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Dettaglio seduta n.81 del 18/11/76 - Legislatura n. II - Sedute dal 16 giugno 1975 al 8 giugno 1980

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Argomento:


PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PAGANELLI


Argomento:

Approvazione verbale precedente seduta


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Il Presidente Sanlorenzo è attualmente impegnato con il Procuratore Generale della Repubblica e con il Sindaco di Torino per discutere sui problemi della droga.
Arriverà quanto prima.
L'ordine del giorno al primo punto reca: "Approvazione verbale precedente seduta".
Se non vi sono osservazioni il verbale viene dato per approvato.
Passiamo al punto successivo: "Interpellanze ed interrogazioni".


Argomento: Problemi del lavoro e della occupazione

Interrogazione dei Consiglieri Chiabrando e Colombino: "Situazione aziendale della Beloit Italia ed iniziative a difesa dei livelli occupazionali"


PRESIDENTE

Interrogazione dei Consiglieri Chiabrando e Colombino: "Situazione aziendale della Beloit Italia ed iniziative a difesa dei livelli occupazionali". Risponde l'Assessore Alasia.



ALASIA Giovanni, Assessore ai problemi del lavoro

Noi abbiamo consultato in questi giorni il Consiglio di fabbrica, la Segreteria della FLM e la direzione della Beloit.
L'incontro con le organizzazioni sindacali lo abbiamo tenuto il 18 ottobre scorso. Come ho detto a Colombino io ero pronto da tempo a rispondere all'interrogazione, ma abbiamo preferito rinviarla per sentire anche la direzione dell'azienda; poi è stata ancora rinviata, ma non per colpa mia, legata al calendario dei lavori del Consiglio.
Nel corso del colloquio con le organizzazioni sindacali è emerso che le preoccupazioni circa le prospettive occupazionali dei lavoratori della Beloit - oltre 1150 dipendenti di cui 450 impiegati, 560 addetti allo stabilimento e 150 addetti alla fonderia - derivano essenzialmente da tre ordini di considerazioni: 1) in un incontro svolto alla fine dell'estate scorsa la direzione ha comunicato che l'azienda presenta un eccesso di 90/95 unità impiegatizie che dovranno essere pertanto eliminate preferibilmente attraverso dimissioni volontarie entro dicembre. In alternativa la Società ricorrerebbe a formali procedure di licenziamento 2) l'azienda ha fatto ricorso per quasi tutto il 1976 alla Cassa integrazione per gli addetti allo stabilimento, mentre la fonderia ha potuto lavorare in condizioni normali per talune commesse in conto terzi che sono ora in via di ultimazione. Anche attualmente una parte dei dipendenti dello stabilimento è in Cassa integrazione 3) secondo informazioni date al Consiglio di fabbrica dalla direzione non si prevede per il prossimo anno un incremento degli ordini, per cui è prevedibile ancora un ulteriore ricorso alla Cassa integrazione. A questi elementi andrebbe poi aggiunto il fatto che la Beloit, Società multinazionale già presente in diversi paesi (Gran Bretagna, Stati Uniti Canada, Giappone, Spagna) sta rafforzando e riorganizzando la propria struttura produttiva all'estero.
Il timore delle organizzazioni sindacali è dunque quello che la Beloit Italia riduca ulteriormente la propria attività produttiva sia in termini qualitativi, sia quantitativi, avviandosi ad assumere una caratterizzazione di tipo commerciale.
Questi temi sono stati affrontati nell'incontro fra la direzione della Beloit e l'Assessorato svoltosi nella giornata dell'11 novembre. Di qui anche il rinvio a rispondere all'interrogazione.
Da parte della Società è stato confermato che esistono delle difficoltà non specificatamente aziendali, ma dipendenti dalla generale negativa evoluzione dell'industria produttrice di macchine per cartiere in questo ultimo anno sia a livello nazionale, sia internazionale. Ciò in conseguenza della condizione di crisi del settore cartiario (utilizzatore delle macchine) le cui aziende lavorano molto al di sotto delle proprie potenzialità produttive e non danno pertanto corso ad investimenti per nuovi impianti.
Inoltre (fatto molto importante per la Beloit Italia che esporta circa l'80% della propria produzione) si sta sempre più accentuando la tendenza dei paesi un tempo importatori di impianti completi a favorire lo sviluppo anche in questo settore di un proprio apparato industriale.
I dirigenti dell'azienda hanno confermato - nel colloquio avuto con noi l'interesse della Beloit a mantenere la propria presenza in Italia, come sarebbe dimostrato anche dal fatto che in questi anni sono stati effettuati investimenti per il miglioramento degli impianti.
Le difficoltà del settore, talune di tipo congiunturale, altre strutturali, sarebbero dunque la causa della riduzione degli ordini alla Beloit Italia e del conseguente ridimensionamento dell'attività produttiva che ha determinato nei mesi scorsi il ricorso alla Cassa integrazione La Società ha dichiarato di non essere in grado in questo momento di stabilire la durata della Cassa integrazione e neppure di fare delle previsioni sufficientemente analitiche in relazione all'andamento produttivo per il prossimo anno.
Dalla riduzione dell'attività lavorativa e dalle incerte prospettive sul ritorno nel breve periodo a condizioni di pieno utilizzo degli impianti, è derivata la decisione di ridurre il numero del personale impiegatizio di 90/95 unità ristrutturando anche gli uffici.
La Società pensa di risolvere questo problema attraverso il meccanismo delle dimissioni volontarie e dei prepensionamenti; in alternativa ha confermato che procederà nel dicembre prossimo all'avvio della formale procedura. Vengono invece escluse ristrutturazioni nell'attività produttiva che comportino riduzione del personale operaio, per il quale si conferma il mantenimento degli attuali livelli occupazionali.
L'Assessorato ritiene che questa situazione debba ancora essere approfondita attraverso ulteriori contatti con le parti interessate e che debba essere attentamente seguita nel suo evolversi, in relazione all'andamento del settore. Questo lo faremo ancora entro il mese di novembre, prima che si apra formalmente la questione e in questo senso ci stiamo già adoperando.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Colombino.



COLOMBINO Michele

Prendo atto con soddisfazione di quanto ha dichiarato l'Assessore Alasia. Il problema della Beloit preoccupa seriamente non soltanto la città di Pinerolo, ma tutto il comprensorio del Pinerolese già abbastanza provato nel corso di questi mesi da situazioni del genere.
Mentre mi dichiaro soddisfatto della risposta, vorrei formulare l'invito all'Assessore di tenere sotto controllo nelle prossime settimane la situazione, anche perché - da voci che corrono in città - si attende il mese di dicembre per provvedere d'autorità ad alcuni licenziamenti. Se si dovrà arrivare per forza di cose ad una riduzione del personale, si dovrà fare molta attenzione ai casi, onde evitare che vengano licenziati dei padri di famiglia con conseguenze gravissime ed irreparabili per le famiglie e per la città.


Argomento: Cultura: argomenti non sopra specificati

Interrogazione del Consigliere Cerchio: "Motivazioni che hanno indotto la Giunta a rinunciare alla realizzazione, in accordo con altri enti interessati, della rassegna 'I giovani per i giovani'"


PRESIDENTE

Passiamo all'interrogazione del Consigliere Cerchio: "Motivazioni che hanno indotto la Giunta a rinunciare alla realizzazione, in accordo con altri enti interessati, della rassegna 'I giovani per i giovani'". Risponde l'Assessore Fiorini.



FIORINI Fausto, Assessore all'istruzione

Come il Consigliere sa, questa iniziativa non è mai stata presa direttamente dalla Regione, ma dal Teatro Stabile; ho fatto cercare negli archivi ma non mi risulta che la Regione negli anni precedenti avesse dato contributi per questa rassegna. Quest'anno sono stato avvicinato, tramite la Provincia, dal Teatro Stabile di Torino e mi sono recato ad una riunione il 17 febbraio 1976. In seguito ci sono state altre riunioni e abbiamo espresso la nostra disponibilità per un'iniziativa di questo genere, ma in seguito il Teatro Stabile non ha più avuto contatti con l'Assessorato, non per colpa nostra, e per quali motivi questo interessante festival 'I giovani per i giovani' non si sia svolto è difficile a me dirlo dall'esterno.
Ribadisco la disponibilità nei confronti del Teatro Stabile, come abbiamo dimostrato in altre occasioni, per iniziative di questo genere che possono essere utili all'intera regione.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Cerchio.



CERCHIO Giuseppe

Vorrei dire all'Assessore Fiorini che in effetti c'è una certa disinformazione da parte del suo Assessorato: gli enti promotori di questa interessante rassegna a carattere internazionale erano, per la verità, il Comune di Chieri, la Provincia di Torino ed il Teatro Stabile, cioè un comitato formato da questi tre organismi e la Regione era intervenuta nei quattro anni di effettuazione di questa rassegna con un contributo simbolico che non risolveva il problema dei costi.
Quest'anno il Teatro Stabile ha ricevuto un finanziamento di 30 milioni dalla Regione (per la verità di competenza non dell'Assessorerato all'istruzione, ma dell'Assessorato al turismo) e con questa ulteriore cifra, assommata ad altre centinaia di milioni avuti in precedenza, il Teatro Stabile ha realizzato quello che è stato definito il "Festival dei giovani per i giovani" il cui significato è stato snaturato; infatti la rassegna di Chieri aveva rappresentato, nelle quattro edizioni, un punto di riferimento obbligato del teatro d'avanguardia e del teatro sperimentale, a livello internazionale. In realtà nel 1976 vi è stata una polverizzazione di iniziative e di spettacoli in tutto il territorio della regione, senza più realizzare la rassegna di Chieri con tutti i risvolti positivi che aveva suscitato.
L'occasione propone ancora una volta all'attenzione dell'Ente regionale l'importanza di coordinare, assieme ad altri enti interessati ed in particolare al Teatro Stabile ed alla Provincia, (che in questa occasione possono rappresentare dei momenti di decentramento dell'animazione teatrale e culturale) momenti di politica culturale affinché non si distribuisca come è capitato quest'anno, svariati milioni al Teatro Stabile sotto varie voci, o affinché non si prenda a prestito l'etichetta del "Festival dei giovani per i giovani" per polverizzare i contributi in tanti spettacoli di provincia per accontentare questa o quella realtà periferica.


Argomento: Protezione civile

Interrogazione del Consigliere Carazzoni: "Interventi della Regione a seguito del nubifragio che ha colpito Verbania e l'Alto Verbano"


PRESIDENTE

Passiamo all'interrogazione del Consigliere Carazzoni: "Interventi della Regione a seguito del nubifragio che ha colpito Verbania e l'Alto Verbano". Risponde l'Assessore Fonio.



FONIO Mario, Assessore alla tutela dell'ambiente, sistemazione idrogeologica e forestale

A partire dal mese di agosto si sono susseguite, in particolare nelle zone dell'Alessandrino, del Biellese e del Verbano, una serie di nubifragi che hanno provocato danni ingenti ed imposto da parte degli uffici del Genio Civile una serie d'interventi di somma urgenza, da intendersi come pronto intervento in base alla legge 1010.
Rispondendo anche a nome del collega Bajardi all'interrogazione del Consigliere Carazzoni e trovandomi di fatto a parlare ad oltre un mese dall'interrogazione medesima, posso confermare che i maggiori danni in seguito a nubifragi si sono verificati, per la provincia di Novara, nella zona del Verbano negli ultimi giorni del mese di settembre (29-30) susseguendosi poi anche nel mese di ottobre.
Il Genio Civile, nell'ambito delle proprie competenze e delle responsabilità derivantigli dalla legge 1010, ha iniziato opere di pronto intervento per circa 420 milioni di lire, in special modo per la difesa di abitati, il contenimento di argini ed il ripristino di strade ed acquedotti.
L'intervento più consistente si sta sviluppando sul torrente San Giovanni a difesa dell'abitato di Intra e prevede una spesa di 120/130 milioni.
Gli altri interventi si sono effettuati per tutto il mese di ottobre e proseguono tuttora, principalmente nei seguenti Comuni: Arizzano 40 milioni; Bée 35 milioni; Aurano 10 milioni; Cannobio 30 milioni; Caprezzo 15 milioni; Intragna 7 milioni; Orta S. Giulio 30 milioni; Domodossola 20 milioni; Ameno 12 milioni; Belgirate 15 mllioni, per un importo complessivo, come prima detto, di circa 420 milioni.
Il Genio Civile di Novara proprio in questi giorni ha avanzato altre proposte d'intervento di particolare urgenza intorno ai 400 milioni. I lavori configurabili come pronto intervento saranno autorizzati dalla Giunta regionale nei prossimi giorni. Ci sarà una seduta in cui si parlerà in modo particolare dei pronti interventi e dei finanziamenti che si presentano, dopo l'andamento meteorologico di questi mesi, di proporzioni fuori del normale.
Per altri lavori considerati urgenti si interverrà con i 500 milioni accantonati dalla legge n. 54 del 1975 per il finanziamento di interventi che si rendano necessari in conseguenza di dissesti sopravvenuti o che valgano a prevenire possibili eventi calamitosi, come recita il sesto comma dell'art. 6 della legge n. 54.
Altri danni di minore consistenza sono stati provocati alle strade provinciali.
Ritengo di dovere evidenziare da una parte l'immediatezza con cui il Genio Civile di Novara, come gli altri uffici del Genio Civile, ha dovuto intervenire in situazioni di emergenza e dall'altra parte il problema finanziario del reperimento di fondi adeguati per far fronte a eventi calamitosi rilevanti come da anni non si verificavano in Piemonte.
La Giunta sta predisponendo, sul problema degli interventi urgenti in corso in tutto il Piemonte, ma in particolare nell'Alessandrino, nel Biellese e nell'Alto Novarese, una relazione completa che sarà portata quanto prima a conoscenza del Consiglio.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Carazzoni.



CARAZZONI Nino

Ringrazio l'Assessore Fonio per la risposta, dando atto che questa discussione è un po' anomala per un duplice ordine di motivi: innanzi tutto perché l'interrogazione - come d'altra parte ha rilevato l'Assessore viene ad essere discussa ad oltre un mese dalla data della sua presentazione e poi perché (e questo è un rilievo fondato) purtroppo si sono successivamente verificati altri eventi calamitosi che hanno comportato ulteriori disagi alla zona dell'Alto Novarese ed in particolare modo in questa seconda ondata alla zona del Lago d'Orta e del Cusio.
Quanto al merito della risposta io mi dichiarerei parzialmente soddisfatto nel senso che (e questo è stato detto dallo stesso Assessore) siamo ancora in una fase interlocutoria intanto in quanto, dopo i primi interventi predisposti dal Genio Civile, la Giunta regionale ha test manifestato l'intenzione di dedicare al problema un'intera sua prossima seduta nel corso della quale è auspicabile che si addivenga a decisioni concrete che tengano conto, per quanto possibile e nei limiti delle disponibilità esistenti sulla legge n. 54, non soltanto dei danni subiti da enti pubblici, ma anche dai privati che sono stati largamente danneggiati dagli eventi calamitosi degli ultimi tempi.
Mi riserverei quindi un giudizio più completo e più approfondito in sede politica, senza ovviamente più ritornare sull'argomento in quest'aula quando sarò messo a conoscenza delle decisioni che in argomento la Giunta vorrà assumere.


Argomento: Programmazione e organizzazione sanitaria e ospedaliera - Formazione professionale

Interpellanza dei Consiglieri Vietti e Beltrami ed interpellanza del Consigliere Castagnone Vaccarino in merito all'atteggiamento del Presidente sulla "Circolare dell'Assessore Enrietti sui corsi di formazione del personale paramedico"


PRESIDENTE

Si potrebbe ora passare all'interpellanza dei Consiglieri Vietti e Beltrami: "Circolare dell'Assessore Enrietti sulle scuole ospedaliere paramediche. Atteggiamento del Presidente".
A questa interpellanza potrebbe essere abbinata quella presentata dalla signora Castagnone Vaccarino: "Atteggiamento del Presidente sulla circolare dell'Assessore Enrietti sui corsi di formazione del personale paramedico".
Gli interpellanti intendono illustrarle? La parola alla signorina Vietti.



VIETTI Anna Maria

L'interpellanza in discussione trae origine dalla circolare dell'Assessore alla Sanità dell'8 settembre 1976, avente come oggetto la formazione del personale socio sanitario da parte delle scuole ospedaliere per l'anno scolastico 1976/77.
In merito a tale circolare, evidenziamo la validità generale degli obiettivi di razionalizzazione delle strutture e delle metodologie d'insegnamento, in vista di una migliore acquisizione degli strumenti professionali e culturali da parte degli allievi, anche se ci preoccupa la disinvoltura con cui non viene per nulla riconosciuta la pur validissima esperienza di anni di lavoro delle scuole professionali per personale paramedico.
In tale ottica, tuttavia, numerose innovazioni previste dalla circolare stessa possono essere attuate e noi riteniamo che alcuni miglioramenti possano aver luogo, perché non sono in contrasto con la legislazione, con decorrenza immediata, nel rispetto delle competenze e delle attribuzioni previste dall'ordinamento vigente.
Un primo e qualificante gruppo di realizzazioni può essere attuato ricorrendo alla applicazione del contratto unico ospedaliero e precisamente ai principi contenuti nell'allegato H avente per titolo "Formazione ed aggiornamento professionale": 1) istituzione dei comitati didattici di corso destinati ad affiancare il direttore didattico o il direttore sanitario dell'ospedale, nonché la direttrice della scuola, nell'espletamento dei compiti loro affidati dalla legge 2) attuazione dei principi contrattuali in tema di organizzazione didattica dei corsi (ricerca del personale docente, previsione della figura del monitore in rapporto di uno per ogni gruppo di venti allievi, lavoro di gruppo, approfondimento critico del rapporto docente-allievo) 3) svolgimento del tirocinio sia nell'interno, sia all'esterno dell'ospedale, escludendo per esso, però, ogni carattere di prestazione di servizio 4) accoglimento degli indirizzi forniti dalla Regione per quanto concerne l'istituzione e la collocazione delle sezioni staccate nell'ambito territoriale di pertinenza della scuola 5) previsione in bilancio degli stanziamenti idonei a garantire la gratuità delle scuole e l'erogazione di un assegno di studio mensile nonché, se del caso, di un'indennità di trasporto.
Un secondo gruppo di iniziative potrà trovare attuazione del pari sollecita, applicando norme di legge esistenti e ricorrendo a modificazioni organizzative che rientrano nella competenza delle attuali amministrazioni ospedaliere e cioè: istituzione del libretto scolastico individuale ammissione alle scuole del personale ospedaliero già in servizio mediante il ricorso all'istituto del comando per il perfezionamento professionale entro i limiti percentuali indicati nel contratto unico; limitatamente all'anno scolastico 1976/77, aumento del numero degli allievi sino ad un massimo del 50% rispetto al limite ordinario previsto per la scuola verifica delle norme regolamentari delle singole scuole onde garantire, ove non prevista, l'assistenza sanitaria gratuita (di ricovero, ambulatoriale farmaceutica) a favore degli allievi che non fruiscano di alcuna copertura assicurativa.
Dette però queste cose che riteniamo possano trovare applicazione immediata, rileviamo come la circolare detti inoltre delle norme miranti ad una radicale trasformazione delle scuole ospedaliere per personale paramedico e, in particolare, delle norme che secondo noi sono in contrasto con l'attuale legislazione, cioè: lo scioglimento dei Consigli di amministrazione delle scuole e l'assunzione di relativi poteri da parte dei Consigli di amministrazione dei singoli ospedali interessati, mentre esistono norme di legge ben precise che prevedono gli organi amministrativi delle scuole e ne disciplinano altresì la competenza, nonché l'istituzione di organi non previsti da alcuna legge (Comitati di gestione) senza nemmeno precisare la natura dei poteri di cui sono investiti, né tanto meno le relazioni tecnico-giuridiche intercorrenti con gli altri centri operativi che già esistono.
L'interpellanza pertanto è motivata dal fatto che riteniamo illegittimo imporre agli Enti ospedalieri tali radicali modifiche senza uno strumento legislativo, ma esclusivamente con l'emanazione di una circolare dell'Assessore alla Sanità.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare la signora Castagnone Vaccarino. Ne ha facoltà.



CASTAGNONE VACCARINO Aurelia

Non intendiamo entrare nel merito della circolare perché non si legifera attraverso circolari. Della questione, a nostro avviso, dovrà discutere il Consiglio quando sarà presentata una vera e propria norma di legge che valga ad inquadrare tutte le scuole per la formazione del personale socio-sanitario.
A noi in questo momento interessa sottolineare che è stata emanata una circolare, tra l'altro non firmata dal Presidente della Giunta, e, da una certa pagina in poi, neppure dall'Assessore competente, con la quale s'impegna la Regione Piemonte, e quindi questo Consiglio, a sostenere spese di cui non è determinata l'entità, senza sottoporla almeno al vaglio della Commissione, che avrebbe quanto meno dovuto esserne posta a conoscenza (molti altri Assessori della Giunta regionale piemontese, quando sottoscrivono una circolare di una certa importanza, la sottopongono alla Commissione competente). Tutto questo a noi appare inammissibile.
Perfettamente d'accordo sul fatto che debba essere normalizzata la formazione del personale socio-sanitario, perfettamente d'accordo altresì sul fatto che si discuta di queste norme; non riteniamo sia lecito ad alcun Assessore o Assessorato legiferare per conto proprio, senza nemmeno preoccuparsi di porre il Consiglio al corrente di quel che si vorrebbe fare.



PRESIDENTE

La parola al Presidente della Giunta.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Signori Consiglieri, la formazione del personale para-medico è da tempo un obiettivo di questa Giunta, che più volte lo stesso Consiglio regionale ha riconosciuto come proprio. Non voglio entrare nel merito della questione, che meriterebbe di essere fatta oggetto di un ampio dibattito al quale invito fin d'ora il Consiglio. Vorrei però anche puntualizzare, in rapporto a questo problema, la necessità non tanto di dettare normative con una circolare puramente esplicativa quanto di affrontarlo con urgenza stabilendo alcuni indirizzi. In questo senso si dovrà operare, a mio giudizio, per porre il problema in modo corretto e giusto. E' una questione sulla quale spetta al Consiglio pronunciarsi, una di quelle questioni particolarmente importanti che, secondo l'impegno preso, noi che formiamo l'Esecutivo, prima di assumere delle decisioni, sottoponiamo al Consiglio o alle Commissioni, quindi alle forze politiche in esso rappresentate.
Abbiamo detto e ribadiamo che vorremmo che quasi tutta l'attività dell'Esecutivo fosse portata, non solo per l'approvazione, ma per un confronto, in ogni sede in cui le forze politiche operino e siano presenti: un metodo che, come voi sapete, signori Consiglieri, all'inizio di questa legislatura fu addirittura contestato, di cui oggi, giustamente, ci viene richiesta l'adozione. Ma non voglio aprire una polemica a questo proposito anche se sarei tentato di citare molti casi a riprova della mia asserzione.
La formazione del personale para-medico è, come dicevo, una questione di grandissima importanza per la nostra comunità: vi sono ospedali, come le Molinette, in cui mancano addirittura in organico circa trecento operatori paramedici, per mancanza di personale che abbia tale qualifica, e analoga carenza si registra nelle fabbriche, nelle istituzioni socio-sanitarie.
Ma veniamo al vero oggetto dell'interpellanza. La circolare non detta perentoriamente delle norme, e nemmeno lo potrebbe, data la sua natura, se mai suggerisce le misure da prendere per la riorganizzazione dei corsi. E' con tutta evidenza, una circolare che tende ad uniformare il comportamento di tutte le scuole presenti negli Enti ospedalieri ed a raccordarle anche a scuole che esistono al di fuori degli Enti stessi; non mira, quindi, a modificare delle norme vigenti, ma tende a razionalizzarle, attraverso un grande confronto, che sono certo non si voglia rifiutare da parte degli interpellanti, con le forze sociali, le forze sindacali presenti all'interno di quegli Enti.
Visto in questa ottica, questo problema, di cui, per la pratica che ne ho personalmente (ho sulle spalle ben dieci anni di presenza ospedaliera e sono anche stato promotore di ben cinque scuole para-mediche), riconosco la fondamentale importanza in fatto di operatività sotto un punto di vista sanitario, meritava forse di essere discusso nella sede competente della Commissione, e sarà senz'altro possibile riportarlo in tale ambito perch vi sia dibattuto.
Comunque, la circolare, in sé e per sé, non modifica certamente delle norme, ma tende - e questo è certamente un importante dato positivo - a ricomporre insieme un quadro che, come voi tutti sapete, era alquanto disorganico, disarticolato, con presenze diverse e modi diversi, didattica diversa (ho avuto modo di rendermene conto direttamente, quando mi son fatto iniziatore, ripeto, di diverse di queste scuole).
Debbo ancora rispondere alla domanda se il fatto che l'Assessore abbia sottoscritto la circolare faccia si che l'impegno si estenda all'intera Giunta. E' una questione che abbiamo discusso. La Presidenza ha ritenuto stante l'urgenza del problema, di dover procedere quanto meno a indicazioni, tant'è che non troverete certamente delle implicanze imperative ma delle indicazioni che valgono a dare certezza là dove la norma non ne dà e là dove vi è larga possibilità di interpretazione.
Questo è lo spirito della circolare. Siamo però disposti a riprendere il discorso nella sede competente della Commissione consiliare, per poterlo eventualmente affrontare con tutta l'ampiezza che esso merita.
Ringrazio gli interpellanti per aver portato all'attenzione del Consiglio un problema che spesso non viene posto con la forza e direi con adeguato approfondimento, perché gli operatori para-medici di cui ci proponiamo la formazione costituiscono il supporto della riforma sanitaria e delle Unita sanitarie locali.



PRESIDENTE

Chiede di parlare la dottoressa Vietti. Ne ha facoltà.



VIETTI Anna Maria

Nell'intervento svolto prima della discussione dell'interpellanza avevo anch'io sottolineato l'importanza di razionalizzare le scuole professionali, destinate alla formazione del personale para-medico. Su questo punto pertanto concordo.
Avevo anche precisato che c'è una parte della circolare che può essere considerata conforme alla legge e che pertanto può avere applicazione immediata per la razionalizzazione del funzionamento delle scuole. Non avevo però richiesto che tutti gli atti della Giunta fossero sottoposti al parere della Commissione consiliare. In merito a questo il nostro atteggiamento non è mutato: le responsabilità dell'Esecutivo sono responsabilità dell'Esecutivo. Non ci rifiutiamo al confronto in Commissione quando l'Esecutivo ritiene di sottoporci alcune sue proposte ma non vogliamo una confusione di compiti che non rientra nella nostra posizione.
Sono anche d'accordo con il presidente Viglione quando afferma che la circolare poteva essere considerata un contributo per aiutare le scuole professionali a darsi una organizzazione migliore, a rendere omogenei gli interventi sul territorio. Ma in questo caso la circolare avrebbe dovuto essere formulata in termini del tutto diversi: essa, così com'è, non si presenta certamente come un contributo promozionale per il miglioramento delle scuole ospedaliere.
Sulla base di quanto ha detto, dovrei dedurre che il Presidente Viglione accetta, senza esitazione, di dichiarare immediatamente sospesa la validità della circolare, perché mi pare abbia accolto l'idea di considerarla come un contributo promozionale, non già come un provvedimento che imponga determinate modifiche alle scuole. Infatti, come già prima abbiamo detto sia la collega Vaccarino sia io, una circolare non pu portare modifiche così radicali alle scuole para-mediche, quando, per di più, manca una esatta individuazione delle competenze in materia, il che sembra ammesso dallo stesso Assessore nella circolare, là dove precisa che sono tuttora in corso trattative tra le Regioni e il Ministero della Sanità in merito.
Non sono state soddisfacenti le risposte circa il finanziamento dei corsi. Questi richiederanno maggiori oneri, in rapporto all'erogazione di un assegno di studio e di una indennità di trasporto, su cui noi siamo d'accordo. Ma il più elevato onere dovrebbe essere fronteggiato senza distrazioni di risorse dall'attuale fondo ospedaliero, già insufficiente ad assicurare l'erogazione dei servizi istituzionali di base.
Mi pare poi che sarebbe sufficiente un solo riferimento per togliere validità alla tesi che la circolare si limiti a dare degli indirizzi invitando le Amministrazioni ospedaliere a migliorare le prestazioni. C'è una affermazione, nella circolare, che io definirei ricattatoria: ad un certo punto c'è la previsione della modalità della erogazione dei contributi secondo determinati criteri, cioè si prevede di corrispondere subito il 50% del contributo, subordinando il completamento con il restante 50% alla verifica del recepimento dell'applicazione di tutti i punti e i criteri della circolare. Ciò equivale a richiedere che la circolare sia applicata nella sua interezza.
Nessun dubbio che i finanziamenti della Regione, specie nei casi di attività destinate a protrarsi nel tempo, possano e debbano essere rateizzati adeguatamente. Nel caso in esame, tuttavia, si tratta di una procedura assai diversa, costituita non già dalla erogazione graduale di somme predeterminate con certezza, bensì dalla sottoposizione a condizione sospensiva di una metà dell'intero stanziamento. E' proprio la natura di tale condizione che desta in noi le maggiori preoccupazioni e le più ampie riserve, in quanto inserisce nei rapporti fra Enti pubblici una aleatorietà inammissibile. L'alternativa è infatti assai chiara: o la Regione è legittimata ad imporre agli Enti ospedalieri determinati atti e comportamenti, e allora c'è per le Amministrazioni l'obbligo di adeguarsi o non lo è, e allora tale condizione costituisce una forma di inaccettabile strumentalizzazione delle competenze regionali.
Lascio in sospeso la mia dichiarazione di soddisfazione o insoddisfazione per la risposta del Presidente, in quanto la subordino alla conoscenza delle sue decisioni in merito alla mia richiesta di sospendere gli effetti della circolare: se la sospensione sarà accordata, potrò dirmi soddisfatta, in caso contrario mi dichiarerò del tutto insoddisfatta soprattutto per questa norma che riteniamo ricattatoria.



PRESIDENTE

La parola all'altra interpellante, signora Castagnone Vaccarino.



CASTAGNONE VACCARINO Aurelia

Mi riallaccio a quanto detto dalla signorina Vietti, con la quale sono perfettamente d'accordo quanto meno sulla constatazione che la dichiarazione contenuta nella circolare, che chi non si uniformi alle indicazioni in essa date non riceverà i finanziamenti, smentisce che si tratti di semplice circolare esplicativa e induce a parlare di vera e propria norma.
Avevo espresso nel precedente intervento il desiderio di conoscere l'impegno di spesa e di sapere a quali capitoli di bilancio si attinga per questi finanziamenti, visto e considerato che nella circolare non se ne parla. Il Presidente Viglione non è stato in grado di rispondermi in merito, perché, per quanto, per ragioni politiche, egli si sia assunto la responsabilità dell'operato dell'Assessore competente, del problema evidentemente non si è discusso con molta ampiezza nemmeno in Giunta.
Francamente, non posso che dichiararmi del tutto insoddisfatta della risposta, perché le spiegazioni che mi sono state date, delle quali per altro ringrazio, sono del tutto insufficienti. Permane in me la convinzione che questa non è una circolare ma una legge (una circolare avrebbe dovuto avere ben altro sviluppo), che come tale avrebbe dovuto essere discussa dal Consiglio; l'impegno di spesa richiedeva comunque quanto meno una deliberà.



PRESIDENTE

Chiede ancora di parlare il Presidente della Giunta. Permettetemi per di richiamare la procedura regolamentare: siamo in sede di interpellanza, e quindi non possiamo riaprire un'altra serie di repliche dei Consiglieri interpellanti. A questo punto, se si ritiene che l'argomento non sia stato adeguatamente discusso, vi è sempre la possibilità per i Consiglieri interpellanti di presentare una mozione, e per la stessa Giunta o i Capigruppo di chiedere che l'argomento venga inserito nell'ordine del giorno di una successiva seduta.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Desidero semplicemente dire alla collega signora Castagnone Vaccarino che il finanziamento delle scuole trova un idoneo momento nel bilancio anche in precedenza era sempre stato fatto sotto forma di finanziamento delle scuole. Ciò di cui si discute oggi è la modificazione di un orientamento e di una interpretazione per quello che è l'iter formativo di tutta la scuola.
Non posso che confermare, sotto questo aspetto, la validità della circolare. Informo comunque che l'Assessore alla Sanità, Enrietti sottoporrà alla Commissione competente la circolare per un ulteriore esame.
Il Governo regionale è disposto ad un confronto su questo terreno con tutte le forze politiche e sarà ben lieto se esso porterà ad un miglioramento che renda la circolare più aderente alla realtà della formazione del personale para-medico della nostra Regione.


Argomento: Programmazione sportiva (impianti e attivita")

Interrogazione dei Consiglieri Colombino e Cerchio: "Motivi per cui non vengono utilizzati gli impianti sportivi ex GIL di piazza Bernini"


PRESIDENTE

Per non andare troppo oltre l'ora dedicata per consuetudine alle interpellanze e interrogazioni, direi di discuterne soltanto più una delle molte che rimangono, e di passare quindi alla prosecuzione del dibattito sul disegno di legge n. 71.
Prendiamo in esame allora l'interrogazione dei Consiglieri Colombino e Cerchio: "Motivi per cui non vengono utilizzati gli impianti sportivi ex GIL di piazza Bernini". Risponde il Presidente della Giunta regionale Viglione.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Signori Consiglieri, come voi sapete, l'ufficio che amministrava i beni della ex GIL, attraverso una iniziativa legislativa, ha devoluto alla Regione tutte le proprietà presenti nel territorio regionale piemontese.
Dovremo pertanto disporne l'uso attraverso opportuni interventi.
La Giunta regionale per ora ha scelto - sottoporrà poi un quadro nel momento in cui gli organismi comprensoriali saranno formati - l'indirizzo di assegnare ai Comprensori la decisione sulle modalità di fruizione di tali beni, perché ci è parso che questo fosse l'indirizzo meglio rispondente ad una realtà anche territoriale.
Per le attrezzature di piazza Bernini, abbiamo già interessato il Comitato comprensoriale di Torino, ed altrettanto abbiamo fatto per le colonie di Bardonecchia, Claviere, Ceres ed altre, affinché vengano indicati alla Giunta regionale, la quale li sottoporrà poi al Consiglio regionale, gli indirizzi per l'utilizzazione di questi beni. Anche al Comune di Cuneo, che ci ha rivolto specifiche richieste, abbiamo risposto che la questione sarà sottoposta all'attenzione dell'organismo comprensoriale e in tale direzione intendiamo muoverci. Quando avremo un quadro preciso lo faremo conoscere al Consiglio regionale.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare l'interrogante Consigliere Cerchio.



CERCHIO Giuseppe

Signor Presidente, le lascio immaginare lo stupore che hanno provato i fruitori di questo servizio quando, oltre tutto nei mesi estivi, che sono quelli nei quali queste strutture sono maggiormente utilizzate, dopo la decisione di chiusura, si sono trovati nell'impossibilità di usufruire degli impianti.
Mentre riconosco l'opportunità di un esame globale e concordato di tutte le strutture della ex GIL, non posso non deprecare il vuoto di gestione che vi è stato, soprattutto nei mesi estivi, che ha tolto a coloro che utilizzavano queste strutture la possibilità di avvalersene.
Chiederò poi in forma privata una informazione che mi interessa a titolo personale, circa voci secondo cui attualmente tali attrezzature sarebbero gestite dall'Arci-Uisp.


Argomento: Pianificazione territoriale - Urbanistica: argomenti non sopra specificati

Rinvio ad una prossima seduta consiliare delle interrogazioni sull'urbanistica presentate rispettivamente dai Consiglieri Picco e Marchini


PRESIDENTE

Mi sembra opportuno sospendere a questo punto la discussione di interrogazioni ed interpellanze.
Però, l'Assessore Astengo e i Consiglieri presentatori mi hanno fatto pressioni perché ponga in discussione due interrogazioni che non sono all'o.d.g. Lascio che a decidere in proposito sia il Consiglio, facendo però presente che non potrà trattarsi di una discussione di breve durata.
L'Assessore Astengo insiste per rispondere?



ASTENGO Giovanni, Assessore agli strumenti urbanistici comunali ed intercomunali

Potrei dare ora una risposta telegrafica, consegnando alla Presidenza il testo predisposto affinché provveda a farlo trasmettere ai Capigruppo.



PRESIDENTE

Che cosa pensano di questa proposta i Consiglieri Marchini e Picco presentatori delle interrogazioni?



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Il Consigliere Marchini aveva sollecitato in tono drammatico, nel corso della precedente seduta, la discussione.



MARCHINI Sergio

In sostanza, ci date la risposta scritta



PRESIDENTE

Ho voluto sottoporre la questione al Consiglio in seguito alle richieste pressanti venute sia dall'Assessore sia dal Consigliere Picco che mi pare la prossima settimana non potrà intervenire alla seduta di Consiglio dovendosi recare in Friuli.
Il Consigliere Picco chiede di parlare. Ne ha facoltà.



PICCO Giovanni

Signor Presidente, manifesto il mio disagio di fronte all'intenzione di comprimere una discussione su un argomento di questo tipo.
Faccio rilevare che ho già dovuto richiedere almeno due volte che argomenti di tale rilievo si affrontino compiutamente in discussione del Consiglio regionale: richiamo la questione delle procedure di approvazione degli strumenti urbanistici, che furono oggetto di una rapidissima comunicazione in chiusura della sessione estiva, nel luglio scorso, e che non è stata successivamente ripresa.
Chiedo pertanto formalmente che si dedichi a questo argomento e alle comunicazioni che l'Assessore ha annunciato di voler ora fare una discussione sufficientemente ampia perché si possa entrare nel merito dei problemi ed affrontarli. Altrimenti si continua a rinviare di seduta in seduta una presa di posizione che a mio avviso è importantissima, su problemi delicatissimi.
Aderisco pertanto alla proposta dell'Assessore solo se si programma di dare, in una seduta concordata, un sufficiente spazio a questa discussione.



PRESIDENTE

Mi sembra che gli argomenti che devono essere trattati con queste interrogazioni siano tali da non potersi esaurire con una breve comunicazione.
Verrà pertanto concertata, a livello di Capigruppo, la fissazione all'o.d.g. di questa discussione per il momento che risulterà più opportuno.
Chiede di parlare ancora il Consigliere Marchini. Ne ha facoltà.



MARCHINI Sergio

C'è un piccolo particolare: se l'Assessore ci dà la risposta scritta questa è da considerarsi come data a tutto il Consiglio e quindi andrà esaminata in altra sede? Mi pare che questo punto vada chiarito anche in termini di rapporti di correttezza reciproca.



PRESIDENTE

Propongo che non venga neanche data la risposta scritta, ma che si rinvii l'intera discussione ad una seduta di cui la data verrà fissata successivamente.


Argomento:

Comunicazioni del Presidente


PRESIDENTE

Passiamo al punto terzo dell'o.d.g.: "Comunicazioni del Presidente".


Argomento:

a) Congedi


PRESIDENTE

Sono in congedo i Consiglieri: Moretti, Oberto Tarena, Debenedetti.


Argomento:

a) Congedi

Argomento:

b) Presentazione proposte di legge


PRESIDENTE

Sono state presentate le seguenti proposte di legge: n. 141 - "Provvedimenti per la salvaguardia del pluralismo culturale ed informativo nella Regione Piemonte; per la divulgazione d'informazioni culturali e sulle attività regionali e per il mantenimento delle tradizioni del patrimonio culturale delle comunità piemontesi all'estero", presentata dal Consigliere Carazzoni il 12/11/76 n. 142 - "Soccorso alpino nella Regione", presentata dal Consigliere Marchini in data 12/11/76.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE BELLOMO


Argomento: Agricoltura: argomenti non sopra specificati

Prosecuzione ed approvazione esame disegno di legge n. 71: "Norme per l'attuazione delle direttive n. 72/159, 72/160, 72/161, 75/268 del Consiglio delle Comunità Europee per la riforma dell'agricoltura"


PRESIDENTE

Il punto quarto all'o.d.g. reca: "Prosecuzione ed approvazione esame disegno di legge n. 71: 'Norme per l'attuazione delle direttive n. 72/159 72/160, 72/161, 75/268 del Consiglio delle Comunità Europee per la riforma dell'agricoltura'".
Nella precedente seduta ha svolto la sua relazione il Consigliere Besate e sono intervenuti alcuni Consiglieri. Sono ora iscritti per intervenire nella discussione generale quattro Consiglieri: Gastaldi Martini, Cardinali e Carazzoni.
Ha facoltà di parlare il Consigliere Gastaldi.



GASTALDI Enrico

La legge attuale arriva alla discussione in Consiglio regionale in un momento nazionale nel quale appare automaticamente dimostrato che, mentre la politica di apertura al commercio internazionale e di stimolo allo sviluppo delle attività industriali è in sé buona per migliorare il benessere dei cittadini, la subordinazione dello sviluppo produttivo agricolo a quello industriale ha cooperato a produrre lo squilibrio e la crisi nel settore industriale.
L'agricoltura, infatti, è importante perché è un'attività che dà origine non solo ad un reddito derivante dai suoi beni ma provoca effetti moltiplicatori in altri settori, a monte e a valle di essa, tanto da costituire, secondo studi recenti di economia agricola, un terzo del reddito nazionale, determinando occupazione per il 40% della popolazione attiva totale.
Tutti gli interventi a favore dell'agricoltura, tanto più se di concezione nuova, quali quelli della legge 71, cooperano quindi al risanamento di una larga fascia dell'economia nazionale.
Di fronte ad una legge agricola nuova è logico però domandarsi se tale legge troverà da noi una agricoltura suscettibile di miglioramento tanto da ottenere gli effetti che ci si ripropone.
Della passività nella bilancia commerciale agricola e nel suo grado argomento fin troppo noto ed usato, io vedo soprattutto la progressività quantitativa dal 1950 al '75 (da 600 a 4000 miliardi). Tale progressività durante ben venticinque anni sembra dimostrare che l'agricoltura italiana non ha risposto e non risponde più alla domanda di prodotto che proviene dal settore extra-agricolo, domanda in aumento per l'aumento del reddito in tale settore, perché è statica nella sua risposta in tutti i suoi momenti economici, e di una staticità non più modificabile perché ha raggiunto il punto massimo delle sue possibilità produttive.
Eppure, vi è stato, dal '50 al '75, un aumento della produzione (da 3 a 6 mila miliardi, prendendo come prezzo base quello del '63). Se per localizziamo tale aumento nelle aziende, troviamo che esso si verifica a livello di grandi aziende. Una spiegazione di ciò possiamo ricavarla da varie statistiche ISTAT, soprattutto da due: la prima dice che, degli investimenti nei venticinque anni, quello per i trattori segue l'investimento fisso (bonifiche, miglioramenti fondiari, irrigazione ecc.) fino al '60, quando questo rimane stazionario, mentre quello per i trattori continua ad aumentare rapidamente; la seconda rileva che il patrimonio bovino si contrae, dal '70 al '75, di quasi un milione di capi, passando da 8 milioni e 700 mila a meno di 8 milioni.
Se localizziamo questi dati nelle aziende, troviamo che gli investimenti fissi si localizzano nelle grandi aziende, dove si fanno abbastanza rapidamente prima del '60, perché economicamente utili, e non nelle piccole aziende, dove aumentano solo i trattori, che sono un investimento meno antieconomico. Per gli allevamenti, la riduzione si verifica a livello di piccole aziende per la non economicità ed il grosso impegno che in tali aziende richiede l'allevamento.
Queste statistiche dicono, quindi, che la maggior produzione presupposto all'aumento del reddito, avviene a livello di grandi aziende mentre resta pressoché statica e talora si riduce a livello di piccole aziende, e che è legata all'ampiezza dell'azienda che rende economicamente utile l'investimento fisso; è legata, cioè, alla struttura intesa della legge 71.
Il numero delle piccole aziende (sotto i cinque ettari), di solito a conduzione diretta, e l'entità della superficie totale di esse lascia presumere la possibilità teorica di una ulteriore elevabilità della produzione agricola e quindi del reddito, se però vi sarà una modificazione in ampiezza di esse tanto da rendere economici gli investimenti. Ma tale ristrutturazione, possibile in teoria, si potrà ottenere in pratica? Il metodo proposto dalla seconda parte della legge 71, aumento di ampiezza dell'azienda attraverso affitto di terreni resi liberi dalle promesse della legge stessa - prepensionamento, premio di apporto strutturale -, pare di difficile possibilità di riuscita, almeno a breve termine, sia per la esiguità delle cifre promesse, sia per la difficoltà d'inserimento in altro settore di lavoro di un contadino ultra cinquantacinquenne. Il metodo migliore consisterebbe nell'associazione e nella cooperazione estesa nei vari momenti economici dell'agricoltura, con la presenza del contadino in tutto l'arco produttivo, specie sul mercato compensando parzialmente con questo settore d'occupazione quasi totalmente nuovo la disoccupazione che l'associazionismo sembra inevitabilmente produrre.
Però, nelle nostre zone, specie in collina, dove è maggiore il numero delle piccole aziende, l'idea dell'associazione è o rifiutata o poco accetta o non sufficiente. L'agricoltura italiana, trascurata finora dallo Stato, è stata diretta solo da altre forze: mentre in talune zone tali forze hanno funzionato da traino alla trasformazione dell'agricoltura verso l'associazionismo, in Piemonte le stesse forze non hanno spinto a tale trasformazione.
E qui s'impone l'importanza determinante, per la riuscita della legge dell'istruzione socio-economica e soprattutto della sua organizzazione argomento della terza parte della legge stessa. Se in trent'anni, da noi la politica ha fallito, è logica una inversione di marcia: è necessario avocare ad altre istituzioni tale compito. E le istituzioni dello Stato università ed altre scuole, indipendenti da motivi privati e contingenti possono dare univocità all'istruzione e quindi garanzia e speranza di riuscita.
Dell'accettazione e del limite per l'accettazione del part-time, o del tipo particolare d'imprenditore agricolo indicato nell'art. 6 della legge spiegheremo i motivi presentando le ragioni dell'emendamento da noi proposto.
Queste le argomentazioni che noi porremo a base della discussione della legge.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Martini. Ne ha facoltà.



MARTINI Mario

Il mio intervento per certi versi si configura come un intervento complementare a quelli succedutisi finora, che hanno avuto tutti un po' la caratteristica d'interventi più tipicamente settoriali e legati ai problemi dell'agricoltura, che, d'altro canto, sono la sostanza di questo disegno di legge presentato dalla Giunta.
Accenno soltanto ad un aspetto particolare di questa legge che, a mio modo di vedere, non può considerarsi di secondaria importanza: è la prima legge portata all'esame del Consiglio regionale che comporti ed istituzionalizzi, per così dire, dei rapporti tra la Regione ed i Comprensori, considerati questi organismi decentrati della Regione ma anche organismi di coordinamento e di esaltazione dell'autonomia locale.
Intendo soffermarmi, invece, su alcune considerazioni qualificanti di questo disegno di legge, che, a mio modo di vedere, pecca di mancanza di organicità, almeno sotto il profilo che mi propongo di esaminare.
L'art. 1 prevede che, per la realizzazione degli obiettivi, la Regione si avvalga dei Comprensori e delle Comunità montane. All'art. 23 le funzioni amministrative inerenti all'applicazione degli aiuti previsti al Titolo I sono demandate ai Comitati comprensoriali e alle Comunità montane e consistono opportunamente, come è detto al punto 1, nell'approvare oppure nel respingere i piani aziendali o interaziendali, e, al punto 3 nel controllare l'attuazione dei piani stessi. L'impostazione è fin qui corretta, in quanto le pratiche, istruite, secondo quanto stabilito dall'art. 24, dagli uffici periferici dell'Agricoltura e delle Foreste vengono sottoposte al giudizio della Commissione consultiva comprensoriale come previsto all'art. 26, e il compito dei Comitati comprensoriali e delle Comunità montane consiste nel verificare e garantire che i piani di sviluppo siano in armonia con la programmazione regionale comprensoriale e delle Comunità montane, secondo quanto correttamente stabilito all'art. 3 del disegno di legge.
In merito al Titolo I, pertanto, sotto il profilo di un corretto rapporto della Regione con i Comprensori e di un corretto utilizzo dei Comitati comprensoriali, il giudizio può essere, in linea di massima positivo, fatta eccezione per il punto 2 dell'art. 23, che stabilisce testualmente che i Comitati comprensoriali hanno il compito di "promuovere e coordinare, d'intesa con l'ESAP, un'adeguata assistenza agli aventi diritto per la formulazione dei piani aziendali ed interaziendali e per ogni altro adempimento necessario per ottenere l'erogazione degli aiuti previsti". Mi limito, per adesso, a leggere il testo del punto 2, che ritengo inopportunamente inserito in una visione organica di quelli che devono essere i rapporti fra la Regione ed i Comprensori, riservandomi di ritornarvi brevemente fra pochi minuti.
Sotto lo stesso profilo, il Titolo III merita un giudizio sostanzialmente positivo. Vi si prevede la medesima procedura stabilita per il Titolo I, vale a dire: istruzione delle pratiche da parte degli uffici periferici, espressione di giudizio formulata dalla Commissione comprensoriale, e giudizio finale, riservato al Comitato comprensoriale.
Anche qui c'è una riserva, relativamente al punto 3 dell'art. 45 (mi limito, naturalmente, ad evidenziare i punti per i quali il Gruppo della D.C. ha presentato una serie di emendamenti), ove è detto che "i Comitati comprensoriali hanno, fra l'altro, il compito di "valutare la necessità dell'apporto di nuove terre all'organismo fondiario di cui al citato art.
36 in relazione agli obiettivi dei piani zonali di sviluppo agricolo".
Perché ci sono riserve nei confronti del punto 2 dell'art. 23 e del punto 3 dell'art. 45? Prima di tutto per una evidente sovrapposizione fra le competenze che devono essere riconosciute all'ESAP e le competenze che invece si vogliono attribuire al Comitato comprensoriale. E', a mio modo di vedere, un inconveniente gravissimo, direi anche a livello giuridico, che noi dobbiamo cercar di evitare. Perché noi dobbiamo cercare in ogni modo di evitare - e guardo alla sostanza del problema - che si verifichi nella legislazione regionale quella serie di fattori negativi che ormai da anni denunciamo nella legislazione nazionale. Le sovrapposizioni di competenze finiscono con il togliere la responsabilità diretta di quanto si fa, per cui quando ci si deve rivolgere ad un ente istituzionalmente riconosciuto come competente si rischia di non trovarlo completamente responsabile proprio perché inizia il gioco del palleggio delle responsabilità.
Inoltre, con i due punti citati, il secondo dell'art. 23 e il terzo dell'art. 45, si attribuiscono ai Comitati comprensoriali compiti esecutivi immediati che a mio modo di vedere, noi faremmo meglio a non attribuire loro, almeno nella fase costituente dei Comitati comprensoriali. Perch dico questo? Si tratta, come ho già rilevato, della prima legge che stabilisce rapporti fra istituto regionale e Comitati comprensoriali.
Seguirà fra qualche giorno - almeno ce lo auguriamo, perché i disegni di legge sono ormai stati formulati - l'esame del disegno di legge sui trasporti e la viabilità, che si avvale ampiamente della collaborazione dei Comitati comprensoriali; ed altresì quello della legge urbanistica, già in discussione in sede di II Commissione, che attribuisce compiti esecutivi ai Comitati comprensoriali, sul che il Gruppo della D.C. formulerà ampie riserve.
Noi dobbiamo fare in modo che almeno nella fase iniziale venga esaltato il momento di programmazione e pianificazione territoriale e di coordinamento che istituzionalmente viene attribuito ai Comitati comprensoriali. All'affidamento di funzioni esecutive si potrà arrivare in un secondo momento, dopo che almeno i Comitati comprensoriali, che oggi mancano completamente di uffici e di strutture, avranno cominciato ad avere una evidenza anche esterna. Il mio vuol essere un discorso molto conciliante: noi abbiamo dato ai Comitati comprensoriali una finalità ben precisa da perseguire, e ritengo che, quanto meno all'inizio, dobbiamo sperimentare se questa finalità può essere raggiunta stante la situazione attuale delle strutture assolutamente mancanti ai Comitati comprensoriali dispostissimi ad esaminare l'opportunità di attribuire in un secondo tempo compiti esecutivi.
Perché, per quanto riguarda, ad esempio, il Titolo II, non c'è niente da eccepire anche se vengono attribuiti compiti meramente esecutivi alle Comunità montane, dal momento che le Comunità montane hanno una lunga esperienza alle proprie spalle, come Comunità montane e prima ancora come Consigli di valle, e cominciano ad avere la loro strutturazione di uffici e di personale preparato a questa tematica nuova, e in più, sotto certi punti di vista, si configurano come Consorzi di Comuni, quindi con una disponibilità di personale che può essere staccato da quello o da quell'altro Comune nei momenti di emergenza per poter affrontare un determinato compito esecutivo. D'altro canto, le motivazioni apportate dalle Comunità montane hanno anche una loro validità, perché le Comunità montane ritengono di dover ricevere le domande direttamente e di doverle vagliare, perché, direi, con una nota di qualificazione politica più che encomiabile, vogliono assumersi diretta responsabilità davanti alla popolazione di mansioni che la legge attribuisce loro, sia nella fase programmatoria sia nella fase di gestione diretta.
Espresso questo giudizio, che sostanzialmente potrebbe essere positivo almeno sotto il profilo dei rapporti tra la Regione ed i Comprensori, se venissero accettati i due emendamenti soppressivi presentati dal Gruppo della D.C., vorrei soffermarmi brevemente sul Titolo IV. E' qui che la legge zoppica di più sotto il profilo che sto esaminando, perché di qui emerge evidente che la Giunta regionale desidera gestire direttamente sia il servizio dell'informazione socio-economica sia i corsi di formazione qualificazione ed aggiornamento. Può essere anche un desiderio, una aspirazione più che legittima (d'altro canto, io ritengo che le maggioranze sia bene che su certi temi si qualifichino ed assumano posizioni ben chiare), ed io non lo contesto, almeno da un punto di vista strettamente politico: contesto invece il fatto che si voglia mantenere una gestione diretta del servizio di socio-informazione e dei corsi di formazione coinvolgendo però malamente i Comitati comprensoriali, quasi per trovare una specie di paravento a certe decisioni ed a certe scelte della Giunta che però all'esterno devono avere una loro apparenza di accettabilità e di democrazia.
Sul servizio di informazione socio-economica, all'art, 53, si dice: "Ai Comitati comprensoriali sono affidati compiti di coordinamento e di predisposizione di un programma". Ora, la predisposizione del programma sulla base di che cosa? Delle direttive della Giunta? Se agisce esclusivamente sulla base delle direttive della Giunta, il Comitato comprensoriale si configura come un organo esecutivo della Giunta. Avrebbe invece senso il coinvolgimento dei Comprensori in questa tematica se il rapporto fosse diverso, cioè se al Comitato comprensoriale venisse affidato il compito di vagliare i vari programmi che vengono presentati dalle varie associazioni e dai vari Enti, per vedere se sono o meno congruenti con la programmazione comprensoriale.
Per i corsi di formazione, di qualificazione e aggiornamento, vengono attribuite: le funzioni di programmazione e di coordinamento dei corsi funzioni che abbiamo visto anche tipiche del Comprensorio, tipiche in quanto stabilite dalla legge istitutiva dei Comitati comprensoriali, alla Giunta regionale (art. 57), mentre ai Comitati comprensoriali viene affidato genericamente il compito di formulare delle proposte per la spartizione dei fondi disponibili. Si ripete, a mio modo di vedere, il grosso errore politico - non errore pratico, perché ai fini pratici l'aver usufruito della collaborazione dei Comitati comprensoriali provvisori per la spartizione dei fondi in questi ultimi due anni quanto meno è stato un primo tentativo di razionalizzazione della spesa - già commesso quando si è voluto coinvolgere questi Comitati solo a livello della spartizione della spesa, perché ne è conseguito il fatto che nelle elezioni comprensoriali è un fenomeno che penso tutte le forze politiche vorranno ammettere correttamente di aver rilevato - si è constatata una vera e propria corsa dei Sindaci in specie e degli amministratori in generale dei Comuni minori per cercare di entrare a far parte degli organismi del Comitato comprensoriale, perché si è avuta la sensazione che, in primo luogo, il Comitato comprensoriale abbia il compito di dividere quei quattro soldi che la Regione mette a disposizione dei Comuni. Il disegno di legge sarebbe stato sicuramente più organico, sempre dal punto di vista che io sto esaminando, se ci fosse stata da parte della maggioranza una maggiore disponibilità verso il pluralismo delle forze sociali e di categoria, alle quali si deve riconoscere il diritto di svolgere l'informazione socio economica, sia pure, questo nessuno lo contesta, sulla base di direttive emanate dalla Regione e dai Comitati comprensoriali, ed anche di occuparsi dei corsi di formazione e di aggiornamento, demandando a queste categoria il compito di presentazione di proposte di attività da sottoporre al vaglio della Commissione consultiva comprensoriale e poi all'approvazione o meno dei Comitati comprensoriali, sia sulla base dell'aderenza alla programmazione regionale-comprensoriale, sia in base alla disponibilità di fondi. In questo caso il disegno di legge avrebbe avuto, sotto il profilo che ho esaminato, una sua organicità che quanto meno ci avrebbe fatto sperare che il problema fosse stato vagliato attentamente e si fosse stabilito una prassi ed un modo di comportamento da far valere anche per gli altri campi d'attività nei quali dovrà essere coinvolta la responsabilità dei Comitati comprensoriali.
Da ultimo, grosse perplessità nascono, a mio modo di vedere, a proposito dell'art. 59, dove, al secondo comma, si dice che: "Il Consiglio del Comitato comprensoriale e il Consiglio delle Comunità montane, con deliberazione assunta a maggioranza assoluta, possono delegare alla rispettiva Giunta esecutiva, in tutto o in parte, i compiti attribuiti dalla presente legge ai Comitati comprensoriali ed alle Comunità montane".
Non eccepisco sulla sostanza, perché si potrà arrivare anche a questo, ma è indubbio che, appena terminate le operazioni elettorali per la costituzione dei Comitati comprensoriali, i quali saranno fra qualche giorno impegnati per darsi, mi pare entro sessanta giorni, un regolamento, è prematuro prefigurare già dei rapporti fra i Consigli e la Giunta del Comitato comprensoriale che, a mio modo di vedere, devono essere regolati dal Regolamento dei Comitati stessi.
Ho ritenuto opportuno far presenti queste perplessità che nascono dalla lettura del testo del disegno di legge anche per dimostrare che, in definitiva, gli emendamenti presentati dal Gruppo della D.C. non sono finalizzati unicamente alla difesa degli interessi di determinate categorie, come la categoria dei coltivatori diretti in generale, ma danno a questo disegno di legge la completezza e l'organicità che esso dovrebbe avere se non vogliamo trovarci in avvenire di fronte a situazioni di fatto capaci di condizionare anche le successive leggi nelle quali dovranno essere configurati i rapporti tra la Regione ed i Comitati comprensoriali.



PRESIDENTE

E' ora iscritto a parlare il Consigliere Cardinali. Ne ha facoltà.



CARDINALI Giulio

Signor Presidente, mi asterrò dal fare lunghe trattazioni sul disegno di legge che viene oggi presentato, poiché posso far riferimento a quanto a nome del mio Gruppo, dissi nella seduta del 16 settembre scorso, e che non mi pare debba subire modificazioni in rapporto a ciò che è avvenuto nell'iter successivo.
Dicemmo in quell'occasione che eravamo favorevoli ad una sollecita approvazione delle direttive comunitarie per quanto riguarda i compiti della Regione e ritenevamo ci si dovesse con rapidità inserire nella situazione di fondo dell'agricoltura italiana, date le prospettive che pu offrire l'accettazione delle direttive comunitarie della CEE, senza perdere tempo ad esaminare approfonditamente se l'esecutivo CEE risponde pienamente o meno alle nostre esigenze.
Sempre in quella circostanza, sciogliemmo alcuni nodi. Dicemmo che eravamo i primi a considerare, in contrasto con i colleghi della Democrazia Cristiana, valida la prospettiva di inserire gli interventi nel settore dell'agricoltura anche attraverso il sistema del part-time, cercando di favorire nella maggior misura possibile tutti quegli interventi che si verificano nell'agricoltura, anche se non esattamente rispondenti a livelli di categorie assolutamente qualificate in questo settore.
Certo, ci sono nell'articolato di legge alcuni elementi che suscitano perplessità, alcuni dei quali sono stati citati poco fa dal collega Martini. Io credo però che i Comitati comprensoriali ed i Comprensori siano stati correttamente chiamati in causa in questo disegno di legge, perch anche se il Comprensorio, obiettivamente, per le sue finalità ed i suoi compiti, merita ancora un discorso tutto da formulare, non c'è dubbio che risponde ad un'esigenza e ad una direttiva che in questo Consiglio regionale è stata ampiamente dibattuta e che ha trovato concordi tutti noi per la valorizzazione di questi nuovi centri di attuazione della programmazione regionale.
Valuteremo con molta attenzione gli emendamenti presentati, senza preconcetto alcuno, e daremo il nostro assenso a quelli che ritenessimo formulati in senso migliorativo del testo di legge presentato.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Carazzoni. Ne ha facoltà.



CARAZZONI Nino

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, la materia che viene affrontata con il disegno di legge in questo momento al nostro esame attiene indubbiamente ad una tematica tale da suscitare provvedimenti tra i più importanti, i più qualificanti del Consiglio regionale. Questo in quanto si vogliono affrontare - almeno, nell'intenzione di coloro che li hanno proposti - gli annosi problemi dell'agricoltura italiana quell'agricoltura che è indubbiamente uno dei settori, soprattutto oggi maggiormente colpiti dalla crisi.
Noi non potremo limitarci, in questo tipo di intervento, ad un'analisi stretta del disegno di legge in discussione, ma dovremo inquadrare in termini più generali il problema dal punto di vista del Movimento Sociale Italiano - Destra Nazionale.
Per far questo dovremo compiere un passo indietro, cioè ricordare come le ormai famose direttive CEE 159 - 160 - 161 risalgano al lontano 1972, e come soltanto nel 1975 il Parlamento italiano abbia avuto la possibilità con la legge 153, di affrontare e trasformare in legge nazionale.
Vi è stato, quindi, un ritardo fortissimo, non soltanto sui termini di emanazione di queste direttive, ma anche - e questo è, ad avviso nostro, il dato più grave - sull'ultima data fissata per la loro applicazione dalla CEE, che era appunto il 30 giugno 1973. Occorre, quindi, vedere quali sono state le difficoltà politiche che il Parlamento italiano ha incontrato difficoltà che hanno fatto spendere inutilmente due anni, cioè un periodo di tempo che, se le direttive comunitarie fossero state varate, avrebbe potuto essere impiegato ben diversamente, con indubbio vantaggio per l'agricoltura nazionale.
Il punto principale era il nodo giuridico, un nodo istituzionale e costituzionale al tempo stesso, sui rapporti che a questo riguardo dovevano intercorrere fra lo Stato e le Regioni. Ed è proprio su questo punto che si è sviluppato lo scontro in Commissione che ha poi rallentato tutta l'attività legislativa.
Certo, la soluzione che è stata trovata ha rappresentato il classico compromesso, perché alla soluzione si è giunti quando il Gruppo D.C. ha ceduto, attribuendo alle Regioni, secondo le richieste del PCI, più ampi poteri. Al di là delle valutazioni politiche che ciascuno di noi può fare a questo proposito, noi ci permettiamo di rilevare che lo strumento adottato per trovare un incontro su questo terreno fra comunisti e democristiani è stato del tutto bizantino in quanto, fingendo di salvare il principio, si è attribuito il potere di sostituzione allo Stato in carenza di iniziativa legislativa delle Regioni stesse, ma consentendo però il potere di deroga alle Regioni per le norme derogabili. E' una cosa quanto mai strana aver adottato una soluzione di questo tipo proprio in un momento in cui la Comunità Economica Europea chiedeva chiarezza, e la chiedeva soprattutto dopo una così lunga gestione legislativa.
Ma l'aspetto principale della questione è stato proprio questa ricerca bizantina del compromesso tra la posizione comunista di attribuire poteri che secondo l'Assessore non sono ancora sufficientemente ampi, alle Regioni, e quella democristiana di conservare allo Stato, come d'altra parte era previsto dalla normativa CEE, alcuni particolari attributi.
Questa è un'osservazione di fondo, in quanto consente poi pertinenti critiche circa il ritardo con il quale anche noi oggi ci troviamo ad affrontare questi problemi. Ritardo che ci costringe in una posizione ulteriormente svantaggiata rispetto agli altri Paesi della Comunità che già hanno avuto la possibilità di giovarsi di queste direttive, oltre al fatto lo diciamo qui per inciso - che da sempre si sono già giovati di altre direttive comunitarie, essendo innegabile che la politica agricola della CEE abbia giovato all'agricoltura dei Paesi del Nord, e non certamente a quella come l'italiana, cioè a coltura mediterranea.
Considerato il tempo perduto, c'è da chiedersi come si possa dare torto e con quali argomentazioni si riesca a rispondere ai pesanti apprezzamenti degli eurocrati di Bruxelles nei riguardi dell'Italia, accusata, e ci sembra giustamente, di non sapere spendere i soldi che la Comunità mette a disposizione della nostra agricoltura per promuoverne e facilitarne la ristrutturazione. Responsabilità precise e pesanti, dunque, del Parlamento nazionale, e per esso della classe politica dirigente, ma, insieme responsabilità non diversamente precise e pesanti della Regione, perch come si è detto, è dalla primavera '75 che nel termine massimo di sei mesi dovevano essere emanate specifiche disposizioni regionali. Quante Regioni hanno ottemperato a questo impegno? E quanto tempo si dovrà attendere perché venga recepita la quarta direttiva comunitaria, che, introdotta nell'ordinamento legislativo italiano con la legge statale 10 maggio 1976 n. 352, impegnava le Regioni stesse ad assumere i provvedimenti di loro competenza entro il limite del 10 novembre? Ora, a prescindere dal caso piemontese - noi, infatti, siamo puntuali rispetto alla direttiva comunitaria sulla montagna, e, pur essendo in colpevole ritardo anche noi rispetto alle prime tre, tuttavia restiamo tra le poche, anzi pochissime, Regioni ad aver affrontato a tutt'oggi questo problema -, non può essere taciuta, in un dibattito di questo tipo, la colpa grave, accanto a quella del Parlamento nazionale, anche dei Consigli regionali. E' difficile quantificare quel che l'Italia ha perso con questi ritardi in fatto di finanziamenti comunitari. Siamo però nell'ordine delle centinaia di miliardi, cui deve aggiungersi l'incidenza della svalutazione: cento miliardi disponibili due anni or sono ma non spesi oggi valgono il 30% in meno.
Ora, l'avvento delle Regioni era stato considerato dal mondo agricolo con favore; potremmo, anzi, dire che fu incoraggiato con il sostegno di posizioni di avanguardia, nella certezza che le Regioni avrebbero saputo recepire meglio dello Stato le esigenze effettive dell'agricoltura. Per adesso il mondo agricolo è deluso dell'esperienza regionalistica, anche se è vero - e noi non lo vogliamo negare - che alcuni provvedimenti di fondamentale importanza non varati a livello nazionale sono invece arrivati in porto a livello regionale, proprio perché le Regioni godono di poteri contrariamente alla tesi che sosteneva il collega Ferraris, quanto mai ampi in materia di agricoltura. Resta però il fatto del ritardo nell'attuazione delle direttive comunitarie come nell'attuazione di alcune importanti leggi nazionali.
Dire questo non significa fare - vorremmo essere precisi al riguardo dell'antiregionalismo fine a se stesso, e neppure auspicare il ritorno ad una centralizzazione di poteri e di interventi dello Stato, che ormai ha fatto probabilmente il suo tempo. Sottolineare i ritardi delle Regioni Piemonte compreso, vuol significare prendere atto di una realtà non contestabile, che tutti dovrebbero registrare, senza lasciarsi ottenebrare da una certa demagogia del regionalismo oggi imperante.
E' in questo quadro di valutazione critica che noi abbiamo collocato il disegno di legge regionale n. 71, a proposito del quale noi dobbiamo sostanzialmente, ripetere le medesime osservazioni negative già anticipate nel dibattito del settembre scorso. Il ritorno in Commissione, infatti, se ci ha consentito - e su questo punto siamo perfettamente d'accordo - di elaborare un provvedimento legislativo più organico, anche con il recepimento della direttiva comunitaria sulla montagna, d'altro canto non è intervenuto ad eliminare quelli che a noi sembravano, e per noi rimangono i difetti di fondo del provvedimento stesso.
La prima osservazione critica crediamo di doverla incentrare sulla linea portante della legge, che a nostro avviso tende ad interpretare l'attuazione di queste direttive quasi come un mezzo per fronteggiare attraverso l'agricoltura la crisi del settore industriale. Questo ci pare essere l'esatto significato da doversi dare all'inserimento tra i beneficiari degli aiuti, nel testo proposto dalla Giunta regionale, di lavoratori privi del requisito di imprenditori agricoli a titolo principale.
Se ricordiamo esattamente, questo rilievo ci sembra fosse stato fatto proprio nel dibattito del settembre scorso, con molta lucidità e chiarezza dal collega Chiabrando. Ed è un rilievo del tutto condivisibile anche dal nostro punto di vista, in quanto non può essere accettato il principio che l'agricoltura venga intesa come un settore residuo, vale a dire come un serbatoio di salvataggio per le forze che in particolari momenti di congiuntura economica vengono ad essere emarginate da altri settori. Così facendo, cioè condividendo quella che ci sembra essere nella legge l'impostazione della maggioranza, noi crediamo che si venga a perdere di vista quello che dovrebbe invece essere l'obiettivo primario, cioè l'attivare la realtà presente favorendo la creazione di aziende agricole efficienti, caratterizzate da una maggiore dimensione e dotate di adeguati capitali, e si corre invece il rischio, al contrario, di mortificare quindi scoraggiare, in un certo qual senso, proprio quelle forze che nell'agricoltura hanno sempre creduto, che nell'agricoltura hanno sempre operato, che nell'agricoltura sono rimaste anche quando era più difficile rimanervi.
Seconda osservazione critica - stiamo ovviamente ad osservazioni di impostazione molto generale -: il disegno legislativo proposto dalla Giunta regionale pare a noi non tenere in conto alcuno proprio il principio dell'autogestione, che noi invece crediamo debba essere un obiettivo precipuamente perseguito, forse anche parzialmente realizzato, dalle categorie agricole. Noi non siamo d'accordo che tutti i compiti di informazione socio-economica, di qualificazione professionale, di contabilità aziendale eccetera siano gestiti dalla Regione, sia pure con la possibilità di darne delega ai Comitati comprensoriali. Non lo siamo non soltanto per una certa sfiducia, diremmo, connaturata alla nostra parte politica nei confronti dell'intervento pubblico, che, quando c'è stato sempre ha dato risultati scarsamente positivi e poco brillanti; ma non lo siamo soprattutto perché riteniamo che ogni intervento formativo e informativo in agricoltura possa valere proprio se attuato nelle forme di autogestione, fermo restando - lo sottolineava poco fa il Consigliere Martini - il diritto-dovere della Regione di coordinare, invece, e di dare le linee di indirizzo, ma lasciando alle organizzazioni professionali l'autogestione stessa.
Infine, terza osservazione critica di carattere generale, noi siamo contrari, al di là del giudizio di merito che diamo del nuovo istituto, al largo spazio che il disegno di legge assegna ai Comprensori, i cui Comitati sono addirittura abilitati a promuovere e coordinare l'assistenza per i piani aziendali. Si tratta, noi pensiamo, di un grossolano errore, che fatalmente comporterà ulteriori ritardi nell'utilizzazione dei fondi disponibili. I Comprensori non sono ancora in funzione, e, nella più rosea o rossa, delle ipotesi, potranno affrontare veramente i problemi di questo tipo, di questa importanza, solo a distanza di tempo. Il che vuol dire che anche essendo quanto mai ottimisti, sarà giocoforza spostare ulteriormente la possibilità di recepire dei fondi utili, indispensabili, anzi, per la nostra agricoltura.
Queste sono, colleghi Consiglieri, le osservazioni di massima, quasi di ordine procedurale, che intendevamo muovere nei confronti del disegno di legge in esame.
Dobbiamo dire, a questo punto, che il nostro giudizio, nel quadro del pronunciamento già fatto nel dibattito del settembre scorso, non può che essere, al momento, negativo, anche se, per correttezza, vogliamo soggiungere che espliciteremo il voto finale soltanto dopo aver seguito l'andamento della discussione sui singoli articoli, a proposito dei quali non abbiamo voluto farlo in questo momento ed in questa sede - ci permetteremo di eventualmente intervenire con ulteriori osservazioni più approfondite. Ma sarà comunque un giudizio negativo, che non potrà non essere confermato, se non verranno rimosse quelle storture procedurali e quei sospetti di illegittimità che potrebbero poi determinare la censura del Governo, così da provocare, dopo quelli già accumulati, altri ritardi sempre a danno dell'agricoltura piemontese, ma di cui questa volta la responsabilità intera spetterebbe soltanto alla Giunta regionale.



PRESIDENTE

Chiede di parlare il Consigliere Chiabrando. Ne ha facoltà.



CHIABRANDO Mauro

Signor Presidente, colleghi, a conclusione della discussione desidero anticipare qualcosa di quello che sarà più dettagliatamente specificato da me e dai miei colleghi di Gruppo, nel corso della votazione sugli articoli attraverso l'illustrazione dei nostri emendamenti.
Dobbiamo dare anzitutto atto dei passi fatti dalla Giunta, dalla maggioranza, nella giusta direzione per rendere questa importante legge più rispondente allo spirito della legge dello Stato. Il lavoro continuo che abbiamo svolto in Commissione, con una discussione che si è sviluppata assai ampiamente - e qui desidero ringraziare i colleghi, l'Assessore stesso, di avervi partecipato molto assiduamente - nei mesi scorsi, ha portato ad un notevole avvicinamento alle nostre della posizione iniziale della Giunta, che a nostro avviso era veramente troppo lontana da una corretta impostazione della legge, e si è estrinsecato in quel testo che oggi ci viene presentato, assai migliore di quello di partenza, anche se sotto molti aspetti, diremo, non ci soddisfa, per motivi ancora di fondo.
Noi rileviamo, con i nostri emendamenti, con le nostre osservazioni anzitutto un aspetto importante: che questa legge, sotto alcuni aspetti oltre a non corrispondere alla nostra impostazione, contrasta con la legge dello Stato, e in modo particolare con le norme fondamentali che la legge dello Stato indica, alle quali, quindi, dobbiamo attenerci, perché sono inderogabili.
Passo ad elencare ed illustrare brevemente questi punti, limitandomi a quelli che ritengo essenziali.
La professionalità in agricoltura, la professionalità degli aventi diritto, poi, a beneficiare delle provvidenze comunitarie, e in particolare l'indicazione, specificata all'art. 6, una chiara deroga e contraddizione con la legge dello Stato, che per ottenere i benefici basta il reddito del 50%, sia pure con la precisazione che questa agevolazione, questa deroga riguarda soltanto i giovani fino a 45 anni, mentre la legge dello Stato fissa parametri superiori.
I compiti dei Comprensori. Sono precisati, infatti, dei compiti non previsti dalla legge statale, e anche sotto questo aspetto penso che il Governo non mancherà di fare i suoi rilievi. Si assegnano, per esempio, ai Comprensori l'assistenza tecnica e l'assistenza per i piani di sviluppo delle aziende agricole, mentre questi compiti, secondo la legge dello Stato, vanno assegnati all'ESAP. E' una questione che abbiamo ampiamente discusso in Commissione, ma relativamente alla quale non si è poi provveduto a modificare il testo di legge. Noi crediamo, intanto, come posizione politica, che l'assistenza e l'aiuto agli agricoltori per predisporre i piani aziendali siano compiti da affidare per intero all'ESAP, mentre questa legge, sia pure con una formula che allarga diciamo, le possibilità anche all'ESAP, li assegna alla competenza dei Comprensori.
Non comprendiamo, poi, perché la Giunta abbia insistito a voler mantenere l'assegnazione al Presidente della Giunta regionale dell'incombenza di rilasciare i diplomi di qualificazione professionale mentre la legge prevede che questo competa alle Università, ed il Governo si è espresso chiaramente in proposito.
Questi sono per noi i motivi di fondo principali di contrasto fra questo disegno di legge e la legge dello Stato. Noi abbiamo voluto sottolinearli ancora una volta e segnaliamo l'opportunità che la Giunta mentre è ancora in tempo, li riveda così da permettere una rapida approvazione della legge. Se la legge rimane nel testo presentato, quasi sicuramente ci sarà rinviata, con notevole perdita di tempo e con dilazione della fruizione dei relativi finanziamenti - già alcuni colleghi che mi hanno preceduto hanno posto l'accento su questo particolare - e conseguente pericolo di svalutazione.
Non ci si può ormai più illudere di ottenere comunque l'approvazione del Governo, dopo i chiari pronunciamenti che riguardano la legge dell'Emilia e quella della Lombardia.
C'è poi tutto il capitolo, già ampiamente illustrato, dell'informazione socio-economica, dell'assistenza tecnica, sul quale il testo di legge lascia trasparire un'intenzione non in contrasto con la legge dello Stato ma che non possiamo condividere perché non coincide con la nostra impostazione, che tende a privilegiare l'autogestione delle categorie sia nell'assistenza sia nella qualificazione professionale sia nell'informazione socio-economica. Il testo della Giunta tende a capovolgere le cose, specialmente a proposito dell'informazione socio economica, ed a porre in primo piano la Regione come tale, come strutture e come uffici, e soltanto in secondo ordine la gestione diretta da parte delle categorie di questi servizi.
Tralascio di soffermarmi su altri emendamenti meno essenziali. Dico ancora che abbiamo presentato ventidue emendamenti e altri due li ho qui pronti da presentare ancora. In base alle decisioni che la Giunta vorrà assumere su queste nostre proposte noi tireremo le conclusioni e decideremo alla fine della votazione degli articoli l'atteggiamento da tenere sull'intera legge.
Mi permetto di invitare la Giunta e l'Assessore, del quale, come ho già detto, ho apprezzato il modo in cui si e adoperato perché si trovasse un accordo su tutti i punti controversi, a fare ancora un riesame di alcune questioni per vedere se non vi sia la possibilità di risolvere alcuni di questi grossi problemi. Ripeto, sono problemi, oltre che politici, anche di legittimità: se saranno risolti in un certo modo, la legge potrà essere approvata con sollecitudine, se saranno risolti nel modo che ci viene proposto nel testo presentato dalla Giunta la legge non potrà certamente avere il benestare delle autorità centrali, con notevole danno per tutti gli agricoltori e per l'economia piemontese.



PRESIDENTE

C'è ancora una richiesta di parola, quella del Consigliere Besate. Ha facoltà di parlare.



BESATE Piero

Desidero intervenire ancora, questa volta a nome del mio Gruppo - prima l'avevo fatto come relatore - in questa chiusura di discussione generale per dare alcuni chiarimenti che ritengo necessari, più che altro di sostanza. Perché a questo punto, discutendo di una legge di questo tipo non ci si può confrontare sicuramente soltanto in termini generali, ma come hanno fatto anche alcuni colleghi che mi hanno preceduto, ci si confronta nella sostanza, senza trascendere il contenuto proprio di questi elementi.
Sull'art. 2, il disegno di legge, così come è uscito poi dalla Commissione, introduce una specificazione ancora rispetto alla legge 153 quando dà la preferenza alle aziende familiari "diretto-coltivatrici" mentre l'art. 2 della 153 parlava semplicemente di aziende familiari "coltivatrici": non è vero, dunque, collega Martini, che si danneggiano i coltivatori diretti, è vero invece che si introducono elementi che rafforzano questa categoria.
Avevo già detto nel precedente intervento che anche a proposito dell'art. 6 proprio non si comprende come si possano escludere dal diritto di presentazione della domanda coloro che dall'attività agricola traggono almeno il 50% del proprio reddito ed impiegano in tale attività almeno il 50% del proprio tempo di lavoro. E' il caso di sciogliere una volta per tutte un equivoco che pesa sulla questione cosiddetta del part-time intendendosi finalmente sull'oggetto del contendere. Mi pareva, per la verità, di averlo già spiegato chiaramente, e sia il Consigliere Gastaldi che il Consigliere Cardinali hanno dimostrato di avermi compreso. Forse non abbiamo potuto ancora intenderci appieno anche perché, colleghi, dato che nella riunione del 16 settembre il Consiglio si era impegnato a ridiscutere questa legge il 22 ottobre, la Commissione si è affrettata ad assolvere il suo compito, consegnando il 20 ottobre il testo, senza accertarsi che tutti gli aspetti fossero completamente chiariti.
Rivediamo, dunque, l'art. 6. Sarei d'accordo, a titolo personale, ma penso che lo sia anche la Giunta, di modificare la titolazione dell'articolo. Intitolando "beneficiari" si considerano già coloro che presentano la domanda automaticamente dei beneficiari, mentre tutto il resto dell'articolo riguarda la presentazione delle domande per i piani aziendali ed interaziendali. Con quel titolo si dà adito all'equivoco, e l'ultimo comma, quello che riguarda il 50%, potrebbe effettivamente incappare nei fulmini del controllo governativo.
Cosa si vuol intendere quando si dice che possono presentare la domanda? Che anche coloro che esercitano l'attività agricola al 50% e ritraggono il 50% del reddito possono produrre la domanda, sempre che i piani che presentano, se approvati, consentano di raggiungere al termine i due terzi di attività e di reddito minimo comparabile. E' una questione questa, che è in discussione. Posta in questi termini, non va a configurare un'equiparazione dell'imprenditore al 50 % - non parlerei di part-time, ma di imprenditore, di coltivatore diretto, perché è coltivatore diretto in Italia, per legge, lo ripeto, anche colui che mette a disposizione considerando anche i suoi familiari, un terzo della forza lavorativa necessaria per la coltivazione del fondo - ma evita di pregiudicare nella trattativa con il Governo per l'approvazione e per l'intero fatto d'insieme della nostra agricoltura (tenendo conto che più del 10% della nostra produzione agricola proviene da questo tipo di azienda, e che siamo forti importatori di prodotti agro-alimentari) la possibilità di accoglimento di queste domande. Poniamo questi lavoratori nella condizione di non essere esclusi dal diritto di presentare la domanda. In questo senso è stato redatto il testo, in questo senso è stato modificato il termine, in questo senso con ogni probabilità modificheremo la titolazione stessa dell'articolo per non incorrere in equivoci.
Venendo alla questione dei Comprensori, in rapporto al comma terzo ancora dell'art. 6, quello che parla dei piani che possono essere realizzati da parte dei mezzadri e dei coloni, anche senza il consenso del concedente, la legge prescrive, solo in questo caso (e questo in controluce dimostra come tutto il disegno di legge sia perfetto) che debbono essere approvati dalla Regione. Il perché è facilmente intuibile: perché qui abbiamo un rapporto di contratto agrario, di colonia o di mezzadria. Ma in questo caso, se il concedente non è d'accordo e il piano viene approvato il colono ed il mezzadro possono realizzarlo indipendentemente dalla volontà del proprietario. La legge 153, quarto comma art. 13, prescrive che spetta alla Regione approvarlo. Allora diciamo: la Giunta regionale approvi questi piani, perché poi in tutti gli altri casi, vedasi l'art. 25, non si richiede più che sia la Regione ad approvare i piani aziendali o interaziendali: può essere la Regione.
Si parla dell'autorità cui è rimesso il compito di approvare i piani aziendali e interaziendali, che questo disegno di legge individua nel Consiglio comprensoriale.
A proposito del Consiglio comprensoriale, si è obiettato che occorre dar tempo ai Comprensori di provvedere ad organizzarsi per poter funzionare regolarmente. L'osservazione è giusta: però nel caso che vengano presentati piani aziendali o interaziendali prima che i Comprensori interessati abbiano iniziato a funzionare regolarmente, la legge prevede che tutte le funzioni siano esercitate dalla Giunta regionale. E' prevista questa sostituzione, perché le funzioni sono tutte detenute dalla Giunta regionale, e i Comprensori si attribuiscono questi compiti.
Il collega Chiabrando ha già detto che si è fatto uno sforzo comune di buona volontà per arrivare a molti chiarimenti ed a modifiche. Non ho ancora potuto esaminare l'ultimo gruppo di emendamenti presentati dai colleghi Bertorello e Chiabrando, molto meno ponderoso del precedente anche grazie al lavoro svolto successivamente dalla Commissione. Devo dire per la verità che non comprendo la richiesta di soppressione dell'ultimo comma dell'art. 20, se è mantenuta, perché la Giunta regionale può sempre stipulare convenzioni con esperti e consulenti, e con questo comma si fissa un limite a questa funzione. Non avremmo certo motivo di opporci alla soppressione proposta, ma preferiremmo mantenere quel comma perché esso serve ad incanalare correttamente una utilizzazione di questi esperti sempre d'intesa con gli istituti da cui essi dipendono.
Per quanto riguarda l'ESAP, l'art. 23 dice: "promuovere e coordinare d'intesa con l'ESAP, un'adeguata assistenza agli aventi diritto per la formulazione dei piani". Parliamoci chiaro. Intanto siamo davanti ad una legge nazionale che riguarda gli Enti di sviluppo agricolo e la loro regionalizzazione che dovrà essere recepita dai Consigli regionali e lo dovremo fare anche noi perché modifica sostanzialmente lo stato degli Enti di sviluppo, le loro funzioni e così via. Quindi andare a prefigurare in una legge, sia pure importante, ma che riguarda determinate materie, quella che sarà la riforma, o la revisione se così volete chiamarla, dell'ESAP ante litteram sganciata da un esame generale organico delle funzioni dell'Ente di sviluppo agricolo piemontese, mi pare non dico scorretto nei confronti di futuri amministratori dell'ESAP (che saranno magari in gran parte le stesse persone riconfermate) ma prematuro perché la composizione dell'ESAP prevista dalla nuova legge è diversa e sono diverse le funzioni si tratterà di vedere come le forze politiche, le forze sociali insieme vorranno considerare le nuove funzioni dell'ESAP.
Per quanto riguarda la formazione professionale e l'informazione socio economica è da tenere presente che si tratta di avere dei programmi altrimenti se ci saranno le domande (e ci saranno sicuramente, come diceva il collega Martini) in base a quale parametro, a quale criterio di riferimento si accolgono o si respingono? In base ad un programma evidentemente. Certo, ci saranno delle indicazioni della Giunta, la legge prevede che per ogni atto della Giunta in questa legge ci sia un comitato tecnico il quale non solo è sentito, ma è presente in ogni momento della gestione della legge stessa e a livello comprensoriale ci sono le commissioni consultive, obbligatorie per legge perché sono previste dall'art. 23, quindi c'è una gestione molto democratica, molto partecipata nelle quali le organizzazioni, le forze politiche, gli Enti locali sono presenti in ogni momento.
Si adopera molto la parola "pluralismo", che è diventata una parola magica, qui però non si tratta di pluralismo, bensì di un sistema misto quello della presenza del pubblico, del privato, del sociale purch corrispondano ai requisiti individuati dalla Regione intesa nel suo complesso (Giunta, Consiglio, Comitato tecnico, Comprensori, Commissioni consultive) e che nell'insieme, rispetto alla legge 153, configura un sistema molto democratico e partecipato e nello stesso tempo agile.
Mi corre l'obbligo di dire qualche cosa anche al collega ed amico Franzi che ho sentito parlare, non dico per difendere la CEE, ma se fossi un maligno direi: guarda, qui c'è l'ultimo numero del "Risicoltore", il cui articolo di fondo fa una critica alla CEE, eppure è il giornale della risicoltura che è la coltura più favorita tra quelle italiane nell'ambito della CEE, al punto che se l'Assessore all'agricoltura viene a Vercelli la sola cosa che gli dicono è "non intervenire, non vogliamo soldi, non vogliamo niente dalla Regione, lasciaci stare così". Non credo succeda in nessun'altra parte del Piemonte o d'Italia, anche Marcora può fare le sue sparate, ma nessuno fa delle critiche, mentre da un punto di vista oggettivo una critica da fare alla CEE c'è. Ma non è su questo che desidero soffermarmi. Io non so se queste critiche alla CEE abbiano potuto disturbare chi vive nell'ambiente ed è molto importante quando si vive in un determinato ambiente che se ne raccolgano gli umori e lo spirito. Da parte del mondo agricolo, da parte dei produttori, c'è un atteggiamento per cui quando sentono delle critiche alla CEE si inalberano e dicono: sì modifichiamo tutto, ma non questo; ed ogni critica che si fa in quella direzione viene recepita come un attacco alle posizioni acquisite. Io non sono uno psicologo e qui parliamo di politica, non di psicologia, ma effettivamente nell'insieme del disegno di legge (io colgo le cose nel loro divenire, nel loro sviluppo, come si sono viste in quest'aula) all'interno di questo dibattito che sta per concludersi mi sembra che il taglio è andato un po' al di là delle intenzioni. Comunque valgono le cose che si sono dette.
Io ho voluto soprattutto fare questo intervento per tentare di chiarire alcuni equivoci, comunque il mio Gruppo è a disposizione per interpretare esattamente i termini usati, purché la sostanza dell'orientamento della politica che viene individuata da questo strumento rimanga tale e quale anche perché mi sembra che trovi il massimo consenso tra i Gruppi, gran parte del provvedimento così come configurato, con i suoi centri focali e sostanziali nei piani di sviluppo, nella cessazione anticipata, negli interventi per la montagna.



PRESIDENTE

C'è ancora qualcuno che chiede d'intervenire? La parola al Consigliere Cerchio.



CERCHIO Giuseppe

Voglio solo fare rilevare come su un argomento di così grande importanza per la Regione Piemonte il dibattito si sia svolto praticamente con il numero legale non valido, tant'è che adesso siamo presenti in 29 o 30 al massimo. Chiederei quindi al Presidente di rilevare la presenza dei Consiglieri in aula perché è veramente assurdo che su questo argomento così importante ci sia un tale assenteismo da parte del Consiglio.



PRESIDENTE

L'osservazione è valida.



BONO Sereno

Conta i presenti del tuo Gruppo!



PRESIDENTE

E' un'osservazione che vale per tutti. Adesso inviterò i Consiglieri a venire in aula.
Prima di dare la parola all'Assessore Ferraris, vorrei leggere una lettera che ha inviato il Consigliere Oberto, in regolare congedo: "Signor Presidente, le sarò grato se vorrà, a proposito della legge sul recepimento delle norme CEE, dare atto della mia soddisfazione per l'inclusione nella legge regionale delle direttive per la montagna, come avevo chiesto in una precedente seduta, anche se ritengo che ciò, salvo emendamenti, non sia avvenuto nel modo migliore per cui nella sostanza esprimo riserve".
Dò ora la parola all'Assessore all'agricoltura, Ferraris.



FERRARIS Bruno, Assessore all'agricoltura e foreste

Il dibattito su questo disegno di legge, sia pure in modo un po' frammentario perché è stato sminuzzato in tre diverse sedute - comprendendo in questo conto anche la discussione che abbiamo svolto nel corso della seduta di settembre che si è poi conclusa con il rinvio del testo in VI Commissione - ha consentito a molti colleghi di sviluppare una serie di riflessioni sulla politica agraria nazionale, comunitaria e regionale.
Molti colleghi, infatti, ad iniziare dal collega Besat e, relatore di maggioranza, a Rossotto, a Franzi, a Bellomo, a Gastaldi, ecc. si sono impegnati e giustamente - al di sopra o nel contesto del proprio giudizio critico sul disegno di legge della Giunta, modificato ed integrato in sede di Commissione - in una disamina, con conseguente revival polemico sulla politica agricola comunitaria, sulla genesi delle quattro direttive, sulla filosofia che le ha ispirate, sugli obiettivi che si prefigurano e sull'esigenza di un serio impegno per una ridefinizione complessiva della politica comunitaria e non solo di quella agricola.
In particolare il relatore di maggioranza e con lui il Consigliere Bellomo, si sono giustamente soffermati (ma non soltanto loro) sulla valutazione dell'incidenza negativa che ha il settore agricolo, "la grande malata" come veniva fino a ieri chiamata l'agricoltura. Tutto ciò ha permesso di mettere ancora una volta in rilievo lo scotto che il Paese sta pagando per la sua crescente dipendenza dai mercati esteri in fatto di derrate agricole alimentari e per i prodotti forestali con il conseguente deficit della bilancia dei pagamenti e con tutto quanto consegue sul processo inflazionistico e quindi sulla spirale dei prezzi.
Ora io, proprio per l'economia dei lavori di questa seduta consiliare che si preannuncia pesante, vorrei rinunciare ad un'ampia trattazione di queste questioni, ma siccome sono essenziali sia ai fini della definizione del reale contesto nel quale si viene a collocare la nostra legge, sia in ordine agli obiettivi che ci si ripropone, tanto nell'interesse dei produttori agricoli, quanto nell'interesse più generale del Paese, dovr soffermarmi - sia pure nel modo più sintetico possibile - su questi argomenti e quindi chiedo ai colleghi molta pazienza.
Naturalmente non riprenderò qui l'antica polemica sull'Italia sull'agricoltura italiana "vaso di coccio costretto a viaggiare in compagnia dei vasi di ferro" e quindi sul paese agricolo più povero e più pagante; anche perché è pur vero ciò che ha detto il collega Franzi sulla cronica incapacità dello Stato italiano, della sua burocrazia e non solo di essa, ma soprattutto della sua classe dirigente ad organizzare le cose in modo da utilizzare i non eccessivi fondi che però potevano essere utilizzati attraverso i progetti FEOGA per interventi sulle strutture. Per il Piemonte infine va pure detto che si è anche pagato lo scotto per l'assenza dell'ESAP; ora si sta rimediando e per la prima volta la Giunta di sua iniziativa, ha organizzato una propria pratica per lo sviluppo della forestazione.
E' comunque vero che, soprattutto per, l'incapacità di portare avanti proposte valide, per l'assenza di idee precise o perché, tutto sommato faceva comodo che le cose andassero così, il nostro Paese non ha mai contato granché nella definizione della politica agricola comunitaria e purtroppo non ha contato molto anche per quanto riguarda la definizione delle altre politiche CEE Sta però di fatto che anche per responsabilità del nostro Paese e del COPA all'interno della CEE negli anni in cui da parte delle sinistre e del PCI in particolare ci si opponeva a quella politica (posizione che abbiamo superato senza riserva alcuna, ma anche senza rinunciare di un ette alle nostre critiche sui contenuti) prevalsero, come in gran parte prevalgono tuttora, non solo gli interessi delle agricolture più forti dei Paesi del Nord Europa, con particolare riferimento al settore cerealicolo e lattiero caseario, ma gli interessi delle grandi famiglie dei commercianti in derrate agricole, dell'industria mangimistica e conserviera o di quella saccarifera, anche di casa nostra, naturalmente, però, a danno dei bieticoltori, e ad ulteriore aggravamento del deficit alimentare.
Del resto i vari regolamenti di settore sono precisi, chiari e parlano da sé, così come parlano da sé i risultati di una politica che ha bruciato il 90% e più del fondo agricolo che rappresentava oltre i due terzi delle intere risorse della CEE - e si tratta di risorse notevoli - in una politica di pura garanzia e protezione dei prezzi, cioè d'interventi di mercato (di cui non si intende sostenere in assoluto né la loro inutilità né la loro esclusione) disancorati da ogni politica d'intervento strutturale per il rinnovamento e lo sviluppo delle strutture produttive e per la costruzione di rapporti nuovi, diversi con l'industria, con la distribuzione e quindi nei confronti del consumo e dei consumatori.
Altro che misure, mio caro Franzi, per impedire la turbativa dei mercati e dei prezzi; sono state alla base della turbativa dei mercati e dei prezzi le misure della CEE.
Tutto ciò è così vero, caro Franzi, che Mansholt nell'ideare il suo piano si era posto seriamente almeno il problema di una parziale riconversione della politica comunitaria, di una sua razionalizzazione anche attraverso lo spostamento delle risorse, da un'assurda politica di sostegno dei prezzi che ha bruciato e brucia ancora migliaia di miliardi per distruggere eccedenze più apparenti che reali o per lo sradicamento di frutteti e agrumeti che poco prima erano stati sovvenzionati, ad una politica delle strutture.
Mansholt fu certo, fra i tanti eurocrati di Bruxelles, uno dei più illuminati; del suo piano, però, ben poco è rimasto nelle attuali direttive e del resto non tutto era valido ed accettabile, né tutto ciò che è passato nelle direttive era e resta valido ed accettabile, almeno secondo noi.
Con tutto ciò, caro Franzi, noi non abbiamo mai detto (e Besate non ha certo detto) che Mansholt volesse ricostruire l'azienda capitalistica agraria ottocentesca, tanto per intenderci quelle del Vercellese, o della Padania, o del Polesine, come ci è stata ricordata da Bertolucci nel suo recente film "Novecento".
Non questo voleva Mansholt, ma l'impresa agricola con le così dette dimensioni ottimali, cioè grandi imprese moderne concorrenziali. A Mansholt stava bene sia la forma societaria, sia quella cooperativistica, sia quella della proprietà individuale capitalistica; il suo obiettivo, come tutti sappiamo, erano le dimensioni ottimali, un problema che, posto in modo astratto, significava ben poco o assumeva un segno negativo per un Paese come il nostro ove prevale l'azienda contadina, ove prevalgono sia al Sud sia al Nord le coltivazioni pregiate o ad alta specializzazione e dove pertanto il problema delle dimensioni aziendali si poneva e si pone in modo diverso, ma può e deve trovare una soluzione più rispondente e praticabile attraverso l'associazionismo dei servizi di un insieme di altre attività colturali e contrattuali o per la trasformazione e la commercializzazione dei prodotti agricoli.
Ma il limite più grave dell'impostazione mansholtiana, che purtroppo resta in parte ancora rispecchiata nella seconda direttiva, la n. 160/75 stava e sta, per quel che resta, nella convinzione che nel mondo o comunque in Europa non esistesse più un problema alimentare: eravamo nel 1968 l'apparato industriale tirava in Europa ed in Italia. Ma il problema alimentare esisteva già allora per l'Europa stessa ed in ogni caso per il nostro Paese, per i Paesi del terzo mondo, per i Paesi sottosviluppati e per i Paesi in via di sviluppo. Scarsa lungimiranza, miopia politica in un uomo che tutti riconosciamo illuminato? Molto più verosimilmente le cose stanno come noi abbiamo sempre denunciato: quella era, tutto sommato, la politica che gli eurocrati ritenevano più funzionale al tipo di sviluppo in atto, agli interessi dello sviluppo industriale, ad un'Europa dominata dai monopoli e dalle multinazionali.
Di qui le proposte per accelerare l'esodo, attraverso il pensionamento anticipato, come possibilità d'impiego in altre attività. Di qui le proposte della messa a riposo dei terreni a minore redditività, i due terzi circa, ad esempio, della superficie agricola utilizzabile dei nostro Paese.
Insomma, una vera e propria politica malthusiana ammantata di qualche buon orpello sociale. All'interno di essa, cioè all'interno del suo famoso "piano Mansholt o programma", esistevano alcune autentiche e positive novità in fatto di metodologia e di contenuti, di qui il "piano aziendale o interaziendale", la esaltazione della selettività degli investimenti sulla base di una programmazione o microprogrammazione; l'esaltazione dei servizi di assistenza tecnica e della formazione professionale in vista di due obiettivi con i quali concordiamo: realizzare il così detto reddito comparabile fra operatore agricolo ed operatore extra agricolo ed un più elevato contenuto della professionalità.
Con riferimento alla questione della selezione e della professionalità che sono poi la stessa cosa, s'impone subito un chiarimento di fondo, nel senso che si tratta di precisare se la selezione e l'accertamento della professionalità va compiuta a monte del processo produttivo o nel corso di esso (ad esempio di fronte alla presentazione di un piano aziendale o interaziendale).
Per quanto mi riguarda non ho dubbi, si tratta di istituire l'onere della prova, ma anche di concedere la facoltà della prova, altrimenti si verrebbe ad istituzionalizzare una sorta di numero chiuso per gli operatori agricoli - la qual cosa mi pare inaccettabile sia in linea di principio sia sul piano pratico. Del resto la direttiva ed in particolare la direttiva n.
159/72 si muove in una logica ben diversa - anzi rovesciata - nel senso che le direttive puntano a riservare gli aiuti alle aziende che devono ammodernarsi ed agli operatori agricoli che ancora non raggiungono il cosiddetto reddito comparabile.
Le provvidenze previste dalle direttive dovranno essere concentrate quindi non verso le aziende già moderne, valide ed autosufficienti, ma verso quelle che tali ancora non sono e per le quali vi siano tutte quelle garanzie che a fronte degli aiuti per lo sviluppo delle professionalità per gli investimenti ecc. ecc. possano diventare tali nell'arco temporale della realizzazione di un piano di sviluppo aziendale.
La prima e la terza direttiva, cioè la n. 159 e la 161, sia pure nell'inadeguatezza delle risorse messe a disposizione sia dalla CEE, sia soprattutto dallo Stato italiano con la 153, si prefiggono questi obiettivi e meritano tutto il nostro apprezzamento, anche se abbiamo espresso e manteniamo le più ampie riserve di carattere costituzionale contro l'uso e l'abuso di tutti quegli articoli fondamentali, cioè inderogabili, contenuti nella legge n. 153, che di fatto limitano ed annullano la potestà legislativa ed amministrativa delle Regioni.
Ma le riserve di ordine costituzionale cioè di legittimità nei confronti della legge n. 153, non vengono solo dalla nostra parte, nella D.C. se ne è fatto interprete anche l'on.le Galloni e del resto la legge n.
382 ed i documenti Giannini e Cassese si muovono in una logica del tutto opposta, cioè contraria allo spirito ed alla lettera della 153 la quale dev'essere profondamente modificata perché altrimenti, se mai una simile legge dovesse diventare il prototipo delle leggi quadro statali, le Regioni potrebbero chiudere i battenti in quanto sarebbero relegate ad assolvere le funzioni degli Ispettorati compartimentali per l'agricoltura del M.A.F.
E credo e spero che almeno qui nessuno vorrà mai accettare il declassamento delle Regioni ad un simile ruolo! Per cui al di sopra delle questioni di "merito" che ci dividono (anche se purtroppo e proprio sulle questioni di merito che si è invocato il rispetto rigoroso o meglio pedissequo della 153) io credo che da parte del Consiglio possa e debba essere apprezzato lo sforzo compiuto dalla Giunta per affermare l'autonomia legislativa della Regione con una sua proposta di legge attraverso la quale, come del resto è stato fatto da parte di altre Regioni (Lombardia ed Emilia) non ci si è limitati ad una pedissequa accettazione della lettera e dello spirito della legge n. 153, ma si è elaborato uno strumento legislativo inteso ad adattare lo spirito delle direttive comunitarie alla realtà economica e sociale dell'agricoltura piemontese.
Per quanto riguarda la seconda direttiva, la 160, va detto che questa risente ampiamente di quella impostazione malthusiana di cui ho detto prima e ciò è tanto più grave nel momento in cui ci troviamo ad applicarla, in una situazione qual è quella del nostro Paese, con una normativa che non consente di utilizzarla, a seconda dei programmi della Regione, a seconda dell'esigenza o meno di garantire la permanenza dell'uomo sul territorio.
In una situazione come l'attuale, dove nessuno comunque aliena i propri terreni, ma avviene il contrario, il risultato quale sarà? Che delle insufficienti risorse previste dalle direttive e soprattutto dalla 153 rimarranno bloccate, ancora una volta lo Stato italiano non avrà utilizzato le risorse della CEE. Tanto è vero che la Regione Valle d'Aosta non riuscirà ad utilizzare i soldi di nessuna direttiva, salvo per quanto riguarda la quarta, e questo per avere voluto creare uno schema rigido che non corrisponde alla realtà. Perché oggi, ad esempio, nessuno cede i propri terreni per quanto riguarda la 160, per ragioni di carattere monetario perché si cerca l'investimento, il bene-rifugio e per altre ragioni ancora.
Io non so cosa pensino attualmente Mansholt e gli eurocrati della politica che hanno impostato allora, conosco però alcuni dati della FAO i quali dicono che proprio nel momento della crisi energetica, nel momento in cui i prodotti agricoli alimentari hanno assunto un valore strategico capace di condizionare i rapporti fra gli Stati, nel momento in cui si parla non soltanto più di oro nero, ma di oro verde, nel momento in cui l'interscambio agricolo nel mondo raggiunge i cento miliardi di dollari, la CEE vi partecipa solo per il 12% con un disavanzo di 21,5 miliardi di dollari.
Così com'è noto - e a denunciarlo è la stessa CEE con un documento inviato in questi giorni - che la CEE chiede il concorso di tutti, in particolare delle Regioni: questo documento scopre oggi che la CEE nel suo complesso dipende dall'estero per il 50% dei prodotti forestali e che il deficit aumenta annualmente del 2%, mentre la produzione nel corso dei prossimi 30 anni aumenterà dell'1%. Sono cose che potevano essere previste.
E' sulla base di queste argomentazioni che noi riteniamo necessaria una ridefinizione del ruolo dell'agricoltura all'interno della politica economica complessiva sia a livello del MEC, sia a livello dell'Europa dei nove e a livello del nostro Paese. Noi riteniamo irreversibile il processo d'integrazione europea, non vogliamo nessuna di quelle politiche autarchiche di cui pare ci rimproverasse Franzi nel corso dell'altra seduta, vogliamo soltanto la massima utilizzazione delle risorse umane e materiali, vogliamo una politica valida sia in Italia, sia in Europa, che ci consenta di ridurre la nostra dipendenza dall'estero. E allora ecco che è necessario che da parte nostra sia dato un contributo alla soluzione dei problemi, anzitutto, attraverso la definizione di una politica economica complessiva ed agraria che vada in questa direzione, sia dato un contributo alla modifica della stessa politica comunitaria.
Certo però che se vogliamo essere sentiti, ascoltati ed incidere a Bruxelles, dobbiamo presentarci in quella sede armati di idee nuove, ma anche con qualche esperienza positiva alle spalle, o quanto meno con un minimo di elaborazione seria, rigorosa, documentata. Non si può pensare di fare breccia a Bruxelles se un giorno si parla di "piano carne", poi ci si corregge e si parla di "piano per la zootecnia" e poi ancora di un "piano alimentare", poi ci si accorge che è sbagliato e allora si parla di "piano agricolo-alimentare" di cui però ancora nessuno sa nulla, così come non si è saputo nulla di preciso e di concreto sui vari piani settoriali di cui ho parlato prima.
Si elabori rapidamente e possibilmente con il concorso delle Regioni questo piano agricolo-alimentare e sulla base di esso si richieda la modifica della politica comunitaria. Ma intanto non si dimentichi che ci che conta e che va cambiato subito è il ruolo, la funzione dell'agricoltura all'interno della politica economica del nostro Paese, a cominciare dai provvedimenti per la riconversione industriale dei quali per ora non si parla; non si sa ciò che s'intende fare per l'industria chimica, con riferimento alle esigenze dell'agricoltura in fatto di rifornimento di concimi, fertilizzanti, ecc.; la stessa cosa vale per l'industria produttrice di altri prodotti d'uso e per altri servizi.
A maggior ragione questo discorso s'impone per l'industria conserviera ed alimentare. E' verso queste industrie che s'intende dirottare i provvedimenti creditizi e certe altre misure quali la fiscalizzazione degli oneri sociali.
E se così fosse ecco che si sarebbe già posta una pietra miliare nella costruzione di un piano agricolo-alimentare.
Un'altra pietra miliare potrebbe essere rappresentata dalla riforma dell'A.I.M.A. e dalla costruzione di un rapporto nuovo attraverso le associazioni dei produttori, la cooperazione, la stessa industria alimentare, con la rete distributiva e tutto il discorso che si sottende quando si parla di rete distributiva.
A questo punto già si intravedrebbero le condizioni di fondo per un rilancio dell'agricoltura, per la riforma e lo sviluppo delle sue strutture produttive, per un'agricoltura capace di produrre meglio, di produrre di più, di produrre per il mercato e per l'esportazione e non di mandare le sue derrate al macero come si è nuovamente verificato nel corso di questa estate, per oltre 2 milioni e mezzo di quintali di frutta.
E' questo il quadro, è questo quell'insieme di certezze di cui ha oggi bisogno l'agricoltura per assolvere alla propria funzione non solo nell'interesse dei produttori, ma del Paese.
E non vi è dubbio, colleghi del Consiglio, che in tale quadro noi potremo guardare con fiducia, senza aspettative taumaturgiche certo, ma senza pessimismo, alla legge che stiamo per approvare, la quale, pur con tutti i limiti che sono propri delle direttive e maggiormente della legge n. 153 che le ha recepite od anche insiti nel nostro testo (vedremo se saremo ancora in grado di emendare) rappresenta, senza dubbio, un superamento positivo nei confronti della legislazione regionale e nazionale vigente, in quanto si concretizza la possibilità, attraverso il finanziamento di un piano aziendale o interaziendale, di realizzare: 1) una microprogrammazione di base che dovrà essere coerente agli obiettivi previsti nei piani zonali di sviluppo e quindi al piano comprensoriale ed agli obiettivi del piano regionale di sviluppo ed ai progetti settoriali nei quali si articolerà 2) il superamento del micidiale meccanismo delle singole domande ripetute per ogni tipo di investimento 3) lo snellimento delle defatiganti istruttorie con i loro tempi impossibili anche e proprio perché ripetitive per ogni singola iniziativa anche di modesta entità 4) una selezione finalizzata alla realizzazione del reddito comparabile, agli obiettivi della programmazione, alla professionalità e quindi alla capacità del soggetto beneficiante.
Il disegno di legge esprime poi una sua forza propositiva regionalistica di tipo avanzato, coerente con gli orientamenti della Giunta che lo ha proposto e della maggioranza che lo sostiene e che riteniamo possa e debba essere apprezzata e sostenuta da tutto il Consiglio regionale; promuove la più ampia partecipazione delle forze sociali e cioè dei produttori o dei loro rappresentanti alla gestione dei vari interventi secondo un corretto senso dello Stato o meglio della funzione pubblica senza chiusure statalistiche o settarie, ma anche senza abdicazioni verso la gestione privata o corporativa incontrollata del danaro pubblico mantiene alla socio-informazione la sua peculiarità rifiutando quella concezione che la vorrebbe assimilata o all'assistenza tecnica o alla formazione professionale (solo così si giustificherebbe infatti la richiesta della sua autogestione mentre noi riteniamo che possa assolvere ad una funzione d'informazione pubblica obiettiva e di animazione).
E non è vero che questo disegno di legge apra il part-time. Sono disposto a fare un lungo discorso ed a sostenere la validità di certe forme part-time, soprattutto in una situazione come l'attuale, quando abbiamo bisogno di allargare le basi produttive, quando abbiamo bisogno dei concorso di tutti. Ma non è più il tema, è fuori discussione, almeno con riferimento alla legge, perché la proposta della Giunta, purtroppo dico io non apre affatto al part-time. La proposta della Giunta è rigorosamente allineata agli stessi indirizzi della CEE e difatti ne ha ricevuto ancora per iscritto il giudizio di conformità; apre, sì, qualche cosa, si limita ad aprire una porticina per l'eventuale recupero di aziende contadine autonome minori, quelle che impegnano il 50% dell'attività lavorativa del proprio titolare per assicurare il 50% del reddito al medesimo e ci nell'intento di recuperare e di riportare all'attività agricola giovani energie, quelle giovani energie di cui si piange continuamente l'assenza di cui si dice che sono ridotte ormai a 10/12.000 in Piemonte, considerando quelle tra i 14 ed i 30 anni.
Di qui l'esigenza di costruire un'agricoltura moderna ed efficiente, di consentire limitatamente a giovani energie umane ancora legate all'attività agricola la possibilità di fruire dei provvedimenti nel modo che diceva prima Besate, cioè se assumono l'impegno, realizzandosi le condizioni previste dal piano, tornare ad essere imprenditori a titolo principale.
Queste le caratteristiche iniziali del testo di legge della Giunta che come è stato detto più di una volta dalla Giunta, dall'Assessore (il Presidente lo ha confermato ancora nella seduta del 16 settembre) è stato aperto al contributo, al concorso delle altre forze politiche. E di fatto il disegno di legge attuale, pur avendo conservato la sua ispirazione di fondo, è stato emendato, migliorato con il contributo scaturito calla consultazione, principalmente con quello dei colleghi della III Commissione e quindi anche con il contributo del collega Franzi.
Il collega Franzi però nel corso della scorsa seduta con quel suo intervento aspro e grezzo - mi scusi il collega Franzi...



MENOZZI Stanislao

Se fosse petrolio sarebbe una bella cosa!



FERRARIS Bruno, Assessore all'agricoltura e foreste

Invece non lo è... Ha finito per disconoscere anche il pur notevole contributo recato da lui stesso e dal suo Gruppo al perfezionamento del testo della legge che stiamo discutendo.
Del resto successivamente i colleghi Martini e Chiabrando hanno qui espresso attraverso interventi ben più articolati quella che ritengo la vera posizione della D.C., al loro confronto l'intervento polemico del collega Franzi mi è apparso come l'intervento della corporazione.
Per quanto riguarda l'autogestione, per una semplice ragione di buon gusto non farò dell'ironia sulla inopinata e rapida conversione del collega Carazzoni del MSI-DN sull'autogestione. In merito alla quale per quanto ci riguarda noi concordiamo con essa quando questa si esercita in certi ambiti, in certi limiti cioè nelle materie che istituzionalmente appartengono all'autogestione dei produttori.
Anzi in merito ad esempio noi auspichiamo che il collega Franzi e che l'intero Gruppo della D.C. si batta come noi, con le sinistre con tutte le forze democratiche per assegnare finalmente all'autogestione dei contadini o produttori agricoli i vari impianti della Federconsorzi che sono stati costruiti con i soldi dello Stato.



FRANZI Piero

Forse non sai che i Consorzi sono cooperative, anche la Corte Costituzionale ha riconosciuto che sono cooperative.



FERRARIS Bruno, Assessore all'agricoltura e foreste

No, la Federconsorzi non è una cooperativa. Come è noto questi impianti non solo non vengono affidati in autogestione, ma non vengono posti al servizio dei contadini o lo vengono solo quando le loro gestioni si concludono in modo fallimentare. In questi casi però è la Regione che deve riscattarli e passarli ad una gestione cooperativa come è del resto avvenuto per la "Unione Produttori Latte di Novara" ecc.



BERTORELLO Domenico

Mi pare che tutte le cooperative...



FERRARIS Bruno, Assessore all'agricoltura e foreste

Ma stavo dicendo un'altra cosa, cioè che quelle strutture tornano all'autogestione soltanto in queste condizioni. Ma quando sono in mano a Mizzi e compagnia bella non sono certo al servizio dell'autogestione.
In fatto di autogestione ritengo che si farebbe cosa corretta ed obiettiva se si riconoscesse finalmente, ad esempio, che per l'assistenza tecnica, la contabilità aziendale e la formazione professionale la nostra è una delle poche, se non la sola Regione, ove l'autogestione non viene fatta soltanto a parole ma in misura tanto cospicua da dover assommare almeno 5 Regioni a direzione D.C. per eguagliare i finanziamenti erogati in Piemonte per questi servizi che abbiamo ritenuto giusto di assegnare in autogestione.
Ho sottolineato questo fatto soltanto per riconfermare che non abbiamo nessuna intenzione di mortificare, come ci accusate, né i singoli operatori agricoli, né le loro organizzazioni (che sono poi i veri titolari dell'autogestione) ma che ci muoviamo su di una linea che intende lasciare e tutelare il ruolo che compete ora nell'Ente pubblico ora alle organizzazioni professionali garantendo sempre ed in ogni caso a queste ultime la massima partecipazione.



FRANZI Piero

Sulla base della legge 51 della passata Giunta.



FERRARIS Bruno, Assessore all'agricoltura e foreste

Che era stata rinviata e che poteva benissimo essere modificata. Anche di qui, da questo nostro comportamento emerge che non vi è nessuna volontà di mortificare, come viene detto, né i singoli produttori, né le loro organizzazioni (che poi sono quelle che in pratica realizzano l'autogestione) ma invece quella di lasciare ad ognuno il proprio ruolo, il proprio compito e garantire la massima partecipazione.
Del resto, come è stato giustamente sottolineato dai colleghi Bellomo Besate e da altri anche in questa legge e per la sua gestione si sono previsti strumenti e Commissioni anche non previsti dalla legge n. 153 come il Comitato tecnico regionale ecc., attraverso i quali si è voluto istituzionalizzare la presenza delle organizzazioni professionali e delle varie componenti di questo Consiglio per sollecitare la loro partecipazione alla sua gestione in materia e competenza che sono proprie della Giunta regionale.
Come potete quindi accusarci di conculcato o leso pluralismo? Quando si affidano una così vasta gamma di compiti e di attribuzioni ai comitati comprensoriali? Non sono proprio i Comitati comprensoriali il più autentico specchio del pluralismo politico esistente nella nostra Regione? Certo, concordo con il collega Martini quando afferma che le attribuzioni potevano essere anche più ampie ed organiche.
Il primo testo della Giunta andava proprio in quella direzione nel senso che attribuiva ai Comprensori ed alle Comunità Montane l'intera gestione della legge e dei finanziamenti, ma quella scelta è stata contestata e respinta in primo luogo dal Gruppo della D.C.
Del resto, a parte le posizioni personali dei colleghi Oberto e Martini, se non erro fu proprio il collega Bianchi a sollevare per primo obiezioni e perplessità di carattere istituzionale oltre che politico nei confronti della scelta iniziale della Giunta.



(Interruzione dai banchi della D.C.)



FERRARIS Bruno, Assessore all'agricoltura e foreste

E si trattò di obiezioni non prive di fondamento, tant'è che sono state accolte.
In ogni caso resta il fatto saliente che ai Comprensori ed alle Comunità montane vengono affidati compiti decisionali quali l'approvazione dei piani di sviluppo aziendali od interaziendali e quelli relativi alla predisposizione dei programmi per la formazione professionale e della socio informazione ecc.
Il che non è certo poca cosa, stante la particolare configurazione istituzionale dei nostri Comprensori.
Credo di avere così esaurito il mio compito che era sostanzialmente quello di rispondere alle obiezioni principali emerse nel corso del dibattito e di evidenziare ulteriormente, dopo che ciò era già stato fatto egregiamente dai compagni Besate e Bellomo, le scelte e la linea sulla quale si era mossa la Giunta nella stesura del proprio disegno di legge.
Per quanto riguarda il problema del ritardo, certo, questo esiste ed è grave per l'agricoltura e per l'economia del nostro Paese, ma la responsabilità del ritardo appartiene fondamentalmente al Governo o se volete al Governo ed al Parlamento nazionale.
Per quanto riguarda le Regioni ed in particolare la nostra Regione, se un certo ritardo pure è stato accumulato, di questo ritardo però non si pu fare carico all'attuale Giunta regionale.
La legge n. 153 di recepimento delle direttive venne approvata nel mese di maggio 1975.



FRANZI Piero

Copiandola da quella dell'Emilia.



FERRARIS Bruno, Assessore all'agricoltura e foreste

L'attuale Giunta non ha potuto occuparsene che nei mesi di ottobre novembre, a fine gennaio aveva già approvato un proprio testo che trasmesso al Consiglio all'inizio di febbraio avrebbe potuto e dovuto essere discusso ed approvato dal Consiglio regionale entro luglio.
Se si considera che i primi finanziamenti ci sono stati erogati nel corso del mese di ottobre, la nostra Regione avrebbe potuto benissimo trovarsi del tutto attrezzata molto prima, se a luglio il Consiglio nella sua sovranità non avesse deciso diversamente.
Infine a settembre si è voluto nuovamente rinviare per integrare il testo con le norme di attuazione della IV direttiva per la quale almeno arriviamo così più che puntuali.
Altra questione sollevata da più parti è quella relativa all'atteggiamento del Governo. In merito considero più che corrette le affermazioni del Presidente della III Commissione.
Per quanto ci riguarda noi riteniamo che le Regioni e la nostra Regione non possa e non debba chinare il capo e rinunciare a priori alle proprie competenze costituzionali.
Vedremo come si comporterà il Governo, respingerà o rinvierà questo testo, come ha già fatto per le altre due Regioni che ci hanno preceduto? O, stante la nuova situazione politica, il Governo si deciderà ad apporre il proprio visto e questa diventerà la prima legge approvata.
In una recente riunione tra Assessori si è scelta la linea della non abdicazione legislativa, ma semmai quella amministrativa, nel senso che di fronte ad ulteriori rinvii, mentre ogni Regione valuterà se ricorrere alla Corte Costituzionale o meno, è pur sempre possibile porre in attuazione la legge n. 153 per via amministrativa con semplice delibera della Giunta.
Intanto sono in corso iniziative parlamentari per la modifica della 153 infine nel quadro della 382 sarà forse possibile recuperare le prerogative conculcate dalla 153.
Insomma, senza fasciarsi la testa prima che questa ci sia stata rotta esiste una via dignitosa per uscire in modo dignitoso da una simile situazione, senza rinunciare a quelle che sono le prerogative regionali.
Intanto i nostri uffici stanno predisponendo le istruzioni e la modulistica necessaria, appena conosceremo le decisioni del Governo decideremo l'atteggiamento che riterremo più giusto e più dignitoso.
In ogni caso, volendo, potremo dare concreta applicazione alle quattro direttive così come sono state recepite nell'ordinamento legislativo del nostro Paese.
Con quanto sono venuto dicendo, credo di aver almeno in parte tranquillizzato quanti, molto giustamente, hanno espresso le proprie preoccupazioni in ordine al problema dei tempi, dei ritardi e sottolineato l'esigenza di riuscire a spendere bene e presto i soldi che già ci sono stati accreditati e quelli che dovranno esserci accreditati nei prossimi mesi.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SANLORENZO


Argomento:

Sul programma dei lavori


PRESIDENTE

Per prima cosa dobbiamo decidere come organizzare i nostri lavori stamane e oggi pomeriggio: abbiamo di fronte una serie di votazioni e di dibattiti relativi agli emendamenti presentati (che sono 32) e se ve ne fossero altri sarebbe bene che pervenissero alla Presidenza prima di iniziare l'esame dei singoli articoli. Gli articoli da votare sono 66.
La mia proposta è di concludere la seduta del mattino adesso, con alcune comunicazioni di un certo interesse che occupano pochi minuti e di riprendere i lavori oggi pomeriggio alle ore 15 precise e di lavorare continuamente (ma questo vuol dire con una presenza in aula di tutti i Consiglieri) fino alle ore 19, come mi è stato richiesto dalla Giunta regionale, stante una serie d'impegni di vario genere. Nelle quattro ore che abbiamo a disposizione si può anche ipotizzare che la legge passi, se invece non passasse, vaglieremo alle ore 19 il comportamento di tutto il Consiglio, secondo le varie esigenze e le richieste che mi sono state fatte.


Argomento: Informazione

Sulle trasmissioni televisive regionali


PRESIDENTE

Le comunicazioni che vorrei fare sono queste. Il Presidente della Giunta ed il Presidente del Consiglio hanno ricevuto una lettera del Comitato regionale per il servizio radiotelevisivo, il quale è stato informato dal direttore della sede Rai di Torino, dr. Ugo Zatterin, che le trasmissioni radiofoniche regionali, il cui inizio è previsto per il 29 del mese corrente, avranno la durata non più di due ore, come era stato inizialmente stabilito, né di un'ora e trenta, come era stato successivamente rettificato, ma semplicemente di 30 minuti, fra le ore 14 e le 14,30.
Vi leggo il testo della lettera: "Nel dare loro comunicazione il Comitato ritiene doveroso attirare la loro attenzione sulla gravità di una decisione che, pur riguardando le Regioni, non è stata concordata con esse e neppure comunicata nella debita forma dal Consiglio di amministrazione dell'Ente radiotelevisivo. Dopo i successivi rinvii dell'inizio di dette trasmissioni radiofoniche, l'attuale riduzione di esse ad un'irrisoria durata di mezz'ora pone nuovamente e più urgentemente il problema di un corretto rapporto fra l'Ente radiotelevisivo e la Regione secondo la lettera e lo spirito della legge di riforma che vengono entrambi violati.
Non possono sfuggire altre conseguenze di questo arbitrario ed unilaterale comportamento dell'Ente, mentre si lascia via libera ad ogni spregio di leggi vigenti o, nella carenza di un'adeguata regolamentazione al moltiplicarsi di emissioni radiotelevisive concorrenti a quelle della Rai, si limita e quasi si vanifica il diritto della Regione all'uso del mezzo radiotelevisivo ridicolizzando da un lato l'asserita volontà di decentramento e dall'altro recando danni forse irreversibili al sistema delle telecomunicazioni pubbliche.
Un'altra grave conseguenza negativa va messa in evidenza: riducendo la durata delle trasmissioni, si riduce automaticamente lo spazio riservato al diritto di accesso che è proporzionale alla durata delle trasmissioni stesse.
La motivazione addotta per giustificare la limitazione a 30 minuti delle trasmissioni radiofoniche regionali pare essere quella di non voler privilegiare alcune Regioni tecnicamente meglio attrezzate rispetto ad altre; ma l'apparente equità di tale argomentazione si rivela pretestuosa ove si consideri: a) che le attrezzature esistenti sono in grado di soddisfare già oggi fra il 70 e l'80% dell'utenza nazionale b) che l'orientamento politicamente più corretto ed in armonia con la legge di riforma è quello di attuare subito, dovunque si possa l'iniziativa regionale per evitare che la Regione resti muta ed estranea proprio nel momento in cui qualsiasi studente liceale può liberamente fondare una propria emittente, in attesa che potenti oligopoli privati subentrino ai pionieri dilettanti per creare un nuovo e più grave problema della libera informazione in Italia.
Per tutte queste ragioni il Comitato regionale chiede che il Consiglio regionale si esprima sull'opportunità di esercitare la necessaria pressione sugli organi direttivi della Rai, interessando in pari tempo la Commissione parlamentare per l'indirizzo ed il controllo delle trasmissioni radiotelevisive, affinché abbia termine l'attuale insostenibile situazione di unilaterale ed incontrollabile gestione centralizzata dello spazio radiotelevisivo spettante alla Regione.
Il Comitato regionale propone altresì di sensibilizzare a tale proposito anche il Comitato di coordinamento delle Regioni italiane.
Al di là dell'episodio che ha dato occasione a questa lettera resta aperto il problema politico di un accordo non solamente nominalistico fra Regione ed Ente radiotelevisivo.
Restando a disposizione per ulteriori chiarimenti, con i migliori saluti, ecc. ecc.".
Ho voluto dare notizia della lettera che di per sé è già un atto ed una presa di posizione; naturalmente consegnerò il testo della lettera ai singoli Gruppi. E' evidente che nel corso della giornata troveremo modo di tenere una riunione dei Capigruppo per decidere l'elenco dei punti da mettere all'ordine del giorno della prossima seduta e per esaminare eventualmente anche questa questione, ma intanto ho voluto darne notizia perché di per sé la lettera ha una sua rilevanza politica.


Argomento: Assistenza sanitaria (prevenzione - cura - riabilitazione)

Sulla riunione concernente il problema della droga


PRESIDENTE

Desidero inoltre comunicare che si è svolta stamattina presso la Corte d'Appello, su invito del Consigliere dirigente la Pretura, dr. Brunetti una riunione a cui hanno partecipato il Presidente della Giunta, il sottoscritto, il Sindaco della città di Torino, il Questore di Torino autorità dell'Arma dei Carabinieri e della Pubblica Sicurezza, medici ed esperti.
Durante l'incontro sono stati esaminati, più in dettaglio, alcuni problemi inerenti all'applicazione della legge antidroga nell'area di Torino.
La riunione fa seguito al vertice che si era tenuto il 29 ottobre 1976 per l'esame di alcuni argomenti di interesse statale e regionale per approfondire la conoscenza e formulare suggerimenti e per una più efficace lotta contro il traffico della droga, per l'assistenza in generale e per l'assistenza sociale con maggiore riguardo alla tutela minorile.
Nella riunione di questa mattina è stata ribadita la necessità di un'azione preventiva, correttiva e sanitaria nei confronti dei tossicomani e di repressione nei confronti dei grandi trafficanti del commercio della droga. Questi tre settori di intervento saranno messi a punto in riunioni distinte, in sede regionale per quanto riguarda l'aspetto medico-sanitario ed in sede di coordinamento di iniziative concernenti l'intervento di autorità di Pubblica Sicurezza, per quanto riguarda la repressione dei grandi spacciatori ed in sede di Commissione regionale antidroga per quanto concerne l'azione preventiva e culturale da portare avanti in stretto collegamento con gli organi di gestione della scuola


Argomento: Cultura: argomenti non sopra specificati

Sulla proiezione del film "L'Agnese va a morire"


PRESIDENTE

L'ultima comunicazione è la seguente: lunedì, alle ore 21, verrà proiettato in anteprima al Teatro Regio il film "L 'Agnese va a morire". La serata è organizzata dalla Regione Piemonte e dal Comune di Torino, in collaborazione con il Comitato della Resistenza, la Consulta femminile, il Comitato regionale di coordinamento per gli aiuti del Friuli ed il giornale "La Stampa".
Il ricavato dello spettacolo sarà devoluto alle popolazioni del Friuli a dimostrazione della costante solidarietà piemontese.
La manifestazione è dedicata a tutte le donne friulane, al loro coraggio ed ai loro sacrifici e vuole rendere omaggio alla forza d'animo delle donne che in ogni tempo hanno lottato non solo per le loro famiglie ma per l'intera società nei momenti più drammatici della nostra storia: ieri nella Resistenza, oggi nel Friuli.
Tutti i Consiglieri sono invitati a questa grande manifestazione popolare.
Queste sono le comunicazioni.
Se non vi sono obiezioni riprenderemo i lavori alle ore 15 per la votazione degli articoli della legge e per l'esame degli emendamenti.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 13)



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