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Dettaglio seduta n.76 del 14/10/76 - Legislatura n. II - Sedute dal 16 giugno 1975 al 8 giugno 1980

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SANLORENZO


Argomento:

Interrogazioni ed interpellanze


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
I Consiglieri hanno ricevuto l'ordine del giorno. Non possiamo procedere all'approvazione dei verbali delle precedenti sedute perché non sono stati distribuiti, quindi non mi pare corretto metterli in approvazione.
Possiamo invece passare senz'altro alle interrogazioni ed interpellanze.


Argomento: Tempo libero

Interrogazione del Consigliere Cerchio: "Motivazioni che hanno indotto all'erogazione al Comune di Torino di un contributo di 130 milioni per la realizzazione di un programma di spettacoli in alcune località piemontesi"


PRESIDENTE

Esaminiamo per prima l'interrogazione del Consigliere Cerchio: "Motivazioni che hanno indotto all'erogazione al Comune di Torino di un contributo di 130 milioni per la realizzazione di un programma di spettacoli in alcune località piemontesi".
Risponde l'Assessore competente per materia, Moretti.



MORETTI Michele, Assessore al tempo libero

Il collega Cerchio giustamente ha fatto un'interrogazione sulla spesa dei 130 milioni erogati al Comune di Torino ed al Teatro Stabile. Come il Consigliere Cerchio sa, c'è una legge statale, la 702, con la quale un tempo venivano erogati i contributi a pioggia alle Pro Loco, alle bande musicali, ecc. Si è voluto evitare di erogare una parte di contributi per cercare di fare dei programmi, d'accordo con le amministrazioni provinciali di Cuneo, Asti, Alessandria, Novara e Vercelli che hanno costituito nel proprio ambito anche delle consulte con la presenza del Comitato comprensoriale provvisorio degli EPT dell'Azienda autonoma, della rappresentanza delle Pro Loco e hanno sottoposto un programma all'Assessorato, d'accordo con il Teatro Stabile di Torino che poi è l'organo tecnico che doveva provvedere all'organizzazione delle manifestazioni, d'accordo anche con il Comune di Torino, perché la legge fa riferimento che il contributo deve essere destinato ad un Ente pubblico. La regione ha erogato un contributo di 130 milioni. Devo dire che abbiamo avuto delle manifestazioni di un certo interesse in Torino e in altre zone del territorio piemontese, e sarà bene promuoverle anche il prossimo anno.
A metà di novembre ci sarà una nuova riunione, non è un ritardo,ma molti Enti non hanno ancora inviato le proposte, quindi ci troviamo nella situazione di non poter dare vita alla consulta, ma, se non sarà possibile insediare la consulta faremo una riunione con tutte le Province ed i Comitati di comprensorio per predisporre un programma ed erogare dei contributi evitando manifestazioni scoordinate. Questo vuol dire anche creare un calendario nell'ambito del Piemonte, vuol dire valorizzare certe manifestazioni, ma,ripeto, i risultati ottenuti sono stati positivi.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Cerchio.



CERCHIO Giuseppe

Signor Assessore, comprendo la sua risposta perché non poteva essere che quella che ha dato; più propriamente, però, doveva essere data da un altro Assessore, quello alla cultura, anche se lei è stato relatore nella Giunta del 7 luglio di questa assegnazione al Comune di Torino di 130 milioni, prendendo a prestito la legge statale 702, che prevede iniziative per Enti pubblici a favore di manifestazioni che interessano il movimento turistico.
Per la verità, con quest'operazione che passa sotto la veste turistica passa invece una di quelle strategie che ieri qui si chiamavano diritto allo studio, altrove si chiamavano settembre pedagogico e oggi si chiamano applicazione programmatica di attività turistiche per non dare più dei contributi a pioggia alle Pro Loco, alle bande musicali, a coloro che hanno creato la struttura portante di tutta l'attività turistica, folcloristica promozionale e culturale del nostro Piemonte.
In realtà, a questi 130 milioni, devono essere assommati altri 30 milioni dati con delibere successive alcune settimane fa al Teatro Stabile per realizzare il così detto "Festival dei giovani per i giovani". In realtà questi finanziamenti sono stati dati al Teatro Stabile non per programmare manifestazioni di carattere turistico e nemmeno per una programmazione culturale, bensì per pagare i debiti di un anno di gestione fallimentare dello Stabile. In sostanza, non si capisce come alcuni spettacoli, lodevoli sul piano dell'iniziativa, sul piano del teatro sperimentale e di avanguardia, possano rappresentare motivo di richiamo turistico a Gravere o a Giaglione; lo spettacolo "La legge sul profitto" che motivo turistico ha dato ad agosto in sperdute località montane? Alcuni spettacoli programmati non sono stati rappresentati e si potrebbe polemicamente chiedere alla Giunta se il costo degli stessi spettacoli, non concordati, fra l'altro, con chi ha dato i soldi, siano stati in realtà defalcati dai 130 milioni.
E' anche improprio parlare di contributo; dal termine "contributo" si evince che è una parte di quota che si dà ad una iniziativa; qui si dice che l'iniziativa costa 130 milioni e la Regione non fa altro che dare 130 milioni al Comune di Torino, il quale li passa al Teatro Stabile, che a sua volta fa alcuni spettacoli senza una programmazione, al Comune di Mondovì come nella piccola Comunità montana e poi utilizza forse questi soldi per pagare una stagione teatrale infelice che vede i suoi abbonati ridursi da 17.000 a 7.000 e che vede realizzare un'operazione di dubbio costume anche a livello istituzionale.
Se noi pensiamo a queste o a quelle altre decine di milioni che sono stati dati con la patente della programmazione al Teatro Stabile, io dico che non è scritto nello Statuto della Regione che la Regione Piemonte debba coprire i deficit del Teatro Stabile.



MORETTI Michele, Assessore al tempo libero

Mi sembra che qui eroghiamo dei contributi senza ottenere dei risultati e, quindi, se chiudiamo l'interrogazione così ...



PRESIDENTE

Le do la parola, come dichiarazione della Giunta però, non come replica all'interrogazione perché il regolamento non lo prevede.



MORETTI Michele, Assessore al tempo libero

D' accordo.
Innanzi tutto la Giunta, quando ha deliberato, ha tenuto conto del programma che è stato affrontato dalla Regione, dai Comuni e dalle Province, non abbiamo erogato dei contributi senza tener conto di una programmazione.
Per quanto riguarda il Teatro Stabile devo dire che non è la prima volta che la Regione interviene con dei contributi facendo riferimento alla 702.
L'attività turistica è un settore specializzato, però rientra anche nella politica del tempo libero perché il concetto del turismo è molto ampio.
Ripeto, non è la prima volta che la Regione interviene, se non la Regione, il Comune, la Provincia perché sappiamo benissimo che questi Enti hanno una gestione deficitaria, non c'è stata mai una chiusura di bilancio annuale del Teatro Stabile in pareggio o in attivo, è stato sempre deficitario Consigliere Cerchio, quindi è inutile venire a dire che quest'anno il bilancio del Teatro Stabile è stato fallimentare e le altre volte no, è stato sempre così, è la situazione dei teatri stabili, tanto è vero che il Ministro dello spettacolo sta predisponendo una legge per venire incontro con finanziamenti ai teatri stabili.



CERCHIO Giuseppe

Chiedo la parola.



PRESIDENTE

Lo sapevo già. Bisogna che questo serva di insegnamento a tutti. Non darò più la parola a nessuno per repliche di nessun tipo; piuttosto faccio una considerazione che mi pare possa essere utile per tutti.
L'argomento è interessante, si può utilizzare lo strumento dell'interrogazione o dell'interpellanza, naturalmente il Consigliere fa quello che crede, ma per esempio, una interpellanza in questo caso avrebbe permesso al Consigliere di esporre tutti i suoi ragionamenti, all'Assessore di replicare su quello che il Consigliere esponeva, e dava a quest'ultimo ancora il diritto di dire "sono d'accordo", "non sono d'accordo". Ogni Consigliere valuti volta per volta ciò che ritiene opportuno, ma vi prego di utilizzare un po' di più l'arma dell'interpellanza piuttosto che quella dell'interrogazione, perché è evidente che questi fenomeni possono succedere.
Non ho però a disposizione altro strumento da applicare che quello del regolamento, ed il regolamento mi dice a questo proposito che quando l'interrogante replica deve dichiararsi o soddisfatto o insoddisfatto motivando il tutto in quei pochi minuti che ci siamo dati, dopo di che è chiaro che l'Assessore non replica più. Lei adesso dice che non è d'accordo, e si sviluppa un interessante dibattito su una politica culturale che merita almeno due ore di discussione, non dieci minuti poiché si andrebbe al di là del fatto in sé che ha suscitato l'interrogazione stessa.
La parola ancora al Consigliere Cerchio.



CERCHIO Giuseppe

Ho chiesto la parola a termini di regolamento, perché se la Giunta dopo la risposta ritiene di fare una dichiarazione su questa, a termini di regolamento, posso chiedere la parola. Ligio al regolamento ho chiesto di intervenire solo in quella funzione. Mi farò comunque premura di sollevare un dibattito sull'argomento.


Argomento: Musei

Interrogazione del Consigliere Colombino: "Eventuali responsabilità degli uffici regionali per la mancata apertura del Museo Egizio di Torino a ferragosto"


PRESIDENTE

Passiamo ora all'interrogazione presentata dal Consigliere Colombino: "Eventuali responsabilità degli uffici regionali per la mancata apertura del Museo Egizio di Torino a ferragosto".
Risponde l'Assessore Fiorini.



FIORINI Fausto, Assessore ai musei

Devo dire che mi stupisce un po' questa interrogazione perché si fa carico alla Regione di un disguido dovuto semplicemente ad una notizia giornalistica della quale non si conosce la fonte. La Regione in questo caso non ha alcuna non dico responsabilità, ma neppure competenza, per cui non saprei che cosa rispondere. Posso dire che la notizia l'Assessore alla cultura o al turismo, cui si fa riferimento, l'hanno letta sui giornali.
Per ciò che riguarda le iniziative da intraprendere in collegamento con altri organismi, è chiaro che la risposta richiederebbe addirittura un dibattito e quindi, anche perché la domanda è rivolta all'Assessore al turismo, non credo si possa in questa sede rispondere.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Colombino.



COLOMBINO Michele

Nella mia interrogazione avevo semplicemente richiesto se esistevano o meno delle responsabilità da parte degli uffici regionali. Prendo atto della risposta che mi ha dato l'Assessore Fiorini, ma ritengo sarebbe stato meglio se mi fosse pervenuta dall'Assessore al turismo. Noi ci siamo fatti interpreti di uno stato di disagio, peraltro già evidenziato dai giornali ma che si è clamorosamente manifestato il 15 agosto, di fronte al Museo Egizio di Torino. Quel giorno, infatti, erano presenti, sotto la pioggia centinaia di persone, molte delle quali giunte anche dall'estero.
Prendo atto delle dichiarazioni dell'Assessore e mi auguro che d'ora in avanti si cerchi un sistema di informazione molto più preciso, al fine di non incorrere in questi incresciosi inconvenienti.



PRESIDENTE

Adesso interpreto il regolamento a favore del Consigliere e dato che ha posto una domanda a cui desidera avere una risposta, e siccome l'Assessore Moretti è in grado di dare quella parte di risposta che l'Assessore Fiorini diceva essere di sua competenza, gli do la parola.



MORETTI Michele, Assessore al tempo libero e al turismo

L'Ente Provinciale per il turismo, nel mese di agosto, ha organizzato delle gite e delle visite ai musei, ma nella circolare che ha fatto pubblicare sui giornali "La Stampa" e "Gazzetta del Popolo" faceva riferimento anche ad un calendario, cioè aveva stabilito, d'accordo con il personale, l'apertura dei musei in determinati giorni. Quel giorno non era indicato nel calendario e quindi i musei erano chiusi.
La risposta è stata data dal collega Fiorini perché l'argomento non è di competenza dell' Assessorato al turismo, i musei dipendono dalla Sovrintendenza. Credo quindi che dovremo correggere questo errore, se vogliamo aprire i musei ai turisti nei giorni festivi.
Con il collega Fiorini abbiamo concordato di passare attraverso alla Sovrintendenza per aprire i musei nei periodi festivi, però tenete conto che il personale non è sufficiente; è una situazione che dovremo affrontare non appena discuteremo la legge sui beni culturali.



PRESIDENTE

La parola ancora al Consigliere Colombino.



COLOMBINO Michele

Il fatto è che, responsabilità o non responsabilità, il 15 di agosto c'era di fronte al Museo Egizio una valanga di persone arrivate anche dall'estero. Ci fa piacere sapere che non ci sono state delle responsabilità da parte della Regione e dell'EPT, e questo per noi va bene.


Argomento: Turismo: argomenti non sopra specificati

Interrogazione del Consigliere Colombino: "Criteri che hanno ispirato la redazione della cartina 'Piemonte turistico' in relazione all'esclusione dei monumenti storici del Pinerolese"


PRESIDENTE

Passiamo all'interrogazione presentata dal Consigliere Colombino: "Criteri che hanno ispirato la redazione della cartina 'Piemonte turistico' in relazione all'esclusione dei monumenti storici del Pinerolese".
Risponde l'Assessore competente, Moretti.



MORETTI Michele, Assessore al turismo

Dovrei rispondere anche al Consigliere Carazzoni, ma non c'è. La risposta vale anche per lui?



PRESIDENTE

Certo, la risposta vale anche per il Consigliere Carazzoni, il fatto che non sia presente non lo assolve.



MORETTI Michele, Assessore al turismo

La questione della cartina ha suscitato tante polemiche, limitate per ad alcuni giornali locali; pare che anche la "Gazzetta del Popolo" abbia dato notizie in proposito.
Devo dire invece che la pubblicazione della cartina ha suscitato molto interesse, tant'è che fino ad oggi ne abbiamo distribuite 131.000 (far avere ai Consiglieri i nominativi di chi ne ha fatto richiesta). Le domande sono pervenute anche da parte dell'ENIT per le delegazioni all'estero, da associazioni, scuole privati; giornalmente arrivano all'Assessorato decine e decine di richieste. Ci sono anche stati dei commenti favorevoli su molta stampa specializzata.
Come si è arrivati alla redazione della cartina? Noi abbiamo invitato gli EPT, le Aziende autonome, le Pro Loco (anche quella di Pinerolo), cosa può essere capitato? La De Agostini, che è una delle ditte più rinomate nel campo delle cartine geografiche, ha commesso l'errore di non inserire i musei e i monumenti del Pinerolese, anche le Isole Borromee mancano su una parte della cartina, allora ho preso contatto con la De Agostini perch inserisca quanto richiesto.
Siccome poi su "La Stampa" è stato pubblicato che la Regione ha speso per le cartine turistiche 30 milioni, devo dire che la spesa è stata di 36 milioni e 363.936 lire per una tiratura di 204.200, costo unitario 168 lire, perché la De Agostini alla Regione ha praticato uno sconto particolare, infatti il costo della cartina della Regione Lombardia è di circa 200 lire.
Penso di avere dato una risposta soddisfacente, se ci sono altre richieste risponderò per iscritto per non creare altri problemi nell'ambito del Consiglio.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Colombino.



COLOMBINO Michele

Nell'interrogazione non ho accennato alle spese, ma mi sono fatto portavoce di un notevole malcontento che esisteva e che esiste tuttora contrariamente a quanto ha affermato l'Assessore, in una notevole parte di organismi che si interessano di turismo e di cultura. Inizialmente ero intervenuto per lamentare la mancanza di una documentazione precisa sul Pinerolese, però, avendo partecipato il 23 settembre alle consultazioni sull'istituendo comprensorio del Verbano-Cusio-Ossola, ho sentito sollevare il problema delle "Isole Borromee". Evidentemente la sua non è una risposta che possa soddisfare totalmente, perché, mentre in una parte della cartina le Isole Borromee ci sono, nell'altra mancano.
L'Assessore dice che le cartine hanno sollevato notevole interesse; ma quando esse si leggono bene e ci si accorge delle mancanze, l'interesse si trasforma in delusione. D'altronde l'Assessore competente aveva dichiarato sul n. 7 di "Notizie della Regione Piemonte" che l'iniziativa era importante non solo come fatto promozionale, ma anche perché si trattava della prima realizzazione cartografica della Regione Piemonte. Appunto per questo avrebbe dovuto essere una documentazione non dico perfetta, ma per lo meno precisa, altrimenti la cartina geografica, che dovrebbe essere uno strumento idoneo ad invogliare i turisti a visitare il Piemonte, manca di credibilità, come in effetti è stato.
Non mi ritengo quindi soddisfatto della risposta e proponga che per l'avvenire, se si dovrà fare una seconda o terza edizione, questa venga fatta con un criterio diverso e molto più aderente a quella che è la realtà piemontese in fatto di musei, di cultura, di turismo.


Argomento: Diritto allo studio - Assistenza scolastica

Interrogazione presentata dal Consigliere Marchini: "Motivazioni e ammontare dell'iniziativa del "Settembre pedagogico"


PRESIDENTE

Passiamo ora all'interrogazione presentata dal Consigliere Marchini: "Motivazioni e ammontare dell'iniziativa del "Settembre pedagogico".
La risposta compete all'Assessore Fiorini, che ha facoltà di parlare.



FIORINI Fausto, Assessore all'istruzione e assistenza scolastica

Le richieste di chiarimenti del Consigliere Marchini sono di duplice ordine.
Una concerne il tipo di contributo che la Regione ha dato al "Settembre pedagogico", e su questo è semplice rispondere che, sulla base del conto consuntivo di spesa, noi abbiamo sopportato una spesa di 10 milioni, che equivale, grosso modo, ad un terzo del totale.
L'altra parte dell'interrogazione, in cui si domanda se l'Assessore si è assicurato che siano favorite in modo equitativo le varie componenti culturali, mi induce a fare, sia pur brevemente, la storia degli accordi intercorsi.
C'è stato, nella prima decade di luglio, un pourparler con i promotori di questa iniziativa, che erano due gruppi: Movimento cooperazione educativa e COGIDAS. Su richiesta anche degli Enti locali, sono state altresì investite altre persone e sulla base di una traccia di programma sono state poi invitate ufficialmente una serie di altre Associazioni culturali torinesi. Alcuni hanno risposto positivamente, altri in termini negativi.
D'altra parte, anche soltanto dando un'occhiata al programma delle "tavole rotonde", si vede che una certa differenziazione culturale esiste perché se ci sono persone, come Menduni, che hanno un'impostazione marxista, ce ne sono altre che hanno notoriamente una impostazione decisamente diversa, ad esempio don Luigi Calonghi, docente al Pontificio Ateneo Salesiano, che nel programma era previsto per il giorno 7 alla Galleria d'Arte moderna sul problema della docimologia, cioè della valutazione scolastica; così, per ciò che riguarda la "Tavola rotonda" su "La scuola come servizio sociale nel territorio", sempre alla Galleria d' Arte moderna era prevista la partecipazione di tre relatori, e precisamente don Luciano Allais, don Pagliarello, e, per ciò che riguarda gli aspetti della droga, un gruppo che si è qualificato abbastanza positivamente in questo periodo, il Gruppo Abele.
Mi pare, quindi, che una certa differenziazione di posizioni nel "Settembre pedagogico" ci sia stata. Se mai, uno degli appunti che potremmo muovere a questa iniziativa, che ha trovato una rispondenza altamente positiva negli insegnanti e nella cittadinanza, è che sarebbe opportuno dedicare un certo tempo a curarne l'organizzazione, il che consentirebbe di ottenere anche un maggiore coinvolgimento. Penso che l'anno prossimo, se l'iniziativa si ripeterà, faremo per l'appunto così.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare, per la sua replica, il Consigliere Marchini.



MARCHINI Sergio

Ho troppa stima per l'Assessore per entrare nel merito delle sue dichiarazioni, tanto più che questa polemica, già apertasi ad altro livello, si è in certa misura risolta con una dichiarazione degli stessi Assessori socialisti al Comune di Torino nella quale si ammette che si è trattato di un infortunio. Ripeto, ho troppa stima per lei, Assessore Fiorini, per impostare il discorso su questo ordine di problemi.
Non dubito che lei abbia fatto quanto era in suo potere per verificare questa situazione di oggettivo pluralismo; tuttavia, secondo me, il problema che si pone è di natura politica. Cioè, in definitiva, noi che amministriamo dei soldi, che li deleghiamo a degli enti, abbiamo poi il potere di controllare, di discutere in una certa misura su quanto ha fatto l'Assessore? Noi ci troviamo in questa curiosissima situazione: non possiamo sindacare i criteri seguiti da una iniziativa del Comune di Torino, e chiaramente la Regione deve solo verificare, secondo me, a grandi linee se questa sia stata una iniziativa producente o meno e che si inserisca in una certa previsione di capitolo di spesa oppure in una certa linea di legge. Tuttavia, siccome noi abbiamo pur anche, oggettivamente come viene fuori da questa realtà, una nostra funzione immediata certamente non più di carattere normativo, ma di carattere operativo quindi amministrativo, e siccome veniamo giudicati anche per questo dall'opinione pubblica, il tipo di rapporto che va instaurato con gli Enti locali in questo tipo di iniziative e tutte le volte che noi diamo dei fondi ai Comuni, mi pare vada affrontato, proprio per non mettere la Giunta nell'imbarazzante situazione di dover rispondere sostanzialmente di iniziative portate avanti da altri.
Ho inteso, cogliendo un fatto di cronaca che ha avuto una certa risonanza, richiamare l'interesse dei colleghi su questo problema di carattere istituzionale: i rapporti della Giunta e dell'Amministrazione regionale in genere con i Comuni ai quali vanno i contributi per certi loro tipi di manifestazioni.


Argomento: Opere pubbliche - Edilizia: argomenti non sopra specificati - Viabilità

Interrogazione presentata dal Consigliere Benzi "Opportunità che l'autostrada Torino-Savona sia sistemata a doppia carreggiata, e mezzi con i quali la Giunta regionale intende intervenire sia nei confronti del Governo sia di altri Enti interessati"


PRESIDENTE

Passiamo all'interrogazione presentata dal Consigliere Benzi "Opportunità che l'autostrada Torino-Savona sia sistemata a doppia carreggiata, e mezzi con i quali la Giunta regionale intende intervenire sia nei confronti del Governo sia di altri Enti interessati".
La risposta compete all'Assessore Bajardi, che ha facoltà di parlare.



BAJARDI Sante, Assessore alla viabilità, attuazione e gestione delle infrastrutture

Le attuali caratteristiche dell'autostrada Torino-Savona, ad una o due carreggiate, la pendenza del 6% nel tratto appenninico, e la sua notevole tortuosità, conferiscono all'asse viario livelli di servizio non elevati.
Dai dati di esercizio e in particolare dalle variazioni stagionali dei volumi di traffico emerge il carattere della utenza della strada, con una costante percentuale di mezzi pesanti, valutabili attorno a 2550 passaggi giornalieri, ed invece elevate fluttuazioni dei mezzi leggeri, che oscillano da una media di 15.000 passaggi medi giornalieri ad un massimo in alcune domeniche, di 35-40.000 veicoli al giorno. Emerge inoltre che i livelli di esercizio si mantengono buoni, con esclusione dei mesi estivi quando si registra un abbassamento di qualità del servizio nelle ore di massimo carico. Ciò è determinato dal particolare assetto della circolazione a sorpasso alternato, che consente, peraltro, l'indubbio vantaggio, con carreggiata ridotta, di adeguare la capacità dei sensi di marcia alle caratteristiche di visibilità e sicurezza del tracciato contenendo gli effetti di rallentamento prodotti dal traffico pesante.
Dai dati si osserva ancora una sostanziale stabilizzazione, negli ultimi anni, del traffico, che trova conferma su tutto il territorio nazionale, e che consiglia la Regione ad assumere una politica di cautela nei confronti dello sviluppo della rete viaria, scegliendo di intervenire sui percorsi nei quali è prevedibile un vistoso incremento della mobilità che si accompagna a paralleli sviluppi dell'attività nei bacini individuati nel Piano regionale di sviluppo.
La Giunta regionale fa inoltre osservare che lo sviluppo della rete ferroviaria e la soluzione del nodo di Torino, unitamente a quello di Alessandria, già in atto, consentiranno in prima approssimazione l'assorbimento di parte del traffico delle merci ed il suo aumento trovando esso una più elevata capacità di accoglimento e smistamento nel costituendo scalo di Orbassano e nei prossimi lavori di potenziamento dei percorsi ferroviari e delle stazioni interne alla città di Torino.
Ciò nondimeno, la Giunta, che già nelle indicazioni preliminari al Piano di sviluppo ha individuato nei percorsi Torino-Fossano-Savona e Torino-Fossano-Cuneo-Francia sud-est assi di interesse regionale, ritiene necessario avviare, di concerto con l'Anas e le Società concessionarie, una ricerca particolare sulle condizioni reali di sicurezza dell'autostrada e sulla mobilità fra i bacini interessati, da inserire nel quadro del Piano regionale dei trasporti che questa Giunta si è impegnata a fornire a breve termine nelle sue linee generali.



PRESIDENTE

Ha facoltà di replicare l'interrogante, Consigliere Benzi.



BENZI Germano

Ringrazio l'Assessore Bajardi per le informazioni e i dati statistici che ha fornito.
Mi ha mosso a presentare la mia interrogazione la frequenza delle notizie che si leggono, specie nella stagione estiva, di luttuosi incidenti stradali sulla Torino-Savona.
D'accordo che questa Amministrazione non ha colpa alcuna del modo in cui questa strada è stata costruita, visto che la costruzione è precedente alla nascita della Regione. Dobbiamo però intervenire a migliorare le cose anche perché la pericolosità dell'arteria costringe a ridurre la velocità con la conseguenza di un maggior consumo di benzina.
E' vero che se il servizio ferroviario sarà migliorato una parte di traffico potrebbe essere smaltito per ferrovia, ma tale vantaggio sarà probabilmente compensato dal continuo naturale aumento della circolazione automobilistica, per cui le cose finiranno con il rimanere press' a poco quali sono attualmente. Per lo più, i carichi dei grossi mezzi di trasporto, quelli che costituiscono il maggior pericolo su questa autostrada, sono costituiti da prodotti petroliferi, che non verranno mai trasportati per ferrovia.
Ringrazio l'Assessore per la cortese sua risposta. Credo che l'impegno della Giunta, che è stato anche preannunciato in rapporto al Piano di sviluppo, sia tale che tanto l'Anas quanto il Governo una volta tanto si decideranno a prendere a cuore questa nostra autostrada, ad impedire che i disagi che attualmente lamentiamo perdurino nel tempo.


Argomento: Celebrazioni Manifestazioni Anniversari Convegni - Parchi e riserve

Interrogazione del Consigliere Cerchio: "Futura utilizzazione pubblica del Parco Cavour di Santena dopo la concessione per il Festival dell'Unità"


PRESIDENTE

Passiamo all'interrogazione del Consigliere Cerchio: "Futura utilizzazione pubblica del Parco Cavour di Santena dopo la concessione per il Festival dell'Unità".
Risponde il Presidente della Giunta, Viglione.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Signor Consigliere, come lei sa, le forze politiche mostrano da lunghissimo tempo grande interesse al Parco Cavour di Santena.
Sinceramente, non vedo alcun legame fra l'utilizzazione del Parco in un certo momento per un festival ed il suo futuro. Le dirò con tutta chiarezza che il festival fu autorizzato all'interno del parco dalla Fondazione che attualmente gestisce il Parco. La Regione ha indicato il Parco come suo momento di utilizzazione, di inserimento nel piano.
Come lei sa, il governo regionale in due occasioni ha dato dei contributi non per la sopravvivenza del Parco ma per l'inizio di una attività diversa non soltanto del Parco ma anche di tutto il complesso di beni storici che vi sono contenuti. Dire oggi quale sarà la futura destinazione, non soltanto del Parco, ma di tali beni (i documenti storici attinenti alla Fondazione Cavour, quanto già è stato oggetto di studio da lunghissimi anni da parte di eminenti studiosi e della Fondazione) equivarrebbe, da parte della Giunta, ad anticipare una linea che invece deve emergere da tutta una consultazione con le forze politiche, le forze sociali, le forze che operano anche in quella zona, che hanno chiesto specificamente - come lei sa bene, avendo partecipato più volte a nostre riunioni - di esservi interessate.
Mi pare di poter capire che nella sua interrogazione, peraltro interessante sotto altri aspetti, lei intenda riferirsi alla questione in genere colla utilizzazione di parchi pubblici per manifestazioni che possono avere carattere culturale, che possono avere carattere anche di un momento della vita di un partito, oppure di forze sociali. Tenga presente che una tale utilizzazione non si è avuta unicamente nel caso del Parco Cavour di Santena ma è un qualcosa di acquisito ormai in tutto il nostro Paese: come lei sa, in molte città italiane si ospitano in parchi o aree attrezzate - a Firenze le Cascine, a Roma il Pincio, per citare i primi esempi che mi vengono in mente - manifestazioni volta a volta di carattere culturale, di carattere politico, di carattere di diffusione delle idee o di incontro tra le forze.
Se questo voleva essere, come io penso, il senso della sua domanda; le dirò che la Giunta, per quanto riguarda l'utilizzazione del Parco, si rimetterà certo a tutte le forze che dovranno esprimersi. Il giudizio però, sulla concessione che è stata fatta da parte della Fondazione al Festival dell'Unità dell'uso del Parco di Santena, non può essere che un giudizio positivo, evidentemente riferito a quel festival ma anche ad altre iniziative culturali che possano essere espresse da tutte le parti politiche e sociali, della nostra comunità.



PRESIDENTE

La parola all'interrogante, Consigliere Cerchio.



CERCHIO Giuseppe

Presidente, la mia interrogazione, che rispecchiava una curiosità un tantino polemica, ma non cattiva, considerava due questioni.
In primo luogo c'era quello che lei ha colto, di sollecitare una informazione sui criteri di utilizzo dei parchi, visto che gli Enti locali interessati della zona hanno sempre avuto negli scorsi anni risposta negativa alle loro ripetute richieste di disponibilità del Parco di Santena per legittime manifestazioni culturali, promozionali, eccetera.
Un intervento della Regione su un fatto di questo genere non può che essere applaudito, e io l'ho applaudito con lei, Presidente, più d'una volta, essendomi occupato di questo problema. Il mio discorso era dunque provocatorio ed occasionale, nel senso di dire: quando potranno di fatto utilizzare queste strutture coloro che dovranno essere i fruitori di questo servizio? Anche perché a tutt'oggi il Comune di Santena, di fatto, non ne ha mai avuto disponibilità.
Secondo punto. Lei comprenderà lo stupore della popolazione locale quando si è vista recapitare un ampio, documentato depliant illustrativo in cui in copertina era detto sostanzialmente che per il Festival dell'Unità sarebbe stato consentito l'ingresso libero e gratuito a tutti nel parco come primo fatto pubblico, fatto indubbiamente positivo, e poi ha letto sulla stessa copertina questa frase di Gramsci: "L'interesse e l'entusiasmo delle grandi masse è lo sviluppo, è il trionfo del comunismo" e l'invito ad iscriversi al Partito comunista italiano.
Sarebbe stato, a mio avviso, più corretto un avvio propedeutico unitario, anche di fronte all'opinione pubblica locale. Comunque, sono certo che anche il Festival dell'Avanti potrà, come fatto culturale promozionale, trovare localizzazione nel Parco Cavour, e che così sarà anche per le Feste dell'amicizia che la Democrazia Cristiana, con organizzazione più modesta, sta promovendo. Ma forse, come prima manifestazione avrebbe rappresentato, unitariamente, a livello proprio propedeutico, un fatto più significativo, una scelta meno di parte per questo utilizzo.


Argomento: Giunta, organizzazione e funzioni - Presidente della Giunta Regionale

Interrogazione urgente del Consigliere Marchini: "Comunicazioni che il Presidente della Giunta intende fare in ordine alle voci di rimpasto della Giunta stessa"


PRESIDENTE

Passiamo all'interrogazione urgente del Consigliere Marchini: "Comunicazioni che il Presidente della Giunta intende fare in ordine alle voci di rimpasto della Giunta stessa".
Risponde il Presidente della Giunta regionale, Viglione.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Signori Consiglieri, l'interessante interrogazione del Consigliere Marchini mi consente di fare il punto su questo argomento, aggiungendo alcune osservazioni.
Posso senz'altro risponderle che non ci sarà alcun rimpasto e precisare, ricalcando la risposta data l'altro giorno dall'ex Presidente dell'ANIC Pagano, di cui si diceva fosse candidato ad andare a dirigere la Sezione petrolchimica della Montedison, che non ci sarà "anche perch nessuno ce l'ha chiesto".
Questo governo è nato come governo di legislatura: non è balneare, non è estivo, non è di transizione, non è di raccordo. E' un governo che ha con la collaborazione di tutte le forze politiche, maturato lungamente un programma valido per l'intera legislatura, un governo che si propone di governare democraticamente per l'intero arco dei cinque anni.
Desidero però subito osservare che questo è un governo aperto disponibile, secondo quanto ha sempre dichiarato, ad allargare la propria disponibilità, la si chiami di consenso o di governo, a tutte le forze politiche che volessero entrare in questa ottica o in queste linee che il governo regionale e le forze politiche che lo reggono si son date.
Le posso poi fin d'ora garantire che, qualora vi dovessero essere delle modificazioni, queste non avverrebbero al di fuori del Consiglio regionale ma attraverso una elaborazione all'interno del Consiglio regionale. Noi, in altre parole, ci ripromettiamo - e questo è un impegno che assumiamo di fronte al Consiglio regionale - di non dar corso né a crisi esterne né a crisi al buio né a colpi di testa determinati da improvvisi accessi d'ira.
Non avverrà mai quel che accadde, come certo: lei ricorderà, in una giornata di luglio, quando un primo ministro del nostro Paese repentinamente infuriatosi, convocò nella notte i Ministri e comunicò loro che il Governo si era dimesso. Se vi saranno delle modificazioni queste verranno discusse in seno al Consiglio regionale, dibattute con tutte le forze politiche, verificate nel programma che questa maggioranza aperta come abbiamo detto, si è dato, e quindi non vi saranno voci esterne o accordi esterni, o accordi segreti o meno segreti, che siano poi ribaltati in aula. Le forze politiche saranno investite nel loro insieme delle problematiche nuove che venissero ad essere evidenziate.
Per concludere, dunque, non vi sarà alcun rimpasto, e, per ripetere ancora una volta la battuta di Pagano, "anche perché nessuno ce l'ha chiesto".



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare, per la sua replica, l'interrogante, Consigliere Marchini.



MARCHINI Sergio

Lei ha risposto, signor Presidente, in modo estremamente abile ed anche colorito. Tuttavia, mi pare di dover dichiarare che non sono assolutamente soddisfatto. So bene che un qualunque tipo di rimpasto di Giunta deve trovare il suo sbocco legislativo in questa sede; è indubbio che si dovrà votare per l'elezione di un nuovo Assessore. Non penso certo che vogliate arrivare a fare nuovi Assessori attraverso circolari, come già fate circolari che sostituiscono la legge urbanistica Dico questo a ragion veduta, ho il documento che comprova che voi, con circolari, stabilite delle norme urbanistiche, e sono pronto ad esibirlo, spiacente se poi se ne occuperà nuovamente anche qualche organismo esterno.
La mia preoccupazione, che mi pare anche il Capogruppo D.C. Bianchi oggi in congedo, avesse evidenziato in un'altra situazione, è di questo tipo: se questo rimpasto ha da essere - e che abbia da esserci ce lo dicono parecchie cose, compresi i muri, che hanno orecchie, ma ce lo dicono soprattutto gli articoli de "La Stampa", ove si parla di contatti fra i partiti e si indica anche la data precisa a partire dalla quale un partito cesserebbe di essere di opposizione per diventare di maggioranza - visto che i rapporti fra maggioranza e opposizione non si esauriscono in questa sede, ma proseguono in altre sedi come l'attribuzione delle Presidente delle Commissioni, materia questa ancora tutta aperta e da decidere, mi pare che....



ROSSOTTO Carlo Felice

Dia le dimissioni dalla Commissione al Comune di Torino.



MARCHINI Sergio

Personalmente non ho nessuna Commissione, dico però che, siccome l'attribuzione di certe cariche passa come un fendente tra maggioranza e minoranza, con carature precise, mi pare che anche in termini operativi questo sia un nodo da sciogliere, per evitare che fra quindici o venti giorni abbiamo un ritorno a tutto questo discorso.
Evidentemente, si tratta di un problema politico. Il punto più interessante della sua risposta, Presidente, è quello in cui lei ha detto: "Rimpasto non c'è nella misura in cui nessuno l'ha chiesto". Questo mi fa pensare che all'interno della maggioranza nessuno l'abbia chiesto; c'è per la conferma di questa proposta diretta agli altri partiti: chi è aperto alla collaborazione può benissimo entrare in Giunta, e cose di questo genere.
Mi auguro che questo tipo di dibattito, che di fatto si è aperto con un intervento esterno, si svolga in sede più propria, e, per quanto ci compete, proporremo delle iniziative politiche che possano riportare questo discorso, anziché alle conversazioni di corridoio, magari con i giornalisti, nelle sedi più appropriate, cioè nei dibattiti tra i partiti.


Argomento: Enti Istituti Fondazioni Associazioni di rilevanza regionale

Interrogazione dei Consiglieri Vietti, Soldano ed Alberton: "Richiesta di parere alla III Commissione per contributi ad alcune associazioni culturali e motivazione delle decisioni non conformi a detti pareri"


PRESIDENTE

Passiamo all'ultima interrogazione presentata dai Consiglieri Vietti Soldano ed Alberton; "Richiesta di parere alla III Commissione per contributi ad alcune associazioni culturali e motivazione delle decisioni non conformi a detti pareri".
La risposta compete all'Assessore Fiorini, che ha facoltà di parlare.



FIORINI Fausto, Assessore all'istruzione

Questa delibera era stata assunta immediatamente prima delle ferie come loro ricorderanno, con estrema premura perché la consultazione della Commissione era avvenuta alcuni giorni prima della chiusura del Consiglio e della Giunta. Quindi, erano state stese affrettatamente alcune delibere comprensive di più voci e al funzionario addetto era sfuggito il mio appunto che precisava che questa doveva essere momentaneamente accantonata.
Io stesso, lo confesso, mi sono accorto della svista solo quando la delibera è tornata a noi per richiesta di chiarimenti da parte del Commissario del Governo. Mi sono allora preoccupato di non farla procedere oltre, come è dimostrato dal fatto che già prima della presentazione della interrogazione del 21 settembre che stiamo discutendo, e precisamente il 17 settembre, avevo fatto partire tutte le precisazioni ad eccezione di questa, perché su questo punto avevo intenzione di riaprire la discussione in Commissione.



PRESIDENTE

Chiede di parlare, a nome degli interroganti, la dottoressa Vietti. Ne ha facoltà.



VIETTI Anna Maria

La nostra interrogazione consta di due parti.
Nella prima si rileva come in alcune delibere del 27 luglio per iniziative di carattere culturale i contributi siano prevalentemente concessi ad Enti di chiara ispirazione marxista. Questa osservazione si aggiunge, sia pure in modo indiretto, ad altre, come quelle espresse dal Consigliere Marchini sul "Settembre pedagogico" e dal Consigliere Cerchio relative a varie iniziative.
Se esaminiamo, infatti, queste delibere, risulta che la delibera 32/4116 prevede un contributo di 5 milioni all'Unione culturale per cicli di incontri, conferenze e dibattiti; la delibera 34/4118 un contributo di 3 milioni ad Aiace, Arciuisp e Unione culturale per la compilazione di un catalogo ragionato di film ad uso delle scuole della Regione di ogni ordine e grado; la delibera 36/4120 un contributo di 4 milioni ai Comitati studenteschi unitari con sede presso l'Unione culturale, che altro non sono se non una articolazione dell'Unione culturale stessa, per la realizzazione del programma 1, consistente in spettacoli, concerti, film e dibattiti oltre ad un contributo di 500 mila lire all'Aiace.
Rileviamo, tra l'altro, come sia ben strano che provvedimenti assunti lo stesso giorno, il 27 luglio, con imputazione allo stesso capitolo, il cap. 228 di bilancio, debbano essere distinti in vari atti deliberativi; il fatto di trovare, ad esempio, per ben due volte l'Aiace e per ben tre volte l'Unione culturale in provvedimenti assunti lo stesso giorno imputati allo stesso capitolo di bilancio, non può non indurre, pensare che ci sia l'intenzione di assegnare contributi consistenti allo stesso Ente eludendo però l'attenzione del lettore.
La nostra seconda osservazione è di metodo. Noi avevamo espresso in Commissione competente, delle riserve riferendoci in particolare - ha ragione l'Assessore su questo aspetto - sulla delibera con la quale si concedeva un contributo di 3 milioni ad Aiace, Arciuisp e Unione culturale per un catalogo ragionato dei film ad uso delle scuole; però avevamo espresso anche delle riserve sul complesso delle delibere sottoposte all'esame della Commissione. L'Assessore, di fronte alle nostre obiezioni aveva affermato che il problema sarebbe stato esaminato nuovamente in Commissione. Dato che così non è avvenuto, noi rileviamo che diventa risibile la richiesta di parere alla Commissione.
In seguito alla risposta dell'Assessore, prendiamo atto che, per quanto riguarda in particolare il contributo sul quale avevamo fatto maggiori rilievi, si è trattato di un banale errore. Però, manteniamo fermo il nostro radicale dissenso sull'oggetto dei contributi, perché certamente queste delibere, anche in relazione ad altre iniziative di carattere culturale, tipo il "Settembre pedagogico", dimostrano che la Regione concede contributi prevalentemente in una sola direzione, il che non contribuisce certo all'esaltazione del pluralismo delle iniziative culturali.



PRESIDENTE

Le interrogazioni sono concluse. Possiamo passare al punto successivo dell'ordine del giorno.


Argomento:

Comunicazioni del Presidente


PRESIDENTE

Il punto terzo all'ordine del giorno reca: "Comunicazioni del Presidente". Le mie comunicazioni saranno molto brevi.


Argomento:

a) Congedi


PRESIDENTE

Hanno chiesto congedo i Consiglieri Bianchi, Valetto, Beltrami Bellomo, Carazzoni,Debenedetti, Genovese, Lombardi e Oberto Tarena.


Argomento:

b) Apposizione visto Commissario del Governo


PRESIDENTE

Il Commissario del Governo ha apposto il visto alla legge regionale 16/9/1976: "Norme per l'affidamento e l'esecuzione delle opere di edilizia scolastica di cui alla legge 5/8/75 n. 412".


Argomento:

Rinvio ad altra seduta dei punti quarto e quinto all'ordine del giorno


PRESIDENTE

Passiamo al punti successivi all'ordine del giorno.
Il punto quarto: "Comunicazioni della Giunta regionale sullo stato delle vertenze occupazionali" non si svolge perché l'Assessore non ritiene di dover prendere la parola dato che non vi sono questioni di particolare rilievo da sollevare, dopo l'aggiornamento della situazione trasmesso a suo tempo ai Consiglieri.
Il punto quinto: "Comunicazioni dell'Assessore competente sull'incontro degli Assessori regionali alla Sanità col Ministro" dovrà essere forzatamente rinviato, poiché l'Assessore Enrietti ha dovuto recarsi urgentemente a Roma per impegni inerenti al suo ufficio.


Argomento: Industria (anche piccola e media) - Formazione professionale

Esame deliberazione Giunta regionale relativa a: "Istituzione in via sperimentale di un Centro di formazione professionale a gestione diretta per tecnici informatici per l'automazione di processi industriali. Proposta al Consiglio regionale"


PRESIDENTE

Prima di passare al punto sesto vorrei, se non vi sono obiezioni accedere alla richiesta avanzata dall'Assessore Fiorini di anticipare una parte del punto settimo che dovrebbe richiedere pochissimo tempo: "Esame deliberazione Giunta regionale relativa a: "Istituzione in via sperimentale di un Centro di formazione professionale a gestione diretta per tecnici informatici per l'automazione di processi industriali. Proposta al Consiglio regionale".
L'Assessore Fiorini vuole illustrare la proposta?



FIORINI Fausto, Assessore all'istruzione

Ne parlerò brevemente, poiché si tratta di una questione che già e stata più volte posta in Commissione e seguita accuratamente, credo, da tutti i Gruppi.
E' una iniziativa, questa, che nell'intento nostro, mi pare in termini unitari, tende a qualificare un settore della formazione professionale cioè a fare del settore della formazione professionale non soltanto un canale di scarico ma anche un settore qualificato, che serva effettivamente al collocamento di alcuni quadri di alto livello nel campo della produzione industriale. Questo sia per ciò che riguarda le esigenze di mercato, sia per ciò che riguarda anche le direttive di piano.
In questo senso, quindi, noi abbiamo proposto tutta una serie di atti che adesso il Consiglio e qui chiamato a ratificare, che riguardano sia l'istituzione del Centro, che è un centro di formazione professionale per tecnici informatici per l'automazione di processi industriali, sia un progetto di regolamento di questo Centro, sia la costituzione di un Comitato tecnico scientifico al quale partecipano non soltanto membri nominati dalla Regione ma prevalentemente persone nominate dalle industrie che hanno aderito a questa iniziativa e che nomineranno loro tecnici in questo Comitato avente la funzione, sia pur consultiva,di indirizzare il Centro soprattutto per ciò che riguarda i programmi e le prospettive di sviluppo tecnologico; sia, in quarto luogo, l'assegnazione del personale a questo Centro; e, infine, la delibera relativa alle spese del Centro stesso.
Sei Colleghi vorranno chiedere alcuni chiarimenti sarò a loro disposizione per fornirli. Posso anche esibire tutta la documentazione, che in proposito ho presentato alla Commissione. Se non mi verranno rivolte domande specifiche non avrei altro da aggiungere. Chiedo che la questione venga decisa oggi unicamente perché c'è un problema di apertura del Centro che dovrebbe inaugurarsi la prossima settimana.



PRESIDENTE

Chiede di parlare la professoressa Soldano. Ne ha facoltà.



SOLDANO Albertina

A nome del mio Gruppo, devo precisare che in effetti il nostro parere dopo una accurata e approfondita valutazione del problema, è favorevole.



PRESIDENTE

Nessun altro chiede di parlare? Si tratta di una deliberazione, quindi la votazione avviene per alzata di mano Leggo velocemente il progetto di deliberazione: "Istituzione in via sperimentale di un Centro di formazione professionale a gestione diretta per tecnici informatici per l'automazione di processi industriali. Proposta al Consiglio regionale": "Il Consiglio regionale, visto l'art. 1 del D.P.R. 15 gennaio 1972, n.
10; ravvisata l'opportunità di istituire in via sperimentale per la durata di anni due un 'Centro Sperimentale di Formazione per Tecnici Informatici per l'automazione di processi industriali'; visti i programmi di attività formativa e lo schema di regolamento del Centro, allegato alla presente preso atto delle proposte della Giunta regionale in merito e ritenutele meritevoli di approvazione, delibera: 1) è approvata l'istituzione - deliberata dalla Giunta regionale con provvedimento n. 35-3828 in data 7 luglio 1976 - in via sperimentale e per un biennio, di un 'Centro di Formazione Professionale per Tecnici Informatici per l'automazione dei processi industriali' gestito direttamente dall'amministrazione regionale, autorizzando la Giunta stessa ad assumere ogni conseguente determinazione al riguardo 2) per la programmazione dei corsi, la definizione dei programmi e dei piani di attività annuali, la Giunta regionale si avvarrà della collaborazione del Comitato Tecnico Scientifico, previsto nell'allegato schema di regolamento, da nominarsi con D.P.G.R.
3) è approvato l'allegato schema di regolamento del Centro Sperimentale di Formazione Professionale 4) l'assegnazione del personale per lo svolgimento dell'attività dei corsi e del Centro avverrà con decreto del Presidente della Giunta regionale, scegliendolo tra quello dipendente dall'Amministrazione o mediante il conferimento di incarichi a personale esterno che sia in possesso dei requisiti e qualificazioni necessarie 5) per il biennio sperimentale previsto, sono presunte le seguenti spese per il personale: personale direttivo L. 34.000.000 personale amministrativo L. 16.000.000 personale didattico L. 12.000.000 collaboratori didattici L. 30.000.000 per un totale di L. 92.000.000 che può essere imputato per L. 11.500.000 al cap. 332 del bilancio di previsione per l'anno 1976, che verrà integrato con apposita legge di variazione al bilancio in corso di predisposizione, per L. 46.000.000 al corrispondente capitolo del bilancio 1977 e per L. 34.500.000 al corrispondente capitolo del bilancio 1978.
Considerato che l'attività formativa avrà inizio nella seconda metà del mese di ottobre, la presente deliberazione è dichiarata immediatamente esecutiva ai sensi dell'art. 49 della legge 10/2/1953, n. 62 e sarà pubblicata sul B.U. della Regione ai sensi dell'art. 65 dello Statuto".
Chi è d'accordo è pregato di alzare la mano.
La delibera è approvata all'unanimità dei 39 Consiglieri presenti in aula.


Argomento: Distributori carburante

Comunicazione della Giunta regionale relativa ai problemi connessi all'aumento del prezzo della benzina


PRESIDENTE

Do ora la parola al Vice Presidente della Giunta regionale Bajardi perché possa fare una comunicazione a nome della Giunta.



BAJARDI Sante, Vice Presidente della Giunta regionale

Le recenti misure governative di aumento del prezzo della benzina aumento che è stato oggetto l'altro giorno di una discussione in relazione all'interrogazione del Consigliere Benzi, unitamente al complesso dei provvedimenti che aumentano il costo complessivo dei servizi, si ripercuoteranno certo in una nuova e più qualificata domanda di trasporto pubblico collettivo. Ad essa dovranno far fronte la Regione ed il complesso delle aziende pubbliche e private della Regione.
Non può, in proposito, essere però ignorato che questa domanda finirà con il concentrarsi in particolare sulle ore di punta nel trasporto dei lavoratori pendolari, ossia nel momento in cui le tariffe sono meno remunerative e dove più rilevante è già ora l'integrazione economica a carico della Regione.
Inoltre, il potenziamento del servizio in prevalenza nelle ore di punta produce uno squilibrio nell'organizzazione del servizio, con un conseguente aumento dei costi sia di gestione che di investimento. Ciò ci pare corretto evidenziare per valutare giustamente la dimensione del problema particolarmente per i riflessi finanziari che una maggiore assunzione di responsabilità della Regione inevitabilmente comporta.
Va inoltre ricordata l'attuale fase contrattuale vertenziale aperta dall'ANAC, l'associazione nazionale delle autolinee in concessione, con la sua delegazione piemontese, dalla quale, alla luce dell'accertato rilevante aumento dei costi, è stato richiesto un aumento rilevante delle tariffe (si parla di un 30 %) oltre al parallelo aumento dei finanziamenti regionali nelle varie forme.
Gli incontri in atto, promossi dalla II Commissione, prima con l'ANAC e domani con le organizzazioni sindacali territoriali regionali, ci permetteranno di approfondire meglio i termini della questione, la cui problematica si somma a quella determinata dalle recenti misure governative, le quali contengono anche - e sarebbe sbagliato non evidenziarlo - una riduzione del prezzo del gasolio per trazione, che si traduce in una riduzione di 7 lire al chilometro degli attuali costi.
Ciò ricordato, in modo sommario, per cogliere la complessità del problema e la conseguente impossibilità di fronteggiare il tutto con le sole risorse finanziarie della Regione, la Giunta intende informare il Consiglio di voler intraprendere a tempi brevi una serie di contatti con le associazioni degli Enti locali e delle aziende di trasporto, pubbliche e private, al fine di elaborare una serie di misure capaci di fronteggiare la situazione nei suoi vari aspetti: 1) per quanto riguarda il potenziamento del servizio 2) per quanto riguarda gli investimenti, con una accelerazione nella estensione del parco autobus alle aziende pubbliche e private 3) con misure di revisione tariffarie, da contenere all'essenziale particolarmente per pendolari e prendendo nuove misure per categorie privilegiate, quali i pensionati.
Di tutto ciò la Giunta ne renderà conto in Consiglio per gli orientamenti generali da assumere e per le implicazioni finanziarie e legislative che ne potranno derivare. Mi riferisco alla variazione del bilancio '76, che anche per questi aspetti subisce un momento di ritardo, e ad alcuni adeguamenti legislativi che sarà necessario adottare con procedura d'urgenza per fronteggiare la situazione con tempestività.



PRESIDENTE

Nessuno chiede la parola sulla comunicazione della Giunta? Allora possiamo passare al punto successivo dell'ordine del giorno.


Argomento: Partecipazioni azionarie regionali - Bilancio - Finanze - Credito - Patrimonio: argomenti non sopra specificati

Relazione della Giunta regionale sulla situazione economica nazionale ed il possibile ruolo della Regione in riferimento al Piano di sviluppo


PRESIDENTE

Il punto sesto dell'ordine del giorno reca: "Relazione della Giunta regionale sulla situazione economica nazionale ed il possibile ruolo della Regione in riferimento al Piano di sviluppo".
Ha facoltà di prendere la parola, per la relazione introduttiva della Giunta, l'Assessore al bilancio e alla programmazione, Simonelli, Il dibattito generale su tale relazione, secondo quanto concordato con i Capigruppo, si svolgerà mercoledì prossimo, quando tutti avranno potuto prender atto dei documenti relativi.



SIMONELLI Claudio, Assessore alla programmazione e bilancio

E' molto difficile osservando l'evoluzione dell'economia italiana nel corso di quest'anno , rilevare degli sviluppi che si possano leggere soltanto in senso positivo. In realtà, il 1976 avrebbe dovuto essere secondo le previsioni degli esperti, l'anno della ripresa, per la nostra come per la maggior parte delle economie mondiali. Dopo che l'intero 1975 era stato dedicato a riequilibrare la bilancia dei pagamenti, colpita dall'aumento delle materie prime, ed in particolare del petrolio, il 1976 avrebbe dovuto essere l'anno del rilancio della produzione e degli investimenti.
In alcune economie, in particolare quella giapponese, quella tedesca e quella americana, anche se gli investimenti ristagnano, c'è, pur meno forte del previsto, una certa ripresa, per quanto soprattutto fondata sulla ricostituzione delle scorte e la ripresa dei consumi. Al contrario, nel nostro Paese la ripresa è ostacolata sia da elementi interni sia da condizionamenti esterni.
Se il 1976 potesse essere caratterizzato con poche note, potremmo anzi dire che è stato l'anno nel quale più violentemente sono esplose dal dopoguerra le contraddizioni di fondo e le velleità del nostro sistema economico. Alla crisi della lira, che ha portato alla chiusura in gennaio del mercato dei cambi, è seguita ai primi di maggio una rinnovata tensione che ha convinto della necessità di porre l'economia italiana sotto il potente riparo del deposito sulle importazioni. E, infine, nonostante questo ombrello, c'è stata la nuova drammatica caduta della lira delle scorse settimane.
Ora, la posizione complessiva dell'economia italiana verso l'estero è ormai così debole che l'equilibrio della bilancia dei pagamenti può essere raggiunto soltanto con dei livelli produttivi che sono insoddisfacenti rispetto alla esigenza di occupazione e dr rafforzamento della produzione.
La quantità di beni che l'economia italiana importa è tale rispetto a quella che esporta che ogni avvio di ripresa viene ad essere smorzato dalle decisioni che si devono assumere per limitare il disavanzo della bilancia dei pagamenti; cioè noi siamo condannati o ad avere uno sviluppo insufficiente o ad avere disavanzi nei conti con l'estero. Ma i disavanzi che ormai ci possiamo permettere sono estremamente ridotti, limitati da un volume di riserve e da linee di credito internazionali fortemente insufficienti oltre che gravemente condizionanti anche sul piano politico.
Allo stesso modo il cambio della lira è su valori tali che non può essere fatto ulteriormente slittare.
Da queste sommarie considerazioni emerge la convinzione che è al centro del dibattito politico di questi giorni, che è assolutamente impossibile affrontare ormai qualunque politica economica, in materia industriale come negli altri, senza aver ben chiaro quali sono i processi che provocano questa situazione di stallo della nostra economia. E voglio subito aggiungere che l'esame dei meccanismi dell'economia e le conclusioni che si traggono da questo esame comportano l'esigenza di affrontare i problemi della nostra economia con uno slancio ed una determinazione del tutto nuova. Non riusciremmo a mantenere più a lungo l'occupazione nelle fabbriche né a pagare i salari e gli stipendi del settore pubblico - per arrivare ai dati drammaticamente evidenti, concreti, palpabili di questa crisi - se ci illudessimo che da una situazione tanto deteriorata si pu riemergere con interventi episodici e costi moderati. La disseminazione dell'illusione della ripresa facile è oggi obbiettivamente una politica di destra, decisa a raccogliere tra qualche tempo il frutto di uno sconquasso totale e delle sue ripercussioni drammatiche sul piano sociale e sul piano civile. La elencazione dei mali, di qualunque natura essi siano, e l'attenta scelta delle strategie necessarie a far conquistare al paese, ed in particolare alle masse popolari, il ruolo che a questi compete in una moderna strategia industriale, è invece l'arduo compito che la sinistra ha oggi dinnanzi a sé.
In questo quadro, ancora deterioratosi, con ulteriore riduzione delle risorse disponibili, il discorso centrale è diventato quello di convogliare le poche energie rimaste verso una riqualificazione e un ammodernamento del nostro apparato produttivo. Questo non significa trascurare , privilegiando il discorso della riconversione e ristrutturazione industriale, il problema della nuova domanda pubblica, che, anzi, come vedremo, ha un peso rilevante nel determinare i processi di trasformazione del nostro sistema. Ma occorre che questa domanda pubblica sia concepita come fattore di stimolo alla stessa efficienza e al rinnovamento delle imprese, non come strumento di episodico intervento assistenziale volto a far sopravvivere precariamente delle imprese obsolete.
Del resto, non è dubbio che condizione necessaria per la realizzazione di una politica di riforme è che il sistema delle imprese produttive sia in grado di creare risorse in misura adeguata a sostenere sia la domanda privata che quella pubblica. Un aumento delle spese pubbliche comporta infatti, un aumento delle risorse che il sistema produttivo dell'economia deve trasferire al settore pubblico. Perciò appare indispensabile che le spese pubbliche aggiuntive siano di effettiva utilità sociale e quindi contribuiscano indirettamente ad aumentare la produttività sociale del lavoro, e non siano in alcun modo redistribuzione di reddito a favore di strati sociali parassitari.
Se è illusorio pensare alla possibilità di una ripresa facile, anche la convinzione che si possa puntare su una politica economica che combini incrementi di spesa pubblica tradizionale con stimoli generici all'investimento privato e alla riduzione dei costi è illusoria, perch tale politica genererebbe una ripresa effimera, di breve durata, che si arresterebbe subito dati i vincoli e i condizionamenti che ho ricordato, di fronte al rilancio dell'inflazione ed all'aumento del disavanzo della bilancia dei pagamenti. Questa politica potrebbe avere successo, infatti se esistessero delle condizioni che nel nostro sistema non esistono più: una sufficiente "elasticità" del sistema industriale, che lo ponga in grado di soddisfare, con un aumento di offerta, una quota rilevante della accresciuta spesa monetaria alimentata dal settore pubblico una elasticità ancora maggiore nel settore esportatore, il quale dovrebbe accrescere la sua produzione e le sue vendite sul mercato internazionale più velocemente della media, per pagare le importazioni e l'ulteriore condizione che la produttività del lavoro aumenti più rapidamente del costo del lavoro, in maniera che non insorgano tensioni inflazionistiche dal lato dei costi di produzione.
Ho detto che l'esistenza di tali condizioni è da tempo venuta a mancare in Italia. Ciò sia per cause sociali che non sono evidentemente reversibili (le conquiste, che il movimento sindacale ha compiuto negli anni sessanta in particolare a cavallo fra gli anni sessanta e gli anni settanta rappresentano una condizione di non ritorno per il nostro sistema, e chi si illudesse di poter ricreare le condizioni degli anni del cosiddetto miracolo attraverso una compressione delle conquiste operate dal movimento sindacale farebbe un grosso errore innanzitutto in termini di previsioni di fattibilità), sia per cause economiche - sulle quali tornerò in seguito in particolare la sottoaccumulazione dell'industria italiana nel decennio scorso, che ha impedito l'innovazione e la diversificazione dell'apparato produttivo, spostando la nostra economia su un gradino inferiore nella divisione internazionale del lavoro e quindi rendendola sempre più vulnerabile alla concorrenza internazionale.
E' su queste basi che si deve valutare l'attuale situazione italiana ed in particolare gli ultimi provvedimenti governativi.
I dati sullo sfondo sono quelli noti, di cui abbiamo parlato più di una volta: disoccupazione crescente, carenza cronica di investimenti, capacità produttiva dell'industria che rimane inutilizzata, e, contemporaneamente accumulo presso il sistema creditizio di ingenti capitali liquidi che non trovano impiego. Tutto questo in una situazione nella quale non solo gli antichi bisogni continuano a rimanere insoddisfatti, ma addirittura si aggravano, mentre parti crescenti della popolazione sono costrette a nuove più dolorose rinunce.
Per tutto il 1975 abbiamo assistito ad una caduta della produzione industriale, la più grave dai tempi della ricostruzione post-bellica. Tale tendenza, che negli ultimi mesi del 1975 era andata aggravandosi raggiungendo, rispetto ai corrispondenti periodi del 1974 addirittura tassi mensili di riduzione nell'ordine del 18-19 %, ha portato ad una utilizzazione degli impianti che nella maggioranza dei settori era inferiore al 70 % e in taluni addirittura minore del 60 % . A tutto ciò si è accompagnato costituendone la diretta conseguenza, l'aumento della disoccupazione, in special modo delle categorie deboli, giovani e donne, e un forte aumento delle ore in cassa integrazione.
In queste condizioni, per ragioni anche obiettive (ci limitiamo a constatare un dato di fatto), le imprese hanno continuato a rinviare o ad annullare l'attuazione dei propri programmi di investimento. Non solo cioè, non venivano fatti investimenti volti ad ampliare la capacità produttiva - e questo si spiega con l'elevato livello di capacità non utilizzata - ma sovente venivano anche rinviati o non fatti gli investimenti destinati alla ricerca di una migliore efficienza aziendale.
Questa situazione generale di crisi, che si autoalimenta, ha portato ad un progressivo deterioramento dell'apparato produttivo, in conseguenza di una caduta della domanda, non solo nel nostro Paese ma in tutto il sistema economico occidentale, che aveva, come sappiamo, la sua causa nella violenta inflazione scatenatasi a partire dal 1973, e nelle politiche deflazionistiche adottate 'in ogni Paese, anche in quei paesi in cui la stretta avrebbe potuto essere, per condizioni oggettive della loro economia, meno forte. In Italia le misure deflazionistiche erano state drastiche e durature, in particolar modo la restrizione creditizia, non venuta a cessare nemmeno dopo che, nell'estate del '74, si adottarono misure particolarmente severe di inasprimento fiscale e tariffario.
Pertanto, la politica di restrizione creditizia, perseguita in concomitanza con una elevata manovra fiscale, ha finito con il comprimere ancora di più la domanda, proprio mentre questa stava già declinando per effetto dell'aumento dei prezzi. La caduta della domanda interna, sia per consumi, sia per investimenti, essendosi verificata in un contesto in cui vi era una pesante contrazione della domanda internazionale, non ha potuto questa volta, trovare la scappatoia tradizionale, quella offerta dall'aumento delle esportazioni.
Se in una prima fase la recessione in Occidente aveva indubbiamente unificato quasi tutti i Paesi industriali in un comune destino negativo successivamente alcuni Stati avevano già varcato il punto di svolta inferiore, e altri, tra i quali l'Italia, sono rimasti in condizioni di precarietà, destinata a scavare nuove, profonde differenze fra Paesi a diverso livello di sviluppo industriale.
La crisi ha certamente reso evidenti in termini clamorosi e drammatici le debolezze e le carenze della struttura industriale italiana e del sistema economico nel suo complesso; in particolare quella debolezza storica che ha collocato la crescita delle imprese in un sistema angusto ed artificioso, a lungo segnato dal protezionismo o dal privilegio del basso costo del lavoro. Tuttavia, una caduta così massiccia della domanda esasperando la concorrenza, e creando problemi molto difficili, addirittura problemi di dissesto per molte imprese, aveva ampiamente dimostrato a tutti, ormai, la necessità di dare una diversa base economica al Paese. E da questa crisi è emersa, credo ormai, almeno a livello di indicazione, la consapevolezza generale che non se ne può uscire se non si mette su nuove basi l'apparato produttivo del Paese.
Il superamento della crisi e la ripresa dell' espansione industriale non possono cioè essere affidati, questa volta, né a manovre di rilancio della domanda globale né alla attesa di una crescita delle esportazioni indotta da una ripresa degli altri Paesi capitalistici. L'arresto della recessione esige oggi una immediata svolta nella politica economica.
Partendo dalle pressanti necessità del momento occorre avviare una coerente e moderna strategia industriale, volta non più ad accrescere indiscriminatamente la domanda globale ma ad aumentare in modo selettivo la domanda per gli investimenti produttivi e sociali, pubblici e privati manovrando in maniera nuova la spesa pubblica, il credito e il prelievo fiscale.
Lo sviluppo futuro del sistema economico italiano, la crisi lo fa emergere con tutta evidenza, dipende dalle ristrutturazioni che esso è in grado di effettuare per raggiungere nuovi livelli di efficienza, ma anche delle diversificazioni che esso è in grado di darsi, riconvertendo il proprio apparato produttivo in modo da migliorare la propria collocazione nella divisione internazionale del lavoro.
Occorrono misure di rinnovamento industriale in grado di fronteggiare le esigenze più incalzanti, per mettere la nostra economia in condizioni di utilizzare pienamente, con un deciso aumento della sua produttività, la domanda estera, che sembra iniziare a risvegliarsi, e che senza una ristrutturazione del nostro apparato produttivo rischiamo di non sapere questa volta soddisfare.
Potremmo, a questo punto, affrontare l' analisi dei caratteri che hanno portato a questa crisi, che sono ormai, per unanime convinzione, caratteri non solo di natura congiunturale ma di natura strutturale, ma è una diagnosi che abbiamo già fatto ampiamente; può essere più utile riprendere l'esame di alcuni dati della situazione dell'economia ancora alla fine del '75, quando abbiamo toccato il punto più basso della recessione, quello in cui l'attività produttiva ha raggiunto i livelli minimi. Nello stesso tempo, peraltro, come effetto delle misure deflazionistiche adottate, il tasso di inflazione scendeva e soprattutto la bilancia dei pagamenti si portava vicino all'equilibrio.
A livello internazionale era intanto iniziata, come ho già detto quella ripresa che soprattutto interessava le economie degli Stati Uniti della Germania e del Giappone; una ripresa che traeva impulso essenzialmente, da un lato nella ricostituzione delle scorte, che si erano andate esaurendo nella fase precedente, e dall'altra in un progressivo recupero della domanda per beni di consumo, in genere favorita dalle politiche di sostegno all'occupazione e ai redditi familiari.
A questo punto, qualcuno ha cominciato ad esprimere l'opinione che ancora una volta la nostra economia potesse riprendersi, trainata a rimorchio dalle economie più forti; tant'è che, come ricorderete, ci fu una certa ventata di ottimismo quando, nel quarto trimestre del 1975, l'indice della produzione industriale ha segnato un aumento del 5% rispetto al trimestre precedente, facendo parlare di avvio consistente della ripresa.
Non c'è dubbio che ci siano stati sintomi di ripresa, tanto avviata dalla domanda interna per beni di consumo quanto dalla domanda estera quell'indice che poi il primo semestre del '76 ha consentito di far apparire ancora più consolidato con quell'aumento percentuale di 10 punti che è soprattutto dovuto alle elevate richieste provenienti dal mercato dei beni di consumo. Ma già in presenza di questi indici, che venivano giudicati positivi, gli osservatori rilevavano come continuasse a non mostrare sintomi di rilancio la domanda per investimenti.
A conferma di questo punto nella relazione previsionale e programmatica che il Governo ha presentato in questi giorni si stima nell'ordine del 2 la diminuzione della domanda per investimenti fissi lordi nel '75.
Effetti altrettanto gravi si venivano intanto manifestando sul mercato del lavoro, dove all'aumento del numero di ore lavorate per addetto corrispondeva un aumento meno che proporzionale o addirittura una diminuzione del numero degli occupati.
Infatti, sempre secondo i dati della relazione previsionale e programmatica, nel secondo trimestre del '76 si ha nel settore industriale un livello occupazionale inferiore rispetto al corrispondente periodo del '75, periodo in cui, peraltro, aveva già preso maggiormente consistenza il processo di contenimento degli organici aziendali.
E' chiaro che in questa situazione dobbiamo registrare come il '76 lungi dall'essere l'anno generalizzato della ripresa, sia invece l'anno nel quale viene emergendo il tentativo di una ristrutturazione tradizionale volta a ricreare margini di profitto non già attraverso una politica di investimenti, che non c'è stata, ma attraverso un nuovo rafforzamento dello sfruttamento della forza lavoro. Qualcosa di simile, insomma, a quanto accaduto negli anni sessanta, quando vi fu un notevole recupero di margini di profitto e di competitività del sistema industriale, ma a spese dei ritmi di lavoro, della maggiore intensità di sfruttamento della forza lavoro.
Questo timido inizio di ripresa immediatamente innescava, però, quei processi perversi cui ho fatto cenno all'inizio e portava ad un incremento rapidissimo del disavanzo di cassa dello Stato, riaprendo il problema della bilancia dei pagamenti, rimettendo in moto la spirale inflattiva. Ecco dunque, che nel giro di pochi mesi, e a fronte di una ripresa economica così precaria, che comunque non aveva garantito in alcun modo l'aumento della base occupazionale, anzi, aveva comportato una ulteriore riduzione dei livelli occupazionali, i miglioramenti conseguiti dalla bilancia dei pagamenti sono stati rimessi immediatamente in discussione e la stessa lotta all'inflazione che aveva giustificato la dura politica deflattiva adottata nel '74 ha dovuto essere riproposta come momento imprescindibile della politica economica del Paese.
Basti vedere che cosa ha provocato, questo aumento di ripresa, sul fronte delle importazioni: un aumento più che proporzionale rispetto alle esportazioni. Il disavanzo dello scambio merci si espandeva dai 1063 miliardi del primo semestre '75 ai 1266 del secondo semestre fino ai 3069 dei primi sei mesi del '76, e questo nonostante che le nostre esportazioni subissero un incremento del 12% in quantità e del 30% in valore rispetto al corrispondente semestre del '75.
Questo fatto sta a dimostrare, più di ogni altra considerazione, la fragilità della ambizione di affidare ancora una volta alle sole esportazioni la capacità di sorreggere la nostra ripresa.
Non dobbiamo poi dimenticare che alla ripresa delle esportazioni ha concorso in misura decisiva la svalutazione della lira; quella svalutazione che era cominciata, come svalutazione di fatto, alla quale certo non erano estranee manovre speculative, volte a consentire, insieme, un ridimensionamento del costo del lavoro previsto per il rinnovo dei contratti e a stimolare la ripresa riguadagnando in competitività sul mercato internazionale.
Dopo la chiusura del mercato dei cambi del 20 gennaio mancarono provvedimenti capaci di arginare la speculazione. E ancora una volta la politica incerta, contraddittoria adottata dalle autorità monetarie e dalle autorità di governo, portò ad una progressiva caduta della lira. Ricordiamo tutti che due giorni dopo la riapertura del mercato dei cambi si ebbe un deprezzamento del 5%, un crollo del valore della lira, il che stava a testimoniare come la chiusura del mercato dei cambi non avesse consentito di mettere a fuoco alcuna strategia volta a contenere l'attacco pesante della speculazione. Da allora all'inizio di maggio la lira si è svalutata del 22,5 % ed oggi solamente la tassa del 10 % sull'acquisto di valuta consente di contenere e solo momentaneamente il rischio di ulteriori svalutazioni.
Questo naturalmente ha comportato effetti sul costo della vita: la spirale dei prezzi all'ingrosso, che nei primi otto mesi del '75 si era fermata, ha ripreso con grande vigore a svilupparsi all'inizio del '76. In base a dati della relazione previsionale e programmatica, nei primi sei mesi del '76 abbiamo avuto un aumento del 19,6 % dei prezzi all'ingrosso che stanno iniziando ora a trasferirsi progressivamente sulle quotazioni al consumo, e che quindi sono destinati ad innescare ulteriori processi inflattivi nel corso dell'anno.
Il rilancio dell'inflazione è venuto così erodendo il potere d'acquisto delle famiglie, annullando gli aumenti salariali, mentre le imprese, grazie alla sostenuta dinamica dei prezzi, potevano ottenere consistenti aumenti di fatturato (+ 28 % circa nel primo semestre del '76), che tuttavia solo in parte contribuivano a ripristinare ad un alto livello i meccanismi di accumulazione, per via degli aumentati costi delle materie prime importate e del rilevante aumento del costo del denaro. Cioè, la spirale perversa entro cui si trova ormai condizionata la nostra economia è tale che anche in un momento in cui vengono riaperti dei margini per le imprese, a spese del reddito di lavoro, questi margini non consentono una ripresa dell'accumulazione, perché vengono mangiati dagli aumenti delle materie prime e dall'aumento del costo del denaro.
Ora, l'operare delle politiche finanziarie del Governo non ha consentito, a nostro giudizio, di affrontare con la dovuta energia, con la tempestività richiesta, e anche con misure adeguate sul piano tecnico le conseguenze di questa crisi, dimostrando così ancora una volta come la politica monetaria, che in Italia tradizionalmente è stata sempre l'unico elemento di politica è in grado di produrre effetti quando i relativi provvedimenti hanno come obiettivo di imprimere una frenata, quando abbiano cioè obiettivi di tipo deflattivo, ma non sia assolutamente in grado di provocare alcun effetto quando deve perseguire gli obiettivi di tipo espansivo. In altri termini, in questo sistema funziona il freno ma non funziona l'acceleratore. E' una considerazione sulla quale tornerò per poter formulare un giudizio esauriente sui provvedimenti che il Governo ha annunciato in questi giorni.
Comunque, sia in relazione ai fenomeni già descritti sul piano della produzione, sia in relazione al fatto che la bilancia dei pagamenti entrava dopo maggio in una condizione tradizionalmente più favorevole, fino a giungere addirittura al saldo attivo di luglio, nei mesi a cavallo dell'estate sembrò che questa situazione potesse venire corretta senza dover far ricorso ad interventi drastici. La nascita del Governo Andreotti avviene non a caso in questa situazione, una situazione cioè di relativa calma ma anche una situazione nella quale il Governo si impegnava a formulare un programma rivolto a affrontare in modo non episodico, ma coerente e globale, i problemi di risanamento del nostro sistema produttivo, garantendo la prosecuzione della crescita dell'economia, e quindi la difesa dei livelli occupazionali ed avviando una politica di investimenti, senza innescare deficit della bilancia dei pagamenti e senza aggravare il processo inflattivo. Abbiamo visto come la realtà abbia fatto giustizia dell'illusione che sia possibile il raggiungimento di questi obiettivi senza misure adeguate ed anche pesanti.
Già la relazione programmatica presentata a fine settembre dal Governo Andreotti indicava la necessità di un intervento articolato in due momenti: un primo momento, per soddisfare l'esigenza di contenere l'evoluzione della domanda, per rispettare il vincolo costituito dall'equilibrio della bilancia dei pagamenti; un secondo tempo, per far emergere la possibilità di allentare quel vincolo, con una promozione di investimenti capaci o di ridurre la propensione all'importazione o di aumentare la competitività internazionale.
Il dibattito che si è svolto in questi mesi e che ancora oggi è al centro della nostra attenzione è proprio volto ad affermare la contestualità delle due misure e a rifiutare il riemergere della politica dei "due tempi" che appartiene al tradizionale bagaglio della politica economica di questo Paese (in cui al "secondo tempo" non si è arrivati mai) ma che oggi sarebbe particolarmente deleteria, aggiungendo ai guasti causati dalla crisi, quelli che sarebbero certamente provocati da una accentuata politica deflattiva cui non corrispondesse immediatamente la spinta di un rilancio qualificato, selettivo degli investimenti.
Il problema oggi è quello di affrontare la necessità di contenimento della domanda avendo chiaro l'obiettivo di mutare la sua composizione; per cui, la necessità di drastiche misure acquista un senso soltanto se esse servono per modificare la composizione della domanda: il rapporto tra consumi ed investimenti, la qualità della domanda stessa. Quindi, non un uso meramente stabilizzatore delle politiche, anche severe, che tutti oggi riteniamo necessarie, ma un uso che sia anche capace di promuovere un diverso sviluppo.
E' alla luce di queste considerazioni generali che devono essere valutati i provvedimenti adottati dal Governo. Su questi, come sappiamo sono stati avanzati una serie di dubbi e di perplessità di varia origine e di varia provenienza. Ci sono stati, intanto, dei dubbi sulla dimensione del prelievo. Era necessaria una "stangata" di queste proporzioni? Ci sono state, anche, provenienti dall'interno stesso della Democrazia Cristiana (e mi riferisco in particolare alle posizioni espresse dal sen. Andreatta) nette posizioni di, dissenso rispetto alla linea annunciata dal Governo che si ritiene foriera di una depressione spinta per almeno due-tre anni, e a fronte della quale si contrappone, invece, una politica che io definirei neo- liberista, cioè intesa a 'lasciare mano libera alle imprese perch possano ricostituire, attraverso lo sfruttamento dei margini offerti dalla situazione internazionale, condizioni di efficienza e di competitività.
Io credo che queste posizioni neo-liberali non debbano essere condivise. Se è vero che le cause che hanno portato a questa stretta sono cause di natura strutturale, è anche vero che rimuovere queste cause diventa essenziale ad una ripresa che non sia precaria o episodica. La parola d'ordine "lasciateci lavorare" (che è sottesa alle posizioni espresse da Carli e dalla Confindustria), "consentiteci di ripristinare la capacità di accumulazione all'interno delle imprese", "contenete i costi del lavoro", "lasciate che siamo noi a guidare la ripresa", ebbene, tutto questo appartiene evidentemente ad una terapia che non ci può trovare consenzienti. Non abbiamo infatti alcuna garanzia che attraverso queste misure il ritmo di accumulazione proceda in modo adeguato, che il riaprirsi di margini di profitto si traduca in investimenti, che, in definitiva, il sistema trovi da solo quell'equilibrio verso livelli più avanzati che non è mai riuscito a trovare nei trent'anni che ci stanno alle spalle.
Dobbiamo dunque rifiutare le suggestioni di una ipotesi di ripresa fondata esclusivamente sul mercato e pensare invece che occorre, senza penalizzare il sistema delle imprese, introdurre in questo processo degli elementi di direzione, attraverso la ripresa della politica di piano capace di dare un indirizzo alle scelte effettuate, agli investimenti, alle priorità. Ma su questo punto tornerò più avanti.
Qui vorrei limitarmi ad alcune brevi considerazioni sui provvedimenti di natura fiscale, per soffermarmi invece in particolare su alcuni aspetti dei problemi aperti dal disegno di legge sul fondo di riconversione industriale. Sulle misure di natura fiscale e parafiscale adottate, vorrei dire soltanto che, al di là dei dubbi sulla dimensione dell'intervento vada innanzitutto respinta la posizione critica di marca neo-liberista che viene avanzata dall'interno stesso della Democrazia Cristiana (ed è singolare come, di fronte alla prima "sortita" del Governo su un terreno che è certamente impopolare ma che tuttavia va incontro ad esigenze che sono largamente condivise dagli interpreti economici, dalle forze sociali dalla generalità del Paese, ci sia stato un disimpegno pressoché totale della Democrazia Cristiana, quasi che il Governo non fosse interamente composto da rappresentanti della Democrazia Cristiana, e quasi che il senso di responsabilità di cui ci si deve dar carico di fronte alla gravità delle misure non dovesse coinvolgere, io credo, tutte le forze dell'arco costituzionale, ma in primo luogo il Partito della maggioranza relativa).
Io ritengo comunque che esistano, all'interno delle misure adottate dal Governo, margini per ampie discussioni, approfondimenti e modifiche significative. Un primo dato negativo che intendo rilevare è che queste misure non mostrano in alcun modo avviato - se non nelle dichiarazioni rese in frequenti interviste del Presidente del Consiglio, che però di per s non possono evidentemente bastare - un serio tentativo per iniziare una politica di lotta all'evasione fiscale. Ci pare che anche sul piano dell' esempio, del metodo di lavoro, del punto di svolta da segnare, il discorso della lotta all'evasione fiscale avrebbe dovuto essere accompagnato da alcune precise indicazioni concrete. I provvedimenti annunciati rischiano di avere effetti iniqui nella misura in cui resta in vigore l'intera impalcatura del nostro sistema fiscale; per cui l'imposizione finisce ancora una volta per gravare sui larghi consumi popolari, come nel caso della benzina, oppure - quando incide sui redditi, come è per il blocco della scala mobile nei confronti dei redditi superiori ai 6 milioni annui finisce con l'incidere su una fascia di redditi che sono sempre redditi da lavoro e che solo in base a valutazioni, di comodo possono essere considerati "alti redditi".
Se le misure adottate devono essere tali, per le dimensioni e l'ampiezza del reperimento fiscale che si ritiene necessario, da incidere anche sulle fasce a medio reddito, come sono certamente i lavoratori dipendenti con 6 milioni di reddito l'anno, allora bisogna che questa politica sia dichiarata e non venga contrabbandata come un prelievo sulle fasce superiori della ricchezza. Se devono essere colpite anche le condizioni di lavoratori del medio ceto, allora non si può trascurare la possibilità di colpire le larghe zone di privilegio fiscale e di evasione fiscale, e quindi di prendere in considerazione i problemi dell'imposizione sui lavoratori a reddito autonomo, e soprattutto dell' imposizione sul patrimonio.
Se non c'è questa correzione netta dei provvedimenti fiscali, si finisce nelle tradizionali politiche di prelievo adottate nel nostro Paese in cui gli agenti del fisco si identificano con i gestori delle pompe di benzina e i compilatori delle buste paga delle aziende, e Io Stato rinuncia ancora una volta ad esercitare qualunque politica volta a migliorare tanto l'efficienza quanto l'equità del sistema impositivo.
Anche sul problema delle tariffe, come su quello dei prezzi amministrati, credo sarebbe posizione irresponsabile dire che non si debba andare nella direzione che è stata indicata, cioè di un aumento selettivo delle tariffe e anche dell'aumento di alcuni prezzi amministrati. Ma anche qui attenti a non inquinare le misure necessarie, usandole per reperire risorse aggiuntive da buttare nei calderoni delle aziende pubbliche dissestate. Quando il Ministro delle Partecipazioni statali dichiara, come ha dichiarato recentemente, che non c'è nulla di male se le attività finanziarie che arrivano all'IRI dalle aziende dei servizi (da quelle che sono, per esempio, in attivo come quelle telefoniche) vengono poi utilizzate per far fronte alle deficienze che si manifestano in settori diversi, allora viene teorizzato l'aumento delle tariffe dei servizi pubblici non già per risanare le aziende che forniscono quei servizi, (il che rientra in una logica economica difficilmente contestabile) ma prendendo come pretesto la "stangata" generale, aggiungere anche qualche bastonata ulteriore per reperire risorse aggiuntive da far confluire nelle grandi voragini apertesi in alcuni comparti delle Partecipazioni statali.
Un aumento dei prezzi amministrati e delle tariffe che si muovesse in questa logica è destinato - contro ogni dichiarata intenzione - ad avere pesanti effetti inflazionistici, traducendosi prima in un aumento della massa monetaria a disposizione delle imprese beneficiarie, e poi ripercuotendosi a tempi brevi sulla scala mobile, in oneri ulteriori e in nuovi incrementi di liquidità.
Particolarmente grave sarebbe una politica tariffaria di questo tipo per le Partecipazioni statali, senza far corrispondere all'iniezione di risorse alcun impegno di risanamento del sistema dell'impresa pubblica, cui dovrebbe viceversa essere attribuito un ruolo decisivo nella ripresa degli investimenti produttivi, nel breve periodo, capace di avere un effetto trainante anche negli investimenti delle imprese private. Una politica di questo tipo deve essere fermamente respinta.
Qualche considerazione in più vorrei farla, per chiudere questa prima parte, sui problemi che più direttamente riguardano, invece, la riconversione industriale. Come ho già detto prima, un'analisi attenta della situazione dell' economia italiana, e in particolare dell'industria italiana, negli anni cinquanta-sessanta probabilmente ci porterebbe a concludere che del cosiddetto "miracolo" è stata fornita una considerazione "sovradimensionata" rispetto alla realtà. Non parlo soltanto degli aspetti sociali di quel miracolo, ma proprio dei suoi aspetti economici.
Anche negli anni di più vigorosa crescita, l'economia italiana ha destinato all'investimento quote di prodotto nazionale non caratteristiche di un Paese che, partendo da livelli bassissimi, doveva recuperare terreno ma quote analoghe a quelle di Paesi già ad alto sviluppo industriale. Ad esaminare negli anni l'evoluzione della struttura industriale italiana dal '50 ad oggi si rimane perplessi di fronte agli scarsi mutamenti che hanno caratterizzato la composizione dimensionale dell'impresa. Di fronte ad una progressiva "pubblicizzazione", che è andata avanti attraverso i salvataggi, attraverso un uso indiscriminato della politica del credito agevolato, attraverso un uso clientelare della politica degli incentivi senza un riscontro con il prevalere di momenti di socializzazione delle strutture produttive ma sé mai accompagnandosi al diffondersi di questi metodi clientelari e di sostanziale degenerazione ....



ALBERTON Ezio

Sono poi ancora da dimostrare, queste affermazioni.



SIMONELLI Claudio, Assessore alla programmazione e bilancio

Non è certo una dimostrazione difficile. Basta confrontare il livello ed i risultati dell'industria pubblica nel nostro Paese negli anni Cinquanta, al tempo del piano Sinigaglia e dell'Eni di Mattei, con quella che è l'industria pubblica oggi: credo che il raffronto sia calzante per dimostrare come sia andato aumentando il grado di "pubblicizzazione" della nostra economia, con una diminuzione, però, della capacità dell'impresa pubblica di assolvere un ruolo in qualche modo di traino. Andiamo a riscontrare quali sono stati gli effetti, in termini di occupazione di trasformazione del nostro sistema economico, degli incentivi dati dal Mezzogiorno, quali sono state le dispersioni di ricchezza cui ha portato una politica, giusta nelle sue finalità ma distorta nella sua applicazione concreta come quella della promozione di iniziative industriali, dalla legge Colombo in poi, nel Mezzogiorno. Mi stupisce che si mettano in discussione certe affermazioni, dal momento che una delle motivazioni con le quali si giustifica l'unificazione in un unico fondo del rivolo degli incentivi tradizionalmente erogati da singole leggi nel nostro Paese motivazioni addotte anche da parte governativa - è proprio quella dove si tende sulla opportunità di sopprimere un sistema che ha fatto acqua, che cioè non ha consentito di concentrare gli interventi in modo razionale ed ha lasciato invece spazio ad una dispersione in mille rivoli dell'intervento pubblico.
Se dunque ci disponiamo ad esaminare quale è stata l'evoluzione strutturale dell'industria nel nostro Paese, ci accorgiamo che abbiamo avuto un ulteriore aumento della presenza pubblica, però né finalizzato n motivato da obiettivi precisi, ma che è andato, soprattutto negli ultimi tempi, accentuandosi a rimorchio di situazioni di crisi e di difficoltà di una serie di aziende e di comparti produttivi privati, abbiamo avuto un ampliamento della presenza straniera: abbiamo avuto una cristallizzazione nella sfera privata dei grandi gruppi e una ridotta dinamica delle strutture piccole e medie, che sono poi la struttura portante dei sistemi industriali.
Questa struttura industriale, rimasta praticamente in queste condizioni negli ultimi vent' anni, è stata fortemente scossa dai primi impatti salariali all'inizio degli anni Sessanta, e, in maniera ancora più grave dagli impatti salariali del '69, che hanno esteso poi anche la base rivendicativa del sindacato ad una serie di elementi che per l'innanzi non erano stati messi in discussione.
Il "recupero" salariale, che ha portato di colpo il costo del lavoro italiano a livelli europei, è stata la risposta del movimento sindacale alla miopia che ha caratterizzato il comportamento complessivo del mondo imprenditoriale negli anni miracolo. Con questo non si vuole negare che oggi il problema del rapporto tra costo e produttività del lavoro si ponga in termini assai gravi, specie di fronte alle dimensioni raggiunte dal lavoro a domicilio e dal decentramento produttivo, più o meno legale, che hanno progressivamente ridotto la base produttiva che sopporta effettivamente, in termini di ore lavorate, di salari e di effetti normativi, la pressione del movimento operaio organizzato.
Ad un confronto serrato su questo problema non ci si può ormai più sottrarre, specie se si è convinti - come lo sono io - che è illusorio cercare di elevare i contenuti di reddito reale delle classi lavoratrici senza un parallelo aumento della ricchezza prodotta.
Ai temi della riconversione industriale occorre perciò accostarsi partendo da oneste considerazioni, tenendo conto che oggi, davanti ai problemi che si sono aperti nelle imprese, ci sono, da un lato, esigenze profonde di innovazioni e dall'altro ci sono anche esigenze, se volete, di stabilizzazione, vogliamo chiamarla restaurazione, chiamiamola restaurazione; occorre ripristinare certamente dei comportamenti medi in termini di sforzi e di prestazioni di lavoro tipiche delle economie con le quali ci confrontiamo, e quindi occorre raggiungere livelli di produttività che siano comparabili con quelli degli altri paesi industriali. Non potremo davvero pretendere di continuare a vendere con successo i nostri prodotti quando questi competono con prodotti di economie nelle quali simultaneamente esiste una maggiore intensità di capitale e una maggiore intensità di lavoro rispetto alla nostra.
Accanto a questo, occorre introdurre comportamenti a regola del gioco capaci di premiare l'innovazione, il dinamismo, le capacità delle imprese.
Una politica adeguata consiste anche nel superamento di quanto, fino ad oggi, ha consentito il prosperare di comportamenti "perversi" ed inefficienti.
E qui viene in discussione un argomento che è stato in passato oggetto di lunghe "querelles" e che mi pare oggi possa essere correttamente visto con maggiore distacco e più correttamente: i rapporti tra la programmazione ed il mercato. Ricordiamo, tutti come negli anni '50 e all'inizio degli anni '60, una lunga polemica, spesso nominalistica, abbia visto contrapposti i fautori della programmazione direttiva rigida, vincolante ed i fautori della programmazione indicativa propria, in relazione al ruolo che doveva essere assegnato al mercato. Noi oggi siamo in grado di riprendere questo discorso in termini molto più sobri e molto più vicini alle realtà: da un lato, ci rendiamo conto che il mercato spesso non ha funzionato proprio in quelle direzioni nelle quali noi dovremmo auspicare che il mercato funzioni, cioè come parametro di efficienza e di capacità imprenditoriale, ed è stato invece spesso usato come il pretesto per non consentire quegli elementi di dirigismo e di guida dei processi di allocazione delle risorse e degli stessi processi produttivi che invece avrebbero potuto migliorare l'efficienza globale del nostro sistema.
E allora è chiaro che oggi non si chiede alla programmazione di distruggere il mercato, ma si chiede semmai alla programmazione di essere capace di ripristinare, per quello che può valere in un sistema di economia mista che tutti accettiamo, il mercato e quindi di trovare quel mix tra programmazione e mercato capace di accumulare i vantaggi che derivano in termini di coerenza delle scelte e di distribuzione delle risorse dell'adozione di una politica di piano e in termini di efficienza e di produttività dal pieno dispiegarsi delle forze di mercato, all'interno dei vincoli che discendono dalle scelte delle priorità indicate dalla politica di programmazione.
Al di fuori di questo quadro di riferimento rappresentato dalla programmazione, non c'è il mercato, non c'è il "lasciateci fare", non c'è la ripresa di dinamismo autonomo delle iniziative imprenditoriali, c'è invece - o almeno il passato ci ha mostrato che c'è sempre stato in questo paese, e non si vede perché dovrebbe cambiare adesso, in una situazione più difficile - la degenerazione dell'economia assistita, la selva degli interventi "ad hoc", caso per caso, che finisce per generare una situazione nella quale sono presenti tutti i mali, perché da un lato si distrugge il mercato e dall'altro la programmazione.
Il discorso sul fondo di riconversione e di ristrutturazione industriale deve partire di qui, da quelle che sono le reali condizioni del Paese, che sono rappresentate da una molteplicità di situazioni-tipo nei settori industriali molto diverse tra loro: da un lato ci sono problemi di riconversione e di ristrutturazione che nascono dal fatto che ci sono produzioni effettuate con impianti e macchinari obsoleti dall'altro le inefficienze derivano invece dalla obsolescenza del prodotto, in altri casi dall'inadeguatezza degli schemi organizzativi delle imprese e da carenze di incapacità imprenditoriali e di management. E' chiaro che questi sono problemi gravissimi di fronte ai quali la politica del credito agevolato lascia i problemi come sono: di fronte a problemi di innovazione tecnologica, di nuova organizzazione aziendale, di creazione, di capacità imprenditoriale, l'incentivo finanziario, il credito agevolato è largamente insufficiente. E' per questo che non possiamo considerare sufficienti dei provvedimenti, come quelli che sono gran parte del disegno di legge governativo sulla riconversione, che danno ancora perno su un sistema basato esclusivamente sul credito agevolato, anche se dobbiamo prendere atto con soddisfazione che c'è la volontà di concentrare gli interventi in un unico fondo. Anche questo aspetto, per altro, rischia di penalizzare le Regioni, perché finisce per annullare quelle limitate capacità di presenza che, pure all'interno delle singole leggi e dei singoli fondi settoriali sono state sin qui riconosciute alle Regioni. Questo è un discorso di non poco momento, sul quale non voglio trattenermi oltre, perché credo che nel dibattito possa essere ripreso, in particolare da Alasia.
Nonostante questo elemento di razionalizzazione, credo che nel disegno di legge governativo non siano presenti sufficientemente una serie di altre considerazioni. I compiti del CIPE, per esempio, sono, da un lato molto generici e dall'altro eccessivamente ambiziosi: per esempio quando si domanda a questo Comitato interministeriale di fissare i settori nei quali indirizzare gli interventi; qui emerge un altro cavallo di ritorno della polemica sulla riconversione produttiva. E' vero che ormai gli esperti di economia industriale hanno individuato quel numero limitato di settori ai quali deve essere comunque indirizzato l'intervento: i tessili, la chimica secondaria, l'elettronica, la meccanica strumentale, i trasporti pubblici l'energia, il settore alimentare, anche in relazione all'agricoltura, con un discorso particolare da fare per il Mezzogiorno. Ma è anche vero che il problema non e' soltanto quello di allocazioni settoriali e territoriali degli interventi, ma è quello di elevare i contenuti di produttività media di tutta l'industria italiana. Quindi, oltre ad una politica per settori merceologici, occorre affrontare tutti gli altri aspetti attraverso i quali deve crescere la capacità innovativa della nostra industria, e quindi la formazione professionale e manageriale, i problemi della ricerca e dello sviluppo, i problemi della diffusione delle conoscenze organizzative, i problemi dell'assistenza nelle fasi critiche del marketing e dell'esportazione, i problemi della mobilità del lavoro.
Ora, questi temi sono quasi assenti dal disegno di legge governativo che ne dà un'insufficiente valutazione. Per esempio sulla ricerca, si limita a dire che sui progetti ammessi a finanziamento per ristrutturazione possono essere concessi i contributi per spese di ricerca qualora presentino particolare rilevanza tecnologica e industriale ed elevato rischio. Con il che, ancora una volta, le spese per ricerca e sviluppo che vedono l'Italia all'ultimo posto tra i paesi europei, come percentuale delle spese stesse sul prodotto nazionale lordo, vengono ancora considerate non come una esigenza normale dell'impresa, ma come un qualcosa che è legato soltanto ad esigenze specifiche e di carattere eccezionale.
Manca poi un discorso esplicito di sostegno dell'impresa minore, che è quella che più difficilmente può trovare spazio nei provvedimenti tradizionali di incentivazione; e non a caso il rischio sotteso, e denunciato, di una politica ancora basata sugli incentivi e sul credito agevolato, è che questa politica finisca poi per trovare un numero assai ristretto di utenti capaci di utilizzarla, e cioè che sia ancora una volta una politica fatta per i grandi gruppi, per consentire il risanamento delle situazioni difficili, sul terreno finanziario, oltre che produttivo, dei grandi gruppi, e invece tagli fuori tutto il comparto dell'impresa minore delle medie e piccole aziende.
Rispetto a questa tematica, la Regione vuole essere presente per un confronto preciso ed il discorso che noi abbiamo fatto sulla Finanziaria e le indicazioni di lavoro che dobbiamo dare alla Finanziaria, vanno proprio nella direzione di coprire questi spazi, di dare un supporto motivato ad una politica di ristrutturazione e di riconversione che non sia affidata soltanto alla pioggia degli incentivi, ma che passi attraverso strumenti e azioni capaci di mettere in moto un processo di rinnovamento delle strutture produttive.
Non a caso, uno dei progetti contenuti nel piano di sviluppo riguarda proprio il ruolo della Finanziaria e la politica che in questo settore deve fare la Regione.
Altro discorso assai grosso, sul quale mi soffermo solo per accenni, è quello della mobilità: in proposito, il disegno di legge governativo ipotizza una limitata presenza delle Regioni, nella fase di accertamento dei fabbisogni e delle disponibilità, al fine di ottenere le informazioni utili per fare un programma di formazione professionale; attraverso un fondo per la mobilità si dovrebbe poi provvedere a fissare la mobilità dei lavoratori, con assistenza nella fase di avviamento al nuovo lavoro e corresponsione di un'indennità di nuova occupazione.
Qui entriamo in un tema nel quale le Regioni hanno chiesto di potere svolgere un ruolo, anche perché attualmente questo ruolo lo stanno svolgendo, senza poteri e senza avere la possibilità di tirare le fila del discorso; è giusto che questo ruolo le Regioni siano chiamate a svolgerlo in modo istituzionale, cioè attraverso un loro esplicato riconoscimento attraverso poteri precisi, attraverso una partecipazione piena alle misure nazionali ed alla loro gestione sul territorio.
A questo, sono legati i discorsi sul piano di formazione professionale i discorsi sulla necessità che la Regione utilizzi in modo organico tutte le leve di potere che ha, nei diversi settori.
Manca dal disegno di legge sulla ristrutturazione e riconversione industriale qualunque accenno ad un altro aspetto importante della politica industriale, che è quello delle localizzazioni industriali, su cui deve essere ribadita la priorità del rapporto col Mezzogiorno e la necessità di fare del Mezzogiorno il momento centrale dei processi di riallocazione delle risorse e di riorganizzazione del sistema produttivo, senza peraltro perdere di vista che abbiamo la necessità anche di non distruggere il sistema industriale del Nord che è alquanto più debole delle corrispondenti strutture industriali dei paesi più avanzati. Quindi c'è una necessità di usare la localizzazione industriale come strumento che esalti l'efficienza del sistema anche nel Nord, cioè non solo come trasferimento dal Nord al Sud, ma anche come riallocazione di risorse all'interno delle Regioni del Nord.
Certo questo discorso oggi incontra un limite severo nella sotto utilizzazione degli impianti, giacché il fatto che gli impianti lavorino con i livelli di sotto utilizzazione che ho ricordato, rende particolarmente stagnanti, tra tutti gli investimenti, soprattutto gli investimenti in nuove costruzioni industriali. Però è chiaro che qui si gioca una parte rilevante della partita per il rinnovamento delle nostre strutture produttive; anche su questo terreno la Regione ha scelto la politica delle aree industriali, la politica delle localizzazioni, come uno degli elementi di sostegno di un discorso che è insieme di riequilibrio territoriale e di ristrutturazione del nostro sistema produttivo. E dunque anche qui ci andremo a confrontare con un progetto preciso, giacché su questo terreno è impensabile che si possa fare un discorso di localizzazioni industriali senza che la Regione abbia un ruolo particolare nel discorso che necessariamente si dorrà fare tra le imprese, il movimento sindacale e gli Enti locali. Anche perché in assenza di incentivi o di disincentivi, - che paiono ormai da escludere, e gli uni e gli altri, nelle regioni del Nord, - la politica di localizzazioni può avere un risultato se è fatta soprattutto promovendo una serie di investimenti in servizi che riguardino le zone nelle quali si vuole provocare l'attrazione di iniziative industriali. E quindi il progetto che riguarda le aree industriali nel piano di sviluppo non è un progetto limitato al finanziamento dell'area su cui insistono le imprese, ma mira ad essere un progetto globale integrato che investe il territorio che si vuole interessare a processi di allocazione o riallocazione di unità produttive.
Sulla base di queste considerazioni credo che emerga con chiarezza il giudizio che possiamo dare sulle misure annunciate dal Governo: nessuna indulgenza od ottimismi di maniera e quindi piena consapevolezza che dalla crisi si esce con misure dolorose e con sacrifici; richiesta, pero, che questi sacrifici siano equamente distribuiti e che quindi non si vada ad una politica che ripercorre i canali tradizionali di prelievo fiscale e parafiscale usati nel nostro paese; necessità che ai sacrifici si accompagni, contestualmente e non in un secondo tempo, rinviata a non si sa quando, la politica di rilancio degli investimenti e quindi richiesta che il contenimento della domanda abbia come risultato la sua riqualificazione e non una fase generalizzata di depressione e di stagnazione dell'economia riconoscimento del ruolo istituzionale delle Regioni nella gestione della politica economica industriale del paese, che passi intanto attraverso la loro partecipazione alla politica prevista dal disegno di legge sulla riconversione e sulla ristrutturazione e che esalti le loro capacità di azione e di movimento nei settori fondamentali dell'assistenza alle piccole e medie imprese ed alle imprese artigiane (dico assistenza per usare un termine generico che comprende tutte le iniziative che possano essere oggetto dell'attività della Finanziaria), della formazione professionale della politica di aree industriali attrezzate e di organizzazione delle localizzazioni industriali, della politica della spesa come elemento capace di trainare un processo di riqualificazione anche nel sistema produttivo.
Quindi no alla politica dei due tempi, no ad una politica di ingiustizia fiscale, no ad una politica di centralismo che blocchi le capacità di partecipazione delle Regioni alle scelte della politica economica e industriale del Paese.
A questo punto si pone il problema di come questo discorso e questa richiesta di partecipazione delle Regioni si colleghino con quel più tradizionale discorso dei rapporti Stato-Regioni sul tema delle risorse, e in particolare, sul tema della politica della spesa.
Anche qui, partiamo da un dato che è incontrovertibile: nessuno discute la necessità del risanamento della finanza pubblica che e indispensabile per recuperare le risorse necessarie tanto al riequilibrio dei conti con l'estero, quanto alla ripresa degli investimenti produttivi.
Vi è, in questo riconoscimento, anche la consapevolezza della necessità di sacrificio, di tagli e compressioni di una parte della spesa pubblica alla quale le Regioni e l'intero sistema delle autonomie non si sottraggono.
Occorre riconoscere però che la compressione si deve accompagnare alla qualificazione della spesa pubblica, e per questo i canali rappresentati dalle Regioni e dagli Enti locali sono insostituibili.
Per questo non possiamo accettare una politica di "stretta" generalizzata, che paralizzi la finanza locale, costringendo le Regioni all' ordinaria amministrazione, e i Comuni e le Province a mendicare interventi straordinari a breve termine, da parte del Governo, capace di sottrarli, si potrebbe quasi dire, giorno per giorno alle difficoltà di cassa, rese sempre più intollerabili dal crescere dell'onere finanziario per i mutui e le anticipazioni bancarie.
Le rappresentanze delle autonomie hanno posto con fermezza al recente Convegno di Viareggio la richiesta di un consolidamento dei debiti degli Enti locali e di misure straordinarie capaci di liberare la finanza locale dall'impaccio che deriva da uno squilibrio strutturale tra funzione e risorse, avviando il cammino della riforma, che dovrà toccare anche aspetti significativi dello stesso sistema tributario introdotto nel 1972 e soprattutto correggerne l'esasperata impostazione centralistica.
Questo vuol dire maggiori risorse per la finanza locale, ma non maggiori risorse da spendere in qualsiasi modo, liberi dai condizionamenti che la crisi pone a tutti i livelli decisionali del Paese.
Se abbiamo respinto le suggestioni di un nuovo "laissez faire" per il sistema delle imprese, non siamo fautori di una esasperata concezione dell'autonomia degli Enti locali, ispirata ad ottocenteschi criteri "garantisti", volti a salvaguardare una spesa locale fortemente caratterizzata di funzioni proprie, distinta e contrapposta al livello centrale, da esercitare senza riferimento con la politica economica generale del Paese.
Il punto da cui partiamo è, invece, un altro: le competenze e le funzioni delle Regioni e degli Enti locali sono oggi un momento essenziale per una strategia di rilancio degli investimenti, capace di evitare la rottura in due tempi della manovra complessiva avviata dal Governo anticipando, con interventi che possono essere avviati subito o comunque a breve termine, il rilancio degli investimenti produttivi da parte delle imprese private che hanno necessariamente tempi di avvio più lunghi (anche per gli investimenti indotti del credito agevolato e delle altre misure di incentivazione).
Il riconoscimento di questo ruolo si deve accompagnare all'attribuzione di risorse adeguate per poterlo assolvere. Al contrario, i criteri che hanno ispirato fin qui la politica del Governo, e in particolare del Tesoro, sono stati quelli di un controllo rigido, tanto sul piano istituzionale dell'attribuzione di risorse quanto sul terreno del controllo della liquidità di cassa, che ha come risultato la mortificazione della capacità di intervento delle Regioni e degli Enti locali, non certo il risanamento della finanza locale, nella quale i meccanismi perversi di moltiplicazione dei debiti continuano a far crescere il deficit complessivo, a ritmi ormai intollerabili per l'intero sistema economico nazionale.
Gli interventi urgenti di risanamento si devono, perciò, accompagnare alla erogazione di adeguate risorse anche finalizzate per il raggiungimento di obiettivi programmatici concordati.
Le Regioni e gli Enti locali pur contestando, in una prospettiva di medio periodo, la trasformazione della finanza locale in un sistema di finanza derivata non conforme al dettato costituzionale, non rifiutano l'accettazione dei vincoli, dei limiti e dei condizionamenti che nascono da una coerente politica economica ispirata alla logica della programmazione chiedono soltanto di poter partecipare alle scelte da cui quei vincoli derivano.
Da questa precisa consapevolezza è nata la richiesta delle Regioni di partecipare - in modo non soltanto simbolico - alla elaborazione e discussione del Bilancio preventivo dello Stato, come momento unificante di un confronto sulle grandi opzioni della politica economica e finanziaria nazionale.
Per ribadire l'esigenza - ma insieme la rigorosa delimitazione - del ruolo che può assumere la spesa regionale nel quadro della strategia economica complessiva, le Regioni hanno chiesto che siano finalmente attivati in modo significativo i canali di finanziamento previsti dagli artt. 9 e 12 della legge 281, in modo da finanziare i piani regionali di sviluppo e i progetti finalizzati predisposti dalle Regioni, dopo le ovvie verifiche di compatibilità con le scelte della programmazione o, nella perdurante assenza di documenti di piano a livello nazionale, della politica economica, secondo gli orientamenti espressi dal Governo e dal Parlamento.
In mancanza di una scelta precisa in questa direzione, perde di credibilità ogni proposito del Governo di avviare - in una strategia di medio periodo, cui si ricollegano necessariamente anche interventi a breve una politica volta a rilanciare investimenti e consumi pubblici.
In altri termini, non esiste la possibilità di tenere in condizioni di permanenti ristrettezze finanziarie, al limite di mera sopravvivenza, il sistema delle autonomie, dal quale poi passa o dovrebbe passare buona parte delle risorse destinate agli investimenti pubblici (non solo le opere pubbliche per le quali vi è una prevalente responsabilità dei poteri locali, ma anche rilevanti interventi che si indirizzano ai più diversi settori produttivi) come sono per esempio i piani di trasporto pubblico, i piani autobus, in particolare gli interventi per il risanamento dell'ambiente, i "piani-casa" autonomamente avviati dalle Regioni ecc., che hanno effetti moltiplicatori nei confronti dei settori produttivi.
Attraverso queste iniziative può prendere corpo una consistente domanda pubblica di tipo nuovo, i cui effetti si ripercuotono sulla effettiva possibilità di qualificazione e diversificazione dell'apparato produttivo.
Non si può chiedere al sistema delle autonomie di svolgere queste funzioni che sono, insieme di esaltazione delle capacità di spesa dell'operatore pubblico e di sollecitazione per il sistema delle imprese e poi condizionarne la sopravvivenza aprendo o chiudendo il rubinetto dal quale affluiscono, goccia su goccia, le risorse finanziarie erogate dallo Stato.
Noi abbiamo già denunciato altre volte e vogliamo qui soltanto ripeterlo brevemente, che consideriamo la politica seguita dal Tesoro anche in relazione alle disponibilità di cassa delle Regioni. (pur accettandola in questa situazione e contrattandola mensilmente come nostro contributo alla difficile opera di risanamento della condizione economica del Paese) davvero inaccettabile, in linea di massima e al di là della situazione di emergenza, perché porta alla paralisi di qualsiasi capacità di spesa della Regione.
Anche il tema dei rapporti finanziari Stato-Regione si colloca perci in un contesto analogo conseguente con l'esigenza manifestata di una maggiore partecipazione alla fissazione delle linee di politica economica generale, anche in materia di riconversione produttiva, di controllo dei processi di mobilità e di allocazione delle risorse. Noi vogliamo partecipare, con la spesa regionale, ad un processo complessivo di riqualificazione, nella composizione degli indirizzi, della spesa pubblica del nostro Paese; in altri termini vogliamo partecipare ad una ripresa della Programmazione, vogliamo essere soggetti di una politica programmata che deve ricominciare a fare il suo corso.
Il Piano regionale di sviluppo - per una scelta compiuta non soltanto da questa Giunta, ma da tutte le forze democratiche presenti in Consiglio vuole rappresentare, nel quadro di riferimento che abbiamo tracciato, tanto un contributo alla programmazione nazionale quanto uno sforzo per organizzare e programmare l'attività e la spesa della Regione.
I due momenti, del resto, non sono distinti se non concettualmente poiché il rispetto della scelta statutaria della programmazione come metodo per lo svolgimento dell'intera attività regionale non consentirebbe una gestione svincolata da una verifica costante di coerenza, tanto rispetto alle linee della politica di piano nazionale, quanto con riferimento all'attuazione dei programmi che la Regione stessa viene costruendo.
A questa impostazione si ricollega la proposta di Piano regionale attualmente all'esame della I Commissione e al vaglio della consultazione mentre si sono iniziati i confronti anche in sede comprensoriale.
La proposta elaborata dalla Giunta chiarisce senza equivoci come non si intenda attribuire ai documenti della programmazione un valore mitologico e come sia ormai definitivamente tramontata ogni illusione di costruire schemi astratti, in sé conclusivi, che abbiano la pretesa di uniformare una realtà estremamente articolata, mutevole, rispetto alla quale assai vario è il grado di efficacia degli interventi e delle azioni poste in essere dall'Ente Regione.
Abbiamo, invece, voluto ribadire che la politica di Piano è un processo continuo, nel quale devono essere collegati il momento di elaborazione e quello della attuazione, ponendo una particolare attenzione alla necessità di verifica aggiornamento, tanto dei dati conoscitivi quanto delle politiche proposte.
In questo senso occorre prendere atto che il quadro di riferimento che noi abbiamo oggi presenta aspetti più preoccupanti rispetto a quelli che erano presenti al momento della stesura del piano e che, di conseguenza anche le linee operative da costruire devono essere aggiornate.
Vorrei - a questo proposito - toccare un punto che è già stato oggetto di critica - anche documentata e precisa - da parte del Gruppo democristiano, ma sulla base di un equivoco di fondo che deve essere chiarito: mi riferisco alla indicazione del fabbisogno di nuovi posti di lavoro in Piemonte da oggi al 1980 per realizzare determinate condizioni ottimali, quantificato in 134.000 unità.
Esponendo i ragionamenti che hanno condotto alla indicazione di questa cifra abbiamo voluto dichiarare - e mi pare, rileggendo questa parte del documento, con sufficiente chiarezza - che non intendevamo né formulare generici auspici, né indicare un obiettivo concretamente perseguibile, ma solo rendere esplicito lo sfondo che sta dietro a tutti i nostri ragionamenti, e cioè l'immagine di una Regione altamente integrata al suo interno, in condizioni di pieno impiego delle risorse, capace di sopportare una crescita "qualitativa" della propria struttura produttiva senza aggravare, con nuovi flussi immigratori, gli squilibri socio-territoriali esistenti nel Paese.
Non mi pare né un errore né un puro esercizio retorico cercare di sapere quale sarebbe il livello dei fabbisogni da soddisfare per fare del Piemonte una Regione industriale europea, in grado di reggere il confronto con le altre realtà esistenti intorno a noi.
Ma non ci siamo mai illusi, e del resto basta leggere quanto è scritto nei documenti di piano per convincersene, né che si trattasse di un obiettivo realizzabile né che, ammesso lo fosse, il dovere e il compito della Regione consistessero nel tentare di realizzarlo, giacché nella situazione attuale del Paese, soprattutto oggi dopo l'esplosione della crisi e in presenza dei provvedimenti di cui ho parlato finora, il tentativo di coprire, qui in Piemonte, un fabbisogno di nuovi posti di lavoro di quelle dimensioni, andrebbe contro il disegno di riequilibrio territoriale del nostro Paese.
Operare per creare in Piemonte 134.000 nuovi posti di lavoro nell'industria e nel terziario in 4 anni, significherebbe concentrare energie sottratte al mezzogiorno e perciò operare in contrasto con le linee generali di politica economica che abbiamo indicato e alle quali intendiamo rimanere coerenti.
Non dunque un obiettivo concreto e neanche una nobile aspirazione, ma il quadro che abbiamo sullo sfondo e insieme la cartina di tornasole delle difficoltà di qualsiasi politica economica che voglia raggiungere degli obiettivi ottimali.
Io concordo con chi sostiene che i 134.000 nuovi posti di lavoro non si potranno realizzare, ciò nondimeno resta valido il discorso in base al quale noi li abbiamo indicati come necessari ad una politica che volesse e potesse - raggiungere certi risultati, in termini di tasso di attività della popolazione, di contenimento dell'esodo dalle campagne, di rilancio dell'occupazione delle donne e dei giovani.
Quella indicazione di fabbisogno è il metro per valutare la difficoltà di fare delle politiche adeguate, l'esempio documentato di come sia praticamente difficile ottenere determinati risultati se non mutano progressivamente, lentamente, gradualmente ma chiaramente gli aspetti strutturali del nostro sistema produttivo.
Del resto con problemi di questo tipo noi i conti li facciamo quotidianamente.
Nella relazione che ha fatto martedì scorso, il collega Alasia, ha fornito i dati sull'occupazione della nostra Regione che sono una testimonianza della gravità di un problema con il quale ci confrontiamo ininterrottamente.
I problemi occupazionali di questa Regione sono problemi difficili da risolvere; quando andremo, nei prossimi giorni, a verificare con le grandi aziende le loro esigenze di nuova occupazione e il ripristino del turnover ci troveremo a fare i conti- da un lato con la necessità di non aumentare l'occupazione nei grandi gruppi, oltre un certo limite, per non provocare fenomeni immigratori su vasta scala, e dall'altro con la necessità di garantire comunque possibilità aggiuntive di lavoro nel sistema piemontese per altre fasce di lavoratori per evitare fenomeni diffusi di disoccupazione e sottoccupazione.
La segmentazione del mercato del lavoro è arrivata ormai ad un punto tale che, a fronte della difficoltà a coprire i posti di lavoro disponibili in determinati settori e per certe fasce di lavoratori si verifica una elevatissima offerta di lavoro in altri settori, in particolare per quanto riguarda il lavoro giovanile, dei giovani laureati e diplomati in ispecie e il lavoro femminile.
Nel quadro che abbiamo tracciato, conserva, ed anzi accentua, la sua validità il proposito della Giunta di costruire il Piano di sviluppo regionale intorno ad alcuni programmi-obiettivo prioritari, al loro interno articolati in progetti operativi.
Il documento di piano contiene, a questo proposito, "l'impegno di predisporre all'interno dei grandi programmi per perseguire gli obiettivi di fondo, 'progetti integrati regionali' ad elevato grado di significatività politica ed economica, cioè tali da qualificare nel complesso il programma di cui sono parte e da coinvolgere la collettività nella loro realizzazione, con concrete prospettive di operatività a breve termine, su cui fondare i primi passi del processo interno di riorganizzazione della pubblica amministrazione regionale, eventualmente suscettibili di reperire finanziamenti al di fuori della quota vincolata (anche con il diretto intervento del Governo)".
In questo senso è proseguita anche in questi mesi l'attività della Regione per il progressivo affinamento di metodologie e contenuti al fine di giungere ad una definizione operativa del progetto, o meglio, dei diversi progetti concretamente individuabili.
Al riguardo è importante chiarire che: a) ciascun progetto deve avere riferimento ad uno o più grandi obiettivi dei programmi contenuti nel piano, in modo da garantirne l'unità e la continuità nella fase di attuazione b) ciascun progetto, pertanto, deve aggregare, integrandole tra di loro, talune linee di condotta già enunciate nel documento di piano; (i progetti non sono cioè "totalizzanti" rispetto all'insieme dell'attività dell'Ente Regione, ma ne costituiscono specificazioni significative) c) i progetti devono avere le stesse caratteristiche qualificanti del documento di piano, e pertanto comportano: c.1. specifica attenzione alle istituzioni, in modo da rappresentare un momento organizzativo dell'apparato della pubblica amministrazione e/o del territorio c.2. intersettorialità, cioè previsione di azioni che coinvolgano più competenze regionali c.3. coordinamento della spesa, pur nella distinzione delle responsabilità politico-amministrative, che spettano ai diversi soggetti coinvolti dal progetto, con il tentativo di rendere coerenti, o, in una prima fase, per lo meno compatibili, i provvedimenti di spesa assunti ai vari livelli di Governo c.4. una precisa strumentazione; devono, cioè, contenere l'indicazione degli strumenti giuridici, economici ed organizzativi per la loro realizzazione.
Si può quindi dire che i progetti sono "aggregazioni di azioni della pubblica amministrazione (locale e statale) coordinate e/o pro mosse dalla Regione, aventi comune riferimento ad un grande obiettivo politico di piano, convergenti caratteristiche organizzative e di strumentazione, e fondati su blocchi integrati di spesa".
Il che significa che, in ulteriore specificazione rispetto a quanto finora precisato, essi devono contenere: a) una articolazione territoriale degli interventi b) una articolazione temporale, poiché non possono che essere prevalentemente pluriennali, e trovano quindi riferimento finanziario nel bilancio pluriennale della Regione in via di predisposizione c) una indicazione degli interventi di quantità e valore d) una indicazione delle priorità tra di essi o tra le loro fasi.
Questo disegno generale comporta necessariamente approcci successivi per la sua realizzazione; in particolare, sono inevitabili differenze di tempi e di gradi di specificazione operativa tra i vari progetti, e così pure differenti possono essere i loro livelli dimensionali di organizzazione, di spesa e di intervento territoriale. Ciò che preme invece garantire in questa fase è l'omogeneità di metodo, perché è in tal modo che si assicura la riorganizzazione delle procedure e delle strutture dell'apparato regionale centrale e decentrato preposto alla loro elaborazione ed attuazione, secondo i principi generali contenuti nel programma di organizzazione e informazione, già illustrato nel documento di piano (dove ha un rilievo prioritario) e in via di specificazione operativa nel disegno di legge sulle strutture (di prossima presentazione al Consiglio regionale), insieme a quello delle procedure della programmazione, per le quali l'attività progettuale è un momento di particolare rilievo.
Sulla base del metodo generale descritto, e tenendo conto di quanto ho detto circa le diverse fasi di approfondimento e di elaborazione cui si è pervenuti per i diversi progetti, la Giunta ha provveduto all'individuazione di un primo elenco di progetti di programma, che è stato presentato alla I Commissione e che viene qui riproposto, nella forma di un semplice elenco di "titoli".
Elenco dei progetti di programma.
Programma obiettivo di organizzazione e informazione.
Progetto strutture e decentramento Progetto bilancio programmatico Programma obiettivo di diffusione dello sviluppo economico.
Progetto irrigazione Progetto zootecnia Progetto colture specializzate Progetto forestazione Progetto Finanziaria regionale Progetto aree industriali Progetto artigianato Progetto formazione professionale per il progresso tecnico Progetto centri e aree commerciali al dettaglio Progetto mercato ortofrutticolo di Torino Progetto autobus Progetto treni pendolari Progetto Frejus e suoi riflessi sulla viabilità Progetto Lago Maggiore Programma obiettivo di uso sociale del territorio.
Progetto strumenti urbanistici territoriali Progetto casa Progetto parchi e riserve naturali Progetto sistemazione idrogeologica e forestale Progetto tutela dell'ambiente Programma obiettivo di riorganizzazione dei servizi.
Progetto tutela materno-infantile Progetto prevenzione dei danni ambientali derivanti dalla nocività delle lavorazioni. Unità di base Progetto servizi socio-sanitari di base Progetto operatori socio-sanitari Progetto I. P. A. B.
Progetto soggiorni vacanze Programma obiettivo di formazione umana.
Progetto Università Progetto beni culturali Tale elenco costituisce un censimento ragionato, ma fedele al testo delle possibilità di progetti presenti nel documento di piano, aperto alla definizione di priorità ed alla discussione dei contenuti con il contributo delle forze politiche e sociali della Regione.
Esso è stato dunque volutamente proposto come base di approfondimento e di confronto che deve essere arricchito in modo dialettico, ed è pertanto mantenuto ad un grado di dettaglio intermedio tra la generalità delle linee della proposta di piano e la specificità operativa che solamente scelte definitive e compiute in ogni loro parte possono avere.
La Giunta regionale si riserva, per altro, di proseguire nelle ulteriori specificazioni, anche sulla base delle indicazioni fornite dal dibattito, oltre che sulla base delle esigenze che la realtà fa emergere con sollecitazioni particolarmente pressanti in corrispondenza alle necessità di intervento della Regione in funzione dell'impegno dichiarato di intervenire sui punti nodali della crisi in Piemonte.
La Giunta regionale a questo proposito si riserva di indicare al più presto quei progetti di piano che più direttamente si collegano ai fondamenti della propria concreta attività di politica economica, e cioè quelli che, anche attraverso specifici mutamenti nella politica di bilancio dell'Ente, dovranno contribuire ad evitare l'ulteriore deterioramento della economia regionale avendo presente la necessità di contenere, almeno parzialmente, i fabbisogni occupazionali che il piano ha individuato (pur con l'avvertenza che ho fatto in precedenza circa il valore da attribuire alle previsioni dei fabbisogni stessi).
Tali progetti saranno anche quelli che, in modo più significativo verranno finalizzati alla osservanza dei due obiettivi fondamentali di piano, che costituiscono al tempo stesso un vincolo al loro perseguimento: il riequilibrio socio-economico del territorio regionale e la riorganizzazione delle istituzioni territoriali piemontesi, sia come sede di scelte democratiche, sia come sede di promozione dello sviluppo e di produzione di servizi.
Come si vede dalle brevi considerazioni che precedono, i progetti non sono oggetti di fantasia, materia ancora tutta da costruire ma una specificazione ulteriore di proposte operative già contenute nei documenti di piano, e che devono ora essere sistemate razionalmente, approfondite nei loro contenuti, riferite a fasi attuative precise, quantificate nel loro ammontare di spesa, di risorse, collocate secondo una scala di priorità.
In qualche caso, si tratta addirittura di azioni programmatiche che la Regione ha già intrapreso o che sono in fase di avvio; talora già dotate di un finanziamento annuale o pluriennale.
Tra i progetti che sono già in uno stadio attuativo a livelli diversi di avanzamento posso ricordare, oltre alla Finpiemonte, in corso di realizzazione, e per la quale occorrerà definire i programmi operativi, i piani di intervento a tutela dell'ambiente, il piano dei parchi, il piano dei trasporti, la definizione del progetto di aree industriali attrezzate un accorpamento nuovo degli interventi prioritari in agricoltura, il progetto per realizzare il sistema informativo regionale.
Di questo insieme di progetti già in corso di attuazione può essere fornita al Consiglio una illustrazione più dettagliata, che consenta una prima verifica-aggiornamento, anche in anticipo rispetto ai tempi di elaborazione e discussione del documento finale di piano.
Anche nel corso del presente dibattito, da parte dei singoli Assessori potranno essere forniti elementi di conoscenza ed informazione al riguardo.
Vi sono, poi, altri progetti che sono - allo stadio attuale di approfondimento - molto più "aperti", e per i quali sono ancora necessari studi e verifiche per la loro definitiva attuazione nel contesto dell'attività programmatica della Regione. La natura di "proposta" del documento di piano elaborato dalla Giunta, infatti, consente di ritenere l'elenco "ragionato" dei progetti come non definitivo, suscettibile tanto di ampliamento quanto di risistemazioni e riduzioni delle azioni programmatiche che vi sono indicate.
Quello che occorre ancora ribadire è la necessità che il confronto per l'assunzione delle scelte definitive di piano, avvenga su progetti definiti nei loro contenuti operativi accompagnati dalla ubicazione delle risorse finanziarie a ciascuno attribuibili e - ove possibile - collocati nel territorio.
Di particolare rilievo, infine, l'approfondimento - per altro, come ho detto, in corso - dei progetti compresi nel programma obiettivo di organizzazione e informazione che si tradurranno o in atti legislativi (come le leggi sulle strutture e sulle procedure della programmazione) o in nuovi documenti finanziari e programmatici (come il bilancio pluriennale e il bilancio programmatico per il 1977).
Tra le azioni programmatiche indicate nell' ambito del programma di organizzazione e informazione si collocano le iniziative della Regione nel settore della ricerca.
L'avvio concreto della programmazione regionale consente alla Regione di assolvere un ruolo significativo di incentivo e di promozione dell'attività di ricerca, che può trasmettere i suoi effetti sull'intero panorama della ricerca in Piemonte.
Ciò significa, innanzitutto, impostare una autonoma politica di ricerca finalizzata, in termini operativi, ai compiti istituzionali della Regione in secondo luogo, avviare un processo di crescita e diffusione dell'attività di studio, esercitando un ruolo di promozione e di indirizzo nei confronti degli Enti territoriali, infine, assicurare la presenza della Regione nei campi dei rapporti tra attività produttiva e ricerca scientifica e fornire attraverso l'azione di governo dell'Ente, uno stimolo concreto per gli stessi produttori di ricerca. Momenti significativi per dare concretezza immediata a questa politica, oltre alle azioni intese a favorire una maggiore capacità di studio e di documentazione dei dipartimenti e a potenziare il processo di qualificazione del personale sono la predisposizione di una convenzione tipo tra la Regione e le istituzioni universitarie per i problemi della ricerca e della formazione e il potenziamento dell'IRES (attraverso l'attuazione di maggiori capacità di ricerca, la revisione del regolamento e la fissazione di un quadro coerente di rapporti con la Regione), la struttura portante della ricerca regionale nel contesto profondamente mutato nel quale dovrà operare, che esige oggi un impegno particolare nell' ambito della ricerca finalizzata e che comporta un ruolo permanente dell'IRES come "consulente istituzionale" della Regione.
Su questi temi potrà essere utilmente avviato un dibattito in Consiglio regionale, che consenta di procedere, senza soluzione di continuità, agli adempimenti richiesti dalla politica di piano indicata.
Per poter quantificare i progetti di piano è necessario disporre di una previsione aggiornata delle risorse che potranno affluire alla Regione in un arco pluriennale.
A questo fine, stiamo rivedendo in questi giorni le ipotesi per costruire il bilancio pluriennale 1976/80, con riferimento alle risorse attribuibili alla Regione dopo l'entrata in vigore della legge 335, che ha modificato il quadro sulla base del quale erano state formulate le previsioni per un primo bilancio pluriennale provvisorio, contenuto nella proposta di Piano.
Tra qualche giorno sarà possibile un primo esame dello schema pluriennale: ma si può fin d'ora constatare come non emergano - anche dai nuovi conteggi - previsioni sensibilmente più favorevoli circa la disponibilità futura di risorse.
Resta pertanto confermata la validità delle considerazioni contenute nella proposta di piano, circa la necessità di procedere ad una rigorosa programmazione della spesa, se si vogliono finanziare, in misura significativa, i progetti prioritari di intervento.
Questo comporta, da un lato, il contenimento ulteriore delle spese di puro funzionamento della "macchina" regionale, dall'altro la concentrazione di una parte consistente delle risorse intorno ai progetti di piano.
A questo proposito, in base alle considerazioni già fatte, dovrà essere quantificato l'onere dei progetti, comprendendovi anche l'eventuale quota a carico della finanza statale, di quella degli Enti locali, e degli altri operatori.
Caratteristica dei progetti - come ho detto - è infatti quella di comprendere "blocchi integrati" di spesa, pertinente anche diversi livelli decisionali per quanto attiene allo Stato, i progetti stessi possono essere finanziati - in tutto o in parte - attraverso i normali canali degli artt.
9 e 12 della legge 281.
Per quanto riguarda gli Enti locali, la dimensione dell'intervento pu essere quella comprensoriale, per la quale è anche prevista la redazione di bilanci comprensoriali.
Infine è indispensabile procedere ad una verifica delle leggi regionali in vigore per recuperare quelle risorse già impegnate e non spese o comunque destinate a spese non ritenute prioritarie.
La Giunta è fermamente convinta che non sia possibile trascurare quest'operazione, sia perché attraverso questa via può essere reperita una parte non trascurabile di risorse per finanziare gli interventi nuovi; sia perché siamo convinti che non tutta la legislazione regionale in vigore corrisponde (nell'ottica in cui oggi dobbiamo vedere inseriti i nostri interventi, a maggior ragione di fronte ad una situazione generale di crisi del Paese e della nostra Regione) a quei requisiti di efficacia e di destinazione prioritaria della spesa secondo la scala dei bisogni da soddisfare cui è indispensabile attenersi.
Negli ultimi mesi - come è già stato ricordato in quest'aula - la Regione Piemonte è riuscita ad accelerare i ritmi di erogazione della spesa, al fine di rispondere a quella sollecitazione, fondata, mirante a ridurre l'incidenza dei residui passivi e a migliorare l'efficacia operativa della spesa stessa.
Su questo terreno qualche risultato significativo è stato ottenuto e se noi confrontiamo la situazione degli impegni e degli ordinativi di pagamento su base annuale, vediamo che a fronte di circa 11 miliardi di impegni nel 1972 ci sono 2 miliardi e mezzo di pagamenti; a fronte di circa 24 miliardi di impegni del 1973 ci sono sette miliardi di pagamenti; per il 1974, a fronte di 55 miliardi) ce ne sono 15 di pagamenti; per il 1975,a fronte di impegni che non sono ancora riuscito a documentare in modo preciso, ma che sono comunque dell'ordine almeno di 150 miliardi, ci sono 58 miliardi di pagamenti; a fronte di impegni del 1976 per 225 miliardi ci sono pagamenti per 192 miliardi. Siamo arrivati cioè ad un ritmo di pagamenti che sta progressivamente riducendo il divario e sta progressivamente portandoci ad una situazione di normale erogazione della spesa.
Il che, per inciso, apre il problema delle nostre possibilità di cassa perché nel momento in cui la macchina della Regione funziona ed è in grado quindi di erogare tempestivamente la spesa, se non arrivano risorse in misura sufficiente dal livello centrale, è chiaro che il meccanismo si inceppa e il nostro sforzo viene vanificato.
A questo punto diventa di estrema importanza il discorso, della qualificazione della spesa, giacché se le cifre che ho citato sono indicative della capacità della Regione di accelerare i processi di spesa è indispensabile arrivare non solo ad un controllo globale della spesa nel suo complesso, ma ad un'analisi della spesa, dei suoi effetti, della sua destinazione, della sua natura. Infatti, paradossalmente, se le scelte che stanno a monte di questi processi di spesa fossero scelte sbagliate, allora ogni miliardo di spesa tempestivamente erogato dalla Regione sarebbe un miliardo buttato dalla finestra e non un miliardo utilizzato per qualificare la presenza dell'operatore pubblico; e se ci sono leggi regionali che devono essere corrette per recuperare risorse da destinare a nuovi interventi, questo deve essere fatto tempestivamente, in modo che non ci sia più nessuna risorsa destinata a canali che non siano quelli prioritari.
Tanto la situazione di emergenza nazionale, quanto la scarsità di risorse a livello regionale, impongono che il piano nasca anche su questo sforzo, sullo sforzo cioè di rimeditare la nostra stessa esperienza legislativa, sulla capacità di correggere le stesse cose che insieme abbiamo fatto nei sei anni passati, per recuperare tutte le risorse disponibili e metterle al servizio di una politica programmata, nella quale la Regione faccia fino in fondo la sua parte. Non ci sono come vedono colleghi del Consiglio - né trionfalismo, né ambizione eccessiva in questo ruolo che assegnano alla Regione; c'è la richiesta di potere partecipare alla fissazione di scelte nazionali con le quali ci troviamo pesantemente a fare i conti tutti i giorni e che sempre meno possiamo tollerare se ci appaiono come imposizioni che cadono dall'alto sulla nostra testa.
Chiediamo di partecipare, non in modo velleitario, ma responsabile raccogliendo le spinte che vengono dalla società piemontese, dalle forze politiche che sono rappresentate in questo Consiglio, da tutte le forze politiche democratiche, dagli Enti locali e dalle forze sociali e ci impegniamo in questo sforzo a fare ciò che ci compete, utilizzando nel modo migliore le nostre possibilità di azione e di spesa, dando per conto nostro l'esempio di un uso corretto ed efficace delle risorse concentrando l'intervento nei grandi settori per i quali vi è attesa nel Paese e tra i lavoratori.



PRESIDENTE

Ringrazio l'Assessore Simonelli per l'esauriente relazione.


Argomento:

Sul programma dei lavori delle prossime sedute consiliari


PRESIDENTE

Signori Consiglieri, adesso siamo di fronte allo sviluppo del dibattito, che certamente non inizia oggi e per il quale propongo questa metodologia: dovremmo essere in grado di consegnare a tutti i Gruppi, entro domani sera, la relazione dell'Assessore Simonelli, poi naturalmente la Giunta vorrà dargli una forma istituzionale più adeguata.
La decisione presa fra i Capigruppo era quella di aprire il dibattito mercoledì. Vi sono altre proposte? Obiezioni? Se consegniamo la relazione domani, entro quanto tempo si può rivederla e consegnarla ai Gruppi? Non c'è niente che non si possa modificare o decidere per il meglio.



CALSOLARO Corrado

Per lunedì.



CASTAGNONE Aurelia

Lunedì è troppo tardi.



PRESIDENTE

Allora non si può tenere il dibattito mercoledì.



FRANZI Piero

Se solo l'Assessore Simonelli l'avesse predisposto prima...



PRESIDENTE

Chiede di parlare il Consigliere Bontempi, ne ha facoltà.



BONTEMPI Rinaldo

Mi pare che la metodologia proposta fosse quella di presentare oggi la relazione, di provvedere alla consegna materiale del documento in un tempo ristretto e di fissare una data ad hoc per la discussione in Consiglio.
Il giorno indicato, il 20, era un giorno libero da impegni in quanto il 21 abbiamo una serie di consultazioni. Senza assumere atteggiamenti rigidi penso che vada bene il 20, comunque ritengo opportuno discutere sulla relazione entro la prossima settimana, se non il 20, potrebbe anche andar bene il 22, però Rossi mi dice che il 22 abbiamo altre consultazioni.
Vorrei sentire in merito anche gli altri Gruppi, quando ritengono di essere preparati per il dibattito.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Paganelli.



PAGANELLI Ettore

Va benissimo il mantenimento del dibattito al giorno 20, la condizione è che il materiale venga consegnato almeno nella giornata di lunedì.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Cardinali.



CARDINALI Giulio

Sono d'accordo per mercoledì, vorrei però fare una raccomandazione di carattere pratico, e cioè, va bene consegnarlo ai Gruppi, ma se fosse tempestivamente spedito ed arrivasse entro lunedì ai Consiglieri andrebbe ancora meglio.



PRESIDENTE

La parola alla dottoressa Castagnone Vaccarino.



CASTAGNONE Aurelia

Francamente se la relazione viene consegnata lunedì è un po' tardi per preparare una risposta seria entro mercoledì. Se viene consegnata domani la data può essere mantenuta, perché almeno ci sono due giorni di tranquillità per leggerla, ma nei giorni nei quali abbiamo già tutta una serie di occupazioni, di incontri, di consultazioni, trovare il tempo di leggere il documento e di prepararci a rispondere mi sembra assolutamente impossibile.



PRESIDENTE

Forse vale la pena di fare una piccola riunione di Capigruppo per esaminare non solo questo problema, ma anche quello delle date successive in cui riunire il Consiglio, che sono state precedentemente concordate e che si possono benissimo modificare, ma sulla base di una valutazione complessiva e del dibattito e dei tempi per la consegna del materiale.


Argomento: Programm. e promoz. attivita" socio-assist. (assist. minori, anziani, portat. handicap, privato sociale, nuove poverta")

Esame deliberazioni della Giunta regionale relative a: "Applicazione art. 107 secondo comma della legge 685 del 22/12/1975" e "Legge regionale 4.5.1976, n. 19 - Interventi per la promozione dell'assistenza domiciliare agli anziani, inabili, minori, nonché per il funzionamento di centri di incontro. Proposta di piano per il 1977" (rinvio)


PRESIDENTE

Ci sono ancora due deliberazioni della Giunta regionale relative a: "Applicazione art. 107, secondo comma, della legge 685 del 22.12.1975" e "Legge regionale 4/5/1976, n. 19 - Interventi per la promozione dell'assistenza domiciliare agli anziani, inabili, minori, nonché per il funzionamento di centri di incontro. Proposta di piano per il 1977".
La prima è una deliberazione che riguarda la legge sulla droga.
Chi la illustra? Il testo è quello che avete sotto i vostri occhi.



VIETTI Anna Maria

Ma non sarebbe opportuno che queste delibere fossero esaminate in Commissione?



PRESIDENTE

Ritenevo fossero passate. Cosa facciamo allora?



VIETTI Anna Maria

Vorrei proprio sapere se questa delibera è passata in Commissione.



PRESIDENTE

La Giunta dice che si tratta di una delibera per un provvedimento urgente e transitorio in relazione all'applicazione del dispositivo di legge. Se ne ravvisa l'utilità agli effetti dell'urgenza.



VIETTI Anna Maria

La Commissione è stata convocata per esaminare la delibera, ma successivamente rinviata per espressa richiesta dell'Assessore Enrietti che non poteva essere presente.



PRESIDENTE

Lei, signorina, ritiene che la convocazione della Commissione sia indispensabile agli effetti della delibera?



VIETTI Anna Maria

Poiché non c'è il Presidente Beltrami, che segue da vicino la materia in questo momento non saprei esprimere un parere su questa delibera, non avendola esaminata. Pertanto invito la Giunta regionale, se possibile, a fare esaminare questa delibera, unitamente a quella dell'assistenza domiciliare. La Commissione è già convocata per lunedì prossimo e potrà esprimere un parere su tutti e due i documenti.



PRESIDENTE

La Signora Fabbris chiede di parlare, ne ha facoltà.



FABBRIS Pierina

Vorrei fare una precisazione.
Per quanto riguarda la delibera presentata dalla Giunta sull'assistenza domiciliare, è vero che non abbiamo esaminato il piano in Commissione abbiamo però stabilito i criteri che sono contenuti nel documento.
Trattandosi di una delibera d'urgenza e poiché bisogna ad un certo momento mandare avanti il piano, finanziarlo e dare i soldi ai Comuni, io proporrei alla collega Vietti di tenere conto che i criteri li abbiamo già approvati in Commissione, e che la delibera non fa altro che attuarli. Proporrei quindi al Consiglio di approvare la delibera perché si tratta di dare il via al piano.



PRESIDENTE

La parola alla dottoressa Vietti.



VIETTI Anna Maria

Mi rendo conto dell'urgenza di assegnare i fondi ai Comuni, ma in realtà il piano proposto si riferisce al 1977; prendo atto che è stato elaborato con tempestività. Se la Commissione deve solo approvare i criteri per l'assegnazione, dei contributi,tanto varrebbe fosse competenza della Giunta.Se è il Consiglio che deve approvare il piano di finanziamento, la deliberazione deve essere inviata tempestivamente in Commissione per l'esame, stamane non è possibile approvarla.



FABBRIS Pierina

Il piano è in Commissione, non è stato presentato qui stamattina.



PRESIDENTE

Le due delibere hanno una certa rilevanza e sono, tutto sommato abbastanza importanti, e poiché le osservazioni che vengono fatte non attengono tanto al contenuto quanto all'opportunità che siano esaminate nel loro complesso e dato che la Giunta reputa, da quello che ho capito, che un ritardo di sette giorni non metta in discussione nulla, assumiamo l'impegno di iscrivere le due delibere nella prossima seduta del Consiglio regionale dopo l'esame in Commissione.
Possiamo operare in questo modo? Vi sono obiezioni? Non ve ne sono allora procediamo in questo modo.
Mi pare di avere capito che l'intervento della Signora Fabbris non era riferito alla prima delibera, ma a quella sull'assistenza domiciliare, per cui valgono le stesse considerazioni.



FABBRIS Pierina

Certo.



PRESIDENTE

Allora ambedue le delibere verranno portate alla prima seduta del Consiglio, dopo l'esame in Commissione.
Non ho altri punti all'ordine del giorno. I Capigruppo sono immediatamente convocati. La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 12,30)



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