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Dettaglio seduta n.66 del 26/07/76 - Legislatura n. II - Sedute dal 16 giugno 1975 al 8 giugno 1980

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SANLORENZO


Argomento: Diritto allo studio - Assistenza scolastica

Osservazioni del Governo alla legge regionale 25/5/1976 relativa a: "Interventi regionali per favorire l'esercizio del diritto allo studio": provvedimenti conseguenti (seguito)


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Ci eravamo lasciati, nella seduta di venerdì, mentre trattavamo il punto nono all'ordine del giorno e cioè "Osservazioni del Governo alla legge regionale 25.51976: 'Interventi regionali per favorire l'esercizio del diritto allo studio'. Provvedimenti conseguenti".
Vi è stata l'introduzione dell'Assessore Fiorini e adesso siamo in sede di discussione generale sull'argomento.
Chi chiede di parlare? Il Consigliere Bianchi, ne ha facoltà.



BIANCHI Adriano

Signor Presidente, colleghi, questo dibattito assume sempre più chiaramente, nella sua continuità, un significato politico che largamente supera e trascende la portata della legge in discussione, la sua reale incidenza immediata e quantitativa sulla condizione scolastica che direttamente affronta per un suo aspetto: e cioè sull'esistenza ed i rapporti fra i vari tipi di scuola, sulla situazione e collocazione degli alunni e delle loro famiglie rispetto ad essa.
Geograficamente trascende e supera i limiti regionali, risvegliando attenzioni, scuotendo distrazioni e proponendo in termini aggiornati verificati al contatto con una società industriale ed urbana avanzata quale è la nostra società piemontese, una questione che tocca i più delicati rapporti fra il cittadino e lo Stato, l'esercizio in concreto delle libertà costituzionali, lo stesso significato e l'interpretazione della Costituzione.
La Carta Costituzionale operò (lo ricordo per il significato e il dato politico che rappresenta) un'efficace sintesi degli apporti culturali e politici, una sintesi delle tradizioni diverse di cui erano portatrici forze in storica competizione le quali gettavano allora le basi, attraverso la realizzazione di questa sintesi, per la convivenza civile di un popolo in un quadro di civile competizione fra di loro.
Qualcuno, temo, ha visto invece questa vicenda da posizioni e secondo sensibilità tipiche di un'epoca anteriore alla Costituente. I termini veri del conflitto non sono quelli della riproposizione di uno scontro tra posizioni laiciste e posizioni cattoliche, fra clericali ed anticlericali.
Una vischiosità storica, una mal collocata ricerca di coerenze verbali e di bandiera, ha creato disagi e confusioni - anche in seno alla maggioranza se me lo si consente - ed irrigidimenti che abbiamo già rilevato e denunciato nella dichiarazione di voto il 25 maggio, alla quale mi richiamo, senza annoiare i colleghi, riprendendone i punti.
In secondo luogo, dunque, questo dibattito e la sua conclusione, oltre a superare l'ambito regionale, va al di là della questione scolastica come tale, per investire, in un delicatissimo momento della vita nazionale affidamenti reciproci, propositi di condotta politica, previsioni di comportamenti politici futuri che non possono lasciare indifferente nessuno. Perciò questo dibattito non è il momento finale di una sessione preferiate, l'occasione per liquidare una questione: è un momento centrale di necessario richiamo alle conseguenze ed ai significati politici che la questione scolastica assume.
Per quanto ci riguarda, riteniamo di avere adottato ancora una volta e malgrado tante sollecitazioni, in tante direzioni, la linea seria e responsabile di un'importante forza politica che concepisce l'opposizione come un modo efficace e necessario di partecipare al governo del Paese e qui un modo di partecipare al governo della Regione; linea che ci ha suggerito flessibilità costruttiva in tutto ciò che attiene all'opinabile al metodo, alla scelta degli strumenti, ma che ha pure avvertito che la resistenza, l'attestazione dura e non removibile su alcune posizioni di principio non rinunciabili, non riguardava tanto la difesa di valori in cui soggettivamente e fortemente si crede, o di interessi generali che si reputano legittimi, quanto l'adempimento rigoroso di una funzione e di una responsabilità che investe le regole e le garanzie della nostra convivenza.
Non sottovalutiamo, quindi, nulla.
Questa nostra azione può essere obiettivamente ed occasionalmente accompagnata da motivi ed atti di vario significato, di varia importanza ma io vi prego, colleghi, di cogliere ciò che è essenziale ed originale anche nella nostra posizione, perché l'equivoco non può giovare ad alcuno e può indurre a nuovi errori con conseguenze per il futuro.
Prima che fosse aperta in termini espliciti, come avviene ora con le osservazioni del Governo, la questione di costituzionalità della legge, noi sviluppammo la nostra posizione attorno ad alcune impostazioni essenziali: 1) il soggetto cui doveva farsi riferimento, sul quale si doveva spostare tutta l'attenzione, il destinatario delle norme era l'alunno quale che fosse l'istituzione o la scuola cui accedeva od apparteneva. Le condizioni, la disciplina, il modo di essere e di operare di ciascuna scuola non costituiva l'oggetto diretto e principale degli interventi proposti, né poteva distogliere l'attenzione dalla sorte appunto dell'alunno, cittadino caratterizzato dalla parità nella dignità sociale e dall'eguaglianza davanti alla legge quali che siano, tra l'altro, le sue condizioni personali e sociali. Non è che la parafrasi del dettato costituzionale.
Non si poteva, in sostanza, tendere a riforme delle strutture o delle istituzioni scolastiche - e prescindo dal merito della validità delle vagheggiate riforme - in modo obliquo e surrettizio, premendo cioè sull'alunno, sulla sua condizione per ottenere una modificazione a livello delle istituzioni, condizionando cioè le decisioni e le possibilità di scelta, di vita e di presenza scolastica dell'alunno. Se queste riforme hanno da essere perseguite, la discussione deve essere diretta, svolta nella sede propria e con la competenza istituzionale, non inseguite in questa forma indiretta e surrettizia.
Non si poteva, ancora - e saremo più espliciti tra poco - perseguire presunte mete di riforma delle strutture scolastiche e quindi scopi di carattere sociale a scapito delle acquisizioni dello stato di diritto.
Credo, a questo riguardo, che se c'è un punto su cui non è lecito onestamente dissentire a riguardo della nostra Costituzione, è proprio questo: lo stato sociale è una integrazione, un arricchimento, non una contraddizione rispetto allo stato di diritto. Questo è l'architrave qualificante della Costituzione italiana.
2) gli organi democratici della scuola, per la loro definizione e collocazione giuridica, per la novità che hanno rappresentato, per il significato politico e culturale che avevano assunto e che deve essere rafforzato, per le organiche autonomie che nell'ordinamento proprio realizzano, non potevano essere messi in crisi con un atto di implicita od esplicita sfiducia quale è risultata dal testo di questa legge, con una duplice forma di svalutazione, sottraendo loro compiti naturali e diretti od innaturalmente subordinandone le funzioni e le decisioni a quelle di altre istituzioni democratiche quali i Comuni, chiamati confusamente a competenze improprie, anche dal punto di vista razionale.
3) la soppressione delle borse di studio, non tanto per gli effetti nominalistici (non piace il termine, si può convenire o non convenire, non ha importanza) ma per contraddizione col postulato costituzionale e con permanenti ed importanti esigenze sociali, appariva prematura, inopportuna ed ingiusta prima ancora che illegittima.
Non potrà quindi meravigliare la posizione che stiamo assumendo rispetto alle osservazioni del Governo che, seppur pertinenti in quel che dicono, peccano semmai per tiepidezza ed omissioni. Sembrano, scusatemi, il frutto dell'adempimento di un dovere d'ufficio, Il delicato periodo elettorale ha nuociuto, a mio avviso, ad una più rigorosa e puntuale presa di posizione quale la materia consentiva ed imponeva.
Nella sua sintetica e quasi distaccata obiettività, il Governo ha mancato di rilevare la clamorosa contraddizione che la legge approvata il 25 maggio scorso presenta, tra le enunciazioni generali di principio e programmatiche contenute nei primi articoli e le soluzioni adottate nei successivi. Già considerandola sotto questo profilo la legge aprirebbe la strada a conflitti ed a clamorose possibilità di impugnazioni e di contestazioni.
Infatti, la legge muove, da una premessa in cui si annuncia il proposito di interventi generalizzati ed egualitari, e riconosce - al di là della definizione che fa richiamo all'assistenza scolastica, forse culturalmente superata e superabile - che il contenuto necessariamente vi corrisponde ma poi lascia subito constatare, ad esempio, che gli interventi per i lavoratori che seguono i corsi sperimentali sono riservati solo a quelli che scelgono la scuola statale; che si stabiliscono priorità, magari poi labili negli effetti, non e questa la questione, a favore di alunni che frequentano un certo tipo di scuola; che si manifesta il proposito, in s opinabile ma distorto per il modo, di favorire la qualificazione della scuola materna a gestione pubblica effettuando la manovra, operando con i criteri di attribuzione delle provvidenze destinate agli alunni e quindi premendo necessariamente su di essi. E' mal scelta la strada, è mal scelto lo strumento, è mal scelto il modo e i frutti sono necessariamente avvelenati. Si giunge, infine, all'ingenuità dell'ultimo comma dell'art, 11 in cui si afferma il coerente (si tratta di ironia) principio secondo il quale, nell'erogazione dei servizi, gli enti delegati dovranno privilegiare gli allievi dei corsi istituiti presso le scuole statali.
In questo contesto si colloca il rinvio della legge a sensi dell'art.
127 della Costituzione per il nuovo esame del Consiglio.
Vediamo, intanto, l'impostazione preliminare contenuta nel documento governativo. Credo che nessuno possa osare di contestarne la correttezza quasi lapalissiana. Dice il documento del Governo: "Premesso che nonostante la intitolazione, la legge in esame è da ricondursi tra quelle indicate nell'art. 117 della Costituzione alla materia dell'assistenza scolastica (pur interpretata nel senso evolutivo più ampio) la legge stessa non tiene conto che la predetta assistenza si indirizza agli alunni piuttosto che agli istituti che essi frequentano e che comunque le eventuali differenziazioni nel trattamento assistenziale possono ritenersi ammissibili solo in rapporto alla condizione personale (capacità e merito) e familiare, situazione economica degli alunni, ma non a differenze istituzionali o strutturali delle scuole alle quali gli alunni accedono".
Io mi riservo, nelle brevi dichiarazioni di voto finali, un'eventuale precisazione e replica. Vorrei sentire se su queste premesse qualcuno in linea di principio può dissentire e, se non dissente, logica e coerenza impongono che se ne traggano tutte le conseguenze.
L'assistenza scolastica o l'adozione di misure rivolte ad assicurare o a facilitare per i singoli il diritto allo studio, può certo comportare priorità, non lo neghiamo, ma queste devono corrispondere a criteri obiettivi riferibili alle condizioni personali, altrimenti, rotto il principio, potrebbe in teoria (forse non e neanche avvertito questo rischio) aprirsi la strada all'esclusione o al privilegio di gruppi sociali, etnici, religiosi e perfino, per battuta, somatici.
La fortunosa approvazione della legge toscana ed il mancato giudizio costituzionale dovuto ad un incidente procedurale, non elimina un atto di grave faziosità che non vale la pena di prendere da parte sua, Assessore Fiorini, a riferimento per qualificare il proprio spirito di maggior tolleranza. La tolleranza è una virtù che non realizza ancora la giustizia.
Le osservazioni del Governo non sono dovute a motivi di carattere squisitamente politico, ma quand'anche incidentalmente lo fossero, esse sono comunque saldamente, obiettivamente fondate su valutazioni costituzionali non superabili. Valutazioni che ogni Governo della Repubblica, quale che fosse il suo colore, avrebbe il dovere di proporre se ispirato ad un corretto esercizio delle sue funzioni costituzionali. Qui non siamo in sede di esercizio di attività di gestione amministrativa, il Governo, organo della Repubblica, è investito di una responsabilità di intervento nel delicato meccanismo degli equilibri costituzionali e della distribuzione delle competenze sul piano dei rapporti tra i vari organi e momenti dello Stato. Lo "Stato regionale e delle Autonomie" non si rafforza poi nella usurpazione, voluta o non voluta, diretta o indiretta, esplicita od implicita, delle competenze. La tentazione di fare il mestiere altrui a scapito di quello che ci è affidato è sempre suggestiva per tutti, tutti amano essere abili dilettanti anziché bravi professionisti, ma il fatto è deviante a tutti i livelli.
L'art. 117 della Costituzione riconosce alla Regione competenza legislativa in materia di istruzione artigiana e professionale e, per il resto, solo in materia di assistenza scolastica.
Non mi risulta che siamo riusciti, nella materia (e qui coinvolgiamo pure la responsabilità di tutti) che ci è specificatamente propria, e cioè nell'istruzione professionale, a produrre un "corpus iuris" esemplare, un codice. Tutta l'intelligenza e la malizia paiono però applicarsi per utilizzare l'assistenza scolastica al fine di entrare nel merito della libertà della scuola, dell'insegnamento e della libertà di scelta degli alunni e della famiglia.
Nella nostra Costituzione i diritti di liberta sono affermati......



ALASIA Giovanni, Assessore ai problemi del lavoro

E' diverso, è molto diverso.



BIANCHI Adriano

Mi riferisco intanto ai punti di partenza, poi si è fatta della strada non sufficiente ma.....



ALASIA Giovanni, Assessore ai problemi del lavoro

Voglio dire che lei sa che non c'è una legge cornice, lei sa che e in discussione la riforma.



BIANCHI Adriano

Nella nostra Costituzione i diritti di libertà sono affermati con vigore e con notevole rigore scientifico e i limiti relativi sono pochi ben determinati e quasi mai affidati all'arbitrio del legislatore ordinario, mai all'arbitrio incontrollato del potere esecutivo.
La materia che affrontiamo tocca con l'art. 3 i principi fondamentali i diritti personali e con l'art. 33 i rapporti etico-sociali.
Io non voglio affrontare un discorso tecnico-giuridico che risulterebbe oltre tutto stucchevole e di cattivo gusto in questa sede in cui si parla secondo responsabilità e sensibilità politica e non soltanto tecnica. La Costituzione è scritta per tutti i cittadini e può essere capita e rettamente interpretata da ciascuno di noi, se la accosta con l'animo sgombro da pregiudizi. Basta dunque ricordare l'enunciazione del primo comma dell'ari 3: "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali".
Basta por mente poi che laddove al secondo comma si affida alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto, ecc non si è certo voluto dire, per implicito, che poteva essere legittimo (mentre se ne devono rimuovere molti ostacoli e occorreranno delle generazioni per rimuoverli tutti inseguendo sempre nuove situazioni di maggiore giustizia rispetto alle ingiustizie che la stessa vita crea) consacrarne o costruirne di nuovi, specie in rapporto all'art.
33 che garantisce ad esempio piena libertà nella parità alle scuole non statali e "ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali".
Si mette così in evidenza una serie di fattori e cioè: che l'alunno è un soggetto singolarmente considerato, assunto come tale a dignità costituzionale, destinatario di disposizioni costituzionali che è aberrante pensare che questo stesso soggetto cui deve essere assicurata equipollenza scolastica, possa essere collocato in condizioni di inferiorità, od obiettivamente discriminato, od ignorato o trascurato quali ne siano le motivazioni, sotto il profilo dell'assistenza scolastica, e cioè in una materia che in modo più diretto prende in considerazione la posizione e le necessità dei singoli, a prescindere dalle istituzioni, o possa comunque questo soggetto essere escluso o onerato diversamente per il godimento dei servizi collettivi, istituiti ed ordinati al fine assistenziale o di rimozione, se vogliamo, degli ostacoli per la realizzazione del diritto allo studio.
La Giunta, per bocca dell'Assessore, ha affermato che avrebbe avuto il diritto di riproporre la legge tale e quale; diritto che non è contestabile sul piano formale e procedurale, ma che lo è su quello sostanziale se sì è voluto così affermare che le osservazioni del Governo sarebbero prive di pregio. In verità la Giunta tendeva a sottrarsi ad un dibattito sulle osservazioni del Governo e forse soprattutto alle possibili conseguenze previste dall'ultimo comma dell'art. 127 della Costituzione, e cioè alla questione di legittimità proponibile davanti alla Corte Costituzionale.
In sede di conferenza dei Capigruppo, constatata la avvenuta presentazione di un nuovo disegno di legge che prese il n. 108, annunciammo che se si lasciavano cadere le osservazioni del Governo e si presentava un nuovo strumento legislativo, sia pure ricalcante il precedente, ne avremmo anche noi dell'opposizione presentato un altro già pronto e avremmo richiesto il rispetto delle regole di un normale e pur serio iter legislativo: consultazioni, esami in Commissione e così via.
Il disegno di legge n. 108 è stato ritirato dalla Giunta ed ora siamo qui per questa Ulteriore e non ultima fase, vera e seria battaglia per i diritti civili, intesi nella loro espressione autenticamente moderna ed avanzata di tutela di prerogative, aspettative e diritti individuali e di acquisizione di situazioni, di rapporti, di status socialmente rilevanti.
L'esclusione dalle nostre preoccupazioni degli interessi organizzati a fini di lucro, delle posizioni eventualmente insensibili alle esigenze di democratizzazione e di partecipazione dei vari protagonisti della vita scolastica, qualifica anche moralmente il nostro impegno, che è sgombero da ogni intento fazioso. Vorremmo essere capiti e far capire che siamo di fronte a una questione che riguarda tutti. Oggi non sono da temere tanto gli attacchi clamorosi e frontali alle istituzioni ed alle libertà: spontanee e rapide sarebbero le reazioni dei cittadini. In altre sedi abbiamo più volte sottolineato la nostra fiducia in questo radicamento della democrazia nel nostro popolo, malgrado tutti i turbamenti e tutti gli attacchi. Sono invece da temere di più gli attacchi striscianti, spesso inconsapevoli ed inavvertiti, al delicato sistema di norme, di principi, di rapporti che costituiscono la base del nostro patto civile, la piattaforma su cui fare avanzare, nella giustizia, il Paese. Certi attacchi, dicevo possono essere inavvertiti, ma sono comunque rivelatori. Come tali li ha recepiti e valutati una larga opinione pubblica (e quindi si richiede una risposta adeguata, anche se non era prevista una reazione di questo genere) tuttora attenta e sensibile.
Vale la pena di mettere in soffitta, con altri, alcuni ferri vecchi di una polemica consumata e ormai senza oggetto. La società civile è cresciuta e la gente sa davvero che cosa è il pluralismo e capisce chi lo afferma e chi lo difende. Né si lascia ingannare da un richiamo che può apparire di buon senso e valutare realisticamente la modestia della posta economica in gioco; né accetta la prospettiva di un illusorio compenso per il cedimento su alcuni principi, che potrebbe essere ottenuto con l'ampliamento ed il correttivo delle sfere di discrezionalità e di contrattazione. Questo tipo di rapporto che ogni tanto ci sembra affacciarsi come una tentazione, come un possibile strumento di governo, costituirebbe, se la tentazione stessa venisse secondata, una via per la deformazione ed il corrompimento (non dico corruzione) delle relazioni tra le istituzioni, le forze politiche e i cittadini. In alcuni dibattiti abbiamo già ricordato questo pericolo.
Occorre alla Giunta, in luogo di un puntiglioso aggrapparsi ad alcune posizioni di retroguardia volte a far rivivere stati d'animo o questioni che la realtà sociale ha largamente superato, come le consultazioni ed i contatti avuti con la gente ci hanno mostrato, occorre alla Giunta un momento di coraggiosa umiltà, che è sempre un momento di forza.
Gli emendamenti che il mio Gruppo ha predisposto (opinabili anche questi in certa misura) per una coerente risposta alle osservazioni del Governo, si inseriscono nella struttura e nel quadro della legge, non tendono a stravolgerla, integrando, correggendo, riportando coerenza ed aderenza sicura al dettato costituzionale.
Non cerchiamo rivincite, non cerchiamo risse, non compiamo artificiose operazioni propagandistiche, ma perseguiamo tenacemente una soluzione giusta, corretta, pacificatrice e rasserenante.
Questo modo di operare crediamo, oltretutto, che paghi di più, che ricostruisca una credibilità ed un rapporto solido di affidamento con la gente. Abbiamo detto altre volte che guardiamo anche sotto questo profilo a tempi lunghi. I gesti clamorosi si esauriscono nello spazio di un mattino e non convincono nessuno. Non siamo una forza politica velleitaria, rissosa psicologicamente minoritaria, non abbiamo vocazioni catacombali, perché ci sentiamo profondamente inseriti nella realtà sociale in movimento, non secondiamo manie di persecuzione, sentiamo fortemente la presenza ed il significato dei valori religiosi così come dovrebbe essere per ogni forza culturalmente consapevole, ma non avvertiamo alcuna suggestione clericale o confessionale.
Questo è un confronto sul modo di intendere i valori civili, validi per tutti. Questa è una verifica della coerenza tra le enunciazioni e i fatti.



PRESIDENTE

La parola alla dottoressa Castagnone Vaccarino.



CASTAGNONE Aurelia

Signor Presidente, signori colleghi, la legge che andiamo oggi ad esaminare dopo le osservazioni del Commissario di Governo è la legge alla quale il PRI ha già dato un voto contrario quando si è discussa nel mese di maggio.
Abbiamo esaminato attentamente gli articoli che ci sono stati consegnati dalla Giunta per vedere se con l'occasione delle osservazioni del Commissario ci fosse stato un principio di revisione, secondo gli emendamenti che erano stati presentati dal Partito Repubblicano. Dobbiamo constatare che ciò non è avvenuto, anche se in qualche senso c'è stata una qualche modificazione. Ma non è avvenuto soprattutto quanto noi riteniamo del tutto fondamentale e che, dato che attiene alla politica di questa Giunta, io debbo sottolineare anche per quanto riguarda la legge sul diritto allo studio.
La presente Giunta tende a delegare tutte le funzioni possibili ai Comuni e ai Consorzi di Comuni, alle Comunità montane, ai Quartieri, come è detto chiaramente nell'art. 8. Ora, là dove esistano altri organi che sono stati creati appositamente per esercitare determinate funzioni, noi riteniamo che non possano essere scavalcati a favore di quella che la Giunta ritiene essere la politica dovuta, cioè la delega quasi totale ai Comuni. Il che, fra l'altro,implica delle difficoltà perché i Comuni, non essendo in grado di gestire, quand'anche consorziati, queste attività, si deve poi provvedere con il decentramento degli uffici regionali i quali, di fatto, non fanno che burocratizzare la periferia; quindi il tentativo iniziale, che è quello di un decentramento e di un'ulteriore autonomia degli Enti locali, diventa poi di fatto un controllo locale da parte dell'organismo centrale (in questo caso la Regione) su quelli che sono gli organismi decentrati. Noi lo riteniamo perciò un principio errato e voglio sottolinearlo qui, soprattutto perché é errato nel caso in cui ci siano altri organismi che abbiano quelle caratteristiche - in questo caso pianificatrici e programmatorie - che noi in realtà sottraiamo loro Io mi associo al Consigliere Bianchi quando dice che noi abbiamo poca fiducia nei nuovi organismi democratici della scuola se sottraiamo loro dei compiti per darli ad altri Enti cui questi compiti non competono. Sottraiamo in questo caso - come ho ricordato la volta precedente - soprattutto agli, insegnanti la possibilità di gestire ancora parzialmente, insieme agli altri cittadini come del resto è giusto perché la scuola non appartiene soltanto agli insegnanti, ma appartiene a tutti i cittadini, sottraiamo la possibilità effettiva di operare nel campo della programmazione scolastica.
Per queste ragioni e non per altre noi esprimiamo un parere negativo.
Non c'è nessuna differenza fra la Legge che è stata presentata allora e quella che viene presentata oggi, rispetto alle osservazioni nostre di allora.
Dopo l'intervento del Consigliere Bianchi mi corre però l'obbligo di differenziare in modo chiaro la posizione del PRI da quella della D.C.
affinché il voto, che, se rimanesse l'articolato come ci viene presentato da parte del Partito Repubblicano non potrebbe che essere negativo, non fosse confuso con le ragioni che invece ha portato il Consigliere Bianchi.
Ho già detto che la nostra è una forza politica risorgimentale peccheremo quindi naturalmente di tutti quei difetti che possiamo chiamare precostituenti, secondo quanto ha detto il Consigliere Bianchi, ma noi riteniamo che lo Stato italiano sia uno Stato laico e che ci sia quindi la possibilità non di privilegiare una scuola rispetto ad un'altra, ma di dare delle indicazioni politiche rispetto a quella che è la scuola libera l'unica veramente libera nella quale convergono tutte le voci, che è la scuola di Stato.
Quindi rispetto totale per la libertà del cittadino, delle sue scelte di carattere religioso, delle sue scelte di carattere educativo, però non si può dire che lo Stato nel momento in cui sovvenziona determinate scuole non abbia il diritto di fare scelte che sono semplicemente di carattere prioritario e perciò in nessun modo esclusive della possibilità e della libertà del cittadino di operare secondo i principi religiosi, educativi linguistici, razziali, ecc, che sono suoi propri.. Non è certo questa la parte per la quale noi daremo, sempre che non sarà cambiato l'articolato un voto negativo.
Altre ragioni non ci sono, ma ci corre l'obbligo di dire un'altra cosa: mentre quando si è presentata la legge l'altra volta noi abbiamo presentato una trentina circa di emendamenti, questa volta non ne presenteremo, perch il mondo della scuola e già sufficientemente sconcertato e noi siamo proprio ai limiti delle possibilità per rendere operativa una legge; sono stati sospesi i fondi in base al fatto che la nuova legge avrebbe dovuto passare e noi abbiamo osservato che dato che i fondi questa volta passeranno attraverso i Comuni, avranno un iter ancora più lungo e andremo (altra ragione per la quale abbiamo dichiarato che questa legge così com'è non ci va bene) oltre i termini prescritti per fare una programmazione seria, perché i nuovi organi della scuola possano presentare i loro programmi e farli pervenire alla Giunta. Non riteniamo quindi che si debba ulteriormente fare attendere la scuola in questa condizioni.
Noi non presenteremo emendamenti per non ritardare, per non fare dell'ostruzionismo, il nostro tipo di opposizione intende sempre essere un'opposizione costruttiva e che comunque non danneggi mai il cittadino.
Per queste ragioni non presentiamo emendamenti e per non confonderci con quelli presentati, con altro spirito, da altre forze politiche, non approveremo emendamenti presentati da altri.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Alberton.



ALBERTON Ezio

All'interno dell'intervento del Capogruppo Bianchi desidererei cercare di approfondire alcuni aspetti più particolari, anche se dovrò anch'io, per forza, richiamarmi ad alcune considerazioni generali.
La ripulsa della legge da parte del Governo mi pare abbia provocato nella Giunta reazioni più di carattere astioso, emotivo, che non delle serie riflessioni, quasi di chi sente disturbati i propri lavori da non addetti.
Anche la relazione dell'Assessore Fiorini che ha accompagnato e presentato le modifiche alla legge 82, citando motivi di carattere politico elettoralistico nella ripulsa del Governo, ci sembra dimostri la mancanza di volontà di comprendere fino in fondo le tesi che animavano il dissenso.
Si fanno polemiche anche sui tempi; direi che i tempi non li abbiamo sicuramente scelti noi, né nessun altro se non la Giunta: chiunque affronta un argomento deve essere consapevole fino in fondo anche delle scadenze in cui questo appuntamento va a collocarsi.
Voglio ribadire anch'io che per noi è riduttivo chiudere tutto in una pura polemica di tipo politico - partitica. Se si è arrivati ad interrogativi di natura costituzionale, vuol dire che erano effettivamente investiti valori più profondi della pura polemica partitica in modo da investire visioni di organizzazione della società che, consolidate nella nostra Costituzione, delimitano necessariamente gli spazi dello scontro puramente politico. E vorremmo invitare la Giunta, l'Assessore Fiorini stesso a non snobbare questi contrasti: preferiamo la polemica chiara aperta, dura anche piuttosto che non sottovalutare queste differenziazioni.
E poco senso crediamo abbia anche la protesta per il presunto attacco all'autonomia regionale; qualcuno continua a muoversi quasi che dovesse per forza difendere questa legge altrimenti il prestigio della Regione ne uscirebbe compromesso.
Di fronte a fatti che sono proceduralmente previsti dalla nostra Costituzione, crediamo debba essere messo maggiormente in evidenza che il prestigio della Regione è difeso soprattutto dimostrando di saper guidare la propria comunità senza introdurre in essa pesanti divisioni, o spaccature. Si dice anche che le obiezioni governative sono deboli e artificiose, appunto di natura politico - elettoralistica, quasi "non c'è bisogno di una nuova legge, bastano poche modifiche".
Noi abbiamo contestato la legge per tutto il suo impianto di programmazione, gestione, controllo e partecipazione. Ora certamente abbiamo il dovere, per rispetto delle procedure, di limitare le nostre osservazioni critiche alle parti sottoposte a critica costituzionale dal Governo, Questo non significa una riduzione dell'ampiezza delle critiche ma la necessità di approfondire alcuni temi. Ci chiediamo: valgono le modifiche proposte dalla Giunta per superare le obiezioni del Governo? Animati dallo spirito richiamato in precedenza, ci sembra che si siano volute apportare modifiche più formali che sostanziali, con la volontà di ribadire che non sono accettabili critiche ai principi ispiratori della legge. Sappiamo - e li ha rielencati l'Assessore Fiorini nella sua introduzione - i tre livelli di problemi che la ripresa da parte del Governo richiama: l'assistenza agli alunni e non alle scuole, con la necessità di differenziare eventualmente gli interventi per condizioni personali, capacità o merito, o familiari, cioè condizioni economiche; il vincolo della presenza degli organismi collegiali all'interno della scuola anche in scuole non statali. Lo avevamo sollecitato noi stessi questo vincolo, il Governo fa notare che con questo si introducono discriminazioni, differenziazioni di natura istituzionale, siamo disponibili a superare questo, accettiamo sotto questo profilo la proposizione formulata dalla Giunta che indica una linea di tendenza verso la quale muoverci. Ma abbiamo l'impressione che tutto si fermi li. Chiunque confronti il testo della legge modificata adesso con la legge 82 si accorge che la modifica sostanziale apportata è questa: si tolgono gli organismi collegiali, li si affida a un indirizzo, a un'azione di stimolo da parte della Regione verso le scuole non statali, ma altre modificazioni non ci sono.
Circa la scelta degli alunni rimangono il comma d) dell'art. 9 e la questione delle rette per le scuole materne, la priorità e le rette per le scuole dell'obbligo, il vincolo della distribuzione territoriale per le scuole superiori e infine i corsi per i lavoratori.
Si dice che la priorità è necessaria perché imposta dai vincoli di bilancio. Ma ci chiediamo nuovamente: quando su un bilancio di spesa di 11/12 miliardi quali quelli previsti per il 1977, la spesa per gli alunni di scuole non statali si prevede che possa raggiungere i 200/300 milioni pari al 2/3%; come si può pensare che sia questa somma, pari al 2/3%, la valvola di sfogo che consente l'introduzione di scelte prioritarie? Sarebbe possibile se fosse il contrario, altrimenti sono fatti così marginali, dal punto di vista quantitativo, che sul piano della politica programmatoria non incidono assolutamente.
Si obietta: introducendo il concetto di retta rientriamo nella differenziazione sollecitata dal Governo, perché introduciamo il parametro della capacità economica. E qui vorremmo cercare di essere i più chiari possibili: noi non possiamo accettare che questo concetto della capacita economica lo si introduca solo per gli alunni delle scuole non statali. Il problema è molto delicato e coinvolge anche in temi di organizzazione dell'assistenza scolastica questioni di fondo, cioè quando fare intervenire il parametro delle condizioni economiche. Sembra possibile distinguere, sul piano della scuola, dell'assistenza scolastica, del diritto allo studio due momenti: costo degli studi e costo del mantenimento agli studi.
Cerchiamo di vedere che cosa si è consolidato nella esperienza politico amministrativa e che cosa c'è ancora eventualmente da esplorare.
Per la fascia della scuola materna e dell'obbligo il costo degli studi è, per comune convinzione, necessario coprirlo per tutti, senza fare entrare questioni né di merito, né di capacita economica. Per il costo del mantenimento agli studi, e per tale si può intendere la questione mensa per le scuole materne e dell'obbligo, si introducono questioni di condizioni economi- che, di bisogno delle singole famiglie; ciò è operato da parte degli enti locali, che tante volte concedono rette ridotte, esoneri totali a particolari famiglie, e in molti casi da parte di singole scuole private che praticano politiche simili.
In linea di principio però si tende a non differenziare, neppure circa questo parametro del costo del mantenimento agli studi, né per condizioni di merito, né per condizioni di bisogno; eppure siamo tutti convinti come su questa fascia materna e d'obbligo pesi l'emarginazione scolastica (gli ultimi dati che sono riuscito a trovare sono di tre anni fa in cui si faceva notare che dal passaggio dalla quinta elementare alla terza media si perdeva per strada il 30% degli alunni) e il bisogno economico costituisca ancora una fondamentale condizione di emarginazione. Eppure scegliamo la strada di dare a tutti.
Cito queste cose solo perché vorrei che ci riflettessimo tutti sopra per non darle scontate come una prassi che ormai non può più essere modificata.
Per la scuola media superiore, in omaggio alla Costituzione ed ai vincoli economici questa volta, sì, complessivi, crediamo sia opportuno e necessario fare intervenire sia il vincolo delle condizioni economiche, sia il vincolo del merito e della capacita, cioè intendiamo ancora una volta dire no: ai puri trasferimenti sociali: prendere attraverso il sistema fiscale dalle tasche dei cittadini per poi ridistribuire pari pari a tutti i cittadini appare con chiarezza una politica di dubbia serietà e socialità.
Queste caratterizzazioni da parte nostra siamo disponibili anche ad accentuarle, ma per tutti gli alunni, lo diciamo con tutta franchezza.
Un dato che sembrava consolidato dalla discussione, dalle consultazioni era che la differenziazione tra frequentanti le scuole statali e non, non era ritrovatile nell'estrazione sociale. Questo i membri della III Commissione se lo sono confermato. Di qui il nostro no all'uso dello strumento retta, o meglio del parametro bisogno solo per gli alunni delle scuole non statali. Si dice: ma il concetto dell'uso della retta lo avete quasi introdotto voi, lo avete sollecitato voi della D.C. Ma per noi il problema è questo: là dove i fondi vanno per servizi, materiale didattico mense, cioè là dove i fondi non possono essere dati direttamente ai singoli alunni, servizi cioè che possono essere gestiti all'interno dell'istituzione scuola non statale, dobbiamo trovare delle formule per garantirci che non vadano a formare o a incrementare quasi utili di aziende scuole, ma vadano effettivamente a migliorare il servizio, o a ridurne i costi. Di qui la nostra proposta di introdurre gli organismi collegiali nelle scuole non statali, visti come garanzia di corretta utilizzazione sociale dei contributi.
Questo ci pare il massimo dei vincoli imponibile nella ricerca del difficile, ma necessario equilibrio tra l'intervento pubblico ed il rispetto della costituzionalmente legittima opzione individuale. Il resto sa di imposizione di linee di tendenza politicamente non accettabili e costituzionalmente non corrette. Non ha senso - e qui concordo pienamente con quanto ha detto il Capogruppo Bianchi - parlare di libertà di insegnamento, di libertà della scuola, se poi le espressioni libere delle scuole organizzate fuori dalla diretta gestione statale vengono viste come un momento di parte, di cui non si vuol riconoscere la funzione sociale.
Eppure c'è chi ha parlato, anche all'interno del PCI, della necessità positiva di una dialettica tra culture diverse. Noi stessi abbiamo richiamato l'opportunità che sviluppando processi già in atto si realizzino condizioni di apertura e confronto delle varie scuole verso la società e tra di loro; di qui la nostra sottolineatura dell'importanza di un organismo come quello del Distretto scolastico per esempio, che consenta anche di superare limiti di esperienze particolari passate, in una visione che distinguendo tra Stato legislatore e Stato amministratore, consenta sviluppi di contributi qualificati all'educazione. E vogliamo qui richiamare la sensibilità di tutti coloro che, anche spinti da motivazioni libertarie, sono così sensibili ai diritti civili dei singoli, a verificare se non c'è contrasto tra quelle affermazioni e certe altre affermazioni che si concretizzano nella legge.
Deve essere fatto ogni sforzo - lo diciamo ancora una volta - per ricuperare e rinsaldare il fine pubblico di queste esperienze scolastiche non statali. Con la legge, invece, viene esaltato il loro ruolo privatistico finendo per agevolare spinte di divaricazione e contrapposizione anziché di confronto e integrazione con quelle statali. E ci si permetta di ricordare quegli altri Paesi, dalla Germania alla Francia, all'Olanda, al Belgio, all'Austria, alla Norvegia che non credo siano accusabili di scarso spirito laico nella loro organizzazione scolastica e che pure praticano, nei confronti delle esperienze scolastiche non statali, politiche ben diverse da quelle che vediamo qui proporre Dico anch'io che se fossimo mossi da altri spinti e da altri interessi invece che dalla difesa di un'organizzazione globale della società riserveremmo tutta la nostra capacità dialettica di contrattazione là dove si parla di discussioni in sede di Consiglio regionale dei criteri per la formulazione di quei tetti delle rette e lì potremmo spuntare rette diverse, ma non è questo che ci interessa: la preoccupazione l'abbiamo per gestione complessiva della comunità regionale.
E il ruolo riduttivo che si vuole assegnare a tali esperienze è dimostrato anche dall'esclusione degli interventi a favore dei lavoratori che volessero partecipare a corsi in scuole non statali, dando la dimostrazione che là dove vi sono esperienze nuove da organizzare per esse si sceglie già una strada e una strada sola.
Noi crediamo che la polemica su questo terreno sia molto importante abbia portato la Giunta a trascurare la necessità di un confronto chiaro nelle sue linee su altri punti, quali quelli che ho cercato di richiamare su come cioè organizzare l'assistenza rispetto a quei parametri fondamentali di condizioni di bisogni, di condizioni di capacità e di merito: per questi, ripeto, non vorrei che fosse dato nulla per scontato quasi che una politica che abbiamo adottato nel passato non dovesse e non potesse essere modificata rispetto alle condizioni economiche, sociali e culturali del nostro Paese di questi anni.
Ritorniamo sul concetto della borsa di studio Che cosa ci pare essere criticato da parte del Governo? 1) che con i sussidi non si ha la garanzia assoluta di coprire tutte le condizioni di bisogno, ma c'e il grosso rischio di lasciarne scoperte alcune effettive 2) che si trascuri completamente la questione del merito individuale.
Per questo secondo aspetto la Giunta propone di introdurre la metodologia del concorso. Va meglio, però lascia ancora scoperto completamente - e per noi è molto importante - il primo aspetto, cioè che con i sussidi non si ha la garanzia di coprire tutte le effettive condizioni di bisogno perché ci possono essere moltissimi alunni che non hanno bisogno di avere né il vitto né l'alloggio, eppure hanno condizioni familiari che meritano l'intervento. Rientriamo in quella fascia del mantenimento agli studi e del costo degli studi che richiedono interventi per le famiglie lasciando a loro discrezionale uso questi interventi.
Circa la delega ai Comuni ed ai rapporti con gli organismi collegiali ci pare che la sostanza delle osservazioni governative sia : la Regione pu affidare compiti direttamente ad essi; se è così perché essi devono essere invece interpretati come strumenti operativi degli enti locali? Tanto più queste affermazioni rimangono valide, perché nonostante gli emendamenti già apportati alla legge 82, là dove si introdusse il livello del distretto come momento di elaborazione di piani, la formulazione della legge e l'interpretazione che i membri della III Commissione facenti parte della maggioranza ne danno, si tende a ribadire che e pur sempre ai Comuni che spetta l'ultima parola nell'organizzazione di questi piani, cioè i piani elaborati dai distretti non sarebbero che un primo momento sul quale i Comuni dovrebbero mettere la parola definitiva. Ma i Distretti scolastici per legge non sono semplici ripartizioni territoriali, non sono decentramento burocratico, sono - e noi dobbiamo e vogliamo far si che essi diventino sempre di più - momenti gestionali del processo di educazione momenti di realizzazione della partecipazione democratica nella gestione della scuola. Possono essere anche fondati i dubbi che questo possa avvenire, ma sappiamo quanto può dipendere da noi perché diventino veramente questo. Torniamo a sottolineare, allora, il ruolo riduttivo che la legge assegna a tali organismi e ribadiamo ancora che la legge lascia tali e tanti spazi di discrezionalità, proprio non volendo riconoscere competenze e responsabilità chiare agli organismi della scuola, da far temere che oltre e dopo questi contrasti di natura costituzionale o di legislazione statale, altri e ben più pesanti ne sorgano nella gestione per conflitti tra i diversi livelli interessati al problema.
Queste sono alcune considerazioni, che preghiamo le forze politiche della maggioranza di prendere in seria considerazione.
Torniamo a dire che, come già ha detto il Capogruppo Bianchi, in questa discussione siamo costretti, e ci facciamo carico, di stare dentro l'impianto globale della legge: crediamo però che nonostante questo sia necessario, per superare le obiezioni, apportare precise modifiche e non altre, invitando ancora una volta ad avere il coraggio di accettare spazi di libertà maggiori di quelli che la legge vuole consentire, per tutte quelle espressioni non istituzionali che e l'evoluzione democratica della nostra società, e anche la sperimentazione, deve invitarci a portare avanti.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Oberto. Ne ha facoltà.



OBERTO Gianni

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, mi debbo anzitutto scusare di essere entrato in aula con un'ora e mezzo di ritardo, ma partecipavo ai lavori della VIII Commissione, che si sono, posso dirlo, felicemente conclusi, le cui risoluzioni sono in via di elaborazione. Siccome ero stato io a provocare tale discorso,mi è sembrato fosse necessaria la mia presenza.
Perché intervengo in questa discussione, che ha avuto sviluppo notevolissimo in precedenza, con larga partecipazione dei Colleghi del mio Gruppo, che è stata ripresa questa mattina come dibattito a carattere generale, tenendo presenti gli argomenti addotti dal Consiglio dei Ministri? Praticamente, per sostenere che non è possibile varare quella legge alla quale in qualche misura, come allora Presidente della Giunta avevo pure posto mano (prima ancora come Presidente del Consiglio chiedendo una interpretazione un po' diversa da quella che poi venne data e che fu approvata tuttavia all'unanimità, successivamente adoperandomi per modificare e riformare taluni aspetti della legge stessa). Ricordo, per inciso, che molte delle leggi fatte nella passata legislatura sono state motivo e oggetto di esame e di modifica da parte dell'attuale Consiglio regionale, il che sta a dimostrare che intanto vi una evoluzione negli uomini, nei tempi e nei problemi, ma soprattutto - se mi è consentito assumendo anche parte della responsabilità che può spettare a me - che certe affrettate decisioni che non hanno una loro particolare giustificazione portano poi come conseguenza la necessità di modificare le leggi.
Il Presidente della Giunta regionale, che, come me, è avvocato, sa che vi è un complesso di leggi che resistono, nel 1976, avendo avuto la nascita nel 1865, e sono andate avanti per oltre un secolo senza necessitare neanche di un regolamento, tanto erano chiare e precise nella loro dizione.
E' un appello di carattere generale che rispettosamente sottopongo ai Colleghi. Ci possono essere dei momenti in cui bisogna correre, perch certi aspetti devono trovare una loro soluzione. Ma forse anche questa frettolosità può dar motivo, com'è accaduto in questo Consiglio regionale di reiezione: intendo riferirmi a quella legge che abbiamo varato molto rapidamente per l'assistenza agli anziani pensionati di Torino, due anni or sono, che venne rinviata, come questa, dal Consiglio dei Ministri attraverso l'organo regionale del Commissariato; opponemmo in allora resistenza, riproponendo sollecitamente, ancora in quei termini, tale legge, con il risultato di una seconda reiezione da parte del Consiglio dei Ministri; la Corte Costituzionale, alla quale si fece ricorso, boccio la legge; il miliardo e mezzo circa che avevamo stanziato venne poi diversamente impiegato, ma quella legge non venne varata nei termini in cui era stata portata innanzi dal Consiglio regionale.



VECCHIONE Mario, Assessore all'assistenza

La Corte Costituzionale ha attaccato anche l'autonomia delle Regioni negando loro il trasferimento dell'assistenza.



OBERTO Gianni

Forse si dovrà creare una Corte Costituzionale regionale che scavalchi le decisioni della Corte Costituzionale nazionale. Quella è stata la sentenza della Corte Costituzionale. Noi non l'abbiamo certo riconosciuta giusta, ma il fatto è che non può essere modificata.



MORETTI Michele, Assessore al turismo

Ma la Corte Costituzionale è un organo che può essere anche criticato.



OBERTO Gianni

E' un fatto che se ci si distacca dall'insegnamento che promana dalla sentenza della Corte costituzionale e si agisce diversamente si crea una situazione di squilibrio di natura costituzionale. Su questo mi sembra non possano esistere dei dubbi, anche se possiamo dissentire dalle decisioni della Corte Costituzionale.
In questo mio intervento devo dare necessariamente per scontate le argomentazioni che hanno svolto, molto egregiamente, i Colleghi del Gruppo della Democrazia Cristiana. Io mi sono soprattutto soffermato a considerare i motivi del rinvio addotti dal Consiglio dei Ministri, che ritengo di dovere, almeno per memoria, richiamare. La incostituzionalità di qualche principio nella legge, denunciata come tale, che comporta, anche se e ritenuta viziata da incostituzionalità una parte soltanto della legge, la inaccettibilità di tutta la legge, con la precisazione che si violano i proclamati principi di uguaglianza e di libertà. La sottolineatura essenziale e fondamentale è che gli interventi riguardano la scuola nelle sue varie componenti, con diritti prioritari che sono precisamente quelli della componente scolastica: gli scolari e gli alunni, come tali ma evidentemente anche come partecipi di una famiglia, il che dev'essere tenuto meglio presente per evitare questa denuncia di incostituzionalità.
Altra componente che dev'essere tenuta in conto è quella relativa a chi la scuola gestisce, cioè gli insegnanti, coloro i quali, in definitiva assumono gravi responsabilità verso la famiglia circa la conduzione scolastica, la preparazione del mondo della scuola e l'insegnamento impartito agli alunni.
Poi, terzo in ordine di indicazione ma non so se anche in ordine di valutazione, gli organi che da due anni sono investiti di rilevanti responsabili impegni e che si trovano vulnerati proprio all'inizio della loro attività attraverso una legge che in definitiva li mortifica emarginandoli con una destinazione che, ignorati questi organismi considerati marginalmente, finisce con l'impedire che l'esperienza notevole ed importante, abbia il suo sviluppo proprio in un momento in cui questi organismi possono manifestare la loro attività, la loro funzione e la loro capacità attraverso i loro componenti, che, il Consiglio sa, sono democraticamente eletti e scelti ed agiscono come organi collegiali che integrati nelle loro componenti - scuola, famiglie, alunni -, meglio certamente conoscono i problemi delle singole scuole e sono pertanto in grado più di qualsiasi altro organismo (vedi lo stesso Comune, sia quello grande come quello di Torino, sia quello meno grande, come quello della mia città di Ivrea e come i tanti enti locali che costituiscono la realtà regionale piemontese) di provvedere a porvi rimedio. Con tale legge si commette l'errore - anche questo a mio avviso motivo di rilievo di carattere costituzionale, o quanto meno di denuncia - di una attribuzione di competenza agli enti locali per compiti che non sono loro propri determinando così, attraverso scelte programmatorie, il verificarsi di indirizzi che fanno diventare la scuola "comunale", nel senso che è il Consiglio comunale, organismo amministrativo, ad assumere decisioni non di sua competenza se non per quanto attiene a una gestione finanziaria propria collegata al bilancio comunale.
Poi si colpiscono scolari che frequentano scuole legalmente riconosciute, che hanno esercitato, e tuttora esercitano, funzioni che lo Stato non riesce ad assolvere. A questo proposito il pensiero mio personale (ma mi pare sia il pensiero del Gruppo della Democrazia Cristiana) è un dato obiettivamente da tener presente, ma non è certamente il dato obiettivo che determina il nostro motivo di critica, perché noi non riteniamo di invocare una diversa legge in quanto vi sia questo dato di fatto di una sostituzione che non costituisce una attività vicaria, ma noi sosteniamo che la legge deve invece tener presente il diritto della scelta della scuola, e pertanto la corresponsione degli interventi predisposti per la scuola pubblica e obliterati per quel che si riferisce all'altra scuola.
Si dice ad un certo momento - e questo è bene lo teniamo presente - che la scuola non statale, la scuola privata, è per sua vocazione la scuola dei ricchi. Vorrei rispettosamente richiamare l'attenzione dell'Assessore Fiorini, il quale certo conoscerà questi dati..



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Nessuno ha mai detto qualcosa del genere.



OBERTO Gianni

Io parlo di un giudizio negativo di carattere generale Noi non dobbiamo soltanto tener conto di quel che si dice nella sede del Consiglio; voi che siete stati partecipi delle varie consultazioni avete sentito (e bisogna tenerlo presente, perché la voce della consultazione deve avere risonanza anche in Consiglio regionale) che queste affermazioni vengono largamente fatte.
Ora, i dati statistici che si riferiscono al 1974 danno questo quadro: frequentano la scuola dell'obbligo, percentualmente rispetto al numero degli allievi, il 12% di figli di professionisti e dirigenti; frequentano il quinquennio superiore il 14,1; per i figli di impiegati, si ha rispettivamente il 16,8 e il 17,4; per i figli di commercianti, il 15,4 e il 17,3; per i figli di artigiani, 7,2 e 7%; per i figli di operai scritto in termini inequivoci, non con l'espressione generica di "lavoratori", nel quale possiamo essere tutti compresi - il 36,3% (cioè la quota più alta di coloro che fruiscono di questo servizio) e il 31,1% (che è ancora la quota più alta di tutte le categorie). Quindi, in percentuale sugli alunni, la estrazione sociale degli alunni delle scuole private nella Regione piemontese nel 1974 - ed è questo l'ultimo dato a conoscenza porta a questa considerazione. A completamento, dovrò aggiungere ancora la scelta tra gli agricoltori: il 12,3% per la scuola dell'obbligo, il 13,1 per il quinquennio.
Ciò sta evidentemente a dimostrare che la libertà di scelta e la volontà di scelta non è soltanto dovuta ad una categoria di censo elevato ma a coloro i quali nell'ambito della responsabilità che ha la propria famiglia danno la preferenza all'una scuola rispetto all'altra. E' un particolare che mi sembra non dovrebbe essere trascurato.
In questo Consiglio abbiamo discusso recentemente - e il Presidente della Giunta regionale ha introdotto quei lavori con un calore del tutto particolare, al quale io mi associo - dei problemi dell'Europa.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Ho visto che ne hai parlato anche nell'intervista apparsa in questi giorni su un giornale.



OBERTO Gianni

.che però è stata "cesoiata" senza ritegno, come capita quando si arriva ultimi in questo tipo di pubblicazioni..
Avevo parlato in quella intervista della questione europea, riferendomi alla visione abbastanza aperta dei piemontesi e dei politici piemontesi che hanno visto e voluto, per esempio, il traforo del Frejus, generosamente sostenuto dal Console Fieschi, del quale appunto si parlava nell'intervista, tanto che un lombardo, il prof. Guderzo, in una adunanza all'Accademia delle Scienze di Torino, pose in evidenza che gli amministratori e i politici piemontesi avevano su questa strada battuto gli stessi lombardi, una affermazione indubbiamente inusitata ed importante..
Ma lo spazio del giornale doveva essere evidentemente in buona parte assorbito dalla magnifica discussione fatta dal prof. Firpo, per cui la mia intervista ha dovuto essere sforbiciata. Mi scuso della parentesi, ma, caro signor Presidente della Giunta, è stato un po' lei a costringermici.
Dicevo che abbiamo di recente opportunamente parlato di Europa, di una nostra sede a Bruxelles, di delegazioni europee, della costituzione di una Consulta regionale, della quale Giunta e Consiglio debbono servirsi per l'esame e l'impostazione di questi problemi. Ebbene, signori Consiglieri vale la pena di tenere presente che nella Comunità europea soltanto l'Italia non è ancora giunta ad assicurare alle famiglie la libertà di scelta della scuola per i figli, oltre tutto, con non trascurabile onere per lo Stato, dal momento che negli altri Paesi la collaborazione di una forte scuola non statale sovvenzionata comporta notevole sgravio per l'erario. Il collega Alberton ha citato alcuni Paesi dell'Europa, ai quali vorrei aggiungere, poiché, a meno che io non abbia inteso bene, lui non l'ha ricordata, la Svezia, paese chiaramente socialista da decenni e forse più. Cito anche l'Inghilterra, ove il problema di carattere anche di scelta religiosa, di vocazione religiosa, ha implicazioni non indifferenti, oltre alla Francia, alla Svizzera, agli Stati Uniti d'America.
In una intervista rilasciata al giornale "L' Avvenire" il 15 luglio pochi giorni fa, il Senatore comunista Paolo Bufalini porta, a proposito del modo di risolvere questi problemi che hanno implicazioni di natura politica molto vaste, l'esempio di quel che sta accadendo nell'Emilia dove, cito testualmente quanto pubblicato, "già da anni esiste una Commissione paritetica della Regione e dell'Episcopato per studiare in concreto il modo in cui regolare queste questioni, che sono questioni indubbiamente di grande peso e di grande delicatezza". Da anni, non da pochi giorni o da pochi mesi. In nessun conto, come avviene per questa legge, praticamente, tenendo quello che è stato il risultato di una consultazione e di migliaia di proteste che sono state giudicate come manifestazioni prive di un contenuto e di un valore molto importante, e senza tener conto - lo dico rispettosamente perché leggendo l' "Unità" e soprattutto quella rivista che apprezzo vedo che la parola del Cardinale di Torino, principe della Chiesa, viene assai di frequente citata proprio per affermare che si è vicini a questa valutazione - che l'Episcopato piemontese ha condannato questa legge. E' un motivo estraneo, mi dirà lei Assessore Fiorini: un motivo che rientra in quella che è la valutazione di carattere para-politico, certo di importanza e di rilievo esterno, dal quale non possiamo certamente prescindere.



ALASIA Giovanni, Assessore ai problemi del lavoro

Ci sono sacerdoti che l'hanno appoggiata. Può confermarglielo Borando che era con me a Novara.



VIETTI Anna Maria

Eccezioni che confermano la regola. Ci sono anche sacerdoti comunisti.



OBERTO Gianni

C'è la Commissione dei Vescovi. Assessore Alasia, se il suo Comitato centrale ad un certo momento esprime un giudizio, lei può personalmente dissentire, vi possono essere dieci persone come lei che dissentono, per quello che conta e che vale è il giudizio che è stato espresso dal Comitato centrale. Se si vuol dare un valore a questa Commissione episcopale presieduta da questo Cardinale Pellegrino, evidentemente dobbiamo tenere conto di questa censura che è intervenuta.
Si dice che siamo dei visionari quando affermiamo che la delega ai Comuni o agli Enti locali in genere comporta una ingerenza degli stessi.
Ora, mi richiamo a quello che ho letto sui giornali per quanto l'Assessore Dolino - Assessore alla Pubblica Istruzione del Comune della Città di Torino -, in una delibera sul diritto allo studio, ha precisato dicendo che i fondi stanziati per l'assistenza scolastica (e qui mi sembrerebbe opportuno che non si bizantineggiasse sul termine "assistenza", che evidentemente non ha aspetto meramente assistenziale ma anche di corresponsione di servizi che sono dovuti) saranno spesi per attività (riporto fra virgolette dalla delibera) " i cui contenuti educativi e sociali siano determinati dalla Amministrazione comunale". Cioè, si attribuisce all'Amministrazione comunale - e mi pare che la cosa sia stata sottolineata già da Alberton - una serie di competenze, di compiti che non le sono propri se non nella misura in cui si utilizzano fondi del Comune iscritti regolarmente nel bilancio comunale. Ho citato testualmente, e mi sembra di poter dedurre che ci sì trova dinanzi ad una violazione del diritto della famiglia, dei docenti e, in termini più precisi, dei fruitori più diretti del servizio scolastico, che sono gli alunni.
Che cosa può accadere - mi scuso se forse faccio una affermazione che già qualcuno ha fatto, ma ritengo di dover estrinsecare il mio pensiero qual'è l'interrogativo che dobbiamo proporci in termini generali discutendo questa legge proposta così dalla Giunta, riproposta dopo le osservazioni? Che cos'è che dobbiamo prevedere, e, dal punto di vista evidentemente democratico cristiano, anche temere? Si va verso una scuola a dimensione unica, si vuol preparare l'impostazione di questa dimensione unica della scuola? Possiamo rimanere con gli occhi chiusi e non rappresentarci il pericolo che deriva da una impostazione di questo genere? Una sola scuola una sola idea, per arrivare ad un solo partito? Sono interrogativi certamente inquietanti, che non trovano al momento obiettivamente un riscontro, e lo dico apertamente. Ma noi, quando arriveremo eventualmente ad un riscontro obiettivo, per quella che è la impostazione democratico cristiana, ci accorgeremo che sarà certamente troppo tardi. Lo Stato l'Ente comunale, non può avere, all'infuori di una etica naturale, una propria teoria pedagogica, perché non può avere né una propria ideologia n una propria filosofia, né una propria teologia, perché, se questo si verificasse, si tramuterebbe in partito, in accademia o addirittura in una chiesa.
Si dice infine che la legge, modificata e riformata secondo le proposte che vengono evidenziate, tiene conto del pluralismo. Ora, io leggo sull' "Unita" del 3 giugno, a pagina 2, uno scritto sormontato da un titolo a caratteri cubitali: "Pluralismo ed impegno culturale nella linea del Partito comunista italiano sulla scuola". Nel testo si legge testualmente: "Sono proprio i comunisti gli unici che finora hanno lavorato per assicurare agli alunni - notiamo bene, il problema viene centrato in termini esattissimi non alla scuola, ma agli alunni - delle istituzioni private lo stesso trattamento degli alunni della scuola pubblica". L' "Avvenire", nella intervista fatta al Senatore Bufalini, fa riferimento a questa dichiarazione. Mi chiedo, e chiedo rispettosamente ai proponenti di queste modifiche della legge, ai colleghi del Consiglio regionale, se effettivamente ci troviamo con questa legge ad essere maestri di pluralismo. Anche tenuto conto che il Senatore Bufalini, nella intervista citata, dice testualmente: "La nostra linea è per il pluralismo massimo nella cultura", e quindi anche, deduco io, nel momento in cui la cultura si viene formando, che è precisamente nel momento della scuola, all'inizio e ai primi passi dell'attività. Non so se l'Assessore Fiorini veda rispecchiato nella legge che discutiamo un tale concetto, sicuro, preciso largo, affermato autorevolmente in quella intervista dal Senatore Bufalini: un pluralismo per queste scuole di natura non statale, privata, per le quali non soltanto elementi della scuola cattolica, dei cristiani, hanno speso, ora e in passato, dei giudizi positivi, ma hanno rivolto addirittura l'invito ad incrementarsi, favorendo gli alunni che fanno questa scelta, e sono uomini come Pasquale Villari; come Benedetto Croce, che hanno sollecitato "maggiore libertà per le scuole non statali" e non evidentemente mortificazioni quali quelle che si verificano in questo momento.
Signor Presidente della Giunta regionale, lei ha voluto citare quella intervista che penso sia pure stata maltrattata con le cesoie, dato che dalla lettura non si capisce tutto molto bene.



BIANCHI Adriano

Non vorrai dire che "La Stampa" gli lesina lo spazio.



OBERTO Gianni

Per la verità, in quella intervista si direbbe l'abbia un po' sforbiciato. E poi, la fotografia scelta non mi pare lo favorisca molto così sbiadita, si direbbe, in confronto alla mia, assai più viva (magra soddisfazione, ma almeno sotto questo profilo non posso lamentarmi, anche se qualcuno mi ha chiesto a quanti anni addietro risale).
Lei in quella intervista ha espresso una doglianza, affermando che la D.C. ha condannato per oltre venti anni le istituzioni democratiche locali piemontesi facendole subalterne (preciso che cito da "La Stampa", perch non giuro mai su quel che rilevo dalle pubblicazioni di stampa). Al che è possibile opporre che trent'anni di governo democratico cristiano hanno lasciato a tutti la libertà, senza purtroppo riuscire a togliere sempre (e questo non è dipeso evidentemente soltanto dalla Democrazia Cristiana) le sperequazioni, che esistono tuttora ma che non dobbiamo noi favorire attraverso una legge come quella che ci viene proposta perché di sperequazioni, e pertanto di ingiustizia, si finisce col venire a parlare.
Non vorrei che in una futura intervista - sarà forse fra un paio d'anni con "La Stampa" io dovessi dire che pochi mesi di governo amministrativo alleato PSI-PCI stanno intaccando aspetti che possono parere marginali della libertà, che finisce con l'essere un modo assai spiccio per sopprimere le perequazioni.
Per concludere sul tema specifico, vorrei sintetizzare così il concetto che ho personalmente maturato motivatamente, che credo sia condiviso: non vogliamo sussidi per le scuole private; vogliamo che quei contributi che possono in un certo senso chiamarsi "buoni studio" (ricordiamo sempre che la finalità di quella legge oggi modificata era quella di dotare gli allievi dello strumento libro scolastico) siano dati alle famiglie degli alunni che nella libertà di scelta ne daranno la fruizione agli istituti di loro fiducia e a loro criterio.
A me sembra che la legge, anche così come e proposta nella riforma, non corrisponda alla esigenza fondamentale, pecchi, rispetto ai rilievi fatti dal Consiglio dei Ministri e comunicati dal Commissario di Governo, di insufficienza, e pertanto corra il grosso rischio di non essere risolutiva di fronte all'opinione pubblica ma di non essere nemmeno aderente ai rilievi fatti nella lettera da parte del Consiglio dei Ministri, e che pertanto possa verificarsi la denuncia, da parte dello stesso Consiglio dei Ministri, alla Corte Costituzionale.
Qual'è la ragione per cui ai tanti di luglio noi dibattiamo questo problema? So benissimo, Signor Presidente della Giunta, che vi è un problema di urgenza, per poter attuare questa nuova legge, secondo il vostro punto di vista, già per lo scorcio di anno scolastico che comprende settembre-ottobre: non vorrei però che questa fretta portasse una volta ancora a dire che la micia, per eccessiva premura, finisce con il fare i micini ciechi. Sarebbe veramente grave che questa legge, finendo davanti alla Corte Costituzionale, facesse rimanere a mezz'asta l'applicazione di norme che non potrebbero essere adottate nella formulazione vecchia e nemmeno nella veste ora proposta.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Cardinali. Ne ha facoltà.



CARDINALI Giulio

Signor Presidente, sta ingenerandosi in me il serio timore che questa legge sia destinata a diventare l'accompagnatrice fedele dei prossimi quattro anni, per noi, se le previsioni pessimistiche che ci suggeriscono le impressioni derivanti dall'andamento del dibattito si attueranno. Spero però che questo timore non si riveli fondato, perché una soluzione a questo problema deve essere data, e d'altronde mi pare che si stia profilando la possibilità di darla presto, in termini che non possiamo assolutamente giudicare negativi.
Come diceva la sempre rimpianta signora Invernizio, facciamo un passo indietro. Vorrei riandare al momento in cui intervenni in occasione del varo della legge 82 (o 83). Dissi allora che i motivi per cui ci avvicinavamo, come socialisti democratici, a questa legge con perplessità erano proprio determinati dalla diversità della stesura rispetto a quella originaria, modificata nel senso che si era voluto tener conto di tutta una serie di sollevazioni e di pronunciamenti da parte dell' opinione pubblica.
Io ritengo che determinate battaglie di principio si fanno come tali; se ci si ferma a metà, non si può più parlare di battaglie di principio e si va incontro, a mio modo di vedere, a notevoli rischi. Perché in questo tipo di legge si possono modificare, correggere molti articoli, si può andare incontro in larghissima misura anche a quanto richiede l'opposizione democristiana. Ma sulla questione di principio, secondo me, si deve non transigere.
Dico questo per una esperienza che penso sia alla memoria di tutti.
Nell'estate del '48 mi trovavo in Cecoslovacchia e ricordo come uno dei fatti più sensazionali il dramma che la Chiesa cattolica viveva per gli espropri effettuati, per la limitazione all'insegnamento, per tutta una serie di provvedimenti restrittivi che paralizzavano virtualmente l'iniziativa della Chiesa cattolica. Ma io vorrei invitare i signori Consiglieri a considerare qual è oggi la situazione in quel Paese e nella vicina Polonia, dove questa conclamata Chiesa indipendente, che tutela la libertà, che si batte per la libertà, ha ricercato la via del compromesso per cui è tornata probabilmente in possesso delle proprietà che le erano state tolte, certamente svolge una sua funzione, quella di insegnare un qualche cosa che però non ha nulla a che vedere con i principi generali che appena appena scalfiscano il rapporto compromissorio raggiunto con i governi comunisti di quei Paesi.
Mi basta riflettere su tutto questo per sentirmi dissuaso dal prendere per oro colato certe affermazioni che vengono fatte, quello scandalizzarsi di fronte ad una ipotetica minaccia al pluralismo, di fronte ad una situazione che coinvolgerebbe addirittura la Costituzione, che metterebbe in gioco il diritto degli allievi, distinguendo fra alunni e scuola eccetera, laddove invece la cosa va vista nei termini dell'attività legislativa di un ente pubblico che ha dei fondi da destinare e li indirizza nel senso del rigoroso rispetto della finalità che si propone di raggiungere. E se questa finalità tiene conto delle realtà in atto - e l'errore commesso in occasione della prima stesura fu quello di non averne tenuto conto -, del fatto cioè che le scuole di tipo privato rappresentano ancora circa il 50 per cento dell'insegnamento a livello regionale, è pur vero che questo intervento ha costituito un modo di portare avanti un nuovo intendimento, nuovi principi. E su questa proposizione dei principi dicemmo già nella riunione dell'altra volta che ci riconoscevamo largamente.
Noi siamo sensibili alle situazioni reali, ma nella misura in cui queste corrispondono a qualche cosa di effettivamente operante. Per questo abbiamo detto: no, le scuole private devono avere dei riconoscimenti, non possono essere ignorate; ma evidentemente abbiamo riconosciuto una posizione nostra di carattere ideologico generale e di principio nell'azione assoluta non solo di privilegio della scuola pubblica, ma, a mio modo di vedere, proprio nell'arrivare ad una gestione simile attraverso la delega ai soli soggetti che secondo me sono autorizzati e atti a riceverla, cioè gli Enti locali.
Quando sento sollevare, anche dai Colleghi repubblicani, il problema che gli organi della scuola, i distretti scolastici, dovrebbero essere gli Enti più idonei a gestire una legge regionale di questo genere, mi permetto di dissentire. Perché non è questo lo scopo. Non è evidentemente la mancanza di capacita di elaborazione propria di questi enti che ci sfugge ma il modo con cui conduciamo noi il tipo di proposta che portiamo avanti il modo in cui avviene la gestione della legge. E la gestione di una legge avviene attraverso strumenti che a mio modo di vedere devono avere un rapporto molto chiaro, molto preciso con tutti gli enti della scuola, ma devono avere proprio quell'ultima parola per poter assicurare, io direi l'organicità regionale.
Avendo messo in luce tutto ciò che ha rappresentato un ordine di valutazione fatto da noi, ferma restando la concordanza coi principi, ma non essendovi sufficienti garanzie che queste finalità obbediscano realmente a ciò che in se stesse dicono di voler realizzare mentre sono probabilmente aperte a forme e soluzioni che a mio modo di vedere - torno a riperterlo, è stato anche scritto - passano sopra la testa delle formazioni che sulla questione di principio sono invece impegnate a battersi preannuncio che su queste variazioni agli articoli in base alle richieste del Governo il Gruppo socialdemocratico si asterrà.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Marchini. Ne ha facoltà.



MARCHINI Sergio

Mi compiaccio che a cura della D.C. sia stata sollevata tutta una serie di problemi. In primo luogo dirò che dal punto di vista politico, quando ho appreso le osservazioni del Commissario di Governo, per un momento sono stato tentato di rallegrarmi, perché ho trovato in esse rispecchiate le motivazioni che avevano determinato la presentazione dell'ordine del giorno di richiesta di non passaggio agli articoli della legge. Poi mi è parso di dover fare un altro tipo di considerazioni, sempre di ordine politico intendendo per ordine politico proprio l'atteggiamento dello Stato nei confronti della Regione.
Mi son chiesto se, al di fuori di un potere formale, nominalistico questo Stato abbia por molti titoli per chiederci di rispettare integralmente l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, e soprattutto la libertà di scelta della scuola. Dico senza mezzi termini che non riconosco allo Stato questi titoli: uno Stato che ha smantellato la scuola facendo mancare i finanziamenti, mortificando gli insegnanti accettando situazioni di intolleranza nella scuola dell'una come dell'altra parte, uno Stato che ha creato condizioni di handicap sociale, che non ha trovato il modo di recuperare nella scuola gli handicappati sociali, e che poi, come dicevo poco fa parlando con un amico, utilizza gli organi di stampa per gridare allo scandalo in quanto nella scuola normale viene respinto un certo tipo di handicappato; questo Stato ha titolo, ripeto, per venire a chiedere a noi di rispettare l'eguaglianza dei cittadini? Questo Stato che ha tollerato gli esami di gruppo fatti in un certo modo negli anni '69-'70, veramente ha diritto di chiedere a noi che non ci siano ingerenze indebite nel mondo della scuola? Questo veramente mi sembra umoristico.
Mi pare che forse, allora, da un punto di vista politico, si potrebbe avere maggior fiducia che sia un organismo regionale come la Regione Piemonte, pur con una legge sulla quale non concordo, nella sua sperimentazione successiva e nel rispetto reciproco, in grado di controllare la fondatezza di certe preoccupazioni e di superare l'attuale situazione. Credo veramente che questo conflitto fra Regione e Stato sia un conflitto fra un presente e un assente: noi pensiamo di essere presenti loro sono certamente assenti. Questo da un punto di vista politico.
Si è poi fatto un po' di "culturismo" sul problema della scuola: laicismo, Risorgimento, scuola privata, francesi, inglesi. A me pare che chi vuol utilizzare certi tipi di differenziazione dovrebbe andare in fondo al discorso. Ricordiamo che noi viviamo, come diceva Einaudi, nel sistema scolastico di tipo napoleonico, che è pur vero che parte dalla necessità di organizzare e di dare ai cittadini pari condizioni di partenza, ma tende anche e soprattutto a dare un sistema burocratico allo Stato, in cui il cittadino, godendo di un certo diploma, può esercitare una certa funzione: lo scopo della scuola napoleonica è anche questo, una burocratizzazione e centralizzazione dello Stato.
Chi non ha voluto accettare questo sistema, e ha chiesto la scuola pluralistica all'inglese, prima di tutto s'è buttato, con coraggio, direi liberale, nella gara civile, e ha detto: io vado a scuola per me stesso, mi presento nella gara sociale, non vanto alcun titolo nei confronti di chi ce l'ha. Questa è la scelta di fondo. Pero quelle comunità e quei gruppi di cultura, di potere, di economia che in Paesi anglosassoni portano avanti la scuola privata, la portano avanti totalmente a loro spese. Perché là la scuola è scuola spontanea, non la chiamerei neanche scuola privata: è la società che praticamente enuclea dei momenti di formazione dell'individuo e l'individuo ovviamente si avvicina a quelle forme di enucleazione che sono più congeniali alla sua mentalità, alla sua astrazione sociale. Ma proprio quelle forze sociali che vogliono portare avanti il loro messaggio se lo pagano.
Questo è quanto evidentemente ci dice anche la Costituzione. Venendo poi al dibattito costituzionale che si è voluto fare, mi pare che i due binari entro i quali deve correre il nostro lavoro sono da una parte l'eguaglianza dei cittadini e dall'altra parte la preoccupazione che non ci siano oneri per lo Stato, e, vivaddio, neanche per la Regione.
Mi pare allora che si debba a questo punto fare quella considerazione molto modesta, che già ho introdotto: come possiamo noi garantire contemporaneamente l'eguaglianza dei cittadini e l'assenza di oneri per la nostra collettività nei confronti della scuola privata? Mi pare veramente che, se avessimo utilizzato gli strumenti scolastici, senza voler fare una sperimentazione che secondo qualche amico è già superata, secondo altri tipi di esperienza, al di fuori del concetto di assistenza, il servizio pubblico generalizzato e poi l'intervento soggettivo, cioè nei confronti dello studente o dei gruppi omogenei di studenti che avessero necessità di intervento ad hoc, veramente avremmo operato imparzialmente nei riguardi di tutti i cittadini. Perché ricordiamo che l'uguaglianza non vuol dire trattare tutti nello stesso modo: vuol dire trattare le stesse condizioni nello stesso modo, le situazioni diseguali in modo diseguale.
Evidentemente, a monte, secondo noi, c'era il momento del servizio pubblico, e poi c'era, a valle del momento scolare, il recupero di situazioni di handicap di natura sociale e di natura individuale, quasi.
Tutto questo, a mio avviso, non è realizzabile con la struttura che la maggioranza ha ritenuto di dare alla legge. Mi pare che a questo punto il problema che si pone ad un Consigliere di minoranza sia questo: quale atteggiamento tenere nei confronti degli emendamenti proposti dalla maggioranza, quale atteggiamento tenere nei confronti degli emendamenti proposti dagli amici democristiani? Nei confronti di quelli detta maggioranza, evidentemente devo ribadire il no che viene da tutta quella serie di motivazioni che ho precisato a monte; nei confronti della Democrazia Cristiana, ritengo di dover chiedere alla D C di fare professione di umiltà con il prendere atto che questo è uno scontro politico che la D C ha rifiutato di affrontare, come sempre rifiuta gli scontri cui non è tirata per i capelli, soprattutto quando pensa di riuscire, con un dibattito in aula o con una contrattazione, a portare a casa qualcosa per il suo tipo di interessi. Perché tutto il discorso che abbiamo sentito sviluppare questa mattina, tutto quello sfoggio apprezzabile, di cultura, con espressioni di preoccupazione per lo Stato liberale, per lo Stato di diritto, che coinciderebbe, secondo i colleghi D C, con lo Stato sociale (il che non mi sembra molto giusto, perché lo Stato sociale si realizza con il far accettare ai cittadini delle situazioni di non eguaglianza giuridica in funzione di un bene superiore che è il bene della collettività..).



BIANCHI Adriano

Lo Stato sociale non può realizzarsi a scapito dello Stato di diritto.



MARCHINI Sergio

Mi permetta di dichiararmi contrario a questa accezione: voi l'avete portata avanti nei primi anni del centrosinistra, sbandierando lì superamento dello Stato di diritto in funzione dello Stato sociale, ma lo Stato sociale, o è una cosa ben precisa. Non possono coincidere le due cose, perché si tratta di far pagare a qualche cittadino un prezzo maggiore al fine di realizzare un bene superiore. Collega Bianchi, la 167 l'ha pur approvata anche la D.C.: ora, la 167 rispetta lo stato di diritto con lo stabilire che il proprietario di un terreno debba pagare un prezzo superiore a quello che paga un altro cittadino per la realizzazione di un bene che si considera generale, cioè la casa a certi ceti sociali? Dunque un provvedimento tipico dello Stato sociale quale la 167 non coincide con lo Stato di diritto, cioè la par condicio dei cittadini. E' evidente che chi è espropriato a 160 lire il metro vede violato un suo diritto in funzione di un altro tipo di società, che io non accetto. Non potete per dirci che lo Stato sociale coincide con lo Stato di diritto quando approvate la 167, che con questo principio contrasta apertamente.
Vorrei comunque ricordare ai Colleghi della Democrazia Cristiana che queste battaglie si combattono a tempo debito. Ora ci troviamo in una situazione, direi, di stallo: o la Giunta ritira i suoi emendamenti e ripropone il suo disegno di legge, e allora rifacciamo tutto il cappello ideologico a monte; oppure ci si limita a valutare oggettivamente gli emendamenti proposti dalla Giunta. L'ulteriore tentativo che fa anche in questa sede la Democrazia Cristiana di entrare, non rispettando i limiti che devono imporsi le forze di opposizione, con tutta una serie di emendamenti non conciliabili con la volontà politica espressa dalla maggioranza, della quale, volenti o nolenti, dobbiamo tener conto (soprattutto dopo aver rifiutato lo scontro a monte sui motivi ideologici che erano alla base di questa legge).



ALBERTON Ezio

Sono in contrasto, gli emendamenti, con le osservazioni fatte dal Governo?



MARCHINI Sergio

Io faccio la mia valutazione, non pretendo di imporla, ho voluto anticipare il mio giudizio sui vostri emendamenti.
Proprio in linea con questo discorso , ritenendo che lo Stato non abbia in questo momento i titoli per venire ad accusare noi di non rispettare l'uguaglianza dei cittadini, di non rispettare la scuola nei confronti di interferenze esterne, quando la scuola è aperta alla politica e al disordine, sento di dover votare contro gli emendamenti proposti dalla maggioranza , perché non li ritengo tali da modificare quei vizi che riconosco nella legge, ma anche di astenermi sugli emendamenti proposti dalla Democrazia Cristiana, poiché non ritengo la legge migliorabile nella sua struttura di fondo da tali, pur valide, modifiche.



PRESIDENTE

La parola Consigliere Bontempi.



BONTEMPI Rinaldo

Signori Consiglieri, io ritengo che a nessuno che abbia posto mente con sufficiente attenzione stamane al dibattito sia sfuggito che la riproposizione in questa sede, a proposito di un tema così specifico come le osservazioni del Governo alla legge regionale sulla assistenza scolastica, di discorsi nuovamente con ampio carattere generale, ha mostrato una volta ancora (e avevo avuto occasione di dirlo nel corso del dibattito sulla votazione della legge) una discrasia profonda tra i contenuti della legge in oggetto e le posizioni che, partendo da questa legge, ma, direi di più, da una posizione estremamente ideologizzante sono state oppresse sul piano generale.
Io avevo già allora detto - e quindi non intendo ripropinarvi considerazioni che ho già fatto - che mi pareva stridente il contrasto tra quelli che erano i contenuti reali di una legge su cui era necessario esporre valutazioni e giudizi anche politici, e una sorta di apriorismo che dalle molte discussioni sulla legge partiva per fare delle considerazione di carattere estremamente generale, travalicanti la legge, travalicanti certamente la Regione e soprattutto travalicanti la portata degli articoli che questa legge reca e che sono le condizioni di interpretazione e di comprensione della legge stessa e quindi dell' azione della Giunta.
E devo dire che stamane per esempio, ma con tutta pacatezza perché così mi pare giusto fare di fronte alle ricche e suggestive affermazioni del Consigliere Bianchi, non posso fare a meno di esprimere una valutazione su queste considerazioni, la maggior parte delle quali non condivisibili, ma comunque di ampia portata, che però mi pare abbiano dimenticato ancora una volta la legge. Perché, Bianchi, quando, sia pure con la estrema proprietà di linguaggio che ti è propria e direi anche con la ricchezza culturale di tutta l'impostazione del tuo intervento, quando si parte dalla Costituzione e si parla di vischiosità storica da parte di certe forze politiche (che saremmo noi) nella interpretazione di quella sintesi di diversi momenti culturali approdati nella Costituzione, quando si parla di intelligenza e/o malizia (non ho ben capito) nel creare questa legge per portare avanti un certo disegno, quando soprattutto, Bianchi, ad un certo punto fai un'affermazione che mi pare estremamente indicativa, da un lato, di un apriorismo di fronte alla legge, ma dall'altro anche - e questo mi sembra più pericoloso - di una concezione che sinceramente io credevo in discussione all'oggetto del dibattito ed anche all'interno del vostro partito, quando cioè dici che con questa legge la Giunta avrebbe privilegiato un certo tipo di scuola, chiamando "un certo tipo di scuola"' la scuola pubblica.



BIANCHI Adriano

No, no.



BONTEMPI Rinaldo

E' testuale.



BIANCHI Adriano

Fortunatamente questa volta il mio intervento è quasi integralmente scritto, potrai controllare.



BONTEMPI Rinaldo

Va bene, avrò sbagliato.
Comunque, questa considerazione di fondo che è venuta fuori nel tuo intervento mostra ancora una volta di più che il discorso qui riproposto sul pluralismo, su certi principi, su attacchi striscianti alla libertà con un punto interrogativo penso, ma comunque c'era - abbia teso a portare avanti un argomento che è stato il cavallo di battaglia certamente per il Gruppo della D.C. ma che ha poca attinenza con la forma pacata, realistica della legge stessa.
Questa è una legge che non ci può trovare in posizione difensiva perch è una legge buona i cui meccanismi forse non sono tanto facili da far agire, però certamente e una legge buona, ampiamente comprensiva di tutte le esigenze presenti nella comunità, ma soprattutto è una legge in cui l'apriorismo ideologico che voi ci rimproverate, ma che io a questo punto comincio a rimproverare a voi per il vostro tipo di battaglia, non c'è più la legge dà concretamente alle scuole materne, private o no, le stesse forme di contributo e le dà anche alle altre scuole, dalle elementari alle medie e quando dico che le dà, invito ancora una volta a leggere il disposto degli articoli... Ma vi rivelerò un fatto che mi è successo proprio durante la campagna elettorale: ricordate che della legge se n'è parlato molto, l'avete proposto come grosso argomento e in due o tre dibattiti pubblici ho incontrato dei cittadini D.C. da me conosciuti, che correttamente mi hanno posto domande sulla legge (in certi posti l'oratore D.C. aveva ovviamente sostenuto che la legge ha quelle caratteristiche, che oggi Bianchi diceva in maniera molto più elegante, di attacco al pluralismo ecc, ). Ebbene io non ho fatto altro che prendere le copie della legge che avevo con me, ho spiegato quali erano secondo me i criteri generali, gliele ho date invitandoli a leggerle; ebbene, più di uno ha avuto un atteggiamento perlomeno di sorpresa se non di adesione, per dire: ma come è stata fatta tutta questa battaglia, è stata definita la legge contro il pluralismo e leggo che per mio figlio che va alla scuola materna mi verranno dati i contributi per l'assistenza? Da queste argomentazioni occorrerebbe partire. Secondo me avete costruito questo castello formalmente molto forbito, capace di richiamare dei momenti di autentico dibattito culturale, però su cosa avete costruito questo castello? Sul fatto che nella nostra legge è stabilito un concetto di priorità che ho detto altre volte essere soprattutto la priorità in positivo quando le condizioni sono pari e come tale certo non lesiva e non discriminatoria di nessun interesse, ma punto di riferimento per l'Ente pubblico, questo mi pare il concetto, nell'erogazione da certi servizi o comunque dei suoi provvedimenti.
Non credo che dalle osservazioni del Governo, così come sono state fatte, sia ragionevolmente possibile ricavare dei grossi lumi, e mi pare che questo vada detto soprattutto in riferimento all'estrema contraddittorietà delle osservazioni che riguardano il ruolo dei Comuni che poi non vengono neanche praticamente ricordati, ma soprattutto dei Distretti e degli organi collegiali.
Per quanto riguarda il primo punto, cioè quello dei rapporti conte scuole private, mi pare che al di là di un affermazione generale e certo condivisibile che il servizio si riferisce all'alunno, però poi la specificazione del come, le norme non discriminano affatto, ma sono in contrasto con gli artt. 3, 33 e 34. D'altra parte anche voi nella fase di elaborazione della legge, nella fase soprattutto che ha visto le parti più sollecite, anche culturalmente, a una discussione da parte vostra, si è arrivati ad un punto in cui, nei riguardi delle scuole pubbliche, come elemento di criterio, noi stabilivamo quello della retta che per voi era se non ricordo male, scuole non speculative. Mi pare perciò che in buona sostanza volevamo la stessa cosa e che dalla parte vostra ci fosse stata una sollecitazione che io ho colto in modo estremamente positivo, cioè quella che tutti gli alunni che chiaramente fuoriescono da stati di bisogno e di necessità non possono essere classificati tra i soggetti destinatari delle norme di assistenza scolastica. Questo lo avevate messo anche voi e non si può oggi dire: create delle condizioni esterne all'individuo, solo all'individuo, certo, è l'individuo il destinatario dei servizi, nella legge per i trasporti e per la mensa è chiarissimo, si vuole però riportare ad un momento di specificazione e noi non abbiamo in mano la retta base giusta, però questo è un criterio fondamentale che anche voi accettavate.
La discriminazione quindi non c'è, c'è questa priorità e c'è questo rimandare ad un momento di specificazione corretta che anche voi avete accolto, la destinazione generalizzata dei fondi dell'assistenza scolastica.
Ho colto nell'intervento di Alberton (scusate se sono un po' disordinato) molti elementi specialmente nella seconda parte, elementi molto ricchi e mi fa anche piacere dirlo perché mi pare che Alberton abbia voluto accentuare certi punti interrogativi chiamando tutti a una riflessione su certi concetti non così scontati: penso che sia un campo da approfondire Alberton mi pare dicesse ad un certo momento occorre che anche la realtà della scuola privata venga ricuperata ad un fine sociale, di destinazione sociale e quindi occorre che le leggi che facciamo non accentuino il momento di privatizzazione. Questo è molto giusto come indirizzo e mi fa piacere dirlo dai banchi di un altro partito, di un partito che non è la D.C. che non è il partito di Alberton, però mi chiedo Alberton, se non è forse vero che questa esigenza di non privatizzazione ma di ricupero al sociale anche delle strutture che pubbliche non sono, e maggiormente garantita da una legge che pone in un rapporto, certo dialettico, ma estremamente fattivo di future collaborazioni, la scuola privata con l'Ente locale.
Quando parliamo di non privatizzazione, quando parliamo di scuole materne che dovrebbero legarsi in convenzione con il Comune, e quindi stabilire questo tramite con la società esterna, secondo noi corriamo uno dei rischi più profondi che tutti conosciamo bene, di quel doppio binario di quella separazione fra scuola privata e scuola pubblica che ha fatto oggettivamente del male alle nostre strutture scolastiche. Certo non privatizzarle, farle evolvere verso un fine sociale, ma questa è la nostra considerazione, Alberton, questo è il nostro argomento di forza. Quando diciamo che il nostro è un pluralismo correttamente inteso, intendiamo che quelle realtà devono continuare a sussistere, devono trovarsi come punto di riferimento dell'azione pubblica, in un rapporto corretto con le strutture pubbliche esistenti, ma poi soprattutto in una fase di evoluzione dinamica delle stesse strutture private verso il sociale.
E allora parliamo di criteri sociali, come possono essere appunto le rette, parliamo di promozione di organi collegiali per il governo democratico della scuola, parliamo soprattutto di rapporto con gli Enti locali. Io ho sentito anche da voi lodare giustamente la funzione che possono avere gli Enti locali, ebbene, anche in questo campo un rapporto di questo tipo avvicina profondamente la scuola privata, che deve evolversi in senso sociale, a quella che sociale è per struttura, per definizione, a quella che soprattutto ha dalla cura di interessi generali l'ottica pluralistica che secondo me ci garantisce il meglio.
Non penso di poter fare molte altre considerazioni. Sulle borse di studio mi pare che la soluzione adottata dalla Giunta, con l'emendamento sia quanto mai corretta, sia rispondente alla lettera ed anche allo spinto della Costituzione che non credo voglia esprimere nelle borse di studio l'unica forma di intervento, ma che invece fascia un ventaglio purché ci siano certe modalità e certi riferimenti. Fra l'altro io penso che anche in voi sia presente la preoccupazione di un ruolo un po' vecchio che hanno avuto le borse di studio. Voi dite di no, lo stesso vostro stanziamento era ridotto, c'è tutta una fase culturale di elaborazione su questi sistemi noi abbiamo ritenuto che la forma che garantisce meglio non fosse solo la borsa di studio, ma fosse una forma di sussidi che con gli emendamenti diventano criteri assegnabili secondo modalità di concorso pubblico.
Ultima è la considerazione fatta dal Consigliere Oberto, ma prima di lui si sono premurati di farla altri, ed è la famosa posizione del Senatore Bufalini del nostro partito sulla legge.
Io ho avuto fa fortuna di sentire per radio, mentre venivo in macchina a Torino, questa intervista e quindi posso riferirla nella sua integrità.
Questa intervista mi aveva colpito per la dimostrazione di cattiva coscienza, di profonda malafede e secondo me del riecheggiare di un'impostazione che si è avuta anche in Piemonte, da parte dell'intervistatore, il giornalista Zeglio, il quale ha chiesto a Bufalini: "Lei sa che la legge del Piemonte, la legge Fiorini, non da soldi alle scuole private?". Cioè la domanda non era: come giudica questa legge e prima di tutto conosce questa legge? Voi capite che un tipo di impostazione del genere è proprio quello che è stato forzato in tanti casi e che e profondamente sbagliato e su cui anche voi ritengo abbiate ben poco da guadagnare.
Io ritengo che questa legge, che è buona, che non è discriminatoria che rispetta un pluralismo correttamente inteso dando un segno di priorità alla scuola pubblica, sia una legge su cui sono possibili molti e molti approfondimenti. La vostra parte politica stamattina ha fatto una serie di interventi tutti ascoltati con la massima attenzione e serietà e tutti più o meno ricchi di impostazioni su cui vale sempre, secondo me, la pena di riflettere. Però tutti dobbiamo raffrontarci su questa legge, fare un confronto concreto, non delle fughe in avanti o in alto, dietro ad alate impostazioni che secondo me servono poco per approfondire queste cose.
E permettetemi di concludere con profonda tristezza, perché mentre nel Gruppo D.C. ho riconosciuto meriti ed errori nell'impostazione, devo dire di non capire (o forse lo capisco ma non me ne spiego le ragioni) l'atteggiamento del PRI che di fronte a questa legge e di fronte anche alla debolezza intrinseca delle argomentazioni del Governo riguardanti la parte che al Gruppo repubblicano stava molto a cuore (rapporti con gli organi collegiali e distretto) non ha trovato in questa sede l'opportunità di riconoscere che quello che poteva essere un momento spiegabile, almeno allora, non lo è più oggi, perché oggi si tratta soprattutto di esprimere una volontà, certo di approfondire i meccanismi, ma anche di dar corpo a questa legge che ha avuto delle osservazioni (che io ritengo confuse) dal Governo, su cui però c'erano degli elementi di realtà. Mi pare che la dimostrazione della Giunta che ha cercato di fare degli emendamenti che hanno rispettato integralmente la sostanza di una legge che era, ed è buona, mentre ha invece spostato l'attenzione su alcuni elementi formali che andavano verificati, avrebbe dovuto portare, per lo meno i gruppi che si dichiarano laici, a riconoscere la bontà di questa impostazione e quindi a non dare ancora una volta un voto contrario che con tutte le distinzioni possibili è pur sempre un voto che va a traino di un'impostazione che non credo sia la vostra e che invece molto più legittimamente può essere del Gruppo D.C.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Rossotto.



ROSSOTTO Carlo Felice

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, l'unicità della persona che fa parte poi del Gruppo che io rappresento, mi aveva suggerito di intervenire soltanto in sede di dichiarazione di voto e quindi vorrei, intervenendo a questo punto per richiamare il concetto generale, pregare di consentirmi le due fasi, una di valutazione in sede di dichiarazione di voto e un'altra per richiamarmi a quelli che erano stati gli atteggiamenti tenuti, su dichiarazioni generali, in occasione dell'approvazione del disegno di legge che è ritornato con le osservazioni del Commissario di Governo, il 25 maggio.
Mi pare che sul punto fondamentale, qualificante, di carattere prioritario, che con il disegno di legge la maggioranza aveva presentato le interpretazioni negative dei concetti di libertà fondamentale e di pluralismo che gli si è voluto dare attraverso le impugnazioni del Commissario di Governo, non tengono perché proprio la realtà regionale italiana sta dimostrando come su questa situazione che stiamo esaminando esistono precedenti completamenti diversi l'uno dall'altro che possono trarre origine, attraverso il pluralismo, dai gradi culturali, dal tipo di dibattito, dall'evoluzione di situazioni sociali ed economiche nelle varie Regioni. Noi sappiamo come è stato affrontato il dibattito nella Regione Emilia Romagna, come con forse maggiore saggezza, o forse per la situazione esistente in loco, sia stato affrontato e risolto in Umbria e questa mattina il collega Bianchi ha ricordato (in ogni dibattito si possono apprendere da parte degli avversari anche dei particolari che possono ulteriormente approfondire fa conoscenza della materia) come la Regione Toscana - che indubbiamente aveva detto in maniera più netta cose che il disegno di legge della Regione Piemonte non ha affermato - abbia impugnato l'incostituzionalità e sia stato dichiarato invece perfettamente costituzionale.



BIANCHI Adriano

Aveva respinto l'impugnazione.



ROSSOTTO Carlo Felice

Che una Corte Costituzionale sia limitata ad un giudizio prettamente formale non entrando nel merito ma fermandosi soltanto sui termini procedurali, è estremamente grave, che garanzia di tutela di eventuali lesioni dei principi di libertà abbiamo? Evidentemente è stato il Governo a venir meno a certe sue funzioni procedurali e forse in questa maniera ha voluto evitare il giudizio della Corte Costituzionale nel merito. Se realmente si è convinti che questi tipi di disegni di legge rappresentano l'inizio della distruzione sempre più blanda, ma effettiva dei principi di libertà garantiti dalla Costituzione, il Governo - che ancora si atteggiava a quelle difese dei principi di libertà di cui si faceva vanto il collega Oberto - non ha saputo funzionare di fronte al massimo organo perché ha lasciato cadere, per motivi procedurali, questa impugnazione. Questa è la realtà, quindi non è così drammatica la situazione su questi temi. E allora il problema di fondo qual è? E' quello del carattere prioritario dei nostri interventi a favore delta scuola pubblica, questo è il principio sul quale si sta realmente dibattendo il grosso tema politico. Valuteremo poi, dopo l'esame degli emendamenti presentati dalla Giunta, se dal punto di vista tecnico sussistono questi dubbi e se sussiste una situazione di pericolo.
Indubbiamente, a mio parere, fa possibilità che tutti possano scegliere liberamente il tipo di cultura che desiderano assimilare non viene posta assolutamente in pericolo dal fatto che il potere legislativo dia priorità ad un certo tipo di indirizzo. Infinitamente più grave sarebbe voler equiparare in tutto e per tutto a quelle pubbliche certe strutture che pubbliche non sono: ciò comporterebbe la possibilità di interventi di condizionamento dall'esterno anche sugli istituti privati nati spontaneamente. Se si contrasta la scelta prioritaria a favore della scuola pubblica, che l'autorità che ha il potere politico e la capacità legislativa può decidere, entro i limiti ed alle condizioni dettate dalla Corte Costituzionale, per ammettere la scuola privata a beneficiare di tutte le agevolazioni che la realtà nel suo pluralismo offre, si finisce con il creare ad essa per il futuro dei vincoli, dei condizionamenti. Mi pare che sarebbe estremamente opportuno riflettere anche su questo, nel momento in cui si fanno denunce di carattere generale.
Avendo incentrato il mio intervento nel primo dibattito svoltosi in sede consiliare su questa legge sia sui termini di validità della scelta prioritaria, sia sull'idoneità del soggetto del decentramento (sul che mi pare che l'osservazione del Commissario di Governo non tocchi la sostanza del problema) identificato negli enti locali, credo di poter dire, a conclusione di questo dibattito, approfondito, equilibrato, anche se in certi momenti ci si è richiamati a concetti che vanno molto oltre il contenuto effettivo del disegno di legge, con tutta serenità, che le libertà costituzionali non vengono in alcun modo lese né con la precedente né con l'attuale stesura della legge. Ho molti dubbi sulla validità delle motivazioni con cui il Governo ci chiede di modificare il testo, tanto più in considerazione del fatto che lo stesso tipo di Governo ha lasciato cadere l'occasione di precisare inequivocabilmente se un certo tipo di impostazione legislativa regionale, verso il quale la nostra Regione si è indirizzata, sia da considerare veramente lesivo dei principi di libertà costituzionale dei cittadini, non prendendo chiara posizione nei riguardi della decisione assunta da una grande maggioranza dei rappresentanti di cittadini aperti, evoluti, di quelli (intendo parlare della popolazione della Regione Toscana) che maggiormente hanno mostrato, nella loro storia secolare, di coltivare il gusto dei valori di libertà, di pluralismo, di dibattito nelle loro componenti, anche se in certi momenti, in passato e forse anche ora, sono apparsi eccessivamente polemici fra di loro. Gli appunti del Governo di violazione costituzionale, dicevo, non mi pare trovino fondamento, ad un più approfondito esame, e pertanto, secondo me si devono considerare ancor oggi validi, anche se verifiche sono possibili nella espressione letterale, i principi informatori di novità indubbia contenuti nella legge. Si tratta di una scelta politica effettuata da forze responsabili e coerenti con certi principi storici e culturali. Questo disegno di legge è, a mio modo di vedere, perfettamente rispondente secondo la mia componente politica, a quei canoni fondamentali di libertà al cui rispetto intendo rimanere sempre rigidamente fedele, pronto ad intervenire quando possano venire violati o soltanto messi in forse.



PRESIDENTE

Non vi sono più Consiglieri iscritti a parlare.
L'Assessore Fiorini vuol brevemente replicare? Ne ha facoltà.



FIORINI Fausto, Assessore all'istruzione ed assistenza scolastica

Devo dire che, come uomo di scuola, che nella scuola ha trascorso tanti anni, mi stupirei, se non conoscessi abbastanza bene i Colleghi che sono intervenuti, di sentir parlare in quest'aula di libertà nella scuola da quella parte, dopo che per tanti anni proprio ministri in carica di quello stesso partito hanno reso più difficile l'esercizio delle libertà all'interno delle strutture scolastiche.
Accettando per valido quanto ha detto il collega Oberto, che non contano tanto le opinioni personali ma quelle del Comitato centrale, dovrei dire che queste obiezioni non vengono dall'intero schieramento democristiano ma da alcune punte che possiamo definire "più avanzate" (se però prendo in esame il contenuto sostanziale delle obiezioni, ed in particolare l'osservazione del collega Bianchi che le obiezioni del Governo sono ancora insufficienti, sono tentato a modificare questa espressione).
In ogni caso, io ritengo che il problema della libertà sia il problema fondamentale che dobbiamo affrontare all'interno della scuola: libertà nella scuola pubblica, libertà nella scuola privata. Ha senso il pluralismo se c'è libertà, in entrambe le scuole; ha senso il pluralismo - quindi, non come una sorta di lottizzazione di compiti, per cui all'uno si pu appaltare questo servizio, all'altro quest'altro - nella misura in cui ci sia una garanzia di libertà all'interno della scuola. Il pluralismo è auspicabile, accettabile - esiste pluralismo anche all'interno degli schieramenti politici, ed esiste un pluralismo culturale anche in partiti tradizionalmente considerati monolitici, ammesso apertamente -. Noi non siamo certamente insensibili alle istanze di pluralismo all'interno del Paese, che sia però pluralismo di istituzioni ma soprattutto pluralismo nelle istituzioni, in quanto libertà di espressione nelle istituzioni.
Desidero fare a questo proposito una semplice, marginale osservazione.
Nelle scuole private le assunzioni vengono fatte in modo unilaterale, non sulla base di un criterio che faccia si che all'interno di esse possano esser presenti tutte le componenti, e questa è già di per sé stessa una limitazione al criterio che noi riteniamo valido per una società che sia veramente pluralistica. Pertanto non possiamo non considerare questo tipo di scuola come una scuola in cui, se non altro, il controllo sul livello di libertà è meno semplice che non in quella statale, ove già è così difficile.
Per questo motivo io ritengo che, nell'ambito di una scelta che si pu fare, che si deve fare, l'amministratore pubblico abbia il diritto di dire: noi, in quanto amministratori della cosa pubblica, abbiamo l'obbligo, in ogni caso, di privilegiare la scuola statale, cioè di fare in modo che questa scuola statale, come diceva il collega Marchini, sia posta nelle migliori condizioni - ambientali, sociali - per poter funzionare egregiamente e quindi per sostenere la concorrenza con qualsiasi altra scuola, che altrimenti si avvantaggerebbe delle sue carenze.
Noi accordiamo priorità alla scuola statale, ma non escludiamo altri tipi di scuola.



VIETTI Anna Maria

La scuola superiore.



FIORINI Fausto, Assessore all'istruzione ed assistenza scolastica

Per la scuola superiore il discorso è diverso. E' l'estrema carenza di fondi che ci costringe a scegliere, ed allora le scelte vengono fatte secondo quel criterio che dicevo poco fa. La stessa legislazione statale in molti casi privilegia gli alunni che frequentano le scuole statali; ad esempIo, se non vado errato, per i patronati. Non vedo perché non dovremmo aver diritto di fare altrettanto noi, utilizzando fondi, tra l'altro,regionali, e farlo con larghezza di vedute. Io condivido quanto diceva poc'anzi il collega Bontempi: non c'è una vera e propria discriminazione, in questo caso, c'è soltanto un ordine di priorità; quando le risorse sono limitate bisogna fissare dei criteri di priorità, e noi li abbiamo stabiliti in questo senso.
Per ciò che riguarda, poi, l'assenza di un corpus iuris, lamentata giustamente dal collega Bianchi, così come il collega Oberto lamentava l'assenza di una commissione paritetica con i Episcopato, faccio presente che è una situazione che noi abbiamo ereditato. Siamo al governo della Regione da un anno soltanto e credo che in queste direzioni avremo molto da fare a partire dall'autunno, soprattutto se il Governo si deciderà a fare quel che da anni deve fare, cioè varare una legge quadro ed effettuare la riforma della scuola. Per quel che riguarda la Commissione episcopale credo che noi non avremmo mente in contrario a tenere incontri periodici su questi temi e credo che la cosa sarebbe estremamente utile anche per una migliore comprensione di queste cose.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Il fatto è che forse sono loro stessi a non volerlo.



FIORINI Fausto, Assessore all'istruzione ed assistenza scolastica

Questo può anche esser vero.
Veniamo al problema delle borse di studio. Noi non sopprimiamo le borse di studio, ma adottiamo un criterio diverso. Con verifica pubblica noi divideremo le disponibilità fra tutti coloro che hanno bisogno di essere aiutati: cercheremo di dare il più possibile di servizi, ma anche erogazioni, quando ve ne sia effettiva necessità. Si tratta di stabilire i criteri: dovremo studiarti insieme e suggerli agli organismi componenti.
Per ciò che riguarda, infine, la presunta utilizzazione degli organismi collegiali da parte dei Comuni, non si tratta affatto di utilizzazione ma semplicemente della libertà di mettere in rapporto costante questi organismi con la realtà comunale. Il Comune non ha su questi organismi altro potere all'infuori di quello di distribuire, entro limiti molto ristretti, in misura maggiore o minore, i sussidi didattici alle diverse scuole. In questo senso c'è quindi un rapporto che noi riteniamo valido in quanto avvicina maggiormente la scuola ai problemi della società, a quei problemi che la scuola dovrebbe affrontare per poter superare le difficoltà in cui attualmente si dibatte.
Ritengo, quindi, che gli emendamenti che noi presentiamo, che non modificano l'essenza della legge ma tendono a venire incontro alle esigenze manifestate dal Governo, per evitare un inutile braccio di ferro e favorire lo sblocco della situazione in cui ci si potrebbe trovare qualora non si arrivasse ad una conclusione, possano, debbano essere accettati.
Ho già detto che la delega ai Comuni non significa utilizzazione da parte di Comuni degli organismi collegiali ma è intesa ad una loro sensibilizzazione ai problemi, vero che molti Comuni sono estranei a questi problemi, ma la realtà globale che il Comune è chiamato a conoscere e ad affrontare è quella realtà che manca alla scuola, così come al Comune a volte manca la realtà scolastica. Dal rapporto tra questi due organismi potrà derivare un miglioramento sia della funzione dei Comuni sia anche degli organismi collegiali.
Escludo, signora Castagnone, che le more della legge abbiano ritardato finanziamenti precedenti: questo si è avuto perché il bilancio è stato approvato tardi, e quindi il motivo è un altro, cioè c'è stato un ritardo com'è a tutti noto, di quattro mesi, per cui una somma non è stata resa disponibile per questi tipi di finanziamento. Escludo non soltanto che abbiano tardato, ma che ritardino in seguito. La legge, anzi, è stata studiata proprio con l'intento di abbreviare i tempi, di mettere a disposizione dei Comuni con molta maggiore celerità le somme, facendo in modo che i Comuni, se non si sentono in grado di operare direttamente possano utilizzare gli stessi Uffici della Regione, come già avveniva in precedenza, per accreditare in conto corrente alle scuole quanto loro spetta. Quindi, in questo caso si avrebbe non un finanziamento da parte del Comune ma semplicemente delle indicazioni sulla somma da attribuire ai singoli organismi scolastici, operazione che potrebbe essere fatta direttamente dalla Regione.
A conclusione di questi chiarimenti, invito i Colleghi a dare la loro approvazione ai singoli emendamenti.



PRESIDENTE

Mi sembra sia opportuno, signori Consiglieri, fare il punto sulla situazione. Terminato questo dibattito, che è stato serio ed approfondito suggerisco di sospendere ora la seduta per riprendere i lavori puntualmente alle ore 15, come previsto. Un quarto d'ora prima, cioè alle ore 14,45 propongo un incontro fra i Capigruppo per addivenire ad un accordo circa il successivo svolgimento dei lavori, al fine di garantire la trattazione del maggior numero dei punti iscritti all'ordine del giorno, che siano pronti per l'esame del Consiglio, evitando perdite di tempo per questioni procedurali.
Vi sono obiezioni a quanto ho proposto? Allora, la seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 12,30)



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