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Dettaglio seduta n.77 del 20/10/76 - Legislatura n. II - Sedute dal 16 giugno 1975 al 8 giugno 1980

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Argomento:


PAGANELLI ETTORE



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PAGANELLI

La seduta è aperta.


Argomento:

Congedi


PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PAGANELLI

E' in congedo il Presidente Sanlorenzo.


Argomento: Commemorazioni

Condoglianze al Consigliere Fabbri per lutto in famiglia


PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PAGANELLI

Interpreto il sentimento del Consiglio intero nel porgere al Consigliere Fabbri - che pure è presente, nonostante avesse precedentemente chiesto congedo - la nostra più viva solidarietà per il lutto che lo ha colpito con la perdita della mamma.


Argomento: Varie

Presenza alla riunione consiliare odierna di una rappresentanza degli studenti dell'Istituto Tecnico Avogadro


PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PAGANELLI

Assiste alla seduta una rappresentanza degli studenti dell'Istituto Tecnico Avogadro, ai quali verrà distribuita una copia dello Statuto della Regione Piemonte e della Costituzione della Repubblica.
A questo primo gruppo di una serie di studenti delle scuole di Torino che assisteranno alle sedute del Consiglio regionale, porgiamo un cordiale saluto. Ci auguriamo che la loro presenza possa servire per una migliore conoscenza dell'istituto regionale e del suo funzionamento.


Argomento:

Presenza alla riunione consiliare odierna di una rappresentanza degli studenti dell'Istituto Tecnico Avogadro

Argomento:

Approvazione verbali precedenti sedute


PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PAGANELLI

Sono stati distribuiti i verbali del 12 e del 14 ottobre.
Vi sono osservazioni? Non ne vedo, quindi si intendono approvati.


Argomento: Organizzazione regionale: argomenti non sopra specificati

Sul ritardo della presenza in aula della Giunta regionale


PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PAGANELLI

Il Consigliere Cerchio chiede di parlare, ne ha facoltà.



CERCHIO Giuseppe

A conoscenza della presenza di studenti che vengono a verificare l'attività del Consiglio regionale, sarebbe stato forse più opportuno che gli amici della Giunta fossero presenti per dare una testimonianza di operatività e di presenza.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PAGANELLI

E' una richiesta che riguarda ovviamente non solo i rappresentanti della Giunta, ma anche i Consiglieri che non sono presenti. Comunque, ci auguriamo che possano arrivare nel frattempo.


Argomento: Rapporti delle Regioni con l'ordinamento internazionale extra-comunitario - Rapporti delle Regioni con l'ordinamento comunitario

Interrogazione del Consigliere Carazzoni: "Iniziative di gemellaggio con regioni della Polonia e dell'Inghilterra e motivazioni di scelte così diverse tra loro"


PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PAGANELLI

Dobbiamo discutere ora l'interrogazione del Consigliere Carazzoni: "Iniziative di gemellaggio con regioni della Polonia e dell'Inghilterra e motivazioni di scelte così diverse tra loro".
Risponde il Presidente della Giunta regionale, Viglione.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Signori Consiglieri, il Consigliere Carazzoni interroga la Giunta per sapere, in ordine ad alcune iniziative che sono state prospettate ma non portate ancora a termine, il motivo del gemellaggio proposto con alcune zone della Polonia e dell'Inghilterra.
In verità dobbiamo dire al Consigliere interrogante che la Regione Piemonte, la Giunta, ma si potrebbe fare riferimento anche al Consiglio regionale, di iniziative intese ad allacciare rapporti con degli Stati o delle regioni europee (parlo di Stati non in senso tradizionale della parola, non in senso di affari esteri, ma di conoscenza approfondita della realtà dei singoli Paesi) ne ha portate a termine molte; altre sono in corso.
Recentemente, in occasione di una visita che una delegazione formata da esponenti del governo polacco e del Partito comunista polacco ha fatto alla Giunta regionale con rappresentanti di Varsavia e di Lublino, fu prospettata un'iniziativa atta ad allacciare alcuni rapporti con (proponemmo noi della Giunta) la zona di Lublino. In altra occasione i rapporti furono allacciati, con Paesi composti diversamente da un punto di vista istituzionale di governo e di forze politiche.
Perché, lei si chiede, iniziative in direzioni così diverse sono state assunte dalla Giunta? Cioè fra un paese socialista come la Polonia e un paese, invece, delle grandi democrazie europee come quello inglese? Proprio perché questa Giunta persegue l'obiettivo di un dialogo con tutte le forze presenti all'interno del nostro Paese, all'interno del Consiglio regionale ed esternamente con tutti i Paesi che intendono far conoscere e conoscere la realtà singola.
Dalla sua interrogazione si evince che lei è turbato da questa distanza di interessi della Giunta, cioè verso la Polonia e verso l'Inghilterra; noi non ne siamo affatto turbati, le diciamo anzi che il dialogo fu iniziato proprio dal Piemonte tanti anni fa (se lei ricorda, l'esperienza cavouriana maturo in molti Stati europei) e non vedo perché la Regione Piemonte, che non è l'erede diretta di Cavour, ma certamente si inserisce in quel filone storico della libertà dell'iniziativa verso gli Stati e verso i Governi e verso la realtà dell'Europa, non debba assumere queste iniziative.
Quindi le rispondo che noi continuiamo su questa strada, perseguiamo questa linea atta ad allargare il cerchio delle reciproche conoscenze delle varie realtà che sono oggi presenti nei Paesi socialisti e nei Paesi invece a regime capitalistico, come lei certamente vorrà definirli.
Quindi respingiamo questa sua tesi che vorrebbe portarci in un'unica direzione e continueremo invece in questa che è stata la linea che fino adesso abbiamo perseguito.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PAGANELLI

La parola al Consigliere Carazzoni.



CARAZZONI Nino

Signor Presidente della Giunta, debbo darle atto che, contrariamente al solito, questa volta lei mi ha risposto non usando la spada, ma giocando di fioretto. Cercheremo di fare altrettanto dicendo subito con molta tranquillità che l'interrogazione presentata ed alla quale lei ha dato un certo tipo di interpretazione, altro non era e altro non voleva essere che un espediente per sollevare in quest'aula una questione ben diversa e ben più pericolosa, da qualunque punto di vista la si voglia giudicare.
Lei ha risposto dicendo: la Regione Piemonte intende colloquiare indifferentemente all'Est ed all'Ovest, intende conoscere e far conoscere le proprie realtà e le realtà altrui al di qua e al di là della cortina di ferro, questa è la politica che già era di Cavour e che noi, da un certo punto di vista, intendiamo continuare.
Il punto è un altro, signor Presidente, il punto è che io credo che con la proposta di gemellaggio da lei fatta con una regione della Polonia, lei abbia molto male proseguito, molto male interpretato, molto male si sia adeguato a quella che è invece la linea dei suoi compagni comunisti di Giunta e di maggioranza.
Vede, signor Presidente, sarebbe anche facile dire che i gemellaggi da tempo sono stati definiti nei sacri testi delle sinistre come iniziative folcloristiche, non hanno in sé alcuna propria validità; e basterebbe questo per dire che allora è strano che una Regione di sinistra.



ROSSI Luciano

E' del tutto gratuito, lei vive di fantasia.



CARAZZONI Nino

Consigliere Rossi, la politica si fa anche con un briciolo di fantasia.



ROSSI Luciano

Ma c'è un limite.



(Il Gruppo consiliare del P.C.I. esce dall'aula)



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PAGANELLI

Voglio ricordare che siamo in sede di interrogazione e che il Consigliere interrogante deve dire se e soddisfatto o meno della risposta motivando succintamente le sue argomentazioni.



CARAZZONI Nino

Mi devo sorprendere della reazione inusitata dei colleghi comunisti non ho detto assolutamente niente, credo, di offensivo nei confronti loro sto solo dicendo che il Partito comunista (cambiamo il tono dell'intervento) avvalendosi degli incarichi ricoperti in questa maggioranza, sta portando avanti una politica di estrema pericolosità appunto con l'invio di delegazioni all'estero che, guarda caso, sarebbe un grosso errore liquidare sbrigativamente come iniziative di viaggi turistici perché vanno a finire non nei Paesi oltre cortina, ma vanno a finire proprio nei Paesi dell'Europa occidentale, proprio in quei Paesi (Inghilterra, Francia, Germania) dove, grazie a Dio, sussistono ancora forti diffidenze e resistenze nei confronti dell'eurocomunismo. I comunisti approfittano di queste iniziative...



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PAGANELLI

Consigliere Carazzoni, mi consenta di ricordare che se si vuole fare un dibattito su questo argomento, non mancano ai Consiglieri le opportune occasioni, anche a termini di regolamento. Adesso siamo in sede di interrogazione e vorrei che la discussione si attenesse all'oggetto dell'interrogazione.



CARAZZONI Nino

Mi sto attenendo all'oggetto dell'interrogazione.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PAGANELLI

Lo so, lo so, ma nei termini e nei limiti del regolamento Se lei vuole proporre il dibattito, il regolamento lo consente.



CARAZZONI Nino

Lei sa benissimo che questa Regione ha mandato una delegazione in Inghilterra e che a distanza di un mese in quest'aula non è stata ancora portata una relazione del viaggio. Il dibattito lo si potrebbe fare in quell'occasione.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PAGANELLI

Mi scusi, Consigliere Carazzoni, lei sa che la delegazione è stata presieduta dal Presidente Sanlorenzo, che oggi è assente per improrogabili impegni.



CARAZZONI Nino

Non mi dirà che voglio approfittare di questa coincidenza!



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PAGANELLI

. e non mi sembra corretto discutere di questo proprio oggi.



CARAZZONI Nino

Allora mi atterrò strettamente al tema dell'interrogazione, auspicando che venga questo dibattito e concluderò molto rapidamente - anche perch non vorrei che mi si accusasse di approfittare della fortuita assenza del Presidente Sanlorenzo - per dire che ritengo stonata e fuori dal quadro oggi perseguito dalla Regione Piemonte, l'iniziativa assunta dal Presidente della Giunta, che evidentemente non ha capito una cosa, non ha capito che in questo momento al PCI servono i gemellaggi con le Regioni occidentali non con le Regioni d'oltre confine, perché serve al PCI farsi messaggero dell'eurocomunismo in quei Paesi.
Il Presidente della Giunta - mi scusi - è rimasto fermo ai tradizionali gemellaggi che esistevano una volta tra Comune rosso e Comune d'oltre cortina, tra Provincia rossa e Provincia d'oltre cortina, tra Regione rossa e Regione d'oltre cortina, ma è un pochino superato, mi consenta di farglielo benevolmente notare; anche se socialista, in altre parole è rimasto all'epoca di Stalin, gli altri sono già all'eurocomunismo.


Argomento: Agricoltura: argomenti non sopra specificati

Interrogazione del Consigliere Franzi: "Atteggiamento della Giunta sull'opportunità di proporre al Parlamento la modifica della legge 25.5.1970, n. 364"


PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PAGANELLI

Procediamo con l'interrogazione del Consigliere Franzi: "Atteggiamento della Giunta sull'opportunità di proporre al Parlamento la modifica della legge 25.51970, n. 364".
Risponde l'Assessore Ferraris.



FERRARIS Bruno, Assessore all'agricoltura e foreste

L'atteggiamento della Giunta in ordine alle richieste del Consigliere Franzi è indubbiamente favorevole, abbiamo avuto occasione di affermarlo più di una volta ed in ripetute riunioni con gli altri colleghi Assessori lo abbiamo rappresentato anche al Ministro dell'agricoltura.
Più recentemente, cioè martedì scorso, durante la riunione che ha visto presenti quasi tutti gli Assessori delle Regioni assieme al Comitato ristretto della Commissione agricoltura della Camera, presente anche, in rappresentanza del Ministro, il Sottosegretario Mazzotta, il problema è stato posto e per iniziativa di chi parla è stato anche incluso nel documento conclusivo dell'incontro. Questo documento ovviamente ha affrontato i problemi più complessi: rifinanziamento delle Regioni rifinanziamento della legge 512, piani speciali proposti dal Governo ma che non si conoscono ancora, regionalizzazione dei fondi di dotazione, i problemi sollevati dalle manifestazioni di questa estate da parte dei viticultori (cioè i problemi delle frodi), vi è un preciso riferimento all'esigenza della regionalizzazione del fondo di solidarietà nazionale, o quanto meno, di fronte alle obiezioni presentate sia dal Presidente della Commissione, sia dallo stesso Sottosegretario sulla difficoltà a ripartire anticipatamente un fondo di solidarietà che dovrebbe ricoprire danni che si subiscono soltanto in un certo periodo della stagione, è stata vista la possibilità di trovare una formula che anticipi una piccola parte, con il conguaglio al termine dell'annata agraria, assicurando in ogni caso la regionalizzazione delle procedure e quindi alcune questioni di merito; cioè di contenuto nel senso del miglioramento della legge in sé stessa e dell'adeguamento dei fondi. Come sapete, è già stato attuato un adeguamento, ma non deve trarci in inganno perché riguarda solo quest'anno sono i 50 miliardi di cui si parla sui giornali in questi giorni in relazione in particolare ai danni della siccità. Si e chiesto che il fondo sia adeguato in modo strutturale, nel senso che i 50 miliardi siano portati a 150. Pare che sui cento miliardi sia possibile lo stanziamento di quest'anno in stanziamento permanente.
Infine i problemi del miglioramento dei contenuti e dell'allargamento delle colture tutelate dal fondo, con particolare riferimento all' art. 14 cioè all'inclusione o per legge (e quindi per tutto il Paese) o affidando alle Regioni di determinare in loco quali sono le colture che possono entrare a far parte dei consorzi ed essere coperte dalle previdenze per l'assicurazione.
Queste in sintesi le richieste formulate che, insieme a tutto il resto il Sottosegretario si è riservato di sottoporre al Ministro, mentre abbiamo accertato sui punti di quel documento conclusivo il parere favorevole del Comitato ristretto che era in quel momento rappresentato dal Presidente della Commissione Bortolani, dal Vice Presidente Bardelli e da alcuni altri parlamentari. Questo per quanto riguarda l' azione svolta a livello nazionale.
E' previsto un nuovo incontro fra gli Assessori ed i Ministri, in quella sede ribadiremo, il nostro impegno a modificare quelle leggi che voi conoscete e che per tante ragioni funzionano poco o nulla, come quella per le anticipazioni.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PAGANELLI

La parola al Consigliere Franzi.



FRANZI Piero

Prendo atto che la nostra sollecitazione è valsa a smuovere un pochino le acque per quanto riguarda la modifica della legge 364 sul fondo di solidarietà nazionale. Il problema però (e l'Assessore penso che questo lo sappia) non è tanto quello di ottenere il rifinanziamento del fondo, ma soprattutto quello di ottenere che le Regioni abbiano modo di intervenire quando si verificano i danni atmosferici.
L'Assessore ricorderà che già nel 1973 la passata Giunta aveva proposto una legge per avere la possibilità di costituire un fondo di solidarietà a livello regionale al quale fare affluire i finanziamenti che successivamente sarebbero stati assegnati dal Ministero, ma soprattutto per avere la possibilità di intervenire con la delimitazione delle zone danneggiate dalle avversità atmosferiche a seguito di decreto del Presidente della Giunta.
I produttori agricoli (e penso che l'Assessore sappia anche questo) hanno chiesto l'immediato intervento della Regione, non è sufficiente che si faccia il rifinanziamento in sede nazionale se poi i decreti per gli interventi a sensi degli artt. 5 e 7 della 364 vengono dopo un anno o due non ha più nessun senso, è l'immediatezza, è la tempestività dell'intervento che interessa ai produttori agricoli; gli interessa anche l'allargamento delle possibilità di costituire i consorzi obbligatori per la difesa passiva contro la grandine.
Qui ho sentito dire molto vagamente che sono state fatte delle richieste in questo senso che sarebbero poi da demandare alle Regioni per quanto riguarda l'individuazione delle colture.
Siccome il problema è molto ampio, ritengo opportuno che l'Assessore lo porti in sede di Commissione perché sarebbe gradito conoscerne il pensiero e l'Assessore avrebbe un maggior conforto e potrebbe veramente essere il portavoce di tutte le forze politiche che compongono il Consiglio della Regione Piemonte e non solo di quelle della Giunta.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PAGANELLI

Non vi sono altre interrogazioni.


Argomento:

Interrogazione del Consigliere Franzi: "Atteggiamento della Giunta sull'opportunità di proporre al Parlamento la modifica della legge 25.5.1970, n. 364"

Argomento:

Comunicazioni del Presidente


PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PAGANELLI

Passiamo alle comunicazioni del Presidente.


Argomento:

Comunicazioni del Presidente

Argomento:

a) Apposizione visto del Commissario di Governo


PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PAGANELLI

Il Commissario del Governo ha apposto il visto: alla legge regionale 16.9.1976 "Provvedimenti straordinari in materia di contributi in conto interesse per l'esecuzione di opere pubbliche da parte di Enti locali" alla legge regionale 16.9.1976 "Norme per l'affidamento e l'esecuzione delle opere di edilizia scolastica di cui alla legge 5.8.1975 n. 412".


Argomento:

a) Apposizione visto del Commissario di Governo

Argomento:

b) Presentazione disegno di legge


PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PAGANELLI

E' stato presentato il disegno di legge n. 132 "Integrazione straordinaria per il piano regionale di risanamento delle acque approvato dalla legge regionale 29.4.1975 n. 23"da parte della Giunta regionale in data 12.10.1976 ed assegnato alla V Commissione in data 15.10.1976.


Argomento: Edilizia pubblica (convenzionata, sovvenzionata, agevolata)

Comunicazione della Giunta regionale sui problemi connessi all'edilizia residenziale pubblica


PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PAGANELLI

La Giunta chiede di fare alcune comunicazioni. Ha la parola l'Assessore Rivalta.



RIVALTA Luigi, Assessore al piano territoriale regionale

In questi ultimi giorni è emerso a livello di pubblica denuncia lo stato di difficoltà nell'attuazione dei programmi di edilizia residenziale pubblica, in particolare per quelli riguardanti l'edilizia convenzionata cioè quella parte di edilizia pubblica che riceve contributi da parte dello Stato e richiede un apporto di capitali da parte degli operatori privati imprese o cooperative.
Tale stato di difficoltà è dovuto al fatto che le banche non definiscono i contratti di mutuo per la parte che è stata finanziata dallo Stato, adducendo a giustificazione che non esistono garanzie. Questo atteggiamento nasconde per altro le difficoltà della politica di credito: l'importo di questi mutui dovrebbe trovare copertura nella vendita di obbligazioni, che non hanno un mercato in quanto i Buoni del Tesoro vengono offerti con interesse molto più alto.
La denuncia, apparsa anche sui giornali, rispecchia una situazione che è reale. Rappresentanti delle organizzazioni delle cooperative e rappresentanti delle organizzazioni imprenditoriali edili, con i quali abbiamo avuto riunioni in questi ultimi tempi, hanno dichiarato l'impossibilità di proseguire i lavori che avevano avviato, con capitali propri, entro il 29 febbraio di quest'anno, data di scadenza prevista dalle leggi 166 e 492 per l'avvio dei lavori, in quanto le banche non concedono i mutui.
Voglio precisare che, avendo avuto sentore di quanto ora sta accadendo la Giunta aveva già preso iniziative alla fine di luglio, organizzando un incontro fra organizzazioni cooperative, imprenditori e sindacati, da un lato, e parlamentari piemontesi, in particolare quelli che fanno parte delle Commissioni Lavori pubblici e Tesoro, dall'altro. Questo rapporto con le Commissioni parlamentari è continuato e si è consolidato in queste ultime settimane: oggi stesso e in corso un incontro fra il Comitato presieduto dall'On. Botta, costituito all'interno della Commissione Lavori pubblici, con i tecnici delle varie Regioni, per approfondire la situazione. Sulla base di questa iniziativa le Regioni intendono svolgere attraverso le Commissioni lavori pubblici e Tesoro, pressioni sul Governo.
Iniziative dirette sono già state prese da noi nei confronti degli stessi Ministri attraverso telegrammi, e potranno svilupparsi con incontri diretti. La situazione è sottoposta, dunque, al giudizio delle forze politiche parlamentari, delle Commissioni di lavoro parlamentari, e si auspica che questa questione, della concessione dei mutui, possa essere rapidamente definita.
Sulla situazione generale di attuazione dei programmi di edilizia residenziale pubblica, mi impegno a dare in brevissimo tempo una documentazione scritta per quanto concerne la situazione regionale, e insieme la documentazione della situazione nazionale quale sta emergendo appunto da questo lavoro che vede l'impegno congiunto delle Regioni e delle Commissioni parlamentari.
Desidero ancora comunicare che ieri, nel corso di una riunione al Ministero della Pubblica Istruzione, ho avuto un colloquio con il Sottosegretario Del Rio, ancora in merito alla questione del sistema informativo regionale e sul costituendo consorzio tra Regione, Università e Politecnico. Ho ricevuto assicurazione che il Ministro Malfatti, con il quale egli aveva avuto un incontro, è favorevole all'iniziativa. Il Sottosegretario Del Rio si e impegnato a far giungere alla Regione, al Politecnico e all'Università comunicazione scritta di questo atteggiamento favorevole (sarebbe quindi la prima comunicazione scritta); ha invece rimandato a successive riunioni la definizione particolare dei rapporti che si devono stabilire fra Ministero, Università e Politecnico, per quanto concerne il finanziamento dell'iniziativa e le modalità di costituzione del Consorzio.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PAGANELLI

Sulle dichiarazioni della Giunta, espresse dall'Assessore Rivalta, vi sono richieste di intervento? Nessuno chiede di intervenire. Allora possiamo passare al punto successivo dell'ordine del giorno.


Argomento: Fondi sanitari

Comunicazioni dell'Assessore competente sull' incontro degli Assessori regionali alla Sanità con il Ministro


PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PAGANELLI

Il punto quarto all'ordine del giorno reca: "Comunicazioni dell'Assessore competente sull'incontro degli Assessori regionali alla Sanità con il Ministro".
La parola all'Assessore Enrietti.



ENRIETTI Ezio, Assessore alla sanità

Si è svolto a Roma un incontro di tutti gli Assessori alla sanità con il Ministro.
Prima di questo incontro gli Assessori alla sanità di tutte le Regioni erano arrivati a definire una linea comune su due grossi ed importantissimi problemi: 1) la riforma sanitaria 2) il Fondo nazionale ospedaliero Per quanto riguarda la riforma sanitaria, gli Assessori alla sanità di tutte le Regioni, unanimemente, hanno concordato di esprimere al Ministro una valutazione positiva del lavoro svolto dal precedente Parlamento in merito alla riforma sanitaria, invitandolo a prendere tale lavoro a base del progetto di riforma sanitaria che il Governo Andreotti, nelle sue dichiarazioni programmatiche, si è impegnato a presentare entro il 31 del mese di ottobre. Il Ministro ha assicurato che terrà presenti queste osservazioni, riservandosi di far conoscere successivamente il suo parere confermando comunque l'intenzione del Governo di presentare il disegno di legge sulla riforma sanitaria entro il 31 ottobre, quindi entro dieci giorni.
Sull'incontro di tutti gli Assessori alla sanità con il Ministro che vi è stato a Roma ieri mattina, non sono per ora in grado di fornire informazioni: non ho potuto presenziarvi, contrariamente alle mie intenzioni, perché ho perso l'aereo. E' così andato solo il funzionario che doveva accompagnarmi Mi riprometto di ragguagliare il Consiglio nella prossima seduta.
Vengo al secondo argomento affrontato, quello del Fondo nazionale ospedaliero. Come sapete, la situazione finanziaria di tutti gli Enti ospedalieri è drammatica. La Regione ha un credito fortissimo nei confronti del Governo: circa 140 miliardi, di cui 43 di credito nei confronti del Fondo ospedaliero per il 1975, 50 circa (la cifra, però, varia da mese a mese) di anticipazione delle quote che la Regione versa agli Enti ospedalieri mensilmente (oggi mi si informava che siamo in anticipo, nei confronti del versamento da parte dello Stato, di circa tre rate), e una sessantina di miliardi (la cifra non è stata ancora decisa, può variare in più o in meno) della quota spettante alle Regioni per il fondo 1976.
Di fronte a questa situazione tutti gli Assessori alla sanità hanno richiesto al Governo di emettere immediatamente un decreto-legge che possa far erogare alle Regioni almeno la cifra relativa al Fondo 1975. Per quanto riguarda la definizione del Fondo '76, concordemente le Regioni hanno aperto una vertenza (chiamiamola così) nei confronti del Governo, perch considerano il fondo insufficiente. Il Ministro si è dichiarato favorevole all'emissione di un immediato decreto legge per quanto riguarda la definizione del Fondo 1975, riservandosi di precisare la sua posizione per quanto riguarda il Fondo 1976.
La richiesta che gli Assessori alla sanità hanno fatto al Ministro è stata, in previsione della scadenza del contratto di tutti i dipendenti degli Enti ospedalieri, che a far parte della delegazione che deve trattare con le Organizzazioni sindacali ci siano Regioni e Governo, cioè il Governo sia parte interessata, comprimaria, nei confronti delle Regioni, e ci sia la FIARO a portare la sua esperienza tecnica alle Regioni, al Governo nei confronti delle organizzazioni sindacali. Anche su questo argomento il Ministro ha detto di essere, per quanto lo concerne, disponibile, ma di doverne parlare in Consiglio dei Ministri. Quindi, una risposta precisa ancora non vi è stata.
Nella prossima riunione riferirò al Consiglio, come ho già detto, in modo dettagliato sull'esito della riunione di ieri cui, mio malgrado, non ho potuto partecipare.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PAGANELLI

Vi sono richieste di intervento sulla comunicazione dell'Assessore alla sanità? Resta inteso che l'Assessore completerà successivamente la sua esposizione.


Argomento: Bilancio - Finanze - Credito - Patrimonio: argomenti non sopra specificati - Industria - Commercio - Artigianato: argomenti non sopra specificati - Lavoro - Movimenti migratori: argomenti non sopra specificati

Dibattito su relazione della Giunta regionale sulla situazione economica nazionale ed il possibile ruolo della Regione in riferimento al Piano di sviluppo


PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PAGANELLI

Il punto quinto all'ordine del giorno reca: "Dibattito su relazione della Giunta regionale sulla situazione economica nazionale ed il possibile ruolo della Regione in riferimento al Piano di sviluppo". Se la signora Graglia Artico è disponibile, le do facoltà di parlare in apertura di questo dibattito.



GRAGLIA Anna

Signor Presidente, signori Consiglieri, nella sua relazione l'Assessore Simonelli ha denunciato la pesante gravità della crisi economica che colpisce il nostro Paese - una crisi che sappiamo essere di portata storica e di carattere strutturale - e come essa incida profondamente sulle condizioni di vita e di lavoro delle grandi masse lavoratrici e su tanta parte della popolazione della nostra Regione. Gli avvenimenti di, questi giorni - provvedimenti fiscali, nuova caduta della lira - hanno evidenziato con crudezza estrema quanto ciò sia vero.
Dev'essere chiaro ad ognuno di noi che il malcontento diffuso tra larghe masse di lavoratori, la "rabbia" degli operai devono essere interpretati nel senso giusto, per poter operare in maniera adeguata a tutti i livelli. Infatti, nelle masse lavoratrici e negli operai soprattutto c'è la consapevolezza della gravità della situazione economica e monetaria. Quello che essi chiedono con fermezza è che i loro sacrifici non vadano ancora una volta a favorire il clientelismo, il parassitismo gli interessi dei grandi gruppi monopolistici, a dare fiato, cioè, a quel vecchio meccanismo di sviluppo che ha portato il Paese sull'orlo del fallimento.
I segni premonitori della bancarotta sono sotto gli occhi di tutti: un pauroso disavanzo della bilancia dei pagamenti con l'estero; il grave dissesto della spesa pubblica, con la paralisi degli Enti locali, con il caos nei servizi; gli enormi sprechi, che perpetuano un intricato sistema di malgoverno e di clientelismo instaurato con il centrismo ma perpetuato anche con il centro-sinistra; l'instabilità della lira.
Le lotte che ci sono state in questi giorni, con gli scioperi di Torino, Alessandria, Asti, quelli programmati in altre province, la giornata di lotta di venerdì 22 a livello regionale, ci dicono quale consapevolezza e quale livello abbia raggiunto la classe operaia del nostro Paese, a dimostrazione reale, se ancora ce n'era bisogno, del grande senso di responsabilità, di consapevolezza della posta in gioco; non chiusure corporative o settarie, ma in sostanza capacità di farsi carico dei problemi generali del Paese e di battersi per avviarli a soluzione positiva indicando tempi e modi.
Questo è l'elemento che caratterizza fortemente il momento attuale. La nostra assemblea deve dare atto che proprio qui a Torino, dove l'inceppamento del vecchio meccanismo di sviluppo è più evidente, perch non a caso il Piemonte ha una forte accentuazione "monocolturale" della sua industria, in cui ognuno è legato all'auto, la vertenza operaia non ha fatto il polverone battendo la grancassa attorno alle misure fiscali, ma ha saputo esprimere giudizi e proposte alternative concrete. La vertenza operaia non è chiusa in se stessa, ma coinvolge gli altri ceti produttivi le autonomie locali, la Regione, per una battaglia comune in grado di avviare il nuovo meccanismo di sviluppo.
Voglio solo ricordare che l'impegno di ognuno di noi, delle forze politiche, è e deve essere oggi, innanzitutto, quello di un confronto serrato con i lavoratori, con i cittadini, con il Paese reale, perché i provvedimenti che vengono adottati nelle assemblee elettive, a livello governativo, siano discussi con la partecipazione dei cittadini del nostro Paese.
Sotto questo punto di vista mi par giusto sottolineare l'impegno che noi comunisti abbiamo assunto in questa fase, andando a discutere a tutti i livelli attorno a queste questioni, ad illustrare la gravita della crisi ad indicare i modi ed i tempi per uscirne. Non altrettanto hanno fatto, ci pare doveroso denunciarlo, altre forze politiche. Vi e una latitanza del partito di maggioranza relativa che non può non preoccupare. Non basta "nascondersi" dietro i provvedimenti governativi, occorre scendere nel confronto reale con il Paese, assolvere il ruolo che la Costituzione assegna ai Partiti! Credo quindi sia giusto sottolineare l'impegno che deve scaturire anche da questa assemblea elettiva in questa direzione, per ridare alle forze politiche e ai Partiti i compiti che loro spettano, sanciti, ripeto, anche dalla Costituzione repubblicana.
Non è quindi per amore di polemica, ma per rigore di analisi, che richiamiamo l'attenzione sul perché ci troviamo in questa situazione. Lo facciamo anche perché troppo evidenti sono i segni ed i tentativi di forze economiche, sociali e politiche che, tutto sommato, vorrebbero imporre vecchie strade.
Non possiamo dimenticare che fenomeni di inceppamento del meccanismo produttivo in tutta l'area occidentale capitalistica si sono manifestati fin dalla meta degli anni Sessanta. L'economia americana, che rimane pur sempre la guida dell'economia capitalistica, e costretta dal '64/'65 a fronteggiare una caduta del saggio di utilizzazione degli impianti industriali e della capacità produttiva generale.
La politica economica e finanziaria del Governo americano in questi anni e stata tutta protesa, attraverso un aumento considerevole della spesa pubblica ed attraverso un aggravamento della politica di riarmo militare per rimettere in moto queste capacità produttive. Ma per questa via non si e fatto che accelerare e rendere tumultuoso il processo di inflazione che ha scosso gli Stati Uniti, Nel 1971, gli USA, decidendo la inconvertibilità del dollaro con l'oro, e svalutando la loro moneta, fecero in pratica precipitare sull'economia europea, ed in primo luogo su quella italiana, il costo della crisi americana.
Nel 1973, con la crisi del petrolio e l'aumento dei prezzi dei prodotti energetici, vi è stata indubbiamente una spinta acceleratrice ed aggravante della crisi in atto.
Ma il problema vero, che si è aperto negli anni Sessanta e che é andato aggravandosi, è quello di una crisi di fondo della struttura e del modello industriale, così come si sono venuti delineando in questo periodo storico.
E lo sviluppo del nostro Paese, basato appunto su un regime di bassi salari, sul saccheggio delle risorse del Mezzogiorno e di quelle agricole entrato, così, profondamente in crisi.
Ad accentuare la stretta attuale sta da una parte la rapacità dei gruppi privilegiati cui si accompagna l'inerzia dei Governi democristiani.
Tutto ciò ha fatto in modo che le distorsioni strutturali ed i mali endemici dello sviluppo capitalistico italiano, andassero ancor più evidenziandosi. Il quadro dei guasti provocati e oggi così spaventoso da indurre la maggioranza degli italiani a pensare che si sono ormai raggiunti i limiti della sopportabilità.
I cambiamenti a livello internazionale, il fatto che una serie di "protezioni" delle quali in qualche modo il sistema delle "imprese" aveva goduto negli anni Cinquanta e Sessanta (basso prezzo del petrolio sopravvalutazione del dollaro, bassissimo costo del lavoro) hanno messo in luce e reso praticamente intollerabili gli antichi squilibri strutturali e le storiche disfunzioni del nostro Paese.
In seno al Comitato centrale del nostro Partito, riunito in questi giorni a Roma, Berlinguer ha voluto sottolineare come "per fronteggiare rapidamente le conseguenze dello spostamento di risorse dall'Italia verso l'estero avremmo avuto bisogno di un sistema ad alta produttività, capace di accrescere la ricchezza della Nazione e di conquistarsi un più ampio mercato. Avremmo avuto bisogno di un apparato pubblico efficiente, capace di creare nuove occasioni di investimento, guidando verso dì esse il sistema produttivo e capace di attenuare la divaricazione tra aspettative dei cittadini e risorse disponibili con la fornitura di servizi collettivi adeguati, capace di accrescere la produttività generale dotando il Paese di un moderno sistema di istruzione e formazione e di salde, estese e funzionanti istituzioni civili. Ancora, avremmo avuto bisogno di un sistema tributario moderno, idoneo ad essere strumentò di una razionale, agile ed equa politica di reperimento e formazione delle risorse. E avremmo infine avuto bisogno, di una fortissima guida politica, morale, capace di rompere gli schemi sempre più anacronistici di un consumismo esasperato e di un individualismo sperperatore di risorse".
Purtroppo, tutte queste risposte non ci sono state e le responsabilità della Democrazia Cristiana son fin troppo evidenti.
Ma oggi altri pericoli sono presenti, e primo fra tutti vi è quello dell'inflazione.
Come si sa, l'inflazione è la principale leva con la quale si colpisce il potere di acquisto dei lavoratori, delle masse popolari, dei pensionati e dei lavoratori a reddito fisso. Ed a questo proposito va denunciato l'atteggiamento che viene assunto da vari gruppi del capitalismo italiano i quali invece puntano irresponsabilmente all'inflazione sia per coglierne i vantaggi immediati, a livello di esportazione, ma soprattutto per giocare al peggio, ed è questo l'aspetto più grave.
Naturalmente, noi sosteniamo che per battere l'inflazione e la linea dei grandi gruppi capitalistici è assolutamente necessario evitare la famosa politica "dei due tempi". Ecco perché noi poniamo con forza il problema della contestualità: vale a dire che bisogna determinare misure legislative e per reperire risorse e per finalizzarle. Misure di austerità e cambiamento diventano allora per noi un binomio inscindibile.
Il nostro Paese deve fare quello che ancora non è riuscito a fare: in un momento di grave crisi della struttura produttiva, economica finanziaria, statale, valutaria, avviare un'azione trasformatrice.
Un'azione di rinnovamento profondo, che deve trovare come fulcro l'avvio di una programmazione democratica capace di definire scopi e sbocchi delle fondamentali attività economiche e capace di esaltare tutte le risorse del Paese e di metterle in movimento.
L'esperienza fin qui maturata a livello di programmazione in questi anni non è stata certo felice. I piani quinquennali che il Centrosinistra aveva elaborato non hanno mai dato luogo ad una reale programmazione, e cioè ad una direzione politica dei processi economici che cambiasse il tipo di sviluppo. I piani di quel periodo erano astratti, velleitari, arbitrari privi cioè di strumenti operativi, e mancavano soprattutto di un consenso e di una effettiva partecipazione democratica sia degli Enti locali e delle Regioni, sia dei lavoratori e delle imprese. Di fatto, l'intervento dello Stato nell'economia, continuò a svolgersi sotto lo stretto controllo della D.C. in forme sempre più degenerative, al servizio di una politica clientelistica e di collusione tra Partito di maggioranza e grandi gruppi economici, anziché al servizio dell'interesse generale e di una nuova linea di sviluppo del Paese.
La programmazione che noi proponiamo passa invece attraverso un rapporto nuovo tra la direzione politica del Paese, che dev'essere in grado di dirigere e indirizzare le risorse e di sviluppare il massimo di rapporto democratico e pluralistico.
Le misure annunciate dal Governo sul piano di riconversione industriale, sul piano agricolo alimentare, sulla occupazione giovanile hanno bisogno di mettersi in moto con urgenza e di marciare di pari passo con le misure di austerità.
Su questa strada nuova di programmazione democratica la Regione Piemonte ha dato e sta dando, a mio avviso, un contributo importante, con l'elaborazione del piano di sviluppo regionale, che, lo affermiamo con forza, non può essere un libro dei sogni. Proprio dal dibattito tra le forze politiche, sociali, sindacali, industriali, deve emergere l'indicazione di progetti che diano contenuti reali a questo nostro piano di sviluppo, affinché sappia agganciarsi alla realtà drammatica del Piemonte, in cui si paga più qui che altrove, proprio perché più qui che altrove vi è stato il fulcro di questo tipo di meccanismo di sviluppo.
Abbiamo bisogno di dare una risposta positiva e di vedere la Regione, e insieme il complesso delle autonomie locali, mobilitati prontamente in tempi rapidi ravvicinati a dare questa risposta, anche per aiutare a far crescere nel complesso del Paese il discorso della programmazione democratica, ma soprattutto farlo crescere nella realtà e operatività dei fatti.
Qui si inserisce anche la situazione, che l'Assessore Simonelli ha denunciato nella sua relazione, di enorme disastro dell'indebitamento pubblico del nostro Paese per quanto riguarda il deficit degli Enti locali e la spesa pubblica nel suo complesso. Sono questioni che occorre risolvere rapidamente, perché hanno già raggiunto la fase di piaghe cancrenose.
E' necessario allora che attorno a questi problemi la risposta sia immediata. E ci sono le capacità ed i mezzi per poterla dare. Occorre individuare le scelte precise da operare nel nostro Paese.
Nel prosieguo del mio intervento mi soffermerò su alcuni punti che mi sembrano particolarmente importanti, lasciando spazio ad altri colleghi del mio Gruppo per una maggiore puntualizzazione sui diversi problemi.
Accenno innanzitutto, per quanto riguarda il Piemonte, alla questione agricola. Deve essere a tutti chiaro che proprio nel momento in cui il nostro Paese tenta di avviare una politica agricola in grado di far aumentare le capacità produttive dell'agricoltura, a Bruxelles vengono decise scelte contrapposte, che cercano di manovrare in senso contrario a questo tipo di indirizzo. Pensiamo all'incidenza che potrebbe avere, per diminuire il disavanzo della bilancia dei pagamenti, l'avvio effettivo, a livello nazionale, e quindi, di conseguenza, a livello regionale, di un discorso corretto di forestazione, un discorso corretto di investimenti nel settore delle nostre zone alpine, che certo la Regione ha considerato, con contenuti precisi, nel Piano di sviluppo, ma che deve trovare uno sbocco positivo in una visione nazionale. Ciò vorrebbe dire far cambiare la realtà anche di zone emarginate quali sono le vallate della provincia di Cuneo, le zone dell'Alta Langa. Pensiamo a quel che potrebbe significare un potenziamento della zootecnia, dell'irrigazione, delle produzioni foraggiere: c'è margine per raddoppiare la produzione fin qui realizzata attraverso il recupero delle terre incolte ed abbandonate! Consideriamo quali risultati potrebbe dare l'utilizzo diverso di zone largamente emarginate, che potrebbero tornare ad essere produttive ed anche ad alto reddito Ma indubbiamente ci si deve porre in maniera nuova, in maniera diversa a livello più generale del nostro Paese, perché una revisione degli accordi del MEC si può ottenere soltanto a quel livello. Occorre aver presente che oggi diventa indispensabile uscire dal mercato americano per cercare un rapporto con tutti i Paesi: con i Paesi del cosiddetto Terzo mondo, ma anche con i Paesi ad economia pianificata, i Paesi socialisti. E in questo ambito credo che, anche da questo punto di vista, il Piano di sviluppo pu dare un contributo reale affinché ci si spinga in questa direzione affinché, cioè, ci sia quel discorso nuovo che è ormai maturato nella realtà del Paese, è maturato nella realtà del Piemonte e che deve diventare realtà.
Ci rendiamo perfettamente conto che il Governo attuale non è quello che vorremmo, anche se i discorsi di maggioranza, di opposizione, di assemblearismo mi pare vadano chiarendosi anche in questi momenti così difficili, e chi temeva che venisse meno l'opposizione, si rende oggi conto che questa opposizione continua ad esistere nel Paese! Comunque, di fronte ai problemi che ci sovrastano occorre dire, proprio data la gravità della situazione, da quale parte si sceglie di stare: occorre dire se si è per le decisioni della Fiat, di quei gruppi industriali che vorrebbero puntare sull'inflazione, o per i lavoratori. Occorre quindi fare delle scelte di campo precise, chiare. Anche per questo, perché i problemi che oggi si sono prospettati con la loro gravità, non sono esplosi all'improvviso, ma si sono ingigantiti in tutti questi mesi fino ad arrivare oggi al limite massimo di sopportazione, avevamo fatto la proposta di un governo aperto di una maggioranza aperta a tutte le forze democratiche. E questa, credo era la proposta politica più valida, che anche oggi viene affermata attraverso iniziative di lotta, di battaglia che i lavoratori vanno intraprendendo, proprio per dare una risposta positiva ai gravi problemi che assillano tutti noi.
In questo mio intervento ho voluto, ripeto, soltanto accennare, aprendo il dibattito di questa mattina, ad alcune delle tematiche che sono sul tappeto. Altri del mio Gruppo parleranno in maniera più specifica del contributo che i comunisti piemontesi stanno dando e continueranno a dare perché il Paese possa uscire dalla crisi, perché il Piemonte possa rappresentare un elemento importante e nuovo nella collocazione di un diverso sviluppo del nostro Paese.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PAGANELLI

Prima di dare la parola ad un altro Consigliere, desidererei sottoporre al Consiglio una questione, perché mi suggerisca come risolverla per il meglio.
Oltre a numerosi Consiglieri, si sono iscritti a parlare tre Assessori che in questo dibattito intervengono ovviamente non come Consiglieri, ma come Assessori. Mentre solitamente gli Assessori parlano a conclusione della discussione, mi è stato chiesto di intercalare gli interventi degli Assessori a quelli dei Consiglieri.
Che ne pensa il Consiglio? Chiede di parlare il Presidente della Giunta, ne ha facoltà.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Signori Consiglieri, non vi è alcun motivo preciso per disattendere il metodo solitamente usato. La Giunta, però, ritiene che sarebbe opportuno inserirsi, anche attraverso gli interventi degli Assessori, in reali motivi di dibattito che scaturiscano dal Consiglio. Gli interventi degli Assessori potrebbero essere collocati verso il termine della seduta, in modo che servano a dare, semmai, delle risposte, e ad inserirsi positivamente, come stimolo, in questo dibattito.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PAGANELLI

Il Presidente della Giunta propone, dunque, praticamente, di far intervenire gli Assessori al termine del dibattito.
Chiede di parlare la dottoressa Castagnone Vaccarino. Ne ha facoltà.



CASTAGNONE Aurelia

Francamente, considerato che gli Assessori parleranno in questa occasione a nome della Giunta, a me sembra che, per ovvie ragioni di informazione sulle quali il Consiglio può rispondere, dovrebbero parlare essi per primi.
Nel caso che si voglia proprio tenere aperto una specie di dibattito costante fra Consiglio e Giunta, possiamo, al massimo, accettare la proposta del Vice Presidente Paganelli. Non vedo come si possa arricchire il dibattito facendo rispondere da parte di tutti gli Assessori alla fine della discussione: a me pare che così, se mai, lo si spegne.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PAGANELLI

Chiede di parlare il Consigliere Bianchi. Ne ha facoltà.



BIANCHI Adriano

Nella precedente seduta è stata svolta un'ampia relazione, che ci viene ora distribuita nella sua veste definitiva. Su di essa si è ora aperto il dibattito.
Mi rendo conto che gli Assessori chiedono di inserirsi nel dibattito con riferimento a questa relazione. Mi rendo conto che la Giunta non è sotto questo profilo, più la Giunta, ma che c'è una situazione di Consiglio in cui le forze politiche si vogliono esprimere attraverso le loro varie presenze. Se di questo si tratta, che gli Assessori parlino da quel banco o lo facciano prendendo posto fra gli altri Consiglieri, parlando sempre quali Consiglieri e non come rappresentanti della Giunta, ci è assolutamente indifferente il momento in cui prendono la parola. Se parlando alla fine, introdurranno il merito del dibattito, noi riprenderemo la parola, non potendo consentire a che si riapra da parte della Giunta un argomento senza che sia a noi consentito esprimerci su di esso.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PAGANELLI

Chiede di parlare il Consigliere Marchini. Ne ha facoltà.



MARCHINI Sergio

La questione sollevata suscita invero parecchie perplessità.
C'é un fatto nominalistico: il documento che ci è stato presentato è la relazione della Giunta. E' chiaro che questo è un dibattito aperto non tra maggioranza ed opposizione, ma tra le forze politiche nel loro complesso o, più strettamente, in termini istituzionali, fra la Giunta ed il Consiglio. Ora, mi pare che il contraddittorio primo da tutelare nella sua genuinità sia il contraddittorio fra Giunta e Consiglio nel suo complesso Se poi la Giunta, nella sua autonomia, in sede, diciamo così, di replica conclusiva, di raccolta del contributo che le forze politiche hanno dato vorrà pronunciarsi, criticare eccetera, mi pare che in termini di un minimo di rispetto delle logiche della dialettica questo sia il momento finale.
Altrimenti, si finirebbe con l'usare una procedura poco riguardosa nei confronti degli intervenuti, perché andrebbe a finire che gli Assessori si limiterebbero, ognuno per la parte che gli compete, a rispondere ad una parte soltanto degli interventi, mettendo, oltre tutto, in seria difficoltà i relatori delle forze non presenti in Giunta, che si troverebbero magari di fronte a del materiale nuovo presentato soltanto oggi.
Suggerisco pertanto, per la parte che mi compete, di rispettare le regole del dialogo. L'Assessore Simonelli ha presentato, a nome della Giunta, un documento. Su di esso le forze presenti in Consiglio si esprimono. Il fatto che poi la Giunta intervenga ancora nel dibattito, sia che lo voglia fare con un unico rappresentante o con un ventaglio di rappresentanti in funzione delle diverse competenze, mi lascia del tutto indifferente; mi disturberebbe alquanto, invece, un alternarsi ai Consiglieri di personaggi che in questa sede hanno evidentemente una funzione diversa.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PAGANELLI

Chiede di parlare il Presidente della Giunta.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Non poniamo la questione in termini categorici, Diciamo soltanto che a noi pare che il dibattito risulterebbe più ricco, più interessante se gli Assessori avessero modo di cogliere motivi scaturenti dal Consiglio per confrontarsi e dare delle risposte.
Lasciamo comunque che sia il Presidente a dirigere il dibattito nel modo che gli sembrerà più opportuno.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PAGANELLI

Mi permetto di suggerire questo modo di procedere: nella seduta mattutina lasceremo campo agli interventi di alcuni rappresentanti dei Gruppi; vedremo poi come articolare, nella seduta pomeridiana, gli interventi fra i rimanenti rappresentanti dei Gruppi che vorranno ancora intervenire e la Giunta.
Chiede ora di parlare il Consigliere Alberton. Ne ha facoltà.



ALBERTON Ezio

L'importanza di questo dibattito ci pare innegabile, purché esso sia colto nella sua giusta dimensione, e sia quindi rispettato rigorosamente il titolo di questo dibattito: "Situazione economica nazionale e possibile ruolo della Regione in riferimento al suo Piano di sviluppo".
Il sopravvalutare uno dei due corni del problema, condurrebbe a viziare la discussione in atto. Certo, è opportuna una verifica delle posizioni delle diverse forze politiche, ma non deve esserci alcuna fuga rispetto ai propri compiti istituzionali.
Ancora una volta, ad una larga base di convergenza sull'analisi della situazione economica generale, sul suo stato di fatto, non corrisponde analoga convergenza e analogo grado di consapevolezza dei precedenti e dei rimedi.
I nodi sono da tutti riconosciuti: deficit della finanza pubblica deficit della bilancia dei pagamenti.
Non sarebbe inopportuno, nel momento di un'analisi retrospettiva, che anche le forze della Giunta si facessero carico di una "visione ottimistica dello sviluppo" coltivata a lungo nel passato; visione che ha portato a sottovalutare nel passato questi deficit, visione che ha portato a pensare ad attendere, a pretendere che "qualcun altro", in Italia o all'estero "pagasse e li sanasse".
Ma vi sono dei nodi anche in questi nodi: riforma non solo della finanza locale, ma delle competenze degli Enti locali; e ribadiamo in proposito il nostro "no" ad un colpo di spugna che annulli semplicemente i debiti pregressi un deciso e assolutamente non rinviabile intervento sul sistema fiscale (gli ultimi dati sugli imponibili medi di alcune classi sociali professionisti, imprenditori, sono obiettivamente scandalosi: 4 milioni l'anno ; e questo diciamo non per la ricerca di streghe su cui scaricare le responsabilità della situazione, ma perché crediamo che sia il momento di fare dei discorsi di classe, riferiti alle singole classi sociali, che devono farsi carico, ciascuna per proprio conto e ciascuna per la sua parte, della situazione complessiva del Paese).
Ho citato questi due temi perché importanti e determinanti sotto diversi profili: quello della giustizia, quello economico, quello dell'efficienza, quello del costume e della mentalità.
Per produrre la revisione delle quote destinate al consumo e agli investimenti, occorre intervenire sulle tasse, sulle tariffe e i prezzi amministrati, con il contenimento della spesa corrente. Solo così potremo evitare di fare esclusivo ricorso alla politica monetaria per perseguire una pluralità di obiettivi, che si identificano nel finanziamento dello sviluppo, nella stabilita dei prezzi, nel contenimento dei nostri conti con l'estero. Una pressione tributaria che recuperi l'evasione, senza bisogno di aggiungere nuove imposte o di maggiorare le aliquote. La riduzione delle spese di puro trasferimento. Un intervento sulle tariffe: ribadiamo che i servizi che hanno rilevanti benefici individuali non possono essere sottratti al meccanismo dei prezzi e dei costi; altrimenti si perde ogni controllo sulla quantità e sulle cause dei deficit, si instaura una logica reazionaria per cui sono i poveri a regalare i servizi ai ricchi (pensiamo anche a temi vicini a noi, come l'assistenza scolastica, la mensa dell'Opera universitaria). Un sistema che rivaluti i meccanismi di responsabilità, a livello di singolo e di Ente (e pensiamo al problema ancora una volta, della riforma fiscale e degli Enti locali: se all'Ente locale non verrà ridata una autonomia delle entrate arriveremo al punto che ad esso verrà tolta anche l'autonomia delle spese).
Con questo spirito dovrà essere affrontato il discorso sulle riforme.
Ce ne sono di quelle che non costano. Bisognerà stare attenti a estendere in senso quantitativo certi servizi sociali; bisognerà modificare i costi di questi servizi, facendo concorrere contemporaneamente la riorganizzazione, che eviti sprechi, parassitismi e privilegi, ma ci vorranno altresì maggiori entrate. Certi discorsi che in questi giorni abbiamo sentito fare sul rifiuto che, per esempio nei servizi sanitari, non si coprano, con interventi sul costo delle visite, sul costo dei farmaci per intero i costi rilevanti di questi servizi, non ci sembrano indirizzati sulla giusta via.
Passiamo ora all'altro nodo: il deficit della bilancia dei pagamenti con l'estero. Partiamo da una riaffermazione di principio: giudizio positivo sulla scelta, compiuta in passato, di collocare il nostro Paese in un mercato internazionale aperto, convinti dei vantaggi politici ed economici di tale scelta. Un rapporto internazionale visto non in negativo (quasi "una cosa di cui non si può fare a meno"), come certe affermazioni contenute nel Piano potrebbero indurre a pensare. Conviene allora ricordare che disavanzi in tali rapporti con l'estero sono stati presenti nel nostro sistema economico nel 1957, nel '63, nel '73 e di lì in avanti all'insegna, cioè, non di un giudizio negativo di trent'anni di vita economica del nostro Paese, all'insegna di un rapporto di scambi internazionali buoni in passato per l'Italia. Certo, fondato anche su elementi distorcenti, ma all'interno di uno scambio internazionale che ha visto il nostro Paese presente in termini quantitativi ed in termini anche qualitativi. Questo a rimarcare che il crollo del '73 è ancora una volta da addebitarsi, sostanzialmente, alla crisi petrolifera.
Per recuperare il disavanzo, bilanciando ristrutturazione e difesa dell'occupazione, è necessario - ribadiamo la nostra assoluta convinzione aumentare gli investimenti. Su questo si devono ottenere garanzie dal Governo circa la rimessa in circolo, in maniera selezionata, pilotata, del drenaggio in atto almeno in parte. Abbiamo indubbiamente bisogno di modificare il nostro rapporto consumi-investimenti e la composizione media dei nostri prodotti.
Sullo sfondo si pone spesso il tema: "Produrre di più e consumare di meno". Ma noi vogliamo ricordare, per una analisi la più obiettiva possibile della situazione, che l'Italia non è un Paese che consuma troppo in assoluto, ma un Paese che produce troppo poco rispetto alle sue potenzialità, che non sfrutta le sue capacità.
La relazione Simonelli anche qui recupera alcuni concetti che nel passato non sono stati sufficientemente valutati, anche se, purtroppo, mi sembra basti l'intervento del Consigliere comunista Graglia per gettare un colpo di spugna su questi concetti positivamente ripresi. La sottoutilizzazione degli impianti, avvenuta in passato, la sottoaccumulazione delle aziende. Torniamo a dire che respingiamo l'immagine di un'economia tutta da rifare. Quando su settori estremamente delicati, tecnologicamente avanzati, quali quelli dei beni strumentali quelli dell'elettronica, noi assistiamo nel nostro Paese, nell'anno 1975 ad una esportazione di 400 miliardi per l'uno e di 600 miliardi per l'altro; quando nel '75 abbiamo riscontrato, al netto del deficit per la bilancia petrolifera, un saldo attivo di 2400 miliardi nelle nostre esportazioni, credo si possa mettere giustamente in evidenza una capacità di concorrenzialità internazionale della nostra economia ancora positiva da ritoccare, da rivedere, ma non da squalificare. Dovrebbe apparire chiaro, se sono veri quei concetti di sottoutilizzazione degli impianti e di sottoaccumulazione delle aziende, che quando si parla di riconversione e di ristrutturazione industriale questa non è un'operazione che si fa una tantum, nel senso proprio di farla una volta per tutte ogni tanto, ma un fenomeno costante nel tempo, che deve essere contornato da condizioni che lo rendano costante, che pretende l'esistenza di condizioni appropriate determinate in larga misura da comportamenti e decisioni autonome dei soggetti diversi presenti in una democrazia industriale, imprenditori e lavoratori.
Questo rinforza, anziché ridurla, l'esigenza di una politica di piano che in quanto tale e nell'oggi, è condizionata dai soggetti sopraccitati.
Gli imprenditori piemontesi, che oggi dichiarano la loro adesione a tale prospettiva, devono essere consapevoli - abbiamo avuto modo di confrontarci con loro in I Commissione - che quando addebitano alla logica burocratico- clientelare della classe politica le incrostazioni di certe imprese e certi imprenditori, devono avere anche ben presenti errori da loro compiuti nel passato, la necessità di recuperare complessivamente una coscienza di classe imprenditoriale che isoli, essa stessa, speculatori ed evasori, la necessità del raggiungimento di una produttività complessiva del sistema, non solo come problema di altri.
Altrettanto determinante è il comportamento delle Organizzazioni sindacali e la loro consapevolezza dei valori in gioco. Se a nessuno giova non guardare in faccia la realtà, le omissioni o le contraddizioni presenti nella relazione e contenute nella proposta di piano, suonano come mistificatoria "captatio benevolentiae".
Entra in gioco il tema della produttività. Occorre anche qui avere coscienza dei cambiamenti avvenuti in Italia. Abbiamo in atto, nel nostro Paese, meccanismi di sostegno salariale dei disoccupati, meccanismi di scala mobile, meccanismi di indicizzazione dei prezzi. E' un sistema in cui, cioè, tutto diventa rigido e non manovrabile, e rimangono solo gli aumenti di produttività a salvaguardare lo sviluppo. Se noi confrontiamo l'andamento dei salari, della svalutazione, della produttività, in questi anni, dobbiamo riconoscere il forte rischio di una progressiva perdita di competitività nei confronti dei Paesi concorrenti. E tutti stiamo verificando la durezza di combattere l'inflazione derivante da ciò con le restrizioni creditizie, che portano in pratica al blocco degli investimenti.
Il recupero di produttività certamente non riguarda soltanto l'apparato produttivo, ma il sistema nel suo complesso. Ma sul tema della produttività dell'apparato produttivo, del costo per unità prodotta, la Giunta o è reticente, o entra in contraddizioni, affermando la necessità di un contemporaneo recupero del livello della produttività nell'industria e poi bollando l'aumento di numero di ore occupate per addetto come ristrutturazione capitalistica con rafforzamento dello sfruttamento. Anche qui pregherei di non dimenticare che dal '75 al '76 vi è stata una forte riduzione delle ore di Cassa integrazione che entrano in questo conto.
Dal '73 al '75, in Italia, il costo unitario del lavoro è salito del 23 la media dei Paesi concorrenti dell'11 %, che va da un 19 della Gran Bretagna ad un h 7 degli Stati Uniti. E, visto che l'Assessore Simonelli è attento alle affermazioni del senatore democristiano Andreatta, ricordo a lui ed a tutti noi l'esigenza di sostituire al "circolo infernale" delle economie inflazionistiche (aumento del costo per unità prodotta compressione dei margini di profitto, riduzione degli investimenti e della domanda, riduzione della competitività) il "circolo virtuoso" degli aumenti di produttività, della riduzione dei costi e dei prezzi, dell'aumento del potere di acquisto e dell'aumento del mercato. Questo, certamente, non viene garantito in maniera automatica, ma sotto una rigorosa politica di piano ed una altrettanto rigorosa politica fiscale.
Anche il costo del lavoro dovrà allora essere affrontato, crediamo intervenendo, per un suo ribasso, su quella parte del salario su cui pesano le improduttività del sistema, e per eliminare anche ingiuste disuguaglianze di trattamento. Vengono di nuovo a galla, allora, temi come la fiscalizzazione, le indennità di anzianità, forti ostacoli alla mobilita nel lavoro, la scala mobile. Sono temi che si deve avere il coraggio di affrontare. Non è certo sottacendoli che li si risolve.
Si incomincia a dire: o.k. per la revisione del paniere; d'accordo sul non far incidere le quote di tassazione indiretta che il Parlamento eventualmente decidesse, non far incidere gli aumenti dei servizi pubblici.
Occorre impostare le cose in modo da tutelare i redditi più bassi; ma non si può contrastare l'inflazione senza farne pagare il costo ad alcun gruppo sociale, con il rischio che poi a pagare siano i più deboli, i non organizzati, coloro che non sono coperti da alcuna scala mobile.
Certamente, si deve respingere la politica dei due tempi, garantendo la riconversione dell'apparato produttivo e la redistribuzione dei redditi.
Ricordiamo, sotto questo profilo, gli impegni governativi del Piano alimentare, del Piano energetico, dell'occupazione giovanile. Ma garantendo contemporaneamente di non precipitare, nell'immediato; perché altrimenti nessun significato avrebbe la prospettiva di medio o lungo termine.
A nessuno, crediamo, può interessare, e men che meno alla classe lavoratrice, la sudamericanizzazione del nostro sistema economico prima politico poi. Siamo tutti consapevoli che in una società di consumi di massa, gli obiettivi di un intervento sono sia la qualità, per il problema giustizia, sia la quantità.
Questi problemi devono trovare attenti e consapevoli tutte le forze politiche e sociali: può uscirne un quadro di generale rafforzamento non solo della nostra economia, ma anche della nostra democrazia. In un quadro che faccia però uscire tutti allo scoperto, senza pensieri nascosti, fuori dai tatticismi o dai ricatti.
E' dato a tutti verificare, dai dibattiti in corso all'interno del Comitato centrale del PCI o del Comitato direttivo delle Organizzazioni sindacali, come il grado di consapevolezza presenti livelli diversi, per ora, sia sulle misure da adottare, sia sul ruolo politico da adottare. E non è alla Democrazia Cristiana, che da sola, e non per sua volontà, copre l'intera responsabilità governativa, che può essere addebitato disimpegno: da un anno, dal governo Moro-La Malfa prima, al monocolore successivo, alle elezioni anticipate, all'impossibilità di ricostruire un governo di solidarietà dopo il 20 giugno, e la Democrazia Cristiana che sta nel bersaglio, esposta al tiro di ogni forza politica e sociale.
Porsi il problema della produttività significa anche ricercare una minor rigidità delle strutture occupazionali. Occorre lavorare per costruire istituti e strumenti per la disoccupazione che non abbia carattere congiunturale, con il rischio, in caso contrario, di irrigidire e bloccare anche le occasioni di espansione. Non può allora non stupire che la Giunta riaffermi nella relazione Simonelli come ormai in Italia certe condizioni non siano più presenti, dando per scontato e come irreversibile che la produttività non debba aumentare più del costo del lavoro e che si sia perduta definitivamente l'elasticità del nostro sistema. In tal caso ogni provvedimento non può avere che risultati scarsi ed estremamente difficili. Teniamo presente che la crisi della bilancia dei pagamenti si verifica senza che si siano raggiunti i limiti massimi di sviluppo della nostra economia, senza che si siano cioè utilizzate pienamente le nostre capacità produttive.
Ben venga oggi anche la consapevolezza sulle cautele da adottare nei salvataggi aziendali: ma non accettiamo un giudizio sommario di avvenute pubblicizzazioni clientelari, quando poi si pensi a casi molto vicini a noi, come quelli dell'Emanuel, della Singer, della Monoservizio e li si guardi attraverso le varie operazioni di pressioni, di giustificazioni, di proposte fatte per la risoluzione in tal senso.



ALASIA Giovanni, Assessore ai problemi del lavoro

Non ho afferrato quel che hai voluto dire. Potresti precisare meglio?



ALBERTON Ezio

Certo. Certe proposte fatte sulla Monoservizio, che rischiavano di porre delle condizioni per la sua sopravvivenza....



ALASIA Giovanni, Assessore ai problemi del lavoro

Fatte dopo avere sperimentato tutto l'arco delle ipotesi....



ALBERTON Ezio

Certe proposte credo non debbano in alcun caso trovare l'avallo di una forza politica, perché escono di per se stesse, immediatamente, fuori da quella logica che qui si vuol ribadire. E anche il discorso di riproporre interventi di pubblicizzazione nel settore di un bene maturo come quello degli elettrodomestici, perché deve avvenire qui, quando contemporaneamente a livello nazionale si ritiene che così non si debba fare?



ALASIA Giovanni, Assessore ai problemi del lavoro

Quattordici mesi, Alberton.



ALBERTON Ezio

Alasia Giovanni, dico solo che questi sono problemi difficili per tutti, ma non si può scaricare responsabilità su qualcuno, pretendere che il giro cambi e contemporaneamente chiedere le stesse cose.
Piano di riconversione industriale. E' questo un tema che ci sta particolarmente a cuore. Dopo le aspre critiche, che datano dall'ottobre 1975,dal Governo Moro-La Malfa, avevamo in piedi un testo quasi analogo a quello che abbiamo oggi. Mi sarei aspettato controproposte molto più significative.
Dal testo finora conosciuto - conosco quello apparso su "24 Ore" - sono presenti: la funzione programmatoria, per obiettivi e settori, del CIPE; il tema della ricerca, anche relativo alla piccola e media industria; il tema della mobilità e della formazione professionale. Mancano, o almeno io non le conosco, le previsioni di spesa per ognuno di questi temi.
Ma allora perché sollevare tanto scandalo quando obiettive controproposte non ne vengono fuori? Un anno perso su questo tema ricordiamolo: crediamo che abbia giocato molto negativamente sulla nostra economia.
E' possibile che a discriminare o meno la bontà di un progetto sia il fatto che le decisioni, dopo l'istruttoria degli istituti di credito, siano di un Comitato tecnico-scientifico nominato dal Parlamento, invece che del Ministro dell'industria competente sui programmi CIPE? Non credo che questo sia sufficiente, perché altrimenti quell'assemblearismo che qui si dice di non volere lo si ripropone in altra sede: i pareri che l'Assessore Alasia dà sulla 464 o sulle altre leggi non li chieda al Consiglio, noi gli riconosciamo il diritto e il dovere di darli, perché è un organo di governo che deve prendersi la responsabilità di pilotare queste operazioni.
Siamo d'accordo sulla funzione delle Regioni in tema di mobilità e formazione professionale (già la 382 la configura, e credo si debba proseguire su questa strada). Ma, a questo punto, quali proposte sono venute, anche solo di sperimentazione circa modalità e sedi con cui gestire questa mobilità? Attenzione che ci muoviamo anche con la consapevolezza che in questo momento, oltre ad una crisi economica, si sta vivendo una crisi di crescita nel mondo delle relazioni aziendali, una crisi operata dalle diverse contrattualità, richiesta dall'evoluzione dei ruoli, dalla necessità di rendere permanente il confronto su grandi temi, come la salute, la produttività, la professionalità e la partecipazione in fabbrica. Anche l'OCSE sta esaminando la proposta di un diverso assetto dei poteri istituzionali delle parti sociali nei rapporti tra imprese all'interno delle imprese. E anche qui rischiamo di giungere in ritardo. E' questo un riferimento che vale per il livello nazionale, come per il livello regionale.
In questo, la consapevolezza della rilevanza di una dimensione extra aziendale di questi problemi della democrazia industriale, occorre operi l'Ente Regione, con le sue iniziative, di cui le proprie competenze in fatto di formazione professionale, sono la premessa indispensabile.
Questo ci porta alle considerazioni oserei dire più importanti relative ai compiti istituzionali della Regione. La relazione Simonelli dedica circa 35 pagine su 40 ai fatti nazionali. Speravamo che la Giunta approfittasse di questa occasione per svolgere un'utile meditazione e un confronto sul Piano regionale, se non sui suoi contenuti completi analitici, almeno sul suo stato di avanzamento e sulla metodologia dei lavori.
La relazione incomincia a riconoscere la validità di molte delle critiche da noi già espresse, non solo sugli obiettivi e le capacità propagandate circa i livelli occupazionali (i famosi 134.000 posti di lavoro), che diventano neanche più nobili aspirazioni, ma ipotesi che è meglio non si realizzino. Si dice che si deve risistemare il piano, che si devono definire i progetti, gli strumenti, le risorse. Forse si dice che bisogna iniziare a fare il Piano.
Si è voluta introdurre una soluzione nella continuità del processo di programmazione in Piemonte, e la Giunta prende atto delle critiche che altri, e non solo l'opposizione consiliare, fa, e che trovano riscontro nella scarsa produttività delle consultazioni in atto. E' stato detto da altri nelle consultazioni: insufficiente elaborazione del quadro del Piemonte, un piano-messaggio, una enunciazione di principi, priva di realizzazioni specifiche, elenco di propositi, con mancanza di chiarezza di obiettivi concreti e di indicazione di mezzi. Da qualcun altro si è definito, in maniera ancora più critica: un piano elaborato quasi come un fatto interno dell'Amministrazione regionale, in cui mancano le integrazioni fra i diversi soggetti della programmazione, più mirante il che è certo importante a dare un contributo alla programmazione nazionale che a indagare le caratteristiche specifiche della nostra economia, con mancanza di articolazione in obiettivi di breve e medio termine, avente specificazione degli strumenti atti a conseguirli. Per il settore industriale, in particolare, che è quello che più si collega al discorso sulla politica nazionale, le osservazioni sono che si guarda al parametro dell'occupazione, alle prospettive di essa in relazione alla domanda, ma assai poco alla dinamica economica delle produzioni, alle gravi carenze in termini di produttività, manca ogni dato di analisi.
Si parla di investimenti innovatori di processi produttivi, e non li si correla all'occupazione, si individuano carenze negli strumenti. Si torna a menzionare la Finanziaria. Ebbene, nel piano di sviluppo che cosa c'è di diverso da quanto è contenuto nella legge sulla Finanziaria? Sono riportati, credo alla lettera, i compiti istituzionali che la legge assegna ad essa. E c'è il problema dei tempi: da quanto data l'istituzione della Finanziaria? Quanto alla spesa pubblica, non abbiamo alcun riscontro, sul volume di investimenti della spesa pubblica, necessario in riferimento ai posti di lavoro che si pretende da essa possano derivare. Quali volumi di capitali sono necessari per il sostegno alla esportazione? Quali spese per la formazione e la ricerca? Quali tempi per la aree attrezzate? Crediamo che debbano essere questi i contenuti di un piano, crediamo, in sostanza, alla necessità di riprendere la misura e l'indagine sul reale, senza preconcetti, in un rapporto franco e aperto con gli altri operatori soggetti primari di una programmazione democratica, e di guardare quindi fino in fondo dentro l'occupazione, dentro la domanda, dentro lo sforzo produttivo necessario.
La conservazione e lo sviluppo di comparti tecnologici interessanti (il controllo numerico della Olivetti) o la diversificazione settoriale e territoriale della FIAT, devono trovare risposte operative della Regione, e non solo messaggi, e in tempi non troppo lunghi.
Delle proposte concrete deve trovare il discorso sul recupero e riciclaggio di risorse già impegnate ma non spese, con relativa revisione della legislazione in atto: già sei mesi fa, nella discussione sul Bilancio, ne sentivamo parlare.
Così facendo, sarà molto più solido e consistente il contributo della Regione Piemonte alla programmazione nazionale e alla soluzione dei gravi problemi del nostro Paese.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PAGANELLI

E' iscritto a parlare il Consigliere Rossotto. Ne ha facoltà.



ROSSOTTO Carlo Felice

Signor Presidente, Colleghi Consiglieri, ritengo essenziale far precedere ed affermare, per una corretta valutazione dei processi economici e politici in corso, la necessità che ogni forza politica, ogni potere istituzionale prenda coscienza della gravità della crisi economica che attanaglia il nostro Paese, affinché ogni indagine sul suo carattere, sulle cause che l'hanno determinata, cerchi di essere il meno partigiana possibile, perché da essa si esca con scelte che sappiano raccogliere il maggior consenso possibile, ed è cosa certa che il largo consenso lo si ottiene solo su cose il più possibile aderenti alla verità o alla realtà.
E' mia opinione che oggi più che mai si pone con eloquente drammaticità la scelta tra interventi di mero tamponamento, nella logica delle pregresse misure congiunturali, e che in sostanza rappresentano la continuazione della vecchia linea di espansione, o, all'opposto, puntare ad alcune fondamentali modifiche strutturali ed all'avvio dell'eliminazione di squilibri di fondo che hanno, con la loro esistenza, messo in crisi il vecchio meccanismo di sviluppo dell' economia italiana.
La complessità dell'argomento, al fine di individuare alcuni punti forza di azione o intervento a livello regionale, impone una rigorosa metodologia per cercare di dare al dibattito in corso un apporto costruttivo, non soltanto nell'ambito della maggioranza, di cui L'U.L.D. fa parte, ma con riferimento all'opera di tutte le componenti politiche esistenti in questo Consiglio, il che rappresenta un po' lo spirito e il significato di questo importante momento di verifica.
Penso pertanto indispensabile articolare il mio intervento sui seguenti temi: cause dell'attuale crisi, nella loro dinamica cronologica strumenti per uscirne e finalità da raggiungere azioni esperibili a livello regionale in compatibilità con quelle che debbono essere, e che con il nostro dibattito dobbiamo cercar di aiutare a realizzarsi, le soluzioni assunte a livello nazionale dal Parlamento.
Più volte, nel corso del dibattito successivo alla consultazione elettorale, per individuare le cause e le necessarie misure di intervento per ridare equilibrio alla situazione economica italiana, da più parti si è affermato che i mali della stessa, riscontrabili nei vincoli sempre più egemonici della bilancia dei pagamenti, andavano ricercati in quella tumultuosa crescita della dinamica salariale avviatasi con l'autunno del 1969. E' dei mesi pre-elettorali la polemica Modigliani-Lama, Modigliani Napoleoni, è degli anni passati il duro e polemico intervento dell'On. Ugo La Malfa sull'accordo Confindustria-Sindacati in ordine alla ristrutturazione della scala mobile; è di questi giorni, anche da autorevoli voci del mondo della sinistra italiana, il riconoscimento, quale componente inflazionistica e di emarginazione del sistema produttivo italiano dai mercati internazionali, della spirale salari-costi.
La stessa relazione dell'Assessore Simonelli, pur affermando che certi traguardi o conquiste ottenute dal mondo del lavoro non possono essere ridimensionati in alcun modo, ha considerato tale improvviso allineamento dei costi salariali italiani quale condizione essenziale della crisi del sistema socio-economico e produttivo del Paese. Ritengo una tale impostazione del problema troppo limitata, episodica e tale da confondere cause con effetti e portare poi a conseguenze e giudizi troppo parziali, se non addirittura settari. Per amore di metodologia e per un più rigoroso rispetto della verità, credo occorra dare inizio ad una ricerca di più ampio respiro, se non proprio storico, almeno cronologicamente esatto, onde allargare il quadro d'indagine affinché l'esame delle cause dell'attuale crisi non si limiti all'opposto al logoro modo di dire, già slogan dei gruppuscoli, che questa è la crisi dell'espansione del sistema capitalistico tout-court. Dobbiamo risalire nel tempo con una visione più ampia del problema, e cercar di capire quanto è avvenuto in Italia dal 1962 in avanti. Parlo del 1962 proprio in relazione anche alla mai profondamente valutata importanza che ebbe la disattenzione da parte delle forze politiche che avevano responsabilità di governo in allora,per la nota aggiuntiva dell'On. Ugo La Malfa.
Oggi noi paghiamo duramente gli effetti della carenza di una seria programmazione nazionale, intesa non come libro dei sogni, quale in effetti si ridusse ad essere, ma quale chiara indicazione di come raggiungere il massimo di efficienza della produttività pubblica e indicazioni precise di politica economica industriale e di politica agricola, coerenti e compatibili con quello che sarebbe stato il grande banco di verifica di ogni attività italiana che in quel momento si stava avviando: la politica comunitaria europea.
Gli effetti disastrosi di questa carenza si quantificano nelle conseguenze negative della nazionalizzazione dell'industria elettrica: non perché momento di assunzione di responsabilità pubblica e politica nella produzione energetica, poiché uguale provvedimento fu assunto dai liberali USA nel lontano 1929, ma come sperpero di risorse finanziarie di entità enormi, che le varie finanziarie private, eredi delle gestioni industriali elettriche, ebbero a loro disposizione e dissolsero in rivoli di improduttività. Esempio non solo di chiara manifestazione di incapacità gestionale e manageriale di una classe dirigente, che sul mito della efficienza amava contrapporsi ai poteri inefficienti dello Stato, ma anche fallimento di un'azione di governo che non seppe indicare o canalizzare queste risorse verso obiettivi produttivi e alternativi.
Poi, a partire da quell'epoca, una politica disordinata, burocratico chentelare, degli Enti di Stato, anche questa affermazione fatta non nella logica del vieto e trito dibattito tra pubblico e privato, che troppo tempo e troppe energie ha assorbito impedendo in realtà di capire, a sinistra come in altri settori politici, che quella era una battaglia nominalistica o di Pulcinella, poiché uguale era ormai la logica sia dell'Ente privato come di quello pubblico. Infatti, tra il 1963 ed il 1968, attraverso un massiccio prosciugamento del risparmio privato, con l'esaltazione della raccolta dello stesso attraverso l'emissione di obbligazioni da parte di questi Enti, si orientarono, per iniziative industriali il più delle volte in contrasto e in concorrenza tra di loro, e mai corrispondenti ad una logica produttiva atta a modificare le strutture economico-produttive del sistema industriale italiano - basti pensare al pasticciaccio della Petrolchimica - si sciuparono per queste iniziative mezzi finanziari enormi, che non servirono a creare nuovi posti di lavoro, non servirono a modificare gli squilibri fondamentali del Paese, ma servirono soltanto a creare quei processi di inflazione e stagnazione, arresto o rilancio che l'economia italiana, dal '60 al '74, ha conosciuto in modo sempre più caotico e che gravemente incisero in modo negativo, limitandone l'operatività, sulle capacità innovative e produttive delle piccole e medie industrie private.
Cosi, con il riflazionamento del sistema degli anni '62/'63, '67/'68 e '72, e con il deflazionamento del '63/'64, del '70 e del '74, con interventi puramente monetari si tento di nascondere e tacere l'esigenza di modifiche strutturali di fondo, giocando esclusivamente sul riformismo di parole, reso logoro prima di essere soltanto operante.
Proposizioni fonetiche quali la riforma della casa, la riforma ospedaliera, la riforma dei trasporti e chi più ne ha più ne metta, che oggi suscitano sconforto e rabbia al solo sentirle pronunciare, ne sono il classico esempio.
Questi due fenomeni o processi, peraltro chiaramente evidenziati studiati e analizzati in un libro, "Razza padrona" di Scalfari, pongono in evidenza come la carenza di una chiara indicazione di politica industriale e di riforme strutturali, se esistenti annegate in un ammasso di altri problemi, abbia impedito di usufruire e utilizzare, per un ulteriore e qualificato rilancio dell'economia,quella indubbia accumulazione di capitali che il processo spontaneo e positivo - ma come tutti i processi spontanei motivo anche di forti distorsioni - realizzatosi nel Paese dal 1953 al 1960 aveva creato.
Carenza di una seria programmazione nazionale, quale conseguenza e quale politica volta non ad evidenziarsi con contenuti programmatici di scelte operative, ma che si esaurì individuato uno schieramento, stabilendo chiare preclusioni - isolamento dei comunisti e irreversibilità del centro sinistra - solo e unicamente per garantire la guida egemonica del Paese da parte della Democrazia Cristiana e dei suoi alleati e di quelle forze sociali ed economiche che, dietro ad essa e attraverso essa, intendevano operare con le stesse logiche dello sviluppo spontaneo, ammantando i processi industriali in corso come sociali perché patteggiati o parteggiati tra i grandi Enti pubblici ed i pochi Enti privati ancora operanti.
Le rivendicazioni sindacali del 1969 e la rottura della dinamica salariale avvenuta con quelle rivendicazioni, altro non sono che il segno delle inefficienze e delle carenze della passata gestione, la chiara denuncia che la classe lavoratrice italiana, non avendo ottenuto in termini di salario reale le vere riforme (trasporti, casa, assistenza sanitaria) n una amministrazione statale efficiente a tutti i suoi livelli (centrale e periferico) chiese, in termini monetari, quello che in termini di servizio non le era stato fornito, anche se promesso.
Infine, quarto elemento che è alla base della fine del vecchio modo di sviluppo, che non è uno slogan, come qualcuno crede, ma il duro e angoscioso risveglio da un sogno irrepetibile: il problema energetico, o meglio, dalla guerra del Kippur in avanti, la quintuplicazione del prezzo del petrolio, che ha dimostrato in concreto su quanto tasso di altrui miserie esisteva e si fondava il benessere dei Paesi industrializzati.
Questa e la storia rivissuta dal '60 al 15 giugno '75 da un liberale ed e storia che, pur dimostrando in concreto quanti spazi e ruoli aveva e doveva avere in quel contesto una opposizione liberale, in concreto, per la mancanza di coraggio di questa componente - e su ciò non nego le corresponsabilità mie e dei miei amici - a giocare un ruolo autonomo e non subordinato, che le consentisse anche di correlare tutte le possibilità di azioni comuni con l'opposizione comunista (e ciò facemmo per conformismo o carenza intellettuale, che ci faceva vedere lo scontro politico ancora nei termini cari a Guareschi, rinunciando ad ogni rapporto storico tra liberalismo e movimento di massa che furono alla base della rivoluzione borghese). Opposizione liberale che ha distrutto, come le ultime elezioni hanno dimostrato, il suo potenziale politico numerico, quasi lasciando credere che non esistessero più autentici assertori di un patrimonio di valori etico culturali e socio-economici di importanza storica irrinunciabile.
Da ciò, per evitare che questa eredità, a PLI ormai morto o incapace esecutore testamentario di se stesso e non del liberalismo, fosse devoluta a forze storiche notoriamente in netta contrapposizione ideologica al liberalismo stesso, forze che però hanno saputo, con profondo dibattito anche autocritico, cogliere validità di impostazioni e di riconosciuti errori, è nata e si svolge con faticosa e faticata azione politica la presenza liberaldemocratica. Non gioco di potere, o per i piccoli vantaggi che si possono ottenere dal potere, non responsabilità a livello governativo parlamentare, perché là non ci siamo, ma costante presenza etico-politica nel tentativo di essere autentici interpreti di quei valori socio-economici che, liberati da incrostazioni opportunistiche di un potere concretatosi in pochi a favore di pochi, avevano fatto perdere la loro spinta rigeneratrice della società, valori che oggi sentiamo così vivi e così sentitamente vissuti da uomini di grande struttura morale militanti nella sinistra italiana, come dimostrano, con i loro responsabili interventi, nell'ampio dibattito oggi in corso nel Paese.
Avere individuato nei quattro processi sopra ricordati le cause dell'attuale crisi economica nazionale la cui gravità è resa plastica da queste paurose cifre: 100.000 miliardi di debito complessivo degli Enti pubblici dello Stato, 16.000 miliardi di debito con l'estero, 15.000 miliardi di disavanzo annuale nel bilancio dello Stato può essere serio motivo per l'affermazione che il tentativo di riproporre, attraverso operazioni tampone, una immediata e settoriale soluzione dei problemi senza un totale ripensamento di funzioni, di impegni e di ricerca di sbocco, è suicida e velleitario.
Prima che anche il termine "nuovo modello di sviluppo" acquisti il significato logoro di tante altre affermazioni, è sforzo comune non solo porre chiare le responsabilità dell'attuale situazione a carico di chi questi errori permise e determino, ma anche la ricerca di soluzioni consone e compatibili.
L'attuale situazione presenta due caratteri essenzialmente negativi: una tensione inflazionistica a cui concorrono infinite cause e vincoli sempre più egemonici della bilancia dei pagamenti, che hanno raggiunto ormai il fine-corsa di ogni procrastinazione e che pertanto da un momento all'altro può voler dire, con il crollo della lira, l'avvio di una fase sudamericana, non necessariamente cilena, forse più argentina, della storia del nostro Paese, così come l'avvenuta attesa del risultato delle capacità di resistenza della lira nel lunedì scorso ed in questi giorni sta dimostrando.
Ai due caratteri negativi si contrappongono due obiettivi che penso debbano ormai essere patrimonio comune di tutte le componenti politiche sociali ed economiche operanti nel Paese.
Esse sono: severa azione di risanamento della finanza pubblica spostamento di risorse dai consumi agli investimenti.
Il che vuol dire anche, perché le parole siano chiara espressione dell'impopolarità che ci aspetta, una politica di rigore destinata ad incidere sui consumi e sui comportamenti di larghi, anzi larghissimi strati di cittadini, e cioè anche dei lavoratori.
Sia sui caratteri negativi, che sugli obiettivi, per la loro scheletrica enunciazione vi sarebbe molto da dire, così come per tutte le cose esistono soluzioni di parte tra chi vuole e chi non vuole, giocando alcuni di costoro, quando si è alle estreme difficoltà, sul timore e sulle paure, o ragionando solo di feticci polemici. Una cosa però è certezza assoluta, che un processo inflattivo non può essere sopportato da strutture democratiche per lungo tempo e che a tassi di inflazione del 20, annuo crollano le democrazie e si afferma la dittatura, e sia chiaro, per chi si illude possa essere quella del proletariato, che la storia ed i fatti drammaticamente insegnano che ciò è molto raro.
Attenzione peno alle soluzioni o all'uscita dall'attuale crisi con i vecchi metodi proposti, con la candida serenità di colui che è convinto di avere sempre ragione, come unica alternativa alla catastrofe: ripeteremo infatti gli errori che sono stati causa dell'attuale situazione.
Poiché credo che sia tempo di estrema chiarezza e non di linguaggi enigmatici da sibille, mi richiamo all'intervista rilasciata dall' ex Presidente della Confindustria e attuale Presidente della S.p.A. Fiat che il 16 ottobre su "La Repubblica", ad una specifica domanda in ordine alle misure di emergenza ed alla validità e operatività della legge sulla riconversione industriale, rispose dicendo che tale legge non interessava molto il mondo imprenditoriale, ma che questo, quale contributo alla soluzione della crisi del Paese, chiedeva unicamente, e c'è da chiedersi fino a che punto gli altri industriali riconoscano tale delega, "metteteci in grado di esportare massicciamente e quindi oneri sociali fiscalizzati credito, sgravio dell'IVA, il tutto finalizzato all'esportazione".
Un modo rozzo di riproporre le tesi del Presidente attuale della Confindustria Carli, rozzo perché in contrasto con quelle che sono le individuazioni dei temi di fondo delle deficienze strutturali dell'industria italiana, rozzo perché vuole dire soltanto mantenere le cose cosi come stanno, rozzo perché vuole dire caricare ancora una volta ai contribuenti l'onere della differenza tra il credito agevolato e quello effettivo di mercato, l'importo dell'IVA e tutti i contributi sociali portando così a chiederci o facendo chiedere al contribuente quale sia poi l'efficienza di questo mondo industriale che per riuscire ad esportare poiché esiste un costo del lavoro italiano quasi uguale a quello europeo chiede che sull'imprenditore italiano non devono gravare tasse, previdenze dei propri dipendenti e il pagamento al tasso di mercato degli interessi sui prestiti che come i suoi concorrenti esteri deve contrarre.
E che in ogni caso questa affermazione, ricca di rimpianti per la bella epoque , in cui si era industriali sotto il manto protettivo di un illiberale protezionismo, contrasta con l'altra affermazione contenuta sempre sullo stesso numero dello stesso giornale da parte del Presidente della Federazione Nazionale delle Industrie meccaniche, Mandelli, il quale invece, affermato che in Italia ormai a forza di strategie si muore riafferma la necessità di un rispetto del "sistema delle imprese" indipendentemente pertanto da ogni polemica tra privato e pubblico, anzi comune ad entrambi, chiedendo soltanto il riconoscimento alle stesse di poter accumulare ricchezze per poter incentivare gli investimenti.
Non vi è chi non veda in una tale impostazione del problema e della relativa problematica un modo di tentare di risolvere i problemi attuali soltanto in modo temporaneo e fittizio, così come temporaneo e fittizio o a breve o medio termine, come ancora si suol dire oggi, sono le argomentazioni portate avanti dall'attuale Presidente della Confindustria Carli in polemica con l'economista Napoleoni.
Egli in effetti chiede di sostituire a parte della domanda interna, che deve essere modificata o ridotta per i vincoli della bilancia dei pagamenti, una domanda esterna per mantenere immutato il livello di attività.
Ed a tal fine propone quali strumenti un abbassamento del costo del lavoro, o attraverso la riduzione del salario nominale, o con l'aumento della produttività del lavoro ed il ristabilimento della competitività delle merci con mezzi diversi dall'inflazione, il che in sostanza vuol dire fiscalizzazione, rimborso dell'IVA, credito agevolato.
In effetti queste affermazioni hanno anche del vero, ed in specie quella sulla necessità di un abbassamento del costo del lavoro che attraverso l'aumento della produttività può e deve essere perseguito; per il problema, come detto in precedenza, affrontato in questo modo, è solo e rimane ancora una volta settoriale, con gravi implicazioni politiche a monte, quasi ad usare la responsabile disponibilità del Partito comunista a sostegno di una politica che nulla creando di nuovo nel sistema produttivo del Paese, nulla modificando delle strutture che hanno portato all'attuale crisi, della cui gravità mai si parlerà sufficientemente, tende a far perdere allo stesso Partito comunista il rapporto con le masse per poter consentire, magari attraverso una ingovernabilità del Paese, che potrebbe trovare giustificazione nell'attuale composizione del Parlamento, un momento di restaurazione di stampo antico, di breve durata, travolto poi dall'ira popolare che non può essere a lungo paventata e provocata senza cosi come la storia insegna, darle giusti sbocchi di responsabilità e compartecipazione, se non si vogliono le rivoluzioni, ma il lento progredire dell'umanità con continue riforme e vittorie, sulle grandi ingiustizie, che sono retaggio storico secolare,e delle piccole ma significative e continue giustizie.
Credo che alle osservazioni ed alle proposte che sorgono dalla Confindustria si debba con estrema serenità dire quale è invece la strategia delle forze politiche che nascono dalla democrazia e credono nella stessa, e secondo la quale intendono agire per tentare di dare avvio in termini positivi all'attuale crisi.
I termini della proposta sono due: da una parte un contenimento dell'evoluzione della domanda o quanto meno il contenimento del processo inflattivo, dall'altra interventi di struttura per aumentare la capacità produttiva sì da ridurre le dipendenze dall'importazione, che non è solo di materie prime, ma anche di molti prodotti finiti che possono essere prodotti in sede nazionale, così come la consultazione con gli industriali piemontesi ha chiaramente evidenziato, mentre contestualmente e sull'altro fronte aumentare la capacità di esportazione attraverso il potenziamento di quei settori produttivi ove giochino un ruolo di riequilibrio dei costi e di maggior accumulazione capitalistica, la maggior qualità di contenuto di lavoro del prodotto finito.
Non una soluzione dei problemi del vincolo della bilancia dei pagamenti attraverso l'esportazione qualunque essa sia, favorita da oneri a carico della collettività, quali sgravi di tasse o tributi, o dinamiche inflazionistiche che si ritradurrebbe poi in un continuo ulteriore indebolimento del sistema economico e produttivo nazionale, ma riqualificazione ed e per ciò che alla proposta dell'ex Presidente della Confindustria, con poco garbo e anche in violazione delle buone maniere di quel mondo borghese che riconosco come mio e che voglio rappresentare con coerenza e fermezza, di fronte ai nuovi processi che non lo possono vedere assente, pena la sua definitiva scomparsa, mi sono permesso di dare la definizione di "rozza".
Credo che a questo punto, individuate le cause della crisi, evidenziati i grandi temi che ci incombono, e su cui siamo chiamati a decidere indicando quale scelta effettuare per uscirne; individuate anche le responsabilità politiche, e questo non per spirito di polemica, ma perch ognuno di noi per la correttezza e la serietà che so che alberga in amici ed avversari, in uomini di maggioranza e di minoranza, rifletta come, anche per fatti determinati in parte da noi, sia per azione che per omissione, ci troviamo con un Paese che celebrando nel 25 aprile il riscatto della sua indipendenza nazionale e democratica, intesa cioè come compartecipazione di ogni cittadino libero alle scelte che nel loro complesso costituiscono una scelta libera, dobbiamo amaramente constatare che, per una dissennata o errata politica economica e sociale, ci troviamo oggi alla fine dell'anno 1976 in una dipendenza economica dagli altri Paesi produttori, tale da chiederci se siamo ancora liberi ed indipendenti come Nazione.
C'è da chiederci se siamo ancora degni eredi, nella tutela delle libertà fondamentali di indipendenza del nostro popolo e della nostra Patria, di coloro che per questa unità, per questa indipendenza, pagarono con la loro vita e con le loro fatiche sui campi di battaglia o nel duro lavoro quotidiano questo bene irrinunciabile per uomini e non sudditi.
L'agire, l'effettuare le scelte, se premiare il discorso ancien regime di Carli, o tentare l'altra strada alternativa, difficilissima, che è riduzione dei consumi e rilancio delle capacità produttive, si scontra ancora con due complicazioni: la prima è la pessima condizione della macchina dello Stato, intesa ai vari livelli (centrale, regionale periferico), appesantita dalle incrostazioni burocratiche clientelari innestatesi su una base di costante inefficienza, sì che per qualsiasi impulso, anche buono, per qualsiasi decisione ottimale, abbiamo il meditato sospetto che i risultati non si verifichino o si verifichino, così come accadde ai pisani giunti in terra santa, quando la situazione ormai si è modificata per fatti esogeni all'intervento statale quale previsto.
Il secondo, l'ambiguità o debolezza dell'attuale conduzione politica che nega, cova o concede di negare la necessità di un governo di solidarietà nazionale (con il bizantino sofisma che così finirebbe il ruolo indispensabile di opposizione-maggioranza) nel momento stesso che le sole azioni di governo ancora esperibili, e i fatti quotidianamente ci confermano, nascono e si concretizzano quale conseguenza di una solidarietà che coinvolge ormai non solo tutte le forze politiche costituzionali, ma anche e più che mai, larghi strati responsabili del movimento sindacale.
Consegue da ciò che proprio in forza ed a rafforzamento di quel consenso generale che, nonostante stonati e personalistici distinguo emerge dal Parlamento nazionale, a fianco, insieme, contestualmente all'indicazione che dalla crisi si esce soltanto con una seria politica di riconversione industriale, si impone anche una precisa qualificazione della spesa pubblica con rilancio delle capacità di intervento e di potere produttivo delle strutture statali (ai vari livelli: centrale, regionale e periferico) e degli Enti pubblici, il tutto attuato con la riorganizzazione e riforma delle amministrazioni chiave, alludo a quella tributaria, a quella sanitaria, ed ai servizi pubblici.
La saldatura tra il momento del contenimento della domanda, con specifico riferimento alla spesa pubblica, e quello della ripresa degli investimenti, presuppone la comprensione di tutto ciò che è un costo nel suo complesso non produttivo ed è tempo che si entri con coraggio in queste questioni e che non più a parole, ma con i fatti, il Governo precisi che è anche possibile il buon funzionamento delle sue amministrazioni con organici ridotti, ottenibili anche con il blocco delle assunzioni.
Il problema della disoccupazione giovanile, specie di quella che ha fruito di un buon grado di scolarizzazione, risolto con l'allargamento delle strutture pubbliche, sarebbe l'ultimo vile cedimento di uno Stato con strutture marcescenti ed elefantiache, che a giuste domande risponderebbe con facili ma esiziali risposte.
In che misura è possibile una mobilità del lavoro all'interno del complesso dell'amministrazione pubblica, come e in che modo è possibile rispondere in termini esatti alle domande che sorgono dal mondo del lavoro produttivo, e l'ira spontanea a singhiozzo scoppiata nelle fabbriche nei giorni scorsi, che può scavalcare la stessa logica di azione politica sindacale, deve essere chiaro campanello di allarme che bisogna anche in questo settore agire, rivedendo, se del caso, eccessive remunerazioni del servizio pubblico che attraverso il termine vago e generico, e come tale solo motivo di scandalismo, di "giungla retributiva" fa sì che la busta paga di un metalmeccanico, sia a volte inferiore di due volte a quella di un dipendente pubblico, a parità di categoria.
Credo che sia tempo di scendere, dai problemi generali e che investono le grandi scelte sulle quali si misura l'operatività e la congruità degli interventi nazionali, al settore di nostra specifica competenza regionale.
E credo proprio che il collegamento tra problemi di una maggior efficienza dello Stato a livello centrale ed a livello regionale trovi, principalmente per merito dell'attuale maggioranza, non negando i contributi positivi che sono giunti anche dall' opposizione, la Regione Piemonte pronta all'assunzione delle sue responsabilità non solo politiche, ma anche operative.
La proposta di piano di sviluppo regionale, che e in fase di avanzata consultazione in sede di I Commissione, nonostante le critiche a volte molto strumentali e molto qualunquistiche a cui è stata sottoposta rappresenta una corretta piattaforma per collegare, individuare e potenziare iniziative o progetti di azione regionale su cui in coerenza ed in osmosi con le linee economiche del governo centrale, possono coagularsi sforzi ed intenti e risorse regionali per alcuni concreti obiettivi.
Il facile, e dallo stesso dichiarato "spiacevole" richiamo alla classe politica, effettuato dal Presidente della Confindustria Guido Carli, che un governo responsabile di una azienda di due milioni e mezzo di lavoratori con un bilancio pari a non meno del 40 % del reddito nazionale lordo chiaro esempio di inefficienza e di parassitismo, è poco credibile come momento di controllo e di indirizzo di una ristrutturazione del mondo industriale, impone e deve a noi ricordare che tra i 5 programmi obiettivi contenuti nella proposta di piano, vi è quello chiamato "organizzazione e informazione" che, nelle pagine 63-64-65 del testo a stampa, chiaramente propone ed indica gli strumenti e le linee di azione tendenti ad ottenere un recupero concreto di credibilità e produttività sociale dell'Ente pubblico in modo da far si di aiutare in concreto la soluzione del problema della transizione delle strutture politiche e civili della nostra democrazia a livello locale, verso quel modello nuovo di Stato dinamicamente inteso, che fu sognato da coloro che combattevano sulle montagne, nelle fabbriche, sulla linea gotica e che fu tradotto nella Carta Costituzionale e che è nostro dovere oggi di rendere operante.
Una pubblica amministrazione riformata in senso democratico che sappia trovare, dare e ridare per la prima volta ai suoi funzionari quella dignità di funzioni che sono scelte, conseguenza di una approfondita preparazione professionale e che in sintesi sono il costituzionale rispetto che il cittadino politico deve al cittadino funzionario della pubblica amministrazione e che non possono esaurirsi in parole, ma che debbono trovare, cosa peraltro fino a oggi non ancora ottenuta, a livello di dibattito anche in questo Consiglio, anche in questa occasione o nei momenti successivi in Commissione e poi ancora nel Consiglio e nel dialogo continuo con la realtà piemontese, la crescita e la verifica di scelte ottimali.
L'abolizione della complicata, rigida normativa attuale, onde consentire alle strutture di democrazia e di amministrazione locale di autoadeguarsi alle situazioni locali, l'individuazione del complesso delle funzioni da decentrare con disegno globale ed organico; l'individuazione di un principio organizzativo comune a livello decentrato, atto a costituire un sistema orizzontale per funzioni e per facce di funzioni, autonomo nelle diverse aree del sistema; la chiara definizione delle sedi e delle procedure attraverso cui si svolgono i rapporti Governo- Enti locali, in un mutamento della dialettica centro-autonomie, sono problemi che non possono e non consentono il silenzio a meno di ritenere non attuabile, non ottenibile, non raggiungibile anche attraverso errori, giustificati da volontà di fare, una struttura dello Stato, ai suoi diversi livelli, più produttiva, meno burocratica ed assolutamente non clientelare.
Programma obiettivo portato dalle proposte di Piano che sa cogliere anche, almeno come elemento propositivo, ma già coagulo di iniziative, un progetto che si chiama Centro di Calcolo, quale momento di profonda innovazione, quale indubbiamente l'anno e mezzo di attività svolta da questa maggioranza, anche da parte dei più critici, non può non essere riconosciuto.
Ne sono riprova l'acceleramento delle capacità di spesa, e di maggior rapidità di intervento, si che quel fenomeno canceroso dei residui passivi è in indubbia fase regressiva, cosa peraltro non verificabile a livello di altre consorelle regionali, mentre di contro le nuove norme in ordine al funzionamento dei Comitati regionali di controllo, hanno già saputo anticipare molti di quegli sveltimenti che, oltre a rendere agile l'azione della pubblica amministrazione, rendono i funzionari degli Enti locali responsabili collaboratori e partecipi di un lavoro non più ripetitivo e di mero controllo di timbratura, ma fatto anche di scelte responsabili ed autonome nell'ambito delle funzioni.
Credo che con questo programma, che come tutti i programmi si articola in progetti, la legge urbanistica, la legge sui trasporti, la legge sulle procedure della programmazione, la legge sulle strutture del personale regionale, si imponga un'azione che tende al massimo ad ottenere ed a rispondere in termini concreti che è possibile raggiungere una maggior produttività ed efficienza della pubblica amministrazione, quale diretto aiuto alla produttività del mondo esterno, il mondo della produzione, e far sì che quella disputa valida, ma, se non generatrice di soluzioni, anche sterile e unicamente fine a se stessa, tra parassitismo e forze produttive nulla lasci di costruttivo perdendosi solo in una caccia al parassita senza che alcuno tale si riconosca, così come quando si giocava, tra ragazzi alla guerra tra italiani ed austriaci, il più delle volte il gioco non si faceva perché nessuno voleva essere austriaco.
Più volte abbiamo ripetuto, affermato, detto, della centralità del problema agricolo, e credo che in materia, con riferimento alle nostre esclusive competenze, peraltro molte volte rimaste soltanto a livello di principio di fronte ad una tendenza accentratrice dello Stato, dobbiamo anche ripetere che la nostra azione in materia in parte è legislativa e amministrativa, ed in parte è e deve rimanere squisitamente politica per incidere sulle scelte nazionali, non con riferimento al mercato interno, ma sulle scelte nazionali che creano il rapporto vincolante e sovrastante l'economia italiana nella sede comunitaria.
E' da lì, è da una miope e mancata tutela o individuazione dei problemi dell'agricoltura italiana, che tanti, quasi tutti i mali che oggi conoscono gli operatori agricoli, nascono.
Bisogna dire con estrema chiarezza che la logica che sovrasta le indicazioni e le direttive comunitarie è una logica in diretto contrasto con le esigenze dei produttori e degli agricoltori, non solo italiani, ma anche degli altri Paesi. Se poi le condizioni degli altri sono migliori di quelle degli agricoltori italiani, non è merito di questa logica, è merito della capacità contrattuale dei loro rappresentanti politici, ma è indubbio che le scelte, anzi la politica agricola del Mercato Europeo Comune, è una politica che ha favorito i grandi esportatori, i grandi intermediari, a scapito degli autentici destinatari quali i gestori reali del settore agricolo.
E' quasi barzelletta ormai ricorrente che ad ogni contributo comunitario a favore di un certo tipo di produzione o di coltura corrisponda, nell'arco di breve tempo, nuovo contributo per l'abbandono di quella produzione o di quella coltura.
In questi giorni infatti, incredibile ma vero, monsieur Lardinois ha comunicato il progetto di dare un contributo in denaro agli agricoltori che ammazzeranno capi di bestiame, e ciò quando ancora agli stessi agricoltori non sono pervenuti i contributi loro destinati per i capi di bestiame allevati ! Le cose illogiche non sono solo frutto di disorganizzazione o di incapacità decisionale, sono il frutto di scelte attuate e volute da pochi per il loro esclusivo tornaconto e chi sceglie e decide in pochi per il vantaggio di pochi, non può essere sopportato e giustificato in un regime democratico, anche se operanti nelle confuse pieghe degli organismi europei, che a volte temiamo di criticare nel timore di danneggiare o compromettere il fine, che è sogno ideale per noi tutti, di veder nascere una Europa unita.
Non è però accettando ingiustizie o consentendo errori economici che faciliteremo o accelereremo questa nascita.
Credo che la proposta di piano nel settore dell'agricoltura, forse più che in ogni altro settore, indichi e precisi chiari progetti di intervento con la forza e la coerenza di individuare limiti e responsabilità regionali in relazione alle disponibilità regionali, non trascurando peraltro che avanzino, in attesa degli opportuni finanziamenti, progetti esecutivi di maggior rilievo.
Così operando si evita che una improvvisa destinazione di fondi ci possa trovare impreparati ad utilizzare gli stessi per coerenti obiettivi di piano.
In materia, nell'intento di dare maggior solidità al fragile settore produttivo agricolo, è indispensabile renderci conto che molta della passata legislazione da noi licenziata non premia sufficientemente modifiche strutturali, ma premia ancora la logica dell'intervento assistenziale a favore della gente dei campi.
Il dibattito da cui queste modificazioni devono emergere deve essere il più possibile franco, partecipato e responsabile e guai a chiunque partecipi allo stesso indulgendo a mere e transeunti posizioni di conservazione di poteri non acquisiti in base a meriti funzionali, ma quali deteriori risultati delle faide ideologiche che per lungo tempo hanno caratterizzato il dibattito socio-economico del nostro Paese.
Democrazia vuol dire prendere decisioni dopo aver fatto crescere culturalmente, nel modo più partecipato possibile, le esigenze di scelte che presuppongono quelle decisioni, non vuol dire giochi e scontri di interessi fittizi a tutela di posizioni di potere.
Ed è con questo spirito, ed è con questi obiettivi, cioè di una modificazione delle strutture della nostra agricoltura che l'occasione del confronto sui progetti del Piano di Sviluppo regionale nel settore dell'agricoltura potranno essere momento di reale avanzamento sociale ed economico ed è m guasto senso e con questo respiro, non soltanto in una gretta e clientelare visione di aumento di stanziamenti o di mantenimento di posizioni di potere conquistate, che si può e si deve lavorare nel settore.
L'aumento del costo dell'energia, o meglio la quintuplicazione del prezzo del petrolio, ha reso produttive per gli Stati Uniti le riserve di petrolio contenute negli scisti bituminosi, che ai vecchi prezzi del greggio erano diseconomiche.
Così non si può guardare con sufficienza, come in occasione della consultazione e avvenuto da parte di organizzazioni dei rappresentanti del mondo agricolo, il problema del recupero delle terre incolte perché di produttività marginale; marginale a che cosa, ai valori anti crisi energetica o ai valori attuali, tenuto anche conto di quanta nefasta incidenza ha sulla bilancia dei pagamenti il deficit alimentare? Quando si rileva che nel corso dell'anno passato altri 700.000 ettari sono rimasti inutilizzati, proprio per quelle produzioni necessarie a riequilibrare la bilancia alimentare (grano, mais, foraggiere, ortaggi) e questo dato è stato oggetto del dibattito tra il Presidente del Consiglio ed i rappresentanti delle associazioni agricole svoltosi nei giorni scorsi si pone anche con chiara evidenza che soltanto in una logica corporativistica delle difese dell'immediato e non nella visione di quello che può e deve rappresentare una agricoltura rinnovata, a questo problema in occasione delle consultazioni le organizzazioni rappresentanti dei contadini hanno dato poca importanza. Credo che di fronte alla visione corporativa di costoro è impegno delle forze politiche, di noi Consiglieri riproporre l'argomento per una più meditata valutazione, ponendoci chiaro l'obiettivo che è inutile ridiscutere continuamente tra di noi in ordine ai problemi di aumento di produzione e riduzione e mantenimento dell'occupazione in agricoltura, se non sapremo contemporaneamente creare consistenti aree di sfruttamento, perché si realizzi l'aumento di produzione attraverso l'acquisizione dell'elemento essenziale dell'attività agricola quale è il terreno.
Infine, anzi come punto centrale del discorso di agganciamento tra quella che deve essere una politica di piano regionale, quale chiaramente già emerge dalla proposta di Piano presentata dalla Giunta, con il problema centrale del dibattito tra le forze politiche del Parlamento nazionale in ordine alla riconversione industriale, all'allargamento della base produttiva del Paese, alla soluzione dei problemi della disoccupazione giovanile, credo che sia opportuno sottolineare quanto collegati concatenati ed interagenti fra di loro e con il disegno che sta avanzando in sede nazionale, sono i progetti genericamente individuati con i nomi di Finanziaria regionale, aree attrezzate, istruzione professionale.
Nel corso del dibattito, e già nei tempi passati, così come nelle indicazioni contenute nella relazione dell'Assessore Simonelli, si è rilevato che la gestione del fondo di riconversione industriale in effetti riduceva le competenze e le possibilità di intervento del livello regionale in relazione a quelli che erano stati già traguardi e obiettivi raggiunti per alcuni settori nei tempi passati e ciò con specifico riferimento alla legge tessile.
In un momento in cui i rapporti conflittuali tra il livello regionale ed il livello centrale restano così ampi e così essenziali, quali quello dell'efficace finanziamento degli Enti regionali, è opportuno abbandonare proteste di principio rivendicative di un riconoscimento di un ruolo regionale se non con riferimento specifico ad effettive funzionalità operative.
Così ritengo che l'affermare una presenza delle Regioni nel Comitato o nell'iter di destinazione dei fondi erogabili per la riconversione industriale, onde evitare il ripetersi di una logica premiante la riconversione dei grandi Enti monopolistici a scapito della riconversione dei piccoli e dei medi industriali, sia un errore ed un atto di limitazione di responsabilità, gratuita sfiducia verso i colleghi Deputati rappresentanti nel Parlamento nazionale gli stessi interessi sociali politici ed economici dei Consiglieri regionali, perché è tutto da dimostrare che costoro non saprebbero o non consentirebbero come loro dovere il combattere un sì distorto modo di intervento dell'esecutivo.
Il problema è la modifica del disegno di legge in modo che il fondo sia gestito dall'esecutivo sotto il costante controllo e assenso del Parlamento: la nostra presenza a quel livello sarebbe errata.
Credo che invece la nostra funzione debba essere fortemente individuata e caratterizzabile in una più efficace articolazione di poteri del Comitato regionale per la mobilità in ordine ai processi di mobilità di manodopera da impresa ad impresa.
Meglio identificati poteri, funzioni ed anche diritto di limiti, questo Comitato può e deve rappresentare uno strumento fonte di un articolato ed efficace dispiegarsi in tutta la sua capacità promozionale di quanto a livello regionale stiamo varando, o dobbiamo varare.
Mi pare ovvio il richiamo logico alla Finanziaria regionale, alle aree attrezzate, all'istruzione professionale. Credo che la nostra battaglia ed il nostro impegno sia e debba essere rivolto in questo senso, ottenendo un aperto dibattito con il potere centrale, uno stretto collegamento tra interventi a favore della disoccupazione giovanile, della riconversione industriale, in una logica che premi, con alcune indicazioni quadro, la capacità operativa della Regione.
Attraverso la formazione professionale, per la quale necessitano indicazioni quadro da parte dell'ordinamento nazionale, si può realizzare un modo articolato per coinvolgere non in funzione di accentramento, ma in visione di cogestione, tutte le occasioni che offrano all' apparato industriale, direttamente coinvolto in questo processo, quelle forze lavoro qualificate che consentano produzione con maggior qualità di contenuto di lavoro.
In questa logica e con questo intendimento e con questo riferimento all'azione governativa, in fieri, ma già abbastanza intuibile, è facile comprendere quale diversa operatività, quale maggior incisiva azione nel tessuto artigiano- industriale della nostra Regione acquisterebbe la Finanziaria regionale e si comprende ancora meglio come le aree attrezzate che così cattiva esperienza o risultato hanno dato in altre Regioni d'Italia, potrebbero essere il momento non soltanto di un innesco reale di quel processo di riequilibrio territoriale e di riassetto del tessuto delle grandi metropoli, ma anche capa ce terreno di nascita di nuove e originali attività produttive.
Aree industriali, attività finanziaria pubblica ed istruzione professionale, poste unicamente al servizio di una diversificazione interna del grande apparato produttivo che è stato motore della crescita sociale ed economica del Piemonte, parlo dell'industria dell'auto, sarebbero sperpero di mezzi e di energie e inane funzione come goccia caduta su una piastra rovente.
La consultazione con la Federazione regionale degli industriali, che racchiude in sé ovviamente le esperienze e le esigenze di tutto il tessuto industriale piemontese, quello che vive, per usare una loro parola, nell' "altro Piemonte"! e che io vorrei individuare non soltanto in un "altro" in senso topografico, ma anche di mentalità di logica e di produttività dimostrano e hanno dimostrato che nei confronti di idonee azioni, non volte a fini predeterminati, ma genericamente rivolte alle esigenze imprenditoriali, esiste attenzione e speranza.
Le indagini che gli operatori industriali piemontesi ci hanno informato di aver compiuto in ordine al tipo di produzioni sostitutive di prodotti finiti importati, realizzabili nel tessuto industriale piemontese, devono essere motivo da parte della Giunta di operativa verifica, al Consiglio di franco dibattito e confronto così come sarebbe un grosso errore non cogliere, da queste consultazioni, un anelito di speranza ed un salto culturale di disponibilità della realtà socio economica piemontese di voler ragionare e confrontarsi con più ampie strutture amministrative, quali prima nella realtà regionale italiana, la nostra Regione sta cercando di realizzare.
L'invito dell'Associazione commercianti a predisporre piani commerciali in ordine alla 426 non nell'ambito ristretto dei Comuni, ma con riferimento alle realtà sub - comprensoriali, l'approfondito e più volte dichiarato interesse del mondo industriale ad essere coinvolto nei processi di organizzazione dei servizi nell'ambito dell'Unità locale dei servizi, è segno che lo sforzo programmatore e di riorganizzazione che l'amministrazione regionale anche e non solo con il Piano di sviluppo sta svolgendo, è reale interpretazione di esigenze che la realtà propone.
Ecco perché, colleghi Consiglieri, ritengo che oggi più che mai si impone per ognuno di noi la ricerca di quegli elementi fondamentali che costituiscono il bagaglio etico politico ideologico della nostra militanza ma che nel, contempo verificati in loro gli elementi superati, frutto di incrostazioni storico partitiche non più rispondenti alla realtà delle necessità che si affacciano, sappiamo, con l'umiltà dei forti, scendere a confronto costruttivo su questi temi o su quegli altri che la vostra maggior preparazione potrà indicare come essenziali, per risolvere e operare e non per perpetrare la faida ideologica che tanto spazio ha dato agli uomini che amano il gioco delle parole e non l'impegno dei fatti.
Troppe volte non agiamo perché immobilizzati da limiti e da vincoli e da pregiudiziali che ci siamo imposti. E' sui fatti, è nei fatti, è nella risposta concreta alle esigenze della gente che sapremo difendere la libertà non con le pregiudiziali.
E' nell'efficienza, che è indubbiamente compatibile con le forme democratiche ma che dobbiamo con fatica imporre, che sapremo sconfiggere il qualunquismo e il disfattismo che stanno avanzando.
E' con l'operatività e con molti no dolorosi ed impopolari, ma anche necessari, che sapremo combattere la nostra battaglia a difesa della democrazia, certi che un rilancio dell'economia, portato avanti sulla spirale di un'inflazione che avanza a passo di carica, non modificherà le strutture che vanno modificate, né darà maggior giustizia quale oggi è richiesta: non risponderà in termini reali alle istanze di progresso sociale che la nostra gente ci chiede, sapendo anche per quello che la storia ci ha insegnato sui banchi di scuola ed abbiamo verificato nelle dure lotte della vita, che un sistema democratico non regge troppi anni a tassi di inflazione dell'ordine del 20-25%.
Combattere l'inflazione, riqualificare la spesa pubblica, riavviare processi produttivi in ordine alle scelte programmatiche che dobbiamo darci, sono atti impopolari al quali le forze politiche possono concorrere pur nella differenza delle impostazioni ideologiche con spirito costruttivo.
E' per questo, è con questo fine, sapendo cosa avremmo pagato in termini personali, che un anno fa ci dichiarammo disposti a collaborare con coloro che ci erano stati avversari per tanti anni ed oggi già più forti dell'esperienza faticosamente maturata, con l'impegno di giorni e giorni di lavoro, che rivolgendomi a voi, colleghi dell'opposizione, vi dico che l'esperienza è stata positiva e ripeto, sicuro del vostro profondo amore per la democrazia e per il progresso, che è giunto il momento di lasciare le polemiche sterili della ricerca delle responsabilità, che è arrivato il momento che il riscatto delle colpe per i passati errori, che tutti oggi stiamo pagando, parte con la soluzione in termini democratici dei problemi della nostra terra, dando al confronto costruttivo che vi viene sollecitato, anche dalle posizioni più comode quali l'opposizione consente tutta quella capacità e quell'esperienza che indubbiamente i lunghi anni di governo ed anche i molti errori compiuti, vi hanno reso depositari.



BELLOMO EMILIO



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE BELLOMO

Colgo l'occasione per avvisare che il Consiglio verrà riconvocato per le ore 15 precise, perché, secondo le intese, bisogna insediare le cinque Commissioni e quindi per poter riprendere i lavori verso le ore 15,30.
La parola al Consigliere Curci.



CURCI Domenico

Signor Presidente, signori Consiglieri, l'Assessore Simonelli, in un passo della sua relazione, ha rilevato criticamente l'impostazione deflattiva e non produttivistica della politica economica impostata dal Governo. Vogliamo a nostra volta far rilevare come tale impostazione depressiva della politica governativa fu denunciata dalla Destra Nazionale sin dal dibattito sulla fiducia al Governo stesso, mentre il Partito socialista ed il Partito comunista, attraverso la loro astensione, hanno dimostrato la solidarietà con il programma economico e sociale che era stato enunciato dal Presidente del Consiglio Nella critica di fondo al programma esposto dall'On. Andreotti, i parlamentari della Destra Nazionale dimostrarono come la politica del Governo si caratterizzava soprattutto per la compressione delle possibilità di vita dei lavoratori e per il conseguente inevitabile aumento della disoccupazione. Questa nostra denuncia trovava il suo fondamento nelle inequivoche dichiarazioni programmatiche del Presidente del Consiglio, il quale riteneva inevitabile come conseguenza della politica monetaria adottata "un rallentamento della crescita dell'economia nel secondo semestre dell'anno in corso permanendo la fascia recessiva degli investimenti fissi". Riteneva inoltre, il Presidente del Consiglio altrettanto inevitabile una contrazione della quota del reddito globale nazionale per i consumi, prospettava una politica dei prezzi amministrati che notoriamente riguarda i prezzi dei generi di prima necessità (pasta pane, benzina, ecc.) da realizzarsi con meccanismi adeguati a criteri il più possibile oggettivi: "intendendo con questo eufemismo la loro necessaria lievitazione"; prevedeva, ai fini della riduzione del disavanzo della pubblica amministrazione nel suo complesso, un aumento della pressione fiscale ed una rivalutazione delle tariffe da adeguarsi ai costi di produzione senza alcuna riserva sulle gravissime carenze gestionali delle aziende produttrici di servizi di pubblica utilità; annunziava infine la riduzione con metodo fortemente progressivo dell'applicazione della scala mobile sui redditi medio elevati da lavoro dipendente unitamente al blocco temporaneo di ogni aumento retributivo oltre un certo limite.
Di fronte alla realtà di un tale programma l'astensione in Parlamento dei comunisti e socialisti oltre che dei Partiti minori, diventa quindi corresponsabilità nella gestione di una politica economica rivolta alla deliberata compressione dei redditi di lavoro e della produttività. Perci la protesta attuale delle sinistre e le agitazioni dei sindacati della triplice, non possono avere alcuna credibilità perché le scelte economiche attuali sono state a suo tempo avviate proprio dall'astensione determinante e consapevole del Partito comunista.
E' fuor di dubbio che la drammatica situazione in cui l'economia italiana versa in conseguenza di errate politiche dei periodi precedenti riconducibili alle responsabilità dei Governi di centro-sinistra che più volte trovarono la comprensione o la "costruttiva" opposizione del P.C.I.
necessita oggi di rimedi radicali e coraggiosi. Ma è altrettanto indubbio che i rimedi non possono essere approntati dagli stessi responsabili del dissesto, i quali tentano di nascondere oggi le loro responsabilità passate barattando una politica di sacrifici per il Paese, con l'acquisizione di complicità e di posizioni di potere, senza risanare i mali profondi dell'economia italiana e senza imboccare una strada di sviluppo equilibrata e duratura e con l'unica prospettiva della collettivizzazione della società italiana.
A riprova della consapevole accettazione e della funzione punitiva e depressiva esercitata dal PCI, sta la proclamazione della direzione comunista secondo cui la guerra all'inflazione è il problema centrale dell'attuale momento. Tale affermazione, ovvia e demagogica, in quanto è indiscutibile l'iniquità dell'inflazione, se elevata a problema esclusivo prioritario di una politica economica, comporta automaticamente la necessità di comprimere i redditi di lavoro e la capacità di acquisto dei cittadini.
L'inflazione invece deve essere combattuta attraverso la difesa della capacità di acquisto dei cittadini, affrontando risolutamente all'origine il necessario adeguamento delle risorse prodotte alla massa monetaria circolante. Ciò può essere ottenuto mediante una mobilitazione produttivistica dell'intera struttura economica italiana. E la mobilitazione produttivistica può realizzarsi soltanto nell'ambito di un autentico piano di riconversione dell'intera economia nazionale, articolato settore per settore e interessante tutto il territorio nazionale in una logica di sviluppo unitario ed equilibrato, onde invertire la decennale tendenza decrescente degli investimenti, specie per quanto riguarda le nuove tecnologie.
Le misure annunziate dal Governo appaiono invece prive di coordinamento, legate esclusivamente ad una dubbia logica di breve periodo limitate alla sola politica di rifinanziamento destinata ad essere inquinata dalle pressioni settoriali, partitiche e clientelari, senza risolvere il gravissimo problema dell'indebitamento patologico delle imprese e degli Enti territoriali e dei servizi sociali. E' completamente ignorata, inoltre, la necessaria corresponsabilizzazione, attraverso opportuni istituti, dei tecnici e delle categorie del lavoro e della produzione, mentre tutto è affidato a meccanismi burocratici avulsi dalla realtà economica e sociale.
Mentre la manovra fiscale in atto, realizzata soprattutto attraverso l'imposizione indiretta con l'aumento indiscriminato del prezzo della benzina, è soltanto generatrice di ulteriore inflazione. Il suo gettito infatti, pur cospicuo, è assorbito dall'incremento inarrestato della spesa pubblica nei confronti della quale nessun deciso intervento è stato neppure profilato in termini di eliminazione radicale degli sperperi e di altrettanto radicale revisione del parassitismo nella gestione degli Enti pubblici e dell'inversione della tendenza ad accrescere la pubblicizzazione delle iniziative economiche, specie se fallimentari, il tutto volto a trasformare l'intero sistema in un coacervo di organismi tendenzialmente improduttivi e corruttori.
La più completa incertezza caratterizza, poi, il destino del Mezzogiorno la cui situazione evidenzia l'aumento costante del divario col resto d'Italia. Nei confronti del Mezzogiorno le astronomiche previsioni di spesa non risultano di possibile finanziamento e non sono neppure coordinate col progetto di ristrutturazione industriale del Governo.
Va inoltre sottolineato, che la recessione in atto provoca il ritorno al Sud dei lavoratori che in precedenza avevano trovato impiego nelle altre Regioni ed il rientro dall'estero degli emigrati a causa delle ristrutturazioni aziendali operate in altri Paesi. Ancora una volta quindi, è il Mezzogiorno d'Italia che paga per gli errori e gli egoismi altrui, mentre il Governo persevera nella sua demagogia ingannatrice, come nel caso della legge che propone il rifinanziamento della Cassa per il Mezzogiorno senza indicare la fonte dalla quale reperire i fondi necessari.
Ancora va denunziato il fatto che le categorie produttive, invece di essere facilitate nell' attività di finanziamento, sono ormai da lungo tempo iugulate da tassi di interessi insopportabili, in misura mai prima d'ora praticati Bisogna pertanto rivedere al più presto questa suicida politica del costo del denaro.
Il M.S.I.-D.N, inoltre, ricorda la sua proposta, più volte avanzata, di ridurre i costi del lavoro, non le remunerazioni dei lavoratori, attraverso una politica selettiva della fiscalizzazione degli oneri sociali volta a favorire le esportazioni.
Di fronte, poi, al problema della mobilità del lavoro, né il Governo ne le sinistre hanno saputo assumere chiare ed efficaci posizioni. Questo fenomeno, quando è inevitabile, deve compiersi senza danni professionali per il lavoratore e la sua famiglia ed in questo senso vanno considerate le proposte contenute nel programma economico-sociale del MSI-DN relative al mutamento del posto di lavoro, alla sospensione del lavoratore, alla riqualificazione professionale del lavoratore sospeso, allo spostamento del lavoratore dall'una all'altra attività, al trasferimento nella nuova attività dei frutti maturati a titoli di indennità di anzianità.
Sulla base di una tale proposta ogni fatto di riconversione non è più esclusivamente economico, ma comporta nuove dimensioni nei rapporti sociali altamente produttivistiche. Ed a proposito dell'indennità di anzianità il MSI-DN ribadisce la necessità della difesa e del perfezionamento di questo istituto che costituisce la base per far partecipare i lavoratori ai risultati economici dell'impresa.
Il modo discriminatorio ed incostituzionale con il quale il Governo ha affrontato il problema della scala mobile, mentre non diminuisce il costo del lavoro, non affronta il problema nella sua reale consistenza. Non si tratta, infatti, di bloccare in tutto od in parte il meccanismo della scala mobile per alcune categorie appiattendo le retribuzioni e disincentivando la dedizione dei lavoratori dipendenti colpiti. E' necessario, invece garantire alle remunerazioni dei lavoratori un costante potere di acquisto senza tuttavia consentire che un arretrato e difettoso meccanismo trasformi la scala mobile in strumento di spinta inflazionistica. La scala mobile non va abolita né bloccata. Essa va solo perequata per tutte le categorie dei lavoratori senza creare discriminazioni. Sul piano delle riforme si ritiene necessario aggiornare il "paniere" delle voci che ne determinano l'indice e che ogni voce venga depurata dalla componente estera. A questo proposito bisogna evitare che la parte dei rincari derivanti dalle merci impostate a prezzi internazionali crescenti, costituisca ulteriore spinta inflazionistica accelerando gli scatti della contingenza.
Infine rileviamo come le misure del Governo in ordine al deposito preventivo per le importazioni, non hanno raggiunto lo scopo di contenere le importazioni stesse, mentre hanno invece costituito un'occasione di profitti senza rischi per il sistema bancario. Gli oneri derivanti dalle operazioni bancarie sono stati, infatti, trasferiti dagli importatori sui prezzi che hanno così subito nuovi aumenti. Per altro verso il contenimento del deprezzamento della lira, tentato in questi mesi dall'autorità monetaria, si limita alle sole tecniche dello scoraggiamento delle transazioni in valute estere. Il protrarsi di tali espedienti finirà per aggravare la situazione, in quanto la stasi incide negativamente sull'importazione di materie prime necessarie alla nostra economia di trasformazione ed isolando l'Italia dal mercato internazionale.
Per queste ragioni noi ribadiamo la nostra opposizione alla politica economica governativa ed ai suoi pesanti riflessi sull'economia piemontese in quanto essa è capace soltanto di attuare un'autentica strategia della miseria.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE BELLOMO

Considerato che sono ormai le 12,30 e che dovremo riprendere i lavori puntualmente alle ore 15 per consentire l'insediamento delle cinque Commissioni, propongo di sospendere la seduta a questo punto, salvo che qualcuno degli iscritti (ne ho ancora ben dieci) sia contrario.
Vedo che non ci sono obiezioni. Ci ritroviamo allora puntualmente alle 15.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 12,30)



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