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Dettaglio seduta n.54 del 24/05/76 - Legislatura n. II - Sedute dal 16 giugno 1975 al 8 giugno 1980

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SANLORENZO


Argomento: Diritto allo studio - Assistenza scolastica

Esame progetti di legge n. 82 bis e n. 83 relativi ad "Interventi regionali per favorire il diritto allo studio" (seguito)


PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Cardinali. Ne ha facoltà.



CARDINALI Giulio

Come sempre, signor Presidente, ho il privilegio di parlare a pochi intimi, che starebbero forse meglio raccolti in uno scompartimento di vagone ferroviario che in un'aula di Consiglio regionale. Ma penso che ci non abbia soverchia importanza, in quanto è evidente che, parlando io a nome del mio Gruppo, quello che conta è ciò che rimarrà agli atti. D'altra parte, sono presenti i più diretti interessati: il relatore di minoranza il relatore di maggioranza, anche se non è ancora entrata in aula, e l'Assessore...



PRESIDENTE

Appunto in considerazione della loro presenza abbiamo dato avvio alla seduta.



CARDINALI Giulio

. per cui direi che non ho motivo di preoccuparmi.
Premetto che non competeva a me svolgere questo intervento, non facendo io parte della III Commissione ed avendo incaricato un compagno esperto a trattare l'argomento, e che quindi mi troverò a dover forse un tantino improvvisare, anche se obiettivamente non mi intratterrò sul piano specifico di ogni singolo articolo ma resterò su un piano generale di carattere politico sul quale penso tutti mi intenderanno.
Credo di essere stato il solo Consigliere del mio Gruppo a sollevare alcune perplessità, direi anche vistose, nel momento in cui ebbe avvio questo tipo di attività della nostra Regione, quando ancora c'era la Giunta Calleri. Allora l'intervento riguardava l'utilizzo di 4 miliardi, se non erro, per la fornitura gratuita di libri, in una specie di rincorsa fra il partito di maggioranza, che aveva responsabilità della Giunta, e il partito di opposizione, che tendevano ad essere ciascuno primo a proporre qualcosa in questo senso. Dissi allora che le mie perplessità nascevano soprattutto dal fatto che ci si accingeva a prendere una serie di provvedimenti implicanti finanziamenti da parte della Regione senza avere una organica visione del problema generale, e soprattutto segnalai che il problema stesso implicava una serie di razionalizzazioni che avrebbero, a mio modo di vedere - lo dissi allora - implicato un discorso ben più vasto.
Si diede inizio, tuttavia, allora a questo tipo di attività, e si tradusse poi nella legge 27, la quale, ad onor del vero, nonostante le sue difficoltà di applicazione, è stata una legge che ha consentito di intervenire. Si è trattato di interventi che hanno purtroppo gravato sulla burocrazia regionale, che sono avvenuti in qualche modo, in fase evidentemente sperimentale. Ricordo che l'allora Assessore Borando riconobbe l' inadeguatezza di questo tipo di strumento, inadeguatezza che emerse anche nel momento in cui rifinanziammo la legge alla vigilia dello scadimento della legislatura.
Oggi ci troviamo di fronte ad una proposta di legge che tende a razionalizzare gli interventi, e, anticipando una prospettiva, fa riferimento al diritto allo studio più che alla semplice erogazione di contributi regionali. Anche se l'entità della cifra che viene erogata, a mio modo di vedere, si colloca in termini di ambizione e di indirizzo, più che in termini di concreta attuazione di questo principio, debbo dire subito che una legge di razionalizzazione della legge 27 era attesa, e certamente, mi pare, era emersa in diversi dibattiti, ed era anche auspicata da tutte le parti, non fosse altro che per alleggerire la burocrazia regionale di un compito che l'esperienza aveva dimostrato essere non superiore alle possibilità della Regione ma certamente di gran lunga impacciante rispetto ad uno sveltimento delle procedure di applicazione della legge stessa.
La prima proposta della legge regionale, la legge n. 82, che non è oggi in discussione, poiché stiamo discutendo sulla 82 bis, aveva alcuni elementi che da parte del mio Gruppo sarebbero stati certamente accolti mentre altri avevano sollevato notevoli perplessità. E non in merito ad un principio di carattere generale, sul quale, credo, un partito come quello che rappresento non ha certamente posizioni ambigue, ma su un piano di attuazione pratica che, se mi consentono i colleghi della maggioranza derivava soprattutto dal fatto che la legge si presentava come una modifica della legge preesistente, e quindi aveva da questo punto di vista la necessità di operare in un contesto che già aveva evidentemente creato non solo aspettative ma interventi diretti.
Da questo punto di vista, quale che fosse la nostra posizione di carattere di principio, quale che sia evidentemente il privilegio che noi diamo ad un indirizzo laico di intervento anche a livello di questo tipo di attuazione, non ci sembrava assolutamente possibile che si ignorasse la presenza, nel contesto soprattutto piemontese, di una serie di iniziative di attività di carattere scolastico a tutti i livelli, che aveva certamente un peso notevole e che ne avrebbe avuti e avrebbe continuato ad averne anche in prosieguo di tempo.
Le consultazioni che sono state tenute sulla legge 82, sulla proposta e sulle linee di indicazione, hanno fatto emergere questo concetto, in merito al quale noi vogliamo quindi ben chiarire che non si tratta, da parte nostra, di cercar di mantenere comunque una valutazione che attribuisca alla scuola pubblica ed alla scuola privata analoghe caratteristiche ed analoghe prospettive per il futuro ma che certamente riconosca l'operatività nell'immediato di un vasto settore della scuola privata del quale non è possibile fare a meno. Non faremo neanche la disputa se la Costituzione consenta o meno di intervenire in questo senso. Certo è che rovesciando il criterio - come mi pare abbia detto, del resto, questa mattina il Consigliere Alasia -, noi possiamo ritenere che, per quanto ha attinenza al diritto allo studio di ogni singolo, la Costituzione è certamente univoca nel garantirlo. La garanzia, semmai, di sussistenza di scuole private affiancate o sostitutive, per la carenza degli organi pubblici, delle scuole statali, costituisce un fatto, allo stato attuale della situazione, ancora indispensabile, ma non certo finalizzabile da un punto di vista operativo di un ente pubblico. Quindi, il nostro punto di vista, sotto questo aspetto, è molto chiaro: noi siamo per una scuola statale, siamo per una scuola laica, siamo per una scuola che non diventi una scuola di predicazione ideologica ma rappresenti e trovi al proprio interno una espressione pluralistica sia di indirizzi sia di dottrine atta a consentire la sua migliore evoluzione.
Detto questo, ripeto, la realtà entro cui operavamo ci avrebbe certamente fatto assumere posizione contraria alla approvazione di una legge come la 82. Oggi che è stata proposta dalla stessa Giunta una legge 82 bis, con la quale questa preoccupazione di fondo è stata obiettivamente eliminata, anche se traspare tra le righe, ovviamente, la preoccupazione dell'iniziativa della Giunta non dico di concedere troppo ma di scivolare su un terreno che non le è evidentemente congeniale, mi pare che l'ostacolo fondamentale possa considerarsi superato.
Resta il problema di una disputa generale, che questa mattina, in termini molto brillanti, è stata portata avanti dalla collega Vietti, ma che obiettivamente non riguarda la mia parte politica, perché, mentre riconosco la validità di certi argomenti, non posso sposare una tesi che non è certo la nostra e nella quale certamente neanche in futuro noi potremmo convergere.
Mi chiedevo questa mattina, mentre seguivo il dibattito, se in una situazione analoga, in un Paese qualsiasi, come l'Olanda, la Danimarca, la stessa Inghilterra, la Norvegia, la Svezia, avrebbe avuto senso una discussione come quella che si stava svolgendo, visto che in questi Stati la classificazione e la definizione dei compiti statali in tema di educazione e in tema di istruzione sono ben definiti e rigorosamente affermati, al di fuori di compiti e di dispute che là non hanno evidentemente alcun motivo d'essere.
Nel nostro Paese, invece, c'è una certa validità in talune argomentazioni, così come ho riscontrato un notevole grado di validità in alcune affermazioni fatte dalla collega Soldano e riportate nella sua relazione di minoranza, per quello che riguarda i contatti con i nuovi istituti della scuola. Sotto questo aspetto vorrei sollevare una ragione di fondo che motiverà sostanzialmente il nostro atteggiamento nei confronti di questo disegno di legge della Giunta. Riconosco la validità degli indirizzi di fondo di questa legge. Ritengo che mentre essa ha certamente tutto un settore di applicazione immediata che ci trova ampiamente consenzienti ipotizza tutta una possibilità a venire legata ad un indirizzo che noi non dico che non approviamo ma che riteniamo debba essere del tutto sperimentale. E poiché nella legge questo indirizzo viene anticipato con il riferimento che è emerso anche in altre consultazioni, per esempio per quello che riguarda le circoscrizioni sanitarie, relative alle finalizzazioni destinate alle unità locali di tipo sociale e sanitario, io pur non escludendo che questa ipotesi venga da noi valutata ed approvata ritengo che nell'immediato questa legge rappresenti un settore tutto da sperimentare, al quale evidentemente non è possibile da parte nostra dare immediatamente un deciso avallo in senso positivo, come certamente avremmo voluto fare se la legge fosse stata mantenuta nei limiti di una operatività locale.
Certo è che l'ente locale, che se ne dica, è l'unico qualificato ed abilitato ad agire in termini generali, non soltanto per la sua collocazione sul territorio ma per obiettiva validità circoscrizionale e soprattutto per obiettiva validità di rappresentanza. Direi che qualsiasi delega noi diamo all'ente locale è certamente giusta e valida. In questo senso non si sbaglia mai. Forse dall'insieme del dibattito potrà emergere la possibilità di una maggiore valorizzazione di alcuni organismi scolastici. Ritengo che ad essi possa essere obiettivamente mantenuta l'autonomia intrinseca per quel che riguarda il funzionamento all'interno di ciascun plesso di carattere scolastico, ma non ritengo si possa, nel caso di una legge come questa, in cui si opera attraverso fondi regionali che vengono stanziati con determinate finalità, concedere una autonomia successiva senza possibilità di controllo o senza una precisa linea di indirizzo.
Ho voluto esporre questi concetti, nonostante la mia scarsa familiarità con l'argomento per quello che riguarda i fatti specifici, conscio per che, sul piano dei principi generali, le valutazioni di fondo che ho illustrato non sono frutto di improvvisazione, di una analisi del momento ma rispecchiano la linea di indirizzo del partito che ho l'onore di rappresentare.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Borando. Ne ha facoltà.



BORANDO Carlo

Signor Presidente, signori Consiglieri, ho ritenuto di dover intervenire su un argomento tanto importante, che si conclude oggi in aula dopo una serie di discussioni fatte in III Commissione, precedute dalle cosiddette consultazioni che sono state svolte con dovizia di tempo e di mezzi dalla Regione, cosa che ho vivamente apprezzato.
Le consultazioni ci hanno consentito di rilevare caso per caso quali fossero gli intendimenti dei vari protagonisti del mondo della scuola: vi hanno partecipato enti locali, singoli, associati, genitori, rappresentanti di scuole cosiddette pubbliche e cosiddette private.
Sento di dover fare subito una considerazione che mi è suggerita dall'intervento del collega Cardinali. Egli ha accennato che un dibattito come quello svoltosi qui questa mattina, in tema di rapporti fra scuole pubbliche e scuole private, non avrebbe, secondo lui, alcun senso in Inghilterra o in Svezia o in Belgio o in Olanda o negli altri Paesi cosiddetti dell'Europa occidentale. A dire il vero, se c'è un Paese in Europa che destina pochi soldi alle cosiddette scuole private, questo Paese è l'Italia. Forse anche perché, essendo considerato il nostro un Paese cattolico, ed essendo le scuole cosiddette private per lo più di origine religiosa - qualcuno l'ha definita confessionale -, allorché si scende su un terreno di questo genere, automaticamente ed istintivamente si determina una recrudescenza del sospetto reciproco che le private, proprio per la loro natura, vogliano avocare a sé dei meriti che le pubbliche non hanno e le pubbliche vogliano invece fare la stessa cosa nei confronti delle private. E' bene che si sappia che in Italia destiniamo neanche il 5% dei fondi del Ministero della Pubblica Istruzione - che non sono pochi, poi parleremo anche di questo - alle scuole private, mentre percentuali ben più elevate, che oscillano fra il 12 e il 20%, vengono destinate da Paesi come la Germania, il Belgio, l'Olanda, l'Inghilterra e la Francia.
Ho rilevato, in occasione di questa consultazione, che l'Italia, data l'entità dei fondi che destina alla scuola, dovrebbe essere il Paese ove si studia più che in qualsiasi altro del mondo. Non c'è infatti alcun altro Paese al mondo che destini un sesto del bilancio dello Stato (circa 5500 miliardi) al Ministero della Pubblica Istruzione. Una tale dovizia di mezzi dovrebbe consentire una erudizione generale senza confini, e quindi quel diritto allo studio che noi invochiamo dovrebbe essere largamente consentito. In realtà, così non è, perché di questi 5500 miliardi la bellezza del 92-93 per cento vengono utilizzati per pagare 760-770 mila insegnanti impegnati nella scuola italiana. Resta da stabilire se siano necessari veramente tanti insegnanti, se il tempo che ciascuno di essi dedica alla scuola e all'attività didattica sia veramente proporzionato al suo guadagno, e se non sia il caso di razionalizzare questo sistema, nel senso che lo Stato demandi alle Regioni, visto che alle Regioni è stato attribuito il compito di provvedere all'assistenza scolastica, una maggiore quantità di mezzi perché possano essere più utilmente e più razionalmente utilizzati.
Ma ho preso la parola su un tema tanto importante non per polemizzare come potrebbe far pensare la presentazione degli emendamenti, e per ripetere cose già ripetutamente dette e sviluppate ampiamente nel corso delle consultazioni prima ed in una serie infinita di riunioni della III Commissione poi. Ritengo di avere il diritto-dovere di far rilevare ancora una volta che la precedente legge, qualche volta a torto tanto vituperata aveva rappresentato una tappa importante nel settore delle iniziative che la Regione aveva assunto in fatto di assistenza nel mondo della scuola. Del resto, debbo convenire che gli estensori della legge oggi oggetto di discussione in questo consesso hanno anche riconosciuto la bontà della precedente iniziativa, ritenendo peraltro che, alla luce delle esperienze acquisite, alcune particolari impostazioni avessero necessità di essere rivedute; e infatti ci siamo trovati e abbiamo discusso di questo.
La precedente legge prevedeva, in linea di massima, l'erogazione di 10.350 milioni per l'assistenza scolastica svolta dai Comuni con le mense e i trasporti, l'assistenza psico-medico pedagogica, le scuole materne, vedi art. 5, pubbliche e private. L'assegnazione avveniva in un primo tempo in base ad una suddivisione aritmetica, e cioè per ogni voce tanti alunni tante unità, tanti soldi. La stessa precedente Amministrazione aveva ritenuto opportuno rivedere questo sistema, tant'è che aveva modificato il primitivo testo della legge 27 ponendo il problema della presentazione dei piani. E infatti questa suddivisione aritmetica avveniva su tutte le voci ad eccezione dell'art. 4, che prevedeva assegnazione di fondi alle scuole per l'assistenza psico-medico-pedagogica. Eravamo in attesa, come si ricorderà, della istituzione dei distretti scolastici, che non c'erano e che purtroppo non ci sono ancora oggi.
Questo sistema aveva avuto il pregio-difetto, quanto meno, di assegnare ad ogni Comune o scuola dell'obbligo una cifra fissa per ogni unità. Mi si consenta di dire che parecchie scuole ed Enti locali avevano avuto in quella occasione per la prima volta un aiuto tangibile e concreto, e che i riconoscimenti per la bontà dell'iniziativa erano stati numerosi e calorosi, Non v'è dubbio, però, che a fronte di coloro, invero molti, che si dichiararono moderatamente soddisfatti, vi furono parecchi rilievi per l'insufficienza dei finanziamenti destinati a far fronte a compiti così importanti e gravosi, specie per quanto interessava Comuni, singoli o associati. In definitiva, a trovarsi in difficoltà erano più di ogni altro i Comuni, e, lo ripeto ancora, singoli e associati (come singoli cito in particolare quelli di Torino e della cintura torinese, per gli associati mi riferisco in particolare alle cosiddette Comunità montane). Cioè, si era rilevato, e c'è da rilevare ancora oggi, che i cosiddetti poli estremisti della nostra Regione, là dove c'è stato un inurbamento molto forte, per cui le strutture non hanno potuto per quantità e qualità far seguito a questo aumento demografico, erano in difficoltà. Ricordo che i contatti quotidiani e più insistenti erano da farsi con il Comune di Torino e soprattutto con i Comuni della cintura torinese. L'amico e collega Rossi, che allora era.
Sindaco di uno di questi Comuni, lo sa bene e lo ricorda, per essere stato portatore ripetute volte di rivendicazioni in questo senso; e io non potevo dargli torto. Così come avveniva da parte delle cosiddette Comunità montane, là dove tutto era difficile, dal trasporto alle mense conseguenti ai trasporti, e dove valeva proprio il detto che bisogna prima vivere e poi filosofare, perché se non si riusciva a portare a scuola i ragazzi evidentemente ogni altro problema conseguente non poteva essere risolto.
Non v'è dubbio, però, che a fronte di coloro che si ritenevano soddisfatti, torno a ripetere, c'erano coloro che avevano sollevato obiezioni a non finire. Di qui, quindi, la necessità e l'opportunità di rivedere l'impostazione di alcune assegnazioni di fondi. Devo osservare a questo punto che i finanziamenti previsti per l'attuazione della nostra legge (mi riferisco a quella ora in discussione) non sono di tanto superiori a quelli della legge precedente, anzi, sono pressoché gli stessi.
Non starò a sofisticare su questo, poiché rifuggo per natura dalla demagogia; sarebbe facile, qui, proporre finanziamenti più cospicui per far fronte alle necessità che tutti conosciamo in questo settore. Tutti ci rendiamo conto delle immense necessità che la Regione ha in altri settori da quello economico all'assistenza in genere a quello ospedaliero: basta pensare agli enormi problemi da risolvere. Quindi, non si può qui sfuggire all'obbligo di far fuoco con la legna che c'è. Ecco perché in precedenza ho parlato della cospicuità dei fondi che lo Stato italiano destina alla Pubblica Istruzione, forse in maniera non proprio regionale.
Le Regioni, non potendo provvedere per conto proprio, hanno bisogno anche in questo settore di finanziamenti cospicui per poter applicare questa legge, dando delle deleghe non solo nominalistiche e non solo sulla carta. Non si potrebbe certo mai criticare un Sindaco, un amministratore un Assessore, un Presidente di istituto, domani un Presidente di distretto scolastico, che dicesse: deleghe e soldi. Io ricordo che mio nonno, quando gli si consigliava di fare una cosa, diceva sempre: "Ragazzo mio, metà pareri e metà soldi", perché dando soltanto dei pareri non si agevola certo la soluzione di un problema.
Il relatore Ariotti, questa mattina, in una sia pur garbata critica alla legge 27, ha parlato di frantumazione degli interventi. E' chiaro, il meccanismo impostato in quei modo non poteva essere diverso. Anche se è vero, però, sul piano pratico, che ognuno, proprio in relazione alla scarsità delle assegnazioni, sapeva di che male doveva morire. Ciò che oggi potrebbe non avvenire più - uso il condizionale -. Infatti, noi ci troviamo di fronte alla prospettiva di assegnazione di fondi sulla base di piani predisposti dagli interessati. Ciò, amici miei, comporterà l'applicazione di una assoluta onestà e serietà da parte di coloro che tali piani dovranno predisporre. Io invito la Giunta a richiamare agli estensori dei piani questo concetto. E, se mi si consente di dire, dirò anche se ciò comporterà onestà e serietà anche da parte di chi tali piani dovrà esaminare e soddisfare.
Avevo calcolato a suo tempo che per soddisfare tutte le esigenze della scuola nella nostra Regione erano, ed a maggior ragione sono oggi necessari almeno 30-35 miliardi. Ne abbiamo poco più di un terzo. Quindi come ci si regolerà? Non ho motivo per mettere in dubbio che l'azione della Giunta sarà improntata alla massima obiettività, ma è chiaro, però, che il sistema si presta inevitabilmente ad una riduzione aritmetica di ogni piano, commisurando i finanziamenti alle effettive disponibilità, o finanziando i piani con dei criteri discrezionali in riferimento a giudizi di merito che si vorranno attribuire alle varie situazioni locali di Comuni o di scuole che gli stessi presenteranno.
Ecco perché, senza avere la benché minima intenzione di formulare processi alle intenzioni, ho detto che ci vorrà molta serietà. Questo discorso, sia ben chiaro, varrebbe per tutti, quale che fosse il colore della Giunta, chiunque fosse il titolare dell'Assessorato alla Pubblica Istruzione. Lo faccio non perché voglia pensare a cose brutte, ma semplicemente perché il meccanismo è difficile da regolare e quindi meglio sarà regolato e maggiore sarà il merito di coloro che lo regoleranno.
Non mi dilungherò nel merito a parlare su argomenti specifici, che del resto sono stati fatti oggetto di emendamenti e sono stati considerati ampiamente da colleghi che hanno preso là parola questa mattina, dal relatore Soldano, dalla collega Vietti. Mi pare, però, opportuno sottolineare ciò che la collega Soldano ha già riferito nella sua relazione, e cioè l'opportunità che sia salvaguardata la personalità - uso questo termine fra virgolette - degli organi collegiali della scuola, a cui non debbono essere sottratte funzioni che lo spirito per cui furono istituiti assegna loro. Questa è la raccomandazione che faccio, anche se debbo riconoscere che la 82 bis è diversa dalla 82 perché molti di questi punti - e qui sottolineo ancora la validità delle consultazioni - sono stati recepiti. Rimangono alcuni problemi di principio che la Democrazia Cristiana e colleghi hanno sollevato, e che qui faccio miei. Però è evidente che lo spirito con cui vengono prospettati, se ad esso corrisponderà un consimile spirito che ne determini la valutazione e l'eventuale accoglimento, potrà essere tramite produttivo non indifferente per l'economia generale della politica che la Regione farà anche in questo settore esso pure importante per il servizio delle nostre comunità.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Alberton. Ne ha facoltà.



ALBERTON Ezio

Pongo innanzitutto una questione di metodo. Sia il Presidente della III Commissione, Alasia, sia i il Presidente della Giunta, Viglione, sono intervenuti, a commento della metodologia introdotta nella consultazione in relazione alla nostra richiesta di arrivare alla consultazione con un preciso articolato di legge. Ho riflettuto a lungo su questa questione, e devo riaffermare la convinzione che la consultazione sia stata più positiva proprio per il fatto di essere avvenuta su un testo articolato di legge invece che su mere enunciazioni di principio. Essendo questa una legge che non modifica tanto la quantità o la qualità dei servizi, ma le modalità di erogazione, la loro programmazione, l'organizzazione della partecipazione alle decisioni, essa ha per molti aspetti valore emblematico del progetto complessivo di società che si vuole organizzare, per i rapporti fra i diversi livelli, fra le diverse componenti. Questo, a mio parere, esaltava ed esalta il dovere delle forze politiche di presentarsi alle consultazioni non solo per raccogliere proposte ma per manifestare con chiarezza le proprie impostazioni. Questo, e non altro, crediamo sia il modo di governare. Qui, la ricerca di novità rischia di introdurre elementi di peggioramento, non di miglioramento.
E veniamo ad osservazioni di merito. Da qualche parte si è tentato di presentare l'opposizione della Democrazia Cristiana al progetto della Giunta solo e soprattutto in relazione al punto dei contributi agli alunni delle scuole non statali. Noi abbiamo invece fin dall'inizio criticato nella sua globalità il progetto 82, senza introdurre mai - di questo siamo lieti ci sia stato dato atto - elementi di ostruzionismo, ma privilegiando sempre il confronto chiaro, aperto, anche se duro, eventualmente; ma l'abbiamo criticato anche per il quadro di programmazione, gestione controllo complessivo delle operazioni in gioco, e per il ruolo, a nostro parere riduttivo, assegnato agli organismi democratici della scuola. Anche su questo punto, delicato ed importante, le consultazioni hanno detto parecchio, e credo che sia un elemento di grossa positività se tutti insieme, tutti i Consiglieri, di qualsiasi parte politica, sono giunti alla considerazione finale che consensi e dissensi alle proposte 82 e 83 non sono attribuibili a ceti sociali diversi: lavoratori da una parte, non lavoratori dall'altra, con una distinzione artificiosa di moderatismo e progressismo; il progetto della Giunta tende a presentarsi democraticamente sviluppato ed efficientemente organizzato, sotto questo profilo, perch assegna deleghe unitarie agli enti locali territoriali. Da parte nostra abbiamo fin dall'inizio ribattuto che democrazia e partecipazione non si esprimono solo attraverso le istituzioni, ma che la nostra società ha e sta sviluppando sempre di più un pluralismo sociale che dev'essere tutelato sostenuto ed incoraggiato. La pluralità di centri di potere è un dato caratteristico delle società moderne e industriali, con il quale tutti debbono abituarsi a fare i conti.
Mi è venuto in mente, in preparazione di questa discussione, un recente saggio di Norberto Bobbio (lo cito perché non è sicuramente della parte politica cui appartengo) su "democrazia rappresentativa", in cui egli esalta la necessità di garantire organi di democrazia partecipante a integrazione della democrazia indiretta fondata sulle rappresentanze istituzionali, e invita a perseguire l'obiettivo di far coincidere dimensione del problema alla dimensione del gruppo, ritrovando per ogni problema il giusto polo di aggregazione.
Consapevoli delle difficoltà e della fragilità dei nuovi organismi scolastici, nati da appena due anni, abbiamo più volte dichiarato essere preferibile correre i rischi di uno sviluppo di questa democrazia partecipante, fondata sul pluralismo sociale. Dico correre i rischi, perch sicuramente di deficienze di questi organismi siamo tutti consapevoli.
Essendo già in atto, o di prossima realizzazione, questi organismi collegiali o distrettuali, il progetto della Giunta appare scarsamente comprensivo della loro dignità, restio a riconoscere poteri, quasi di fronte alle loro potenzialità.
Si dice: è necessario il coordinamento di questi organismi, è necessario che questi organismi si aprano alla società. Non abbiamo mai trascurato, anzi, la necessità che, salvaguardando i poteri e l'autonomia degli organismi scolastici, essi, comunque, non si chiudessero in se stessi, e questo in una duplice ottica: sollecitazione nei loro riguardi per un confronto tra i diversi tipi o ordini di scuola e tra scuola e società. Ma ci chiediamo se la scuola si apra alla società trasferendo i suoi poteri agli enti locali o esaltandone la responsabilità. Per questo abbiamo ricercato le giuste sedi di confronto e giusti momenti di intervento, certo rifiutando quei concetti che abbiamo sentito esprimere a sostegno del progetto della Giunta; quella frase, molto significativa nella sua sinteticità: un solo territorio, un solo governo, che introducono, a nostro parere, solo elementi di autoritarismo e di burocraticismo politico.
Certo, anche su questi temi la Giunta ha corretto le sue posizioni originarie: la gestione dei fondi per il materiale didattico affidata totalmente agli organismi collegiali, l'inserimento nel quadro programmatorio di rapporti prestabiliti fra Enti locali e i vari livelli di organismi rappresentativi. Ma questi, torniamo a dirlo, visti in funzione subordinata. Art. 8: "I Comuni devono provvedere alla ripartizione dei fondi in accordo con i Consigli di distretto"; art. 10: "Le iniziative educative integrative saranno promosse dai Comuni di concerto con i Consigli di circolo e di istituto"; art. 12: "I Comuni attuano l'assistenza sociale e medico-psico-pedagogica e l'informazione psicopedagogica degli insegnanti e delle famiglie, sentiti i Consigli di distretto, di circolo, e di istituto".
L'ottica, a nostro parere, è capovolta, e anche la 82 bis rivela la volontà di trasferire all'Ente locale competenze non proprie, per le quali esso non è né preparato né attrezzato. Se questi pareri si vuole che gli organismi rappresentativi li diano con piena responsabilità essi dovranno comunque coinvolgersi pesantemente in questo lavoro, e allora non ha senso dire che non li si vuol caricare di funzioni burocratiche, perché essi o entrano in pieno su questi discorsi, tanto, al limite, da farsene carico interamente, o altrimenti rischieranno di esprimere questi pareri, questi "in accordo", "di concerto", in forma passiva, perché sapranno che comunque, la decisione finale sarà di un altro.
Molto più corretto ci pare, se veramente si vuol rispettare le loro competenze e promuovere il loro coinvolgimento, scegliere la strada più lineare, meno soggetta a discrezionalità politiche, di accettare, per le materie didattiche e di assistenza psico-medico-pedagogica, il filone da noi proposto: Regione, Comprensorio, Distretti, organismi collegiali prevedendo a carico di questi il rapporto con gli enti locali, e non viceversa. E non credo siano questioni solo formali o metodologiche. Perch programmazione e coordinamento a livelli intermedi è una preoccupazione che interessa anche a noi in misura notevolissima. Abbiamo sempre affermato che, e per principio, e in relazione anche alla scarsità delle risorse disponibili, ogni spreco su questo settore è ampiamente condannabile.
Chiediamo che i piani siano elaborati là dove nascono le esigenze, e che essi trovino un coordinamento, con i tagli indispensabili - è giusto quello che diceva il collega Borando: è molto probabile che un piano presentato debba essere ridimensionato, perché le risorse sono certamente inadeguate a coprire l'effettiva richiesta -, in quelle sedi in cui coloro che hanno elaborato questi piani si sentono rappresentati a pari livello di dignità con le altre componenti di questi organi, al fine di ritrovare poi la visione unitaria dal punto di vista finanziario a livello comprensoriale.
Solo così si valorizzano, a nostro avviso, le potenzialità promozionali e gestionali sulle iniziative di carattere educativo che erano gli obiettivi dei decreti delegati. Ricordiamoci allora delle polemiche che sono state fatte da parecchie parti, dalla sinistra, soprattutto, circa gli scarsi poteri degli organismi collegiali. Abbiamo sempre detto che per un organismo di tale portata che era in avviamento si potevano anche tollerare delle imperfezioni; ma qui stiamo cercando, a due anni di distanza, di introdurre degli elementi correttivi alfa rovescia, invece che nel senso proposto all'inizio della loro istituzione.
Gli organismi di base cui spetta per legge il compito istituzionale di operare con piena responsabilità sulla scuola devono sentire attorno a s la fiducia critica e di coloro che li hanno eletti e delle assemblee amministrative politiche. Si dica allora che le iniziative educative integrative sono un loro diritto-dovere, perché così sentiranno la responsabilità, e così coloro che li eleggono si sentiranno portatori di elementi di critica e di controllo, che l'ente locale dovrà poi sostenere e coordinare negli aspetti organizzativi.
Per la fiducia che abbiamo nella partecipazione, investimento certamente rischioso, ma necessario, abbiamo proposto che le stesse regole valessero anche per le scuole non statali, convinti che da questi confronti fra esperienze diverse potessero derivare per la comunità validi risultati anche certamente nel superamento di rigide ideologicità, che un esame attento delle vicende di questi ultimi anni possono portare già a consuntivo. Tale presenza riteniamo indispensabile anche in quelle scuole che svolgono corsi sperimentali per lavoratori. Chi afferma che l'unico pluralismo valido è quello dentro l' istituzione statale dovrebbe, credo per obiettività, andare ad analizzare il grado di pluralismo, o anche solo di rispetto delle volontà dei singoli, che vige in tanti di questi corsi.
Prendiamoci il gusto di fare una volta tanto una analisi completa dei testi adottati in questi corsi, e poi vedremo quanto pluralismo è presente.
E se pure - l'ho detto già in sede di Commissione - dentro la scuola pubblica il pluralismo è una condizione indispensabile e ci si può proporre l'obiettivo che tutto il pluralismo si rivolga dentro quelle sedi, mai pu esserci però una forzatura in quella direzione, perché queste devono essere adesioni convinte; altrimenti una qualsiasi forzatura appare già soffocatrice a priori di questo stesso obiettivo pluralistico che si vuol perseguire.
Abbiamo ripreso più volte in tutto l'iter della legge questi concetti perché, oltre che essere un patrimonio irrinunciabile delle nostre visioni li vedevamo utili per la materia specifica in discussione, più validi per fornire agli allievi i servizi a loro finalizzati, perché non vogliamo lasciarci trascinare nella polemica ideologica sopra la testa degli interessati, nel rispetto del loro momento educativo e formativo.
Crediamo la nostra proposta e le nostre critiche valide per l'intera comunità regionale, non nell'ottica limitata di difesa di gruppi, e riteniamo sia dovere di tutti non introdurre elementi di tensione e contrasto che quasi facciano rifiorire o rinverdiscano quelle contrapposizioni che è invece interesse di tutti vengano superate.
Anche il Partito repubblicano nella dichiarazione rilasciata ieri fa torto a noi, ma credo fa torto soprattutto allo stesso continuativo e stimolante impegno dei Consiglieri repubblicani, quando applica al confronto in atto su questi temi uno standard un po' troppo elettoralistico, che vedrebbe la Democrazia Cristiana disponibile a baratti per la conservazione di alcuni favori alle scuole private. Chi ha partecipato a tutto l'iter della discussione non credo possa fare di queste affermazioni.
La III Commissione ha lavorato a fondo, certamente. Ma il confronto pur ricco, ha fatto registrare assenze che rimarchiamo con una certa insoddisfazione. Il confronto con la maggioranza è stato, in realtà, un confronto, anche scontro, con il Partito comunista. PSI e ULD sono stati completamente assenti. La D.C. offre in questa occasione, del dibattito in aula, anche a loro il suo contributo, frutto di un collegamento e di una rappresentatività popolare che non può essere dimenticata.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Calsolaro.



CALSOLARO Corrado

Signor Presidente, sarò brevissimo poiché il Presidente della Giunta stamattina ha indicato le linee generali alle quali si è informata la Giunta per la predisposizione del disegno di legge attualmente in discussione, linee alle quali il Gruppo socialista ritiene di dare la sua adesione e che attraverso questo breve intervento richiamerà in alcuni punti specifici.
Il disegno di legge n. 82 bis che ripropone (alla luce del dibattito e delle consultazioni che hanno fatto seguito alla presentazione del disegno di legge n. 82 e della proposta n. 83 del Gruppo della D.C.) il problema della riforma della legge regionale sull'assistenza scolastica approvata nella scorsa legislatura si qualifica per alcune innovazioni fondamentali.
La precedente legge, che pure aveva indubbi pregi - dei quali peraltro viene dato atto nella stessa relazione al disegno di legge - era passata sotto la denominazione (alcuni di noi lo ricorderanno) di legge sui libri nel senso che la distribuzione gratuita dei libri di testo scolastici agli allievi della scuola dell'obbligo appariva come la sua principale novità.
Si trattava di una qualificazione che aveva sollevato alcune numerose perplessità, e non soltanto nelle opposizioni, anche se la necessità e l'urgenza dell' intervento regionale nella materia costituzionalmente attribuita e legislativamente trasferita con il decreto delegato n. 3 aveva tuttavia indotto il Consiglio regionale ad una sua sollecita approvazione.
Questo disegno di legge, anche se conserva cospicui stanziamenti a favore dei libri, privilegia la fornitura di pubblicazioni per biblioteche di classe e di istituto e di altro materiale didattico di uso collettivo proprio in corrispondenza di quanto da più parti era stato vivamente auspicato e proposto nella prospettiva di una legge che non tenesse esclusivamente conto e che non privilegiasse il momento consumistico individuale, anche alla luce delle prospettive che venivano enunciate nel piano economico nazionale in materia di biblioteche di classe e di interventi a favore di questo tipo di materiale scolastico.
Il disegno di legge accoglie in modo esplicito il principio della delega, e del suo esercizio, ai Comuni, ai Consorzi dei Comuni, alle Comunità montane e alle Province, là dove nella legge precedente il principio era accolto soltanto in via di enunciazione di massima -e questo noi lo dicemmo in occasione della discussione su quella legge che per poco non provocò una crisi di Giunta per piccoli particolari che, a nostro avviso, non comportavano disarmonie tali da determinare situazioni del genere di quella che l'allora Presidente della Giunta aveva ritenuto di rappresentare - essendo state attribuite in realtà agli Enti locali funzioni di mera esecuzione di attività regolate in modo esclusivo dagli organi regionali.
Ma l'innovazione più importante è senza dubbio quella che, tanto attraverso la delega agli Enti locali territoriali, che attraverso il riconoscimento di compiti specifici agli organismi scolastici rappresentativi, quanto attraverso la previsione di funzioni di programmazione tanto ai Comprensori quanto ai distretti scolastici, essa realizza una piena mobilitazione delle risorse politiche e democratiche delle collettività locali e delle loro rappresentanze istituzionali.
Noi siamo convinti che la creazione dei nuovi organismi a carattere monocratico - e cioè degli organi collegiali della scuola ai vari livelli favorisca la gestione dei servizi e la partecipazione a condizione che nel quadro complessivo della politica scolastica sia privilegiata la partecipazione politica dei cittadini alle scelte complessive della comunità locale, cioè se questi organismi monofunzionali portano al rafforzamento dei canali di scelta attorno al potere locale democratico anziché alla promozione di forme di partecipazione spoliticizzate dai risvolti corporativi, dove si smarrisce la figura del cittadino per fare emergere, invece, quella del solo insegnante, del genitore e così via.
La priorità dell'ente locale territoriale nella gestione del servizio e quindi la prospettiva di una riaggregazione attorno alla Regione e alle autonomie locali delle funzioni politico-amministrative oggi frammentate fra molteplici organi, non significa diniego della necessità di valorizzare i meccanismi di democrazia di base operanti nell'ambito del settore scolastico.
Accanto ai canali di partecipazione della comunità nel suo complesso a tutte le scelte che la riguardano, anche a quelle relative alla gestione dei servizi, è utile che vi siano canali più specifici attraverso i quali possa manifestarsi la voce dei più diretti interessati.
L'importante è di stabilire una chiara priorità a favore della partecipazione comunitaria, integrata, ma non sostituita, o limitata dalla partecipazione degli operatori e degli utenti del servizio, il tutto in un quadro di intreccio di democrazia diretta e di democrazia delegata.
Il disegno di legge risolve in modo corretto questo problema, affidando per esempio la gestione e l'amministrazione dei fondi stanziati per l'espletamento dei servizi relativi alla fornitura di materiale didattico e ludico per la scuola materna, e le forniture per biblioteche e materiale vario per la scuola dell'obbligo ai Consigli di Circolo e di Istituto, con l'affidamento a questi di un ruolo essenziale e tipico di valorizzazione dell'istituzione e di sensibilizzazione degli utenti per una fruizione più responsabile (e ripeto non meramente consumistica delle risorse pubbliche) dei servizi.
Il disegno di legge ha una sua "ratio" anche in ordine al vecchio problema ideologico scuola pubblica- scuola privata, operando in concreto a favore della scuola pubblica, ma - nell'ottica della necessità di favorire l'esercizio del diritto allo studio - con una previsione di interventi che tiene il dovuto e giusto conto delle diverse situazioni esistenti. Vorrei dire che, pur con le limitazioni obiettive che sono poste all'intervento in favore delle scuole pareggiate e legalmente riconosciute, il disegno di legge sposta i termini della disputa riportandola su binari più corrispondenti alla realtà, più concreti, che si rifanno ad un diverso criterio di giudizio e di impostazione che è quello fra scuola di classe o elitaria, e scuola popolare, aperta ai contributi della collettività nella sua più ampia composizione pluralistica.
In questo campo un contributo considerevole verso la pubblicizzazione di certe istituzioni scolastiche è stato dato dalla nuova legge sulle IPAB che consente alla Regione con interventi diretti nella gestione di tali istituzioni, che vengono pertanto ad assumere una nuova fisionomia realizzando una reale partecipazione dei cittadini.
L'attribuzione della delega ai Comuni per l'assistenza sociale, media psicologica e pedagogica che tante polemiche ha suscitato, e la previsione della costituzione di consorzi da incentivare con un aumento del finanziamento, ci trova pienamente consenzienti, anche perché - e già avviene in molti casi - ciò deve realizzarsi attraverso servizi organizzati, come è il caso delle equipes medico-sociali-psicologiche che attualmente operano proprio attraverso le Province ed i Consorzi Intercomunali in collaborazione con il mondo della scuola, senza che ci crei, né abbia mai creato interferenza alcuna fra l'Ente locale che organizza il servizio e le competenze proprie degli organi della scuola.
Ricordo che la Provincia di Torino (mi spiace che non sia presente la dottoressa Vietti che è stata Consigliere provinciale a Torino) - prima che la crisi della finanza locale la costringesse a limitare le opportunità di intervento - svolgeva questo servizio in collaborazione con i Comuni, senza che ciò implicasse, o avesse mai implicato minimamente la temuta ed illecita interferenza sull'autonomia didattica della scuola. Citer numerosi Consorzi (per esempio quello fra i Comuni di Venaria, Ciriè ed altri della Valle di Lanzo) che svolgono con impegno e con competenza questo stesso servizio con piena soddisfazione e della scuola stessa e degli utenti del servizio e delle loro famiglie. Non si vede quindi come questo servizio (che tra l'altro appartiene tipicamente all'Ente locale) possa essere invece delegato agli organi della scuola che sono chiamati a svolgere una funzione più propria alla loro natura, che non è - come è stato detto, a mio avviso un po' inesattamente - meramente consultiva, ma che è un'azione, un'attività di supporto, di promozione, di collaborazione con gli enti che direttamente rappresentano, e che rappresentano soprattutto globalmente, gli interessi della collettività.
La relazione di maggioranza della collega Ariotti e la puntualizzazione degli elementi di novità in essa contenuti, ci sembra soddisfino ampiamente e contengano risposte del tutto congrue alle domande di modifica che sono state presentate nei confronti del primo disegno di legge n. 82, che - come ha fatto rilevare stamattina il Presidente della Giunta - si presentava come proposta di massima, largamente aperta ai contributi delle diverse parti politiche. Siamo d'accordo che la legge deve assicurare l'effettiva parità di trattamento degli alunni, nel senso che deve favorire l'esercizio del diritto allo studio da parte di tutti. Si tratta di un' esigenza di carattere pubblico, egualitario e democratico.
Ma è anche vero che per le condizioni di disuguaglianza in cui versa la nostra società ci sono delle classi sociali che si sono già garantite da sole l'esercizio del diritto allo studio da parte dei propri figli, e che pertanto è giusto che l'estensione degli interventi regionali a favore delle scuole autorizzate, pareggiate e legalmente riconosciute siano sottoposte ad alcune condizioni essenziali: e cioè che non si tratti di scuole di elite, il che potrà avvenire proprio attraverso la determinazione di rette che consentano di considerare queste scuole come operanti a favore dell'effettivo adempimento dell'obbligo scolastico, quindi a carattere popolare (e non come aziende erogatrici di servizi ad alto prezzo, e pertanto riservate alle classi agiate e soltanto a queste accessibili); e che queste stesse scuole si collochino sul piano degli adempimenti di partecipazione democratica che la legge stabilisce nei confronti della scuola pubblica.
Mi pare peraltro che questi concetti emergano anche dalla relazione della collega Soldano.
Sono convinto che molte di queste scuole, forse la maggioranza rispondano e contengano le condizioni previste dalla legge che, al di là di diatribe di carattere ideologico sulle quali ritengo inutile intervenire non può prescindere dalla funzione pubblica che la scuola deve assolvere e che come tale non può prescindere dalla funzione pubblica che la scuola deve assolvere e che come tale non può sfuggire ad un controllo che sia al tempo stesso pubblico e democratico.
E' pertanto nostra convinzione che il disegno di legge, come viene presentato al voto del Consiglio, corrisponda alle esigenze della collettività regionale, e che non attui (come forse da qualche parte non propriamente è stato detto) discriminazione alcuna sì da alterare il significato e lo spirito della norma costituzionale, ma ad essa si informi in modo corretto e coerente.



PRESIDENTE

La parola alla prof.ssa Soldano.



SOLDANO Albertina

Desidero precisare che ho chiesto di parlare non come relatore di minoranza, ma come Consigliere che ritiene di dover portare, con tutta modestia, un proprio contributo per approfondire un tema che sinora nell'ambito del dibattito, è rimasto, per così dire, sottinteso, o quanto meno non del tutto approfondito. Mi riferisco all'assistenza medicosocio psico-pedagogica e all'orientamento scolastico e professionale, connesso al problema stesso.
L'orientamento scolastico e professionale, considerato nei suoi aspetti educativi, psicologici ed economico-produttivi, è oggi uno dei problemi più importanti, sia per quanto concerne la giusta valutazione degli interessi e delle attitudini dei giovani, sia per quanto si riferisce ai bisogni sociali ed alle esigenze di collegamento tra l'azione della scuola e la realtà economica del Paese, nel quadro generale della programmazione.
Non a caso, dunque, tra le funzioni del distretto scolastico (art. 12 del D.P.R. 416) è prevista quella relativa "ai servizi di orientamento scolastico e professionale e di assistenza medico-socio-psico-pedagogica".
Sulla base degli studi e delle esperienze più recenti in proposito, si può affermare che i punti essenziali del problema sono i seguenti: centralità dell'orientamento nell'intervento educativo e formativo della scuola qualificazione del Consiglio di classe e quindi del corpo docente quale organo particolarmente impegnato a favorire il processo di auto orientamento degli alunni presenza di un docente particolarmente competente in materia di orientamento allo scopo di coordinare l'attività dei colleghi, di animare iniziative specifiche a livello d'istituto, di avere rapporti con gli esperti, cioè quello che, in sintesi, viene definito comunemente il "consigliere scolastico" necessità che tutta l'attività scolastica in materia di orientamento sia sostenuta, affiancata ed integrata dall'intervento di un'equipe di esperti che, in sintesi, potrebbero essere così delineati : un medico, e precisamente un auxologo, uno psicologo, l'assistente sociale e un esperto in educazione, detto poco correttamente "pedagogista".
I diversi interventi devono comunque operarsi nella linea unificante dell'ottica pedagogica educativa.
La collaborazione di tali esperti nella scuola appare oggi estremamente utile, sempre se considerata in funzione della prospettiva pedagogica della comunità scolastica, non soltanto in un momento come l'attuale (in cui i docenti si rendono competenti solo a livello volontaristico in scienze psicopedagogiche) ma anche per il futuro, in cui si spera che essi potranno approfondire tali scienze a livello universitario e fruire, nell'ambito del Consiglio di classe, della presenza costante di un consigliere scolastico di orientamento.
I decreti delegati in applicazione della legge 477 fanno esplicito riferimento alla presenza nella scuola di tali operatori nonché dei servizi specialistici.
Vorrei citare quanto viene dichiarato espressamente all'art. 4 del decreto n. 416: "Il collegio dei docenti esamina, allo scopo di individuare i mezzi per ogni possibile recupero, i casi di scarso profitto o di irregolare comportamento degli alunni su iniziativa dei docenti e della rispettiva classe, e sentiti gli specialisti che operano in modo continuativo nella scuola, con compiti me di co-socio-psico-pedagogici e di orientamento".
All'art. 5 dello stesso decreto si asserisce: "Possono essere chiamati a partecipare alle riunioni del Consiglio di Circolo o di Istituto gli specialisti che operano in modo continuativo nella scuola con compiti medico-psico-pedagogici e di orientamento".
All'art. 12, nell'ambito delle funzioni del Consiglio distrettuale, si afferma: "Il Consiglio distrettuale elabora un programma per l'anno scolastico successivo attinente, fra l'altro, ai servizi di orientamento scolastico e professionale e a quelli di assistenza scolastica ed educativa, ai servizi di medicina scolastica e di assistenza socio-psico pedagogica. Il Consiglio scolastico distrettuale svolge i compiti di assistenza scolastica che siano affidati o delegati al di stretto dalla Regione, avendo di mira il coordinamento e l'integrazione delle attività assistenziali svolte nel distretto con i restanti servizi scolastici, al fine della piena attuazione del diritto allo studio".
All'art. 15 si precisa: "Il Consiglio scolastico provinciale indica i criteri generali per il coordinamento a livello provinciale dei servizi di orientamento scolastico, di medicina scolastica e di assistenza psicopedagogica, tenuto conto dei programmi formulati dai Consigli scolastici distrettuali".
Ho richiamato questi punti perché mi sembrano fondamentali per decidere quella che dovrebbe essere la scelta migliore, in questo momento, per la destinazione dell'erogazione regionale per questo tipo di servizio.
Allo stato attuale, la presenza degli specialisti e dei servizi sanitari, psicologici, sociali e di orientamento, viene assicurata con carattere limitativo soltanto in pochi centri urbani, in alcune scuole medie ed in pochissimi istituti di scuole secondarie superiori in cui si attua il biennio sperimentale.
La gestione di questi servizi è stata sinora assicurata da particolari enti giuridici con i quali il Ministero della P.I., su designazione del Provveditore agli Studi, di anno in anno stipula una convenzione per l'attività da svolgere. In casi particolari, là presenza di equipe è assicurata per decisione autonoma di enti locali (Province e Comuni), come autorevolmente è già stato qui ricordato dall'avv. Calsolaro. Si tratta però, di interventi non organici che non rispondono a tutte le esigenze emergenti dalla realtà regionale.
Per quanto concerne il Ministero, occorre precisare che, almeno sino ad oggi, la legislazione scolastica al riguardo è carente e inadeguata alle nuove esigenze della scuola intesa come "comunità educante". Neppure gli articoli testè citati (D.P.R. 416) sono sufficientemente chiari nel definire le funzioni e i ruoli dell'equipe ai diversi livelli.
Non sembra pertanto superfluo tentare di definire le funzioni ed il ruolo dell'equipe nell'ambito dell'assistenza scolastica. Mi permetto di usare ancora questa terminologia "assistenza scolastica", nel rispetto dell'art. 117 della Costituzione, ma evidentemente, in prospettiva, come affermazione della realizzazione graduale del diritto allo studio, come convenientemente è già stato qui richiamato.
Ora, i compiti che l'équipe dovrebbe assolvere, in modo adeguato ai diversi livelli, in stretta collaborazione col personale docente della scuola e con le famiglie, possono così riassumersi: consulenza, terapia orientamento, ricerca, educazione psicologica, aggiornamento sperimentazione, educazione permanente, rapporti scuola-famiglia, rapporti scuola-società. Per questa pluralità di funzioni si richiede una pluralità di presenza di specialisti, per i quali si auspicano specifici ruoli nella scuola, ma tuttora siamo in un momento di transizione, anche se con evidenti prospettive di azione.
Si può fare, in proposito, un'eccezione per i medici, la cui presenza almeno per la scuola dell'obbligo, viene regolamentata col decreto legge del 22.12.1967 n. 1518, relativo ai servizi di medicina scolastica e la cui funzione viene precisata dall'art. 22 del decreto stesso.
Oggi si rende necessaria, in forma organica ed articolata, almeno la presenza dello psicologo e dell'assistente sociale. Lo psicologo dovrebbe assolvere compiti e funzioni volte a favorire, in stretta collaborazione coi docenti del Consiglio di classe, la crescita equilibrata e serena degli alunni, mediante incontri personali, dinamiche di gruppo, educazione psicologica, nonché ad offrire un contributo per una giusta soluzione dei problemi annessi alla programmazione didattica, all'interdisciplinarità alla valutazione, all'orientamento ed alla sperimentazione di nuove metodologie.
L'assistente sociale dovrebbe sapere e poter collaborare con il corpo docente e con lo psicologo per un rapporto costante con le famiglie e per un'approfondita conoscenza del contesto socio-culturale in cui l'alunno vive abitualmente.
Nell'ambito scolastico, sono in corso iniziative per la preparazione di docenti sul piano psico-pedagogico, per realizzare un'autentica scelta di qualità ai fini della realizzazione del servizio socio-educativo.
Occorre, a nostro avviso, valorizzare tutte le energie disponibili nella scuola o accanto ad essa, in una chiara, reciproca ricerca di collaborazione. Occorre altresì attuare il servizio secondo una visione organica su tutto il territorio, nel rispetto delle competenze, evitando doppioni, sovrastrutture, sprechi o, peggio, contrapposizioni.
Il distretto scolastico, quale organo di programmazione scolastica nell'ambito del comprensorio, può realizzare il servizio coordinandolo al di sopra di possibili particolarismi e soprattutto tenendo presenti tutte le esigenze, anche quelle degli alunni che vivono nei paesi o nelle borgate più isolate.
In particolare, ritengo opportuno rileggere a tale riguardo il passo della relazione che, in sede di III Commissione, con l'apporto costruttivo di tutte le forze politiche esistenti in Consiglio, nell'aprile 1975 presentammo al Consiglio regionale, con riferimento alla deliberazione della Giunta concernente l'individuazione dei distretti scolastici in Piemonte.
Dicevamo allora testualmente e concordemente: "Il distretto scolastico deve far capo al comprensorio quale unità di programmazione regionale di base. Pertanto deve essere posto in grado di svolgere funzioni di indirizzo e di coordinamento, nell'ambito delle strutture esistenti e altresì deve divenire uno strumento di programmazione scolastica, in correlazione con l'assetto del territorio.
Il distretto scolastico non può limitarsi ad essere un bacino di utenza organizzato, o un centro scolastico fornito di edifici e attrezzature, ma deve essere un organo di gestione della scuola in modo partecipato e altrettanto un organo di propulsione della scuola stessa sotto il profilo della innovazione educativa e della sperimentazione didattica, non disgiunta dai complessi problemi della formazione professionale e dell'educazione permanente".
E più oltre: "Il distretto si pone come momento di sintesi e di propulsione dei contenuti educativi, come livello ottimale per far coincidere le necessità sostanziali con la capacità e la dimensione operativa. Mira alla massima utilizzazione delle risorse di ogni tipo disponibili e anche all'effettivo controllo non nel senso fiscale, ma nel senso più ampio di accertamento, cioè di verifica dei risultati conseguiti nel settore scolastico".
Evito di proseguire nella lettura; non aggiungo altro, se non una precisazione: se crediamo veramente alla validità degli organi collegiali della scuola, all'apporto costruttivo di tante forze disponibili a livello democratico e popolare, non possiamo trascurare la prossima presenza, nella realtà regionale, di un organismo che potrà essere vivo e vitale soltanto se concretamente gli sarà data l'occasione di esprimere appieno le sue capacità di lavoro e di impegno e soprattutto le sue capacità di assunzione di responsabilità.
Tale potrà essere il distretto scolastico, o meglio il Consiglio distrettuale scolastico, costituito dai rappresentanti del mondo della scuola, ma anche, in particolare, dai rappresentanti, democraticamente eletti, dei Comuni, dei Sindacati, dei lavoratori autonomi, delle forze sociali e rappresentative di interessi generali.
Mi pare che, in sintesi, almeno una grossa preoccupazione si possa cogliere dagli interventi che si sono succeduti, oggi, in questa sede. Al di là delle classificazioni partitiche, o di certe remore di tipo ideologico, credo che esista sostanzialmente un filo unitario negli interventi che qui si sono succeduti. Noi ci domandiamo, di fronte ciascuno alla propria coscienza, qual è la scuola che vogliamo per il nostro Piemonte, qual è l'uomo che noi prepariamo, o vogliamo contribuire a preparare, per il futuro del nostro Piemonte.
E' logico, ciascuno di noi si prepara a dare una risposta secondo un suo credo personale; ma vorrei rispondere al Presidente Alasia, oggi Assessore, quando, egli, e credo con profonda preoccupazione, ci domanda: "Ma la scuola aperta, come può essere ?". Ebbene noi vogliamo la scuola aperta, però vogliamo che questa scuola si apra essa stessa, dal di dentro non possiamo pretendere di entrarvi dall'esterno, mediante organismi che non hanno una fisionomia qualitativa e giuridica ben definita, anche se possono essere considerati utili, quanto meno, come espressione di esperienza, di vita vissuta, di ricerca, di approfondimento costante, a titolo personale o a titolo di gruppo, da parte delle persone che li compongono. Al momento dell'approvazione di una legge regionale della massima importanza, in un contesto generale che deve ricevere un'impostazione armonica ed organica, noi temiamo che venga gravemente condizionato il naturale, armonico sviluppo di apporto da parte di tutte le energie disponibili.
Quindi, nel rispetto delle competenze di tutti e di ciascuno, secondo quanto anche nella relazione, stamane, facevamo rilevare, ma soprattutto nella speranza, nella fiducia che gli organismi scolastici recentemente eletti, o che stanno per essere eletti, possano veramente esprimere quanto di più profondo e di più reale, in chiave costruttiva, possono dare, noi ribadiamo che il servizio di assistenza socio-psico-pedagogica, in chiaro collegamento con l'orientamento scolastico e professionale, debba essere affidato alla responsabilità diretta del nuovo organo collegiale e cioè il Consiglio distrettuale scolastico.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Rossotto.



ROSSOTTO Carlo Felice

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, il disegno di legge presentato dalla Giunta, nel quale la maggioranza si riconosce e che ha subito le modificazioni che hanno fatto sì che dal n. 82 passasse agli atti come 82 bis, dopo il serrato dibattito con la realtà piemontese, dopo le ampie discussioni a volte smaccatamente polemiche, ha trovato questa mattina e oggi pomeriggio, nel dibattito in Consiglio, una valutazione più tecnica sui singoli punti dell'articolato, e mi pare che sovente si è dimenticato quello che nella realtà sociale o politica della nostra Regione si è cercato di portare come tipo di valutazione sull'attività legislativa che la Giunta, a nome della maggioranza, aveva compiuto. Più volte, si è ribadito da parte della maggioranza di essere maggioranza aperta, aperta sia come apporti nel più ampio disegno politico sia come apporti sui singoli problemi, non depositaria di tutti i credo, non pronta a fare solo battaglie ideologiche e strumentali al fine di affermare un certo tipo di maggioranza; e credo che l'iter, sia in Commissione, sia nella viva realtà del dibattito che ha coinvolto le forze politiche e sociali su questo nuovo tentativo di organizzare gli interventi regionali (il terzo tentativo in materia di assistenza scolastica) abbia riconfermato tutto ciò.
Ma non possiamo dimenticarci che esistono due temi centrali sui quali è opportuno, con estrema serenità, che ciascuno assuma le proprie responsabilità: l'uno, la valutazione del disegno di legge della maggioranza, liberticida o con volontà di uccidere certi tipi di libertà esistenti e già riconosciute; l'altro, una cattiva valutazione di quelle che sono le realtà democratiche esistenti nel mondo della scuola quale risultato di conquista di legislazioni da pochi realizzatori. Alludo all'indubbia grossa polemica che si è fatta in ordine alla scelta prioritaria a favore della scuola pubblica che il disegno di legge aveva in maniera chiara evidenziato, ma che a seguito della conoscenza di fatti e di circostanze oggettive ha portato a equilibrate modificazioni del disegno di legge senza rinunciare a quella scelta prioritaria. Mi fermerò brevemente per sottolineare che tutto ciò non vuol dire assolutamente essere contro a qualche cosa, bensì essere a favore e per l'attuazione esatta di quei principi costituzionali di pluralismo che la nostra realtà pone partendo dalla carta costituzionale.
Più volte si è fatto riferimento agli artt. 33 e 34 che sarebbero stati violati. Vorrei ricordare che al cittadino la Costituzione consente (e deve essere difesa) la libertà di scelta tra scuola pubblica e scuola privata.
L'art. 33 dice chiaramente che la scuola privata non può creare oneri a carico della collettività; l'art. 34 ricorda che il rapporto dell'utente della scuola privata deve essere equipollente scolasticamente nei confronti di quello che è il rapporto della scuola pubblica.
Vorrei chiedere se la libertà di scelta oggi, nella realtà sociale piemontese, è tale da premiare, da consentire che la scelta porti indipendentemente da altre valutazioni di profondo rispetto, a ideologie che possono far scegliere l'uno o l'altro tipo di forma che la Costituzione garantisce, se non sono già condizionate a favore della scuola privata per cui necessariamente anche persone, soggetti che meno hanno avuto degli altri, di fronte alle carenze della scuola pubblica devono optare per la scuola privata. Ma questa non è libertà di scelta, e la scelta prioritaria per potenziare, e per rendere più efficiente il servizio della scuola pubblica, vuol dire rafforzare tale tipo di libertà. Mi pare che il tipo di scelta prioritaria che la maggioranza ha fatto non possa assolutamente evidenziare la volontà liberticida che da questo disegno di legge si è voluto più volte ricalcare confondendo un concetto di privato che non ha nulla a vedere col servizio sociale di istruzione e che riguardano il campo economico, come più volte si è cercato di fare nel contatto della realtà della nostra Regione.
Quindi se su questo argomento nel dibattito di questa mattina non si è sentito più parlare, c'è da credere che oggi tutti si è convinti e questo mi renderebbe particolarmente lieto, proprio per la sensibilità dei problemi di libertà di cui mi sento di essere portatore, cioè del rispetto del pluralismo, della tutela di coloro che sono le minoranze devo dire che ciò vuol dire che l'opposizione si è resa conto che quel tipo di impostazione era sbagliato e che il modo di agire della maggioranza in tutte le sue componenti, siano la componente comunista o socialista, o liberaldemocratica ha dimostrato in concreto di non volere certo uccidere alcuna libertà.
L'altro termine della discussione è quello di una mancanza di rispetto di riguardo o di importanza nei confronti di organi democratici, gli organi collegiali della scuola, che esistono sia a livello di istituto, sia per quello che esiste sulla carta nella volontà legislativa e si chiama distretto scolastico e che ancora non è operante perché le disposizioni e la possibilità di renderlo operante è ancora collegato con un tipo di elezioni che penso, superate quelle del 20 di giugno, potremo affrontare nell'autunno.
Qui mi pare che ancora una volta non si è voluto attentamente esaminare quello che è il tentativo, sarà sbagliato, lo vedremo nella realtà dei fatti, di dare corpo alla volontà di decentramento che con questo disegno di legge la Giunta regionale attua. Delega a chi? A chi può essere soggetto della delega e mi pare che non può essere soggetto di delega né il distretto scolastico che ha delle funzioni tutte quante ancora da verificare, ma che sono orientate in una funzione di programmazione degli interventi il quale, essendo proprio il momento operativo estremo, ha già dimostrato nelle precedenti attuazioni delle leggi che hanno regolato la materia, la frammentarietà dei tipi di intervento, gli interventi a pioggia, un certo tipo di scelta che non era in funzione di quel più organico intervento.
Allora questi due tipi di problemi che a mio parere sono stati portati avanti con fermezza, a volte anche con gusto di diversificazione per non confondere un discorso di laicismo con quello che è un discorso di tutela particolare di interessi, hanno dimostrato e nel dibattito, e nel lungo confronto con la realtà, di essere delle giuste preoccupazioni che però non hanno portato in concreto alcuna effettiva dimostrazione di avere individuato degli effettivi pericoli. La scelta non è punitiva, ma è una scelta prioritaria a favore della scuola pubblica, tanto è vero che nel disegno 82 si è riconosciuto il carattere surrogativo, non soltanto temporaneo, ma surrogativo essenziale del servizio sociale che dobbiamo dare; nessuna diversificazione quindi nei confronti della scuola privata ma la tutela del diritto del cittadino al servizio nella sua generalità come il disegno di legge chiaramente enuncia, indipendentemente dagli utenti della scuola pubblica e privata, proprio perché non si può avere un soggetto di delega da parte della Regione se non nel Comune, se non nell' Ente locale che è l'unico titolare di questo diritto di delega, che è il momento di ricomposizione di tutte le possibilità di intervento e quindi con la possibilità di un ampio dibattito nei confronti di questo surrogato istituzionale dell'attività esecutiva della Regione, di decentramento dell'attività regionale, che saprà, nel giusto rispetto di quelli che sono gli organi democratici della scuola, far sì che questa possa avanzare.
La collega Soldano diceva che bisogna fare attenzione che la scuola si apra, ma dall'interno, io però ho l'impressione che questa apertura possa avvenire anche per esplosione, perché nulla si fa e se si aspetta che le forze interne alla scuola possano modificare il tutto, questo vuol dire una rinuncia totale nostra di legislatori, sensibili alle realtà sociali che emergono, e vedremo nell'operatività quanto questo potrà aiutare realmente a realizzare un servizio di istruzione scolastica che sappia avviarsi verso quegli obiettivi di cui giustamente diceva la collega Soldano e sui quali siamo tutti d'accordo.
Ma questo è un benedetto paese dove tutti sono d'accordo nel combattere le rendite parassitarie, dove tutti vogliono le riforme, dove tutti sono pronti a raggiungere traguardi di maggiore giustizia sociale, ma poi nulla di tutto ciò si realizza perché ad un certo momento l'accordo non ci pu più essere e chi ha la responsabilità della gestione, proponendo i disegni di legge, attuando le disposizioni legislative che sono la sintesi non soltanto dei principi ideologici che hanno portato avanti queste forze politiche, ma anche il recepimento di tutte le realtà che altre forze hanno evidenziato nella loro validità, dimostrerà nel concreto, con i fatti, e non più con le parole, quanto di questa grande battaglia a favore dei principi di libertà era stata impostata in previsione di uno scontro elettorale che sta preoccupando tutti e sta impegnandoci tutti quanti, e non proprio per dare risposta concreta a quelle che sono le esigenze che la nostra realtà pone.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bontempi.



BONTEMPI Rinaldo

Signori Consiglieri, prendo la parola quando, come è ovvio, molti argomenti, molte sfaccettature della legge e dei problemi ad essa attinenti sono già stati ampiamente esaminati da diversi angoli di visuale, e quindi non mi dilungherò.
Mi preme invece di evidenziare che in questo dibattito, così come nelle consultazioni e nelle riunioni di Commissione, c'è forse un argomento che non è stato abbastanza considerato, specialmente da parte del Gruppo della D.C., mentre a me sembra l'aspetto principale di questa legge e che al limite ne travalica la portata: ed è che per la prima volta viene attribuita, con una legge che si propone di approvare, una delega organica agli enti locali, ai Comuni. In altre occasioni abbiamo ampiamente convenuto che questa era la strada giusta da percorrere.
Questo è già, di per sé, un elemento che avrebbe meritato una discussione meno difensiva, e dico meno offensiva perché qui è stato portato, come un argomento che va considerato, che io non sottovaluto,ma certamente prima di tutto bisognava prendere in considerazione questo aspetto della delega organica agli Enti locali, e poi vedere se in questo ambito effettivamente ci fosse una subordinazione degli organi collegiali o se non ci fosse invece, come noi sosteniamo, un rapporto corretto che pu addirittura potenziare le funzioni degli organi collegiali.
Noi non possiamo però fare a meno di rilevare che in questo dibattito nelle posizioni che sono emerse dalla D.C. (e lo dico senza polemica) è emersa una sfiducia nei Comuni che non possiamo accettare, che voi stessi non dovreste accettare; questa sfiducia traspare anche dalla relazione in cui, invece di porre il problema che certo c'è, del rapporto e quindi definirlo come rapporto caso mai da migliorare, tra organi collegiali e Comuni, si parla di interferenza. E' un termine, questo, che mi ricorda la cartina tornasole di un atteggiamento nei confronti dei Comuni, che noi non accettiamo, ma penso che neanche voi dobbiate accettare.
In diversi interventi su altre materie in questo breve periodo da che sono in Consiglio ho sentito spesso i Consiglieri D.C. dire di privilegiare l'autonomia delle funzioni e dei compiti dei Comuni. Ma allora non possiamo parlare, nei confronti dei Comuni, di pericoli di interferenza su materie che non sono loro proprie. Caso mai dobbiamo entrare nel merito e vedere se questo rapporto, così come dalla proposta della Giunta concepito, penalizzi questi organi collegiali e non dia loro invece una funzione reale.
Parlo di funzione reale perché credo che una riflessione doverosa vada fatta su un aspetto che forse a prima vista non è così evidente: ma veramente l'autonomia di questi organi, le loro funzioni, i loro compiti di programmazione e di proposizione, i loro compiti di partecipazione autentica, cioè le ragioni di fondo per cui vennero istituiti, sono da collegare meccanicisticamente ad un rapporto con la Regione che affidi loro un certo plafond di fondi, oltre tutto molto limitato? E qui vorrei ripercorrere un pochino, brevemente, una panoramica della storia di questi organi collegiali.
Fu - e lo ricordiamo tutti - un'esperienza straordinaria questa degli organi collegiali, ma se andiamo a verificare cosa resta ancora abbiamo delle grosse perplessità per come è stata intesa, e non certo da parte di chi negli organi collegiali era impegnato, ma per esempio da parte del Ministero. Non dimentichiamo che in molti casi, dopo quella straordinaria esperienza di partecipazione che vide delle percentuali altissime al voto tradizionali del nostro sistema elettorale certamente, ma anche specifica dopo, il desiderio di partecipare, di discutere, di dibattere della gente all'interno della scuola, vi fu una disputa di quattro mesi, sterile, su ordinanza ministeriale (e il Ministro era il DC Malfatti) sulla pubblicità o meno delle sedute. Quattro mesi andarono persi così. Ma io potrei citare tante altre piccole operazioni di cui certo non va data colpa in modo specifico a nessuno, ma che gli organi collegiali attualmente sono costretti a fare e che sono un autentico depotenziamento della loro funzione.
E allora dobbiamo chiederci se gli organi collegiali non debbano avere un potenziamento della loro funzione attraverso un contatto organico intimo con la realtà sociale che li ricorda, ma soprattutto attraverso la diminuzione di incombenze burocratiche. Ha ragione Alberton, non possiamo tracciare una discriminante fissa tra operazioni burocratiche e coinvolgimento diretto, ma noi diciamo che occorre questo coinvolgimento e l'Ente locale ci pare l'istituzione più adatta. L'Ente locale, così come lo vediamo noi, e come penso debba essere visto da tutti, non è un qualcosa che si contrappone ad un'entità settoriale come potrebbe essere l' organo collegiale, ma si pone con un carico di interessi e di interventi generali e che gente in genere, dalle forze sociali, dai quartieri viene ad avere la delineazione dei suoi indirizzi e delle sue scelte. Non è quindi il caso di contrapporre il Comune da una parte, che non avrebbe le competenze e l'organo collegiale dall'altra tanto è vero che anche voi, giustamente avete messo "sentito il Comune".
Quindi chiedo se questo modo di sentire lo intendiamo come una giusta apposizione di firma o di avallo da parte del Comune ad una scelta già fatta dall'organo collegiale (ma non siamo d'accordo) o se riteniamo che questo "sentito il Comune" sia un modo di programmare insieme (è questo il discorso); dando la delega al Comune abbiamo più garanzie secondo me che questa programmazione vada avanti realmente, perché l'organo collegiale non sarà il momento settoriale verticale che parte dalla Regione e va allo specifico scolastico, ma sarà invece il momento che dallo specifico scolastico si apre ad una realtà più generale.
Altra argomentazione. Anche se, ripeto, è giusto farsi carico delle osservazioni che voi avete fatto ed è giusto parlarne in maniera chiara anche per esprimere una nostra posizione, io dico: non ci rendiamo conto dei pericoli cui andiamo incontro? Da un lato il rapporto Regione-Comuni per trasporto e mensa almeno, neanche per le materne, dall'altro Regione organi collegiali, ma non ci rendiamo conto del pericolo esistente di una separazione, di una settorializzazione, cioè di un'esaltazione eccessiva dello specifico scolastico che poi va privilegiato, va portato avanti nel contesto del territorio e dei problemi più generali della società? Un'altra cosa a cui dobbiamo pensare: quando parlate di interferenze dei Comuni, quando parlate comunque di pericoli di subordinazione degli organi collegiali, pensiamo un momentino non alla storia ma alla cronaca degli anni più recenti, al fatto che in fondo tante e tante iniziative nelle materie anche didattiche delle attività integrative, della mensa dell'assistenza socio-medico-psico-pedagogica le hanno prese i Comuni, sono stati i Comuni a indicare la via, sono stati i Comuni a spendere (e spendono tutt'oggi); sappiamo benissimo che questa è una legge di delega imperfetta perché prevede le funzioni, ma non prevede la totale copertura.
Questo è un elemento che ci deve fare riflettere, perché queste iniziative le hanno assunte i Comuni facendosi carico di esigenze della collettività, così come sono stati i Comuni, in molti casi, prima che venissero fuori gli organi collegiali della scuola, con i decreti ministeriali, a creare i Comitati dei genitori. Ma è questa allora la subordinazione? Secondo me no, è un rapporto che va affinato, verificato ma io ritengo che ci siano problemi ben maggiori, ben più consistenti se accediamo a questa visione che, pur facendosi carico, ripeto di esigenze anche reali, tende nel suo schematismo, a separare una realtà specifica scolastica dal resto della società.
Detto questo, ritengo di aver almeno tentato di chiarire un aspetto di fondo, l'aspetto cioè che ci vede divisi, ma su cui forse dovremmo, se riflettiamo un po' bene, se riflettiamo soprattutto sui nostri indirizzi sulle nostre intenzioni, essere un po' meno divisi, capire che il nostro compito si sposta un pochino fuori di quest'aula, oggi, e qui, e si sposta nell'attuazione di questa legge, si sposta nella reale creazione di un sistema partecipativo che per noi è garantito proprio dal definire come punto di riferimento costante di delega l'Ente locale. Ma è una verifica che dobbiamo fare assieme, che dobbiamo costruire assieme, perché le preoccupazioni che ho io, e che ha la maggioranza, e che penso anche molti di voi abbiano sulla settorializzazione o sulla separazione sono preoccupazioni anche reali, secondo me molto reali e anche molto grosse.
Rinuncio a fare delle esemplificazioni, poiché mi dilungherei eccessivamente ed è già piuttosto tardi. Desidero comunque ricordare che per l'assistenza psico-medico-pedagogica il fatto di ritenere che anche questo sia un settore da vedere unitariamente e che non può essere ridotto secondo noi, è riduttivo vederlo nella sola dimensione scolastica - pone anche dei problemi abbastanza ovvii di una reduplicazione, di una proliferazione, e queste cose si sono verificate solo l'anno scorso, le Comunità montane, certe Comunità montane, che avevano un servizio, che lo stavano istituendo, si son trovate di fronte ad organi collegiali che per il disposto della legge intendevano fare un altro servizio. Non è meglio invece - e certo qui dovremo attribuire forza penetrante alla partecipazione degli organi collegiali -, che le iniziative che fa quella Comunità montana o quel Comune vedano partecipi in maniera autentica. Ma quando noi parliamo di "concerto" - anche se il termine può essere lessicalmente improprio - vogliamo dire che ci intendiamo bene, che programmiamo insieme, e che, al limite, non prevedere un organo dirimente sia esso la Giunta, è un attestato di fiducia a questa partecipazione perché quando è localmente svolta, su problemi locali, su problemi su cui la gente si confronta, ebbene, è molto ma molto più difficile avere le questioni ed i conflitti. Almeno, riteniamo che questo sia un indirizzo e questa sia anche una carta di fiducia che noi dobbiamo giocare e nei confronti dei Comuni e nei confronti degli organi collegiali, se, come crediamo, intendono partecipare insieme alla costruzione di una scuola nuova.
Ma vorrei ancora spendere due parole citando (sono state fatte delle citazioni, qui, anche appropriate) quello che dite voi, o meglio, quello che dicono alcuni rappresentanti del mondo cattolico, a proposito di questo rapporto fra enti locali e scuola, del problema della gestione sociale della scuoia. Mi riferisco ad un articolo contenuto in un volume, "La gestione sociale della scuola cattolica italiana", il cui autore è Rattazzi. Ad un certo punto si dice, parlando della necessità di un decentramento, su cui siamo d'accordo: "E' proprio da questo punto di vista che l'incontro tra autonomismo locale e scuola, che insieme contrastino il centralismo amministrativo, assume un particolare interesse e significato anche perché nei decreti delegati stessi sono espressi alcuni, anche se per ora soltanto potenziali, affidamenti di funzioni di governo della scuola a livello locale, e proprio in collaborazione con gli Enti locali". E più oltre: "E sarà proprio la volontà e l'efficacia di tale azione degli enti locali, consorziati tra loro a livello distrettuale, che potrà rendere vitale questo potenziale nuovo livello di effettiva gestione sociale della scuola, dove le forze capaci di farlo potranno conquistarsi degli spazi almeno per continuare a chiedere, con forza certo maggiore che in passato quel radicale rinnovamento della scuola che è necessario al rinnovamento del Paese".
Riconosco che le citazioni estrapolate non sempre esprimono fedelmente quanto intendeva dire chi le ha fatte, ma mi pare (e questo è un testo a disposizione di tutti) che un indirizzo del genere affermato dai cattolici dia conforto ad un nostro argomento: quello della gestione sociale della scuola, su cui una separazione eccessiva e troppo formale così come viene proposta da voi potrebbe veramente essere fattore di incidenza negativa.
Non mi soffermerò più sugli altri aspetti.
Sulla questione del rapporto fra scuola pubblica e scuola privata, ho ascoltato con attenzione l'intervento della dottoressa Vietti, e le do atto di avere, come sempre, cercato di portare in termini generali una questione che sta a cuore a lei e,probabilmente, al Gruppo della Democrazia Cristiana. Però noi riteniamo che sia sbagliato, profondamente sbagliato sostenere oggi una sorta di carta dei principi generali del pluralismo come è stato fatto nel suo intervento, staccata da quella che è questa legge con la quale noi siamo convinti - lo dico con serena coscienza - di aver fatto una operazione autenticamente democratica. Abbiamo recepito dalla consultazione, ma anche da voi, amici democristiani, certe esigenze reali, su cui probabilmente si sarebbe dovuto riflettere di più. Ma non è mai troppo tardi, e direi che le consultazioni, da questo punto di vista ci hanno dato un grosso momento di partecipazione: in alcuni casi ci sono state anche, lo sappiamo tutti, cose non edificanti, ma vogliamo dimenticarle. Riconosco che nella maggior parte i problemi che erano sottesi anche da certe manifestazioni non propriamente in tono con le consultazioni erano problemi reali. Noi ce ne siamo fatti carico e ne abbiamo tenuto conto in questa legge che continuiamo a considerare non certo il talismano della felicità o qualcosa di estremamente perfetto, ma una legge suscettibile di verifiche, di affinamenti, che però pone dei principi importanti, e che anche su questa questione è correttamente in linea, certo, con una nostra idea più generale ma anche con le necessità e le aspettative della gente di avere un quadro chiaro, senza discriminazioni, come dite voi, senza distinzioni. Noi riteniamo di non averla fatta. Ovviamente, abbiamo fatto una affermazione di priorità indicando un obiettivo che poi è stato ripreso negli altri interventi cito per tutti quello di Cardinali -, al quale non si può abdicare da parte di un Ente pubblico nello Stato moderno, nello Stato democratico repubblicano. Come verrà tradotta in pratica? Voi fate una questione di Comuni e di discrezione, .m a non credo che questo sia un argomento valido, perché allora si tratta di vedere meccanicisticamente i Comuni come rapporti di una maggioranza in un caso e di un'altra maggioranza in un altro. Noi lottiamo, in realtà, tutti insieme, per avere dei Comuni che al loro interno, con la partecipazione trovino soluzioni impositive ma partecipate, e, da questo punto di vista le condizioni di ammissibilità, anche secondo questa priorità, che poi si limitano, come voi ben sapete, alla scuola elementare ed alla scuola media di primo grado, abbiano una loro espressione corretta.
E' questo, questo che noi vogliamo fare; tra parentesi, essendo una priorità, facciamo una operazione generalizzata, cioè una operazione che si effettua per tutte le leggi. E io ritengo che da questo lato una priorità di questo tipo, messa in quella maniera, con un carico, ripeto, abbondante direi anche giusto, delle esigenze di quello che pubblico non é, sia un punto fermo ed anche un punto positivo.
Prima di concludere il mio intervento mi preme toccare un aspetto che non è stato finora toccato, ma di cui spesso nel corso delle consultazioni hanno parlato i Commissari democristiani presenti: il Gruppo comunista nella scorsa legislatura, quando si votò la legge n. 27, pur non approvando la legge alla fine, approvò l'art. 1.
Ebbene, lasciatemi addurre una argomentazione, sia pure con una certa esitazione data la mia troppo recente esperienza di Consigliere regionale.
Non vi viene il dubbio, amici democristiani, voi che quando noi proponemmo all'atto della formazione della Giunta, un programma che vedesse delle convergenze ampie da parte di tutte le forze democratiche, avete continuato a sostenere, con coerenza, lo ammetto, la necessità di una distinzione fra maggioranza ed opposizione, che se noi allora votammo l' art. 1 fu perch ci rendevamo conto che la minoranza ha il compito di fare quel che può fare per stimolare la maggioranza, senza però volere stravolgere un disegno che la maggioranza, nella sua responsabilità di maggioranza che governa, deve avere? Però strappammo, attraverso gli emendamenti, ottenuti attraverso discussioni in Commissione, importanti conquiste, su cui anche voi poi concordaste, che erano il prestito d'uso e via dicendo.
Con la massima serenità, con la massima chiarezza, vi dico che noi siamo disposti a verificare insieme il funzionamento di questa legge perché è giusto, come diceva Borando, porsi dei problemi di funzionamento è giusto attendere che la legge dimostri la sua validità anche nel funzionamento. Ma, dopo che, spiegando, illustrando certi indirizzi, vi abbiamo mostrato con quanta forza, con quanta incidenza noi abbiamo creduto al processo democratico di formazione delle leggi insieme alla comunità ebbene, io penso che questa proposizione di un'altra legge, con nuove linee, sia forse - invito i colleghi democristiani a riflettere su questo aspetto - un po' venir meno a quello che potrebbe essere, e secondo me dovrebbe essere, un rapporto veramente costruttivo con la maggioranza, un rapporto costruttivo che vede i vostri contributi recepiti, e sempre accolti quando servono veramente a migliorare le leggi nell'interesse della Comunità piemontese.



PRESIDENTE

Non ho più iscritti a parlare. Do pertanto la parola, per la replica all'Assessore Fiorini.



FIORINI Fausto, Assessore all'istruzione

Signor Presidente, egregi Consiglieri, credo di poter dire, a nome della Giunta, che il dibattito di oggi, che chiude tre mesi di dibattito nella Regione, dev'essere considerato, sia per il suo livello, sia perch si sono richiamati, in realtà, tutti i temi che sono stati affrontati nelle consultazioni nei quindici comprensori e in quelle fatte centralmente nettamente positivo. Positivo per l'impegno che tutti vi hanno dedicato, ed anche e soprattutto per il fatto che si arriva a questo risultato attraverso una lunga elaborazione, diremmo un avvicinamento progressivo alle esigenze reali della società, cui noi dobbiamo dare questa legge fornire questo tipo di interventi.
A me compete, a nome della Giunta, rispondere a tutte le obiezioni che sono state mosse, ai quesiti che sono stati posti. Penso però di avere anche un altro compito: quello di inquadrare questa legge nell'ambito della politica generale che la maggioranza, e, per molti aspetti, anche altri Gruppi, stanno portando avanti nella Regione. A mio parere, infatti, questa legge si inserisce armonicamente, e per i suoi contenuti e per il modo attraverso il quale è stata elaborata, nella politica regionale, nella politica che la Giunta va conducendo.
Se consideriamo che l'obiettivo politico di fondo della nuova maggioranza è quello di creare le premesse per un nuovo tipo di sviluppo economico-sociale, e che questo obiettivo lo si vuol raggiungere attraverso un modo nuovo di governare, modo nuovo che implica soprattutto partecipazione al governo da parte della popolazione e corretto impiego delle risorse, credo che là legge ampiamente illustrata dalla collega Ariotti e dagli altri intervenuti rientri effettivamente in questo disegno che non soltanto, ripeto, la Giunta ma il Consiglio nella sua generalità ha formulato E' stata, infatti, sempre presente nella elaborazione della legge la preoccupazione di legare ogni tipo di intervento alla logica che presiede all'elaborazione del piano di sviluppo, sia per ciò che riguarda l'articolazione territoriale sia per ciò che riguarda gli strumenti di governo sia infine per ciò che riguarda i criteri di valutazione dei risultati, che l'intervento regionale comporterà.
La legge segue infatti il criterio di delegare ai Comuni le funzioni previste dalla legge stessa, ma incentivandoli - e su questo c'è stato accordo fra tutti a consorziarsi secondo l'articolazione che la Regione in parte ha già deciso e in parte sta attualmente definendo. Scopo di questa suddivisione territoriale in comprensori, subcomprensori, zone per le unità locali dei servizi, è quello di realizzare il decentramento democratico e delle decisioni, evitando però ad un tempo - ed è qui che, forse, un cento disaccordo si può manifestare - il settorialismo delle decisioni. Noi cerchiamo di evitare che il settorialismo prevalga nelle nostre impostazioni, cerchiamo di evitare, cioè, che i vari tipi di intervento siano gestiti in modo specialistico; siano gestiti, in altre parole soltanto dagli addetti vi lavori. Credo che questa preoccupazione, per non riguardi soltanto la legge n. 82 bis ma tutti i settori di intervento.
In questo senso posso dire che questa legge è coerente con l'impostazione generale che la Giunta ha dato alla propria politica.
Per noi, il rifiuto del settorialismo è una scelta importante, come rilevava - e non voglio tornare su questi argomenti - il Consigliere Alasia, in alcuni casi la decisione puramente settoriale, che non tenga conto della complessità dei problemi che esistono nella società, dei problemi che il singolo individuo deve affrontare, può portare a conclusioni errate, può portare anche ad interventi in direzione sbagliata .
Noi, tra l'altro, nell'articolazione del territorio regionale abbiamo sottinteso nella legge - e stiamo lavorando, e anche su questo punto credo ci sia un accordo generale - che le zone che dovranno costituire la base il territorio dell'Unità locale dei servizi, finiscano con il coincidere con i distretti scolastici. A nostro parere questo è un aspetto importante qualificante, perché tutti i tipi di intervento che sono previsti presuppongono che, gradualmente almeno, questo progetto di lungo periodo si vada realizzando. Questo tipo di aggregazione territoriale consentirà, a nostro parere, una gestione più razionale di molti servizi, perché il livello territoriale al quale essi potranno essere gestiti si avvicinerà in molti casi al livello ottimale, sia per l'economicità della gestione, che consentirà in questo caso economie che potremmo definire di scala, sia per la possibilità di controllo del servizio da parte delle singole amministrazioni come dei cittadini.
Il tipo di servizio che la Regione prevede con questa legge non è per niente differente, come elencazione, potremmo dire, dai tipi di intervento previsti dalla legge 27 e da quelli previsti dalla 83 bis. Ma una differenza esiste nel modo di erogazione di questi interventi, ed è evidente che questo tipo di differenza, sia con la legge 27 sia rispetto alla 83 bis, va messo adeguatamente in rilievo. Perché, ad esempio, anche la legge n. 27 prevedeva sovvenzioni per i trasporti, ma le sovvenzioni che vi erano previste, in assenza di un quadro generale nel quale inserire gli interventi, si riducevano o all' acquisto di scuolabus e alla loro gestione, peraltro costosissima, o al rimborso di una parte delle spese che i singoli utenti del servizio, cioè una categoria della popolazione, gli studenti e le loro famiglie, sostenevano per la frequenza scolastica. Con la nuova legge diventa invece possibile - non è detto che questo sia subito realizzabile - che le erogazioni regionali si trasformino in contributi dei singoli enti all' elaborazione del piano regionale e, sia dal punto di vista delle idee, sia dal punto di vista finanziario, un contributo all'elaborazione del piano di comprensorio dei trasporti che tenga conto di tutte le esigenze, comprese quelle della scuola.
Noi abbiamo infatti previsto che il piano dei trasporti sia coordinato se non gestito, dal Comitato di comprensorio, che coordina i vari piani dei Comuni consorziati. Sarà, in altre parole, possibile, con il tempo giungere gradualmente ad assicurare agli studenti un servizio, sia pure pagato a prezzo politico e non più rimborsi spese, come avveniva in precedenza. La spesa regionale potrà, in altre parole, assumere, almeno in parte, il carattere di un investimento sociale, e non essere semplicemente un trasferimento di ricchezza, come è stato in prevalenza finora.
Credo che analogo ragionamento possa essere fatto per le mense. Qui si è prevista appunto la possibilità di integrare questo servizio, tra scuola e scuola, tra scuola e quartiere, quando sarà possibile, dando la possibilità ai Comuni di assumere iniziative che in alcuni casi potranno anche essere incentivate. Quindi, l'uso congiunto di strutture, di servizi che possono, economizzando sulla spesa, avvantaggiare una quantità maggiore di popolazione, purtroppo abbastanza ridotta per il momento perch inadeguate sono le risorse di cui la Regione può disporre.
E' evidente che tutto questo non sarà una conseguenza automatica della legge, però la legge dà la possibilità ai singoli Comuni di assumere queste iniziative, offre ai Comuni possibilità nuove di coordinarsi tra loro e di spendere in modo diverso il proprio denaro.
Credo che la tendenza che noi abbiamo di dare ai cittadini prevalentemente non erogazioni ma servizi sia fondamentalmente giusta. E' per questo, ad esempio, che noi abbiamo abolito, sia pure gradualmente, le borse di studio: perché abbiamo riscontrato la loro inutilità, almeno nella maggior parte dei casi. Si trattava di somme a volte cospicue che venivano spese senza alcuna possibilità di verifica dell'impiego, e chi ha esperienza in questo campo sa che molto spesso venivano spesi per scopi del tutto estranei al diritto allo studio.
Un altro problema sul quale si è manifestato un disaccordo è quello della gestione della scuola. Credo che per affrontare correttamente questo tema occorra porsi il problema fondamentale del perché la nostra scuola si trova in questo stato di crisi. Non ho certo intenzione di intrattenervi ora sui motivi della crisi, di fare un'analisi di questo aspetto: voglio semplicemente richiamare alcuni elementi certi che ci servono per il nostro ragionamento, per arrivare a determinate conclusioni.
L'attuale scuola è la scuola che noi abbiamo ereditato dal fascismo senza sostanziali e fondamentali mutamenti, esclusa la riforma del 1962 che non è stata coronata da successive riforme come era auspicabile e previsto. La nostra è ancora la scuola gentiliana, la scuola del doppio binario; la scuola, cioè, che si basa essenzialmente su una concezione aristocratica della cultura, che assegna compiti particolari alle scuole superiori, scuole di preparazione dell' elite di una società, tra l'altro ancora in prevalenza agraria, di preparazione, quindi, ancora prettamente umanistica, e, dall'altra parte, la scuola per il popolo - a parte il marginale rilievo dato allora al fattore tecnico, ai quadri intermedi nella quale, sostanzialmente, il popolo andava ancora ad imparare a leggere e scrivere e a far di conto. Molto schematicamente, è questa la scuola che il nuovo Stato italiano ha ereditato dal periodo precedente. Quindi, da una parte, una cultura, quella della scuola superiore, abbastanza in armonia con la cultura che hanno avuto i padri dei ragazzi che andavano a scuola una cultura di vecchio tipo, superata, ma che, essendo ancora in realtà la cultura dei loro padri offriva una possibilità di aggancio con la famiglia.
Questa presenza nella scuola in quanto scuola d'elite, consentiva, se non altro, un certo rapporto con la famiglia e con il gruppo sociale di appartenenza. Dall'altra parte, per il popolo era la stessa cosa: nella scuola non si imparavano cose di grande importanza, di grande rilievo, e non vi era, quindi, una frattura netta fra quanto si imparava a scuola e quello che poteva esservi fuori.
Nel momento in cui la scuola, con lo sviluppo industriale del nostro Paese, si trasforma da scuola di questo tipo in una scuoia di massa, ecco emergere i problemi. Ecco, allora, che, in assenza di un salto culturale che una riforma avrebbe potuto assicurare, si crea una frattura sempre più evidente, tra cultura scolastica e cultura esterna, frattura, che doveva sfociare, nel 1968, nella protesta studentesca. Il non aver seguito all'interno della scuola, il rinnovamento culturale che si è manifestato anche tra le classi dirigenti da una parte e l'esplosione della scolarità dall'altra, porta spesso ad incompatibilità, tra quel tipo di cultura astratta, basata su programmi spesso vetusti e non rinnovati e la realtà ad una frattura, quindi, tra i ragazzi che vivono all'interno della scuola e la realtà delle famiglie e della società. La scuola diventa, in pratica una caricatura della scuola precedente, con ambizioni umanistiche, anzi con la estensione progressiva di questa impostazione umanistica dai licei agli istituti tecnici, ed agli istituti tecnici, dai licei, alla scuola media, senza che vi sia, ripeto, un rinnovamento sostanziale dei contenuti.
Questa scuola è stata definita, forse in modo un po' schematico, ma giustamente, credo, un corpo separato nello Stato. Un corpo separato che lo vediamo adesso, con i problemi che crea - è anche, in una certa misura un corpo estraneo. Allora, se non si vuole accettare l'ipotesi, che da alcune parti è stata prospettata, della distruzione della scuola, o l'ipotesi della descolarizzazione, avanzata, per esempio, in America da Ilich; se si crede ancora contrariamente alla tesi che sostiene Reimer, in America, che la scuola è morta - che la scuola deve vivere, bisogna prendere provvedimenti radicali, che la facciano vivere. Ma quali provvedimenti? Se analizziamo il motivo di fondo del distacco tra la cultura nella scuola e la cultura nella società, vediamo che questo è dovuto in grande misura al fatto che all'interno della scuola non vengono affrontati i problemi politici, sociali della società,non vengono affrontati i problemi che poi i ragazzi, fuori dalla scuola, saranno chiamati ad affrontare.
L'esigenza di superare la frattura fra l'una e l'altra impostazione diventa, quindi, l'elemento fondamentale, se si vuol evitare il rifiuto della scuola da parte degli studenti, il disinteresse per essa da parte degli studenti; se si vuole scongiurare il pericolo che siano assenti soprattutto tra i più giovani, le motivazioni allo studio.
In che modo affrontare questo problema? Credo che in questo senso i decreti delegati abbiano già fatto compiere un passo avanti non indifferente. Vorrei a questo punto ricordare che furono proprio i sindacati, in primo luogo i sindacati della scuola confederali, a porre il problema dei decreti delegati, a porre il problema di una presenza di esterni nella scuola. E molti di coloro che oggi valorizzano giustamente non vogliamo vantare alcuna primogenitura in merito - questi istituti non è che a suo tempo fossero, come si suol dire, sulle barricate; anzi, uno dei problemi di fondo è stato proprio quello di superare la resistenza del Ministro, che non è certo iscritto al mio partito, per avere questi decreti.
I decreti delegati costituiscono, dunque, un passo avanti importante che bisogna valorizzare. Ma come? Questo è il problema. Credo che, ai momento, il fatto di dover valorizzare gli organismi previsti dai decreti delegati trovi tutti d'accordo. Il problema verte sul modo. A mio avviso il modo vero per valorizzare i consigli di circolo, i consigli di istituto che hanno fatto una esperienza di gestione alcune volte entusiasmante ma altre frustrante, sia quello di aprire questi consigli di circolo, questi consigli di istituto, ad una problematica nuova, ad una problematica politica, ad una problematica sociale, che molto spesso, per il tipo ancora parzialmente corporativo che questi organismi hanno all'interno della scuola, essi non hanno.
I decreti delegati hanno certamente favorito il formarsi di un clima di libertà e di partecipazione alla vita della scuola. Per questo noi abbiamo ritenuto necessario chiedere che anche le scuole non statali facciano queste esperienze, ciò in pieno accordo con i colleghi della Democrazia Cristiana: abbiamo ipotizzato questa necessità proprio perché abbiamo visto che su questo c'era una possibilità di accordo, e siamo soddisfatti di questo. E' evidente, però, che i decreti delegati, in sé, non sono sufficienti per rendere sociale come noi vorremmo la gestione della scuola.
Occorre - come dice una persona molto, attenta al problema della gestione della scuola, don Lorenzo Macario - che siano chiamate in causa le varie componenti della Comunità, i tradizionali gestori della scuola - insegnanti e personale amministrativo -, gli utenti diretti - gli allievi e i genitori i responsabili della comunità, e quindi della funzione che esercita la scuola - le istituzioni, gli enti locali, gli organismi democratici, i sindacati eccetera. Questa mi pare da parte di un cattolico un'attenzione corretta a questo problema.
Questo noi abbiamo cercato di fare con la nostra legge, sforzandoci di trovare il modo di investire dei problemi della scuola gli enti locali, e chiamando ad un tempo le componenti scolastiche ad affrontare i problemi di gestione dei servizi interni ed esterni alla scuola stessa. In quanti casi noi chiamiamo i Consigli di istituto, i Consigli di circolo a partecipare a decisioni! per i piani che i Comuni devono fare, per la ripartizione dei fondi. E, badate, questo può sembrare a qualcuno un voler sovrapporre il Comune agli organismi delegati: invece, si tratterà certamente, dato l'obbligo del Comune di sentire questi organi elettivi, di una loro maturazione, di una presa di coscienza dei problemi e della realtà, di un modo per uscire dalla scuola, di un modo per partecipare alla gestione di una realtà più ampia, di una realtà che può aiutare, per i riflessi che naturalmente questo comporterà all'interno della scuola, la maturazione sia dei componenti degli organismi delegati sia della scuola nel suo complesso i docenti, i genitori e, almeno per le scuole superiori, gli studenti.
Questo tentativo di estendere il carattere sociale della gestione della scuola, che ora è in prevalenza burocratica, pervade tutta la legge e ne è uno dei motivi ispiratori, uniformandosi in ciò al dettato dello Statuto regionale, che all'art. 4, quarto comma, indica, tra i compiti della Regione, quello di promuovere l'adeguamento delle strutture e dei contenuti della scuola alle esigenze della società regionale e nazionale. Mi pare che il progetto di legge e le osservazioni fatte dai colleghi della Democrazia Cristiana vadano invece in una direzione totalmente opposta. N o n voglio mettere in dubbio che la preoccupazione loro sia la stessa che ho io, cioè quella di aprire la scuola: metto invece in dubbio che il modo corretto per aprire veramente la scuola ai problemi della società sia quello di escludere totalmente gli enti locali, che hanno una visione non scolastica ma più generale dei problemi, e che, quindi, danno alla scuola anche una dimensione che non è più corporativa, non è più settoriale come tendenzialmente, in molti casi, si è verificato.
D'altra parte, non capisco perché sugli indirizzi didattici, sui programmi, debba poter intervenire il Governo centrale e debba invece essere del tutto escluso l'Ente locale; tenendo conto del fatto che se l'Ente locale non ha competenze in merito ha però possibilità di contatti che nell'ambito della sperimentazione possono essere importantissimi. Se si riconosce alla comunità la possibilità .di esprimersi, credo che, come ammette lo stesso Presidente della FIDAE, Pio Bianchini - che non è certo un innovatore in materia - sia necessaria la partecipazione di questi organismi. E Bianchini ricorda che tra i vari elementi della gestione della scuola devono esserci le parrocchie, i quartieri, gli Enti locali, il mondo del lavoro.
D'altra parte, mi stupisce il fatto che i colleghi del Gruppo democristiano siano così ostili alla partecipazione degli enti locali quando una legge, quella del Veneto, redatta da democristiani, affida direttamente agli Enti locali - Comunità montane e Comuni - la fornitura di libri di testo anche dati in uso, così come affida loro altri tipi di intervento. Credo non mi si vorrà rispondere che il motivo è quello che in Veneto i Comuni sono gestiti in parte direttamente dalla Democrazia Cristiana: so che i nostri colleghi democristiani non sono così faziosi, e in ogni caso, con i tempi che corrono non si sa alle prossime elezioni quel che potrebbe succedere. In ogni caso, una esperienza, anzi, più esperienze di questo tipo (possiamo riferirci anche a quelle di altre Regioni) sono state fatte, e credo anche positivamente..
Per quanto concerne il criterio della ripartizione dei fondi, noi sosteniamo che un criterio rigido, stabilito dal centro - come ha già rilevato il collega Borando, il cui buon senso credo diventerà proverbiale in quest'aula - non è sufficiente, porta a scompensi, per cui certe scuole hanno troppo ed altre troppo poco. Occorre mettere a punto, partendo dalla coscienza dei cittadini e attraverso la 'loro, partecipazione meccanismi che servono a valutare meglio i risultati conseguiti. E' utile quindi che essi partecipino alla discussione sulla suddivisione dei fondi che i Comuni, o i Consorzi di Comuni, dovranno effettuare tra le varie scuole. E' questo un modo per uscire dalla scuola, come dicevo prima, un modo di partecipare ad un problema sociale, che va al di là della pura e semplice impostazione settoriale all'interno della scuola.
La stessa cosa credo potremmo dire per l' equipe psico-medico pedagogica. Per chiarire il nostro atteggiamento nei confronti della equipe occorre partire dal compito che queste equipe sono chiamate a svolgere.
L'equipe medico-psico-pedagogica si inserisce nel discorso più ampio del recupero alla scuola dei ragazzi che per particolari condizioni psicologiche risultino svantaggiati nei confronti degli altri. E' opinione comune degli psicologi - e per la stesura di questa legge ne abbiamo consultati parecchi - che il fattore determinante del ritardo allo sviluppo culturale, ritardo che spesso si accompagna al rifiuto puro e semplice della scuola da parte del ragazzo, sia da ricercare nell'ambiente sociale e culturale in cui il ragazzo vive o ha vissuto. Se questo è vero, appare chiara la necessità che gli operatori che fanno parte di queste èquipe lavorino prevalentemente nell' ambiente familiare e sociale che sta all'origine del cosiddetto disadattamento di questi ragazzi.
Uno dei motivi per i quali finora i risultati pratici di questo tipo di interventi sono stati così modesti, a volte addirittura negativi, sta proprio nel fatto che queste equipe hanno spesso lavorato prevalentemente sul bambino, attraverso l'uso di test che hanno sancito definitivamente emarginazione del bambino stesso. Se l'equipe, invece, ha l'opportunità di lavorare nell'ambiente sociale in cui essi vivono, di seguire i ragazzi anche a casa, di parlare con i loro genitori, diventa possibile il recupero del ragazzo; recupero che può avvenire correttamente soltanto stabilendo un nuovo tipo di rapporto fra scuola e famiglia, fra scuola e realtà territoriale, fra scuola e società.
Per questi motivi noi, seguendo anche in questo caso la strategia della non settorializzazione dei problemi, abbiamo puntato ad utilizzare le equipe che lavorano nella scuola nelle future Unità locali dei servizi poiché la conoscenza dei problemi sociali della zona in cui esse opereranno sarà indispensabile per rendere efficace qualsiasi tipo di intervento.
Resta inteso che ciò non lede la libertà di nessuno, poiché genitori che non desiderino che i loro figli siano seguiti da questo tipo di operatore sociale possono in qualsiasi caso rifiutarne l'intervento.
Non comprendiamo, invece, la proposta dei colleghi del Gruppo della Democrazia Cristiana di collocare dentro le istituzioni scolastiche questi organismi. Ancora una volta mi pare emerga in questo senso la volontà di chiudere, o di aprire poco, non a sufficienza, la scuola nei confronti dei problemi della società, e quindi impedirne la socializzazione.
In quest'ottica collocherei anche il problema dell'orientamento professionale. Così com'é stato fatto, l'orientamento professionale è stato una cosa del tutto inutile quando non sbagliata; è stato fatto prevalentemente attraverso l'uso di test, e non vedo come l'orientamento professionale fatto attraverso un puro e semplice consiglio di classe, con la partecipazione di un esperto, possa sortire dei risultati migliori. Non è escluso, invece, che proprio seguendo il ragazzo, seguendolo nel suo ambiente, nelle sue attività, si riesca, anche da questo punto di vista, ad ottenere migliori risultati.
Per ultimo, un grosso problema: quello del finanziamento o meno delle scuole private.
Noi l'abbiamo detto più volte, la scelta che abbiamo fatto è stata chiaramente quella di indirizzare gli interventi in via prioritaria alla scuola statale. Se lo Stato, infatti, si fa carico dell'istruzione dei cittadini, è giusto che lo faccia ponendo direttamente a loro disposizione strutture e servizi ed è altrettanto giusto che primo compito di ogni amministratore sia quello di contribuire a migliorare il più possibile questi servizi.
Tutti sanno che purtroppo lo Stato è spesso largamente carente nel fornire ai cittadini il servizio scuola; la scelta della scuola privata è quindi, di fatto, molto spesso conseguenza di una necessità più che di una libertà. Ciò pare confermato dai dati di cui disponiamo che, almeno per ci che riguarda la scuola media, le scuole private hanno una maggiore diffusione là ove lavorano entrambi i coniugi ed è quindi più sentita l'esigenza di custodire i figli, soprattutto nelle agglomerazioni in cui questo diventa difficile.
Si può dire quindi che in molti casi le carenze della scuola pubblica impongono ai genitori la scelta della scuola privata e che quindi non esiste, per questi genitori, un'effettiva libertà di scelta. E' per questo che noi abbiamo fatto la scelta di privilegiare la scuola pubblica, per dare alla scuola pubblica quelle strutture che la possano rendere pari almeno ai servizi resi della scuola privata.
Un'altra importante motivazione della scelta della scuola privata è invece di carattere ideale: a volte i genitori ritengono che al loro figlio debba essere impartito un certo tipo di educazione, soprattutto in campo religioso. La scuola statale, proprio perché in essa esiste quel tanto di autonomia e di libertà didattica degli insegnanti, non garantisce che questo orientamento venga adottato. Per cui la scelta della scuola religiosa, dal punto di vista dei genitori, diventa del tutto necessaria.
Noi non condividiamo questo punto di vista, né sotto l'aspetto sociale né sotto l'aspetto didattico; riteniamo che esso rappresenti una fuga dalla società e dai suoi problemi e che costituisca per il bambino una limitazione alla sua capacità di sperimentare e giudicare. Siamo per altrettanto convinti che i cittadini hanno il diritto di pensarla nel modo opposto e che non sarebbe da parte nostra corretta una mancanza di rispetto per le loro idee, se in qualche modo, che non sia la pura e semplice discussione, tentassimo di dissuaderli dalle loro ragioni.
Tuttavia, quando, data la carenza di risorse, come nel caso nostro, si ponga un problema di priorità di spesa, noi riteniamo di avere l'obbligo come pubblici amministratori (per i motivi che ho sopra detto, di mettere sullo stesso piano la scuola statale attualmente in queste condizioni di arretratezza) di preferire le erogazioni nei confronti della scuola statale. Noi pensiamo che nella scelta fra il dare un servizio agli allievi nella scuola pubblica che non ne dispongono, e finanziare un analogo servizio per la scuola privata, si debba in ogni caso optare per la prima soluzione. Se non facessimo così, noi ridurremo la possibilità di scelta e la libertà dei cittadini, la libertà di scegliere la scuola pubblica, se lo vogliono, perché la scuola pubblica non risulterebbe in grado di fornire in alcun modo i servizi che invece normalmente, sia pure a pagamento, le scuole private offrono. Ed è notorio che non tutti sono in grado di affrontare determinate spese.
Con questo non voglio dire che la scuola privata sia una scuola d'elite, dico semplicemente che anche una modesta spesa in alcuni casi non è sopportabile dalle famiglie più povere.
Anche se privilegiamo la scuola statale però noi non siamo degli statalisti secondo la tradizione ottocentesca. Si intende, per noi la scuola è bene che sia pubblica, statale quindi o di altro Ente pubblico perché è questo il livello al quale riteniamo possibile, con maggiori opportunità, anche giuridiche, sia garantita la libertà di autodeterminazione dei ragazzi poiché, come giustamente osserva Don Macario, il ragazzo non è né di insegnanti, né di famiglie, né dello Stato né della Chiesa, ma è di se stesso e quindi la libertà di scegliere da parte del ragazzo è una delle cose che anche in famiglia, a mio parere deve essere rispettata.
Non sempre, purtroppo, la scuola pubblica è stata sinonimo di libertà di questo noi siamo consapevoli e 30 anni di lotte da parte del movimento democratico e del movimento operaio, all'interno ed all'esterno della scuola, certificano che se ci sono state conquiste queste sono dovute anche a queste lotte. Per 30 anni la scuola è stata spesso diretta, gestita in termini burocratici, è stata gestita con circolari più che con le riforme da Ministri della D.C. Esiste tuttavia la Costituzione della Repubblica che garantisce liberta di insegnamento, e nella scuola pubblica è possibile farla valere. E le lunghe lotte del movimento operaio, del movimento democratico sono riuscite in questi anni a migliorare le condizioni interne della scuola.
Si è posto ancora, in questa sede, il problema della costituzionalità del nostro intervento.
A questo proposito ha già parlato ampiamente il Consigliere Alasia, ed io vorrei semplicemente ricordare alcune vicende istituzionali, non perch queste mi interessino, ma per chiudere un argomento.
Il quarto comma dell'art. 33 della Costituzione che recita: "La legge nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà ed ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali".
Sul termine "equipollente" vi sono state molte e lunghe discussioni. Io vorrei ricordare ciò che Dossetti ebbe a dire all'Assemblea costituente riguardo all'equipollenza di trattamento. Questo non implicava affatto, a detta di Dossetti, che i D.C. prevedessero aiuti per la scuola non statale anche se quando furono al potere, proprio su quella base del concetto di supplenza (la scuola a scarico, a sgravio, come veniva detto) molti furono in realtà i contributi che lo Stato - in questo caso, forse incostituzionalmente - dette alle scuole private.
Fu ancora Dossetti che, rifiutando un emendamento di Codignola in cui si parlava di parità di condizioni didattiche, ribadì che queste condizioni erano "tutt'altra cosa dalla condizione giuridica e tutt'altra cosa dall'equipollenza dei titoli ai quali noi D.C. ci richiamiamo". Per chi volesse controllare: atti dell'Assemblea costituente pag. 3376 del 1947.
Il problema però non è quello di andare a fare l'esegesi storica della nostra Costituzione, il problema attualmente è di vedere quali siano effettivamente, nell'ambito di una priorità che noi riteniamo debba essere accordata alla scuola pubblica, le effettive esigenze del Paese.
Ed è su questo piano che ritengo che i tre mesi di dibattito ci abbiano dato i frutti che speravamo; ci hanno permesso, cioè, di chiarire meglio quali sono queste esigenze, di articolare la legge in modo che a queste esigenze si faccia fronte nel modo più giusto e di evitare, ad un tempo che ci siano discriminazioni fra ragazzi che hanno bisogno e che devono utilizzare la scuola privata e ragazzi che hanno bisogno e che possono utilizzare la scuola pubblica.
Un ultimo argomento. Si è parlato molto del pluralismo scolastico, del pluralismo delle istituzioni. Io sono tra quelli convinti che il pluralismo è fondamentalmente un problema di libertà all'interno delle istituzioni e che quindi all'interno delle istituzioni il pluralismo implichi che siano presenti tutte le componenti sociali. Questo è il vero pluralismo, anche se non è da escludere, anzi, è da favorire un pluralismo anche di istituzioni una pluralità istituzionale. Però è evidente che quando si tratta di scelte nell'ambito di una limitatezza di risorse, la scelta di fondo non può che essere per l'istituzione pubblica.
E' evidente che mentre per l'istituzione pubblica si può pretendere quel clima di libertà che la Costituzione prevede, non ci sono strumenti per pretenderlo per l'istituzione privata, o per gli enti privati. Quindi non vi è una libertà garantita all'interno degli enti privati, non c'è nessuno strumento per garantirla. E di questo penso che bisogna tenerne conto.
Mi pare che lo stesso concetto espresso dalla collega Vietti, che devono avere la libertà di portare avanti una propria proposta educativa voglia dire in realtà lasciate che noi educhiamo i nostri figli in un certo modo, non lasciamoli a contatto con l'esterno. E' un modo questo per limitare la libertà di scelta e di giudizio dei propri figli.
E' chiaro che su questo punto ci possono essere delle differenze di opinioni, però uno dei motivi per il quale la scuola pubblica deve essere privilegiata è anche questo: una scuola che garantisca la piena libertà. La scuola privata non dà questa garanzia, anche se non voglio escludere che in molte scuole private questa libertà ci sia e sia ampiamente praticata.
Mi limiterò ancora ad alcune piccole precisazioni.
C'é una richiesta da parte dei colleghi D.C. che alle scuole venga accordato di gestire corsi per le 150 ore. A noi non risulta vi siano richieste di questo genere da parte dei lavoratori e gli stessi sindacati hanno fatto richieste nel senso di privilegio nei confronti della scuola pubblica; l'organizzazione di questi corsi, fatta dal Provveditorato, è in genere per scuole pubbliche.
Ancora un chiarimento per ciò che riguarda il prezzo politico.
Definendo "prezzo politico" noi non vogliamo dire che il Comune debba trasformarsi in una struttura di servizio e che il servizio debba essere necessariamente e tendenzialmente gratuito. I cittadini possono, anche per un lungo periodo di tempo (anche se in prospettiva può essere valido l'obiettivo della gratuità) pagare questo servizio al giusto prezzo, cioè pagare ad un prezzo sufficientemente basso; però questo deve essere fatto compatibilmente con le esigenze del bilancio comunale e con le esigenze del bilancio regionale.
Signor Presidente, egregi colleghi, nel concludere questa discussione vorrei richiamarmi alla contrapposizione netta che si verificò tre mesi fa quando venne fuori il disegno di legge n. 82. Abbiamo fatto molti passi assieme, abbiamo cercato di approfondire la realtà, abbiamo cercato di aderire con questa legge di più alla realtà regionale. In questa sede possiamo apportare forse ultimi ritocchi a questa legge che vadano per nella direzione da noi scelta, scelta dalla maggioranza con la collaborazione attiva, attivissima direi, di tutto il Consiglio, in particolare dei Consiglieri di opposizione della D.C. che sempre sono stati presenti a questo dibattito. Io credo però che non sarebbe corretto, in questa sede, stravolgere il significato della legge con emendamenti che non tenessero conto del fatto che a questa elaborazione siamo arrivati con un lungo travaglio, che a questa elaborazione siamo arrivati con la consapevolezza di aver sentito tutti e di essere riusciti nel modo migliore ad aderire quanto più possibile alla realtà politica e sociale della Regione.



PRESIDENTE

Vi pregherei di un attimo di attenzione per discutere la prosecuzione dei nostri lavori.
Con la replica dell'Assessore Fiorini mi pare che si possa considerare conclusa la discussione di carattere generale.
Il Presidente ed il Vice Presidente della Giunta hanno tra poco un incontro con il Ministro Cossiga in Prefettura e dopo un quarto d'ora ci andrò anch'io. Inoltre abbiamo un impegno, che ho ritenuto di poter assumere a nome di tutti, con una delegazione di genitori che hanno chiesto un incontro con i Capigruppo, sempre sull'argomento che stiamo discutendo.
Suggerisco quindi una sospensione, non sarà inferiore alla mezz'ora che permetterà al Presidente ed al Vice Presidente della Giunta di incontrarsi con il Ministro e successivamente al sottoscritto di fare la stessa cosa. Contemporaneamente i Capigruppo potrebbero rapidamente dare vita all'incontro con una delegazione ristretta di genitori. Alle 18,30 riprendiamo i lavori ed il primo punto da discutere dovrebbe essere l'ordine del giorno presentato dal Consigliere Marchini che propone il non passaggio all'esame degli articoli.
C'è consenso su questa procedura? La parola al Capogruppo D.C. Bianchi.



BIANCHI Adriano

Signor Presidente, direi parziale consenso e cioè: ovviamente il Consiglio non può opporsi a che gli organi rappresentativi della Regione adempiano ad altre funzioni che non sono dilazionabili; sono ovviamente d'accordo (e l'avrei richiesto se lei non l'avesse proposto) che si proceda a ricevere i rappresentanti della delegazione dei genitori che ne hanno fatto garbata richiesta. Penso che questi adempimenti non saranno così brevi da consentire una rapida ripresa dei lavori.
Pensavo che si potesse questa sera chiudere con l'esame della questione proposta dal Consigliere liberale che comporterà anche questa una discussione che sarà breve, ma farà presto a portar via un po' di tempo perché vi saranno alcune precisazioni d'ordine politico e domani mattina riprendere con la discussione ed il passaggio agli articoli.
Faccio un'altra richiesta. Penso che essendo l'impegno dei due Presidenti con il Ministro stato prospettato per un quarto d'ora, venti minuti, mezz'ora, all'incontro con i genitori che l'hanno richiesto alla conclusione di questo amplissimo dibattito svoltosi nell'opinione pubblica e perché abbia il dovuto rilievo e corretto rilievo, possano partecipare anche il Presidente dell'Assemblea al quale è stata fatta la richiesta direttamente e il Presidente della Giunta. I Capigruppo penso che possano cominciare ad intrattenersi con questa delegazione, ma che la riunione non possa che concludersi al momento con l'intervento dei Presidenti. Propongo quindi che il Consiglio o subito, se c'è ancora il tempo, affronti la questione del passaggio agli articoli, oppure in alternativa si riconvochi per esaminare questa sola questione, ma mi sembrerebbe che alle 18 rinviando alle 19 per andare alle 20 per un argomento che può prendere mezz'ora, 40 minuti, valga forse la pena di rinviare alle 9 precise di domani mattina per riprendere e concludere la discussione..



PRESIDENTE

Credo che intanto su una cosa siamo d'accordo e cioè che adesso siamo obbligati a sospendere perché in ogni caso dobbiamo incontrarci con il Ministro.
La seconda cosa sulla quale mi pare che si sia d'accordo è sull'incontro con la delegazione dei genitori.
Un po' meno accordo può darsi che ci sia sulla procedura da seguire circa la discussione dell'ordine del giorno per il non passaggio agli articoli, perché a norma di regolamento non c'è discussione alcuna, si vota e basta, quindi la questione prende un minuto di tempo, forse anche meno.
Invece può essere di nuovo opinabile là ripresa dei lavori per questa sera e per domani. L'unica cosa che faccio presente è l'intesa fra i Capigruppo circa il tempo da dedicare all'esame di questa legge che sappiamo così importante, avendo io tutto il diritto e il dovere di garantire i diritti della minoranza, ma anche quelli della maggioranza che consistono, in questo caso specifico, nel far passare il maggior numero di leggi fra quelle iscritte all'ordine del giorno, perché anche questa è una questione piuttosto importante.
Quindi, non avrei nessuna difficoltà eventualmente anche a decidere di sospendere i lavori quando sarà necessario, dopo questa prima sospensione e secondo ciò che i Capigruppo ed il Consiglio decideranno, a condizione che domani ci si impegni tutti a lavorare quanto è necessario perché il maggior numero dei punti all'ordine del giorno passi, altrimenti anch'io avrei qualcosa da obiettare rispetto alle decisioni prese nella riunione dei Capigruppo.
La parola ai Capogruppo P.C.I., Bontempi.



BONTEMPI Rinaldo

Collegandomi a questa esigenza che è stata manifestata concordemente nella riunione dei Capigruppo di andare alla votazione e alla discussione di altri punti all'ordine del giorno, ritengo che non ci si possa adesso porre una preclusione di discussione ; direi che non si potrà certo andare avanti ad oltranza, però dovremmo tentare di mettere alle nostre spalle almeno una parte del lavoro che ci toccherebbe fare domani, anche perch domani abbiamo alcuni provvedimenti (personale, La Mandria) che rivestono una certa importanza e su cui tutti abbiamo convenuto.
Se discipliniamo bene sia l'incontro con il Ministro, sia l'incontro con la delegazione dei genitori, possiamo ritornare in aula e procedere fino ad una certa ora, che possiamo anche fissare.
A questo punto forse varrebbe la pena votare sull'ordine del giorno presentato dal Consigliere Marchini.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Calsolaro.



CALSOLARO Corrado

Signor Presidente, nel caso in cui si ritenesse di esaurire una parte della votazione relativa alla legge sul diritto allo studio (il che potrebbe avvenire ad esempio per le ore 19) si potrebbe poi lasciare ampio spazio per domani alla votazione sugli emendamenti e sugli articoli . Nello spazio di due ore si può approvare questa sera la legge sulla Mandria altrimenti rischiamo di avere domani la legge sull' assistenza scolastica mentre La Mandria e tutta l'altra serie di adempimenti potrebbero non essere portati a termine in giornata.



PRESIDENTE

Questa potrebbe essere un'altra idea.
Cominciamo a decidere sulle cose su cui c'è un obbligatorio consenso: adesso il Presidente ed il Vice Presidente sono già andati dal Ministro, io dovrò andarci fra poco, è un incontro che riguarda questioni di ordine pubblico per la campagna elettorale, non si può certo disattendere un impegno di questo genere.
Vi chiedo intanto di sospendere per ottemperare a questi due impegni e all'incontro con la delegazione dei genitori, a cui cercherò di essere presente, in qualche modo ci sarò.
Dopo riprendiamo i lavori e decidiamo tutto ciò che c'è da decidere. In tre quarti d'ora ce la facciamo, credo per le 19.
Decidiamo il termine massimo delle 19 per rivederci qui.
La seduta è sospesa.



(La seduta, sospesa alle ore 18,05, riprende alle ore 19,05)



PRESIDENTE

La seduta riprende, riprende con un po' di ritardo determinato dal fatto che l'incontro con il Ministro è durato più a lungo del previsto.
Nello stesso tempo questo però ha consentito una lunga riunione con là delegazione dei genitori che hanno potuto avere a disposizione ben più tempo di quanto previsto dal Consiglio regionale, queste decisioni sono le uniche che contano agli effetti delle sospensioni e della ripresa dei lavori.
Con il Consigliere Marchini c'è stata una specie di intesa nel senso che io leggessi l'ordine del giorno, dessi brevemente la parola al Consigliere Marchini stesso per una rapida illustrazione, ma non aprissi una discussione generale su questo documento, stante il fatto che si tratta di votare se lo accogliamo o se lo respingiamo.
L'ordine del giorno dice: "Il Consiglio regionale, posto che il testo di legge per l'esercizio del diritto allo studio portato in aula per la discussione, fa riferimento ad organismi ancora da costituire (Consigli di distretto, Comitati di Comprensorio, Unità Locali dei Servizi, Consorzi dei Comuni, Consigli di quartiere) e la cui costituzione non coinciderà con le esigenze del testo di legge ritenuto che il testo di legge è carente sul piano del metodo legislativo al punto di renderne difficile la comprensione ai cittadini primi destinatari della legge e da creare possibili conflittualità fra gli enti investiti di poteri di delega, di gestione e di programmazione considerato che il testo di legge non dà quindi sufficienti garanzie per le sue carenze di struttura, per tutelare nel modo più assoluto l' eguaglianza dei cittadini nel diritto allo studio; considerato che un rinvio del testo di legge non pregiudicherebbe la possibilità di interventi perché già esistono leggi e strumenti, pur lacunosi, idonei a fronteggiare temporaneamente le esigenze dei servizi scolastici delibera il non passaggio agli esami degli articoli".
Ha la parola il Consigliere Marchini.



MARCHINI Sergio

Rispetto l'impegno di brevità, anche perché l'ordine del giorno mi sembra, proprio in ossequio a quel tipo di preoccupazione qui esposto redatto in modo estremamente comprensibile.
L'ho già illustrato stamattina, richiamo quindi brevemente i due concetti che ne sono alla base: in primo luogo questa legge non è attuabile immediatamente, per cui si ritiene che non potrà avere attuazione; in secondo luogo la certezza del diritto e la chiarezza della legge in un Paese come il nostro fatto di avvocati e di legulei dovrebbe essere una delle primissime preoccupazioni.
In aggiunta a quanto ho detto stamattina, devo dire che questa mia impressione è stata confermata fisicamente pochi minuti fa, quando una delegazione di cittadini è venuta a rammostrarci dei dubbi che probabilmente non hanno ragione di essere. Ma il fatto stesso che questi dubbi esistono significa che la legge deve trovare un testo più chiaro e più preciso.
Insisto quindi nell'ordine del giorno perché mi pare che il clima che si è creato in quest'aula non dia certamente la possibilità, soprattutto alla D.C. che ha presentato un ponderoso volume di emendamenti, di portare avanti una serena discussione. Mi pare che la maggioranza, tramite l'Assessore, tramite il Capogruppo del partito che ha il maggior peso come maggioranza, abbia dichiarato chiaramente che porterà avanti la legge accetterà soltanto degli emendamenti che ovviamente, nella logica dei rapporti di forza, non travalichino il senso della legge.
In questo senso insisto e chiedo ai Gruppi di appoggiare l'ordine del giorno.



PRESIDENTE

Qualcuno chiede di parlare? Consigliere Martini.
Però non aprirei la discussione, le darei la parola soltanto per un breve intervento.



MARTINI Mario

Chiedo solo alla cortesia del Presidente di attendere un momento in quanto si sta ricomponendo il Gruppo della D.C.



PRESIDENTE

Attendo, però dobbiamo intenderci bene, perché alcuni Consiglieri della D.C. mi hanno chiesto di sospendere ulteriormente la seduta per recarsi dal Prefetto e fare presenti le loro valutazioni su ciò che sta avvenendo fuori e questo è qualcosa che interviene nella decisione sovrana del Consiglio di riprendere i suoi lavori alle ore 18,30, che poi sono diventate le 19 e le 19,15.
Se chiudo gli occhi su questa richiesta, la conseguenza è la seguente: invece di riprendere i lavori alle 19,10 li riprendiamo alle 19,30, e questo comporta, di fatto, il prolungamento dei tempi, passa cioè una determinata linea, che può anche essere la linea che il Consiglio sceglie ma la deve scegliere il Consiglio e io non mi posso fare garante di una linea che viene portata avanti nei fatti senza essere misurata dal confronto del Consiglio regionale.
Ragion per cui, se questo significa che entro 5 minuti il Gruppo della D.C. è presente, sospendo la seduta, altrimenti andiamo avanti.



BORANDO Carlo

Come lei ha giustamente detto prima, in effetti alcuni componenti della D.C. si sono recati dal Prefetto e dal Ministro.
Visto che a causa di manifestazioni che io definirei "innocenti", anche se un po' coreografiche, la polizia è intervenuta, si è andati non a protestare, ma a chiedere benevolenza.
Il discorso è rivolto a lei ed a tutti gli altri membri del Consiglio: un minimo di comprensione, della quale non dubito, consentirà di aspettare cinque minuti.



PRESIDENTE

Infatti, l'ho deciso prima ancora che lei me lo dicesse, cinque minuti si può aspettare, ma non certo 55.
La seduta è sospesa.



(La seduta, sospesa alle ore 19,15, riprende alle ore 19,25)



PRESIDENTE

La seduta riprende.
Eravamo giunti alla discussione dell'ordine del giorno presentato dal Consigliere Marchini, il quale ha avuto tempo per illustrarlo sollecitamente, come avevamo concordato, poi c'è stata una breve sospensione per consentire al Gruppo della D.C. di intervenire presso il Ministro.
Adesso si possono finalmente riprendere i lavori e se non vi sono richieste di parola sull' ordine del giorno presentato dal Consigliere Marchini, si potrebbe passare alla votazione.
Potrei aprire una lunga discussione sul regolamento, ma la evito, e do la parola al Consigliere Bianchi.



BIANCHI Adriano

Signor Presidente, credo sia un momento importante: un ordine del giorno che motiva la richiesta di non passaggio agli articoli, stante la nostra posizione, non può non richiedere una precisazione sul significato che ha il nostro voto in relazione a questa proposta, perché potrebbe creare degli equivoci.
Noi siamo portatori, presentatori di una proposta di legge, si è svolto un dibattito a tutti i livelli, che anche nella giornata di oggi registra momenti di alta tensione.
Avrei voluto chiedere la parola per un momento di rettifica quando il Presidente si richiamava ai problemi della tutela della maggioranza malgrado tutte le sollecitazioni che il contesto comporta, non abbiamo parlato in più di quattro, nessuno ha superato i venti minuti, non abbiamo adottato nessun atteggiamento che non fosse ordinato strettamente ad un dibattito serio ed alla ricerca dei migliori risultati innanzi tutto in questa sede, perché affermo qui che mi interessa di più il risultato che questa legge potrà dare per i suoi destinatari, per la comunità regionale che non i voti che potranno essere ottenuti in funzione dei momenti di mobilitazione, anche politica, che ci sono attorno a questa situazione.
Pertanto noi ci siamo comportati ai fini del migliore adempimento dei doveri che abbiamo come opposizione per raggiungere il risultato di una legge la più rispondente possibile a quelli che riteniamo essere gli interessi dell'intera comunità regionale.
E pertanto adesso, siamo portatori di una proposta di legge che è giunta in Consiglio e che non viene presa materialmente in esame, lo potrebbe essere se tutti gli articoli del disegno di legge della Giunta venissero respinti. Quindi c'è una nostra alternativa che esprimiamo doppiamente con questa proposta e con tutti gli emendamenti che sono già stati presentati o con altri che potranno essere presentati.
Il votare a favore dell'ordine del giorno del Consigliere liberale costituirebbe per noi contraddizione rispetto a tutta la linea che abbiamo tenuto, ma non vogliamo che si pensi che il nostro voto, diverso da quello che esprime il Gruppo liberale, significhi rinuncia al mantenere ferme le posizioni che abbiamo espresso in alternativa a quelle che rappresenta la maggioranza.
Pertanto per queste ragioni noi ci asterremo su questo ordine del giorno, senza entrare nel merito delle dichiarazioni del collega liberale non tutte condivisibili dal mio Gruppo.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Calsolaro.



CALSOLARO Corrado

Il Gruppo socialista voterà contro l'ordine del giorno proposto dal Gruppo liberale per il non passaggio agli articoli. Di questa iniziativa noi socialisti abbiamo, purtroppo, un pessimo ricordo e non intendiamo sfuggire alle nostre responsabilità che ci impegnano a dare alla collettività regionale una legge che regoli in modo organico l'esercizio del diritto allo studio.
Noi non riteniamo né che la legge sia carente sui piano del metodo legislativo (questa carenza oltre tutto non è stata dimostrata nel corso dell'illustrazione dell'ordine del giorno), né che sia incomprensibile, n che crei una conflittualità tra gli enti investiti del potere di delega di gestione e di programmazione, posto che proprio nel disegno di legge ogni ente fra quelli da esso indicati risponde alle competenze ad esso attribuite dalla legge.
Per quanto riguarda gli organismi che non sono ancora stati istituiti ma che stanno per essere istituiti, le norme contengono disposizioni di carattere transitorio che opportunamente surrogano le momentanee carenze delle istituzioni che prima ho indicato; ogni altro riferimento a quanto è contenuto nell'ordine del giorno è già stato affrontato dai Consiglieri della maggioranza e direi dagli stessi Consiglieri della minoranza.
In particolare questa proposta mi sembra del tutto incompatibile per ciò che si riferisce ad un impegno di lavoro che riguarda proprio la modifica o la riforma di una legge che, pur avendo introdotto a suo tempo dei principi e delle iniziative valide, tuttavia a nostro avviso deve essere profondamente modificata.
Ritengo poi del tutto defatigatoria la proposta che è stata presentata dal Gruppo liberale e credo che il confronto realmente democratico debba avvenire sul disegno di legge presentato dalla Giunta e sugli emendamenti che sono stati presentati dal Gruppo della D.C. e dal Gruppo del P.R.I.
Si tratta, evidentemente, di escamotages che abbiamo sempre respinto ed inteso, là dove sono stati accolti, come momenti prevaricanti del libero voto del Consiglio.In questo senso respingiamo l'ordine del giorno presentato dal Gruppo liberale.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Furnari.



FURNARI Baldassare

Anche il Gruppo socialdemocratico è contrario a questo ordine del giorno presentato dai liberali.



PRESIDENTE

La parola alla dottoressa Castagnone Vaccarino.



CASTAGNONE Aurelia

In considerazione dell'alto contenuto sociale della legge, anche il PRI voterà contro l'ordine del giorno presentato dai liberali, anche se il nostro consenso sulla legge non è totale.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bontempi.



BONTEMPI Rinaldo

Per il carattere di urgenza che riveste questa legge mi associo ai pareri espressi da chi è intervenuto prima e dichiaro che il Gruppo comunista vota contro l'ordine del giorno.



PRESIDENTE

Vi sono altre richieste di parola? Non ve ne sono.
Pongo in votazione il non passaggio all'esame degli articoli, secondo la proposta del Consigliere Marchini.
Chi è favorevole alzi la mano.
L'ordine del giorno è respinto con questo esito: presenti e votanti: 53 favorevole : 1 Consigliere contrari : 31 Consiglieri astenuti : 21 Consiglieri Passiamo ora all'esame degli articoli della legge.
La parola al Consigliere Bianchi.



BIANCHI Adriano

Ritengo che, proprio per il carattere della giornata e per la serietà che vogliamo conservare in ordine alla discussione che sarà sicuramente molto impegnativa sugli articoli, sugli emendamenti e sulle votazioni relative, a quest'ora si potrebbe sospendere la seduta, anche perché non ci sono solo questi impegni e domani forse guadagneremo tempo, in coerenza e serietà di discussione e di dibattito sui singoli articoli e sulla loro approvazione.
Quindi chiedo che l'assemblea si aggiorni a domani mattina all'ora che il Presidente riterrà di fissare, per la prosecuzione dei lavori.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bontempi.



BONTEMPI Rinaldo

Mi richiamo a quanto ho detto prima: abbiamo assunto l'impegno, nella riunione dei Capigruppo, di svolgere una discussione pacata, tranquilla che però ci facesse mettere in cascina il maggior fieno possibile, proprio per evitare di rimandare troppi argomenti al giorno dopo. Poiché sono le 19,30, possiamo proseguire nella discussione e quello che ci rimarrà da fare lo faremo domani. La discussione non ha avuto momenti di particolare asperità o tensione, si è anche esaminato nella giusta luce quanto è avvenuto fuori di quest'aula, adesso conviene proseguire con la votazione degli articoli.



PRESIDENTE

La parola alla collega Castagnone Vaccarino.



CASTAGNONE Aurelia

Proporrei semplicemente di fissare un'ora entro la quale terminare la discussione.



PRESIDENTE

Propongo di continuare i lavori per un'ora e di fare poi il punto perché ci sono delle decisioni che o vengono modificate dai Capigruppo che mi autorizzano a cambiare l'orientamento, oppure le decisioni rimangono esattamente quelle che ha esposto il Capogruppo D.C. Bianchi e devo dargli atto che il comportamento del suo Gruppo nella discussione sulla legge è stato quello concordato fra i Capigruppo, ma è stato anche altresì concordato fra i Capigruppo che il complesso degli argomenti all'ordine del giorno doveva trovare, nelle due giornate, adeguata trattazione. Mi sono poi trovato di fronte alla solerzia delle Commissioni che hanno licenziato altri progetti di legge.
Anche se vogliamo limitarci soltanto agli undici punti all'ordine del giorno e anche se domani mattina riprendiamo i lavori alle ore 9 puntualmente, sia pure con un sollecito svolgimento dei lavori, ho di fronte agli occhi una tale quantità di emendamenti e l'opportunità di una discussione seria ed approfondita per cui è del tutto evidente che passerà questa legge e pochissime altre cose.
Capisco che la minoranza di fronte a questo può alzare le braccia e dire è fatalità, ma vorrei sapere se tutti sono d'accordo, perché cambia l'orientamento della decisione generale.
Se adesso lavoriamo per un'ora, vediamo come vanno le cose e possiamo fare il punto; abbiamo lavorato tante volte fino alle 20,30, fino alle 21,30 e perfino alle 22. Abbiamo alle spalle due settimane di vacanza del Consiglio regionale, anche questo è un fatto eccezionale, successo pochissime volte in sei anni di vita del Consiglio regionale del Piemonte.
E' il Consiglio che licenzia le leggi, anche questo bisogna tenerlo presente nell'interesse generale dell'assemblea.



BIANCHI Adriano

Anche le interruzioni di oggi non erano previste dalla riunione del Capigruppo; ci sono dei limiti fisici. Comunque il Presidente faccia quello che vuole.



PRESIDENTE

No faccio quel che mi dice il Consiglio, non faccio quello che voglio.
Qui c'è una proposta di lavorare per un'ora e c'è una proposta di sospendere.



BIANCHI Adriano

Chiedo la convocazione dei Capigruppo per cinque minuti.



PRESIDENTE

Benissimo. La seduta è sospesa.



(La seduta, sospesa alle ore 19,40 riprende alle ore 19,50)



PRESIDENTE

La riunione dei Capigruppo ha concluso con questa proposta: il Consiglio sospende i suoi lavori e riprende domattina puntualmente alle ore 9 con la discussione sugli articoli della legge e sugli emendamenti discussione che dovrà essere nello stesso tempo sollecita e non preclusiva dei necessari approfondimenti.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 19,55)



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