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Dettaglio seduta n.72 del 28/09/76 - Legislatura n. II - Sedute dal 16 giugno 1975 al 8 giugno 1980

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SANLORENZO


Argomento: Informazione - Comitato RAI

Esame dei problemi della riforma RAI-TV


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Prima di affrontare l'esame dei problemi della riforma RAI-TV, vorrei solo ricordare i precedenti, cioè le occasioni nelle quali il Consiglio si è occupato di questo tema.
Come i Consiglieri sanno, la nostra Regione è stata una delle prime in Italia a dare attuazione alla legge di riforma della RAI, il 14 aprile 1975, n. 103, in particolare l'art. 5 che prevedeva la creazione del Comitato regionale per il servizio radiotelevisivo. I poteri affidati al Comitato erano assai limitati, qualche cosa strappato all'ultimo momento dalla legge di riforma, a dimostrazione del fatto che la riorganizzazione dello Stato è un processo appena iniziato e che andrà avanti solo se tutta la legislazione nazionale si informerà progressivamente.
Questo è un processo che andrà avanti gradualmente e dipenderà dall'esperienza, dalla capacità e dalla fantasia di coloro che devono operare in questo campo, conquistare nuove posizioni. Certo, occorre oggi impedire che si arresti la marcia della riforma RAI-TV, o addirittura si facciano dei passi indietro.
Qualcosa di nuovo ci fu nella costituzione di quel Comitato, e fu qualcosa di positivo: l'accordo fra le forze politiche nel costituire il Comitato fu trovato facilmente e fu votata la decisione da tutte le forze democratiche del Consiglio, e fu qualcosa di diverso dalla lottizzazione del Consiglio di amministrazione della RAI e dai problemi che ora stiamo vivendo come conseguenza del modo come avvenne la divisione degli incarichi.
Devo dire che, pur con i limiti previsti dalla legge, il Comitato ha funzionato, confermando la possibilità di un'azione unitaria, così come unitaria era stata la decisione del Consiglio regionale che l'aveva istituito. E il Comitato fa capo, per il momento, al Consiglio regionale del Piemonte.
Un'altra sede di discussione del problema è stata la riunione che abbiamo tenuto martedì 14 settembre, estremamente interessante per la qualità di contributo e per l'elevatezza del dibattito: era la riunione che era stata decisa nella conferenza dei Capigruppo ed a cui parteciparono una qualificata rappresentanza dei sindacati, delle forze sociali, dei lavoratori del Centro RAI-TV.
L'originalità della riunione - lo sottolineai al termine della riunione stessa - era stata data dal fatto che erano presenti: sindacati, forze politiche, organi della Regione senza che fosse necessario, in quella sede concludere. La riunione forni a tutte le forze politiche elementi di giudizio, di informazione, assai rilevanti per formarsi un'opinione politica. A tutti i Capigruppo era stato già consegnato una ventina di giorni fa un elenco cospicuo di documenti che permetteva di formarsi un'idea, anche prima dell'incontro con le forze sindacali dei lavoratori del Centro di Torino, di come i problemi della riforma si proponevano in questo momento. E credo che da quella riunione siano emerse numerose indicazioni, ma è ora il Consiglio la sede opportuna per il confronto di idee che possono derivarne.
Il problema è stato così posto all'ordine del giorno dell'assemblea regionale come conclusione di quella riunione, come impegno che abbiamo assunto anche di fronte alle rappresentanze sindacali di portare la questione in discussione.
La posizione che eventualmente sorgesse da questo Consiglio regionale e che io devo sempre auspicare unitaria, su questi temi, potrebbe essere illustrata alla conferenza delle Regioni italiane prevista ad Aosta il 23 e 24 ottobre e che definirà la posizione dr tutte le Regioni italiane sull'argomento. In ogni caso, la Regione Piemonte designerà, eleggerà, e l'argomento bisognerà affrontarlo nella conferenza dei Capigruppo, una delegazione unitaria, rappresentativa di tutti gli organi della Regione che intendano partecipare al convegno nazionale il cui tema è "Sistema radiotelevisivo e Regioni' ". E' prevista la partecipazione di rappresentanti di tutte le Regioni, del Governo, della Commissione parlamentare, dei partiti, della RAI-TV, delle organizzazioni sindacali e delle Associazioni della stampa.
Per i lavori preparatori del convegno sono state previste riunioni su tre specifici argomenti (emittenti private ed estere; decentramento diritto di accesso), alle quali ciascuna Regione potrà partecipare con propri rappresentanti.
Questo è quanto io potevo dire come primissima introduzione metodologica al tema.
Per un'introduzione meno metodologica, ma nello stesso tempo ancora soltanto informativa, l'Ufficio di Presidenza ha designato il Vice Presidente Bellomo, che ha avuto l'incarico di partecipare a tutte le riunioni che si sono tenute finora su questo argomento, in modo che possa introdurre il discorso fra le forze politiche, sulle caratteristiche degli incontri che si sono svolti fra le varie Regioni e quindi sulle posizioni che si stanno delineando.
Do quindi la parola al Vice Presidente Bellomo per introdurre il tema.



BELLOMO Emilio, Vice Presidente del Consiglio regionale

Signor Presidente, Signori Consiglieri, cercherò di assolvere al compito che mi è stato affidato, nel modo più conciso possibile, e attenendomi scrupolosamente ai dati ufficiali emersi negli incontri a livello regionale, su quello che continua ad essere lo scottante problema della riforma televisiva; una riforma decisa dal Parlamento, sotto la pressione concentrica delle forze riformatrici, Regioni, organizzazioni sindacali, partiti politici, che stenta a trovare il suo giusto ritmo attuativo, che si dibatte tuttora nelle spire di forze ritardatrici per non dire antiriformatrici, e che la sentenza, ultima, della Corte Costituzionale, ha complicato ulteriormente.
Il mio impatto personale, in rappresentanza del Consiglio regionale data dagli inizi dell'anno 1976, in occasione di un incontro romano, fra il Consiglio di amministrazione della RAI col suo Presidente e i rappresentanti della Regione.
In quell'incontro, e in quello successivo di Firenze del 12 aprile 1976, si è portata l'attenzione delle Regioni italiane, su alcuni aspetti essenziali della riforma; per esempio: il decentramento, la presenza e la partecipazione diretta delle Regioni, il tipo di rapporto tra Regione e RAI TV, l'interlocutore diretto della RAI-TV; il diritto di accesso, la garanzia del pluralismo, ecc, ecc.
Ma si è portata l'attenzione, soprattutto, sulla legge di riforma n.
103 e sulle resistenze, sui ritardi che la sua attuazione pratica faceva registrare a tutte le forze convintamente riformatrici; a quelle forze cioè, il cui impegno e la cui azione specifica, durante gli anni 1972/1975 portarono il Parlamento a votare la legge di riforma, nell'aprile del 1975.
Una legge, che, lo ricordo molto bene, fece titolare alcuni giornali noti per la loro serietà e la loro prudenza, con grande evidenza riconoscendo nella legge 103 la seconda riforma significativa, di quel tempo, dopo quella dei nuovi organismi direttivi nel campo della scuola.
Le Regioni italiane, in sostanza, si mettevano davanti alla nuova gestione della RAI, con un rinnovato spirito di collaborazione, ancorché la legge n. 103 abbia limitato, contrariamente ad ogni legittima aspettativa una presenza attiva e significativa dell'Istituto regionale.
In sostanza, le Regioni italiane, tutte le Regioni, dalla Lombardia al Molise, dal Piemonte alla Toscana, lamentavano una serie di inadempienze e di ritardi, che legittimavano allarmanti interrogativi.
La riforma è in crisi, si diceva sostanzialmente: la riforma non ha decollato secondo le aspettative delle forze democratiche che l'avevano fortemente voluta.
Quelle forze avevano chiesto la riforma democratica della RAI-TV; una riforma che doveva e deve passare attraverso il principio del monopolio pubblico. Ma la difesa di questo principio non può essere fatta in modo statico; non si tratta, infatti, di tutelare un monopolio qualunque; ma un monopolio che si sorregga sulla democratizzazione della RAI, e dei suoi metodi e dei suoi moduli operativi.
Il monopolio pubblico - dicevano le Regioni italiane - si difende e si difende bene solamente se è legato ad un profondo decentramento del sistema e ad un largo diritto di accesso.
Ma il decentramento ed il diritto di accesso erano - e sono - cose al di là da venire, e non è azzardato affermare che questi ritardi nell'attuare la riforma, abbiano alimentato una profonda e diffusa insoddisfazione, sulla quale si è innestato sempre più agevolmente il processo di proliferazione delle emittenti locali.
Le Regioni italiane vogliono dire, in buona sostanza, che queste inadempienze attuative della riforma, hanno il significato di tenere in non cale una situazione di fatto che trae origine dalle accresciute esigenze di partecipazione per una sempre più corretta e democratica informazione; e in definitiva per un sempre più corretto e democratico servizio pubblico.
Queste constatazioni di fatto sono state portate a conoscenza del Consiglio di amministrazione della RAI al quale è stato illustrato, il documento unitario, votato dalle Regioni il 20 febbraio 1976, nel quale le Regioni stesse, con tutta l'autorità politica e morale che ad esse deriva dal concreto e unitario contributo dato al processo di riforma democratica dell'Ente televisivo e radiofonico, ribadivano alcune richieste di fondo quali: la riaffermazione della natura politica dei Comitati regionali, quali strumenti al servizio della riforma, e strutture aperte alla società reale e non strutture burocratiche e periferiche al servizio di una logica aziendalistica della società concessionaria un primo indirizzo generale di attività per tutti i Comitati attraverso una indagine conoscitiva della situazione regionale della RAI TV, stabilendo così un collegamento di fondo con i sindacati dei giornalisti e con i lavoratori della RAI, che lottano per l'attuazione della riforma, come primo passo dell'apertura più vasta alla società civile, in tutte le sue espressioni la necessità di un collegamento permanente e privilegiato fra il Comitato di coordinamento delle Regioni ed i quattro membri del Consiglio di amministrazione della RAI, di indicazione regionale una particolare considerazione delle esigenze delle Regioni di confine, che presentano problematiche particolari in presenza di un pluralismo etnico-linguistico.
Ma le Regioni italiane, mentre da un lato si rivolgevano alla dirigenza della RAI perché si procedesse speditamente sulla strada della riforma dall'altro si rivolgevano alle forze politiche e sociali democratiche affinché si riprendesse, con la stessa forza unitaria che aveva portato alla legge del 14 aprile 1975, la battaglia per l'attuazione della legge stessa, perché, come tutti noi sappiamo, se si fa uno sforzo, grosso e compatto, per ottenere una buona legge, bisogna fare uno sforzo almeno triplicato per vederla convenientemente applicata.
Sarà una "malattia" tipicamente italiana o un malvezzo tipicamente italiota, che comunque non staremo qui a commentare in questa circostanza.
In questo appello, alle forze politiche e sociali, alle forze riformatrici, le Regioni italiane, unitariamente, ribadivano un dato di fatto ormai acquisito e riaffermavano, conseguentemente, che il punto di partenza per un concreto rilancio del movimento riformatore, doveva essere la stessa legge 103, che pur con i suoi limiti che le Regioni avevano identificato e denunciato, sancisce, con i principi del monopolio pubblico del decentramento ideativo e produttivo e dall'accesso pluralistico, le condizioni di fondo per una nuova informazione radiotelevisiva.
In effetti, prima del pandemonio sulle nomine, la legge 103, si era meritata il plauso di un ventaglio molto largo di forze politiche, anche se lo stesso plauso era scoppiato più in alto, fra i vertici politici e partitici, che non al basso, nella base del Paese.
La legge si presentava bene, anche se le Regioni rilevarono, subito, il poco spazio ad esse assegnato, e che era stato invece richiesto unitariamente, in anni di dibattito politico e culturale.
Ma le Regioni si posero il problema di una "interpretazione politica" della legge e si ripromisero, strada facendo, di far fare alla legge stessa, dei passi avanti, positivi, in sede di attuazione della riforma.
Questa volontà politica delle Regioni, non è mai venuta meno e anzi fino al luglio di quest'anno, constatando una accresciuta partecipazione delle Regioni agli incontri ed ai dibattiti promossi dal Comitato di coordinamento (alle riunioni a cui ho partecipato si è sempre registrata la presenza totale delle Regioni italiane), e una rinnovata volontà operativa a non frapporre ulteriori indugi al processo di riforma, si guardava con un certo ottimismo alla possibilità di "bruciare le tappe" della riforma stessa, quando è uscita la sentenza della Corte Costituzionale, che ha costretto le Regioni e le forze riformatrici a segnare il passo per un ripensamento e una rimeditazione.
Non sta a me, in questo momento, commentare la sentenza n. 202 della Corte Costituzionale, che ha, di fatto, rimesso in discussione il principio del monopolio pubblico sulla radiotelevisione.
A me incombe l'obbligo di segnalare che, subito dopo la sentenza, le Regioni si sono riunite a Firenze sotto la Presidenza dell'avv. Lagorio coordinatore delle Regioni in materia di radiotelevisione.
In quella riunione si è esaminata criticamente la sentenza n. 202 riscontrando che la stessa faceva un passo indietro rispetto alle precedenti sentenze della stessa Corte Costituzionale.
La conclusione del dibattito fra le Regioni si ricava agevolmente dalla lettura del comunicato finale, che molti colleghi, forse tutti, già conoscono e sul quale non intendo dilungarmi. La Corte Costituzionale ha dichiarato legittime le radiotelevisioni a carattere locale. La sentenza in effetti ha stabilito una sorta di liberalizzazione controllata delle trasmissioni via etere locali, sottoponendo l'esercizio di questo diritto ad autorizzazione e non a concessione. L'uso dell'etere in sede locale dovrebbe configurarsi, in base a questa pronuncia, come un diritto del singolo e non come una concessione di bene pubblico da parte dello Stato al singolo cittadino.
Derivando da questo assunto, le Regioni si sono poste alcuni interrogativi, che io faccio rimbalzare in questa sede, ai fini del dibattito consiliare: La regolamentazione delle trasmissioni locali può essere fatta per atto amministrativo o necessita, in ogni caso, di una legge formale? La regolamentazione futura dovrà azzerare la situazione pregressa o riconoscere i diritti delle emittenti già esistenti? Sul piano normativo si deve pensare ad una nuova legge di principio con delega di competenza alle Regioni, ovvero all'utilizzo della legge 382 con decreto delegato che fissi i principi? Ma le Regioni hanno detto di più: Si sono chieste se non è il caso di superare con altre forme gli attuali Comitati regionali per i servizi radiotelevisivi, definiti organi di consulenza delle Regioni, che non hanno, di fatto, poteri radiotelevisivi.
Se non è il caso di dilatare le ipotesi di accesso, nonostante che il peso dell'istituto tenda a diminuire con la liberalizzazione dello spazio locale.
Se le Regioni, in sede locale, debbono sin d'ora occupare propri spazi, con segnali regionali, anche al fine di costituire condizioni di parità, con le radio esistenti, in attesa di nuova disciplina.
Cosa debba intendersi per emittente locale, posto che la Corte non ha dato una risposta precisa a questo problema.
Davanti a tutta questa complessa e difficile tematica, le Regioni ritengono sia urgente intervenire con una nuova regolamentazione della materia che impedisca la formazione di oligopoli privati, pericolosi di per sé, per il pluralismo effettivo dell'informazione e chiedono che il Parlamento approvi una legge-quadro che affidi alle Regioni stesse l'attuazione della disciplina relativa.
Chiedono un intervento immediato che impedisca la precostituzione di situazioni di fatto che possano, in seguito, rappresentare posizioni di privilegio.
Inoltre le Regioni, unitariamente, mentre constatano la necessità di un riesame della legge di riforma della RAI-TV, chiedono al Governo che predisponga provvedimenti urgenti capaci di garantire il pluralismo dell'informazione con la più ampia partecipazione delle forze sociali e culturali dell'intera comunità.
Infine le Regioni italiane, per contribuire ad una soluzione positiva dei problemi posti dalla sentenza 202 della Corte Costituzionale, hanno costituito tre gruppi di lavoro con l'incarico di esaminare le tematiche relative alla nuova situazione delle emittenti locali, al decentramento ideativo e produttivo e al diritto di accesso.
Questi gruppi di lavoro interregionali hanno iniziato, già dalla scorsa settimana, i primi incontri che continueranno nei prossimi giorni.
Il risultato di questo lavoro dei gruppi, rappresenterà, in certo qual modo, la proposta di base sulla quale si svolgerà il Convegno nazionale sull'informazione, voluto dalle Regioni, ed al quale ha aderito la Federazione nazionale della Stampa.
Il convegno di svolgerà ad Aosta nei giorni 23 e 24 ottobre prossimi.
Una scadenza, dunque, ravvicinata nel tempo, ed estremamente impegnativa per l'importanza dell'argomento che verrà dibattuto.
Questo è quanto, obiettivamente, è stato dibattuto dalle Regioni italiane. Un dibattito che si è articolato attraverso la più ampia partecipazione dei rappresentanti regionali e si è arricchito dei contributi delle organizzazioni sindacali, dei giornalisti e dei lavoratori dell' azienda radiotelevisiva, che con documenti e prese di posizione opportune e tempestive, sono stati grande parte prima e dopo la legge 103 prima e dopo la sentenza costituzionale 202; sono stati grande parte nel complicato discorso sull'informazione democratica e pluralista.
Queste stesse forze, con le Regioni in testa, intendono ora riprendere il discorso al suo punto di interruzione, cagionato dalla sentenza; ma credo di poter dire, interpretando la volontà, manifestata in vario modo che il discorso deve essere ripreso, ma deve soprattutto essere portato a conclusione.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Oberto, ne ha facoltà.



OBERTO Gianni

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, se la memoria non mi tradisce era una giornata di pioggia come quella di oggi, e l'incontro avvenne a Napoli dove per la prima volta i Presidenti dei Consigli regionali, i Consiglieri regionali, i Presidenti delle Giunte regionali erano stati convocati per esaminare questo grosso problema della radio e della televisione, non come fatto e come fenomeno di interesse nazionale, ma visto nel quadro nazionale, come ne potesse derivare una soluzione che soddisfacesse le esigenze vere e proprie particolari delle singole Regioni.
Sono passati molti anni; è venuta fuori una legge, la legge nazionale che ha avuto un lungo, faticoso periodo di dibattito e che ha tuttavia creato dell'insoddisfazione, anche se a prima vista sembrava che il problema dovesse trovare in realtà la sua soluzione.
L'argomento è posto all'ordine del giorno, signor Presidente, con questo titolo "Esame dei problemi della riforma RAI-TV", quindi io interverrei su quella che è la fichelle posta innanzi dal relatore Vice Presidente Bellomo, ma mi atterrei specificamente a quello che è l'argomento segnato nell'ordine del giorno "Esame dei problemi della riforma RAI-TV".
E intanto incomincerei, accostandomi un momento a quella realtà che si verifica oggi a Torino, del 13; incontro dei montanari al Convegno della montagna, per dire che in montagna, nonostante le infinite proteste che sono state mosse da una parte e dall'altra, in certe zone della montagna la radio non è percepita nel secondo canale, la televisione è praticamente nemmeno visibile nel primo canale. Creiamo quindi o facciamo permanere una situazione di cittadini, di fruitori di un servizio che pagano per intero e che sono evidentemente da considerarsi di seconda categoria. Il Piemonte ha una grossa fetta di montagna ed ha una grossa fetta di gente che protesta per questo grave inconveniente; non soltanto nel periodo estivo i villeggianti, ma vorrei dire più ancora nel periodo della permanenza fredda, gelida, squallida del montanaro nel periodo autunnale-invernale quando questo momento di cultura (almeno io considero come momento di cultura il fatto della trasmissione informativa della RAI e della Televisione, o che tale dovrebbe essere) manca invece totalmente.
Siamo d'accordo su quello che è il concetto fondamentale del monopolio di questo servizio radiotelevisivo; ma di un monopolio che sia evidentemente sfrondato di tutto quello che di meno simpatico e di meno corretto c'è nello svolgimento di una attività monopolizzata; cioè qualche cosa che abbia, dal centro, la possibilità di una manifestazione precisa e concreta soprattutto nella valutazione che i servizi rispondano ad esigenze di informazioni precise, non distorte, o non "grandemente" distorte in maniera che il cittadino italiano, i 50 milioni di cittadini italiani attraverso questo importante servizio, abbiano quell'informazione che è praticamente indispensabile, in termini di chiarezza leale.
Siamo al centro di un'altra polemica curiosissima ed è quella della TV a colori. Ma è mai possibile che nel 1976, signor Presidente della Giunta a settembre, noi dobbiamo ascoltare e vedere delle trasmissioni nelle quali si dice "questo servizio è consentito che sia trasmesso anche a colori". Ma dove siamo? Evidentemente coloro i quali hanno potuto fare la spesa in un momento in cui era difficile scegliere tra l'una e l'altra delle varie categorie delle televisioni a colori, l'hanno fatta, gli uni, non l'hanno fatta, altri, ed oggi i provveduti possono vedere, quando c'è il permesso e i non provveduti non vedono assolutamente niente. Ma è già molto grave in sé e per sé che debba esserci l'espressione, nel periodo e nel sistema di monopolio, di una trasmissione fatta in bianco e nero e di una trasmissione fatta invece a colori con monopolio! Vi è una grossa inflazione di radiotrasmittenti locali. Nella mia città ce n'è una che si inserisce (non so se Alberton abbia avuto occasione di sentirla) proprio nell'ora in cui vi è la trasmissione del GR1 della sera quindi assolutamente distorcente del momento dell'informazione. Anche sotto questo profilo dovrebbe esserci una regolamentazione a carattere e a livello piemontese, a livello regionale perché non possiamo privarci, per il gusto di sentire la piccola notiziola della nostra cittadina, della sua Cuneo più grande della mia Ivrea, signor Presidente della Giunta, che non la notizia invece di carattere internazionale, o nazionale che è indubbiamente molto più importante.
E' chiaro che deve rispondere a quel criterio ed a quel concetto che il Vice Presidente Bellomo ha sottolineato di un decentramento e di una partecipazione. Questo decentramento e questa partecipazione non pu verificarsi se non vi è questa disciplina; ma evidentemente la partecipazione deve potersi manifestare, altrimenti daremmo al monopolio la caratteristica meno buona, meno simpatica del monopolio.
In complesso, con la riforma, non è che le cose camminino molto bene.
Ero un pessimo ascoltatore della radio e della televisione; scaricato di talune responsabilità, guardo con maggior frequenza la televisione e ascolto con maggior frequenza la radio. Chiedo a loro colleghi Consiglieri quante volte riescono a percepire, per la velocità con cui parlano, alla radio soprattutto, ma anche alla televisione, coloro i quali debbono dare notizie, quante volte riescono a capire il senso ed il significato di una notizia che vede collegata la fuga del coccodrillo, o il ritrovamento del bisonte nella cantina di un cittadino qualunque, con l'esplosione, o con la nona o decima vicenda del terremoto del Friuli.
E' peggiorato (esprimo un mio concetto personale che ho controllato con il parere di altri) è enormemente peggiorato questo sistema (non so se qui c'è il rappresentante della televisione, non dipende certamente dalla televisione torinese, ma dalla trasmissione di Roma); non solo, ma si accavalla, perché se tu cerchi il GR1 e sei arrivato in ritardo, sei già coperto dal GR2 dove - e qui la cosa è accettabile - dove hai un'informazione fatta in una maniera e in una misura diverse e con caratteristiche diverse perché gli influssi politici si manifestano diversamente. Ma non sono mica soltanto gli influssi politici che si diversificano. Loro hanno presente, riescono a far tornare al loro orecchio la dizione di coloro che trasmettono alla radio e alla televisione? Gli influssi dialettali peggiori che vi possono essere; la deformazione della stessa lingua italiana, i nomi propri, i nomi di città e di regioni che sono distorti; e lì ci siamo noi a sentire, con la possibilità e la capacità di correggere l'errore, ma ci sono anche i ragazzi, i giovani i quali sono mal condotti da questa non perfetta dizione.
E poi c'è un momento di isolamento, se me lo permettete Presidente del Consiglio e Presidente della Giunta, in questo quadro, GR1, GR2, GR3, GR4 veramente una girandola di notizie, quando hanno da concludere per dare delle notizie del Piemonte fanno capo a Milano. Mai una volta che si senta dire che la notizia viene da Torino, c'è Milano per una parte ...



BORANDO Carlo

C'è Nino Vascon!



OBERTO Gianni

Non faccio carico a Nino Vascon; dico che i due centri i quali fanno le comunicazioni che interessano la Regione Piemonte e la Regione Liguria sono coloro che trasmettono da Milano, così come da Napoli sono gli altri che parlano di tutto il resto del Paese. Questo è un decentramento? Qui siamo ancora più lontani dalla costruzione di una Padania, siamo veramente a riconoscere a due città il privilegio di farsi accentratrici di queste notizie. E mi sembra che questo potrebbe essere anche opportunamente rilevato.
Ultima considerazione regionalista: proprio patriottismo di regione.
Vogliamo metterci a fare una statistica di quanti discorsi, di quante commedie, di quante poesie, di quante canzoni in dialetto lombardo romanesco, napoletano, siciliano, difficilissimi oltre tutto da comprendere, per lo meno difficili come il piemontese, e quante volte il Piemonte è presente anche con questa manifestazione di una vita che è certamente espressione di carattere culturale? Io ammiravo Govi che era uno dei miei preferiti; sento molto volentieri, ma con molto maggiore difficoltà, il napoletano De Filippo, ma insomma, abbiamo anche noi un Macario, abbiamo anche noi un Gipo Farassino che esprimono un fatto di cultura piemontese, un Nino Costa e un Pacot, poeti veri, che dicono qualche cosa che deve essere portato a conoscenza intanto dei piemontesi, e poi degli italiani.
Non voglio qui impancarmi a fare la discussione è lingua, non è lingua il piemontese; è dialetto, non è dialetto; certo il napoletano non è lingua, è dialetto, certo il laziale non è lingua, è dialetto e quindi, a parità di dignità, queste cose dovrebbero essere fatte.
Signor Presidente del Consiglio, se prendendo tra le mani qualche pagina per esempio del Brofferio, di Massimo d'Azeglio, scritte in piemontese, venissero queste trasmesse all'audizione di tutti gli italiani credo che avremmo fatto un grosso servizio alla civiltà, alla cultura, alla tradizione, al buon nome del nostro Piemonte, con vantaggio per gli Italiani.



PRESIDENTE

La parola al Consiglere Marchini.



MARCHINI Sergio

Il pensiero della mia parte politica è stato già espresso in sede più propria. Qui mi pare, visto che molto opportunamente, ad opera anche del collega Oberto, il discorso si è un po' allargato, che sia occasione per rivedere un po' questi tabù su cui stiamo discutendo.
Noi liberali abbiamo sempre visto con un certo sospetto il monopolio ma non tanto un sospetto di giudizio, un sospetto di prospettiva. Noi non abbiamo mai ritenuto che una norma giuridica potesse contenere una realtà anche di natura tecnologica e alla fine, bene o male, la realtà è andata avanti. E' andata avanti la realtà che dà la possibilità al praticone di turno di farsi la sua emittente radiofonica...



BESATE Piero

Bella roba!



MARCHINI Sergio

Questo è un giudizio suo. La Corte Costituzionale d'altra parte è andata avanti a cercare di compenetrare due tipi di principi che sono difficilmente conciliabili, cioè l'unicità dell'emittenza, il pluralismo dei contenuti. Evidentemente qui è tutto un tirare l'elastico in maniera da arrivare ad un equilibrio che per sua natura è precario sottoposto alle forze in gioco.
La realtà di questi giorni, notizie Telemalta o cose di questo genere mi pare che ci mettano nella necessità di spostare l'ottica del nostro ragionamento, pur difendendo, è chiaro, quelle prerogative che al nostro istituto la legge dà e soprattutto cercando di portare avanti le funzioni che ci sono state attribuite. Mi pare che come forze politiche bisogna spostare l'ottica del problema in un quadro più generale, e a questo punto il mezzo radiotelevisivo diventa uno dei tanti mezzi di comunicazione, per cui rientra nel grande problema della stampa, dell'editoria; non possiamo più parlare dei giornali e prendere atto che sono tutte dipendenze di gruppi di pressione, che hanno dei problemi economici e che dipendono dai potentati economici di Stato e privati, e poi pensare per un momento che invece, guarda caso, la RAI-TV è una specie di cultura pluralistica di Stato, nessun privato deve intervenire e se per caso interviene lo fa così perché si diverte a fare Telemalta. Chiaramente qui c'è un attentato al pluralismo che viene da un privato.
Sono un liberale e mi rendo conto di che cosa può significare questo discorso. E allora mi pare che da parte di tutte le forze politiche ci debba essere la presa di coscienza che quello della RAI-TV, anziché essere considerato un problema a sé stante da vedersi sempre nei binari del monopolio, sempre contrastato e dalla realtà tecnologica e dalla realtà giuridica e dalla nuova coscienza, deve essere visto inquadrato in un dibattito generale. E' di ieri, mi pare, l'intervento di Arnaud sulla stampa; sono previsti convegni quanto prima e quello della stampa è uno degli aspetti dell'editoria in genere.
Mi pare che la questione vada vista soprattutto in termini generali per garantire il pluralismo, altrimenti andiamo a combattere una battaglia per i giornali e non per la televisione fra un anno saremo qui a discutere sul monopolio di Stato e scopriremo magari che ci saranno delle TV private le quali molto difficilmente saranno orientate su gruppi politici che qui hanno un rappresentante o due.
Mi pare di non avere altro da aggiungere; questo è il contributo che ho voluto dare a questa discussione.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare la Signora Castagnone Vaccarino. Ne ha facoltà.



CASTAGNONE Aurelia

La battaglia ingaggiata dal Partito repubblicano all'interno ed all'esterno della RAI, come forza politica di minoranza, credo sia nota a tutti i Consiglieri, e quindi non starò certo a soffermarmici annoiandoli con fatti a loro ben noti.
Al fondo del discorso repubblicano sta praticamente un fatto di cultura, e quindi di possibilità di comunicazione, che ricalca quel pluralismo, per così dire, il cui significato e senso proprio è oggi fatto oggetto di tanti studi e di tante discussioni.
Il pluralismo all'interno della RAI-TV avrebbe dovuto essere garantito dalla nuova legge sulla RAI. Però, se un certo allargamento di voci che arrivano alla RAI vi è stato, non si può parlare di miglioramento della qualità dello spettacolo. Perché, indubbiamente, a parte i vari "messaggi" come ormai vengono chiamati, dati attraverso la Rai e la Televisione questi due organi dovrebbero essere, a mio avviso, soprattutto produttori di spettacolo, ma questo spettacolo, per dire il vero, è così deludente che la maggior parte degli italiani preferiscono girare la manopola e passare ad altri spettacoli offerti da altre trasmittenti, che evidentemente ritengono più divertenti o più interessanti.
Quando accendiamo il televisore, nelle ore in cui un cittadino, intendo dire cittadino lavoratore, generalmente può seguire i programmi emanati, ci troviamo: TG1, TG2, servizio del TG1, servizio del TG2. Siamo perfettamente d'accordo che ci viene data una informazione vasta, ma una informazione strettamente e costantemente politicizzata, mentre, a meno che i nostri "politici" siano in grado di offrire uno spettacolo soddisfacente, cosa che, francamente, spesso non si può dire, sarebbe utile che quello che la RAI-TV trasmette fosse un messaggio culturale ben più ampio.
Uno dei timori che noi nutriamo per quanto riguarda l'allargamento e il decentramento della RAI, che noi non possiamo, come partito regionalista non vedere, dal punto di vista teorico, con assoluta approvazione, è quello che questo mezzo venga sfruttato nella stessa maniera in cui è stato sfruttato dopo la riforma. Non voglio riferirmi al fatto che evidentemente, la riforma si è pressoché limitata, praticamente, a questi TG1, TG2, senza investire l'intera struttura della RAI, l'ente nel suo complesso: mi auguro che la riforma venga posta in atto sul serio, e non è certo a noi che tocca attuarla. Ho fatto quella premessa per introdurre il discorso, inevitabile, delle radio-televisioni private. La credibilità di un ente produttore di spettacolo, come io continuo a considerare la RAI Televisione - e il termine "spettacolo" non ha in sé nulla di deteriore: in fondo, la tragedia greca, che era uno spettacolo, per il popolo greco costituiva un fatto fondamentale della propria cultura, e non aveva niente di deteriore nell'essere uno spettacolo, ed è in questo senso che io uso il termine.- questo spettacolo è ormai così privo praticamente di un contenuto in qualsiasi modo allettante, o di un contenuto che susciti interesse nello spettatore, che le radio libere si danno da fare per ovviare a questa grave carenza. Naturalmente, in moltissimi casi il risultato è di uno spettacolo ancor più deteriore (perché non mi sentirei assolutamente di dire che le radio libere siano superiori alla Radiotelevisione italiana, sarebbe veramente una illusione che è meglio non coltivare),ma in alcuni casi offrono un tipo di spettacolo che contiene un messaggio culturale non così poco interessante come qui si ritiene.
Noi siamo, quindi, francamente, favorevoli alla esistenza e alla libertà di espressione di queste radio e di queste televisioni, sia pure con una regolamentazione, come ogni Stato ha diritto di regolamentare ci che arriva nelle case di tutti i cittadini, anche in vista della possibilità che la concorrenza stimoli finalmente la Radiotelevisione ad offrire un prodotto più adeguato a quelli che noi riteniamo essere i livelli culturali dei cittadini italiani.



PRESIDENTE

Chiede di parlare il Consigliere Calsolaro. Ne ha facoltà.



CALSOLARO Corrado

Signor Presidente, signori Consiglieri, questo dibattito, che era già stato programmato alcuni mesi fa, ci presenta una situazione alquanto mutata rispetto a quella che avremmo avuto di fronte se avessimo seguito i previsti tempi di discussione. La sentenza della Corte Costituzionale dello scorso luglio sembra rimettere in gioco alcuni principi fondamentali della legge di riforma.
Con questa sentenza si pongono all'attenzione dell'opinione pubblica numerosi problemi, quali, ad esempio, il pericolo di veder sorgere un trust delle emittenti locali attraverso le armi della pubblicità e della informazione, e, in pratica, il regime di oligopolio che minaccia di catturare il settore.
Credo, quindi, sia necessario esprimere un indirizzo sul quale trovare l'accordo tra le varie forze democratiche impegnate sui problemi dell'informazione. Questo dibattito ci da altresì l'occasione di sottolineare ancora una volta il valore centrale dell'informazione come strumento di partecipazione dei cittadini alle grandi scelte di politica economica sociale e culturale e di indicare il problema della riforma della informazione come essenziale per la crescita democratica del Paese.
Le Regioni, in effetti, fin dal momento della loro costituzione si sono poste come interpreti delle nuove esigenze di sviluppo democratico del Paese, soprattutto nella direzione della domanda di partecipazione dei cittadini, individuando nell'informazione uno strumento indispensabile per promuovere e sostenere il collegamento tra momento politico e momento sociale, tra le istituzioni rappresentative e le attività economiche sociali operanti nei quartieri, nei Comuni, nei Comprensori e nell'articolazione regionale. Il nostro Statuto, è stato fatto rilevare dal Vicepresidente del Consiglio, come quasi tutti gli Statuti regionali riconosce il diritto dei cittadini all'informazione e prospetta, anzi esplicitamente l'impegno verso iniziative della Regione in questo campo. Il Presidente del Consiglio regionale ha richiamato alcuni atti del Consiglio regionale. Mi sembra doveroso ricordare l'opera che, sotto la Presidenza del collega Consigliere Besate, ha svolto, durante la prima legislatura, la III Commissione, con la predisposizione di una relazione dello stesso Presidente Besate sui problemi della RAI-TV. Essa però non venne mai discussa dal Consiglio regionale, e comunque resta a testimoniare l'impegno culturale del Consiglio regionale ed in particolare della Commissione III e del suo Presidente.
Lasciando da parte il problema della editoria giornalistica e dell'opportunità di un coordinamento dell'azione regionale finalizzata ad una riforma generale dell'editoria, che superano i limiti di questo dibattito, pur rivestendo la posizione delle Regioni, in ordine al ruolo dell'informazione come servizio sociale, nel quale le garanzie di pluralismo, obiettività, libertà di informazione, vanno assicurate con una serie articolata di interventi pubblici di natura economica e legislativa e soprattutto con un impegno politico che va esercitato a tutti i livelli ci sembra che le prospettive siano oggi per il settore radio-televisivo in parte da ridefinire, ma in un quadro che, per parte nostra, ci appare a sua volta del tutto chiaro e definito. La legge 103 e il logico riferimento per ogni iniziativa in materia radiofonica e televisiva, e la recente sentenza della Corte Costituzionale, nonostante le strumentalizzazioni poste in essere, non inficia, né lo potrebbe, la sostanza della riforma rivendicando alla RAI-TV il monopolio delle trasmissioni e consentendo altre iniziative solo a livello locale.
Si tratta, pertanto, di riconfermare e di sottolineare, da parte del nostro Consiglio, il carattere di servizio pubblico che il mezzo radio televisivo presenta. La riserva del servizio allo Stato e il regime di monopolio hanno reso evidente la rilevanza politica del servizio e permettono di concentrare l'impegno su di un obiettivo ben definito, quale la riforma democratica della Radio-televisione.
Il problema che abbiamo di fronte oggi, anche nella prospettiva di uno sviluppo dell'informazione democratica a livello locale, è quello dell'attuazione della riforma. Essa va pertanto perseguita nello spirito del pluralismo, della democratizzazione, del potenziamento del pubblico servizio, caratteri che hanno ispirato la legge; ma anche nella direzione del decentramento e della partecipazione. Su questo punto la battaglia per la riforma ha ottenuto dei risultati limitati. Infatti, la logica accentratrice, che è sempre stata propria di tutta la gestione della RAI fino ad oggi, ha opposto resistenze notevoli e in parte efficaci alla domanda di decentramento e di partecipazione che mirava a fare della nuova RAI un organismo articolato, disponibile in tutto il Paese ad un rapporto aperto e dinamico con la realtà politica e sociale.
Tuttavia, ciò che la legge contiene relativamente alle esigenze di decentramento, anche se espresso con riserve ed ambiguità, può costituire una valida premessa per sviluppare adeguatamente, nel processo di attuazione della riforma, nel quale è necessario che non si attenui la pressione delle forze democratiche, in primo luogo quella delle Regioni.
La battaglia si presenta ancor più dura, dopo la sentenza della Corte Costituzionale, irta di difficoltà, posto che si ponga mente, per esempio ai ritardi con cui sono andati avanti anche i primi momenti della sua attuazione. Basti pensare, per esempio, alla nota e dibattuta questione delle nomine dei responsabili dei programmi radiofonici e televisivi e delle testate giornalistiche.
Uno dei nodi principali dello scontro all'interno della RAI resta ancora una volta la resistenza dei centri di potere aziendale e politico ad ogni ipotesi di reale rinnovamento.
Gli strumenti su cui far leva per rendere la gestione del servizio pubblico più aderente alle esigenze delle comunità locali, secondo una direttiva di decentramento del processo di produzione e trasmissione dei programmi, considerato come elemento inscindibile della democratizzazione del servizio, sono, a nostro avviso, una regolamentazione di tutto il settore dell'informazione radiotelevisiva al fine di ottenere l'attuazione della legge di riforma della RAI- TV, con particolare riferimento al decentramento, nell'affermazione del criterio del decentramento ideativo e produttivo tra i principi della riorganizzazione interna della RAI e nell' indicazione di un piano di sviluppo delle strutture produttive periferiche l'organizzazione del decentramento con una attiva e determinante partecipazione degli Enti locali e degli organismi rappresentativi di base idonee garanzie sul diritto di accesso, al fine di privilegiare le istanze di base e le forze che effettivamente rappresentano tali istanze; una mappa ragionata delle frequenze disponibili e delle bande libere per l'autorizzazione ad emittenti locali mediante criteri di priorità che salvaguardino il carattere di servizio pubblico del mezzo, la sua funzione finalizzata all'informazione e all'assegnazione di nuovi spazi per la didattica, la cultura dei luoghi. L'espressione del sociale che scoraggino le iniziative di tipo speculativo.
In particolare, il Comitato regionale - quel Comitato regionale che noi come Regione Piemonte forse per primi abbiamo varato (leggo in questi giorni sui giornali che molte Regioni nominano i Comitati regionali e se ne parla come di "grosso successo": questo è per noi fatto di ieri, non è più problema che ci possa riguardare, lo abbiamo risolto, come ha detto il Presidente del Consiglio regionale, in termini di assoluta rispondenza alle norme democratiche di rinnovamento delle strutture radiotelevisive del nostro Paese) - dovrà, a nostro avviso, esser posto in condizione di svolgere una regolare e qualificata attività, dotandolo dei mezzi necessari ad operare in stretto riferimento al Consiglio regionale.
Attraverso il Comitato, la Regione dovrà ottenere un diretto contatto con gli organismi responsabili della programmazione della RAI- TV regionale e nazionale, evitando le equivoche mediazioni funzionariali di azienda; un arricchimento della liberalizzazione del decentramento pluralistico a livello locale tramite il rilascio di autorizzazione ad emittenti locali che dimostrino finalità non speculative garantendo gli opportuni spazi di accesso, limitando gli spazi pubblicitari in relazione a quanto già disposto dalla legge 103 per le televisioni via cavo, ed infine assicurando la potenzialità autoproduttiva a livello di informazione, con la conseguente equiparazione di ogni emittente ad una testata giornalistica anche in ordine alle responsabilità di legge, al diritto di rettifica e la precisa definizione del termine locale riferito alle emittenti rapportato all'area coperta dal segnale emesso, alla densità e al tipo di utenza collegando l'organizzazione delle frequenze disponibili, almeno nelle zone a modesta concentrazione urbana, alle realtà comprensoriali, il diritto di accesso agli strumenti di produzione da parte delle forze che possono richiedere in via prioritaria il diritto di accesso ai programmi, una adeguata presenza dei problemi e delle realtà della nostra Regione nei programmi trasmessi sulle reti nazionali e una nuova strutturazione dei programmi regionali che preveda ampi spazi per l'informazione.
In concreto e nell'immediato, i punti principali della linea da seguire, nel quadro degli obiettivi che ho indicato a nome del Gruppo socialista, sono: l'iniziativa presso il Consiglio di amministrazione della RAI perché, in osservanza anche delle disposizioni della Commissione parlamentare di vigilanza, si dia immediato inizio ad un piano di potenziamento delle trasmissioni radiofoniche regionali; l'iniziativa e la pressione a tutti i livelli presso gli organi di gestione della RAI, le direzioni di rete e di testata, le sedi periferiche, perché la riorganizzazione dell'attività produttiva avvenga con la creazione di strutture produttive anche modeste ma presenti in tutte le Regioni, in modo da rendere possibili rapidamente contributi regionali alla produzione di programmi destinati alle reti nazionali; l'iniziativa comune delle Regioni perché la disponibilità di frequenze e di trasmissione sia radio che TV in ambito locale abbia rapidamente una regolamentazione e una pianificazione che la destini a servizi di interesse pubblico in collegamento con le attività delle Regioni nel settore culturale.
Un primo piano, attuabile con notevole rapidità, è quello di puntare sullo sviluppo delle trasmissioni radiofoniche regionali non nella forma inaccettabile, degli attuali Gazzettini regionali. I programmi radiofonici realizzati con una maggiore disponibilità oraria e di mezzi e con respiro diverso possono essere un modo per dare subito alle Regioni e alle comunità locali un canale di comunicazioni indispensabile. E' necessario per questo che la RAI potenzi questa attività al più presto, sia nelle sedi dove già esiste sia in quelle dove ancora non esiste. Vi sono infatti Regioni a Statuto speciale o di confine, come la Valle d'Aosta, l'Alto Adige, il Friuli e Venezia Giulia, il Veneto, dove lo sviluppo delle trasmissioni radiofoniche - e per quanto riguarda il caso di Bolzano anche televisive raggiunge alcune migliaia di ore all'anno, soprattutto, come ha già accennato il collega Bellomo, perché ciò risponde alle esigenze politiche poste dalla presenza di minoranze linguistiche.
E' indispensabile che questa esperienza si diffonda in tutte le sedi regionali ed abbia dalla RAI non solo la formalizzazione di una direttiva regionale, ma anche un adeguato sostegno di mezzi finanziari, tecnici e di personalità, oltre alla disponibilità di un congruo numero di ore di trasmissione. Mentre, infatti, oggi le trasmissioni radiofoniche locali avvengono, per lo più, sulle reti ad onde medie, negli intervalli di sospensione delle trasmissioni nazionali, le reti trasmittenti a modulazione di frequenza permetterebbero una diffusione di trasmissioni locali senza interferire con i servizi nazionali.
E' comunque possibile da parte della Regione sollecitare la RAI a formulare al più presto un piano di sviluppo per queste trasmissioni che non pongono i problemi di elevati investimenti e costi di esercizio delle TV e neppure tempi di attuazione altrettanto ampi.
Per le trasmissioni televisive di ambito locale l'installazione della terza rete - poi ci sarebbe la quarta rete, quella che dovrebbe essere lasciata ai privati, ma che comporta un discorso troppo ampio per farlo ora che costituisce uno degli impegni della nuova convenzione fra la RAI e lo Stato, sposta l'attuazione del servizio televisivo locale verso l '80.
Peraltro, solo la terza rete, appositamente progettata per rendere possibile una diffusione di ambito locale, potrà rendere attuali queste trasmissioni a livello regionale.
Al di là del problema delle trasmissioni radiofoniche e televisive locali, vi è un'altra azione da svolgere nei confronti della RAI riformata: si tratta della riorganizzazione e del decentramento dei programmi. Com'è noto, oggi tutte le trasmissioni radiofoniche e televisive nazionali, sono messe in onda da Roma e tutto il processo di produzione dei programmi si sviluppa, anche quando si tratta di produzioni realizzate nei centri di Milano, Torino e Napoli, all'insegna del massimo accentramento per quanto riguarda la proposta, la ideazione, la decisione della messa in onda. Per quanto riguarda l'informazione, i contributi delle redazioni regionali sono occasionali e rigorosamente limitati o a celebrazioni pubbliche o ad avvenimenti di cronaca nera.
Si può senz'altro affermare - e questo è stato più volte rilevato dai Colleghi che ci hanno rappresentato a livello di convegni nazionali sull'informazione radiotelevisiva - che, per lo spettatore televisivo nazionale, la dimensione regionale dei problemi politici, sociali economici, culturali, è del tutto assente. Tuttavia, l'obiettivo della riorganizzazione della RAI deve essere molto più ampio e va rivolto al fine di ottenere che le reti, le testate giornalistiche e il dipartimento scolastico abbiano una articolazione decentrata in tutte le Regioni, in modo da costituire i punti di convergenza di programmi proposti, ideati e realizzati con il contributo e l'iniziativa di tutte le realtà locali e culturali, soprattutto, regionali del Paese.
Per ottenere questo risultato, occorre respingere sia l'ipotesi di un decentramento organizzativo che si sviluppi solo sui tre centri di produzione di Torino, Milano e Napoli, magari con l'aggiunta di un quarto centro di produzione nel Mezzogiorno, sia il persistere delle resistenze accentratrici, che individuano nel decentramento dei programmi, la messa in moto di una spinta che metterebbe in pericolo l'unità delle aziende e comprometterebbe la stessa sopravvivenza del monopolio. Del resto, anche gli indirizzi emanati dalla Commissione parlamentare di vigilanza a proposito della ristrutturazione indicano nella creazione di nuclei ideativo-produttivi presso le sedi e i centri un punto chiave per il decentramento dei programmi.
Con il supporto di un piano di investimenti che, senza creare strutture faraoniche in tutte le Regioni, avvii un potenziamento delle capacità produttive con mezzi di ripresa leggeri, sarà possibile realizzare nel volgere di pochi anni un sostanziale rinnovamento dei programmi radiofonici e televisivi nazionali, dando spazio crescente alle realtà culturali sociali e politiche locali. E' però necessario che questo processo sia continuamente sostenuto e stimolato dall'iniziativa locale, soprattutto dalle Regioni. Questo processo deve utilizzare tutti gli strumenti disponibili, dagli interventi sul Consiglio di amministrazione, sulle direzioni di rete, di testata, del dipartimento scolastico, al più stretto rapporto fra i Comitati regionali e le sedi periferiche della RAI.
Unitamente al problema dell'attuazione della riforma della RAI e della attiva partecipazione ad essa degli Enti locali attraverso l'azione delle Regioni, va considerato il fenomeno delle Radio e delle Televisioni libere.
Certo, come ha detto in un recente intervento il Presidente della RAI, non possiamo ignorare la sentenza della Corte Costituzionale. Essa è destinata a mutare istituzionalmente la situazione della RAI ed è indispensabile che Parlamento e Governo ne siano investiti. Oggi ci sono 600 stazioni radio legalizzate, c'è l'ipotesi di 80 stazioni televisive legalizzate, in sostanza, il monopolio ha come contrapposizione strutture di oligopolio che già sono state create.
Sicuramente, le iniziative che sono sorte in molti Comuni rappresentano, nella loro componente spontanea, il tentativo di dare risposta concreta ed immediata al bisogno di partecipazione e di informazione che emerge con particolare forza nell'ambito delle Comunità locali. Non vi è dubbio che esse possano diventare strumenti efficaci, e nel caso della Radio, anche agili e poco costosi, per l'organizzazione sociale e i Gruppi politici. Si tratta, tuttavia, di un fenomeno che va valutato nella sua globalità in rapporto ad un disegno politico complessivo, in rapporto, cioè, con la battaglia per la riforma della RAI con i ritardi e gli ostacoli frapposti alla sua attuazione, di cui fanno parte anche gli attacchi al monopolio pubblico. Questi attacchi al monopolio pubblico che non hanno mai un obiettivo di crescita democratica come si è visto con chiarezza quando la grande offensiva sulla TV-cavo manovrata da interessi industriali di grande rilievo, facenti capo alle multinazionali dell'elettronica e delle comunicazioni, attraverso sapienti campagne di stampa, aveva alimentato l'illusione che si trattasse di un mezzo di comunicazione alla portata di tutti, la grande occasione tecnologica per una gestione di base dell'informazione. Il fallimento di questa ipotesi, dopo che gli interessi privati sulla TV-cavo sono stati scoraggiati dalla legge, soprattutto dal conflitto con la concessionaria pubblica delle telecomunicazioni, STET, ha prodotto e ha dato il via all'offensiva di monopolio delle radio libere.
La disponibilità di un certo numero di frequenze tuttora non utilizzate, non pianificate per i vari servizi pubblici, disponibili quindi, per trasmissioni radiofoniche e televisive di raggio limitato su aree locali, non è comunque tale da rendere possibile un reale pluralismo e la possibilità, per chiunque lo voglia, di gestire una stazione radiofonica. In realtà, anche in questo campo una distorta ed interessata propaganda giornalistica tende ad alimentare con dati approssimativi, o addirittura falsi, l'illusione di disponibilità tecniche molto superiori al reale. Lo slogan "una, cento, mille radio" è e resta soltanto uno slogan.
Le possibilità reali sono in misura assai più limitata, tali, cioè, da permettere l'installazione di un numero limitato di stazioni, variabile da zona a zona e comunque inferiore alle poche decine di unità.
Questa disponibilità può essere sfruttata solo attraverso un'accurata pianificazione nazionale ed internazionale. Il principio che le frequenze sono un bene limitato ed una risorsa di pubblica utilità, da amministrare nell'interesse collettivo, è un principio valido su scala mondiale, attuato da altri Paesi, e non può essere messo in discussione avallando o promovendo l'occupazione selvaggia delle frequenze, sia pure per trasmissioni di raggio limitato, ispirata al criterio della prevalenza del diritto di chi arriva primo.
In questa materia ci sembra opportuno proporre che la Regione assuma i seguenti impegni: la difesa della riserva allo Stato e della legge di riforma; la richiesta di una individuazione e pianificazione delle frequenze localmente disponibili per la radiodiffusione e la televisione in modo da salvaguardare la funzionalità dei servizi pubblici da interferenze e da occupazioni selvagge, 1 a richiesta che le frequenze utilizzabili per trasmissioni locali di radiodiffusione e televisione siano destinate per servizi di interesse collettivo (Amministrazioni locali scuole, ospedali, circuiti culturali e così via), con esclusione dell'uso di tali frequenze da parte dei privati e riserva dell'uso di tali frequenze alle Regioni. Ciò corrisponde sia ai principi di legalità istituzionale trattandosi di un servizio che rimane nell'ambito della riserva dello Stato, sia ai principi di razionalità ed economicità sul piano tecnico dovendo comunque l'uso di tali frequenze essere pianificato su aree territoriali ed interregionali; iniziativa comune delle Regioni, che, per la realizzazione delle infrastrutture tecniche, possono stipulare apposite convenzioni con la RAI.
La concessionaria pubblica potrebbe mettere a disposizione la propria assistenza tecnica e realizzare gli impianti di trasmissione, lasciando poi la gestione e la produzione dei programmi alle Regioni, che ne disporrebbero a favore degli Enti locali, delle organizzazioni sindacali dei movimenti culturali e delle iniziative di base.
In ogni caso, dev'essere affermato l'impegno della Regione a richiamare l'attenzione della pubblica opinione sull'incombente pericolo di veder degenerare in oligopolio le iniziative private, che, talvolta avviate su basi pluralistiche, sono in funzione o stanno per sorgere, si troveranno a dover fare i conti con le ferree leggi dell'economia di gestione e del mercato pubblicitario, in un disegno che porterà alla costituzione di imponenti concentrazioni di emittenti pseudo locali e ad un profondo stravolgimento della distribuzione del gettito pubblicitario, con ulteriore aggravio della crisi della libertà di stampa e della libertà di informazione.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Benzi. Ne ha facoltà.



BENZI Germano

Signor Presidente, signori Consiglieri, dopo gli interventi dei Colleghi che mi hanno preceduto mi rimane ben poco da dire.
Partecipando alla riunione del 14 settembre, alla quale sono intervenute personalità qualificate della nostra emittente televisiva abbiamo assistito ad un dibattito dal quale sono emersi dati molto interessanti, come ricordava prima il Presidente Sanlorenzo.
Si è evidenziato, per prima cosa, che non si tiene in debito conto il fatto che il Piemonte è un po' una Regione-guida, nel senso che quasi tutto quanto si fa in Piemonte trova una rispondenza in campo nazionale. Eppure come diceva prima l'amico Oberto, noi dobbiamo dipendere da Milano per le notizie che ci riguardano. La nostra è una Regione fortemente industrializzata, con grossi problemi da risolvere, importanti soluzioni da proporre, ma talvolta gli stessi nostri amministrati li ignorano, perch gli stessi nostri giornali non ne trattano che parzialmente. Perciò è necessario che riusciamo a fare un qualche cosa regionalmente: per esempio un nostro giornale radio o giornale televisivo. Si era previsto di cominciare tale attività nel '76, con un'ora e mezzo di trasmissione, ma fino ad oggi, 28 settembre, non si è ottenuto in concreto nulla. Ecco perché la Regione deve intervenire.
Sta bene questa nostra discussione, che ha carattere molto ampio, in cui ci lamentiamo che la legge non sia applicata bene. Però teniamo conto che, se la RAI-TV è in crisi, noi dobbiamo pensare che la Regione ha dei suoi problemi, paralleli, se vogliamo, ma anche diversi da quella che è proprio la crisi della RAI-TV. La critica più feroce all'istituzione radio televisiva è venuta proprio dagli esponenti della TV, i quali dicono di essere mal organizzati, con personale non adeguatamente utilizzato. C'è di che rimanere perplessi, tanto più quando poi si sente dire che in certi settori manca il 7% del personale necessario. Non ho informazioni dirette anche perché, per mia sfortuna, non faccio parte del gruppo RAI-TV, ma ho sempre pensato - e le notizie che ho avuto lo confermano - che nell'Ente radiotelevisivo vi sia sovrabbondanza di personale, di giornalisti stipendiati senza avere in effetti un incarico preciso. A Torino, per contro, stando a quel che sentiamo dire da coloro che ci son dentro, e c'è da pensare che sia vero, il personale scarseggia, e questo è uno dei motivi per cui, si dice, è difficile mettere in onda un programma locale, Se questo è vero, dobbiamo adoperarci perché alla sede di Torino la RAI- TV destini il personale sufficiente ed idoneo a curare una trasmissione che riguardi il Piemonte.
Il collega Calsolaro parlava poco fa della questione delle trasmissioni televisive estere. E' verissimo che oggi da Torino si seguono le trasmissioni svizzere, quelle di Montecarlo (fra poco si riceverà anche Malta). Ma questo avviene anche perché i programmi della nostra Televisione valgono assai poco. In questi tre o quattro mesi in cui ho potuto rimanere a casa ho visto ripetere programmi già messi in onda più d'una volta. E' logica, allora, l'irritazione dell'utente, che è indotto a cercarsi un altro programma. Ciò significa che la produzione nostra è scarsa, o è fatta male, o è noiosa.
Noi non possiamo certo impedire ai cittadini di dare la preferenza ad un'altra trasmittente. In difetto è, allora, chi trasmette programmi così poco appetibili. Se un prodotto è buono, la gente lo consuma volentieri, se non è buono fa bene a rifiutarlo. Non sarebbe logico obbligare a seguire programmi noiosi o mal realizzati.
Io direi che la crisi che attraversa oggi il nostro massimo organo di diffusione è vera, è reale, è una crisi di struttura, di riforma. I due "giornali" paralleli dicono praticamente le stesse cose, alla stessa maniera. E' tutto qui quello che ci si proponeva con la famosa riforma della quale si è parlato per due o tre anni? L'unica cosa che abbiamo visto è stata la battaglia feroce, senza esclusione di colpi, dei Partiti per collocare al vertice della RAI-TV i loro uomini, per mettere degli incompetenti, per essere schietti, a capo del nostro massimo organismo di informazione. Invece che riformare, insomma, si è continuato nell'andazzo di mettere persone incompetenti in materia radiotelevisiva a dirigere un organismo che non conosco.
Il pericolo che qui ha denunciato il Collega Calsolaro, di perdere la pubblicità nostra a beneficio di Malta, o della Svizzera, o di Montecarlo è un pericolo effettivo: già ora vediamo ogni sera aumentare la nostra pubblicità su queste televisioni, il che renderà ancor più difficile far quadrare il bilancio di una gestione qual è quella attuale della RAI-TV.
Che fare allora? Occorre una legge. Si faccia questa legge, la faccia il Governo, per sventare questo pericolo, che è gravissimo.
Per concludere, visto che Calsolaro ha già detto quant'altro ci poteva essere da dire, formulo l'auspicio che il nostro Consiglio regionale faccia il possibile per cominciare immediatamente, nel giro di otto-dieci giorni una trasmissione radio o televisiva, come si preferisce, con la quale si cominci a dimostrare che il Piemonte è presente e vivo ed ha qualcosa da dire ai nostri cittadini.



PRESIDENTE

Si iscrive a parlare il Consigliere Carazzoni. Ne ha facoltà.



CARAZZONI Nino

Signor Presidente, Colleghi, la nostra partecipazione a questo dibattito sarà contenuta in termini di comunicazione telegrafica.
Per la verità, e con molta sincerità, noi non avevamo neanche in programma di prendere la parola su questo argomento, e vogliamo anche dire il perché. Perché abbiamo, con tutto il rispetto per gli interventi degli oratori che ci hanno preceduto, una certa qual diffidenza in ordine ad un tipo di discussione che, sull'esempio di quanto avvenuto in consimili circostanze ed occasioni passate, crediamo sia destinato ad esaurirsi all'interno di questa stessa sala. Intendiamo, cioè, dire che anche in questo caso siamo, a nostro avviso, di fronte ad un dibattito del tutto accademico, destinato, sostanzialmente, a lasciare immutata la realtà che oggi ci troviamo a dover fronteggiare. Ma dopo taluni interventi abbiamo ritenuto che non fosse assolutamente possibile mantenere ancora il silenzio e non prendere parte alla discussione stessa. Certo, noi non lo faremo con l'abilità, con la competenza, con la dotta preparazione di cui ha fatto qui sfoggio il collega Consigliere Calsolaro, al punto che ci è venuto spontaneo un sospetto, o quanto meno una domanda: o il rappresentante del Partito socialista ha sbagliato carriera, e molto più facilmente e proficuamente avrebbe potuto fare l'esperto della RAI- TV; o il collega Calsolaro, a differenza da noi, che siamo purtroppo in ben altra posizione, può contare sulle consulenze, dottissime, da parte della RAI-TV il che non sarebbe neppure stupefacente dal momento che è noto che oggi alla Rai - Televisione si entra con la tessera democristiana, con la tessera socialista e soprattutto con la tessera comunista.
Ma, a prescindere da questa osservazione, la stessa introduzione del Presidente del Consiglio ci richiama naturalmente ad un'altra constatazione. Oggi si vive in libertà, si vive in democrazia, c'è libertà di espressione, a differenza da quanto capitava alcuni decenni or sono. E tutto questo è verissimo. Sarebbe comunque interessante, utile, istruttivo vedere se veramente può sussistere la libertà, può sussistere la democrazia, può sussistere il pluralismo quando si abbia, oggi, il controllo, il monopolio di un potentissimo strumento di informazione e di condizionamento dell'opinione pubblica qual è la Radio-Televisione. Questo ci pare un argomento che meriterebbe di venire approfondito. Perché, quando si può parlare dagli schermi televisivi a milioni e milioni di utenti è evidente che è molto facilitato il compito del regime, il compito delle forze di governo. Ma questa può anche essere interpretata come una osservazione polemica che mi è venuta spontanea raccogliendo una interruzione del Presidente del Consiglio.
Noi vorremmo solo dire, a commento del dibattito che qui si è svolto che da tutto quanto siamo stati ad ascoltare dalle altre parti politiche due cose ci sembrano essere state evidenziate con la massima chiarezza.
Prima cosa: che la riforma della Rai-Televisione cammina poco, cammina male, cammina in senso sbagliato. Crediamo che su questo punto siano stati tutti consenzienti i Colleghi degli altri Gruppi. E noi non ne siamo stupiti, perché abbiamo sempre sostenuto, siamo stati forse gli unici a sostenerlo in Parlamento, che questa era una falsa riforma, che questa era una riforma anticostituzionale, una riforma che si traduceva soltanto in una lottizzazione di potere allargato dalla Democrazia Cristiana ad altri Partiti politici; ma che era destinata sostanzialmente a lasciare le cose esattamente come stavano prima della riforma stessa.
Seconda constatazione, sulla quale pure ci è sembrato di sentire voci unanimi da parte degli altri Colleghi intervenuti, è che il decentramento così come lo si definisce, si risolve, tutto sommato, in un puro fatto di ristrutturazione interna aziendale. Ora, se questo è vero, come crediamo sia vero, se queste sono le sottolineature fatte dal Consiglio regionale nel corso di questo dibattito, allora che cosa crediamo di poter dire? Che i risultati della mancata riforma della RAI-TV sono una diretta conseguenza del modo errato, del modo parziale, fazioso, discriminante con il quale si è affrontato il problema della RAI-TV stessa. Non si è inteso veramente riformare e democratizzare l'informazione, ma semplicemente lottizzare il potere sì da farne partecipi altre forze politiche.
Quanto poi al ruolo che le Regioni rivendicano, e che non hanno ottenuto, premessa una osservazione di fondo, che per debito di chiarezza noi dobbiamo costantemente e continuamente ripetere in quest'aula, e cioè che è tutta discutibile la competenza delle Regioni in questa materia perché se ci atteniamo ad una rigida interpretazione dell'art. 117 della Costituzione, spostiamo il termine del discorso su un altro piano; premesso questo per ragione di principio, noi dobbiamo annotare ancora una volta che le lamentele dei regionalisti sono in fondo esatte, perché finora le Regioni sono state lasciate fuori dalla porta di questa riforma.
Ma a questo punto dobbiamo anche porre una domanda, la solita, forse stucchevole domanda che abbiamo già posto in decine di altre occasioni: questa riforma non l'abbiamo voluta noi, questa riforma dell'ordinamento regionale non l'abbiamo invocata noi. E' una riforma che è stata presentata come la panacea di tutti i mali della società e del mondo italiano: ebbene queste forze regionaliste, che sono le stesse forze regionaliste che comandano, che detengono il potere a Roma, che cosa hanno fatto, che cosa hanno saputo fare, che cosa sanno fare, per imprimere un diverso corso e una diversa svolta a questa situazione? Ecco le considerazioni che noi riteniamo, onestamente e responsabilmente, di dover fare. Dopo di che, se è vero che le Regioni stanno tutt'ora, come abbiamo detto, fuori dalla porta, non possiamo, anche dal nostro punto di vista, che auspicare una maggiore informazione regionale. Possiamo e dobbiamo, però, augurarci che se questo avverrà, e quando avverrà, e quando, soprattutto, esisterà, non tanto da parte nostra ma di tutti voi, colleghi Consiglieri, la volontà politica di fare, questa partecipazione, questo accesso delle Regioni all'informazione, venga fatto in termini sostanzialmente e contenutisticamente diversi da quello che si è fatto finora con la RAI-TV. Se vi deve essere una radio regionale, se vi deve essere una televisione regionale, è bene che questa radio, che questa televisione siano veramente libere, autenticamente democratiche responsabilmente pluralistiche. Altrimenti noi non faremmo altro che regionalizzare la mala pianta della Rai-Televisione, un monopolio che ci vede decisamente contrari.
Per questo noi siamo favorevolissimi a quella sentenza della Corte Costituzionale. Un monopolio che è soffocatore di libertà, che è impedimento al pluralismo democratico, che è soprattutto un modo per soffocare la voce delle minoranze. Oggi questa è la situazione che si presenta ai nostri occhi. Noi siamo scettici, lo diciamo, sulle possibilità che le Regioni abbiano di modificare e di instaurare un costume nuovo; ma se questo avvenisse non sarebbero certo nostre le critiche che si leverebbero al riguardo. Tutto sta ad avere davvero la volontà di difendere, attraverso l'informazione, il pluralismo informativo. Perché è facile parlare di libertà a parole: è sul terreno dei fatti che questa libertà va difesa, va affermata, va sostenuta. Noi vogliamo vedere i risultati della vostra azione.



PRESIDENTE

Chiede di parlare il Consigliere Bianchi. Ne ha facoltà.



BIANCHI Adriano

Signor Presidente, dopo la dotta ed ampia disquisizione del Collega Calsolaro, si è perplessi se prendere la parola. Lo farò per adempiere al dovere, di pronunciarci sulle questioni essenziali, che coinvolgono la nostra responsabilità. Come cittadini, impegnati sul piano politico ovviamente non siamo indifferenti, in ordine a tutto il grosso dibattito che è in corso sulla questione che oggi affrontiamo.
In un momento di crisi, che investe le istituzioni, i rapporti sociali la vita economica e politica del Paese, si va prendendo coscienza - ed è questo, a mio parere, un motivo di fiducia - di come la soluzione dei problemi, sicuramente seri e gravi, che tutto il settore dell'informazione presenta, sarà determinante per le sorti delle nostre istituzioni democratiche e lo sviluppo della nostra vita civile.
Abbiamo consapevolezza e, per quanto ci era consentito, abbiamo cercato di esprimerlo nel dibattito del 14 settembre, della gravità della situazione in cui versa il settore dell'informazione a mezzo della Radio e della Televisione.
Vi è una preoccupazione che riguarda anzitutto le conseguenze della crisi di questi mezzi di comunicazione di massa, per lo sviluppo civile e culturale del Paese, per il corretto svolgimento del dibattito politico per il rapporto e il contatto tra i cittadini e le istituzioni.
A titolo personale, esprimerei intanto la mia perplessità sui primi risultati di una riforma che ha portato, a mio avviso, un certo scadimento formale, con un'apertura spesso addirittura ad estemporanee esercitazioni di singoli personaggi che si giustificano con la presunta compressione di precedenti discipline, per la verità non incompatibili con un quadro di libertà e di pluralismo autentico; indispensabili in ogni caso quando si tratta di un servizio pubblico e della necessità di garantire una professionalità ad alto livello. Noi siamo ovviamente d'accordo sull'esigenza di salvaguardare la libertà di espressione in un servizio pubblico essenziale come questo, ma se questo servizio non avrà un'assoluta eccellenza in ordine alla qualità tecnica e professionale e non saprà mettersi al di sopra del sospetto della manipolazione ed anche della deformazione nella presentazione dei fatti, salteranno tutte le linee di difesa di un servizio pubblico, con conseguenze certo negative.
Siamo consapevoli, inoltre, delle conseguenze che la crisi della RAI-TV ha per i dipendenti, per una massa notevole di persone qualificate e culturalmente dotate, che costituiscono esse pure un patrimonio per il Paese, che dev'essere utilizzato nel modo più efficiente e completo. Si dà il caso di situazioni, di reparti in cui manca il personale per fare alcune cose, mentre sotto altri profili, quello che c'è, non è neppure completamente utilizzato.
Avevo detto, nell'incontro del 14 settembre, che, non foss'altro per lo sviluppo storico che ha avuto nel nostro Paese il cosiddetto monopolio sarebbe veramente atto irresponsabile far saltare tutto ciò che è stato costruito attraverso una lunga elaborazione e messo al servizio del Paese mentre occorre conservarne ed accentuarne l'efficienza. E' pur vero che partendo da zero, si potrebbero concepire altri modi per garantire un servizio nel complesso efficiente e pluralistico, anche all'esterno e non solo all'interno dell'istituzione. Ma vi è un dato, un dato storico, e su questo costruiamo il nuovo.
Il servizio pubblico da parte della RAI-TV dev'essere dunque garantito.
Monopolio, è stato detto anche da esperti che vivono all'interno di questo ambiente, è termine antipatico. Noi cominciamo a parlare di monopolio, o di quasi monopolio, delle strutture. Cioè, la società, lo Stato fa un grosso sacrificio per dotare l'intero Paese di un complesso di strutture che sono al servizio, in quanto tali, dell'intera comunità; poi, si dice all'interno di queste dev'essere garantito un pluralismo nella partecipazione, nell'attività, nella irradiazione dei programmi, nella presenza delle varie forze politiche, culturali e sociali del Paese.
Indubbiamente, il superamento di forme di lottizzazione, il superamento di forme dialettiche ristrette di concorrenza tra Gruppi politici è un obiettivo che chiunque veda le cose dal punto di vista dell'istituzione riconosce vada tenacemente perseguito; ma questo servizio pubblico non deve decadere; il Paese, per raggiungere la sua unità, non ancora completata d'ordine culturale e politico, ha bisogno di un supporto di questo genere bene strumentato e bene utilizzato.
E' intervenuta, si dice, nel momento in cui si avviava una faticosa riforma, la sentenza della Corte Costituzionale. Abbiamo già detto anche qui che non val la pena di perdere tempo a farne la critica: meglio prendere atto degli aspetti positivi impliciti in questa sentenza, e che sono poi quelli che costituiscono il riconoscimento di un dato reale.
Ebbene, garantiamo il servizio pubblico, garantiamo il cosiddetto monopolio di livello nazionale sotto il profilo soprattutto della garanzia che deve offrire in ordine all'eccellenza del servizio e alla massima ricerca della obiettività, della verità, del rispetto di tutti e di ciascun cittadino, che è il destinatario del servizio (e su questo piano c'è ancora molto cammino da compiere), e poi pensiamo pure ad un pluralismo esterno di carattere locale.
Condivido in buona misura l'opinione di Calsolaro che c'è il modo di garantire anche questo pluralismo esterno, con una disciplina rigorosa, che dia certezza giuridica, che qualifichi, che richieda accertamenti preventivi, che controlli successivamente l'uso di questi mezzi scoraggiando il formarsi di oligopoli e garantisca anche veramente la valorizzazione delle diverse originali presenze locali, un fenomeno che probabilmente è soltanto effimero, perché, come è stato detto giustamente le leggi economiche finirebbero con lo strozzare anche queste iniziative.
In questo fiorire di radio locali ci sono, in fondo, anche elementi positivi, di rottura delle chiusure e degli schemi di colloquio, di partecipazione, che devono essere utilizzati, disciplinati, difesi addirittura, perché, lasciando andare le cose così, essi sarebbero rapidamente soffocati ed a loro subentrerebbe qualcosa di molto organicamente diretto e finalizzato (diciamo così) in sensi che dubitiamo possano essere sistematicamente volti al bene comune.
Infine, poiché siamo in sede regionale, accenno al problema del decentramento regionale e della utilizzazione di questo strumento per far esprimere una voce che è inespressa. Si parla di pluralismo, si parla di libertà di espressione: ecco, la vita regionale, non nei suoi caratteri localistici e folcloristici, ma nella sua autentica espressione di cultura nazionale, non è espressa, non ha voce. Si parla di Stato regionale, di autonomie, e Carazzoni dice: ma voi regionalisti cosa avete fatto? Non è questione di regionalismo. Siamo tutti coinvolti nel problema del nuovo assetto dello Stato nazionale, e all'interno di ogni forza politica all'interno di ogni aggregazione, c'è chi è interessato al momento nazionale, chi al momento regionale. E' una dialettica che si svolge passando attraverso ciascuno di noi. In questa fase, in un momento di crisi, noi sentiamo l'esigenza di recuperare la funzione della Radio Televisione, esperimentando anche in sede regionale la capacità di rispondere contemporaneamente alle esigenze di un servizio pubblico, e quindi qualitativamente elevato, democraticamente garantito, effettivamente pluralistico e alla richiesta di accesso.
Ho l'impressione - e non lo dico come rappresentante di un Gruppo, ma come utente - che tutti i timori, tutte le drammatizzazioni, ritengo anche in qualche misura strumentali, che vengono dall'interno della RAI-TV stessa, siano dovute alla riluttanza nell'accettare il fatto che ci si deve misurare con l'esigenza di trasformazioni radicali, con la necessità di divenire molto agili, di affermare la validità del monopolio in funzione della capacità e della qualità nel rispondere alle responsabilità di un servizio pubblico.
Sono dunque d'accordo nell'accogliere la sollecitazione che il Presidente del Consiglio ci fece, nell'introdurre il tema dell'incontro del 14 settembre: e cioè che, sulla base delle impostazioni alle quali ho sommariamente accennato, la Regione debba fare tutto quanto è nelle sue possibilità per avviare l'esperimento a livello regionale, con l'utilizzazione dei mezzi di diffusione, intanto radiofonici, e poi televisivi per l'irradiazione di programmi regionali. In questa fase sarà forse anche più facile, al di fuori di più grosse tentazioni, verificare se tutti intendono il pluralismo nello stesso modo, se questo ha da essere un valore veramente da difendere o se è soltanto la via per giungere a nuovi monopoli, non di carattere tecnico, ma di altra natura. E' una materia che sarà sempre naturalmente aperta al confronto, a tutte le tentazioni, perch il possesso delle anime interessa ancor più a tutti che il dominio sulle cose. Una società democratica è veramente tale quando gli spiriti vengono rispettati prima di essere considerati oggetto di conquista.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bontempi.



BONTEMPI Rinaldo

Signori Consiglieri, ritengo che il dibattito che si è sviluppato oggi sia stato utile e anche importante per una presa di coscienza, per una responsabilizzazione, direi di più, per un'azione molto precisa e molto concreta da parte delle forze politiche regionali, da parte della nostra istituzione sul grosso problema dell'informazione e più in particolare sul problema dell'informazione radiotelevisiva.
Mi sembra che in realtà il fatto che si sia incominciato, in questi ultimi tempi, a scrivere, a parlare della riforma tradita della RAI-TV, o della riforma ancora da attuare, il fatto che oggi ci troviamo qui, forze politiche regionali, a confrontarci in un dibattito che, vorrei dirlo con molta franchezza, ha assunto solo gradualmente un certo tono, di certo altamente positivo.
Detto questo, constatata l'utilità e l'importanza di questo dibattito penso che metta conto ora cercare di dare alcune indicazioni concrete che aiutino a compiere una corretta analisi della situazione, ma soprattutto prospettino uno sbocco.
Io - voglio dirlo con molta chiarezza - ritengo che il dibattito di oggi avrà valore se saremo capaci di individuare il nostro ruolo, che è quello previsto dalla legge, ma che è anche quello, più in generale (e in questo mi trovo d'accordo con il Capogruppo della D.C. Bianchi) delle Regioni come parte attiva, determinante dello Stato, delle forze politiche regionali che concorrono a determinare anche, e direi soprattutto, la politica dell'informazione, l'attuazione dello Stato voluto dalla Costituzione repubblicana ed antifascista.
Quella che viene chiamata "riforma tradita" e che io chiamerei invece riforma da attuare, è essenzialmente un chiaro tentativo di svuotare completamente dei suoi connotati e requisiti essenziali il servizio pubblico dell'informazione radiotelevisiva. E' un tentativo che può anche avere precisa spiegazione storica, e la spiegazione storica è la volontà di ostacolare la legge di riforma, ma direi su un piano più ampio, sul piano della società e della cultura, di fermare l'ingresso del movimento riformatore di massa anche alla radiotelevisione.
E' un tentativo di cui tutti siamo preoccupati, è stato detto con molta chiarezza, però dobbiamo anche vederne bene l'implicazione, dobbiamo stare molto attenti anche quando esponiamo concetti giusti a non aprire attraverso una sottolineatura unilaterale ed eccessiva, un varco a quello che viene chiamato l'oligopolio, ma che io chiamo in maniera molto più semplice, l'appropriazione dei gruppi di pressione, dei gruppi economici finanziari dello strumento di informazione, con tutte le pesanti conseguenze che ne deriverebbero alla stessa intelaiatura democratica del nostro Paese, e anche sul piano della dequalificazione culturale innescando una caduta verticale di quella che è la realtà di un processo espansivo della democrazia e anche dell'informazione e della cultura più in generale.
Ma se questo è un grosso pericolo, dobbiamo allora sottolineare con chiarezza, che oggi abbiamo una serie di tappe e la prima, quella più importante - attraverso due momenti positivi che dirò - è difendere la riforma, è difendere il concetto del servizio pubblico radiotelevisivo.
Ma le analisi, le recriminazioni, vorrei lasciarle da parte in questo momento; cerchiamo invece di dare delle indicazioni concrete, utili operative per quanto è possibile.
La difesa della riforma, ma direi soprattutto la difesa di questo concetto di servizio pubblico dell'informazione radiotelevisiva, si attua in due modi e sono due modi abbastanza semplici e chiari - anche se resi obiettivamente complessi per il gioco degli interessi in campo e per come si stanno mettendo le cose - se la volontà politica ci sorregge e mi pare che oggi il dibattito lo abbia in sostanza confermato.
E sono: primo l'applicazione della legge.
Su questo mi pare che vadano dette, una volta per tutte, alcune parole chiare. La "famosa" sentenza della Corte Costituzionale, pur aprendo un varco molto pericoloso, non ha certo smentito, almeno nella lettera, un principio che continua ad essere affermato nella legge, quello della preminenza del servizio pubblico; questa è una costante che è rimasta, ma è una costante, ripeto, che oltre che molto esplicita nella legge, pur con tutti i suoi limiti, è stata mantenuta nella sentenza. Si tratta allora di fare in modo che il discorso si sposti sulle volontà politiche di mantenere questa preminenza e di garantire, per esempio, e come prima cosa, le condizioni di efficienza, di produttività degli impianti, le condizioni di lavoro dei dipendenti.
La seconda maniera di applicare la legge è anche quella di non ammettere violazioni ed invece, quando parliamo di pubblicità delle Televisioni estere (tema su cui il Ministro Colombo è un po' inciampato con una dichiarazione che mi pare sia stata a titolo personale) vediamo che le stesse trasmettono in Italia inserendo continuamente sketches pubblicitari e questa è una violazione molto chiara delle norme vigenti nell'ordinamento italiano; sul piano tecnico, tra l'altro, è stato anche sostenuto che le possibili scorporazioni del messaggio pubblicitario dal messaggio televisivo, non sono possibili, noi invece sosteniamo il contrario..
Un'altra indicazione concreta penso sia quella dell'attuazione della riforma, termine che è ancora un po' una mozione di volontà politica, di principio, su cui occorre confrontarci, ed oggi mi pare che lo abbiamo fatto in una maniera abbastanza coerente tutti, o quasi tutti, però bisogna anche avviare misure concrete e fare prima di tutto una riflessione attenta sul perché per esempio nei confronti delle radio libere e private, delle TV private e libere, dobbiamo assumere un atteggiamento non difensivo ma "positivo", non nel senso di favorire, anzi, il criterio di fondo deve essere quello di garantire la preminenza, la sussistenza, addirittura la condizione di esistenza del servizio pubblico; ma - dico - dobbiamo avere un atteggiamento "positivo" nel senso che, la migliore garanzia di attuazione del servizio pubblico è che veramente la riforma diventi un fatto attuato, partecipato, ma soprattutto diventi il mezzo per dare all'informazione dei connotati profondamente nuovi. E qui mi corre l'obbligo, per onestà e chiarezza, di ricordare che questa richiesta è stata alla base dell'azione di riforma, alla base dei Partiti politici che hanno voluto la riforma. Il fenomeno di molte piccole radio libere sorte ovunque, secondo me, dimostra come il problema vero sta nel fatto che troppi anni di gestione immobilistica, clientelare in cui l'informazione vera, autentica, adeguata alla realtà aveva ben poco spazio, hanno fatto un danno tale al sistema dell'informazione radiotelevisiva che oggi è difficile riacquistare credibilità, anche perché non solo non si fanno atti coerenti al ruolo della riforma, ma addirittura contrari.
Questo cosa vuol dire? Vuol dire che anche noi della Regione dobbiamo saperci porre con correttezza i problemi di un nuovo linguaggio televisivo non è con una serie stucchevole di comunicati da parte dell'Ente regionale degli Enti comunali, che potremo conquistare il pubblico. La realtà è che attraverso questa presenza regionale intesa come quadro di riferimento locale della democrazia organizzata e dei cittadini in genere della nostra Regione possiamo veramente dare canalizzazione, voce e volto (visto che si parla di televisione) alle istanze culturali più complesse del nostro Paese e che sono sempre state trascurate in TV ed alla Radio: e questo è un dato su cui dobbiamo confrontarci per parlare veramente di una nuova prospettazione, di una nuova possibilità di recupero dell'azione di riforma.
Ho molta fiducia perché abbiamo una disponibilità di apparati tecnici professionali di prim'ordine; i lavoratori della RAI oggi (e lo dico perch siamo stati, alcuni di noi almeno, nell'assemblea insieme a loro) chiedono di produrre, ma di produrre in modo diverso e lo dicono chiaramente, e dovrebbe essere passato quel sistema che spesso ha penalizzato gli stessi lavoratori della RAI-TV all'interno. C'è la possibilità di esplicazione di una grande mole di energie culturali, professionali, che noi dobbiamo cogliere come dato positivo di partenza.
L'altro grande elemento di verifica di questa condizione, secondo me sta nel fatto che la società italiana è cambiata molto rapidamente ed è comunque cambiata in meglio; la società, sia pure nelle difficoltà di un momento che è caotico forse sotto certi aspetti, ma quanto mai culturalmente produttivo, saprà proporre una informazione diversa ed adeguata ai processi reali avanzati nel Paese, il che è certo l'unica e vera condizione per dare anche ai nostri programmi l'accettabilità e quindi la superiorità rispetto a quello che molte altre Radio-TV potrebbero fare.
Ritengo che questa sia una condizione basilare, ma per credere a questa affermazione di ottimismo è molto importante che si svolga nel contempo all'interno dello stesso Consiglio regionale, con le forze sociali esterne con le forze politiche, con le varie organizzazioni, un dibattito sui contenuti di questi programmi perché penso (e l'ho detto anche in quella riunione) che gli utenti non seguirebbero Tele Montecarlo (che dà un servizio scadente) né la stessa Svizzera che pure dà, per le sue caratteristiche strutturali, una garanzia di informazio-ne di tipo tradizionale, se avessero in Italia un buon servizio, se le caratteristiche culturali delle varie Regioni fossero rese note a tutti i cittadini italiani, ad esempio, rendendo noto come il Piemonte concorre a determinare l'Italia.
Abbiamo delle possibilità ampie, ma mi pare che quelle poche radio libere che sono avviate su questa strada in genere non sono riuscite nel loro intento. Un cambiamento sostanziale del tipo di linguaggio, di programmi, di presenza culturale anche attraverso i programmi regionali farebbe sì che le radio libere avrebbero poche possibilità reali di incidere, di contare e quindi di contrapporsi al servizio pubblico.
Che cosa resterà allora? Resteranno i veri nemici, che vanno chiamati per nome e cognome e che sono i grossi gruppi economici, i grossi potentati finanziari che cercano di aggirare la sostanza del problema nuovo che si è posto, cioè la riforma; ma tocca alle forze politiche realizzarla ed in questo senz'altro non è che si sia andati molto avanti affinché il più ampio pluralismo sotto il profilo ideologico culturale fosse presente all'interno della RAI- TV, affinché fosse quello veramente un modo per esprimere, anche attraverso alle immagini, alle voci, lo spaccato efficace e reale di un'Italia che c'è e che finora è stata lasciata dietro ai mezzi busti.
I veri nemici sono quelli che credono soprattutto che lo strumento di manipolazione di controllo delle coscienze sia fondamentale per mantenere le cose così come stanno. Allora questi gruppi, noi dobbiamo dire, con l'azione concreta, ma anche con le parole, che sono i nemici, che si è in guerra con loro per il loro sistema di raccolta della pubblicità attraverso la Radiotelevisione, attraverso i giornali (il caso Rizzoli è emblematico di una tipica operazione che ha il suo volano sul criterio pubblicitario) noi dobbiamo dire che la risposta delle forze democratiche è in senso diverso, è nel senso del rispetto della riforma, dell'attuazione della riforma, quindi nella realizzazione completa del servizio pubblico.
Ritengo che dobbiamo essere estremamente chiari a dire che non sono problemi risolti a priori, ma sono risolvibili se teniamo presenti le due coordinate che dicevo prima,: la grande forza e capacità tecnico organizzativa dei lavoratori dell'azienda e la possibilità, la volontà della nostra società di manifestarsi anche nell' informazione in una maniera diversa dal passato.
Quali atteggiamenti concreti tenere allora? Innanzi tutto dobbiamo avere ben presente che questo dibattito precede il convegno di Aosta, in cui tutte le Regioni assumeranno una loro posizione. Non tocco aspetti singoli tecnici perché l'ha fatto in particolar modo il collega Calsolaro con grande ampiezza ed in tutta la loro problematica, dico solamente che dovremo misurarci anche su queste cose. Mi pare però importante dire, anche per dare una risposta positiva ai lavoratori che ce l'hanno chiesta, che l'assemblea è stato un esempio di presa di coscienza, di preparazione generale e non solo aziendale manifestata dai lavoratori. Ritengo che un atto che dobbiamo fare è quello innanzi tutto di chiedere - attraverso una risoluzione che potrebbe essere della Giunta, non lo so - una presa di posizione nei confronti di questi problemi e soprattutto chiedere come misura concreta l'avvio dei programmi regionali. E' una misura limitata, lo abbiamo detto, ma è l'inizio di un'esperienza che conferma una nostra linea generale, quella che toccava Bianchi e che io qui riprendo: la Regione è parte dello Stato per le sue competenze specifiche, ed è un momento di aggregazione reale delle forze democratiche per far crescere uno Stato diverso, uno Stato rispondente alle esigenze della gente.
Se questo è valido in tutti i campi, anche nella RAI-TV noi possiamo svolgere un ruolo importante attraverso il nostro contributo, con i nostri programmi, con la nostra esperienza politico-culturale per fare in modo che vi siano sempre meno carte in mano a chi nell'immobilismo, nel vuoto di potere di responsabilità, nel vuoto di programmi e di produzione, vede sempre più allargarsi la sua forza, la possibilità di influire, di contare ed in definitiva di stravolgere quello che è un sistema di informazione che è l'unico, a mio avviso, in grado di garantire profondamente libertà democrazia di espressione, accesso a tutti i cittadini.



PRESIDENTE

Siamo verso la conclusione di questo dibattito.
Prima di dare la parola al Presidente della Giunta, che me l'aveva già chiesta, vorrei sentire i Gruppi per vedere se esiste la possibilità di arrivare ad una presa di posizione comune. Forse il livello del dibattito e molte delle cose dette rendono possibile l'ipotesi di un documento unitario.
Potremmo procedere con questa metodologia, se nessuno si oppone: dare la parola al Presidente della Giunta e poi sospendere la seduta per qualche minuto per considerare la questione.
La parola al Presidente della Giunta.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Signori Consiglieri, mi sembra di poter rilevare che il dibattito ha avuto molti punti di convergenza tra le posizioni di tutte le forze politiche democratiche che si sono espresse, ma ritengo che per avere un vero significato positivo debba approfondire in particolare il problema nodale del ruolo della Regione rispetto alla riforma della RAI-TV e dei contributi che da parte della comunità e delle autonomie regionali possono essere dati.
Certo è che gli obiettivi che si propone la riforma sono essenzialmente quelli, gia rilevati d'altronde, di garantire l'indipendenza, l'obiettività e l'apertura alle diverse tendenze politiche, sociali e culturali, nel rispetto della libertà garantita dalla Costituzione. E mi sembra che anche questo sia un dato comune già rilevato da quanti sono intervenuti.
La nuova legge in particolare, impone alla RAI-TV di organizzarsi in modo da assicurare il rispetto dei principi che sono stati ricordati, cioè quelli della garanzia dell'indipendenza, dell'obiettività e dell'apertura di diverse tendenze politiche, sociali e culturali: di potenziare la produzione dei programmi dei servizi; di favorire l'espansione del pluralismo delle opinioni sia attraverso la costituzione di più reti e testate giornalistiche, sia attraverso un decentramento, sia attraverso la garanzia del diritto di accesso.
Mi sembra di capire che questi sono i tre punti essenziali nei quali specialmente nel terzo, il ruolo della Regione, della comunità regionale può esprimersi maggiormente.
Ora, mentre appaiono chiarii principi ispiratori, non altrettanto tali risultano le indicazioni riguardanti le strutture organizzative atte a realizzare tali principi.
Quanto al pluralismo, esso si articola nella legge 103 in una serie di norme di carattere strutturale e gestionale, in modo da moltiplicare le strutture responsabili e creare un maggiore spazio nella scelta e preparazione dei programmi. A questo riguardo, quanto meno a livello di principio, bisogna vedere che cosa si realizza effettivamente. La pluralità e varietà di reti e testate, connessa con gli apporti ideativi e culturali nell'ambito di ciascuna, richiederebbe tuttavia che la legge ponesse delle precise indicazioni anche in tema di competenze, soprattutto nella fase dell'ideazione e produzione dei programmi.
Ma procediamo ancora oltre, su temi che sono già stati trattati in particolare dal collega Calsolaro, da Bontempi, da Bianchi. Un tema che ci riguarda più da vicino ancora è quello attinente al decentramento ideativo e produttivo che la legge prevede come strumento per consentire l'effettiva espressione della molteplicità delle opinioni emergenti dalla realtà politica e sociale del Paese. Ecco allora che la Regione entra nel discorso con un grandissimo ruolo, per favorire un adeguato apporto di contributi regionali ed interregionali alla programmazione radiotelevisiva. Non si tratta di un fatto legato puramente alla comunità regionale, ristretto alla comunità regionale, ma di un apporto della comunità alla soluzione della problematica nazionale, con accesso alla problematica nazionale, perché se si andasse alla ricerca dei contributi soltanto per riprodurli nella sede regionale, essi non avrebbero nessun effetto nella soluzione dei problemi del Paese. Occorre potenziare gli spazi di trasmissione (anche questo è veramente un punto nodale dopo la sentenza della Corte Costituzionale) ed i mezzi tecnici disponibili per una programmazione regionale idonea a difendere e radicare il principio del monopolio pubblico (e lo si afferma come è stato fatto qui, da tutte le parti politiche democratiche e mi e parso anche dallo stesso rappresentante del PLI il quale, pur avendo affermato in linea di principio di essere per la libertà, in definitiva ritiene che una pubblicizzazione di servizio data con garanzia democratica sia sostanzialmente una linea da accettare) perché se non si hanno spazi di trasmissione e di mezzi tecnici per una programmazione regionale, cioè se non si incontra l'azione nell'esaltazione del ruolo della Comunità regionale, evidentemente non si ha l'altro principio e cioè quello della competitività di tali programmi, nei confronti delle cosiddette "radio libere" che si sviluppano appunto, noi diciamo, per l'insipienza della direzione della RAI-TV nello stabilire i suoi rapporti con le realtà locali.
Mi si permettano due brevi incisi: il primo circa il fatto che le sedi locali della Radiotelevisione sono per lo più staccate dalla realtà regionale, anche se possono produrre, possono anche predisporre programmi magari eccellenti. E poi una seconda osservazione: io non andrei sempre a dare addosso alla Radiotelevisione quasi fosse la peggiore del mondo; vi sono al suo interno delle produzioni, delle ideazioni, dei fatti culturali degli operatori tutt'altro che disprezzabili. Quindi non direi di rifiutare, di rigettare nell'insieme tutto quello che la Radiotelevisione produce, perché vediamo che spesso vengono avanti - anche se con difficoltà delle forze vive, originali, che d'altronde sono già state rilevate.
Altro aspetto importante attinente al decentramento è quello di chiarire come i così detti "nuclei ideativo-produttivi" possano all'interno delle strutture periferiche della RAI, realmente operare con la necessaria autonomia per il conseguimento dei fini politici denunciati dalla legge di riforma. Essi debbono operare presso le sedi regionali, a nostro giudizio per due scopi fondamentali: stabilire un efficace rapporto tra programmazione radiotelevisiva e realtà del Paese; ricomporre l'unità tra momento ideativo e momento realizzativo del prodotto. Questi nuclei ideativo-produttivi debbono godere, almeno a livello regionale, di una effettiva autonomia (anche questo è un altro dato) rispetto al controllo centralizzato dei processi ideativo-produttivi, altrimenti le direttive concernenti i contenuti e la collocazione dei programmi predisposti al vertice non realizzerebbe ro alcuna modificazione reale.
Mi pare che questa possa essere la sintesi di questo dibattito.
Possiamo ancora dire che, tenendo conto delle funzioni che la legge di riforma della RAI attribuisce ai Comitati regionali, occorre dare la preminenza ad alcuni obiettivi: potenziamento dei notiziari regionali, sia attraverso una maggiore disponibilità di tempo, sia attraverso la distribuzione di notiziari nell'arco di una giornata; definizione di un regolamento per il diritto di accesso nell'ambito delle trasmissioni regionali, ma che abbiano la caratteristica della realtà nazionale come programma e non soltanto limitato al campo regionale che non avrebbe nessun effetto, per consentine l'effettiva espressione alle varie realtà presenti in Piemonte e per rispondere positivamente alla domanda crescente di partecipazione all'informazione della collettività.
In questa prospettiva bisogna disporre le strutture per controllare il disegno privatistico volto alla soppressione del monopolio pubblico (è costante questo disegno) attraverso le così dette "radio libere". La diffusione sulle reti nazionali degli avvenimenti locali è un richiamo che noi facciamo perché diversamente, se i programmi vengono stabiliti al vertice, non vi è alcuna soluzione positiva al problema; quindi occorre chiedere una diffusione sulle reti nazionali degli avvenimenti locali che possono avere, sotto il profilo culturale, politico e sindacale, un interesse per tutto il Paese. Ultimi due punti: la regolamentazione dell'accesso e l'utilizzo , secondo le indicazioni dei sindacati, del materiale audiovisivo prodotto e custodito presso le reti della RAI.
La costituzione del Comitato regionale per i servizi radiotelevisivi e l'inizio di una sua attività specifica hanno certamente rappresentato un fatto positivo, ma l'attività del medesimo potrà avere una risonanza più adeguata nella misura in cui, nello svolgimento dei suoi compiti istituzionali, potrà fare riferimento ad una realtà regionale che effettivamente raggruppi - ecco il tema che ha portato avanti Bontempi - e aggreghi tutte le tematiche connesse all'informazione. Le sue funzioni, di consulenza e di stimolo nei confronti dell'iniziativa della Regione potranno allargarsi progressivamente e dare un efficace contributo alla soluzione delle complesse questioni attinenti alla regionalizzazione democratica dei servizi radiotelevisivi.
Noi riteniamo che se questi principi che sono patrimonio comune di tutte le forze politiche saranno portati innanzi da parte della Regione, si darà un importante contributo alla soluzione del problema dell'informazione.



PRESIDENTE

Signori Consiglieri, siamo giunti al termine del dibattito ed ho l'impressione che sia più coerente, per l'importanza del tema svolto e per la realtà attuale del Consiglio, seguire questa strada: affidare ai Capigruppo l'incarico di redigere il documento conclusivo del dibattito con tutta la cura che in quella sede si può mettere, e decidere (cosa che bisogna fare in ogni caso) la delegazione unitaria rappresentativa di tutti i Gruppi e della Giunta che deve partecipare al convegno di Aosta.


Argomento: Problemi del lavoro e della occupazione

Comunicazioni sulla Venchi Unica


PRESIDENTE

Se non vi sono opposizioni dovremmo impiegare ancora un minuto, non di più, per approvare due ordini del giorno che sono stati oggetto di proposta nelle discussioni di oggi e così potremmo concludere la seduta: non prima di aver detto però che il punto riguardante il Friuli in ogni caso non l'avremmo svolto, perché è mio intendimento consegnare a tutti i Consiglieri, parecchi giorni prima, una relazione accurata economica finanziaria-politica di tutto ciò che è stato fatto fino a questo momento così che, quando il punto verrà in discussione in Consiglio, tutti siano in grado di dare il proprio contributo.
Vi è qualche dissenso sulla procedura? Non ne vedo ed allora leggo la comunicazione dell'Assessore Alasia che dice: "Signori Consiglieri, oggi l'Assessore al lavoro unitamente ai Capigruppo della DC, PCI, PSI, PSDI, ULD ha ricevuto la rappresentanza della Federazione CGIL. CISL. UIL.
Nel corso della riunione si è discussa la grave situazione della Venchi Unica che formerà oggetto di esame domani presso il Ministero dell'Industria.
L'Assessore al lavoro, anche a nome dei Gruppi che glielo hanno domandato, farà al Ministero la richiesta che il Governo accetti la consistenza e la serietà dell'ipotesi di riassetto oggi presenti esprimendo un suo giudizio sulla base del quale procedere al definitivo assetto produttivo dell'azienda stessa.
I convenuti hanno sottolineato la necessità che l'intervento e l'accertamento ministeriale sia tempestivo anche in considerazione del favorevole momento stagionale di mercato che la Venchi Unica non deve assolutamente perdere".
Più che un ordine del giorno è un'intesa della Giunta.


Argomento: Assistenza sanitaria (prevenzione - cura - riabilitazione)

Ordine del giorno relativo alla delibera consiliare "Programma di interventi entro il quinquennio 1976/1980 per la prevenzione,diagnosi e cura dell'uremia cronica in Piemonte"


PRESIDENTE

E' invece da votare un ordine del giorno nel quale si dice: "Il Consiglio regionale del Piemonte, in occasione dell'approvazione della delibera consiliare che reca "Programma di interventi entro il quinquennio 1976/1980 per la prevenzione, diagnosi e cura dell'uremia cronica in Piemonte" nel ribadire l' utilità di tale intervento, raccomanda alla Giunta di dare sempre maggiore rilievo agli interventi di prevenzione nell'età scolare e lavorativa al fine di invertire l'attuale tendenza all'aumento dell'incidenza di tale patologia, invita la Giunta a predisporre, in particolare, i criteri e gli atti necessari ad una indagine completa nella scuola dell'obbligo, utilizzando i disposti di legge già in vigore che prevedono visite mediche obbligatorie e periodiche in tale fascia di età, impegna altresì la competente Commissione consiliare a valutare un rendiconto a tal fine predisposto dalla Giunta regionale, al fine di verificare la corrispondenza tra gli effetti sullo stato di salute della popolazione degli interventi previsti dalla delibera e le previsioni in essa contenute".
E' firmato dai Consiglieri di tutti i Gruppi. Vi sono obiezioni a questo ordine del giorno? E' approvato all'unanimità.
Rimane il problema della convocazione della Conferenza dei Capigruppo per risolvere tutte le richieste di punti all'ordine del giorno che sono state avanzate. Vedo pero che è inutile deciderla qui perché i Capigruppo presenti sono pochi, quindi saranno convocati a domicilio per decidere il prosieguo dei lavori del Consiglio.


Argomento:

Ordine del giorno relativo alla delibera consiliare "Programma di interventi entro il quinquennio 1976/1980 per la prevenzione,diagnosi e cura dell'uremia cronica in Piemonte"

Argomento:

Interrogazioni (annuncio)


PRESIDENTE

Ho ancora una raccomandazione da fare alla Giunta: la risposta, anche in forma scritta, ad un'interrogazione presentata dal Consigliere Colombino, che l'attende da parecchio tempo.
Sono pervenute delle interrogazioni alla Presidenza. Prego la Signora Fabbris di darne lettura.



FABBRIS Pierina, Consigliere Segretario

Interrogazione del Consigliere Carazzoni sulle iniziative di gemellaggio con regioni della Polonia e dell'Inghilterra e motivazioni di scelte così diverse tra loro.
Interrogazione urgente del Consigliere .Marchini sulle comunicazioni che il Presidente della Giunta regionale intende fare in ordine alle voci di 'rimpasto della Giunta stessa. Interrogazione dei Consiglieri Vietti Soldano ed Alberton sulla richiesta di parere alla III Commissione per contributi ad alcune associazioni culturali e motivazione delle decisioni non conformi a detti pareri.



PRESIDENTE

La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 18,30)



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