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Dettaglio seduta n.79 del 28/10/76 - Legislatura n. II - Sedute dal 16 giugno 1975 al 8 giugno 1980

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SANLORENZO


Argomento:

Ordine del giorno della seduta


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
L'ordine del giorno, che i signori Consiglieri dovrebbero aver ricevuto, reca: 1) Approvazione verbali precedenti sedute 2) Comunicazioni del Presidente 3) Proseguimento dibattito su relazione della Giunta regionale sulla situazione economica nazionale e il possibile ruolo della Regione in riferimento al piano di sviluppo 4) Nomine RAI-TV 5) Proposta di modifica allo Statuto regionale.


Argomento:

Approvazione verbali precedenti sedute


PRESIDENTE

Il punto primo dell'ordine del giorno reca: "Approvazione verbali precedenti sedute".
Sono stati inviati per posta ai singoli Consiglieri, unitamente all'avviso di convocazione del Consiglio regionale, i processi verbali delle adunanze del 20 ottobre. Se non vi sono osservazioni, li consideriamo approvati.


Argomento:

Comunicazioni del Presidente


PRESIDENTE

Passiamo al punto secondo dell' ordine del giorno: "Comunicazioni del Presidente".


Argomento:

a) Congedi


PRESIDENTE

Hanno chiesto congedo i Consiglieri Cardinali, Fonio, Alberton Ariotti, Franzi e Vecchione.


Argomento:

b) Distribuzione ai Consiglieri dell'elenco dei progetti di legge non licenziati dalle precedenti Commissioni ed assegnati all'esame delle nuove Commissioni


PRESIDENTE

E' stato distribuito in data odierna ai Consiglieri l'elenco dei progetti di legge non licenziati dalle precedenti Commissioni ed assegnati all'esame delle nuove Commissioni, che, come sapete, sono state insediate ed hanno ricevuto l'assegnazione dei documenti da esaminare. Riferirò in seguito sui problemi relativi alla fase di trapasso.


Argomento:

c) Presentazione ed assegnazione progetti di legge


PRESIDENTE

Sono stati presentati i seguenti progetti di legge: Disegno di legge n. 133: "Integrazione del fondo speciale per gli asili-nido, di cui alla legge 6 dicembre 1971, n. 1044, per l'anno 1976" presentato dalla Giunta regionale in data 20 ottobre 1976 ed assegnato alla I Commissione in data 22 ottobre '76 Proposta di legge n. 134: "Norme per il conferimento di incarichi specifici ai sensi dell'art. 81, 4° e 5° comma dello Statuto", presentata dai Consiglieri Paganelli, Bianchi, Chiabrando, Colombino, Petrini Soldano, Vietti in data 20 ottobre 1976 ed assegnata alla I Commissione in data 22 ottobre 1976 Proposta di legge n. 135: "Modifiche all'art. 3 della legge regionale 4/6/1975 n. 43", presentata dai Consiglieri Chiabrando, Martini, Menozzi Lombardi, Franzi, Colombino, Cerchio in data 22 ottobre '76 ed assegnata alla II Commissione in data 26 ottobre 1976.


Argomento:

d) Apposizione visto Commissario del Governo


PRESIDENTE

Il Commissario del Governo ha apposto il visto: alla legge regionale 16/9/1976: "Provvedimenti straordinari in materia di contributi in conto interesse per l'esecuzione di opere pubbliche da parte di Enti locali" alla legge regionale 28/9/1976: "Modificazioni alla legge regionale 6/5/1974 n. 13 e rifinanziamento di alcuni interventi" alla legge regionale 28/9/1976: "Delimitazione della zona montana omogenea n. 43, Alta Valle Elvo; inserimento del Comune di Magnano".


Argomento: Consiglio, organizzazione e funzioni

e) Decisioni scaturite dalla riunione dei nuovi Presidenti e Vice Presidenti di Commissione


PRESIDENTE

Desidero informare ora il Consiglio sui risultati di una riunione, che ritengo importante, tenutasi lunedì, presenti i Presidenti ed i Vice Presidenti di Commissione, per esaminare i problemi connessi alla fase di trapasso dei poteri dalle vecchie alle nuove Commissioni.
In tale sede sono state prese alcune decisioni relative al funzionamento degli organi regionali, e non solo delle Commissioni, di cui informo oggi tutti i Consiglieri.
Innanzitutto - e su questa questione hanno espresso parere favorevole anche i Capigruppo - è stato deciso di organizzare settimanalmente i lavori dei diversi organi nel modo seguente, tenendo conto di proposte del tutto nuove e di prassi ormai consolidate e che si adeguano ai desideri dei vari organi della Regione: lunedì: riunione, per tutta la giornata se necessario, della I Commissione martedì: riunioni di Giunta, dell'Ufficio di Presidenza e dei Capigruppo mercoledì: riunioni della II e IV Commissione giovedì: Consiglio regionale venerdì: riunioni della V e III Commissione.
Questa distribuzione delle sedute di Commissione nei vari giorni della settimana cerca di evitare che in una stessa giornata si riuniscano due Commissioni delle quali fanno parte Consiglieri appartenenti ad entrambe.
Ciò permetterà, più in generale, ad ogni Commissione di disporne di un giorno intero ogni settimana per le riunioni, ai Consiglieri di conoscere preventivamente i loro impegni settimanali, al bilancio del Consiglio di risparmiare in telegrammi di convocazione, una spesa già attualmente molto rilevante e che lo sarebbe ancor più dopo i recenti aumenti.
Infatti, l'altra decisione assunta è che le Commissioni si intendono automaticamente convocate per i giorni fissati, mentre l'ordine del giorno della seduta successiva viene deciso al termine della precedente. Inoltre nelle giornate di Consiglio verranno affisse in bacheca le convocazioni delle Commissioni con relativi ordini del giorno, affinché tutti i Consiglieri possano esserne informati. Si provvederà ad informare per telefono soltanto coloro che, per congedo legittimo o per motivi eccezionali, non fossero stati presenti a quella seduta di Commissione. Si risparmierà così, in spese per telegrammi e lettere, centinaia di migliaia di lire ogni volta.
Queste decisioni, insieme ad altre che l'Ufficio di Presidenza sta mettendo a punto, si propongono di dar corso ad una politica di risparmi nelle spese del Consiglio, che, pur non incidendo sulla funzionalità, sulla legittimità ed anche sulla correttezza regolamentare, tenga conto della situazione economica nazionale che tutti purtroppo ben conosciamo.


Argomento:

f) Prossima riunione del Consiglio


PRESIDENTE

Comunico anche che la riunione dello scorso venerdì dei Capigruppo ha portato, tra l'altro, alla decisione che il Consiglio si riunisca nuovamente il giorno 11 ed eventualmente il 12 novembre, per esaminare la legge sulle direttive comunitarie, già licenziata dalla Commissione.


Argomento: Consulte, commissioni, comitati ed altri organi collegiali

g) Integrazione Commissione Biblioteca


PRESIDENTE

Informo, infine, che, sentiti i Capigruppo, che hanno demandato la decisione all'Ufficio di Presidenza, il Consigliere Benzi è stato prescelto per sostituire il Consigliere Zanone nella Commissione di vigilanza sulla Biblioteca.
Le mie comunicazioni sono così terminate. Chiede di parlare il Consigliere Oberto. Ne ha facoltà.



OBERTO Gianni

Sono perfettamente d'accordo che si instauri il regime di economia indicato, perché, a parte il disturbo del recapito notturno, c'era veramente da allibire nel ricevere telegrammi di oltre cento parole.
Vorrei dare un altro suggerimento, sempre a fini di economia: nei nostri stampati, che sono numerosi, del che non vi è se non da compiacersi perché è la riprova che si produce, non sarebbe male utilizzare entrambe le facciate di ogni foglio. Stiamo andando verso tempi veramente molto delicati e molto difficili ed anche questo risparmio può avere la sua importanza.
Nulla da eccepire sulla concisione dei processi verbali delle sedute, e approvo senza rilievi quello che è stato presentato: vorrei però cogliere l'occasione, signor Presidente, per dire a lei, al Signor Presidente della Giunta, a chi redige praticamente la rivista che invece si fa eccessiva economia non tanto di nomi, perché i nomi vengono citati, quanto delle argomentazioni dei Consiglieri che intervengono. Per esempio, in merito al problema della scuola si citano per essere intervenuti la Signorina Soldano e il Consigliere Oberto, senza però precisare che cosa essi abbiano detto.
E' vero che gli atti ufficiali daranno poi contezza di tutta la discussione fatta, riporteranno tutto il discorso. Ma il mezzo divulgativo e io lo intendo come informativo, cioè come compito specifico - dovrebbe assolvere anche a questa funzione: di accennare, per lo meno, se gli intervenuti hanno recato un contributo positivo, giudicando valida la legge, o se hanno dissentito dalla sua approvazione, di modo che il lettore sia praticamente e sostanzialmente informato. E' un approfondimento che non dovrebbe portar via molto tempo e risponderebbe meglio, forse, ad una esigenza di completezza di informazione.
Dico questo anche perché ho potuto constatare che la rivista della Regione Emilia-Romagna, di cui sono un attento e fedele lettore, dà, in riassunto, larghissima notizia degli interventi di tutti i Consiglieri, di maggioranza come di minoranza, di modo che chi vuol tenersi al corrente di quello che accade non ha che da seguire la rivista ed è aggiornato veramente e sostanzialmente su tutto. E' pur vero che noi in Piemonte abbiamo la fortuna di avere alle spalle una equipe di giornalisti piemontesi e torinesi che ci informano almeno il giorno prima su quelle che saranno le comunicazioni che il signor Presidente del Consiglio, il Signor Presidente della Giunta ci faranno, ma in definitiva la pubblicazione su un documento ufficiale forse avrebbe un senso ed un significato anche diversi.



PRESIDENTE

Chiede di parlare il Consigliere Rossi. Ne ha facoltà.



ROSSI Luciano

Penso che, dato il gran numero di assenti, sarà opportuno sciupare un po' di carta, se mai utilizzando entrambe le facciate, come suggerisce il Consigliere Oberto per motivi di economia, per far giungere a tutti i Colleghi il testo delle comunicazioni che lei, signor Presidente, ha fatto sulle decisioni prese nella riunione.



PRESIDENTE

Porterò la raccomandazione del Consigliere Oberto all'attenzione del Comitato di redazione della rivista alla sua prima riunione. Mi astengo però dall'aprire ora una discussione su tutta la questione della stampa di informazione, per non sottrarre tempo al dibattito in cui siamo impegnati.
Accolgo senz'altro il suggerimento del Consigliere Rossi e sarà mia cura far pervenire a tutti i Consiglieri il testo delle comunicazioni che ho precedentemente fatto, che concernono anche un nuovo modo di vivere di tutti gli organi della Regione al fine di realizzare il maggior risparmio possibile.


Argomento: Problemi generali - Problemi istituzionali - Rapporti con lo Stato:argomenti non sopra specificati

Comunicazione del Presidente della Giunta regionale concernente il convegno di Roma sui rapporti Stato-Enti locali


PRESIDENTE

Desidera ora prendere la parola per una comunicazione il Presidente della Giunta. Ne ha facoltà.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Signori Consiglieri, il giorno 21 ottobre si è svolto a Roma un incontro fra la Commissione parlamentare per le questioni regionali presieduta dall'on. Fanti, e tutti i Presidenti o loro rappresentanti delle Giunte regionali. L'incontro aveva per scopi, anzitutto una presa di contatto fra i Presidenti delle Giunte ed i parlamentari che compongono la Commissione, fra i quali vi sono autorevoli personalità, come l'on.
Bassetti, l'on. Aniasi, di provenienza regionale e delle autonomie locali.
Dopo il 20 giugno la composizione della Commissione si è infatti modificata profondamente, ed ora la Commissione è prevalentemente formata da parlamentari che hanno esperienza diretta di amministrazioni locali.
L'incontro si è snodato sul tema del rilancio delle Regioni incentrandosi infine sull'annoso tema della 382. Desidero pertanto ragguagliare il Consiglio su come effettivamente stiano le cose per quanto riguarda il rinnovo della delega per la legge 382, vecchio tema, conosciuto ormai credo da tutti in modo approfondito.
Il disegno di legge governativo per il rinnovo della delega sta per giungere all'esame del Parlamento, dopo aver superato lo scoglio della Commissione affari costituzionali. Ne è relatore Bassetti. Sono emersi una serie di perplessità e di dubbi nel corso della discussione fra i Presidenti delle Giunte regionali ed i membri della Commissione parlamentare per le questioni regionali, sia in ordine alla volontà politica di portare a conclusione la disputa, se così si può chiamare, tra le Regioni e il Governo, fra le Regioni e lo Stato, sia in merito al tempo previsto nel disegno di legge per il rinnovo della delega.
Non voglio interloquire in questioni ancora all'esame del Parlamento: penso di poter dire, però, che è opinione comune che si andrà oltre i sei mesi, visto che i tempi tecnici indicati nella legge già li superano se si tien conto dei tempi assegnati per i pareri ai Consigli regionali, alla Commissione stessa ed infine al Governo. La tendenza, per quanto contrastata (non vi è unanimità in ordine a questa questione), è pertanto di portare il rinnovo a mesi nove dall'entrata in vigore della legge, il che, se si considera l'iter parlamentare alla Camera e al Senato, se si pon mente a tutto l'ulteriore iter da percorrere per giungere alla promulgazione, alla pubblicazione, all'entrata in vigore, fa collocare nel tardo autunno del 1977 la definizione dell'annosa disputa fra Regioni Stato, Governo.
La discussione è poi proseguita soprattutto sulla effettiva volontà di tutte le forze che debbono comporre il mosaico del trasferimento delle competenze alle Regioni. Perché qui la questione è politica, ma entrano in gioco certe fasce burocratiche che creano difficoltà alla definizione di un quadro che assuma certezza nel rapporto definito delle competenze fra le Regioni e lo Stato. Il Parlamento ha già affrontato al problema in una delle sedute di questa settimana, e mi pare che l'on. Bassetti si sia espresso proprio nella direzione di un rinnovo a più lungo termine. Ma non sarebbe poi tanto questione di scadenze se vi fosse alla base realmente la volontà politica di trasferire: due o tre mesi di differenza non possono certo modificare un quadro storico del nostro Paese, o vanificarlo.
Vi sarà prossimamente un'altra riunione con il Governo, e per esso con il Ministro Morlino. Il Ministro mi ha informato ieri sera della presentazione di un disegno di legge, peraltro già da lui stesso preannunciato nella scorsa primavera, a favore dell'occupazione giovanile: progetto di legge che dovrebbe radicalmente modificare la situazione, a tutti nota, di gravissima disoccupazione nel settore giovanile. Le Regioni sarebbero chiamate ad assumere :n questo quadro un ruolo molto importante che comunque potrà essere meglio precisato nel momento in cui si avvierà l'iter parlamentare in cui le Regioni saranno sentite.
Questo mi correva l'obbligo di dire al Consiglio, esprimendo da parte della Giunta regionale le stesse perplessità che sono state manifestate non soltanto da una certa parte politica ma all'interno stesso dei vari Gruppi politici; presenti nella Commissione parlamentare (fra gli altri, il sen.
Mancino, che era Presidente la Regione Campania) sull'iter della legge che dovrebbe finalmente chiudere la vertenza fra Regioni e Stato.
Nei prossimi giorni, comunque, sapremo quale strada sarà stata imboccata.



PRESIDENTE

Le comunicazioni sono terminate. Qualcuno chiede di parlare in proposito? Per la verità, si potrebbe subito passare alla prosecuzione del dibattito generale sulla situazione economica, inserendo le eventuali osservazioni in merito alle comunicazioni ora date negli interventi che i Consiglieri faranno nel dibattito. Penso sia una ipotesi di lavoro da prendere in considerazione.
Chiede di parlare il Consigliere Martini. Ne ha facoltà.



MARTINI Mario

Il mio intervento non riguarda per la verità le comunicazioni, peraltro importanti, che ci ha fatto il Presidente del Consiglio, che non ho potuto seguire attentamente, ma esaminerò in modo approfondito, quando egli ce lo avrà fatto pervenire, il promemoria che si ripromette di inviarci, del che gli sono molto grato. Verte piuttosto sulle dichiarazioni del Presidente della Giunta.
Penso che le perplessità che egli ha espresso per i ritardi del Governo nei confronti delle Regioni siano condivise da tutte le forze politiche.
Pertanto, sinceramente non capisco proprio a quale forza politica in particolare egli si sia voluto riferire parlando di mancanza di volontà politica.
Ho dato una rapida scorsa alla relazione della Commissione parlamentare sulla 382 ed ho avuto così modo di rendermi conto che effettivamente è una problematica densa, che e stata adeguatamente approfondita, ma che, come tutte le problematiche che vengono approfondite, fa nascere dei problemi collaterali. Capisco che Presidente della Giunta regionale sia preoccupato soprattutto dei rapporti dell'Ente Regione con il Governo centrale, ma è indubbio che la 382 ha una portata molto più vasta, perché si tratta di una ristrutturazione dei livelli amministrativi, all'interno dello Stato, ivi compresi anche i Comuni e le Province. La 382 dovrà pur dire una parola, se non definitiva, di orientamento preciso sui compiti che devono essere riservati alle Province un problema rimasto particolarmente in ombra.
Ritengo pertanto che tutti assieme dobbiamo auspicare che i tempi siano ridotti al minimo. I nove mesi preventivati, che porterebbero alla fine dell'anno prossimo, danno effettivamente un po' la sensazione che siamo ancora lontani da conclusioni. C'è da augurarsi che non si tratti di un accantonamento dovuto al fatto che ci sono in questo momento sul tappeto problemi ben più gravi di questo, di natura economica, che potrebbero far passare in secondo piano problemi di carattere istituzionale. E' per indispensabile risolvere anche questi, per porre almeno le premesse alla soluzione di problemi di carattere economico Mi permetto, concludendo questa mia considerazione, di far presente che anche a livello locale ci sono aspettative nei confronti della Giunta regionale innanzitutto e dell'istituto Regione in linea più generale. Gli Enti locali si aspettano che la Regione prenda decisamente posizione per quanto concerne, ad esempio, le procedure di programmazione. Al momento di passare alle elezioni per i comprensori dobbiamo dare a questi la sicurezza che potranno operare nell'ambito di una legge che li valorizza, nel pieno rispetto di quanto previsto dalla legge con la quale si è decisa la loro istituzione; al tempo stesso, i Comuni, ed in modo particolare le Province che da tutto il discorso delle autonomie locali vengono tenute fuori sia a livello governativo che a livello regionale, si chiedono quale indirizzo intenda seguire la Regione in merito alle deleghe agli Enti locali. Nel momento in cui noi auspichiamo una presa di posizione chiara a livello governativo, io ritengo che dovremmo anche operare in modo da dare credibilità regionale, tanto più essendo i problemi concatenati tra di loro, dovremmo cercare tutti insieme di far riguadagnare in credibilità lo Stato e gli enti pubblici, credibilità che quanto avvenuto in questi ultimi tempi non ha certo contribuito a rafforzare.
Mi sono permesso di fare queste considerazioni nella convinzione che la Democrazia Cristiana, per la sua parte, è interessata all'attuazione della legge 382, e, come rappresentante della minoranza in questo Consiglio, per evidenziare una esigenza di chiarezza che la base quotidianamente ribadisce nei confronti dell'istituto regionale.



PRESIDENTE

Il Presidente della Giunta desidera replicare al Consigliere Martini.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Sono molto grato al Consigliere Martini del suo intervento, che mi dà modo di introdurre fin d'ora alcune questioni che mi riservavo di trattare in un momento successivo.
Preciso anzitutto che su questo problema le Regioni non sono affatto schierate in modo ostile di fronte al Governo e allo Stato: le Regioni si sono ritrovate già, attraverso i loro rappresentanti, e si sono pronunciate per un effettivo momento collaborativo nei riguardi del Governo e dello Stato. La loro posizione, in merito al tema in discussione, non è assolutamente di contrapposizione, ma di autentica collaborazione con il Governo e il Parlamento. Ci tengo a dire questo in modo ben chiaro, perch non vorrei lasciare spazio all'equivoco che noi vogliamo svolgere attività negativa proprio nel momento in cui il nostro Paese si trova a dover affrontare il più grosso sforzo istituzionale dei suoi ultimi cent'anni di vita.
Appunto per muoverci in un quadro di maggiore certezza, e nella linea che il Consigliere Martini ha indicato, sarà convocato a Milano, in data non ancora precisata ma che dovrebbe essere attorno al 27-28 gennaio, un convegno fra tutte le Regioni, in cui esse dovranno unitariamente pronunciarsi sui problemi che si sono evidenziati.
Ringrazio ancora il Consigliere Martini, perché mi ha dato occasione con il suo intervento tempestivo e giusto, di accennare fin d'ora in Consiglio ad un argomento assai importante, che mi proponevo di trattare in una delle sedute di novembre. Nel momento in cui avviene una autentica riforma di carattere istituzionale, bisogna ammetterlo, di grossa portata i Comuni e le Province non trovano una loro nuova collocazione storica.
Bisognerà, rispetto a questa problematica, che, avviandoci a portare a maturazione ed a conclusione la vertenza fra Regioni e Stato, fra Regioni e Governo, fissiamo al tempo stesso delle linee atte a dare certezza all'altro quadro , quello dei Comuni, delle Province dei comprensori.
Avrò cura di dare comunicazione più precisa entro il mese di novembre in merito a questo convegno di Milano, promosso da un gruppo di Regioni, a cui dovrebbero partecipare tutte le forze, sia i Consigli che le Giunte per esprimersi rispetto alle problematiche che sono emerse. Già sono state delineate, in un incontro con il Presidente Golfari e con altri Presidenti di Regione, alcune ipotesi di lavoro. Invito il Presidente del Consiglio regionale ad indire una riunione congiunta per verificare, con la partecipazione di tutte le forze politiche, questo quadro, che non è di un partito o dell'altro ma in cui si inseriscono tutte le forze autonomistiche del nostro Paese.


Argomento: Piani pluriennali

Proseguimento dibattito su relazione della Giunta regionale sulla situazione economica nazionale ed il possibile ruolo della Regione in riferimento al Piano di sviluppo


PRESIDENTE

Chiuso questo argomento passiamo al punto terzo dell'ordine del giorno: "Proseguimento dibattito su relazione della Giunta regionale sulla situazione economica nazionale ed il possibile ruolo della Regione in riferimento al Piano di sviluppo".
Premetto che darò la parola ai Consiglieri che si sono iscritti a parlare, alternandoli in rapporto alla loro appartenenza alle varie forze politiche, in modo da rendere più varia ed interessante la discussione.
Chiede di parlare l'avv. Oberto, ne ha facoltà.



OBERTO Gianni

Non vedo l'Assessore Simonelli. Capisco che il discorso è fatto con la Giunta, però la relazione è stata svolta dall'Assessore e certe risposte dovrebbero essere date da lui personalmente.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

L'Assessore aveva in corso un incontro che doveva permettergli di concludere un lavoro urgente. Penso però che potrà essere qui fra breve.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Benzi.



BENZI Germano

Signor Presidente, signori Consiglieri, nel prendere la parola sulla discussione che abbiamo iniziato l'altro giorno in Consiglio, vorrei fare due considerazioni preliminari: innanzi tutto devo dire che li lavoro fatto dall'Assessore Simonelli è senz'altro valido, mentre ritengo debole la parte conclusiva nella quale non suggerisce quasi nulla per uscire da questa situazione e non dice qual è l'atteggiamento che deve tenere la Regione.
Assistiamo poi ad un altro fenomeno: i giornali non sanno nemmeno loro che cosa scrivere e stanno turbando l'opinione pubblica. Lo stesso governo ha preso i provvedimenti senza un piano preordinato, ingenerando nella maggior parte degli operatori economici, nei lavoratori uno sgomento che forse non abbiamo mai riscontrato in Italia, anche perché secondo noi bisognava fare un piano globale da applicarsi rigidamente e anche molto in fretta.
Il nostro è un paese in cui tutti rivendicano qualche cosa, ma dove purtroppo, pochi lavorano, dove nessuno vuole pagare i servizi pubblici dove si sono perse ore di lavoro per scioperi, per astensioni, ponti festività e dove si va alla ricerca di quei miliardi che abbiamo sperperato in questi anni. All'estero abbiamo perso ogni credibilità: 1) per l'inflazione provocata da un eccesso di spesa governativa; 2) per la proliferazione di un'inutile, parassitaria burocrazia; 3) per la mancanza di incentivi a produrre e a lavorare; 4) per l'inefficienza di un'industria passata in buona parte in mano governativa, il che vuol dire un regime di spreco.
Il governo, come al solito, ha improvvisato; fino a due mesi fa la crisi era quasi superata e il peggio era passato, ma improvvisamente, al ritorno dalle ferie, ci si accorge che non è vero niente, che l'Italia è in crisi completa e stiamo per fare bancarotta. Allora si fa un piano per aiutare le industrie, si dice, perché possono dare una certa possibilità di lavoro. Ma quali industrie si vogliono aiutare? In che modo? L'industria che si vuole aiutare è quella solita che in questi anni ha portato a situazione quasi insostenibile l'economia italiana e uno dei provvedimenti più discutibili, secondo me, è quello di aver messo la supertassa del 50 sulla cedolare che da anni non dà alcun utile, per poter incassare dai 20 ai 30 miliardi, invece la borsa, e cioè i capitali di queste aziende hanno perso in otto giorni circa 500 miliardi. Se con questi provvedimenti noi crediamo di sanare qualche cosa, siamo veramente dei cattivi medici ed è molto più facile che queste industrie vadano al camposanto piuttosto che guarire.
I provvedimenti che il governo ha preso in maniera drastica (e non ha ancora finito) non sono nemmeno una novità: noi abbiamo già subito una prima stretta di freni nel 1972 con il governo Andreotti, nel 1973 e nel 1974 col governo Rumor, ma tutti questi tentativi sono falliti perché il governo ha dimostrato la sua incapacità ad arginare la crisi dello Stato italiano.
Se il denaro che vogliamo prelevare servirà per dare dei soldi alla Montedison (di cui abbiamo visto le manovre sui giornali in questi giorni non vuole nemmeno pagare gli stipendi) ciò vuol dire che continueremo a fare degli sperperi per del capitalismo assistenziale e per la borghesia di stato.
I sindacati stanno giocando un grosso ruolo, pericoloso per tutti anche per loro. Diamo atto che i sindacati hanno operato per risolvere situazioni di sofferenza e di ingiustizia; hanno avuto il consenso della base operaia e di gran parte dell'opinione pubblica; hanno suscitato la spinta partecipativa di grandi masse; hanno migliorato realmente le condizioni di lavoro e di vita degli operai. La linea economica dei sindacati ha avuto anche un pesante riflesso negativo, si sono superate le risorse nazionali delle aziende, si sono create sperequazioni di trattamento tra aziende, e settori rendendo più difficile la posizione dei disoccupati, dei sottoccupati, dei giovani, dei pensionati. Il costo delle trattative sindacali aventi per arma lo sciopero è troppo caro per un paese povero come il nostro.
A questo proposito voglio leggervi una lettera pervenuta in questi giorni ad alcune aziende della zona di Milano in data 13 ottobre: "Spett.le Ditta, i lavoratori, unitamente alla FLM di zona, riuniti in assemblea il giorno 12 ottobre, richiedono un urgente incontro con la direzione per trattare i seguenti punti: a) riconoscimento dello SMAL per soluzione ambiente lavoro b) mensa c) adeguamento di indennità giornaliera d) qualifiche e) verifica inquadramento unico f) salario. Richiesta di L. 25.000 mensili da ripartire nei seguenti istituti: premio feriale premio di produzione terzo elemento in cifra perequativa" Non voglio far commenti, ma se in questi momenti, in cui tutte le aziende sono in condizioni difficili, chiediamo nuovi aumenti, quando non sappiamo ancora quali aumenti faranno le aziende molte delle quali in questi giorni rifiutano gli ordini perché non sanno quali prezzi dovranno fissare, si rischia di andare a fondo.
Uno dei provvedimenti che più colpisce il Piemonte è quello della benzina e l'una tantum. Tre anni fa il governo aveva assicurato che l'una tantum non ci sarebbe mai più stata, ed a quell'epoca (da discorsi fatti con i responsabili dell'ACI) ha dato questi risultati: nel Nord Italia hanno pagato l'una tantum il 70%; nel Sud l'hanno pagata solo il 30%.
Quando il governo prende dei provvedimenti, deve poi anche essere in grado di incassare i soldi; bastava fare dei tagliandi di colore diverso da applicare sulle macchine e tutti li vedevano, invece il governo continua imperterrito a fare gli stessi errori che ha già fatto.
Per quanto riguarda la benzina, non passeranno molti mesi che avremo una minore produzione di auto, avremo un minore lavoro quindi non nelle grandi industrie, ma nella piccola e media industria che lavora nell'indotto torinese, quindi avremo un aumento di Cassa integrazione.
L'Assessore Simonelli parla della Finanziaria regionale come di una forza dirompente, ma io vorrei sapere con quali mezzi effettivi potrà far fronte a tutto. Forse qualche volta parliamo della Finanziaria regionale per dire che quando ci sarà tutto andrà a posto, ma è ora che venga veramente costituita. Era stata annunciata dalla vecchia Giunta, la nuova Giunta l'ha ripresa e mi ricordo una discussione fra l'on Libertini ed il rappresentante dei Consiglieri repubblicani; quest'ultimo diceva "non riuscirai in sei mesi a fare questo" e l'altro gli rispondeva "in sei mesi faremo tutto". E' passato un anno, ma la Finanziaria è solo uno fra i tanti titoli che noi abbiamo nella nostra regione.
Un'altra cosa che di tanto in tanto viene agitata sotto il nostro naso sono le quattro aree industriali. Io vorrei sapere quali lavori sono stati fatti in queste quattro aree, quale denaro abbiamo impegnato, quali industrie hanno chiesto di andare in queste aree e con quanti lavoratori.
Vorrei poi sapere se le quattro aree decolleranno tutte assieme, o una per volta e in questo caso quale sarà la prima. Visto che parliamo di difficoltà economiche, visto che vogliamo che l'industria riprenda un po' di fiato, sarebbe bene che il Consiglio regionale fosse informato dei lavori effettivamente svolti, o se tutto quello che diciamo su queste quattro famose zone sono fantasmi che facciamo correre per il Piemonte di quando in quando.
Un'altra cosa che merita attenzione è che si dice che per ricuperare del denaro dal bilancio della Regione certe leggi non saranno più applicate. Non ho nulla contro i ricuperi, l'unica cosa è che deve essere precisato il motivo per cui certe leggi non vengono più finanziate e il danno che diamo a coloro i quali hanno creduto che la Regione Piemonte applicasse queste leggi e che magari hanno fatto delle spese, hanno impegnato dei capitali. Io non so se questa è una cosa che si può fare.
Quando parliamo del Mezzogiorno sono d'accordo che va aiutato perch una parte della chiave della miseria italiana sta nel Mezzogiorno, ma ho anche sempre sostenuto un'altra tesi e cioè che dobbiamo controllare come vengono spesi i soldi nel Mezzogiorno: nel Mezzogiorno per i posti di lavoro si spende dalle quattro alle cinque volte di più di quanto spendiamo nell'alta Italia. La mia impressione è che si spenda con troppa facilità il denaro che il contribuente italiano ha pagato; basta vedere le strade che hanno costruito dove non passa nessuno. A questo punto bisogna dire che abbiamo mandato dei miliardi al Sud per fare delle opere che non sono certamente produttive.
Forse qualche volta sarebbe opportuno ricordare che il Mezzogiorno lo abbiamo anche in Piemonte, Torino ha sostenuto delle spese fortissime per aiutare della povera gente venuta nel Nord. Noi troppo spesso dimentichiamo che il Piemonte non è solo Torino, Ivrea, Pinerolo, Chivasso, abbiamo delle zone in Piemonte che sono in condizioni tali che non so quando potranno decollare, nonostante gli sforzi che faremo come Regione, perché i mezzi finanziari che abbiamo sono certamente insufficienti.
Per uscire da questa crisi che non è di oggi, affrontata dal governo con mezzi insufficienti, molte volte carpendo la fiducia della gente dobbiamo puntare sul lavoro, accettare le tassazioni che il governo sta mettendo con mano piuttosto pesante su tutti e aumentare (mi spiace che non ci sia Bajardi) le tariffe dei servizi pubblici. Quando pensiamo che a Roma il tram costa ancora 50 lire e poi hanno 4/5000 miliardi di deficit, è vergognoso vedere amministrare una città in questo modo. Da anni si parla di caccia agli evasori fiscali, tutti i Ministri interessati hanno sempre detto che la caccia agli evasori fiscali sarà terribile, mentre gli evasori vivono magnificamente bene, sono gli unici ad avere ammucchiato dei miliardi alle spalle dei lavoratori. Per cui noi abbiamo dei dubbi che questa operazione venga fatta seriamente.
Un'altra cosa che andrebbe affrontata seriamente sono gli enti inutili dieci o quindici anni fa avevamo costituito un Ministero perché facesse piazza pulita degli enti inutili, è stato spazzato via il ministero, ma gli enti inutili prosperano tranquillamente, sono come topi nel formaggio e i partiti stanno zitti perché sono proprio quelli che fanno stare in piedi questi baracconi. Ecco le cose che dobbiamo denunciare.
Una carenza del piano nazionale che si riflette anche sul piano regionale è quella dell'edilizia. Da anni noi sosteniamo che nei momenti di crisi è necessario costruire delle case, abbiamo la manodopera disponibile abbiamo la materia prima, abbiamo una ricerca affannosa di alloggi, invece il governo non punta le sue carte su questo settore, tant'è che quest'anno abbiamo diminuito ancora le poche costruzioni. Io avrei pensato invece che il governo avrebbe puntato sull'edilizia, anche perché si dà lavoro a tutte le industrie che producono per l'edilizia.
Si parla anche di ammodernamento delle aziende. Noi non aspettiamo che il governo faccia un decreto apposta, chi ha un'azienda, se non vuole fallire, deve per forza, costantemente essere alla pari con i tempi. E' chiaro però che se le aziende non hanno utile non sono in grado di provvedere all'ammodernamento e poco alla volta vanno fuori concorrenza con le aziende straniere, questo è il vero pericolo che corriamo oggi in Italia.
Si parla molto anche di riconversione industriale. Gli industriali sanno benissimo dov'è che si guadagna, ma non è facile fare delle cose nuove, avere macchinari nuovi, questo lo può fare la grande azienda, quella che ha miliardi a disposizione, ma normalmente le grosse aziende i miliardi non li investono in queste cose, ma pagano i debiti arretrati. Oggi vi sono delle aziende (EGAM) che stanno pagando i fornitori a un anno e mezzo di distanza, perciò quando avranno i soldi non faranno altro che pagare i debiti che hanno contratto con le banche, con i fornitori, ecc.
Una nazione che dispone di cifre irrisorie per la ricerca scientifica come l'Italia, non può certamente essere all'avanguardia in nessun settore.
Abbiamo una cifra bassissima, ritengo sia la più bassa dei paesi della CEE per la ricerca scientifica ed è per questo motivo che non saremo mai in grado di concorrere con le nazioni più avanzate perché dietro alle spalle abbiamo il vuoto assoluto.
Un'altra cosa che andrebbe forse esaminata è la giungla retributiva.
Noi abbiamo gente che percepisce 12 mensilità più la 13°, qualcuno 13 più la 14°, altri 14 più la 15° e la 16°. Noi non sappiamo oggi in Italia quanto guadagna la gente. E a questo dobbiamo aggiungere le famose liquidazioni. In un momento in cui tutti siamo impressionati dalla stretta creditizia, sappiamo che a Napoli l'acquedotto municipale sta liquidando delle cifre di 140/150 milioni per dipendente. Mi spiace che non siamo nelle condizioni dell'Acquedotto di Napoli, staremmo molto meglio, però mi ricordo che a Torino una banca ad un vice direttore ha dato 117 milioni di liquidazione e un milione e 400.000 lire di pensione al mese. Immaginate quali rischi ha mai affrontato quest'uomo: poteva pungersi un dito con la penna, o scivolare su un gradino. Come è possibile che le cose vadano bene in Italia quando ci sono fenomeni che negli altri Stati non ci sono? Ecco perché non facciamo del vero sindacalismo, ma del corporativismo; c'è gente che sfrutta finché può una situazione, mentre i poveretti che lavorano nelle fabbriche...



ALASIA Giovanni, Assessore ai problemi del lavoro

Non sono certo la CISL, o la CGIL, o la UIL...



BENZI Germano

No, no, sono gli autonomi, ti dò atto che non siete voi. Però il fatto esiste ed è una cosa che offende quelli che guadagnano 200.000 lire al mese e che hanno dei figli a carico.



ALASIA Giovanni, Assessore ai problemi del lavoro

C'è sindacalismo e "sindacalismo".



BENZI Germano

Sono d'accordo, sono gli autonomi, te ne do atto.
Un altro male è la burocrazia. Noi abbiamo una burocrazia pletorica in Italia, basta fare il confronto con i paesi vicini a noi, dove la burocrazia è la metà della nostra, con lo stesso numero di abitanti burocrazia purtroppo mal pagata, spesso male attrezzata, che nemmeno volendo può lavorare.
Secondo me bisogna fare dei parametri di occupazione in cui i Comuni le Regioni, le Province, l'INPS, l'INAM abbiano i dipendenti che è giusto che abbiano, ma non delle pletore di gente (vedi il caso Messina) dove lo spazzino è un avvocato che poi subaffitta la scopa. Sono cose inaccettabili e lo Stato che cosa fa per evitarle? Nulla.
Noi non siamo anche d'accordo sulla penalizzazione di quelli che guadagnando più di otto milioni si vedono congelata una parte o tutta la contingenza. Non c'è nessun motivo perché una parte di lavoratori siano puniti, oltre ai dipendenti ci sono dei professionisti che guadagnano di più e che non tocchiamo. Bisognerebbe che la penalizzazione fosse estesa a tutti, oppure a nessuno, ma se viene estesa a tutti è giusto che vengano colpiti anche i pensionati d'oro, coloro che hanno più di 7/800.000 lire di pensione, perché è giusto che tutti paghino quel che è giusto.
Quali rimedi? E' facile fare il medico per chi non lo è; dare dei consigli ad un ammalato è facilissimo, è da vedere però se l'ammalato ne trae giovamento o se va al Creatore.
Tutti diciamo: bisogna esportare di più. Ma come facciamo ad esportare con le restrizioni di credito, con l'aumento del costo del denaro, con la quasi impossibilità a trattare con l'estero? Bisogna che il costo del lavoro sia determinato per poter fare dei prezzi, ma finche abbiamo l'incertezza del costo del lavoro sarà difficile per le aziende italiane intavolare delle trattative per l'esportazione.
Leggevo l'altro giorno sul giornale che si sta chiedendo ai sindacati 500 milioni di lavoro in più per poter produrre di più. Nelle aziende automobilistiche l'anno scorso un operaio italiano ha lavorato 1500 ore (togliendo scioperi, festività, ponti, ecc.), mentre all'estero hanno lavorato 1700 ore. Da qui si comincia a capire la diversità di costo che abbiamo. Ecco perché è necessario che con salario europeo, lavorare in modo europeo. Noi non abbiamo nulla contro gli altri salari, ma queste cose le dicevo già vent'anni fa quando prendevo a paragone non i salari europei, ma quelli americani e dicevo che in Italia bisogna avere gli stessi stipendi le stesse paghe, ma anche lo stesso lavoro, senza lo stesso lavoro è impossibile tenere in piedi le industrie.
Bisogna poi dire che non abbiamo tenuto conto dell'artigianato, lo abbiamo sottovalutato. Sabato ho partecipato ad una riunione degli artigiani: un milione e 300.000 aziende con 4 milioni di dipendenti. Ma questa forza, questa umile forza che di quando in quando andiamo a complimentare dicendo "bravi", in realtà poi la lasciamo dormire. E' vero che il Piemonte ha una legge regionale per i finanziamenti che serve moltissimo, bisogna però fare di più perché se c'è un settore che pu assorbire dei disoccupati è quello artigianale. Bisogna quindi dare una mano a questi lavoratori, bravissimi, che potrebbero contribuire ad uno sviluppo dell'occupazione.
E' chiaro che i provvedimenti che può prendere il Piemonte non possono risolvere una crisi come questa, possono dare qualche sollievo e quindi siamo in obbligo di fare quanto è in noi per aiutare chi può essere aiutato, e una delle fonti è appunto l'artigianato.
Noi da un anno e più abbiamo preso accordi con il SAMIA che avrebbe fatto delle mostre specializzate; in realtà ha fatto quelle di sempre invece bisogna riuscire a fare delle mostre specializzate per l'artigianato, per la piccola e media industria per poterli portare all'estero. Il Comune di Torino questa primavera andrà a Colonia con degli artigiani. E' una gran bella cosa, ma siamo stati preceduti dal Comune. Non è che siamo in gara con il Comune, però queste cose le abbiamo dette e poi non le abbiamo fatte.
Inoltre l'agricoltura ha una grandissima influenza, è necessaria dobbiamo cercare di aiutarla in modo tangibile per la produzione di generi alimentari che oggi vengono a pesare moltissimo sulla spesa delle massaie.
Dell'istruzione professionale abbiamo già parlato molte volte. Sono cose che la Regione può fare.
Un'altra cosa che secondo me andrebbe curata è il controllo sui prezzi dei mercati ortofrutticoli, dell'abbigliamento, degli alimentari. La Regione potrebbe provvedere alla calmierazione per grandi settori, invece lascia fare alle cooperative, ma queste non fanno l'interesse del consumatore, fanno il loro. Perciò sarebbe bene che la Regione studiasse questo campo particolare per potere influire sui prezzi che molte volte non sono prezzi giusti ma superaumentati.
La Regione può fare molto e può veramente difendere coloro che lavorano.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Rossi.



ROSSI Luciano

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, questo dibattito sulla situazione economica, anche se denuncia in aula una certa stanchezza, viene tuttavia ripreso dopo che abbiamo vissuto un'altra giornata di lotta unitaria dei lavoratori piemontesi, ed è giusto che la nostra assemblea regionale comprenda compiutamente quanto le forze del lavoro esprimono.
Milioni di lavoratori in lotta sono una grande cosa.



BIANCHI Adriano

Lo sciopero delle ferrovie è stata una cosa sproporzionata irresponsabile...



ROSSI Luciano

Sono una grande cosa, collega Bianchi. Infatti, quando si va a discutere con i lavoratori, essi avvertono che sarebbe illusorio mettere sotto controllo l'inflazione ricorrendo alla sola manovra fiscale tariffaria, anche se le stesse si rendono necessarie, senza affrontare le ragioni di fondo delle spinte inflazionistiche.
Ecco perché, pur essendoci una grande coscienza ed un altrettanto grande senso di responsabilità, che si estendono sempre più grazie anche all'azione di orientamento del nostro partito, non può esistere una profonda convinzione che i soli provvedimenti presi permettano di affrontare i motivi di fondo delle spinte inflazionistiche che travagliano la società nazionale.
Certo c'è rabbia per il modo come si è attuato l'aumento del prezzo della benzina, ed al riguardo le lotte richiedono che tale aumento venga più articolato evitando di porre tutti i consumatori sullo stesso piano, ma vi è ancora fiducia e speranza che le forze politiche, in modo responsabile, rendano in Parlamento più equi e più efficaci gli stessi provvedimenti presi dal Governo.
L'altro aspetto che emerge da queste lotte è la consapevolezza di come non sia sufficiente la manovra monetaria per garantire un'efficace politica di investimenti, ed il rinnovamento dell'apparato produttivo e delle strutture sociali.
Perché questo avvenga e per vincere la cosiddetta inflazione selvaggia occorre che i sacrifici richiesti fin d'ora, e gli altri che si imporranno non solo siano distribuiti in modo equo tra le varie categorie economiche e sociali, - ma vengano finalizzati urgentemente e correttamente a scelte effettive di sviluppo economico, di programmazione degli investimenti e di allargamento della produzione e dell'occupazione.
Questo è il quesito che hanno posto la classe operaia e le forze più coscienti del Paese, ed è a questo quesito che occorre venga, da parte del Governo e di tutte le forze politiche democratiche, una risposta precisa e responsabile.
I comunisti si sono astenuti sabato scorso alla Camera dei Deputati perché il bilancio dello Stato per il 1977 venisse approvato.
Quel voto richiama la Democrazia Cristiana alla sua responsabilità perché i 4 mila miliardi (quando parla il Ministro Donat-Cattin alla TV non si sa mai se sono 3 mila o 4 mila, ma prendiamo per buona la parola del Presidente del Consiglio) che sono stati recuperati a seguito dei sacrifici richiesti, vengano utilizzati nella direzione giusta.
Ecco allora che il quesito prima ricordato occorre abbia nelle prossime settimane una risposta giusta. Questa risposta la si dovrà dare con efficacia attraverso il piano energetico e quello ferroviario, con la discussione sulla legge per il fondo di riconversione industriale e con il piano agricolo-alimentare. Su questi problemi si misura la capacità del Parlamento, delle forze politiche, del governo.
Il modo come verranno affrontati i provvedimenti che fanno capo a tali questioni, e l'atteggiamento che assumeranno non soltanto i comunisti, ma tutte le forze politiche, potranno contribuire a dare più fiducia e consapevolezza alle forze popolari, le quali vogliono che il Paese superi il punto limite cui è giunta la situazione.
Certo oggi la situazione è diversa, ma per quelli della mia generazione che durante gli scioperi del '42/'43 hanno lottato per la libertà e l'indipendenza nazionale, l'aspirazione era la stessa di oggi.
Qui sta anche la validità del dibattito in quest'aula: il modo come la Regione Piemonte saprà collocarsi attraverso le sue proposizioni verso il Governo ed il Parlamento ed il suo modo di atteggiarsi e di operare sia nel momento contingente che per il prossimo futuro.
Permetteteci perciò di ricordare il documento politico, che unitariamente i rappresentanti della Regione hanno esposto al Presidente Andreotti, nel momento della consultazione nel luglio scorso per la formulazione del programma di Governo.
Alcuni passi di quel documento dicevano: "Il cambiamento da realizzare passa necessariamente attraverso una apertura al Paese e ai poteri di base e il segnale va dato subito, nel programma di Governo e nelle iniziative del Parlamento". Ed ancora il documento politico in questione così si esplicava: "La crisi economica ha messo in evidenza come anche nel campo delle strutture produttive e dell'occupazione, oltreché nei problemi del territorio e dei servizi sociali, le autonomie politiche, per la loro vicinanza alle situazioni specifiche, possono fornire un apporto sia congiunturale che strutturale di importanza determinante. D'altra parte il conseguimento del nuovo assetto istituzionale è strettamente connesso con l'obiettivo di introdurre profonde modifiche negli indirizzi di politica economica e finanziaria".
Faccio solo osservare all'Assessore alla Programmazione e Bilancio che nella sua relazione non è sufficientemente presente questo filo conduttore perché e da questo che le Regioni politicamente sul piano unitario si sono poste nel momento della formazione del governo e del programma e nel modo di atteggiarsi nei confronti del governo.
Abbiamo voluto ricordare i passi più significativi di quanto i rappresentanti delle Regioni hanno esposto unitariamente, nel luglio scorso, al Presidente Andreotti, affinché, nell'affrontare una politica di programmazione economica tesa ad aggredire l'inflazione e a dare finalità ai sacrifici stessi che si richiedono al popolo, il Governo sappia interpretare correttamente l'importanza che assumono le Regioni e tutto il sistema delle autonomie locali per affrontare in modo democratico la gravità della situazione del Paese.
L'opera svolta dalle Regioni a favore del Friuli ha dimostrato, se ancora ce n'era bisogno, come sia indispensabile instaurare rapporti diversi e più produttivi tra Governo nazionale e Governi regionali, tra le varie istanze del potere centrale e quello di base del Paese.
Non è un caso perciò che i rappresentanti delle Regioni, sempre unitariamente, hanno espresso precise richieste al Governo a proposito del disegno di legge sul fondo per la riconversione industriale.
Il collega Alberton (oggi assente ed al quale auguro una pronta guarigione dopo l'intervento che ha dovuto subire), a proposito di quella legge sulla riconversione industriale, ha voluto ricordarci nel suo intervento che essa è più o meno la stessa legge che il Governo Moro aveva proposto nel febbraio scorso, per cui si sarebbe solo perso del tempo prezioso.
Non è colpa nostra se allora la D.C., piuttosto che accogliere la necessità di operare su un piano giusto ed in modo politicamente unitario per affrontare la gravità della situazione, ha preferito la strada delle elezioni.
Il problema centrale ora è di saper riconoscere appieno il significato del voto del 20 giugno e soprattutto saper riconoscere che quell'unità nazionale si impone con maggior forza per l'ulteriore aggravarsi della situazione. Questo la D.C. deve capire; capire questo significa essere coerente con ciò che esprimono le Regioni anche a proposito della legge sulla riconversione industriale. Non si possono fare dei discorsi a livello nazionale con i membri delle Regioni che rappresentano il mosaico politico dell'arco costituzionale per poi dimenticarsene in sede di assemblee a livello regionale. Con questa legge non si tratta soltanto di dar vita a Comitati regionali che permettano di verificare i processi di mobilità da impresa a impresa, ma di facilitare la stessa realizzazione dei piani regionali ai quali si devono riferire per rendere più efficaci i loro interventi a favore della riconversione e della ripresa dell'industria. Non ci possono essere due momenti fra la legge sulla riconversione e il Piano regionale di sviluppo.
Se ciò non si realizzasse, di fatto si escluderebbero le istituzioni politiche di base dalle scelte tendenti a conciliare il modo stesso di produrre e di utilizzare le risorse del Paese, con il pericolo anche di creare una seria frattura fra il potere centrale e le Regioni.
Al fine di recepire la sensibilità delle masse popolari è necessario che anche in questo dibattito, le forze politiche richiamino Governo e Parlamento affinché i provvedimenti economici non solo siano diretti ad intervenire per modificare le strutture, ma non operino in modo da tagliare fuori le istanze di base dello Stato; essi devono anzi responsabilizzarle e far loro capire che possono contribuire a dare consapevolezza alle richieste che la situazione impone.
Così dicasi per il piano agricolo-alimentare.
Egregi colleghi, l'Assessore Simonelli nell'esposizione introduttiva a questo dibattito ricordava come i provvedimenti sin d'ora presi dal Governo tendono più che altro a tamponare la grave situazione finanziaria, mentre occorre invece finalizzare gli interventi per realizzare una più completa utilizzazione degli impianti di produzione e per evitare il determinarsi del pericolo di una grave deflazione.
Di qui la necessità che non si ricada nella politica errata dei due tempi che ci hanno portato alle conseguenze attuali, ma si vada rapidamente ad una politica di interventi programmati per uscire, anche se non sarà facile, dagli aspetti di degradazione cui è giunta la società nazionale.
A questo proposito, occorre definire il più rapidamente possibile il piano di sviluppo che si trova in fase di consultazione, al fine di assolvere a quel ruolo qualificato che si richiede alla Regione e per attuare quei provvedimenti che contribuiscono ad innescare su basi nuove lo sviluppo economico e a garantire la stessa salvaguardia del regime democratico.
Sulla proposta di Piano di sviluppo già altri colleghi hanno parlato sottolineando aspetti tesi a mettere la proposta della Giunta in termini negativi specie per quanto concerne le finalità dirette a garantire l'attuale tasso di occupazione, ed ancora sui progetti che devono avere carattere prioritario.
Posto in questi termini mi pare che al Piano di sviluppo si intenda dare un carattere riduttivo e non lo si collega, specie per quanto concerne il Piemonte, ai provvedimenti cui deve essere finalizzato, sia con la legge di riconversione industriale quanto con i tipi di intervento cui il sistema creditizio dovrebbe essere chiamato ad operare.
Inoltre mi sembra che non sia stato colto l'aspetto essenziale sin d'ora emerso dalle consultazioni con le forze economiche. Tali forze infatti pur chiedendo un approfondimento sulla filosofia e sugli obiettivi del piano, dichiarandosi disponibili a mettere a disposizione della Regione specifici studi, esse hanno sottolineato che il Piano costituisce un punto concreto cui le forze politiche, economiche e sociali, non soltanto sono chiamate a misurarsi, ma dovranno approdare rapidamente se si vuole operare a contribuire ad uscire dalla grave situazione.
Noi comunisti condividiamo queste posizioni, essendo questo in fondo il problema centrale della nostra strategia, in quanto il dibattito aperto non avviene su un documento a scatola chiusa ma è impostato in modo da affrontare i problemi reali.
Questa è l'ambizione cui hanno sempre aspirato i comunisti anche in questo Consiglio, costruire con il confronto con le altre forze democratiche un progetto politico culturale di grande respiro, dotato dei necessari supporti scientifici che guardano al futuro della società regionale per andare in positivo al superamento della crisi ed al risanamento della società e dello Stato.
Se il piano così si interpreta, offre una grande occasione, sia alla classe politica che alle forze economiche e sociali, di essere veramente protagonisti dei processi che tendono al riordinamento della stessa vita produttiva che le forze sane della società vogliono.
Se si opera e se la stessa critica mira a darsi questa strategia allora più facile sarà il processo per pervenire alla definizione delle scelte e alle priorità sui progetti di intervento che il Piano propone.
Questa nostra volontà ideale e di operare non soltanto esalta la Regione in quanto istituzione di base dello Stato, la concezione stessa del vero significato dell'autonomia, ma afferma il primato della politica e stimola le forze politiche ad andare rapidamente a processi unitari sempre più estesi e qualificanti a superare contrasti, che spesso sembrano marginali, rispetto ai reali processi cui dobbiamo rispondere.
In questo senso diventano allora più chiari anche quegli aspetti che già innescano una politica di piano; intendiamo riferirci a cosa deve approdare la prossima entrata in funzione della Finpiemonte e dei Comprensori stessi, al modo come rendere più efficaci le leggi già operanti nel settore dei trasporti, nell'agricoltura per il risanamento ed il recupero del patrimonio edilizio, di vedere in modo nuovo la stessa legge sulle aree attrezzate.
Così dicasi del modo in cui andremo a valutare l'operatività di molte leggi adottate al fine di finalizzare meglio l'utilizzo di certe risorse col piano di sviluppo.
Ciò è necessario e tutti si sono qui dichiarati d'accordo anche perch le spese d'investimento per la promozione di interventi nel settore sociale tesi a dare certezza di continuità, sono giunte ad una tale dimensione rispetto alle reali risorse disponibili a bilancio, che occorre fare il punto e riflettere attentamente. Anche questo lavoro va fatto con uno spirito giusto e che tenda a rivalutare le esperienze fatte senza cadere nel marginalismo o nell'esclusivismo.
Per approdare in questa direzione, occorre che le varie istanze del Consiglio operino con una metodologia in cui le Commissioni che hanno contribuito a dar vita a quelle specifiche leggi che si vogliono riesaminare, garantiscano una valutazione articolata e non solo complessiva.
Operare in tal modo significa non soltanto contribuire ad avere una maggiore consapevolezza sulle scelte prioritarie da farsi con il Piano, ma trovare anche quel giusto rapporto con i provvedimenti che il Governo è chiamato a fare e che il Parlamento dovrà decidere, provvedimenti che certamente influiranno su quelli della nostra Regione, sia a proposito di utilizzo delle risorse sia per gli stessi investimenti.
Colleghi Consiglieri, nella relazione dell'Assessore e così negli interventi svolti è stato sottolineato lo stato in cui ora si trova, in riferimento al dissesto finanziario dei Comuni e anche al mancato ordinamento della finanza regionale.
Su questi problemi molto è già stato detto, vorremmo soltanto ricordare che Governo e Parlamento devono rispondere alle proposte unitarie scaturite dal Convegno dell'ANCI di Viareggio.
Nel dibattito svolto nessuno ha chiesto di dare un colpo di spugna al grande indebitamento degli Enti locali. Infatti, le misure immediate che gli Enti locali chiedono in termini di risorse, vogliono proprio far uscire la finanza locale dal ghetto del settorialismo e gli obiettivi indicati vengono ad inserirsi in un corretto disegno di sviluppo economico e di assetto istituzionale. Basta leggere le relazioni dei dirigenti di tutte le forze politiche a quel convegno.
Al punto in cui siamo giunti però non sono più consentiti rinvii perché, lasciando perdurare i meccanismi attuali, si corre il rischio di perdere ogni prospettiva di riforma della società nazionale.
Certo occorre che gli Enti locali portino avanti una politica di rigore della spesa, rispondendo a problemi di tariffe e di costo dei servizi, sia tecnici sia sociali, per contribuire anche così a vincere certi atteggiamenti corporativistici che esistono in modo particolare nel settore del pubblico impiego.
Tutto questo va visto però nella coerenza di una finanza pubblica unitaria che faccia cessare lo strangolamento cui i Comuni sono sottoposti che modifichi i metodi ed i criteri della riforma tributaria se si vuol vincere la tendenza di chi pensa a soluzioni tese al ripetersi dei vecchi meccanismi di sviluppo. Nel 1972 gli Enti locali avevano 8.500 miliardi di passivo, di cui l'80% rappresentavano spese in conto investimenti per le scuole che lo Stato non faceva, strade, case, ecc. Il resto erano spese correnti. Con il '72 entra in funzione la legge tributaria ed in cinque anni neppure siamo passati a 30 mila miliardi con il meccanismo delle anticipazioni di cassa, con il ritardo nell'approvare o meno i bilanci.
Ecco cos'è stata quella riforma tributaria. E aveva ragione il prof. Grosso quando, nella sede dell'ANCI nazionale, disse al Ministro Preti ed al governo, di fronte al Consiglio nazionale dell'ANCI e dell'UPI, di fronte ai sindaci di tutta Italia: "Questa non è una legge tributaria, questo è un colpo di Stato strisciante che modifica la legge comunale e provinciale che toglie oggi le risorse e domani non metterà più in condizioni gli Enti locali di operare". Questa fu la denuncia del prof. Grosso che tutte le forze politiche (in una certa misura anche la mia parte) non compresero.
Abbiamo imparato quella lezione dopo, ma le cose sono continuate in quella direzione.
Oggi si è aperto un dibattito perché ai Comuni siano ridati alcuni tributi propri. La questione è interessante, però sul piano immediato ai Comuni occorre ben altro che una manciata di soldi, com'è avvenuto nei giorni scorsi per tamponare le falle di alcune Amministrazioni.
Il Governo è impegnato ad applicare l'ordine del giorno votato dalla Camera dei Deputati dieci giorni or sono il quale sancisce: "pagamento dei mutui messi nel Bilancio 1976, aumentare del 25% (se non oltre per adeguarle al tasso di svalutazione della lira) le aliquote tributarie spettanti ai Comuni". Se questi provvedimenti non vengono presi rapidamente, non soltanto i Comuni vanno verso la bancarotta, ma vengono bloccate di fatto molte leggi regionali le quali operano col metodo dei contributi ai Comuni in conto interesse o in conto capitale e si bloccano anche le leggi che danno contributi in campo sociale (assistenza scolastica, assistenza domiciliare, gestione asili nido, medicina scolastica ecc.).
In termini ormai indilazionabili la stessa questione si pone per la finanza regionale in quanto la mancanza di una autonomia e della certezza pluriennale delle risorse disponibili e anche di una legge sulla contabilità statale analoga a quella recentemente emanata per i bilanci regionali, non garantisce non soltanto l'autonomia delle Regioni stesse, ma ostacola l'operatività che devono avere i piani regionali di sviluppo. Si è fatta una legge che tutti attendevamo ma che fa a pugni con la contabilità dello Stato. E allora sul piano tecnico avremo un'altra volta delle profonde contraddizioni nel momento in cui saremo chiamati ad operare.
Scusate il calore di questo intervento, ma penso che bisogna dedicare ogni sforzo per arrivare presto alla definizione del Piano di sviluppo, per fare scelte concrete e ben finalizzate, tracciare un quadro reale delle risorse disponibili, anche attraverso una revisione delle leggi sinora approvate far funzionare presto la Finpiemonte, agire perché i decreti delegati previsti dalla legge 382 (che subiranno un altro slittamento) esprimano sino in fondo il ruolo che devono assolvere le Regioni. Sono d'accordo Signor Presidente, che ci siano dei convegni sulla 382, però abbiamo già materiale a sufficienza per iniziare un dibattito serio ed approfondito in quest'aula, perché lei e i colleghi della Giunta possano andare agli stessi incontri a livello nazionale con una espressione delle forze politiche del Consiglio, ed in questo senso chiedo che si discuta. Bisogna quindi operare perché il Governo ed il Parlamento diano alle Regioni ed agli Enti locali quella riforma finanziaria da tutti auspicata rendendo gli stessi Comuni partecipi alla gestione tributaria e nel prelevamento delle risorse; in questo senso allora si può parlare di autonomia, del più ampio pluralismo e, insieme, della più ampia unità. In questo senso allora anche la nostra Regione potrà contare nella misura necessaria per contribuire a risanare la grave situazione e per creare una direzione politica più unitaria possibile che si basi sull'effettivo contributo delle masse popolari che attendono a breve termine dalle forze politiche risposte ben precise.
Questo è lo spirito che ci anima, questo è il nostro impegno.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bianchi.



BIANCHI Adriano

Chiedo scusa, ma anche se ero temporaneamente fuori ascoltavo la conclusione dell'appassionato intervento del Consigliere Rossi, di cui condivido, apprezzandola, la passione, pur non potendo proprio condividere tutti gli argomenti.
E' stato, questo, uno strano dibattito, signor Presidente e colleghi perché è stato introdotto da una strana relazione; dibattito e relazione aperti su tutto e quindi destinati a concludere, mi si consenta, su nulla.
Comunque, il parlarsi, l'avere occasione di pensare ad alta voce, anche in modo estemporaneo come qui è simpaticamente avvenuto, in momenti drammatici come questo, non è un fatto del tutto negativo, sempre che sappiamo cogliere in modo efficace, sintetico e pertinente gli aspetti positivi o negativi della situazione in cui siamo collocati per finalizzarli davvero là dove almeno le nostre volontà possono incidere.
Non ho né l'autorità, né la competenza, ma non mi proporrei comunque anche se l'avessi, il compito di dare lezioni a Ministri, al Presidente del Consiglio, ponendo, come ogni tanto si è sentito accennare qui, candidature di tipo morale alla sostituzione di chi ha oggi responsabilità tremende da affrontare. Mi sono chiesto quindi, perché questo è anche il mio compito collega Bontempi, che parlerai dopo di me, quali ragioni vere hanno suggerito questo dibattito, al di là delle tante cose dette. Anche noi possiamo fare gli estemporanei sul tema della crisi economica, con le diagnosi sulla situazione italiana.
Vi è una tale pubblicistica, anche convergente nel complesso, che basta essere capaci di sintesi e di raccogliere dati per venire qui e sommergere il pro ed il contro in qualsiasi momento.
Ho resistito, raccogliendo gli interventi di Berlinguer, avendo le fotocopie di quello che dice Amendola in ordine alle colpe, alle crisi alle autocritiche della sinistra, vedendo cosa dice Longo, cogliendo, e ci torneremo, alcune battute inconsapevoli della collega Graglia, che rivelano, insieme, la passione e l'animo della collega, che così lucidamente ha espresso la posizione del suo Gruppo; ho resistito alla tentazione di fare anche noi una sintesi ed una esposizione di questo tipo.
Vi ho rinunciato e non ho scritto un discorso, ho messo giù degli appunti per riuscire ad attenermi direttamente ai tre elementi che credo si possano estrarre da questa situazione e da questo dibattito, esprimendo il nostro giudizio.
Il mio collega Alberton ha già risposto (non è solo un tributo ed un omaggio, oltre agli auguri di oggi) in modo impeccabile, e non contraddetto fin qui nella sostanza, alle impostazioni ed alle scelte di argomenti operate dalla maggioranza nel documento che è andato definendosi, anche questo per strada, costruito tra un prima, un durante ed un dopo la relazione di Simonelli. Mi spiace molto che l'Assessore non ci sia, perch mi riferirò a lui in particolare tra non molto, perché ha avuto, nelle tre fasi, delle esplicitazioni che sono significative e che per me sono divenute conferma definitiva del significato che dovevo attribuire a questo dibattito ed alla sua collocazione in questo momento.
Una lettura un po' attenta dello stesso titolo della relazione fa intendere che si pensa a qualcosa di diverso, di celato, di indiretto o di anticipato rispetto a ciò che si dice sulla situazione economica nazionale e sul possibile ruolo della Regione in riferimento al Piano di sviluppo.
Ecco subito che l'incombere della situazione nazionale viene assunta in tutta la sua vastità e gravità, ma viene assunta nel momento in cui si sta svolgendo e sviluppando con particolari indicazioni e caratteri il dibattito sul Piano di sviluppo regionale. Si parla del Piano di sviluppo regionale, nel corso della relazione, ed anche qui è venuto fuori un modo distaccato di parlarne, come se si trattasse già di qualcosa che è fuori di noi, o che è fuori delle responsabilità di chi ha concorso ad elaborarlo una specie di figlio del quale nessuno più vuole essere padre nel momento in cui si conoscono le accoglienze che gli sono andate facendo a tutti i livelli, anche da parte di quei livelli che, per rapporti intrattenuti sapientemente, con continuità, con grande diligenza dalla Giunta e dal suo Presidente, intrattengono buone relazioni, si dice diplomatiche e giustamente istituzionali, con il governo regionale. Le accoglienze al Piano di sviluppo, ai sette chili di documenti che portano il nome di Piano di sviluppo, sono state tali e le critiche consentite e non contraddette sono state tante che io, per parlare in modo molto schietto, ho tratto conclusioni univoche da questo dibattito. Dico subito, prima ancora di enunciare quello che già si capisce voglio dire, che non profitteremo oltre misura di questa situazione, ma vogliamo che si registri, che si chiarisca che non ci passiamo sopra, senza che neppure ce ne accorgiamo. In sostanza il significato è questo; il Piano di sviluppo non è un Piano, le cose che prima parevano indicate come mete poco dopo sono diventate auspici, poi neppure più cose auspicabili, infine cose indicate per fare in modo che non si debbano neanche perseguire. In sostanza, il Piano si è sgonfiato si è afflosciato, si è rivelato uno strumento assolutamente inagibile, una massa di documenti, di ricerche attraverso le quali ci sono anche cose buone, qua e là, che possono essere raccolte, ma che non danno una risposta pertinente, operativa, sintetica, comprensibile all'opinione pubblica. Lo stesso avvio delle consultazioni ha già dato occasione a questi rilievi.
Non tutti saranno al livello di preparazione linguistica degli estensori di documenti di questa natura, ma tutti capiscono subito, o abbastanza rapidamente, che cosa ci sia dietro le parole. Ed allora anche le consultazioni si vanno e si andranno vieppiù rivelando, malgrado la nostra partecipazione che sarà il più possibile costruttiva, come un rito vuoto perché vuoto è l'argomento sul quale ci si andrà ad applicare.
Ecco dunque che il gran discorso sulla situazione nazionale qui introdotto, che ha pur degli aspetti seri ed opportuni, è un discorso strumentale; in sostanza, si tende a fare ritenere che il fallimento totale del Piano di sviluppo così com'è presentato, il voltar pagina sul Piano di sviluppo per passare ad altri discorsi, ad altre proposte, si mescola, si nasconde o trova la sua giustificazione primaria, assorbente nel precipitare di una situazione nazionale che non consente più alcun raccordo ed invece stimola o induce a prendere atto che le risorse non ci sono, che le operatività sono di là da venire, che non si possono fare programmi a lungo termine e che per queste ragioni il Piano, che invece valido non è per altre ragioni, deve essere accantonato. Ecco che allora, come avviene ogni volta che fallisce una velleità programmatoria, si passa ad indicare che si procede, si opera per progetti. Già altra volta nella vita del nostro Paese c'è stata una fase, emblematica e sintomatica, nella quale purtroppo, con responsabilità di tutti, compresa la forza politica in nome della quale parlo, le volontà programmatorie non fondate su un sano realismo, sulla conoscenza sufficiente degli strumenti, dei mezzi, delle possibilità di avviare una programmazione si sono rivelate illusorie. Se ne prese atto dicendo, va bene, realisticamente passeremo ad operare per progetti. Punto, quindi, e a capo. Questo è il significato che abbiamo colto: il Piano, i documenti vengono consegnati alle biblioteche, sono consegnati alla lettura, alla buona volontà di Consiglieri che lavorano assiduamente, duramente, come il Consigliere Rossi, perché ne estraggano quanto di utile e possibile, quanto potrà essere in concreto applicabile.
La metodologia è la stessa che abbiamo conosciuto circa un anno fa quando, di fronte alle nostre sollecitazioni e mentre si avviava l'attività delle Commissioni così dette riservate e speciali, a riguardo delle quali constatiamo con tristezza che abbiamo indovinato nelle previsioni, ci venne presentata come garanzia la redazione di un bell'indice. Già allora si era detto, guardate che il Piano sarà qualcosa di concreto e di operativo e vi presentiamo prima del testo un indice, un indice scientificamente articolato, in base al quale poi passeremo a tradurre i contenuti (in una operazione di carattere demiurgico, perché solo quando in mente Dei c'è già tutto, si può fare l'indice prima. Se, invece, non c'è già tutto, l'indice è un'operazione faticosa da fare addirittura dopo. Qui si fa dunque un elenco di progetti che noi possiamo accogliere come un elenco di buone intenzioni; senonché, questi progetti hanno per riferimento alcune attività normali della gestione amministrativa, o sono conseguenze naturali della corretta applicazione di leggi approvate od in itinere. La novità sta solo nell'aver anticipato, messo davanti alle denominazioni di questi settori o a queste leggi il sostantivo "progetto", sostantivo che ha già in sé una carica, una forza, una volontà politica che ci fa, come tale, bene sperare! E' questo dunque il passaggio che si è operato. E cosa risponde la maggiore forza di opposizione di questo Consiglio? Risponde che se si ritenesse polemicamente di condurre avanti il dibattito sul Piano di sviluppo nella sua vaghezza e genericità, così come è stato impostato, sarà un invito a nozze, perché allora non si potranno nascondere le cose che già sono venute a galla. Se invece, più realisticamente, si vorrà passare sull'altro terreno, bisognerà darne sinceramente atto e noi siamo, come saremmo stati altrimenti, disponibili a far sì che, con il nostro modesto apporto, i progetti divengano efficacemente operativi, siano ordinati alle finalità che stanno a cuore alla società regionale ed ai lavoratori, siano proporzionati alle possibilità della Regione, siano ordinati anche ad un quadro di riferimento nazionale. Nessuna ricerca perciò di strumentalizzazione dopo la chiarezza delle conseguenze di un comportamento da parte nostra coerente Chiudo subito, a buon intenditor poche parole, è inutile insistere su questi argomenti. Questa è la nostra posizione: il Piano di sviluppo si è sgonfiato, è chiuso, la pagina è voltata, si passa alla fase della ricerca di progetti che siano concretamente, realisticamente attuabili.
Non abbiamo ancora garanzie che così sia, perché ci viene presentato un semplice indice ed ho la carità, in assenza dell'amico e collega Simonelli di non leggere le giustificazioni che la sua acuta sensibilità ed intelligenza fanno portare all'argomento, perché egli già anticipa ed avverte le critiche, cercando di spiegare come questi progetti si colleghino invece in generale al Piano di sviluppo.
Infine, per chiudere questo primo capitolo, la D.C., il Gruppo consiliare della D.C., è pronto non solo a proseguire nella fase di confronto in sede di consultazione o in altra sede sul Piano di sviluppo ma è pronto realisticamente a sedersi attorno al tavolo dove le responsabilità si impegnano, perché l'attuazione dei progetti possibili sia portata innanzi senza ulteriori perdite di tempo. Ahimè, dicemmo che attraverso errori di impostazione metodologica e presunzioni velleitarie ci è stato fatto su questo terreno perdere un anno o un anno e mezzo. L'indice e le valutazioni che oggi ci propone Simonelli realisticamente potevano essere avanzate un anno, o un anno e mezzo fa.
L'altro discorso è quello che riguarda più propriamente i rapporti tra le forze politiche, cioè il leit motiv del disimpegno, della latitanza dell'assenza della D.C. da questo dibattito. Si è parlato dei due tempi del fatto che si vuole la garanzia che sia la manovra monetaria, sia l'adozione di misure che finalizzino bene l'impiego delle risorse sottratte al Paese o comunque convogliate nelle casse dello Stato, vadano insieme, ma si deve confessare, perché è un fatto che è davanti a noi, che c'è stata una sorpresa, uno sconcerto fortissimo nelle forze della sinistra italiana per le reazioni che non si riteneva ci sarebbero state, che sono di natura qualunquista, come lo sciopero dell'altro giorno di 24 ore, sproporzionato sconsiderato, irresponsabile, attuato nelle ferrovie. E qui le responsabilità sono di tutti, le nostre ce le assumiamo e le riconosciamo nell'ora della verità: nelle fasi di forte sviluppo della nostra economia non abbiamo saputo coagulare sufficientemente le forze del nostro Paese per controllarlo, per contenerlo, per meglio finalizzarlo, per impedire distorsioni, squilibri e soprattutto crollo di valori d'ordine morale, di coesione comunitaria. Noi lo sentiamo questo peso, lo sentiamo, ma la sinistra deve sentire il peso di altre responsabilità. Certo, non alla D.C.
si può chiedere di venire a parlare del ruolo, ad esempio, della produttività. Abbiamo sempre ritenuto che la produttività sia essenziale.
Ci sono stati tempi in cui si diceva: questi discorsi non li vogliamo neanche sentire, questi discorsi non ci riguardano, qui ci sono delle variabili indipendenti. E' tutto un discorso, tutta una tecnica di attacco che adesso si scontra, è tutto da recuperare ed è molto difficile. Noi non vogliamo creare difficoltà, noi non vogliamo mettere a queste politiche di revisione i bastoni nelle ruote, quei bastoni che un autorevole rappresentante della sinistra pensò si dovessero mettere nelle ruote dell'economia in un momento in cui una famiglia, anche operaia, in cui due o tre componenti lavoravano, e mi riferisco alle esperienze di un ambito ristretto dove io sono vissuto, ma che è in gran parte la realtà conosciuta da ciascuno di noi, una famiglia operaia poteva con una somma da 3 a 5 milioni comperarsi la casetta o costruirsela in periferia. Questi tempi sono ora molto lontani; bisogna salire a categorie ultra privilegiate per trovare questa possibilità. Ebbene, noi non vogliamo mettere bastoni fra le ruote a tutta una riconversione politica che è in atto, ma non si pu chiedere alla sola D.C. di ripetere stucchevolmente che l'efficienza, il ruolo delle imprese, le ragioni della produttività sono condizioni di socialità.
In un modesto intervento, che non aveva per interlocutori i protagonisti della politica nazionale, mi permisi di formulare un giudizio secondo il quale l'aumento dell'efficienza del nostro sistema economico l'elevazione della produttività del nostro sistema, la salute delle imprese in Italia, sarebbero state una delle condizioni dello sviluppo e dell'ampliamento del potere della classe operaia, non il rovescio. E quindi tutto ciò che anche oggi si può chiedere, si può fare a questi fini aumenta tali possibilità. Perché, che cos'è, quale esperienza ha spinto Berlinguer a scrivere su Rinascita il saggio che poi passò sotto il nome di politica del compromesso storico? La constatazione che nessuna politica del tanto peggio, nessuna politica che ignori i termini di un'economia occidentale, di un'economia di mercato nella quale noi siamo stati collocati può ottenere risultati validi. Non noi abbiamo mutato le linee politiche: noi abbiamo commesso forse vari errori nell'attuazione, ma non vi è neppure una delle scelte fondamentali da noi fatte che sia stata validamente contestata. Altri han dovuto procedere a revisioni totali in ordine alla politica economica all'Europa, ai rapporti di mercato e la collega Graglia, che è intervenuta l'altro giorno, quando improvvisamente ha parlato di uscita dal mercato cosiddetto americano, dal mercato mondiale libero, questo è un discorso che nessuno, oggi, degli esperti dello stesso P.C.I., presi a giusto livello potrebbe sottoscrivere.
E' stata l'espressione di un riflesso condizionato e passionale che ci riporta indietro di venti o di venticinque anni.
Voi stessi dite che dovete accettare, in un Paese che ha un'economia di trasformazione, che dovete accettare le norme, le leggi della partecipazione ad un mercato.
Del resto, sanno tutti che uscire dal mercato occidentale per un Paese senza risorse, con un'economia di trasformazione, come il nostro significherebbe ripiombare in un tipo di economia degli anni '30.
L'economia degli anni '30 significa più che il dimezzamento del tenore di vita del popolo italiano di oggi e, per conservare un minimo di sopravvivenza al nostro paese in quelle condizioni, occorrerebbe lo stesso tipo di regimi che si sono avuti in quegli anni, o l'hitlerismo o lo stalinismo.
E' questo che implicitamente, o senza volerlo, subcoscientemente qualcuno desidera, cercando di rinverdire i tempi nei quali, andando direttamente e coraggiosamente all'assalto, in nome di valori di classe, di un determinato equilibrio e società, si pensava di essere in tutto nel giusto, mentre sono venuti i tempi critici, i tempi in cui anche all'interno di forze monolitiche sorgono e prendono piede, perché la realtà è complessa, valutazioni divergenti; perché nessuno ha in mano la pietra filosofale per risolvere i problemi.
Ecco allora che la D.C. non ha bisogno di riconversioni sul piano delle linee di fondo; è totalmente impegnata nella parte più impopolare che è costituita dall'azione di governo; è impegnata a sostenere l'azione del governo avendo coscienza che, in una situazione in così rapido movimento lo stesso ritardo a volte di un giorno, di una settimana nel consentire l'attuazione di un provvedimento, può farlo diventare inutile, ingiusto e sbagliato; è pronta a discutere tutte quante le tesi e, comunque attraverso anche le mie modeste affermazioni, dice che è finito il tempo in cui non si poteva parlar male di Garibaldi, nel senso che anche i sindacati commettono errori, e non sempre quelli più responsabili, e non sempre i vertici che vi sono trascinati, quando vogliono seguire per non lasciarsi distanziare e temono il crearsi di vuoti o fratture, commettono errori.
E allora, poiché noi,mondo politico cosiddetto, siamo stati spesso l'oggetto a buona ragione, di cocenti critiche e strali, sia consentito che subisca la critica, anche chi politica ha fatto in termini concreti e in modo ancora più penetrante e decisivo per le sorti nazionali.
C'è stato il tempo del vuoto politico riempito dai sindacati; del modo di riempirlo essi devono anche rispondere in termini di responsabilità oggi che sono presenti in comportamenti ai vertici, perché questo è l'equivoco anche in ordine al discorso sui sacrifici da fare. La stessa parte effettivamente lavoratrice, coloro che per formazione morale, per serietà per impegno di classe non si danno all'assenteismo, finiscono per essere coinvolti anche in agitazioni sindacali strumentali, di essere vittime del cedimento al qualunquismo degli altri. E quindi non è che possiamo essere in polemica con Rossi: la classe lavoratrice ha senso di responsabilità; lo so benissimo che basta andare in un'officina meccanica dove ci sono operai qualificati, dove c'e gente seria, che anche sono comunisti in buona misura, lo so benissimo che sono le persone più serie che ci sono nel Paese queste, ma ciò non vuol dire che non ci siano comportamenti sbagliati che dipendono da decisioni burocratiche.
Il mondo sindacale, lo sappiamo, è un mondo democratico per modo di dire nelle sue strutture; è democratico perché sono democratici gli aderenti, i partecipanti, ma è una struttura burocratica, tutti i sindacalisti che conosco sono allo stesso posto da venticinque, trenta e se fosse possibile da quarant'anni, perché qualcuno veniva anche dai sindacati precedenti. Che siano quindi al riparo da critiche e dall'assunzione pubblica di responsabilità in questa fase non può essere accolto.
In ogni caso respingiamo l'accusa mossaci di disimpegno. E' venuto il momento dell'assunzione di responsabilità decisive e per assumere responsabilità non basta chiedere e proporre.
Noi non vogliamo far pagare prezzi politici particolari a nessuno, ma nessuno può chiedere alla D.C. che essa, con un'operazione determinata oggi si assuma quella parte di impopolarità che la stessa sinistra (e non voglio strumentalizzare Amendola rendendogli un brutto servizio) deve assumersi, se vuol affrontare il discorso di certi errori e la formulazione di una linea coerente.
In sostanza, non c'è bisogno che per essere corresponsabili ci abbracciamo tutti così strettamente che nessuno possa più distinguere i comportamenti degli uni e degli altri. In un Paese democraticamente cresciuto si possono mantenere distinzioni profonde di ruoli con convergenza sostanziale nella ricerca del bene comune. I paesi democratici autentici, addirittura in fase di guerre drammatiche, hanno saputo mantenere questa distinzione. E allora, quando noi non accettiamo i supergoverni di natura assembleare o parlamentare destinati a svuotare il Governo; quando costituiamo governi che formalmente ed istituzionalmente hanno le responsabilità, credo che compiamo un'operazione che è utile a tutti, perché se rompiamo anche queste distinzioni gettiamo veramente il Paese nel caos dell'ingovernabilità, che avrebbe solo gli sbocchi che nessuno pare oggi augurarsi, perché nessuno vuole giungere all'avventura.
Ecco dunque le due operazioni, quella interna e anche quella politica esterna che ha introdotto Simonelli, che è garbato, che è intelligente e ci ha preso per mano e condotto a spasso a discorrere in generale di tutti i problemi del Paese inducendoci e sollecitandoci, come avviene al caffè, a discutere e a parlare di tutto.
Torniamo tranquillamente alle nostre cose, prendiamo in mano i vari progetti, vediamo dove si tratta di meri capitoli, di testate, dietro alle quali non c'è assolutamente ancora nulla, vedi progetto irrigazione progetto colture specializzate, progetto forestazione, progetto Finanziaria regionale. La legge sulla Finanziaria regionale, la necessità di darle attenzione diventa dunque un progetto? questo mi spaventa, perché la Finanziaria regionale non è un progetto, è una realtà che deve passare alla realizzazione e allora diciamo che vi è necessità di formulare il programma della Finanziaria regionale, anche il lessico, anche le denominazioni hanno un significato politico.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Non esagerare, è un'indicazione!



BIANCHI Adriano

A un anno e mezzo dal preannuncio del piano di sviluppo si conclude oggi questa fase di dibattito con un'indicazione alla quale voglio attribuire tutta la buona fede di questo mondo e tutti i contenuti migliori di questo mondo, ma che se deve diventare una cosa seria deve portarci a degli atteggiamenti non declamatori, seri, concreti attorno ad un tavolo scendendo dalle discussioni generali per passare a quelle concrete.
La situazione politica è già talmente grave e pesante che ritengo la Regione non debba contribuire a confondere le carte e le idee, mescolando ogni cosa insieme, ma debba con semplicità, con l'umiltà di ciascuno di noi, passare a fare poche cose e, in qualche campo come in quello della tutela del territorio e dell'attuazione dei comprensori, a fare le cose molto importanti che le competono.
Anche queste attività, però, sarebbe meglio applicarci per renderle più chiare e precise sotto il profilo dei contenuti istituzionali.
E' avvenuto in altra sede, ma riportiamone qui l'eco, perché qui voglio riportare una richiesta ed una proposta dove ho osservato che nell'ambito del piano di sviluppo ci sono almeno due definizioni di comprensorio e quattro definizioni e relativi contenuti di subcomprensorio. Ogni disegno di legge che esce ha contenuti, riferimenti, indicazioni, per le competenze di questi organi od organismi, differenti. La legge urbanistica con uno sforzo di sintesi generale cerca di rimediare alle insufficienze ed alle vaghezze del piano di sviluppo portando tutto là dentro e facendone oggetto addirittura di norme precettive, quasi fosse una costituzione.
Applichiamoci allora in questa sede e nelle sedi delle Commissioni a dare una definizione chiara a questi istituti, a dare una linea chiara a queste proposte affinché non nasca anche il sospetto in qualcuno che possa pensare che, comunque vada, anche nella confusione istituzionale, c'è poi la volontà politica e la presenza unificante della forza politica che rimedia a tutte queste contraddizioni. Se dovessimo anche confondere i ruoli assegnati alle forze politiche ed alle istituzioni, credo che chi oggi pensa per struttura della propria parte di poterle superare, andrebbe incontro comunque a delle amare delusioni.
Per questo il nostro invito è di scendere dai discorsi generali e di passare alle cose concrete.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bontempi.



BONTEMPI Rinaldo

Signori Consiglieri, la fine - e per fine intendo proprio le ultime parole dell'intervento del collega Bianchi, quando si è richiamato ad un impegno da parte del suo Gruppo politico ad andare in Commissione a definire, a precisare meglio i contenuti e quindi ad arrivare al piano di sviluppo dando un contributo - in realtà era la fine che io ad un certo punto, senza ovviamente prevederla in questi termini, avevo un po' considerato come analisi del comportamento della D.C. nel dibattito, ma che purtroppo è stata smentita, direi pesantemente, sorprendentemente e gravemente da tutto quello che ha preceduto questo ultimo accenno di disponibilità a lavorare sul piano.
Cosa voglio dire? Voglio dire che nel corpo e nel quadro di un intervento diverso, che per la prima volta ho deciso di scrivere e che invece lascio da parte perché sollecitato dalla novità e dall'estemporaneità delle cose dette soprattutto dal Capogruppo della D.C.
che esigono risposta, mi pareva di dover rimarcare (e lo rimarcherò) il giudizio pesantemente negativo sull'atteggiamento di disimpegno di fronte al paese da parte della D.C. e di doverlo mettere in relazione con quello che invece poteva essere il ruolo del Gruppo regionale della D.C. proprio nel momento dell'avvio del piano regionale di sviluppo.
In realtà penso che le cose dette da Bianchi oggi, il modo in cui le ha dette, la sicurezza (per non rivolgermi in maniera non gradevole ad una persona che stimo non la definisco "sicumera") con cui ha tranciato giudizi, spesso senza motivazione, sull'una e l'altra cosa, forse mi devono fare in questo momento rimeditare su quello che era un giudizio sulla vostra posizione critica sul piano di sviluppo regionale, ma critica nell'ambito di una partecipazione, di una certa disponibilità a costruire insieme una cosa di così grande importanza.
Ritengo cioè - e qui parto dal piano per andare al discorso più generale - che il giudizio perentorio, senza appello dato da Bianchi secondo il quale il piano si è sgonfiato, si è rivelato strumento inagibile e ci ridurremmo, ora, a proporre dei progetti, salvo poi l'aggiunta che questi progetti non si sa cosa siano, abbia bisogno di un chiarimento e che la conclusione del dibattito permetta di specificare meglio quali sono.
Questo giudizio perentorio mi pare che rimarchi in maniera evidente e anche in maniera del tutto sorprendente un atteggiamento che non può essere accettato perché, in realtà, amici D.C., nei confronti di questo piano, da quando è uscito, anziché partire - adesso capisco meglio molte cose - dai limiti, dai rilievi, dalle critiche su un piano che comunque c'è (e questo è il punto, non è che non ci sia, che non esista più, il piano c'è perché i programmi regionali da cui si dipartono correttamente le proposte di progetti, le cose immediate da fare, sono l'indicazione programmatica, cosa certamente perfettibile, certamente emendabile, discutibile, ma il piano c'è) voi avete sostenuto il vostro ruolo e non nego che questo sia un diritto delle minoranze, in quella famosa distinzione di compiti e funzioni a cui tenete tanto, però rendetevi conto in questo momento in cui dovete rispondere alla comunità piemontese che solo avere questo atteggiamento in negativo, definire caduta l'ipotesi di piano, caduta l'ipotesi programmatoria, mettere in contrasto questo con il momento in cui si cerca invece di specificarla, cioè i progetti, ebbene, questa è la cartina di tornasole di un atteggiamento che, lo dico francamente, è (spero che le ultime parole di Bianchi possano ancora concedere uno spiraglio) e mi si rivela come una chiusura di contrapposizione, di giudici e non invece di protagonisti anche voi, perché le consultazioni, perché la Commissione e tutte le altre sedi, anche questa, sono momenti per un contributo reale.
Nel suo intervento Alberton ha fornito degli elementi e non so come conciliarli con questo tipo di giudizio che oggi il collega Bianchi ha voluto dare. Io invece sostengo - e credo che le risposte della Giunta vadano in questo senso - che il piano non solo è fallito, ma c'è e ne hanno dato prova le consultazioni che, certo, risentono anche del momento generale e quindi dell'attenzione.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Se è fallito, è fallito nei cinque anni precedenti, perché a noi fu consegnato così.



BONTEMPI Rinaldo

Certo. Ma di questi argomenti, al limite, si può anche fare a meno.
Il collega Bianchi ha parlato di linee non da riconvertire, ebbene, noi diciamo che il non avere scelto le linee programmatorie, il non avere operato in una certa maniera qui alla Regione forse è anche una linea da riconvertire, ma lasciamo perdere, dico solo che le categorie economiche nel confronto che abbiamo avuto in Commissione, ce l'hanno detto chiaramente, il piano ha questo che va e quello che non va, comunque l'ipotesi di programmazione contenuta nel piano è un punto di riferimento che qualifica la Giunta la quale ha fatto la proposta, le forze politiche il Consiglio quando l'adotterà. E questo è un dato fondamentale da cui non si può non partire, salvo un tentativo che non capisco, di pura e semplice strumentalizzazione. Perché - e qui vogliamo dirlo ancora chiaramente - il piano di sviluppo così com'è venuto fuori, seppure con limiti, difetti però è venuto fuori con una sua architettura magari non del tutto equilibrata, ma è uscito e in secondo luogo con questi tre volumi che sono quelli che dovremo avere sempre come base, porta una visione di cinque programmi base, che sono un'indicazione programmatoria fondamentale per la Regione.
Ora, voi che non avete fatto il piano prima, ditemi come difensori accaniti e forse anche un po' faziosi oggi di quello che è stato il ruolo della D.C. a livello nazionale, che cosa è stato fatto di diverso in Italia, che cosa è stato fatto di meglio delle parole, se non qualche documento nel clima dirigista di una programmazione che non abbiamo accettato? Questo dovete dire e quando fate critiche così categoriche dovete sempre rapportarvi a quella che è la realtà, a quelle che sono state anche le lentezze, le difficoltà di sbocco per la cultura della pianificazione nella programmazione in Italia; e il fatto che la Regione Piemonte, senza trionfalismi, nel suo piccolo, con i suoi limiti, però con questi cinque programmi nel quadro di una pianificazione economica di tutto il territorio regionale, abbia fatto - e adesso cerchiamo di tradurre insieme - l'elenco dei progetti, serve anche a questo, ma comunque sarà la cosa da fare in un momento concreto perché oggi - e qui mi ricollego al tema nazionale - la necessità è l'avvio concreto di processi di trasformazione nel senso di programmazione e mi pare che questa sia una necessità indiscutibile a cui anche la Regione può dare il suo contributo reale, forte, anche se, per caso, fosse limitato, però sempre un contributo che tra l'altro stenta a venire dalle altre regioni e fa dire a noi che la via scelta di fare il piano di sviluppo anche in assenza di un quadro di programmazione nazionale è una scelta giusta.
Penso che il discorso fatto sul piano di sviluppo, questa chiusura che ho ricordato prima e le obiezioni di fondo che ritengo di dover fare a questa impostazione, possano avere, come si dice oggi, l'interfaccia, il loro momento corrispondente anche nell'analisi della situazione nazionale.
E qui mi sia permesso allora di precisare anche lo scopo, la validità di questo dibattito.
Certo, c'è la pubblicistica ad analizzare certi fenomeni, però noi abbiamo il dovere, oggi più che mai, di fronte alla gente, di fronte ai lavoratori, di fronte a tutti i cittadini italiani di porci a qualsiasi livello, sia esso nazionale, regionale, comunale, come forze capaci di stabilire con la gente, sulla base di analisi delle realtà, di indicazioni e di prospettive, degli obiettivi su cui recuperare quello che e il fattore più tremendo dell'attuale situazione ed è la mancanza di fiducia, di credibilità nelle stesse istituzioni.
Ma allora un dibattito di questo genere, che tra l'altro è collegato con quello che noi intendiamo essere il ruolo della Regione e che ho cercato di dire prima e che preciserò meglio in seguito, un dibattito di questo tipo è utile, per sentire con chiarezza da parte delle forze politiche regionali la loro posizione su una situazione che coinvolge tutti e che obbliga tutti noi, a qualsiasi livello operiamo, a fare i conti direttamente con una realtà drammatica, con una crisi di cui non si sono ancora approfonditi a sufficienza probabilmente gli aspetti strutturali e drammatici.
In questo senso il dibattito c'è stato, ci sono state posizioni più o meno chiare, tutto sommato ho il piacere, anche se poi è un piacere molto stemperato, per la verità, dai contenuti, ho piacere che da parte della D.C. ci sia stata una posizione chiara. E la posizione chiara, purtroppo stemperata negli effetti e quindi negativa, viene proprio dalle parole del Capogruppo Bianchi che non ha visto la necessità (sarà poi la storia ad essere giudice imparziale di certi effetti) di stabilire rapporti con la gente in un momento così grave, così foriero di possibili catastrofiche conseguenze. Io pensavo che fosse diverso il punto di vista della D.C.
regionale, speravo almeno, invece dice: non abbiamo nessuna linea da riconvertire...



BIANCHI Adriano

Ma le scelte di fondo...



BONTEMPI Rinaldo

Le scelte di fondo non sono da mettere in discussione. Noi diciamo invece che in questa situazione anche le scelte di fondo che sono state fatte e che hanno portato a questo modello di sviluppo...



BIANCHI Adriano

Ma ora che voi le sposate, volete che le riprendiamo noi?



BONTEMPI Rinaldo

No, noi non sposiamo le vostre scelte di fondo, Bianchi, è questo il punto, noi non le sposiamo perché veramente allora il rischio dell'impopolarità che tu dicevi sarebbe assicurato. Noi in realtà (ed è il risultato coerente di cose, tra parentesi, che dicevamo molto tempo fa) sposiamo la necessità di una trasformazione profonda della società, del modello di sviluppo (mi esprimo a stilemi e a stereotipi, così ci comprendiamo e sono anche più breve), la necessità di una profonda inversione addirittura del clima morale che si è venuto deteriorando.
Questi sono degli elementi fondamentali, ma, Bianchi...



BIANCHI Adriano

Sono d'accordo, anche noi...



BONTEMPI Rinaldo

Mi fa piacere che tu sia d'accordo personalmente, però mi pare che manchi l'analisi storica quanto dici anche noi. Guardiamo i fatti guardiamo come siamo arrivati ad una certa situazione. E qui non voglio fare il discorso sulle responsabilità perché è troppo facile, dico solamente che ad un livello di tale gravità di crisi di tutto il nostro sistema, inteso come sistema economico, sociale e morale, questo tipo di analisi lo facciamo noi comunisti e questo è un titolo che rivendichiamo con orgoglio perché non crediate che in questo momento l'affrontare un dibattito difficile ci faccia venir meno la memoria di quello che abbiamo sempre detto e sostenuto, cioè che questo tipo di società profondamente sbagliata ed ingiusta non avrebbe retto a lungo secondo il criterio del così detto miracolo economico o di spinta di sviluppo continuo fondato sulla sabbia, sulla carta, sulla fragilità. L'abbiamo detto e oggi ne tiriamo le conseguenze, obbligati da una stretta economica gravissima, da una condizione sociale e morale drammatica, ma lo facciamo con la coerenza e con il coraggio di chi capisce che mai come oggi è necessario avere rapporti con la gente. E questo non vuol dire abbracciarci, Bianchi, vuol dire avere rapporti con la gente. E io chiedo alla D.C., mentre io ed i miei compagni siamo impegnati tutte le sere nelle sezioni, tra la gente nelle assemblee pubbliche a parlare e anche a discutere animatamente certo, perché è giusto che sia così, quante ne fate voi? Quali rapporti cercate di stabilire con la vostra base che è ampiamente popolare? Ma voi credete che sia un bene (è questo che mi chiedo) che il centro dell'attenzione della gente, nelle fabbriche, nei posti di lavoro, nelle scuole dappertutto sia il P.C.I. e che si rivolgano al P.C.I. come parafulmine? Badate bene, la cosa non ci spaventa perché noi...



BIANCHI Adriano

Noi non abbiamo, rispetto al nostro mondo la funzione dell'intellettuale organico svolta dalla vostra parte; è una struttura diversa, quella del nostro partito!



BONTEMPI Rinaldo

A parte le insufficienze della struttura, su cui voi potete giudicare meglio di me, il problema è che con la gente occorre parlare in questo momento, occorre dire...



ALASIA Giovanni, Assessore ai problemi del lavoro

Non avete organicità in nulla, neppure nel dare una risposta ai lavoratori della Montefibre, anche se si tratta di un settore cui sovrintende un Ministro democristiano. Dovremmo esser noi a risolvere il problema della Montefibre, come chiedeva Alberton?



BIANCHI Adriano

Il nostro Assessore affrontava queste cose con altrettanto impegno.



ALASIA Giovanni, Assessore ai problemi del lavoro

Piccole questioni, di fronte a quelle sul tappeto oggi.



BONTEMPI Rinaldo

Comunque, dicevo, questa è una esigenza categorica. Non si tratta di sposare, ripeto, tesi vecchie o tesi vostre (non potremmo accettare, lo dico schiettamente, una impostazione del genere, che noi sposiamo le vostre tesi): noi diciamo semplicemente, in maniera anche un po' schematica senza quella terza dimensione che mette in maggior rilievo le cose e le rende più comprensibili, palpabili, forse anche piacevoli, che l'obiettivo cui deve esser chiamata oggi la collettività italiana è quello del cambiamento della trasformazione delle strutture economiche, delle strutture sociali dei principi morali.
Come operare questa trasformazione? Noi andiamo tra la gente - e giudichiamo severamente il fatto che voi non facciate altrettanto - a spiegare che queste esigenze di trasformazione stanno al centro della lotta politica, del dibattito politico, e ad esse occorre rapportare anche tutte le altre azioni. A questa esposizione accompagniamo l'analisi della crisi e, con il coraggio che ci viene dall'essere tutti in balia della crisi ma di averne anche denunciato da tempo, fin dal '64, vorrei ricordare, il carattere strutturale, avvertiamo che questa crisi, che pur si fa sentire gravemente, forse non è ancora intesa sufficientemente da tutti nelle sue implicazioni, nei suoi pericoli reali, nonostante sia ormai giunta al suo punto più acuto. Il primo nemico da combattere è l'inflazione: non una inflazione classica, da domanda, come si dice, ma una inflazione anomala da costi, i cui elementi decisivi non si sono ancora fatti sentire - forse si faranno sentire tra breve - nelle loro punte più acute, perché il debito con l'estero per ora pesa solo in misura ridotta, perché, anche per merito delle grandi conquiste dei lavoratori, un certo tipo di assistenza all'economia ritarda l'impatto.
Ma non si può combattere l'inflazione - penso che lo dobbiamo dire con la massima coerenza - se non si ha presente che a questo punto non è neanche in gioco la scelta fra due modelli di sviluppo, fra un modello vecchio, che ormai tutti condanniamo, e uno nuovo: è in gioco una partita più grossa, tra regresso e progresso, con tutte le conseguenze connesse con tutte le implicazioni politiche che questo comporta.
Nel sostenere le misure destinate a contrastare l'inflazione noi intendiamo essere rigorosi, energici, duri. Ribadiamo con forza quello che è stato detto qui circa la contestualità. Dal 1970 in poi si è tentato di bloccare l'inflazione con provvedimenti che non hanno inciso come avrebbero dovuto: periodicamente si sono adottate misure deflattive, misure di emergenza, ma non sono state sufficienti, queste, a contenere il fenomeno.
Sarebbe pertanto illusorio pensare che le nuove misure possano avere successo se non ne esaltiamo l'effetto avviando contestualmente (certo, è prevedibile che una sfasatura temporale negli effetti ci sia comunque) altre misure, di avvio alla trasformazione della società, alla trasformazione dell'economia, colpendo lo spreco, l'inefficienza, il parassitismo, che sono ormai elementi dominanti in questa nostra società che hanno contribuito, come giustamente ricordava Berlinguer nella relazione al Comitato centrale, a corrodere sempre di più le coscienze.
E' questo un elemento ideale di grande portata. Credo sia venuto il momento per tutti coloro che hanno a cuore la vita stessa delle istituzioni, la stessa essenza della democrazia, a cui tutti teniamo, come forze politiche democratiche, di adoperarsi per riconquistare la fiducia della gente. E questo lo si ottiene innanzitutto nella misura in cui si combatte l'inflazione, partendo subito con altri momenti, che sono i momenti di trasformazione, l'avvio concreto di atti per la trasformazione.
Ma lo si ottiene anche se si riesce a dare una forte, una grande prospettiva ideale al Paese. E in questo momento la forte, la grande prospettiva ideale è di comprendere che quelli che vengono richiesti non sono neppure veri sacrifici, ma la rinuncia a qualcosa che è connesso ad un modo di vivere profondamente sbagliato. Si tratta di dare un indirizzo alla nostra società perché recuperi gli elementi di solidarietà nazionale, di metodo, di rigore di lavoro. Solo in questo modo noi potremo far rinascere la fiducia, nella nostra gente, nella nostra popolazione, nei confronti delle istituzioni, dei partiti politici.
Trovandomi in mezzo alla gente per uno di quegli incontri di cui dicevo, organizzati per cercar di capire insieme la realtà della situazione, fra tanta confusione e malcontento, mi son sentito spesso riportato ad una considerazione formulata nei modi più diversi ma sostanzialmente di questo contenuto: non possiamo più tollerare di vivere in un paese dove i furbi la spuntano sempre. E' una frase molto semplice e alla buona, che evidenzia la corrosione profonda dei tessuti connettivi di una società, la nostra, in cui i valori, gli obiettivi di progresso ben equilibrato della collettività nazionale sono stati messi in non cale da particolarismi, da atteggiamenti indulgenti della classe politica verso i responsabili di ruberie, mai adeguatamente puniti anche quando scoperti. La classe politica democristiana non ha avuto il coraggio, in moltissime circostanze (mi riferisco alla vostra gestione), di rimeditare seriamente sulla sua funzione per ricondurla ai grandi filoni popolari della sua cultura, che pur davano indicazioni del tutto diverse, anche a voi che eravate stati eletti.
Tutti questi elementi, che hanno creato questa profonda disgregazione del nostro Paese, compongono il modo di vivere che si suol definire "all'italiana". Una espressione, questa, venuta in uso con la diffusione di certi film-commedia di successo, che tanto hanno fatto divertire per il cinismo che li permea, in cui è rispecchiata, filtrata, concentrata, la realtà del modo in cui si vive nel nostro Paese.
La gente potrà darci nuovamente fiducia solo se in tutte le sedi, a tutti i livelli, saremo capaci di compiere questo sforzo di mobilitazione superando gli scogli che certamente incontreremo. Perché ci saranno sicuramente degli ostacoli, non me lo nascondo, anche se la mia visione potrebbe sembrare ottimistica: occorre rimuovere certi malvezzi distogliere da certi consumi per indirizzare diversamente le scelte. Ma a questo non si può giungere che con un grande sforzo di elaborazione collettiva da parte di tutto il complesso della democrazia italiana, delle forze che la compongono: dobbiamo tutti insieme far sì che si segua questo indirizzo, che si rinunci a quelle cose che non possiamo, come si è detto ripetutamente, più mantenerci e il cui mantenimento, in ogni caso porterebbe di nuovo all'innescamento di quel processo di storture, di distorsioni che dobbiamo così pesantemente pagare.
E' dunque un compito grandioso, quello che ci attende. Se lo sapremo assolvere, potremo riottenere la fiducia della gente. Però, bisogna operare con convinzione. Non bisogna, amico Bianchi, limitarsi all'analisi che hai fatto tu oggi, una analisi di parte, della tua parte...



BIANCHI Adriano

Quando si è sottoposti a continui attacchi, può anche capitare che si reagisca verso chi scarica le proprie tensioni sugli altri. La spiegazione è tutta qui.



BONTEMPI Rinaldo

Il tuo intervento odierno, Bianchi, impostato tutto in difesa della posizione tenuta dalla Democrazia Cristiana a livello nazionale - che non ho ravvisato a livello regionale, salvo che nella bordata fatta sul Piano è stato un discorso di parte, mentre il discorso da fare oggi, in questo momento di estrema gravità, in cui c'è veramente di che far tremare le vene e i polsi a chiunque abbia un minimo di contezza della situazione, deve essere il discorso del Paese, di come operare insieme per la comune salvezza, sia pure partendo ognuno dalla sua analisi della società.
Vorrei anche dire, Bianchi, che a questo punto, di fronte alla posta reale in gioco, perdono buona parte del loro peso e della loro ragguardevolezza anche quei problemi, di cui pure riconosco la rilevanza e per cui ho profonda considerazione, anche per la costanza e la coerenza con cui li proponete, di distinzione dei compiti, non assemblearismo...; questi ballon d'essai che ci buttate continuamente davanti ogni qual volta noi vi diciamo che in una situazione così grave occorre lavorare insieme.
Per questo noi non riteniamo adeguato oggi questo Governo, giudichiamo grave e preoccupante la teorizzazione del silenzio da parte del vostro partito. Per questo, come Consiglieri regionali, per quello che riguarda la Regione, ma più in generale come Partito comunista, noi invitiamo tutti ad adottare l'unica linea che secondo noi sia oggi credibile, quella di una grande mobilitazione popolare che punti al recupero fondamentale della fiducia verso questi obiettivi, affermando che solo nel lavorare per una trasformazione ideale e strutturale dell'economia e della società si potrà trovare uno sbocco alla crisi.
Mi resta da considerare, sia pure superficialmente, senza approfondimenti, anche perché il mio intervento avrebbe dovuto avere un'altra economia, un ultimo aspetto della questione. Anche di qui, dal nostro Ente, nell'ambito delle nostre possibilità, possono partire degli inviti, delle proposte concrete in rapporto a questi temi che noi dibattiamo a livello nazionale e che ho detto centrali e decisivi, con l'avvio effettivo di momenti di trasformazione. Per esempio, perché la Regione non si fa carico di una proposta unificante nei riguardi di tutta la Regione per la chiusura dei centri storici urbani? Potrebbe essere una decisione di grande rilievo, che indica una necessità di cambiamento in un settore chiave come quello del consumo energetico, come quello della qualità della vita nelle città.



BIANCHI Adriano

Questo non c'entra. Bisognerebbe, intanto, convenire sulla univocità del provvedimento ed in ordine alla sua efficacia.



BONTEMPI Rinaldo

Comunque, è una proposta che facciamo. Perché è tempo di fare proposte concrete, di raggiungere degli obiettivi, ripeto, anche evidenti, visibili.
La gente ha bisogno di veder adottare provvedimenti che le ispirino fiducia, provvedimenti di cui tutti, fra l'altro, al di là dei distinguo sui particolari, sentono la profonda esigenza. Lo stesso vale per le scelte che potrà fare la Regione, attraverso il Piano di sviluppo, in agricoltura sui grandi consumi sociali, con una stessa iniziativa sui prezzi concordata magari con i Comuni...
Ci rendiamo perfettamente conto che non si tratta di provvedimenti risolutivi. Già qualcosa è stato tentato in precedenza, poco, per la verità, senza successo. Ebbene, occorre ritentare, adottare misure che unite agli obiettivi del Piano di sviluppo, nel merito del quale non voglio entrare, diano un segno ancora più marcato di un avvio concreto della trasformazione attraverso la programmazione. Anche queste misure, che ho proposto con una certa improvvisazione, trascinato dall'enfasi discorsiva penso potrebbero dare il segno del nostro ruolo e soprattutto della nostra convinzione che la crisi si può far regredire solamente se si provvederà subito ad avviare quello che non è stato mai avviato in passato. Noi crediamo che sia profondamente sbagliata, Bianchi, la tua affermazione: noi non abbiamo da modificare alcuna delle nostre linee. Se non avete sbagliato nelle linee, è indiscutibile che avete sbagliato nella loro attuazione, in passato, ma secondo me avete sbagliato profondamente anche nelle linee. La linea nuova da seguire è quella di adoperarsi subito per operare un cambiamento, per promuovere cose nuove, affidandosi ai progetti di sviluppo. Correlate a quel programma dovranno essere delle realizzazioni di immediata attuazione.
Questo è il modo in cui noi intendiamo avviare, in rapporto al nostro ruolo, alle nostre competenze, quella politica di trasformazione in mancanza della quale non sarà possibile stroncare l'inflazione.



PRESIDENTE

Gli interventi dei Consiglieri sono conclusi. Chiede però la parola l'avv. Oberto, ne ha facoltà.



OBERTO Gianni

Chiedo si dia atto a verbale che rinunzio ad intervenire per l'assenza dell'Assessore Simonelli, al quale, relatore di tre relazioni diverse (che abbiamo nei diversi testi, cancellate, mutilate, e ridotte poi all'ultima formalmente distribuita l'altra mattina), sarebbe spettato dare personalmente delle risposte.



PRESIDENTE

E' ora iscritto a parlare come rappresentante della Giunta regionale l'Assessore Alasia.



ALASIA Giovanni, Assessore ai problemi del lavoro

Non so, signori Consiglieri, se la relazione del collega Simonelli si sia veramente diffusa, per trentacinque delle quaranta cartelle, sulla situazione nazionale, come è sembrato rimproverare il collega Alberton e secondo quella che è parsa la critica ritornante dell'amico Bianchi, quando ha parlato di "strana relazione aperta a tutto", o di "piano venuto fuori in modo distaccato", o di "velleità programmatoria". Vi confesso che io non ho contato le cartelle, perché ho cercato di valutare quella relazione non per capitoli ma con l'unica ottica che mi pare corretta, quella della correlazione e dell'intreccio fra i nostri problemi regionali e quelli nazionali. Qui non siamo nella Repubblica di San Marino, né assumiamo grotteschi atteggiamenti di regionalismo. Problemi come quello della Montefibre, in rapporto ai quali assistiamo a spettacoli a dir poco tragicomici, richiedono una correlazione fra il nostro modo di muoversi regionale e la politica nazionale.
Cercherò comunque, come raccomandava Alberton, di "rispettare il titolo" del dibattito, senza rifugiarmi nei problemi generali per eludere le questioni che ci attendono, ma anche senza fingere di ignorare, collega Bianchi, il quadro generale nel quale si inserisce l'azione della Regione e nel quale noi ci muoviamo, le concrete possibilità di intervento della Regione, per esempio in materia industriale, per dare a Cesare quel che è di Cesare e per assumerci pienamente, come Regione Piemonte, le nostre responsabilità. Così, ci siamo adoperati nella elaborazione del nostro progetto di piano, facendo quello che ci compete senza alcun regionalismo o, mi consenta, Benzi, senza alcun marpismo, o marpionesimo, che sono due cose diverse ma che si somigliano.
A me pare, signori Consiglieri, che da troppe angolazioni settorialistiche siano state mosse critiche, siano stati fatti rilievi al nostro progetto di piano, anche con il tono di richiesta falsamente concreta. Il concretismo, Bianchi, è cosa assai diversa dalla concretezza.



BIANCHI Adriano

Il concretismo è un difetto, la concretezza è una virtù.



OBERTO Gianni

"Concretezza" è anche la testata della rivista di Andreotti.



ALASIA Giovanni, Assessore ai problemi del lavoro

Sono anch'io del parere, collega Bianchi, che il concretismo è un difetto. E questo allora mi induce a fare, prima di intrattenermi sui problemi più propri del mio Assessorato, una considerazione di carattere generale e mi pare anche basilare, che non può essere dimenticata quando si discute del nostro piano.
Il progetto di Piano, come i Consiglieri avranno certamente visto, si apre con l'affermazione esplicita che la sua realizzazione non dipenderà solo da noi. E' scritto a tutte lettere che il piano nasce dall'esigenza di dare ad ogni intervento regionale un carattere di coerenza, di modo che ogni atto, anche quelli che sono fuori dalla possibilità di intervento decisionale diretto della Regione, sia finalizzato ad una politica di sviluppo. All'interno di questa cornice la Regione ha iscritto i suoi atti le sue iniziative, imponendo coerenza a se stessa ed esigendola dagli altri operatori e dalle altre forze che, pur nella loro autonomia, devono sentirsi impegnati in questa politica di sviluppo. Nel progetto di Piano abbiamo parlato apertamente dell'impegno dei Comuni, dei Comprensori, della comunità, dello Stato, degli imprenditori e delle forze sociali. Quindi non incoraggiamo irresponsabilmente alcuna illusione miracolistica, che non avrebbe senso: diciamo che il piano regionale dovrà trovare un riscontro nella programmazione nazionale. Se si dimentica questo fatto, Colleghi, si crea una prospettiva illusoria, e ci si può lasciar andare polemiche, a battaglie contro i mulini a vento, a critiche estemporanee. Abbiamo detto molte volte, e ripetiamo, che noi non siamo il Parlamento della Repubblica o il Governo, ma siamo una parte importante di questo Paese e quindi non ci rassegniamo ad essere, su tutta una serie di materie, spettatori che registrano passivamente interventi avviati da altri.
Queste considerazioni mi sembrano tanto più motivate e calzanti quando si venga a discutere della politica industriale, dell'esigenza di riconversione dell'industria. Solo un miope potrebbe pensare che le sedi decisionali siano qui. Se me lo consentite, allora, proprio per stare al concreto, vorrei dire che è puramente demagogico, e anche pretestuoso, che un Sottosegretario chieda a noi Regione con un telegramma (com'è capitato la scorsa settimana) perché non abbiamo risolto il problema della Singer, o non abbiamo risolto il problema della Venchi Unica, mi riferisco all'on.
Carta, Sottosegretario all'Industria. Si dovrebbero pur conoscere, a Roma le dimensioni e le implicazioni di problemi come questi.



BIANCHI Adriano

Forse c'è stata una polemica fra la Regione e il Governo in ordine alla scelta di soluzioni...



ALASIA Giovanni, Assessore ai problemi del lavoro

Effettivamente c'è stata una polemica, e ne parlerò, non per la polemica in sé, Bianchi, ma perché mi interessa capire la correlazione fra questa dimensione regionale e la politica nazionale del Governo.
Dicevo che a Roma si dovrebbe pur conoscere quali sono le attuali attribuzioni delle Regioni in materia industriale. Ci chiedano cosa pensiamo, cosa proponiamo, cosa abbiamo fatto, e allora saremo sì in grado di rispondere, come del resto risponde il nostro piano.
Non mi risulta - lo dico in risposta ad Alberton, spiacente che non possa ascoltare personalmente la mia replica perché non è in buona salute (e indirizzandogli un caldo augurio di pronta guarigione) - che né la Singer, né la Monoservizio, né l'Emanuel siano state pubblicizzate. Risulta invece dai verbali di questo Consiglio, gli unici documenti che fanno testo sul lavoro della nostra assemblea, che questa Giunta ha sempre detto di non voler abusare in rivendicazioni di intervento pubblico, ma ha anche soggiunto che là dove si registra un vuoto imprenditoriale privato lo Stato ha il dovere di intervenire, così com'è stato anche negli auspici di qualche settore di parte cattolica, a cominciare, caro Bianchi, dal vostro Sindaco di Leinì. E risulta certissimamente un'altra cosa: che, per esempio, per la Monoservizio, dopo molti mesi di lotta, si è arrivati, con un diretto impegno della Regione, di questa Giunta, a quell'accordo che molti mesi prima noi avevamo proposto. Risulta, ancora, che la Emanuel come unità produttiva, è stata liquidata, e abbiamo avuto occasione più volte di rammaricarcene in questo Consiglio, perché non è stato mantenuto da un Ministro l'impegno per una soluzione pubblica preso dal suo predecessore. E ci risulta ancora, sempre per attenermi alla esemplificazione portata da Alberton, al quale , come vedete, replico punto per punto, che alla Singer perdura da quattordici mesi la situazione di incertezza, di cui nessuno è in grado di prevedere lo sbocco. Ecco signori, per dare nomi e cognomi alle cose, come sta la questione sul piano industriale.
Il progetto di piano, come tutti hanno avuto modo di constatare, si diffonde largamente sui singoli settori. Non è vero, Bianchi?



BIANCHI Adriano

So soltanto che parla di molte cose.



ALASIA Giovanni, Assessore ai problemi del lavoro

Si diffonde largamente. Parla dei modi fondamentali di intervento, dai beni strumentali alla chimica generale, al settore delle fibre. Ma, signori miei - ne ho parlato in questi giorni nel corso di una riunione con i Sindaci di Ivrea, di Pallanza, di Vercelli, e avrò incontri anche con altre Regioni, in primo luogo la Lombardia -, una politica delle fibre a livello adeguato, una politica della chimica generale a livello adeguato non la si può decidere in questa sede. Comunque, linee di indicazione anche operative sono contenute in proposito nel nostro piano, per i settori più vari dall'elettronica ai mezzi di trasporto (abbiamo avuto più di una occasione qui per discutere del controllo numerico della Olivetti, e sapete benissimo che cosa noi caldeggiamo), all'artigianato.
Ringrazio Benzi per aver sollevato nel suo intervento questa questione (è stato l'unico a farlo), e gli assicuro nel contempo che non ho alcun rapporto celebrativo né con gli artigiani né con altri: non amo fare nemmeno la celebrazione della Resistenza, che pure è una ricorrenza a me molto cara; mi limito all'attualità della Resistenza, anche quando vado a parlarne nelle celebrazioni.
Per l'artigianato, noi non partiamo solo dalla rilevanza quantitativa che questa categoria ha nell'area piemontese, ma dalla rilevanza e dalla importanza produttiva economica, giustamente messe in evidenza da Benzi che essa ha in un sistema bisognevole di ristrutturarsi e diversificarsi.
Tendiamo, quindi, ad esaltare quegli elementi di qualità che caratterizzano l'attività artigiana, ai quali la grande industria non potrà corrispondere né ora né in futuro. Si potrebbe obiettare che queste sono le parole che non hanno corrispondenza nei fatti. Verifichiamole, allora, alla luce degli atti che la Regione compie. Voi non avrete dimenticato, signori Consiglieri, che nella seduta dell'8 luglio scorso abbiamo proposto al Consiglio una delibera, approvata all'unanimità, in cui si fissavano i criteri prioritari e selettivi per la legge n. 10 dell' aprile '74. Una cosa di modesta entità, lo ammetto, ma indicativa degli orientamenti della Regione, perché si è cercato, ridimensionando (il che è stato ed è difficoltoso) la quota relativa al Comprensorio di Torino per poter ampliare quella delle altre Province; di favorire l'artigianato di produzione, per gli ovvi motivi occupazionali che giustamente Benzi richiamava. Certamente, questa è una legge suscettibile di miglioramenti.
Ma desidero dire che essa non costituisce certamente l'unico strumento di intervento che abbiamo in materia. Anche qui, allora, signori, quella correlazione che richiamavo prima, a proposito dell'industria, fra situazione regionale e situazione nazionale, va chiarita, ed è richiamata nel nostro piano, così come vi sono richiamate le modifiche che pu introdurre la 382.
Ritornando all'industria, vorrei allora ricordare alcuni degli aspetti fondamentali sui quali si fondano le nostre analisi e le proposte che facciamo nel progetto di piano. Indicherò tuttavia anche i limiti delle nostre possibilità di intervento, delle nostre disponibilità, anche in campi che sono correlati con la produzione industriale, e sui quali ci pu essere un nostro intervento diretto: mi riferisco alla formazione professionale, di cui qui nessuno ha parlato, parlo della politica dei trasporti e dei provvedimenti che già abbiamo preso in questo campo, parlo delle aree attrezzate, parlo del ruolo della Finanziaria.
Ci sono degli osservatori molto attenti a questa nostra elaborazione.
L'ing. Frignani, ad esempio, Presidente dell'Unione regionale degli industriali, che proprio ieri abbiamo incontrato per la Finanziaria (non è vero, dunque, che per la Finanziaria non si stia lavorando, anche se si procede, lo riconosco, con lentezza e faticosamente), su un recente numero di "24 Ore", che penso avrete tutti avuto occasione di leggere, dopo aver definito il nostro piano "un inventario problematico-descrittivo", ha aggiunto di volere spostare l'attenzione sulla potenzialità di intervento della Regione. Desidero dire che questo è un metodo di confronto che noi accettiamo volentieri, avvertendo però anche qui che non si può scambiare per "problematico e descrittivo" o per "asprezze emotive", come è stato detto, o "carenze", un complesso di valutazioni e di riferimenti che noi facciamo su scelte che chiamano in causa, con la Regione, la politica generale del Governo. Ma poi dobbiamo aggiungere che, fatto questo richiamo, abbiamo precisato i nostri impegni, appunto, sulle potenzialità di intervento della Regione nei singoli settori. Per esempio, l'Assessore Fiorini e chi vi parla, informando l'Unione Industriale sulle conclusioni del confronto avuto come Giunta a proposito dell'occupazione giovanile abbiamo precisato le nostre disponibilità circa gli impegni formativi legati a sbocchi occupazionali.
Desidero far rilevare soprattutto agli amici repubblicani che noi parliamo di impegni formativi pubblici non per un vizio ideologico di pubblicizzazione ma perché ci pare che solo in questo modo la formazione esca da quella polverizzazione cui è stata condannata finora e venga finalizzata ad una politica di sviluppo che non può che essere un piano (non necessariamente quello di cui stiamo parlando). Non so allora, cosa intenda Alberton nell'obiettarci che non c'è previsione della spesa in relazione alla occupazione che si vuol realizzare. Se ci si riferisce a questo problema, che abbiamo lungamente discusso, con notevole contributo debbo dirlo, di tutte le forze giovanili, compreso il movimento giovanile della Democrazia Cristiana, che ha prodotto anche studi molto seri, faccio notare, signori Consiglieri, che noi non ci sentiamo di quantificare oggi l'ipotizzabile occupazione in questo campo. Faccia il Governo quello che deve fare - Andreotti ha parlato di un progetto che doveva essere pronto per il 30 di ottobre: siamo ormai a due giorni dalla scadenza del termine : noi ci teniamo pronti (se decolla questo progetto) a fare il nostro dovere.
Quanto alla ristrutturazione produttiva, vorrei fare alcuni rilievi.
Questa sera (prima non è stato possibile) vi è stato sottoposto l'elenco dei nostri precisi rilievi sul progetto di Governo, anche in materia di credito agevolato. Per brevità, vi rimando a questo testo. Le nostre proposte possono essere così sintetizzate: 1) necessità di andare ad una riconversione produttiva industriale che punti alla soddisfazione di alcuni grossi bisogni sociali insorti in questi anni 2) necessità di strutturare diversamente il rapporto e l'equilibrio fra industria ed agricoltura e fra aree ed aree, assumendo anche nella nostra iniziativa delle aree congestionate i problemi delle aree depresse.
Non credo si possa dire che non c'è concretezza da parte nostra, per quel che di concretezza si può pretendere dalla Regione. Una testimonianza in proposito può essere offerta dal diretto impegno della Regione, per quel che ha fatto e per quel che si propone di fare nel campo dei trasporti pubblici. Avete dimenticato, colleghi della Democrazia Cristiana, come si sia cianciato per tre o quattro anni, a livello nazionale, della cosiddetta commessa di autobus, filobus eccetera, per poi sentirci dire da un Ministro allora in carica, oggi Presidente del Consiglio, che non si ritrovava più il piano nel cassetto, ed assistere al galleggiamento di responsabilità fra l'autorità politica e gli imprenditori, che si dicevano pronti a decollare purché il Governo fornisse il quadro di riferimento? Non c'è chi non veda, allora, come questo sforzo, che le Regioni, la nostra come le altre, possono fare (non a caso, signori, le critiche che si muovono al progetto governativo, che vi ho fatto distribuire, portano le firme di numerose e diversamente colorate Regioni), debba trovare un riscontro sul piano nazionale.
Credo che nessun piano serio, né il nostro né un altro, possa prescindere dai nodi fondamentali che ho richiamato. Su questi abbiamo registrato, almeno dal '68 ad oggi, più forti scosse e le tensioni maggiori di questi anni nel corpo sociale. Simonelli sosteneva, secondo me opportunamente, quindi, non la generica esigenza di ripresa economica, ma l'esigenza di uno slancio economico con carattere del tutto nuovo, ad evitare il rischio di avviarsi al totale squasso E ricordava ancora che il nostro piano non è una esercitazione culturale astratta, ma vuol essere per un verso un contributo alla programmazione nazionale e per un altro verso una indicazione di strumenti per la nostra spesa.
I processi in atto ci richiamano tutti a darci questo respiro, per cui gli interventi nel breve tempo siano finalizzati ad un mutamento di struttura.
Al Convegno giovanile sulla occupazione avevo rilevato il carattere illusorio di una certa ripresa economica degli ultimi mesi, drogata dalla svalutazione della lira. L'ISTAT ha calcolato che fra gennaio e giugno son dati che devono far riflettere - nelle imprese con oltre 500 dipendenti l'indice delle ore lavorate è aumentato del 2,7%, mentre contemporaneamente l'occupazione è calata dell'1,7%. Teniamo pure conto della riduzione della Cassa integrazione, che Alberton richiamava. Ma tutti gli osservatori economici seri sostengono, a proposito della validità di questa cosiddetta ripresa, che essa è, fra l'altro, sostenuta da un tasso di produttività in ascesa. Mi consentite di dire a questo punto ad Alberton - mi spiace di doverlo continuamente chiamare in causa in sua assenza - che mi stupisco che egli non colga il significato di questo rilievo.
Non si può dire, come è stato detto qui: noi siamo contrari alla politica dei due tempi, e non cogliere nei processi in atto il fatto chiaro e lampante che la produttività aumenta e l'occupazione operaia si riduce.
Questo, diciamolo chiaramente, è un attacco a occupati e disoccupati, che si ispira ad una vecchia logica capitalistica in base alla quale l'unico fattore comprimibile è quello dei salari; una vecchia teoria, liberista e reazionaria, che ha sempre funzionato attivamente nei periodi di crisi (si parla di sacrifici). Mi guardo bene dall'attribuirla ad Alberton, perch conosco le sue idee, ma devo dire che egli, per quanto involontariamente rischia di farla propria se non pone mente ai processi in atto. Perché di questo si tratta: non scendono in sciopero 900 mila operai e lavoratori per un capriccio, o per una esercitazione pararivoluzionaria. Se qualcuno di voi è stato questa mattina in piazza Solferino avrà avvertito quale atmosfera di tensione vi fosse, di rabbia, come diceva Rossi. Queste sono le cose, i processi che la gente, con la g maiuscola o minuscola, vive.
Con molta calma, ma anche con molta chiarezza, desidero dire che, sulla base di questa politica cui accennavo poco fa, con noi non si stabiliscono compromessi o accordi nemmeno di breve durata. E' bene che questo lo si sappia.
Ma torniamo all'argomento crisi-ripresa. Permangono preoccupanti indicatori di questa situazione di crisi, che ne confermano la natura strutturale, non congiunturale, da noi più volte denunciata. Credo sia di grande significato, allora, il fatto che proprio in un momento in cui al massimo livello nazionale, in sede politica, si apre un dibattito sulla riconversione, le grandi organizzazioni sindacali abbiano aperto le vertenze nei grandi gruppi, per porre non tanto il problema salariale quanto dell'occupazione e degli investimenti nel contesto della riconversione produttiva e del riequilibrio territoriale. L'FLM regionale mi ha mandato una nota, che tutti potete vedere, in cui spiega come il rivendicato ripristino del "turn-over" (abbiamo già parlato più volte, qui del controllo numerico della Olivetti, della "127" alla Fiat) non pu riproporre logiche del passato e creare nuovi flussi di immigrazione.
Dobbiamo allora risolvere un problema molto delicato: nello stesso momento in cui rifiutiamo una politica di "sviluppo zero" in Piemonte, dobbiamo evitare che il nostro intervento assuma poi, oggettivamente, senza volerlo un carattere antimeridionalista. Da questa situazione non si esce se non con una politica coerente, regionale e nazionale, torno a sottolinearlo una politica di ampliamento della base produttiva su area nazionale, con nuovi insediamenti nel Mezzogiorno e una riqualificazione dell'apparato al Nord.
Ma veniamo al dunque, signori Consiglieri, prendiamo il toro per le corna, esaminando il progetto di ristrutturazione e riconversione che il Governo ha presentato, sulla base (come suggeriva Bianchi) proprio delle esperienze che come Regione abbiamo fatto in materia di credito agevolato cioè di quel sistema di incentivi che, Simonelli ricordava, si è dimostrato inefficace. Rossi ha già ricordato come, del resto, questo strumento dovrebbe essere elemento anche di incentivazione e di realizzazione dello stesso Piano regionale. Consentitemi di fare a questo punto una considerazione puramente esplicativa. Questa Giunta, come loro sanno signori Consiglieri, è da molti mesi ormai costantemente, sistematicamente presente là dove un campanile, cioè una, ciminiera: rischia di spegnersi là dove c'è un problema occupazionale aperto, là dove un posto di lavoro è minacciato.
Vuoi dire qualcosa, Consigliere Bianchi?



BIANCHI Adriano

Sorridevo del tuo lapsus di poco fa, per il fatto che può proprio darsi che si richiedano anche interventi per i campanili, di questi tempi...



ALASIA Giovanni, Assessore ai problemi del lavoro

Sarebbe meglio pensare prima a riparare le ciminiere. Dico questo non per essere irriguardoso verso la Chiesa cattolica, nostra comune madre, ma perché mi pare che occorra, prima di pensare ai campanili, provvedere a procurare alla gente il necessario per la vita.



BIANCHI Adriano

Non era nel senso che hai ritenuto, la mia interruzione. Volevo semplicemente riconoscere con Bontempi che, in questi momenti di crisi morale, sarebbe opportuno che si facesse qualcosa anche per elevare lo spirito, perché il pane è anche in funzione di una impostazione di vita.



ALASIA Giovanni, Assessore ai problemi del lavoro

Non lo metto in dubbio, Bianchi. Ti ho già detto che qualche settimana fa sono andato ad una Messa officiata dal Cardinale mons. Pellegrino per la Cimat: l'ho fatto non per atto di presenza formale e nemmeno per un falso atto di fede, ma per capire cosa si muove in un certo mondo che per tradizione, e per altre ragioni, non mi appartiene, ma con il quale sento di avere dei punti in comune.
Dicevo che noi stiamo facendo un vero e proprio tour de force recandoci ovunque vi sia qualche minaccia per i posti di lavoro (sono stato anche ad Omegna). Dei passi fatti riferiremo nel consueto quadro che periodicamente compiliamo. Domani ci attendono sette riunioni in fabbriche diverse. Seguiremo tutte le vicende, desidero dirlo, opponendoci intransigentemente ad ogni licenziamento. Perché là dove la mobilità si traduce nel passaggio dall'occupazione alla disoccupazione c'è poco da discutere. L'economia per noi non è qualcosa di astratto: noi la guardiamo in funzione della classe operaia, dei lavoratori. Siamo però anche sempre intervenuti nei meccanismi assistenziali dell'IPO-GEPI, della Cassa integrazione, rilevando (e anche di ciò i verbali ci sono buoni testimoni) molto responsabilmente che queste situazioni parassitarie devono durare il meno possibile.
Ma, detto questo, signori Consiglieri, noi sentiamo altrettanto acuta l'esigenza di poggiare questo sforzo su una base che sia la meno precaria possibile, la meno fragile, lo dico apertamente, la meno contingente, e che abbia maggior respiro per i lavoratori colpiti e per l'economia più in generale. Sappiano, in altre parole, che una economia non si riconverte se non ha una mobilità.
Ma quale mobilità? Come si può e si deve cambiare? Come vanno utilizzate le risorse? Con quali strumenti di decisione, con quali strumenti di controllo? Io ho avuto, signori Consiglieri, in questi pochi mesi di Assessorato la sconcertante esperienza, periodicamente, delle nostre presenze e dei nostri esami a livello nazionale per i finanziamenti per la 464 e la 1470.
Prima delle riunioni a Roma, ed anche durante le istruttorie, venivano tutti in Regione - sindaci, sindacalisti, padroni, imprenditori, anche voi in alcune circostanze, cari Colleghi dell'opposizione - a segnalarmi questa o quell'altra richiesta. Ognuno aveva certamente una ragione valida per farlo, perché ogni punto di vista che riguardi il lavoro, a Chieri come sotto un altro campanile, o sotto un'altra ciminiera, in questa situazione di assoluta assenza di un quadro di riferimento programmatorio, è certamente degno di attenzione.
Sono convinto con Alberton che la riconversione non è una operazione "una tantum", ma un processo. Ma allora si tratta fin d'ora di vedere se gli strumenti corrispondono alle esigenze di assecondare questo processo.
Ho tratto la convinzione, per l'esperienza istruttoria che ci siamo fatta in questa materia, che si debba procedere ad un profondo riordino della materia del credito a tasso agevolato, stabilendo criteri nuovi per un nuovo utilizzo. Debbo dire che, per quel che è stato possibile - l'avevo già detto, ma lo ripeto a scanso di equivoci -, la Regione ha sempre cercato di fare le istruttorie più serie possibili su questa materia.
Quando parlavo di dare a Cesare quel che è di Cesare non lo dicevo a caso ma con tutta serietà, perché non è sempre possibile fare una istruttoria seria. A me è capitato di vedermi gettare sul tavolo da un Ministro un pacco di richieste e sentirmi chiedere, sic et simpliciter, che cosa ne pensavo. E' come se io vi porgessi la guida telefonica e vi chiedessi che ne pensate di coloro che vi figurano elencati. Questo non si può definire istruttoria.
Quindi, noi ci siamo sempre orientati ad esprimere un parere positivo là dove c'era la composizione di un accordo sindacale che garantiva l'occupazione. Ma dico di nuovo, con franchezza, che sentiamo che questo non basta; che non sempre questo può rispondere a criteri di selezione economica, se non si inquadra il caso singolo in una visione di insieme, in una politica di piano nazionale e regionale che fissi priorità e selezioni.
Non è più possibile lasciare che la gestione avvenga caso per caso, senza criteri di scelte settoriali, merceologiche, zonali, senza una politica che la decisione venga, in ultima analisi, dagli istituti di credito, senza un peso reale delle Regioni.
Noi ci siamo incontrati, il 21 ottobre, con le Regioni che sono citate nell'elenco a vostre mani, per esaminare i progetti governativi per la riconversione, di cui avete a disposizione il testo, oltre ad una nota più diffusa che era stata inviata insieme. Posso quindi astenermi dal diffondermi sul nostro giudizio circa questi meccanismi, rimandandovi a quella nota. Chiedo però al Presidente la cortesia di far sì che queste due note vengano formalmente recepite come allegati agli atti di questo dibattito, perché sono, a nostro avviso, assai indicative sia circa i modi di intervenire in Regione sia circa i modi di influire su scelte nazionali a noi tutt'altro che estranee.



PRESIDENTE

Era iscritto a parlare l'Assessore Ferraris, ma ha rinunciato.
Interverrà ora a chiusura del dibattito il Presidente della Giunta.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Signori Consiglieri, siamo giunti al termine di un dibattito di cui molti degli intervenuti hanno rimarcato a ragione l'interesse e l'importanza, che, incentrato su un tema che accomuna le forze politiche nella ricerca delle vie di superamento pur nella diversità delle valutazioni e delle proposte emerse, ha però spaziato su una vasta gamma di problemi.
Là crisi economica non è infatti un problema che grava su un partito, o su una classe sociale, o su un livello istituzionale, ma, per la sua estensione e gravità, coinvolge le forze politiche che vogliono un Paese democratico e tutto rassetto istituzionale che di questa problematica deve farsi carico. E in tal senso questo dibattito mi pare abbia dato un contributo molto importante.
In questo contesto, pur nella diversità dei ruoli e delle responsabilità politiche, presenti e passate, vanno impostati questo dibattito e lo spirito stesso delle sue conclusioni.
Tutte le forze presenti si sono espresse sulla crisi nazionale ed i possibili rimedi ad essa. Certo, le difficoltà che travagliano l'economia italiana non sono esclusive della nostra economia, ma toccano, in diversa misura, tutti i Paesi occidentali (ci riferiamo costantemente alla sfera occidentale perché in essa ci troviamo collocati: lo preciso anche per cogliere alcuni spunti che ci ha offerto il Consigliere Bianchi su questa problematica). Si tratta di problemi di vasta portata, che oltrepassano i confini regionali, e che assumono aspetti particolarmente gravi in Italia paese fra i più deboli nella economia europea.
I numerosi interventi svolti nel corso di questo dibattito, ma anche di quelli precedenti, hanno indicato, con una vasta concordanza, anche se presentante aspetti diversi, che vi è una valutazione analoga inerente la situazione italiana, caratterizzata da una particolare "emergenza" che richiede l'impiego di tutte le energie e soprattutto una volontà politica chiara, volta al superamento della crisi.
Abbiamo riscontrato una notevole convergenza sul tema del potenziamento della politica fiscale (stamane Benvenuto diceva che su taluni principi generali siamo sempre tutti d'accordo, ma sul modo di applicarli l'accordo sfuma) in alternativa all'impiego tradizionale, tuttora in auge presso il nuovo Governo, della leva monetaria, sia per ottenere maggior copia di risorse da destinare agli investimenti produttivi, sia per ridistribuire il carico delle imposizioni su categorie della nostra società.
Siamo consapevoli che soltanto procedendo in questo modo, soltanto modificando strutturalmente la linea di intervento, cioè effettivamente investendo nei settori produttivi ma sotto aspetti veramente nuovi, potremo chiedere ulteriori sacrifici ai lavoratori a reddito fisso, che vedono invece costantemente gravare sulle proprie già limitate risorse economiche il peso della crisi, senza intravvedere le finalità e l'utilità globale di questi sacrifici (sulle ultime decisioni del Governo non ci troviamo affatto d'accordo appunto perché non si riesce a vedere quali nuove linee di intervento possano sortire da questi sacrifici).
Si è parlato, nel corso del dibattito, del metodo dei "due tempi" come politica dilazionatrice, sostanzialmente inaccettabile perché inefficace mentre occorre invece allargare la base produttiva e modificare la destinazione delle risorse disponibili, evitando inoltre il proseguimento della logica negativa degli interventi dispersivi, episodici, a pioggia condizionati più dalla volontà di perseguire una politica clientelare che dalle concrete prospettive di buoni risultati.
Certo, la situazione è difficile, per non dire drammatica. Anche la manifestazione svoltasi questa mattina, cui hanno partecipato migliaia di lavoratori, ha dimostrato la tensione e la preoccupazione esistenti.
Di fronte a questa gravità, di cui abbiamo piena consapevolezza, noi vogliamo assumere una posizione attiva. Ecco la parte centrale del dibattito avvenuto in seno al Consiglio regionale. Il governo della Regione, nell'ambito delle sue risorse, può e vuole intervenire, in maniera attiva, senza limitarsi a dichiarare il suo rifiuto puro e semplice di determinate linee che sono ancora emerse. Il Piemonte è una tra le Regioni che hanno le maggiori possibilità di incidenza a livello della politica economica nazionale, e noi intendiamo avvalerci di tutto il nostro peso politico per orientare scelte ed interventi economici in funzione anticrisi.
Riteniamo che questa possa essere la conclusione politica di fondo di questo dibattito per quanto riguarda il governo regionale: una assunzione piena di responsabilità.
Del resto, la Giunta ha già concretamente operato in questa direzione innanzitutto con l'elaborazione delle proposte di Piano regionale di sviluppo.
Al proposito non si può dimenticare come, in assenza di un piano nazionale chiaro ed operativo, sia ben difficile definire rigorosamente tempi ed obiettivi, in quanto essi potrebbero essere vanificati da decisioni che sfuggono alla nostra portata (in questo vogliamo collocarci nella problematica cui ha fatto cenno il Capogruppo Bianchi). Certamente questo non può essere un elemento frenante.
D'altronde, la Regione ha avviato una serie di progetti, proprio maturando tutta una esperienza che si era venuta formando nei cinque anni precedenti; progetti che in parte sono già divenuti azioni programmatiche dotate di un finanziamento annuale o pluriennale. Vorrei a questo proposito aprire una polemica, cordialissima, con il Consigliere Bianchi. Io penso che al Capogruppo democristiano, per il quale abbiamo grande stima, sia sfuggito in uno slancio emotivo quella affermazione rispetto alla portata del Piano di sviluppo, perché se così non fosse la sua dichiarazione equivarrebbe ad un rifiuto di tutta una politica che è stata avviata con le indicazioni statutarie e che si è tradotta in una serie di studi e di esperienze che possono essere accolte o rifiutate ma che hanno portato poi alla redazione del Piano.
Non pretendiamo certo di aver inventato tutto noi, l'aria e l'acqua: diciamo che vogliamo trasformare una società insieme; senza lasciarci fuorviare da momenti di tensione e da emotività, proseguiamo per la nostra strada, sicuri di poter contare sulla grande forza che ci proviene dalle classi popolari, per realizzare una serie di progetti che saranno indicati non solo da noi ma da tutta la comunità regionale.
Come dimenticare che abbiamo già potuto incidere sensibilmente nel settore dei trasporti, in quello dell'agricoltura (è di quest'anno la costituzione dell'Ente di sviluppo, e delle linee che esso si è dato per procedere rispetto a tutta la problematica dell'agricoltura ne abbiamo discusso proprio l'altro giorno in Giunta), in campo sociale in genere con opportuni interventi (da pochi asili nido che abbiamo trovato in funzione siamo arrivati a superare il centinaio, con le nuove costruzioni, ed entro il '77 ne avremo circa duecento)? E' un piano in parte già in via di applicazione, perché la comunità ce l'ha richiesto, e perché era tempo che si mettesse in pratica qualcosa almeno di quanto è andato maturando dal '72 fino ad oggi, con un processo molto lungo, molto difficile, che ha avuto ritardi di cui non vogliamo andare ora a ricercare le eventuali responsabilità. Come dimenticare che già per la problematica relativa al settore della casa siamo intervenuti nei cosiddetti centri storici periferici, come Leumann, la Snia Viscosa nei centri storici delle città, nell'assetto stesso del territorio e nella gestione urbanistica, attraverso tutta una serie di strumentazioni che sono già all'esame del Consiglio regionale? Si vorrebbe forse cancellare ora un processo iniziato molti anni addietro, frutto di esperienze, meditazioni, confronti, di cui oggi siamo i portatori insieme a tutta la comunità, dopo aver modificato certe linee che ci sembravano ormai superate e da abbandonare? Dobbiamo dire, pertanto, al Capogruppo Bianchi, al quale peraltro dichiariamo tutta la nostra stima e la nostra ammirazione per la sua attività, che non possiamo accettare nemmeno quella forma garbata di ricatto che consiste nel dire: o è così oppure noi andremo allo scontro rispetto a questo. Il piano, ormai, è in fase di applicazione. Avrei compreso, Consigliere Bianchi, se lei si fosse innestato su questo processo per confrontarlo, per modificarlo in meglio, ma non mi aspettavo il rifiuto di un processo che è già in corso, per determinate scelte che la collettività ci ha imposto, che i lavoratori hanno voluto, maturate già da precedenti esperienze, non solo di oggi.
Noi crediamo, inoltre, che la Regione debba guardare anche al di là dei suoi confini, in modo da realizzare al meglio i suoi programmi di infrastrutturazione, di espansione dei consumi sociali e di rilancio dell'occupazione. Sono problemi che ha trattato Alasia rispetto alla problematica della nostra competenza e del ruolo attivo che la Regione ha svolto in questi mesi.
Infatti, obiettivi di ammodernamento e di riconversione risultano largamente comuni ed investono tutte le Regioni italiane, oltre ad essere un'esigenza costante per ogni sistema produttivo.
Siamo ben consci dei pesanti vincoli interni ed internazionali che oggi condizionano la nostra economia, del "sospetto" con cui si guarda all'Italia, come "partner" economicamente troppo debole, da parte dei Paesi più forti dell'area comunitaria.
Infatti, dopo il 1973 sono venuti al pettine, in concomitanza con la crisi petrolifera e col modificarsi delle ragioni di scambio internazionali, alcuni dei nodi strutturali che più gravemente affliggono lo sviluppo italiano. L'accumulazione fondata sui bassi salari non è più possibile, così come il peso di una amministrazione pubblica inefficiente ed eccessivamente numerosa, con fasce parassitarie che devono essere rimosse, costituisce una remora troppo grave per una conduzione del Paese più rispondente ai suoi reali bisogni.
In particolare in questo settore la Regione ha operato un "taglio" deciso per le spese superflue o contenibili, riducendo al massimo i costi di gestione, come dimostrano le pubblicazioni con l'indagine che abbiamo condotto.
Anche in campo nazionale si impone analogo orientamento, in un'ottica certo più generale, che porti alla eliminazione degli Enti inutili, che nonostante tutti i tentativi di eliminarli, continuano a rimanere in piedi con l'applicazione immediata della legge.
Si impone, cioè, nelle attuali più difficili condizioni, una svolta reale nel campo della politica economica, che, mediante un dosaggio ed una attenta selezione delle scelte - anche non indolori - da compiersi, ponga su basi più solide la ripresa. Perché, come avete visto, le crisi ricorrono ad intervalli sempre più brevi: nei decenni scorsi si ripetevano a distanza di anni, oggi vi ricadiamo nel giro di mesi.
Analoghe considerazioni valgono a livello territoriale: il Nord ed il Sud, sebbene in diversa misura, sono stati entrambi colpiti dalla recessione. E' caduto il livello di occupazione della forza lavoro, gli investimenti hanno subito notevoli contrazioni, il deficit del settore pubblico si è ovunque ulteriormente aggravato.
Ciò che occorre oggi, tanto al Nord quanto al Sud, tanto al Piemonte quanto alla Basilicata, è l'avvio in tempi ristretti di una politica economica programmata, che eviti ogni spreco delle scarse risorse disponibili, che sostenga i settori e le imprese più dinamiche riqualificando tanto la domanda quanto la composizione dell'offerta in modo più consono alle esigenze del mercato interno ed internazionale. Non si pu trascurare la necessità della programmazione. Siamo stati a Bruxelles: in tutti gli incontri che abbiamo avuto ci veniva domandato a tutte lettere: ma come programmate, come intervenite, secondo quali piani? Ci siamo trovati in difficoltà a rispondere, dal momento che né nazionalmente, n in quel momento, regionalmente, ci eravamo dotati di qualche piano, a differenza di quanto ormai comunemente avviene per tutti i Paesi dell'area comunitaria.
Non possiamo, cioè, credere di poter mantenere il nostro posto tra i primi dieci Paesi industrializzati, e, come Regione Piemonte, di guadagnare terreno rispetto ad altre aree dell'Europa occidentale che hanno un reddito per persona quasi doppio del nostro, se non imbocchiamo questa via e non ci assumiamo, ciascuno nel suo ambito, le nostre responsabilità.
Accanto alle forze del mondo sindacale, i politici, ai vari livelli in cui sono impegnati, non possono esimersi dall'esaminare tutte le possibilità di intervento per favorire la ripresa produttiva. In questo consiste la parte attiva che deve svolgere il governo regionale.
Questa esigenza e linea di condotta politica è stata più volte evidenziata dal Piemonte negli incontri fra Regioni avvenuti con il Ministro Morlino, cui sono state prospettate le possibilità di intervento delle Regioni, se sollecitamente verranno completate le competenze legislative che consentiranno un migliore coordinamento degli interventi coordinamento indispensabile per materia e a livello territoriale. In questo contesto la Regione ha consapevolmente avviato ed intende continuare con iniziative in particolare nel settore dei trasporti (piano autobus) individuando con i Comuni forme coordinate di potenziamento di questo servizio.
A nostro giudizio, è il momento di rilanciare la possibilità di una programmazione democratica - non abbiamo dubbi sulla necessità di assolvere questo impegno, non possiamo nemmeno pensare di sottrarci al dovere statutario che tutti insieme abbiamo assunto - come momento di incontro tra forze economiche sociali e locali e di definizione di obiettivi realmente perseguibili nell'interesse comune, con riferimento in particolare all'agricoltura ed alla ristrutturazione-riconversione dell'apparato industriale. (Se questo era il richiamo che intendeva farci il Consigliere Bianchi, noi l'accettiamo).
Sappiamo bene che si tratta di scelte su cui le Regioni hanno scarse competenze. Al di là del discorso delle specifiche competenze che particolarmente per la politica industriale dovranno essere potenziate, le Regioni assumono un ruolo prevalentemente politico e di stimolo e coordinamento degli interventi di Comuni, Consorzi di Comuni, e, in un futuro ormai vicino, dei Comprensori.
Un contributo significativo potrà derivare dalla attuazione sollecita del Piano di sviluppo (già siamo in fase di realizzazione, come ho accennato, di molte parti dei progetti che abbiamo proposto e che la società civile in questi anni ci ha chiesto ed anche che da una adeguata legislazione che sostenga da un lato - per quanto parzialmente - la domanda e dall'altro predisponga le condizioni esterne più favorevoli per la destinazione ottimale delle risorse imprenditoriali.
Sono note le difficoltà, nonostante gli accenni di ripresa del settore industriale in Piemonte, che le aziende grandi e piccole incontrano nell'autofinanziamento o nel reperimento di capitali a tassi accettabili date le procedure degli Istituti speciali ed il costo attuale del denaro.
Il raggiungimento di valide economie alterne si accompagna, tra l'altro, al superamento, nell'ottica del Piano che tende al riequilibrio del territorio, delle cosiddette "diseconomie da agglomerazione e da congestione" che si sono da tempo manifestate in termini anche drammatica in alcune zone dell'area metropolitana torinese. Sono noti a voi tutti i costi crescenti per le diseconomie che si realizzano e gravano sui nostri bilanci proprio per questa concentrazione e questa congestione.
Perciò, la predisposizione di aree attrezzate - mi riferisco al discorso di Benzi - capaci di attrarre numerose aziende piccole e medie od aziende artigiane, la costituzione della Finanziaria regionale pubblica che si prefigga l'infrastrutturazione ed il sostegno in campi svariati all'attività di tali imprese, sono obiettivi di questa Giunta di immediata e concreta rilevanza, che cerchiamo già di raggiungere: la trattativa per le aree attrezzate con i Comuni e con i Consorzi di Comuni è ad un punto di avanzata definizione.
Non si può, infatti, dimenticare che in Piemonte le imprese minori e quelle artigiane occupano la grande maggioranza della forza lavoro (108 mila imprese artigiane, 410 mila addetti, cioè oggi arriviamo quasi a tre volte la Fiat, come rapporto di forza-lavoro), e che in Italia poco più di 100.000 imprese superano il 90 per cento del totale.
Già l'Assessore Alasia ha detto della grande attenzione che la Regione ha posto alla difesa dei livelli occupazionali compromessi dalla crisi, non tanto nella difesa ad oltranza di imprese "obsolete" (e in questo concordo anche con quanto ha detto il Consigliere Benzi) o fuori mercato, con possibilità per i rispettivi dipendenti di trovare occupazione in altre aziende del ramo o in comparti affini, quanto al fine di non lasciare nulla di intentato affinché i lavoratori non debbano pagare la crisi in termini di disoccupazione ed in termini di oneri diretti ed indiretti.
Notevole rilievo è inoltre dedicato al problema dell'occupazione giovanile - ho già accennato all'inizio di seduta alla proposta di legge che il Governo presenterà, in cui le Regioni avranno un ruolo grandissimo su cui verranno prossimamente chiamate a discutere le forze politiche economiche e sociali in una conferenza sull'occupazione. Di qui l'impegno massiccio della Regione al riordino di tutto il settore della formazione professionale e l'attenzione volta a tutto il settore culturale della ricerca ed universitario.
Desidero inoltre ricordare qui, sia pur sommariamente, gli impegni della Giunta regionale per gli asili nido, i servizi sociali, i programmi di edilizia pubblica residenziale e gli altri interventi più generali, ma volti ad una riorganizzazione e programmazione territoriale e di coordinamento, quali la legge per tutela ed uso del suolo, la legge-quadro per i trasporti, gli interventi in agricoltura, il piano dei parchi, che costituisce un momento importantissimo del rapporto diverso uomo-natura che noi intendiamo creare, all'interno soprattutto delle grandi aree urbane.
Certo, molto rimane da fare, ma nel tipo di dibattito che il Consiglio regionale ha svolto dobbiamo anche dire che il governo regionale non è stato fermo, ma ha operato, pur nei limiti delle sue risorse, per contrastare la crisi dilagante.
Vogliamo continuare con maggior forza in questa direzione. Siamo convinti che nell'attuale situazione non si possa intervenire soltanto con interventi settoriali e limitati alla pura ricerca di risorse economiche.
Non vogliamo strappare più soldi allo Stato: vogliamo strappare competenze precise, definire il ruolo, definire gli interventi, definire un quadro programmatico, infine, mobilitare le risorse nel loro insieme.
Ciò che serve, in realtà, è una radicale trasformazione del modo di operare delle forze politiche e delle istituzioni, che devono orientare tutta la loro politica a questo obiettivo.
In questa ottica individuiamo il ruolo effettivo delle Regioni nell'impostazione di un "modo di governare" complessivamente orientato in tutti i suoi aspetti al superamento della crisi.
Di qui l'importanza di un coinvolgimento alle scelte economiche e di piano di tutta la comunità, non per strappare un consenso ai lavoratori, ma per responsabilizzarli e farli partecipi di un rapporto delle autonomie nei confronti del Governo e del Parlamento.
Credo che in questo senso la Regione, pur nella modestia dei suoi mezzi (che il Consigliere Benzi ha giustamente richiamato: ma se ci si colloca in una parte attiva di proposta politica che raccoglie consenso si mobilitano le risorse esistenti all'interno della comunità) e delle sue competenze abbia cercato di muoversi nella via giusta, rivendicando da un lato di essere un interlocutore nelle scelte e nelle decisioni del Governo effettuando dall'altro, al proprio interno, una politica di rigore e di massima apertura a tutti i contributi costruttivi volti a riportare il Piemonte al di fuori delle "secche" della recessione. Anticipando sul quadro che daremo alla fine dell'anno, dico fin d'ora che siamo riusciti a ridurre grandemente, se non proprio ad eliminare del tutto, i residui passivi esistenti all'interno, fatto che noi riteniamo molto positivo.
La ripresa in atto, abbastanza consistente per alcuni rami industriali potrebbe anche risentire duramente dei contraccolpi dei provvedimenti governativi; non vi sono garanzie di tenuta e di rafforzamento della presenza italiana e piemontese sui mercati internazionali senza l'introduzione di notevoli innovazioni tecniche e senza più sostanziosi investimenti. Queste distorsione dovute alla carenza di una logica programmatoria - questo aspetto dobbiamo collocarlo esattamente, pur con novità, nell'ambito della programmazione, - perché, come diceva giustamente l'Assessore Astengo, la programmazione che occorre oggi non è certo più quella illusoria dei Rufolo Giolitti, che credette ai suoi tempi di poter risolvere tutto attraverso schemi di programmazione, senza agganciarsi alla realtà del Paese - che metta in relazione la domanda e l'offerta di lavoro hanno un prezzo, anche in termini umani e morali, non indifferente.
Pensiamo che la Regione, a questo riguardo, debba avviare un'opera di sintesi e di indirizzo generale, collegando i problemi della scuola con quelli del mondo del lavoro, quelli economici con quelli istituzionali, per porre le basi di un effettivo rinnovamento.
La Giunta ha manifestato una ferma volontà di cambiare indirizzi e metodi di lavoro, attraverso la mobilitazione e la consultazione permanente di tutte le forze disponibili.
E' noto come la mancanza di forme di efficace coordinamento negli interventi abbia costituito una delle ragioni fondamentali dell'inefficienza della pubblica amministrazione: settoriale, non collegata nell'insieme, dispersiva, abituata allo spreco. La Giunta intende cambiare questo stato di cose attraverso una programmazione per obiettivi che permetta di stabilire forme di integrazione funzionale fra diversi settori dell'Ente pubblico, consentendo inoltre una valida selezione degli interventi in rapporto alle necessità da soddisfare, evitando quindi sprechi ed iniziative sovrapposte, nella ricerca di soluzioni costruttive in un momento in cui il Paese ha bisogno di canalizzare - tutte le risorse finanziarie e morali disponibili. L'esigenza di un maggior rigore morale si impone ovunque, tanto nella pubblica amministrazione quanto nella scuola affinché i pesanti compiti che ci stanno di fronte vengano affrontati con le dovute competenze e con senso di responsabilità.
La Giunta, nonostante tentativi di strumentalizzazione ed erronee informazioni, che - non mi stancherò mai di ricordare - nuocciono non soltanto alle persone cui sono dirette ma a tutte le istituzioni, ha sempre operato evitando metodi e schemi strumentali che appartengono al passato tendenti a favorire interessi particolari. Le sue scelte hanno voluto seguire esclusivamente una logica politica e perseguire l'interesse della collettività regionale, senza rinchiudersi in una visione angusta e regionalistica, consapevole che i problemi del Piemonte sono strettamente collegati all'ottica nazionale.
In questa logica si inserisce anche la proposta del Piano di sviluppo nei cui obiettivi esiste concordanza tra le forze politiche, poiché credo che nessuno di noi contesti la legittimità di perseguire la massima occupazione compatibile con le difficoltà in atto, il riequilibrio del territorio e l'espansione dei consumi sociali.
Vogliamo continuare a confrontare e a discutere con tutte le forze consiliari i mezzi da adottare ed i tempi utili per raggiungere i nostri obiettivi. E pertanto, collega Bianchi, non accogliamo quella sorta di rifiuto che ella ha emotivamente dichiarato - a meno che io abbia interpretato inesattamente le sue parole, nel qual caso mi scuso - qualora non vengano accettate determinate condizioni. Siamo consci che se non procederemo secondo questo metodo non riusciremo ad incidere effettivamente nella realtà regionale della nostra comunità ed a contribuire al superamento della crisi nazionale.
In questa situazione, di fronte alle misure di austerità, all'aumento dei prezzi, alle restrizioni creditizie, crediamo che le Regioni possano utilmente intervenire, verificando con il movimento sindacale e con tutti i lavoratori le possibili scelte, consapevoli che i lavoratori possono accettare questo periodo di austerità, che non potrà essere breve, se si porranno le premesse per la ripresa di domani.
Gli impegni che attendono la Giunta del Piemonte nel settore dei trasporti, della politica del territorio, nella razionalizzazione di tutto il settore dell'informazione possono considerarsi un contributo ai lavoratori per uscire da questa crisi, favorendo interventi della cui utilità i lavoratori possano essere consapevoli.
Il dibattito aperto nel Paese su questi problemi ci dimostra che è necessaria una estrema maturità di tutte le forze e delle istituzioni democratiche affinché, superando spinte irrazionali e qualunquistiche - o peggio, strumentalizzazioni - si possono superare le difficoltà in atto intervenendo sui nodi di fondo della crisi.



PRESIDENTE

Il dibattito sulla situazione economica è dunque concluso.


Argomento:

Rinvio alla prossima seduta consiliare di due punti all'ordine del giorno


PRESIDENTE

Penso non sia opportuno affrontare ora gli ultimi due punti iscritti all'ordine del giorno, le "Nomine RAI-TV" e la "Proposta di modifica allo Statuto regionale" poiché occorrerebbe la presenza in aula di un'assemblea assai più numerosa e molto meno stanca di quella che è presente in questo momento.
Poiché non è opportuno rinviare la discussione su questi due punti a dopo il dibattito sul disegno di legge concernente le direttive comunitarie, suggerisco di trattarli proprio all'inizio della prossima seduta, subito dopo le interrogazioni ed interpellanze. Nessuno ha obiezioni a questo programma di lavoro? La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 19,10)



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