento così drammatico pesano sulle nostre spalle e l'impegno che lo Statuto ha rivolto anche alla tutela delle minoranze etniche esistenti nella nostra regione.
Penso che questo impegno comune statutario sia il metodo per cercare di salvaguardare da quella che può essere la emarginazione culturale, perch non mi pare che vi siano possibilità, da un punto di vista giuridico, di interventi di altro genere a tutela di un'emarginazione civile di questi nostri concittadini. E' una questione di metodo per arrivare alla soluzione, per cui la mia proposta sarebbe di ritornare con il disegno di legge in Commissione per approfondire certi lati che io voglio enunciare.
Se vogliamo fare il discorso di una cultura piemontese, e, arrivando al limite, anche delle estreme caratteristiche di cultura ormai ridotte, ai limiti di sopravvivenza, che sono rimaste tali perché i fattori economici sociali sono concentrati nelle vallate montane che ancora sussistono, se vogliamo parlare di gente unita fra di loro da valori storici sentimentali, di rapporto con la natura (che è poi la caratteristica della gente piemontese già conosciuta e apprezzata, con certe grettezze, con certi limiti, con certe dosi di impegno, con certe durezze), non so se è tutto collegabile poi al discorso linguistico, o al discorso culturale.
Ho avuto una notevole difficoltà a recepire tutto il discorso di Oberto (e questo non per polemica, ognuno porta il retaggio degli incroci di sangue che ha ed io sono mezzo piemontese e mezzo trentino e credo che non esista motivo di emarginazione per il mezzosangue piemontese), ma non per questo mi sento di dire di non avere percepito la cultura piemontese portata da Pavese, portata da Fenoglio; ho riscontrato nella gente in campagna, nelle Langhe, nelle montagne, nelle colline, o discorrendo nei nostri viali e controviali, quando si aveva un rapporto più vivo con le persone, indipendentemente da altri tipi di impostazione.
La lingua è un mezzo che facilita le forme culturali, la trasposizione delle idee, l'importanza, a livello nostro, è forse quella di andare a difendere le idee, i valori che sono stati affermati indipendentemente da questo. Perché allora ci potremmo ricordare che in Piemonte tutte le leggi esistenti fino al 1848 non erano in piemontese, ma in francese e credo che ancora oggi si possano trovare degli atti ufficiali, sia in Sardegna, sia in Piemonte, scritti in francese.
Dette queste cose, penso che con il faticoso lavoro che il collega Calsolaro si è sobbarcato con la dotta ed approfondita documentazione e attraverso l'articolato, si potranno conciliare questi fenomeni, perch Calsolaro ha colto esattamente il problema: facciamo attenzione che queste tutele di minoranze non diventino motivo di nazionalismo, che a sua volta può diventare razzismo nel linguaggio, il quale diventa poi motivo di incomprensione di dialogo limitato soltanto ad un certo numero di persone non è più ricerca culturale, ma bandiera di certe destinazioni, di certe fratture, di certe barriere che, mentre cerchiamo di abbatterle in un senso, vengono portate avanti in un altro.
Tutti noi sappiamo ciò che vuol dire approfondire culturalmente quello che è alle nostre spalle, cioè il lavoro di chi ha forse fatto molto meglio di noi (il dibattito di stamattina diceva con quanta facilità scialacquiamo e buttiamo a mare fortune create sulla fatica e sul serio impegno culturale, etico di coloro che ci hanno preceduti con il dialetto piemontese, o con la difficoltà di capirsi) perché, avv. Oberto, oggi i nostri emigrati in Argentina parlano o catalano o piemontese, ma ricordiamoci la poesia di Pascoli che dice "Sweet Italy", il ritorno dell'immigrato che parla malamente, la figlia degli immigrati che "dolce Italia" continua a coniarlo con parole americane e dialettali, questa è gente che non è andata a scuola, analfabeta, che metteva il segno del pollice sul documento di imbarco e andava a cercare fortuna in un'altra terra. Il legame sentimentale con noi si fonda sull'unica cosa in comune il piemontese. Il problema per la comunità nostra si può anche articolare in termini diversi, e per lo meno in Commissione si potrà vedere se queste esposizioni così rapide, che ho cercato di dare al mio pensiero che vuole raggiungere la tutela di questo, può trovare le forme di massimo consenso che abbiamo sempre dato ai nostri impegni nei confronti della collettività.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Ferrero.



FERRERO Giovanni

Dopo l'ampia trattazione delle materie attinenti al progetto di legge n. 54 già fatta dal collega Calsolaro, e dopo la lezione pratica di insegnamento del piemontese che ne è seguita per bocca del Consigliere Oberto, vorrei limitare il mio intervento ad alcune questioni di procedura nell'ordine dei lavori, a nome del Gruppo comunista.
Posso dire che questa legge pone delle questioni estremamente interessanti, non solo perché è legata allo Statuto della Regione Piemonte ma perché il Piemonte ha avuto trasformazioni, fenomeni migratori e altri fatti che sicuramente pongono il problema della difesa e del mantenimento dei rapporti sociali di una tradizione e di una cultura che hanno un ruolo nella definizione dell'identità di una regione.
Credo che questo problema sia complesso, esistono altre facce e non c'è dubbio che per molti lavoratori, per molte persone della nostra regione l'apprendimento dell'italiano sia stato l'elemento di progresso fondamentale che ha portato intere classi, interi gruppi sociali da un ruolo subalterno alla possibilità di partecipare ad alcuni degli strumenti essenziali per essere cittadini italiani, per inserirsi in quel processo che tutti noi auspichiamo e che le varie forze politiche, pur da posizioni diverse, hanno spinto avanti.
Per quanto riguarda la problematica inerente alla tutela della lingua c'è sempre il rischio di non cogliere quello che è il fatto dinamico e a volte progressivo di certi cambiamenti che intervengono per fissarne i quadri di massima, si che rischia di diventare schematico.
Su questo non voglio soffermarmi, dico soltanto che nel complesso questa tematica deve essere affrontata e regolamentata con una legge della Regione Piemonte.
Non nascondo che il nostro Gruppo riteneva più confacente ed opportuno qualora il dibattito tra le forze politiche avesse portato in questa direzione (non è una recriminazione la mia) l'inserimento della materia qui trattata all'interno di un'impostazione più generale ed organica che affrontasse anche questioni collaterali.
Detto questo, e riconfermato l'impegno di approvare la legge, vorrei riflettere un momento sulla base di un incontro assolutamente informale che è intervenuto tra alcuni Commissari della V Commissione e persone che avevano chiesto di essere sentite. In sostanza, mi sembrava opportuno anche in questo caso ricondurre l'approvazione della legge in quelli che sono i canoni normali, ordinari, a un iter di Commissione che affrontasse la consultazione e la discussione di eventuali modifiche, giungendo poi all'approvazione in Consiglio regionale, che in questo caso sarebbe assai sveltita in quanto larga parte del dibattito generale sarebbe già stata svolta.
Mi rendo conto che esiste un elemento non ordinario, sono cioè scaduti i termini che lo Statuto prescrive, ma questo vale anche per altri disegni di legge presentati dalla Giunta o per altra materia legislativa. Proprio per questo a noi sembrava pericoloso - pur rispettando lo spirito e la lettera dello Statuto - fare questo passo perché si poteva prestare ad altre operazioni di questo genere che svuotano non tanto il ruolo delle Commissioni, ma rendono più difficile il dibattito, e non sui grandi temi generali (sui quali peraltro credo che vi sia largo accordo), ma sulla materia legislativa che ha sempre aspetti tecnici di regolamentazione che vanno affrontati con la dovuta cura.
Per questo, quindi alla scadenza dei termini credo che il Consiglio qualora decida di rinviare alla Commissione per l'esame il disegno di legge, debba fissare dei termini estremamente contenuti, in modo che si recuperi con un iter rapido e con un termine il tempo perduto in cui anche la ristrutturazione delle Commissioni e altri atti necessari hanno avuto un ruolo e un peso indipendente, credo, dalla mia e dalla volontà di altri Commissari.
In questo senso credo quindi che l'ordine delle due-tre settimane possa essere assolutamente realistico, pur tenendo conto: dei calendari di consultazioni che già la Commissione ha fissato, delle festività o di altre cose del genere; io penso che possa essere un impegno che, qualora le altre forze politiche lo considerino opportuno, potrebbe essere assunto per dare al dibattito generale uno sbocco naturale operativo che permetta di entrare nel merito della questione e che quindi sia accettabile per l'impegno che tutti noi assumiamo di varare questa legge e di renderla operante.
Non vorrei quindi, per queste ragioni, ulteriormente soffermarmi su questioni di merito inerenti al progetto di legge in oggetto e chiederei, a nome del Gruppo comunista, che su questa proposta semplice ed operativa, ma che può avere una certa utilità per lo svolgimento dei lavori, vi sia un pronunciamento.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Menozzi.



MENOZZI Stanislao

Sgnor President, culeghi Cunsilier, dop la sapienta dissertasion fata dal culega Oberto, pensand anch che in d'la suciete piemuntesa din co ag sia un qualch emilian asrè tinte ed fer una cicareda in dal me dialet ed pruvegninsa, pur sintendom urguglios ed viver ed uperer in sta magnifica tera piemuntesa e sopratut astigiana.
Premetto che il mio intervento è a titolo squisitamente personale. Mi si insegnò, ed incomincio ad imparare, che la Regione come entità politica amministrativa, geografica, culturale, socio-economica, ha una sua validità nella misura in cui sa diventare momento e motivo unificante e non anche disaggregante e che tale, purtroppo, potrebbe diventare, quando si cercasse, seppur in buona fede, di inserirvi un passato non più corrispondente all'oggi. Quindi, necessità vuole che si tenda oggi ad evitare tutto ciò che può provocare contrapposizioni ed urti, anche se solo ritenuti di ordine psicologico e sentimentale.
Plaudo agli interventi dei colleghi Calsolaro e Oberto per le dotte ed interessanti citazioni di carattere storico-culturale, ma che riguardano pur sempre un passato e sotto certi aspetti, è il caso di dire, per buona fortuna ormai lontano.
Il mio intervento si sforza di vedere l'odierna situazione. Non vi è chi, più o meno colto, (o addirittura incolto come il sottoscritto) recandosi a Roma, città eterna, ed in altre città italiane, non provi un commovente trasporto nel vedere certe opere che i nostri antenati hanno saputo offrirci, che hanno costituito e che costituiscono tuttora, per la loro portata artistica e conseguentemente per il loro valore storico culturale che hanno acquisito, motivo di alto onore; però penso che nessuno oggi, pur onorando quegli artefici, ritenga di poterli imitare e di ridare alla società quello che hanno dato loro nei modi, nei luoghi, nei tempi in cui hanno operato. Parecchie di dette opere sono considerate "ruderi" e "ruderi" rimarranno.
E veniamo alla realtà piemontese. Si dice: introduciamo il dialetto nelle scuole. Non mi soffermo sul tema della parlata o del linguaggio delle minoranze etniche, delle quali parleremo in altra sede, mi soffermo invece alla questione dialettale, così com'è stata posta dagli illustri colleghi che mi hanno preceduto.
Pur non avendo precisi dati statistici a disposizione, sappiamo comunque che circa il 50% della popolazione residente non ha origini piemontesi; e se supereremo, come ognuno si augura, questa difficilissima fase data dalla ben nota avversa congiuntura economica e non solo economica e pur con tutti i buoni propositi di in vestimenti in altre regioni l'immigrazione sarà destinata ad aumentare. Se così stanno le cose, in che situazione verremo a trovarci nell' inserire, seppur facoltativamente la bella, la significativa parlata piemontese, seppur onusta di gloria nelle nostre scuole e quale imbarazzo susciteremo in quel 50%, che può diventare tra non molti anni un 60/70%, della popolazione? E dove pensiamo di trovare dei docenti pronti ad insegnare il dialetto puro perché per insegnare un piemontese maccheronico tanto vale non farlo? A tal proposito non dimentichiamoci per una questione di equità che la parlata piemontese non va confusa con quella torinese, abilmente usata dal collega Oberto nel suo intervento, e che, conseguentemente, verrebbe ad imporsi all'insegnamento anche dei dialetti usati nelle restanti cinque Province.
Al limite, certe proposte le potrei capire e recepire se ci trovassimo di fronte ad una scuola che non avesse più nulla da compiere per essere considerata veramente tale, ma, ahimé, siamo invece di fronte ad una scuola che non è neanche in grado di offrire gli insegnamenti basilari ed elementari. Nelle contrade agresti, come quelle della mia provincia esistono infatti ancora le pluriclassi, tanto lesive proprio per la formazione degli alunni. Ho sentito parlare il collega Oberto dei sette dizionari della lingua piemontese, ma, sempre con riferimento ai dati di prima, non so quanto possano servire alle future generazioni.
Preoccupiamoci invece che si incominci finalmente ad insegnare la lingua italiana che, ahimè, tanti cittadini ancora non conoscono. E quando avessimo (e Dio e gli uomini volessero presto) quella scuola a cui ho accennato, potremmo anche pensare di introdurre l'insegnamento della parlata piemontese.
E' stato poi fatto riferimento alla cara Bologna (ringrazio il collega Oberto) ed anche a Firenze. Ebbene, sostengo, collega Oberto, che a Bologna, come a Firenze, prima ancora di Bologna, per ovvi precedenti di carattere linguistico, in tutte le famiglie, i genitori, colti o no analfabeti o semi-analfabeti, per quel tantino che hanno potuto carpire della lingua italiana la parlano e si sforzano di insegnarla ai loro figli.
In tutte le case si parla ormai l'italiano; solo gli adulti, quando si incontrano, si abbandonano volentieri, con un certo trasporto anche sentimentale (che ha la sua importanza) alla parlata dialettale. Ma ripeto, in tutte le famiglie, dal bambino che riesce a pronunciare le prime sillabe per arrivare agli adulti, viene diffuso, insegnato e parlato l'italiano e direi in gran parte anche in Piemonte. Questo si è verificato non per le imposizioni del passato regime, ma perché è connesso e collegato a quello che è stato uno sviluppo, disordinato finché si vuole, ma pur sempre uno sviluppo socio-economico che ha favorito altri sviluppi ed il dialetto è passato dal 90% delle famiglie che normalmente lo parlavano ad un'esigua minoranza valutabile attorno al 10%.
Il voler introdurre l'insegnamento dialettale nelle scuole è quanto meno anacronistico, anche in relazione a quella comunità che ci sta di fronte, ed essendo ancora questa ad una fase soltanto pallidamente economica, sarebbe estremamente opportuno che questo Consiglio si sentisse invece più impegnato a far sì che anche la Regione Piemonte possa fornire una sua valida collaborazione affinché dal fatto meramente economico si possa arrivare a quell'unità sostanziale che, per essere tale, non può che essere un'unità politica di tutti i popoli europei. Se vogliamo incominciare a facilitare i nostri rapporti, ad esternare le nostre ansie e le nostre istanze, perché non preoccuparsi di incominciare a favorire in concreto la ricerca di un linguaggio comunitario, o la diffusione dell'insegnamento delle varie lingue? Chiedendo scusa per le cose che ho detto affrettatamente e in modo incompleto, ma riservandomi di ritornare in seguito sull'argomento concludo con un invito a tutto il Consiglio a voler ponderare meglio la questione perché, pur apprezzando tutti i sentimenti di questo mondo, si sta portando avanti un discorso che non calza con l'odierna realtà e soprattutto con quella che prevediamo essere la realtà del futuro.
Per ora mi limito ad invocare nuovamente l'insegnamento, sempre più e meglio, della lingua italiana e la conoscenza dell'unico "dizionario" di cui essa dispone e non anche dei sette della parlata piemontese e nel contempo un più intenso insegnamento delle lingue, almeno ufficiali, della Comunità Economica Europea.



PRESIDENTE

Signori Consiglieri, guardo con un occhio le lancette dell'orologio che girano inesorabilmente e con l'altro l'ordine del giorno con tutti i punti ancora da esaminare e vorrei a questo punto il vostro parere: è stata espressa, da parte di coloro che hanno preso la parola, la volontà di riesaminare il problema in Commissione, c'è una precisa proposta formulata dal Gruppo comunista di rimandare il progetto alla Commissione in tempi brevi e questo significa che quando ritornerà in aula avremo la possibilità di fare un dibattito vero e proprio. Il regolamento è quello che è, il Consiglio è sovrano nelle sue decisioni, ma, tra l'altro, ho ancora cinque o sei Consiglieri iscritti a parlare, cioè Benzi, Soldano, Carazzoni Castagnone Vaccarino, Marchini e vorrei dire qualcosa anch'io. Allora, come ci comportiamo?



CARAZZONI Nino

Proseguire il dibattito, con tutte le sciocchezze che sono state dette...



PRESIDENTE

La prego, Consigliere Carazzoni.



CASTAGNONE Aurelia

Chiedo la parola per mozione d'ordine.
Direi di accettare la proposta fatta dal Gruppo del P.C.I. perché a questo punto mi sembra inutile fare una discussione in aula, sospendere rimandare in Commissione per pochi minuti e ritornare in aula. Proprio per la serietà dei lavori e visto che tanti sono interessati a fare una discussione, appoggio la proposta del collega Ferrero e prego di sospendere la discussione, di rinviare la legge in Commissione con l'impegno di riportarla in aula entro tre settimane.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Benzi.



BENZI Germano

Accettiamo questa mozione d'ordine. Anche il Consigliere Oberto, nel suo dottissimo discorso, aveva già detto che forse era meglio rimandare, ma ciò che mi sembra indispensabile è fissare i tempi. Questa legge era stata presentata addirittura nell'altra legislatura, perciò possiamo accettare di troncare questa discussione, a condizione che in quindici giorni la Commissione sia in grado di ripresentare la legge in Consiglio.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Calsolaro.



CALSOLARO Corrado

Accetto la proposta del Consigliere Benzi nel senso che la proposta di legge ritorni in aula a tempi brevi e che venga fissata la data del 16 dicembre.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Soldano.



SOLDANO Albertina

Personalmente rinuncio a parlare, per non abusare oltre della pazienza dei colieghi ; parlerà, a nome della D.C., il Capogruppo Consigliere Bianchi.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Carazzoni.



CARAZZONI Nino

Signor Presidente, ritengo di dovere innanzi tutto contestare il suo modo di guidare questa discussione, sembrandomi del tutto anomalo che, dopo avere aperto un dibattito generale, lei lo interrompa ad un certo punto facendo invece parlare su una proposta che non è stata neanche presentata come mozione d'ordide, il che avrebbe consentito solo un'interruzione temporanea.



CASTAGNONE Aurelia

L'ho presentata io.



PRESIDENTE

Si può fare in qualsiasi momento.



CARAZZONI Nino

Non ritengo possibile che si apra a questo punto un dibattito generale che si consentano interventi ampi, dettagliati, culturalmente dotti di talune parti e poi che si restringa il tutto dicendo: dobbiamo pronunciarci sulla mozione per il rinvio in Commissione.
Allora, anche accettando questa impostazione, ho pur sempre alcune curiosità da togliermi ed alcune cose che desidererei dire.
Curiosità: desidererei sapere - forse, visto l'andamento della discussione sarebbe meglio che dicessi "mi punge la vaghezza di conoscere" mi punge la vaghezza di conoscere se il Presidente Sanlorenzo è diplomaticamente assente dalla Presidenza in questo momento o se, dotato com'è di senso della misura e di gusto dell'umorismo, non ha molto più opportunamente ritenuto di non essere qui a presiedere una seduta di questo genere. E' una semplice curiosità.



PRESIDENTE

Lo chieda al Presidente Sanlorenzo.



CARAZZONI Nino

Non ritengo di dovermi scusare di non parlare il dialetto piemontese in primo luogo perché non lo conosco, (infatti faccio parte di una zona del Piemonte che penso andrebbe storicamente, culturalmente, geograficamente attribuita a tutt'altra regione), in secondo luogo perché, se anche lo conoscessi, non riterrei di dovere comunque usare la lingua dialettale. Ad ogni modo qui la discussione era stata introdotta da una senza dubbio interessante relazione del Consigliere Calsolaro sulla quale si poteva anche aprire un dibattito di un certo impegno, magari non in questa, ma in successive circostanze, poi le cose si sono sviluppate come si sono sviluppate e sento, per la conclusione alla quale arriverò rapidamente, di dovermi scusare con i Consiglieri Rossotto, Ferrero ed altri che hanno cercato di dare un taglio diverso alla discussione, perché non me la sento più a questo punto di portare avanti un certo tipo di discorso; se si fosse fatta una discussione in termini seri, vi avremmo manifestato il punto di vista del nostro Gruppo, vi avremmo detto che riteniamo, per esempio, che la tutela delle minoranze linguistiche, a norma di Costituzione, spetta allo Stato e non alle Regioni, potevamo misurarci, confrontarci (come usate dire adesso) su questo terreno, avere opinioni diverse, avere pareri discordanti, potevamo fare una discussione di un certo impegno. Siccome tutto sommato, si è voluto fare - mi si perdoni l'espressione - un po' di folklore, allora, serietà per serietà, mi limito a dire questo: vista la relazione di Calsolaro che, ripeto, non avevo nessuna intenzione di trattare o di maltrattare, perché, collega Calsolaro, la sua relazione era indubbiamente sollecitante di uno spunto per un altro tipo di discussione e visto che la difesa della lingua italiana è stata presentata come strumento di nazionalismo, di sciovinismo, di imperialismo, visto che in questo Consiglio regionale sono ritenuto un imperialista, uno sciovinista un nazionalista, un nostalgico, un fascista, non fosse altro che per queste ragioni, sono decisamente contrario ad una proposta di legge quale quella firmata dal collega Calsolaro, pur accettando per il momento il rinvio della proposta stessa in Commissione e riservandomi in un altro momento, in un altro clima e con un altro spirito di parlarne in termini più seri, non solo da parte mia, quando la proposta ritornerà in aula.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marchini.



MARCHINI Sergio

Confesso che sono piuttosto imbarazzato perché il rinvio in Commissione è certamente qualcosa a cui tendevamo in molti, ma se ha una logica il rinvio in Commissione del dispositivo, ognuno di noi dovrà pur dare una sua motivazione. E allora il discorso di rinviare in Commissione per mandare meno persone a discutere in più tempo quello che potremmo discutere in tanti in minor tempo, non mi sembra molto serio.
Aderisco alla richiesta di non prolungare il dibattito e di dire semplicemente se si è d'accordo o meno sul rinvio in Commissione, pero mi pare che vada brevemente puntualizzato ciò che in questa legge non mi piace.
Prima di tutto non mi piace perché siamo tutti d'accordo e, quasi per una questione fisiologica, quando siamo tutti d'accordo comincio a preoccuparmi che si stia finendo nel generico e nel pressapochismo. Dico subito che la mia preoccupazione è soprattutto di questo tipo: mi pare che la legge sia viziata dall'errore preliminare di considerare il piemontese una lingua, mentre probabilmente si fa riferimento al torinese, problema estremamente importante, perché stiamo facendo un altro tipo di centralismo torinese. Ora, se noi vogliamo fare una legge (e qui aveva ragione Ferrero) che riguarda uno degli aspetti della cultura, se non vogliamo fare solo del folklore, se si vuole tutelare la cultura come forma di espressione delle nostre collettività, dobbiamo prendere atto che la collettività piemontese è estremamente frazionata e diversificata, quindi non si parla di minoranze, perché qui non c'è un ceppo maggioritario rispetto ad altri minoritari, c'è tutta una situazione diversificata dove la lingua finisce per essere un aspetto della realtà...



BONTEMPI Rinaldo

Ma c'è una mozione d'ordine, bisogna pronunciarsi su quella, se non facciamo il dibattito.



MARCHINI Sergio

Allora mi pronuncio contro e chiedo che il dibattito continui.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Paganelli.



PAGANELLI Ettore

L'intervento del collega Carazzoni era argutamente polemico ed ho avvertito i suoi riferimenti, ma ritengo di dovere una precisazione al Consiglio. L'assenza del Presidente Sanlorenzo non è né occasionale, n diplomatica: il Presidente Sanlorenzo aveva un impegno già fissato, infatti doveva recarsi nella sede del Consiglio regionale per una mezz'ora, ma prima di assentarsi mi ha pregato di collaborare con il Vice Presidente Bellomo per la direzione della seduta.
Ho voluto rendere noto questo all'assemblea.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bontempi.



BONTEMPI Rinaldo

Il nostro Gruppo si pronuncia a favore della mozione nei termini in cui è stata posta, cioè il rinvio in Commissione; la fissazione dei termini a tempi brevi va bene, mi pare però un pochino improponibile la fissazione della data entro 15 giorni, si può rimandare sulla base di un esame di quello che fa la Commissione e dell'esame dei Capigruppo.



PRESIDENTE

Si può raccomandare la procedura d'urgenza.



MARCHINI Sergio

Ma guardate che cosa dicono gli esperti di questa legge, di marca comunista!



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bianchi.



BIANCHI Adriano

Signor Presidente, il mio Gruppo è favorevole a che la proposta di legge venga rinviata in Commissione perché ritiene che attraverso l'approfondimento, la migliore definizione giuridica e lessicale si dia una risposta valida alla tutela del patrimonio linguistico e culturale che è stato motivo di attenzione e di definizione in sede statutaria.
Il Gruppo D.C. ritiene che non si debbano creare delle contrapposizioni artificiose, quasi a fare apparire che la tutela di un patrimonio, che consegniamo ad ogni cittadino che vive nell'ambito piemontese, sia motivo di divisione anziché di unione e di unità. La cultura come tale non ha mai diviso nessuno, ha sempre e soltanto unito, se in questo senso viene interpretata. Pertanto noi, formulando l'adesione alla proposta che è venuta dal Gruppo comunista, riteniamo, perché abbiamo colto alcune indicazioni, anche se sfumate, politiche, di dovere respingere ogni prospettazione di questa tematica come un momento di contrapposizione tra un Piemonte di ieri ed un Piemonte di oggi. Pensiamo al Piemonte di domani orgoglioso delle sue tradizioni, del suo patrimonio culturale, del suo avvenire, delle sue acquisizioni sulle quali si aggiunge e si somma tutto il patrimonio che ci è stato consegnato.



PRESIDENTE

Metto in votazione la mozione d'ordine presentata dalla dottoressa Castagnone Vaccarino.
Chi è d'accordo è pregato di alzare la mano.



CALSOLARO Corrado

Mi astengo.



PRESIDENTE

La mozione d'ordine è approvata con un'astensione.
Si raccomanda al Presidente della Commissione di fare proprio il mandato ricevuto dal Consiglio.


Argomento: Asili nido

Esame disegno di legge n. 133: "Integrazione del fondo speciale per gli asili-nido, di cui alla legge 6.12.1971 n. 1044, per l'anno 1976"


PRESIDENTE

Passiamo allora al punto quinto dell'o.d.g.: Esame disegno di legge n.
133: "Integrazione del fondo speciale per gli asili-nido, di cui alla legge 6.12.1971 n. 1044, per l'anno 1976".
Relatore è il Consigliere Dadone, che ha facoltà di parlare.



DADONE Pietro, relatore

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, con la legge regionale n. 22 del 16 aprile 1975, veniva stabilito che il Bilancio doveva prevedere un'integrazione di 3 miliardi a favore della legge, approvata a suo tempo dal Consiglio regionale sugli asili nido.
Questi 3 miliardi dovevano utilizzarsi in misura di 2.950 milioni per la costruzione, l'ampliamento e l'arredamento ed i rimanenti 50 milioni per la gestione e la manutenzione degli asili nido.
Con la variazione del Bilancio votata recentemente dal Consiglio regionale viene a determinarsi la condizione di acquisire dai vari capitoli i necessari fondi, in conto interesse e conto capitale, per poter procedere alle operazioni di mutuo onde rendere possibile la costruzione degli asili nido a suo tempo decisi.
Le quote necessarie fanno riferimento ai capitoli 1018 e 1406 del Bilancio 1976. Non essendosi ancora costruiti gli asili, si rende anche disponibile la somma di L. 50 milioni destinati alla gestione.
Per quanto occorre, in base all'articolato della legge, le somme vengono imputate agli articoli: 556 per la quota interessi e 1423 per la quota capitale.
Il disegno di legge in esame prevede infine di destinare all'esercizio 1977 e successivi il maggior onere derivante dall'ammortamento del mutuo il quale verrà fronteggiato dai maggiori proventi derivanti dal riparto di cui all'articolo 8 della legge 16 maggio 1970 n. 281, modificato dall'articolo 1 della legge 10 maggio 1976 n. 356.
Il disegno di legge in esame è perciò corretto sotto i vari aspetti tecnici e finanziari, ed in considerazione di quanto già nel passato più volte discusso, e cioè l'importanza di una politica che estenda il servizio degli asili nido, la legge in esame è meritevole di approvazione.



PRESIDENTE

La parola alla Signorina Vietti.



VIETTI Anna Maria

Come abbiamo dichiarato in Commissione, questo disegno di legge è esclusivamente un adempimento conseguente alla legge del 16.4.1975 n. 22 che prevede un'integrazione di stanziamenti per i piani degli asili-nido rinviando però il finanziamento, relativo all'anno 1976, ad un successivo provvedimento legislativo. La legge 16.4.1975 n. 22 è conseguente al piano pluriennale degli asili-nido che questo Consiglio ha approvato: pertanto ritengo che il disegno di legge in discussione sia meritevole di approvazione.



PRESIDENTE

Se più nessuno chiede di parlare passiamo alla votazione dell'articolo unico. Ci sono dichiarazioni di voto? Allora vi leggo il testo dell'articolo: "Ai fini dell'integrazione del fondo per gli asili-nido nell'anno 1976 stabilita in lire 2950 milioni ai sensi della legge regionale 16 aprile 1975, n. 22, si provvede mediante l'accensione di un mutuo, di pari ammontare, ad un tasso non superiore al tredici per cento e per una durata non superiore ad anni trenta, da estinguere mediante semestralità costanti posticipate. La Giunta regionale è autorizzata ad assumere, con propria deliberazione, il mutuo predetto.
Nello stato di previsione dell'entrata per l'anno finanziario 1976 sarà conseguentemente iscritto il capitolo n. 116, con la denominazione 'Provento del mutuo per il finanziamento degli oneri relativi all'integrazione regionale del piano per gli asili-nido per l'anno 1976' e con la dotazione di 2950 milioni.
Nel corrispondente stato di previsione della spesa sarà iscritto il capitolo 1169 con la denominazione 'Contributi a carico della Regione, per il piano di costruzione, impianto ed arredamento degli asili-nido per l'anno 1976' e con lo stanziamento di 2950 milioni.
All'onere derivante dall'ammortamento del mutuo di cui ai precedenti commi, valutato in 200 milioni, si provvede, per l'anno finanziario 1976 mediante una riduzione degli stanziamenti di cui ai capitoli n. 1018 e n.
1406 dello stato di previsione della spesa per lo stesso anno, nella rispettiva misura di 180 milioni e di 20 milioni, e mediante l'istituzione nello stato di previsione medesimo, dei capitoli n. 556 e n. 1423, relativi alle quote interessi ed alle quote di rimborso del capitale, con il rispettivo stanziamento di 180 milioni.
Al maggior onere derivante dall'ammortamento del mutuo valutato in 200 milioni per l'anno finanziario 1977 e per ciascuno degli anni finanziari successivi si provvede utilizzando una quota di pari ammontare della maggiore somma derivante dal riparto, ad oneri dell'anno 1977, del fondo di cui all'art. 8 della legge 15 maggio 1970 n. 281 modificato dall'articolo 1 della legge 5 maggio 1976, n. 356.
Nei bilanci di previsione degli anni 1977 e successivi saranno iscritti i capitoli n. 556 e n. 1423 con stanziamenti pari, in complesso, alle rate d'ammortamento scadenti nei rispettivi anni.
Il Presidente della Giunta regionale è autorizzato ad apportare, con proprio decreto, le occorrenti variazioni di bilancio".
Si proceda all'appello.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

La votazione ha avuto il seguente esito: presenti e votanti: n. 39 hanno risposto sì: n. 39 Consiglieri.
Il disegno di legge n. 133 è approvato.


Argomento: Bilancio - Finanze - Credito - Patrimonio: argomenti non sopra specificati

Esame disegno di legge n. 138: "Norme per la nuova numerazione dei capitoli del bilancio regionale"


PRESIDENTE

Il punto sesto all'o.d.g. reca: Esame disegno di legge n. 138: "Norme per la nuova numerazione dei capitoli del bilancio regionale".
Il relatore, Consigliere Raschio, ha facoltà di svolgere la sua relazione.



RASCHIO Luciano, relatore

Signor Presidente, signori Consiglieri, vedo che a questo disegno di legge non è stata acclusa la relazione, che avevo preparato.
Posso dire, comunque, che si tratta meramente di accorgimenti di carattere tecnico tendenti a rendere omogenea l'impostazione di bilancio sulla falsariga di quanto è stato fatto a livello statale, così da far lavorare i computers in modo più organico.
La Commissione ha approvato il disegno di legge all'unanimità: sarebbe opportuno pertanto che anche l'intero Consiglio regionale votasse in senso positivo.



PRESIDENTE

Apro la discussione. Qualcuno chiede di parlare? L'Assessore Simonelli.
Ne ha facoltà.



SIMONELLI Claudio, Assessore al bilancio

Prendo occasione dalla votazione su questo disegno di legge tecnico per confermare al Consiglio quanto abbiamo già avuto occasione di dichiarare nella scorsa seduta, e cioè che la Giunta è pronta ad iniziare la discussione del bilancio preventivo per il '77 in I Commissione nel corso della settimana.
Nelle riunioni, che si sono tenute nei giorni scorsi, degli Assessori al Bilancio delle varie Regioni si è potuta registrare una sostanziale concordanza di opinioni in ordine alla impossibilità di presentare bilanci programmatici in questa fase, e quindi, con l'adozione di soluzioni diverse, la maggioranza delle Regioni si sta orientando a richiedere l'esercizio provvisorio per i primi mesi del '77. Noi saremmo orientati viceversa, a presentare un bilancio vero e proprio, anche se un bilancio con natura di provvisorietà perché, allo stato attuale delle cose, non esistono, a giudizio degli Assessori al Bilancio di tutte le Regioni, le condizioni per presentare bilanci già in attuazione della riforma di contabilità.
Su queste basi confermiamo l'impegno che abbiamo assunto nella scorsa seduta del Consiglio di andare al confronto in Commissione, la settimana prossima, sul bilancio '77, sullo stato di attuazione delle leggi pluriennali e sui dati del rendiconto '75, nonché sugli elementi più generali che riguardano la nuova contabilità regionale e i bilanci programmatici, che però saranno un adempimento dei mesi successivi. In questa occasione illustreremo anche i risultati cui sono giunti gli Assessori al Bilancio nella riunione di Bari, e posso fin d'ora annunciare che è stata fissata una convocazione degli Assessori al Bilancio a Torino il 17 dicembre per la prosecuzione dell'esame congiunto dei problemi aperti. Gli Assessori, cioè, discuteranno su questa tematica: formazione dei bilanci '77 e leggi di contabilità regionale; determinazione delle previsioni d'entrata dei bilanci pluriennali (ad evitare che ogni Regione faccia del le previsioni diverse dalle altre: sarebbe assurdo che il Piemonte stimasse le entrate tributarie dello Stato in modo diverso da come le stima la Lombardia, perché si verrebbe ad avere un quadro di previsioni del tutto disarticolato); infine, aspetti finanziari che nascono dalla 382 (al fine di non essere colti in contropiede, come accade con i decreti delegati, e trovarsi risorse inferiori a quelle che corrispondono alle competenze attribuite).
Questo aspetto della 382 è particolarmente grave, non solo per i ritardi con cui si procede, ma perché, a questo punto, nei sei mesi che il Governo ha ottenuto di delega ulteriore, c'è il rischio che la palla passi come accadde per i decreti delegati, all'interno dei Ministeri, e che, in definitiva, alla visione abbastanza soddisfacente dal punto di vista regionalista della Commissione Giannini, subentri una interpretazione chiusa e restrittiva da parte della burocrazia ministeriale; il che, poi si può tradurre, per le Regioni, in alcune pesanti conseguenze, e sul piano del personale e sul piano delle risorse. Cioè, bisogna evitare, ripeto, che con la 382 si rinnovi quel che si è fatto con i decreti del '72, per cui alla Regione viene rifilato del personale in esuberanza, senza che vengano assegnate risorse in misura adeguata. Bisognerà quindi mettere a punto i meccanismi che ci consentano fin da ora di cautelarci nei confronti del lavoro che sarà svolto all'interno dei Ministeri.
Su questa problematica ci confronteremo, dunque, il 17 dicembre. La settimana prossima andremo comunque in Commissione per una verifica, come avevamo preannunciato nella seduta scorsa, su tutti quattro questi aspetti.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SANLORENZO



PRESIDENTE

Non vi sono altre richieste di parola? Possiamo allora passare alla votazione degli articoli della legge.
Art. 1 - "E' approvata, come dal prospetto n. 1 annesso alla presente legge, la correlazione tra i numeri dei capitoli degli stati di previsione dell'entrata dei bilanci per gli anni finanziari dal 1972 al 1976".
Non sono stati presentati emendamenti. Nessuno chiede di parlare. Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti: n. 39 hanno risposto sì: n. 39 Consiglieri.
Art. 2 - "E' approvata, come dal prospetto n. 2, annesso alla presente legge, ed in sostituzione del prospetto di cui all'art. 10 della legge regionale 26 maggio 1976 n. 29, la correlazione tra i numeri dei capitoli degli stati di previsione della spesa dei bilanci per gli anni finanziari dal 1972 al 1976".
Non sono stati presentati emendamenti. Nessuno chiede di parlare. Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti: n. 38 hanno risposto sì: n. 38 Consiglieri.
Art. 3 - "I numeri dei capitoli iscritti negli stati di previsione dell'entrata e della spesa del bilancio per l'anno finanziario 1976 debbono intendersi moltiplicati per dieci".
Non sono stati presentati emendamenti. Nessuno chiede di parlare. Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti: n. 39 hanno risposto sì: n. 39 Consiglieri Art. 4 - "E' approvata, come dal prospetto n. 3 annesso alla presente legge, la nuova numerazione dei capitoli istituiti nel bilancio per l'anno finanziario 1976 con variazioni successive alla legge regionale 26 maggio 1976, n. 29".
Non sono stati presentati emendamenti. Nessuno chiede di parlare. Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti: n. 38 hanno risposto sì: n. 38 Consiglieri Art. 5 - "Per i fini della gestione delle relative entrate è approvata come dal prospetto n. 4 annesso alla presente legge, la nuova numerazione dei capitoli istituiti e iscritti nei bilanci degli anni finanziari 1975 e precedenti".
Non sono stati presentati emendamenti. Nessuno chiede di parlare. Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti: n. 39 hanno risposto sì: n. 39 Consiglieri.
Art. 6 - "Per i fini della gestione delle relative spese è approvata come dal prospetto n. 5 annesso alla presente legge, la nuova numerazione dei capitoli istituiti e iscritti nei bilanci degli anni finanziari 1975 e precedenti".
Non sono stati presentati emendamenti. Nessuno chiede di parlare. Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti: n. 40 hanno risposto sì: n. 40 Consiglieri Si può ora passare alla votazione sull'intero disegno di legge.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti: n. 40 hanno risposto sì : n. 40 Consiglieri.
Il disegno di legge è approvato.
I prospetti allegati alla presente legge verranno pubblicati sul verbale di questa seduta.


Argomento: Strutture ricettive (albergh., extra-albergh., campeggi e villaggi, classif., vincolo) e strutture e impianti turist.

Esame disegno di legge n. 139: "Proroga dell'efficacia della classificazione alberghiera 1973/74 per il biennio 1977/1978"


PRESIDENTE

Il punto settimo all'o.d.g. reca: Esame disegno di legge n. 139: "Proroga dell'efficacia della classificazione alberghiera 1973/1974 per il biennio 1977/1978".
Sostituisce il relatore designato, Luciano Rossi, che ha chiesto congedo, il Consigliere Raschio, che ha facoltà di parlare.



RASCHIO Luciano, relatore

Signor Presidente, in assenza del collega Rossi, che, come già è stato riferito, oggi è impegnato al Congresso nazionale dell'ANCI, a nome della Commissione, che è stata unanime nel dare la sua approvazione al disegno di legge, leggo il testo della relazione.
E' all'esame il disegno di legge n. 139 riguardante "Proroga dell'efficacia della classificazione alberghiera 1973/1974 per il biennio 1977/1978". Si tratta di ripetere il disegno di legge del Consiglio regionale fatto nel 1973. Ciò è dovuto al fatto che si è in attesa di una nuova legge dello Stato che determini la classificazione degli alberghi delle pensioni e delle locande modificando integralmente quella del 1937.
L'articolato in esame specifica nei dettagli quanto sopra esposto.
L'art. 3 del disegno di legge, che richiede la dichiarazione d'urgenza, è giustificato dall'opportunità di evitare di trovarsi in una situazione precaria.
Sarà opportuno un sollecito al Governo perché emani urgentemente la nuova legge, perché ciò dia la possibilità alle Regioni di operare adeguatamente.



PRESIDENTE

Chiede di parlare l'Assessore Moretti. Ne ha facoltà.



MORETTI Michele, Assessore all'industria alberghiera

Desidero semplicemente dare una informazione, a ciò indotto dalla frase finale letta dal collega Raschio: sollecitare il Governo ad emanare urgentemente una nuova legge per dare la possibilità alle Regioni di operare adeguatamente. Il Ministro ha convocato per il giorno 6 gli Assessori regionali per impostare la legge quadro, alla quale le Regioni dovranno uniformarsi per non creare squilibri fra di loro: il turista straniero deve trovare uniformità per quanto riguarda la classificazione alberghiera nel nostro Paese.



PRESIDENTE

Vi sono altre dichiarazioni? Possiamo allora passare ai singoli articoli della legge.
Art. 1 - "La classificazione degli alberghi, delle pensioni e delle locande del Piemonte, determinata per il biennio 1973/1974 a sensi del R.D.L. 18 gennaio 1937, n. 975, convertito in legge 30 dicembre '37, n.
2651 e successive modificazioni, e già prorogata al 31 dicembre 1976 con legge regionale 11 dicembre 1974, n. 37, è ulteriormente prorogata a tutti gli effetti per il biennio 1977/1978".
Non sono stati presentati emendamenti. Nessuno chiede di parlare. Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti: n. 34 hanno risposto sì: n. 34 Consiglieri Art. 2 - "Sino all'emanazione di una nuova normativa in materia di classificazione alberghiera, sono fatte salve le facoltà e le procedure previste dagli artt. 2 e 9 del R.D.L. 18 gennaio 1937, n. 975, in ordine alla possibilità di variazione della classificazione relativa a singoli esercizi alberghieri".
Non sono stati presentati emendamenti. Nessuno chiede di parlare. Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione : presenti e votanti: n. 36 hanno risposto sì: n. 36 Consiglieri Art. 3 - "La presente legge è dichiarata urgente ed entra in vigore nel giorno della sua pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione Piemonte a sensi del sesto comma dell'art. 45 dello Statuto".
Non sono stati presentati emendamenti. Nessuno chiede di parlare. Si passi alla votazione



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti: n. 40 hanno risposto sì: n. 40 Consiglieri.
Nessuno desidera parlare per dichiarazione di voto? Passiamo allora all'approvazione dell'intero disegno di legge.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti: n. 39 hanno risposto sì: n. 39 Consiglieri.



(Il disegno di legge è approvato)


Argomento: Assistenza sanitaria (prevenzione - cura - riabilitazione) - Fondi sanitari

Esame disegno di legge n. 116: "Modificazioni ed integrazioni alle leggi regionali 30/12/1974 n. 43 e 3/2/1975 n. 8, concernenti rispettivamente 'Norme per il finanziamento della spesa per l'assistenza ospedaliera' e 'Prime disposizioni in materia di assistenza ospedaliera'"


PRESIDENTE

Il punto ottavo all'o.d.g. reca: Esame disegno di legge n. 116: "Modificazioni ed integrazioni alle leggi regionali 30/12/1974 n. 43 e 3/2/1975 n. 8, concernenti rispettivamente 'Norme per il finanziamento della spesa per l'assistenza ospedaliera' e 'Prime disposizioni in materia di assistenza ospedaliera'".
La parola al relatore, Consigliere Ferrero.



FERRERO Giovanni, relatore

Signori Consiglieri, il primo articolo della legge regionale n. 43 del '74 ha disciplinato le modalità di riparto del Fondo nazionale assegnato ai sensi dell'art. 16 della legge 386 dello Stato, ma non ha stabilito quali altri proventi devono concorrere ad integrare ed alimentare il carente fondo regionale.
Risulta pertanto opportuno modificarne il testo specificando proventi e criteri per il riparto, adeguandosi in ciò alle leggi operanti in altre Regioni, secondo quanto predisposto all'art. 1 dell'attuale disegno di legge.
L'abrogazione, disposta dall'art. 2, del secondo comma dell'art. 5 della legge regionale 3/2/'75 n. 8 risulta necessaria onde evitare contraddizioni legislative.
L'opportunità di questa legge è apparsa evidente ai Commissari dell'allora IV Commissione, ed è stata unanimemente ribadita dai Commissari dell'attuale V Commissione. Pertanto, la Commissione rassegna il provvedimento al Consiglio proponendone l'approvazione unanime.



PRESIDENTE

Qualcuno chiede di parlare? Possiamo allora passare all'esame dei singoli articoli.
Art. 1 - "L'art. 1 della l.r. 30/12/1974 n. 43 è sostituito dal seguente: Il fondo regionale per l'assistenza ospedaliera è alimentato: a) dalla quota annuale attribuita alla Regione del fondo nazionale per l'assistenza ospedaliera di cui agli artt. 14 e 16 della legge 17/6/1974 n.
386 b) dalle quote di degenza dovute da ricoverati non iscritti nei ruoli di cui all'art. 13 della legge 17/8/1974 n. 386, da ricoverati nelle sale separate di cui all'art. 47 del D.P.R. 27/3/1969 n. 130 e dalle quote differenziali dovute da ricoverati in classi diverse c) dai proventi per prestazioni ambulatoriali, depurati dalle quote di spettanza dei sanitari d) dall'ammontare complessivo netto dei redditi derivanti dalle gestioni patrimoniali degli Enti ospedalieri e) dai proventi derivanti da azioni di rivalsa o surroga f) da eventuali stanziamenti integrativi a carico del bilancio della Regione nella misura stabilita con legge regionale.
Lo stanziamento assegnato ai sensi dell'art. 16 della legge 17/8/1974 n. 386 e l'importo delle quote di cui alle suddette lettere b), c), d), e) f) viene ripartito tra gli Enti ospedalieri sulla base dei criteri stabiliti dall'art. 2 e successivi della presente legge.
In sede di ripartizione, una quota del fondo sarà utilizzata per fronteggiare gli oneri derivanti dall'attuazione degli altri compiti connessi con il trasferimento alla Regione dell'assistenza ospedaliera".
Non sono stati presentati emendamenti. Nessuno chiede di parlare. Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti: n. 33 hanno risposto sì: n. 33 Consiglieri.
Art. 2 - "Il secondo comma dell'art. 5 della legge regionale 3 febbraio 1975 n. 8 è abrogato".
Non sono stati presentati emendamenti. Nessuno chiede di parlare. Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti: n. 35 hanno risposto sì: n. 35 Consiglieri.
Pongo in votazione l'intero disegno di legge.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: presenti e votanti: n. 35 hanno risposto sì: n. 35 Consiglieri.
Abbiamo così esaurito anche il punto ottavo all'o.d.g. Se sono stato esattamente informato, non vi sono le condizioni per svolgere i punti nono e decimo.


Argomento:

Esame disegno di legge n. 116: "Modificazioni ed integrazioni alle leggi regionali 30/12/1974 n. 43 e 3/2/1975 n. 8, concernenti rispettivamente 'Norme per il finanziamento della spesa per l'assistenza ospedaliera' e 'Prime disposizioni in materia di assistenza ospedaliera'"

Argomento:

Sul programma dei lavori


PRESIDENTE

Sul programma dei lavori propongo di tenere ora una rapida riunione dei Capigruppo, allo scopo di definire l'ordine del giorno della prossima seduta, che, secondo le intese raggiunte nella precedente riunione dei Capigruppo, si terrà il giorno 9, dovrebbero poi esserci sedute consiliari nei giorni 16, 22 e 23 dicembre. Con queste previsioni di lavoro dovremmo essere in grado di condurre in porto il programma che era stato elaborato.
Queste le decisioni di massima: la puntualizzazione delle questioni da porre all'ordine del giorno, come ho detto, la faremo fra poco con i Capigruppo; anche i membri della Giunta sono pregati di riunirsi, rimanendo qui in aula.
La seduta è sciolta.



(La seduta ha termine alle ore 17,45)



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