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Dettaglio seduta n.48 del 28/04/76 - Legislatura n. II - Sedute dal 16 giugno 1975 al 8 giugno 1980

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SANLORENZO


Argomento:

Sul programma dei lavori


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Ieri sera, nella riunione dei Capigruppo, si è presa in esame un'ipotesi di svolgimento dei lavori e si è convenuto sull'opportunità - se non vi sono pareri contrari dei Consiglieri - di concludere la discussione questa sera, in modo da dar tempo alla Giunta di esaminare gli apporti venuti dal dibattito, preparare le repliche, domattina infatti dovrebbe parlare un certo numero di Assessori, il Presidente della Giunta e quindi dovremo procedere alla votazione del bilancio.
D'altra parte tutto questo è consentito dai tempi che abbiamo a disposizione, perché, considerando tre ore di dibattito questa mattina e quattro ore circa oggi pomeriggio, a una media complessiva di venti minuti per intervento fanno 21 interventi e non è certo la quantità degli interventi che può essere messa in discussione.
Il problema è però di gestire, all'interno dei Gruppi, la quantità di tempo complessiva che viene a determinarsi, sulla base delle richieste che i Gruppi hanno avanzato di quantità di interventi ed il disegno organico che spetta naturalmente alla Presidenza del Consiglio assicurare e rispettare.
Non credo pero che vi saranno rilevanti difficoltà nella gestione del dibattito.


Argomento: Assestamento di bilancio

Esame disegno di legge n. 45: "Bilancio di previsione per l'esercizio finanziario 1976" (seguito)


PRESIDENTE

Proseguiamo quindi la discussione sui disegno di legge n. 45: "Bilancio di previsione per l'esercizio finanziario 1976".
Dò la parola al Consigliere iscritto a parlare per primo, avv.
Paganelli.



PAGANELLI Ettore

Signor Presidente, sono qui da un quarto d'ora e non ho alcuna difficoltà a prendere la parola, ma parlerei con una Giunta che è completamente assente; sarebbe opportuno che almeno il Presidente o l'Assessore al bilancio ci fossero.



PRESIDENTE

Lei ha perfettamente ragione, Consigliere Paganelli.
Ecco il Presidente della Giunta.



PAGANELLI Ettore

Signor Presidente, signori Consiglieri, prima di soffermarmi sul bilancio che oggi viene al nostro esame, ritengo opportuno svolgere alcune considerazioni sul tema della finanza regionale e dei rapporti tra le Regioni e lo Stato in ordine alla politica finanziaria. E' un argomento che deve essere considerato sotto una duplice prospettiva. Da un lato dobbiamo fare riferimento allo sviluppo dell'ordinamento regionale, come nuova dimensione non solo politica e di autogoverno locale, ma insieme come nuova dimensione amministrativa e come occasione e strumento per un profondo rinnovamento e per una seria razionalizzazione delle strutture della pubblica amministrazione nel suo complesso.
Sotto questo profilo l'organizzazione dei canali di finanziamento regionale ed il volume di spesa pubblica filtrata attraverso le Regioni rappresentano senza dubbio uno degli elementi più rilevanti, non solo in termini quantitativi, ma anzitutto in termini qualitativi, per garantire al Paese la possibilità che le Regioni siano un fattore di innovazione, di ammodernamento dell'apparato pubblico e delle istituzioni - nel loro momento politico come in quello amministrativo - e non invece un ulteriore elemento di frantumazione e di disgregazione della struttura pubblica.
Da un altro lato però non possiamo dimenticare il problema immediato delle condizioni in cui versa la finanza pubblica nel nostro Paese: un discorso meramente esigenziale, che costruisca l'assetto della finanza regionale unicamente in riferimento alle Regioni, senza confrontarsi e farsi carico dei problemi dell'economia nazionale e quindi della finanza pubblica nel suo complesso, sarebbe non solo astratto ed improduttivo, ma rischierebbe di aggravare taluni nodi strutturali che debbono invece essere sciolti, anche con il responsabile concorso delle Regioni.
In altri termini riteniamo che non ci si possa porre in un'ottica puramente rivendicativa nei confronti dello Stato, quasi che le Regioni fossero altro dallo Stato e non una sua articolazione: il passaggio dallo Stato centralizzato allo Stato regionale richiede la massima capacità di impegno delle Regioni nel considerare come propri non solo i problemi che più direttamente toccano il loro funzionamento, ma contemporaneamente ed in ugual misura anche quelli dell'organizzazione statale nel suo insieme.
E' in questa prospettiva ed in questo spirito che vanno allora visti anche i problemi della finanza regionale. Dobbiamo anzitutto constatare positivamente come, a partire dallo scorso anno, si siano compiuti notevoli e significativi passi innanzi, verso una crescente valorizzazione dell'istituto regionale anche in termini finanziari, nonostante le difficoltà oggettive che si presentavano in connessione con il negativo andamento della congiuntura economica, a testimonianza di una chiara ed esplicita scelta politica a favore delle Regioni compiuta dalle forze di governo ed in primo luogo dalla D.C.
E' sufficientemente noto come nel quadro dell'azione anti-recessiva impostata nell'estate del 1975 con il cosiddetto "piano di emergenza" e con provvedimenti ad esso collegati, si sia dato ampio spazio e si sia fatto ampio ricorso al canale regionale, o attribuendo direttamente alle Regioni l'erogazione di quote consistenti di spesa o concordando con le Regioni criteri e modalità della spesa stessa e la sua dislocazione sul territorio.
Il primo e il caso dei fondi per l'avvio del piano autobus, per la zootecnia e la riforestazione, per l'edilizia sanitaria, per i lavori pubblici e l'edilizia sociale; il secondo (non completamente alternativo) è quello dell'edilizia residenziale e per l'edilizia scolastica.
E' questa una scelta che deve essere sufficientemente valutata nella sua importanza e nelle sue conseguenze: entrambe sono notevoli, non solo per la massa di stanziamenti previsti da questi provvedimenti che coinvolgono diverse migliaia di miliardi su base pluriennale, ma proprio per il metodo di gestione della spesa pubblica che viene ad affermarsi, di stretta associazione tra lo Stato e le Regioni.
D'altra parte vediamo i riflessi di questa scelta sia nel bilancio 1975 che si è dilatato rispetto alle previsioni iniziali anche per l'ulteriore assegnazione di fondi da parte dello Stato per 27 miliardi e 562 milioni sia nel bilancio che stiamo discutendo, nel quale l'unico elemento di reale novità, quello stesso elemento che consente di dire che vi e un'espansione in assoluto ed in percentuale della spesa regionale per investimenti, è rappresentato dagli stanziamenti derivanti dalla manovra anticongiunturale compiuta dal Governo nel 1975.
Non mi sembra che in relazione a questi stanziamenti abbia molto fondamento riproporre la polemica sulle assegnazioni a destinazione vincolata, come da alcune parti si è voluto fare.
Negli scorsi anni anche noi abbiamo sviluppato questa polemica e non abbiamo oggi modificato posizione e giudizio: continuiamo a ritenere che gli stanziamenti dati alle Regioni con destinazione vincolata, per i quali siano cioè predeterminati modalità, criteri, e talora addirittura singoli destinatari della spesa, mortifichino l'autonomia regionale e siano controproducenti anche sul piano della stretta efficienza dell'amministrazione finanziaria, introducendo un ulteriore filtro burocratico e rallentando la stessa erogazione della spesa.
Non vedo pero come gli stanziamenti anti-congiunturali possano essere qualificati a destinazione vincolata, a meno che con tale termine non si vogliano ora definire anche le indicazioni settoriali, pur quando le modalità ed i criteri della spesa nell'ambito dei vari settori rimangano largamente libere. Se per taluni canali di finanziamento - come il Fondo di sviluppo - è corretto che le Regioni chiedano di essere pienamente autonome anche nella destinazione settoriale dei loro investimenti, non si pu esasperare questa concezione dell'autonomia regionale sino a disconoscere l'esigenza di un coordinamento centrale e della decisione, a livello nazionale e sentite le Regioni - come è stato fatto - degli indirizzi da conferire a grandi programmi di investimento.
Questa maggiore associazione delle Regioni alla politica economica nazionale comporta certo una più alta responsabilità delle Regioni stesse sul piano strettamente politico e non meno sul piano operativo, per garantire il risultato delle manovre di spesa cui sono chiamate a partecipare Non possiamo allora non rilevare come la Giunta regionale non si sia mossa con la necessaria tempestività nella previsione degli stanziamenti assegnati alla spesa regionale. Occorreva da tempo operare il raccordo tra la legislazione nazionale e quella regionale, che in taluni casi è indispensabile come occorreva determinare gli oggetti specifici degli investimenti che la Regione è stata messa in grado di realizzare e di promuovere.
Ho seguito nei giorni scorsi un' *illeggibile* polemica giornalistica e debbo dire che non mi ha convinto l'Assessore al bilancio, Simonelli quando afferma che tanto lo Stato non ha operato l'accreditamento materiale dei fondi alla Regione e che pertanto il ritardo della Regione è irrilevante.
Intanto si deve osservare che se attendessimo questo accreditamento per legiferare e per varare piani operativi, produrremmo sempre uno scarto temporale grave ed evitabile ed in secondo luogo è assai probabile che lo Stato non operi neppure l'accredimento se le Regioni per parte loro non sono in grado di utilizzarlo e non vedo come sarebbe biasimevole lo Stato se ciò facesse, dal momento che un accreditamento non utilizzabile andrebbe solo ad accentuare le tensioni e le difficoltà nei flussi di cassa del Tesoro risolvendosi poi in residui passivi.
Ci pare piuttosto che la Giunta regionale non sia stata sinora in grado di predispone un vero programma operativo, che potesse sostituire le dichiarazioni di principio di questi mesi, dei piani di priorità e di fattibilità, trascinandosi invece in un'ordinaria amministrazione in contrasto con le esigenze della realtà piemontese ed italiana.
La definizione di questo programma al momento di formazione della Giunta venne rinviata alla Conferenza sull'occupazione: dopo la Conferenza vi fu il rinvio al Piano di sviluppo, fissato allora, come presentazione mi pare, alla fine di gennaio. Siamo ora alla fine di aprile e dopo un dibattito richiesto dai Gruppi di opposizione ci si dice che questo Piano lo avremo fra poco.
Non siamo così ciechi di fronte alla dinamica dell'economia italiana ed internazionale di questi mesi, da non comprendere le oggettive difficoltà che comporta la redazione di un Piano di sviluppo pluriennale; proprio queste circostanze avrebbero però richiesto che non si facesse del Piano un mito, o una giustificazione per continui rinvii, per cercare invece nell'immediato di definire quel programma di emergenza che la situazione imponeva, quasi che di programmazione si possa parlare solo in presenza di piani di lungo periodo e non si possa fare programmazione, adottare cioè un metodo di governo delle risorse rigoroso e scientificamente fondato, anche su tempi brevi e medi.
In realtà questa concezione della programmazione finisce per confermare quella dissociazione tra politica delle strutture e politica congiunturale il cui superamento è uno degli obiettivi di fondo della programmazione stessa, quando addirittura non porta al venir meno anche di una adeguata politica congiunturale, come mi sembra sia avvenuto in questi mesi e sia sostanzialmente testimoniato da questo bilancio Il maggior spazio che le Regioni hanno acquisito nella gestione della politica economica viene in tal modo ad essere vanificato e ciò è tanto più grave proprio mentre aumentano le dimensioni della finanza regionale sia per il motivo che già ho indicato - il ricorso al canale regionale nella manovra anticongiunturale - sia per l'impegno del Governo nella revisione della legge sulla finanza regionale.
Proprio il 23 aprile u.s. in sede deliberante la Commissione bilancio del Senato ha approvato il disegno di legge del Governo che ora passa all'esame della Camera riguardante le modifiche della legge finanziaria regionale e che rappresenta il completamento della legge sulla contabilità regionale approvata pure il giorno prima dalla stessa Commissione.
Questo disegno di legge, dopo aver consolidato uno stanziamento base per il fondo comune di 767 miliardi e per il fondo di sviluppo di 315 miliardi, stabilisce criteri di adeguamento e di aggiornamento per il successivo quinquennio 1977-1981. E se una preoccupazione grave vi deve essere, è proprio quella che esprimeva ieri l'Assessore Simonelli nel dire che molto probabilmente lo scioglimento delle Camere non consentirà a questo disegno di legge di compiere tutto il suo iter, e molto probabilmente, se le Commissioni della Camera non lo approveranno in questi giorni, avremo un disegno di legge approvato dal Senato e non dalia Camera e sostanzialmente fermo per tutto il periodo elettorale.
Ora nella misura in cui la dinamica del Fondo comune viene ad essere ancorata alla dinamica del gettito tributario dello Stato, le Regioni vedono riconosciuta una richiesta legittimamente avanzata negli scorsi anni, quando si era in presenza di un tasso di crescita dei cespiti che alimentano questo Fondo nettamente inferiore a quello delle entrate fiscali complessive.
Questo agganciamento non potrà non portare ad un significativo incremento delle entrate regionali per lo sforzo che è in atto e che dovrà essere ulteriormente intensificato per ridurre lo scarto tra il volume delle entrate e quello della spesa pubblica, anche attraverso un'espansione delle entrate stesse.
Per quanto esistano ancora ampie fasce di evasione, nell'imposta sui redditi come nell'IVA, non si può non riconoscere come negli ultimi anni l'impegno del Governo e dell'amministrazione finanziaria per la messa a punto dei meccanismi tributari abbia già prodotto positivi risultati, che consentono nel 1976 un livello di entrate superiore alle previsioni.
Inoltre le ritenute sui redditi da capitale, i migliori accertamenti sul reddito delle persone giuridiche, le nuove procedure per l'iscrizione a ruolo, altre misure ancora contenute nella cosiddetta Legge Visentini del dicembre 1975 si stima che porteranno ad un incremento del gettito di oltre il 20 per cento superiore alle previsioni per il 1976 formulate in sede di bilancio dello Stato, nonostante la riduzione delle aliquote sui redditi più bassi.
Il miglioramento della politica fiscale, in termini di efficienza e di maggiore equità contributiva deve ancora andare avanti lungo questa strada ed i benefici di questa maggiore capacità di imposizione e di prelievo fiscale si riverseranno anche sulle Regioni.
Accanto ad un'azione sul fronte delle entrate ne occorre una altrettanto energica sul fronte della spesa, al fine di ridurre l'enorme disavanzo pubblico. Non è questo un problema che possa essere scaricato soltanto ed unicamente sul Governo, ma che richiede un'assunzione di responsabilità collettiva da parte di tutte le articolazioni istituzionali come da parte di tutte le forze politiche, sociali ed economiche.
La Regione deve fare la sua parte, sia evitando l'ulteriore espandersi di questo disavanzo - come avverrebbe con il formarsi di disavanzi regionali - sia attraverso una severa qualificazione della spesa ed il controllo e la compressione in particolare della spesa di parte corrente.
Ho già avuto modo di affermare e ripeto in questa discussione che il bilancio così come presentato desta preoccupazioni in ordine alla sua effettiva consistenza ed operatività.
Abbiamo letto sui giornali, quando il bilancio è stato presentato alla stampa, dichiarazioni che ci sono parse trionfalistiche da parte dei massimi esponenti del governo regionale: "Cento miliardi in più dell'anno precedente". "Atto di coraggio". "Rifiuto di un bilancio di ordinaria amministrazione anche se il momento poteva consigliarcelo" e così via.
Ho gia ricordato che la maggiore espansione del bilancio dipende sostanzialmente dai fondi pervenuti alla Regione dai provvedimenti anticongiunturali dall'estate all'autunno 1975 e che anzi vi è un grave ritardo da parte della Giunta nell'utilizzo di questi fondi che finiranno per essere spesi in una situazione congiunturale ben diversa da quella originaria in funzione della quale erano state varate determinate misure.
Non mi soffermo oltre su questo argomento.
Voglio toccare invece l'aspetto dell'innegabile gonfiamento di alcune voci di entrate sulle quali attendo precisazioni da parte della Giunta, ben lieto se le mie considerazioni potranno essere smentite.
Cominciamo dal fondo comune.
Nel 1975, per decisione unanime di tutte le Regioni, il fondo comune venne iscritto a bilancio con un aumento percentuale del 25 per cento e ci al fine di provocare un ulteriore finanziamento alle Regioni stesse (cosa che sta appunto avvenendo col disegno di legge di riforma finanziaria attualmente in discussione alle Camere).
Così la Regione Piemonte a fronte dei 52 miliardi assegnati ne iscriveva a bilancio oltre 63.
Quest'anno troviamo iscritti 82 miliardi e mezzo.
A fronte di questa iscrizione quali sono le previsioni di entrata? 60 miliardi 189 milioni ex art. 8 legge n. 281 più 6 miliardi 260 milioni quota aggiuntiva 1976 più 6 miliardi 419 milioni quota aggiuntiva del 1975 e non più iscrivibile nel bilancio 1975.
I dati in mio possesso sono inferiori di circa 1 miliardo per le quote aggiuntive del 1975 e 1976, rispetto a quelle che sono indicate nella relazione della Giunta, ma anche se risulteranno valide le cifre indicate dalla Giunta ci troviamo pur sempre di fronte ad una mancata entrata di circa 10 miliardi. Io ho sul mio opuscolo un testo di questo disegno di legge e ieri cortesemente l'Assessore Simonelli mi diceva che le sue informazioni attinte direttamente al Ministero per le Regioni sono diverse.
E passiamo al fondo di sviluppo considerando i capitoli 14 e 15 in cui troviamo iscrizioni per 20 miliardi e 800 milioni.
Anche qui, per quel che si conosce, l'impegno contenuto nel più volte citato disegno di legge è quello di aggiungere alla quota normale del 1975 (che per la nostra regione dovrebbe essere di circa 11 miliardi) una somma derivante dal riparto di tre voci (contributo straordinario alle Regioni per gli interventi dalle stesse svolti in favore delle Società concessionarie di ****linee, integrazione del fondo per l'anno 1975 e integrazione del fondo per l'anno 1976). In totale si tratta in sede nazionale di 111 miliardi da ripartire fra tutte le Regioni credo anche fra quelle a Statuto speciale. Penso realistico prevedere un'assegnazione di 5 6 miliardi da assommare agli 11 della quota normale. Qui sono due i nodi da sciogliere: c'è quello cui faceva riferimento l'Assessore Simonelli quando diceva: "C'è il rischio che questa somma venga ripartita con il solito criterio: 60 per cento alle Regioni del meridione, 40 per cento alle altre Regioni"; e quello delle Regioni a Statuto ordinario e delle Regioni a Statuto speciale, perché questo sposta notevolmente la cifra .
E quindi anche qui è tanto mai problematica rispetto ai circa 21 miliardi iscritti a bilancio un'entrata di almeno 4-5 miliardi.
Così come non realistiche appaiono le iscrizioni a bilancio dei capitoli 2 (ILOR) e 46 (proventi per la violazione delle norme sui tributi propri della Regione).
Desidererei conoscere quale è stata l'effettiva entrata nel 1975 dei proventi dell'ILOR. Tenuto conto che nel 1975 si doveva recuperare anche una parte dell'ILOR del 1974 e che l'aliquota doveva essere maggiore e la previsione attuale è notevolmente forzata.
Ritengo - e spero proprio di essere smentito - che sui capitoli 2 e 46 vi sia una maggiore previsione di circa 5 miliardi.
In sostanza dall'analisi effettuata emerge una maggiore previsione di entrate di circa 20 miliardi con gli effetti pratici diretti ed indiretti (sulla possibilità di mutui che è facile immaginare nel momento in cui le entrate non si realizzeranno).
Pur lasciando stare il discorso opposto e relativo invece alla compressione di alcune spese (come ammortamenti di mutui - sui quali peraltro invece concordo - o iscrizione di somme già previste da leggi) emerge chiaramente la situazione della struttura del bilancio sulla quale la Giunta deve dare al Consiglio spiegazioni tranquillanti.
L'esame del bilancio da parte dei Gruppi di minoranza è stato più difficoltoso per la mancata tempestiva consegna ai singoli Consiglieri della relazione che deve accompagnare il documento contabile, che ne facilita la lettura, che deve consentire meditazione e raffronti.
L'Assessore Simonelli, che oltre che bravo e anche simpatico, è più simpatico quando deve difendere delle cause difficili: ieri ha detto che la relazione al bilancio è una palla al piede di tutti gli Assessori al bilancio sotto qualsiasi cielo. Ed io in una certa misura concordo con lui.
Pero ingenuamente avevo pensato che le decisioni di consulenti di cui si avvale l'attuale Giunta con una spesa alquanto notevole e forse sarebbe poi anche opportuno fare un esame di questo, avrebbero facilitato la tempestiva stesura della relazione.
Così non è stato. Abbiamo solo avuto in extremis prima documenti in bozza e numericamente limitati, e poi finalmente la relazione nonostante si sia ormai al limite di operatività dell'esercizio provvisorio, e quindi nella necessità di discutere ed approvare il bilancio.
Le osservazioni pertanto che si fanno possono anche risentire quindi di mancate informazioni o di mancati approfondimenti che ci auguriamo possano venire dal dibattito e poi da successivi confronti.
Rinnoviamo in questa sede l'invito alla Giunta, già rivolto in Commissione dal nostro Gruppo e da quello repubblicano, e relativo alla predisposizione, sia pure graduale, di adeguata legislazione regionale a sostegno di capitoli di spesa corrente.
L'aumento notevole di stanziamenti in determinati settori (cito ad esempio i capitoli 922 e 923 relativi a contributi turistici portati complessivamente a 800 milioni) suggerisce appunto la necessità di effettuare certe spese sulla base di un'opportuna legislazione regionale che sostituisca, così come si è già fatto nel campo dell'agricoltura e dei lavori pubblici, la legislazione statale.
Il discorso sulle spese correnti che già abbiamo affrontato in via di principio richiede a nostro avviso un ulteriore approfondimento.
Abbiamo notato come solo percentualmente per effetto delle somme congiunturali destinate ad investimenti si possa dire che vi è una diminuzione di spese correnti, sia pure con tutta la discussione di ieri.
In effetti le stesse aumentano di ben 23 miliardi. E se sottolineiamo lo sforzo compiuto dalla Giunta per la riduzione delle spese per i Comitati di controllo sugli Enti locali, dobbiamo rilevare come parecchie altre voci siano invece suscettibili di riduzione.
Ad esempio quella di cui ai capitoli 369 (consulenze in urbanistica) 672 (manutenzione uffici del provveditorato regionale alle opere pubbliche), 1044 (sistemazione uffici per la parte che non riguarda Palazzo Lascaris ma che si riferisce ai palazzi di Piazza Castello, e Corso Bolzano), 1051 e 1053 per arredamenti e attrezzature di uffici dell'Amministrazione regionale.
Un discorso a parte merita il personale per cui vi sarebbe in bilancio un maggior costo di oltre 2 miliardi.
Rispondendo - si fa per dire perché nella sostanza non si è risposto con circa 4 mesi di ritardo ad una nostra interrogazione sulla situazione del personale, sulle assunzioni e sui comandi in data 2 aprile il Presidente della Giunta scriveva che il personale inquadrato attualmente in servizio è di 1410 unità.
Su di un quotidiano del 6 aprile il Vicepresidente Libertini parlando del bilancio precisava che il personale della Regione è bloccato a 1.500 dipendenti.
Nella bozza di relazione della Giunta consegnataci in data 23 aprile ci si dice che il personale in servizio è di 1.598 unità.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Ma è detto anche il perché!



PAGANELLI Ettore

No, non è sufficiente questa spiegazione, bisogna farli quadrare i dati. In sostanza è detto che c'è il trasferimento dei dipendenti della GIL. ma credo siano una sessantina, signor Presidente. Dateci i dati esatti, perché nella bozza si parla di 1.598 unità, nella relazione definitiva di 1.578 e la tabella di raffronto mentre porta i dipendenti del 1975 non porta quelli del 1976.
Ritorneremo sull'argomento anche con opportune iniziative per un ampio dibattito, ma pensiamo per intanto che già la discussione sul bilancio dovrebbe essere l'occasione per una parola più chiara e precisa sulla situazione del personale, ben lieti se il Presidente ce la vorrà fornire.
Ancora due osservazioni che ci serviranno per le conclusioni finali.
La prima riguarda i provvedimenti legislativi di cui agli elenchi n. 3 e n. 4 allegati al bilancio ed attinenti ai capitoli 1018 e 1404 del bilancio. Se il mio riscontro non è inesatto, nel periodo di esercizio provvisorio sono state approvate ben 14 leggi regionali con finanziamento sul capitolo 1018 di previsione della spesa per un ammontare di 5 miliardi cosicché la disponibilità attuale del capitolo è solo più di 7 miliardi 200 milioni.
Sempre nel periodo di esercizio provvisorio sono state approvate 5 leggi con finanziamento sul capitolo 1404 dello stato di previsione della spesa per un ammontare di 1 miliardo 820 milioni cosicché la disponibilità attuale del capitolo è solo più di 9 miliardi 41 milioni.
La seconda osservazione riguarda i mutui.
La relazione ci dice che i mutui autorizzati fino all'anno del bilancio sono stati 137 miliardi 530 milioni cui devono aggiungersi quelli previsti nel bilancio stesso per 36 miliardi 200 milioni.
In totale 173 miliardi e 730 milioni.
Sempre nella relazione si dice che, a sensi dell'art. 10 della legge 16 maggio 1970 n. 281 con l'interpretazione più ampia che le Regioni danno al concetto di entrata tributaria ed usando un tasso medio del 12,50 per cento per mutui aventi una durata media di 25 anni, il volume delle autorizzazioni possibili è di 171 miliardi circa.
In sostanza il tetto dei mutui sarebbe teoricamente già superato, ma la Giunta ci dice che è sua intenzione non dar corso al mutuo di 8 miliardi autorizzato dalla legge regionale del 16 maggio 1975 n. 28 sul finanziamento di opere pubbliche di enti locali e pertanto quindi il conto per ora tornerebbe.
Noi siamo costretti a riprendere qui un discorso già svolto in apertura.
Se le entrate effettive saranno di circa 20 miliardi inferiori al previsto (mutando la base per il calcolo di cui all'art. 10) e se il tasso dei mutui non potrà essere contenuto al 12,50 per cento anche tutta la previsione di mutui per questo bilancio è destinata a saltare.
D'ora in poi sarà pertanto necessario che la Giunta ogni qualvolta presenterà una legge che prevede un mutuo dia chiara dimostrazione che il mutuo stesso sta nel limite del 20 per cento e che in linea di massima è già stato contrattato e ciò ai fini del tasso.
Fatte queste osservazioni che riteniamo serie e con la disponibilità a prendere ben volentieri atto di correzioni o di osservazioni che possono venire a queste impostazioni ci permettiamo di fare alcune proposte di principio.
Molto probabilmente non tutte potranno essere integralmente accolte nei brevi giorni di dibattito, né il bilancio può essere rinviato posto che siamo ai limiti di scadenza del periodo di esercizio provvisorio.
Potranno però esserlo anche successivamente posto che il bilancio attraverso le leggi di variazione può avere opportuni adeguamenti.
Ed allora abbandonando le visioni ispirate a trionfalismo, ma con maggiore aderenza alla realtà finanziaria, si valutino meglio le entrate e le possibilità di mutuo e si dia al bilancio una struttura più vera e più realizzabile La Giunta offra al Consiglio gli opportuni dati per un riesame della concreta operatività delle principali leggi regionali. Sotto questo profilo noi prendiamo ben volentieri atto della proposta fatta ieri dall'Assessore Simonelli e contenuta anche nella parte iniziale della relazione al bilancio: quella di un esame della situazione contabile, della situazione di attività delle leggi, anche se questa è una proposta che rinvia sostanzialmente ancora una volta i tempi; tuttavia la riteniamo una proposta saggia, una proposta seria, sulla quale siamo disponibili a confrontarci.
Avevo già notato discutendo di una legge, quella sul credito all'artigianato che pure aveva operato bene e che altrettanto opportunamente la Giunta aveva proposto di migliorare, come le leggi regionali debbano essere oggetto di rapide modifiche e di opportuni adattamenti ed in quell'occasione il Vicepresidente Libertini aveva concordato con me.
Ebbene questo riesame lo si faccia alla luce dei risultati ottenuti della rapidità o meno dell'intervento, della natura dell'intervento a fronte anche di mutate situazioni economiche e finanziarie generali. Per questo esame, per questo confronto noi siamo pienamente disponibili.
Riesamini la Giunta con maggiore attenzione la previsione delle spese correnti al fine di operare riduzioni in molti capitoli e di offrire nuove somme per gli investimenti.
Poiché sia per le osservazioni svolte, sia per le leggi che sono già state varate nel 1976 le somme a disposizione per la spesa sono già inferiori a quelle che risultano a bilancio, si svolga fra le forze politiche un meditato confronto al fine di individuare per l'ulteriore produzione legislativa nell'ambito dei settori prioritari investimenti rapidi e tali da non aggravare poi negli esercizi futuri le spese correnti.
E sempre ai fini della rapidità della spesa precisi la Giunta nei principali settori eventuali progetti già pronti, vale a dire progetti di pronta realizzazione non appena finanziati.
Non vorrei qui fare del campanilismo, ma ieri ho fatto in Commissione (e Rossi lo ha ammesso nella sua relazione) un preciso riferimento ad esempio all'acquedotto delle Langhe sul quale alcuni mesi fa avevamo presentato, il collega Robaldo ed io, un'interrogazione. Allora mi era parso che la Giunta non ne avesse recepito pienamente il significato.
Insieme all'acquedotto delle Langhe ci saranno degli altri progetti di cui la Giunta è in grado di dirci la fattibilità. Li si esamini.
Quello a cui dobbiamo mirare è l'effettiva rapida incidenza dell'attività regionale per calarci concretamente nella realtà che ci circonda.
Con un confronto serrato, con la vera partecipazione di tutte le forze politiche (purtroppo sino ad oggi questo confronto la Giunta non lo ha tempestivamente ricercato nei fatti anche se a parole ha dichiarato di volerlo) il bilancio potrà avere opportune correzioni ed adeguamenti.
Se oggi ci troviamo purtroppo a dover dire che il bilancio 1976 ci ha delusi come metodo di presentazione e come contenuti non ci compiacciamo certo di dover dire questo. Il nostro desiderio, la nostra volontà sono tesi a far camminare, a far progredire la Regione.
Anche dai banchi dell'opposizione siamo consapevoli della nostra rappresentanza e delle nostre responsabilità.
Ma la Regione può progredire solo se la Giunta saprà - certo in un contesto di operoso e serio confronto tra le forze di questo Consiglio passare dalle enunciazioni di principio ai fatti, dalle dichiarazioni ad una coerente impostazione programmatica ed alla conseguente operatività.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Gandolfi, ne ha facoltà.



GANDOLFI Aldo

Signor Presidente, signori Consiglieri, dobbiamo dichiarare anche noi che siamo un po' delusi e per certi versi preoccupati del modo in cui si è arrivati alla discussione di questo bilancio, innanzi tutto perché (lo ricordava prima il collega Paganelli) ci è mancato lo strumento di piano che ci permettesse di fare una discussione che avesse presenti obiettivi non di breve termine, ma di medio e lungo termine sufficientemente analizzati e definiti; in particolare per quanto riguarda gli obiettivi di fondo della nostra vita regionale e soprattutto il grosso problema del sostegno e del rafforzamento della base produttiva della nostra Regione che ci sembra essere il problema di fondo. Dopo la conferenza dell'occupazione non è che si sia andati molto avanti nella direzione dell'approfondimento di questi temi. La Giunta si è impegnata in alcune direzioni, anche apprezzabili, di predisposizione di strumenti, ma è proprio perché la Regione ha poche competenze dirette, ma molte possibilità di incidere in direzioni positive di sostegno all'attività produttiva, ci sembrava che il discorso del piano inteso così come noi avevamo anticipato e richiesto che fosse -non tanto una definizione di dettaglio di tutto quanto il quadro dei problemi regionali, ma alcune scelte di fondo di orientamento della spesa e dell'azione amministrativa della Regione - fosse una condizione indispensabile per la discussione di questo bilancio.
Ma dette queste cose, con molta franchezza, al collega Paganelli che prima parlava a nome del Gruppo della D.C., dobbiamo anche dire che proprio perché ci sono state queste carenze che dipendono anche da fatti obiettivi, da difficoltà di lavoro e di impostazione delle strutture regionali e di rapporto tra le stesse e la realtà socio-economica della Regione, forse in fondo abbiamo perso una grossa occasione nel non avviare quel discorso sull'emergenza, che pure il PRI qualche settimana fa aveva cercato di impostare tra i partiti dell'arco costituzionale, non tanto perché potesse poi comportare impegni particolari sul problema del bilancio, ma perché, tenuto conto delle carenze generali di impostazione e di prospettiva della Regione, il problema del raccordo tra il bilancio regionale e la situazione che si è venuta creando con la stretta creditizia, particolarmente in Piemonte, era una questione che doveva e poteva, a nostro avviso, vedere assunzioni di responsabilità comuni alle forze politiche.
Su questo aspetto in particolare io vorrei centrare il mio intervento ed illustrare quali sono, secondo il partito repubblicano, le considerazioni, le preoccupazioni che devono stare alla base dell'azione della classe politica regionale in questo momento, ripeto, mancando la possibilità di approfondire il discorso sotto certi aspetti di carattere più generale, che sono i problemi del rafforzamento della base produttiva.
La stretta creditizia ci pone di fronte a dei problemi drammatici che riguardano da un lato le conseguenze che una stretta creditizia prolungata può avere sulla base produttiva nazionale, ma piemontese in particolare dall'altro il contributo che le forze politiche e gli enti pubblici possono dare all'impostazione di una politica alternativa alla stretta creditizia stessa.
E' fuor di dubbio - credo che siamo tutti consenzienti - che la possibilità di allentare e gradualmente eliminare la stretta creditizia passa attraverso la manovra della spesa pubblica.
Nelle cose che sono state dette ancora qua ieri dal Presidente Rossi nella relazione di maggioranza sul bilancio e dall'Assessore Simonelli, ce ne sono alcune certamente condivisibili, cioè che la situazione attuale della finanza locale è drammatica o richiede provvedimenti di carattere nazionale. Rossi ieri ricordava in particolare il discorso del consolidamento del debito degli enti territoriali che si è accumulato in questi anni e che, dato l'alto costo del denaro, innesca fenomeni di carattere esponenziale nell'aumento delle spese correnti degli enti locali.
Ma la nostra valutazione è che un provvedimento di questo genere e altri che potranno essere avviati nei prossimi mesi, rischiano di risolversi, in questa situazione, in un palliativo, cioè in una boccata di ossigeno tirata per un anno o per due, se non si mettono in moto altri meccanismi che invece investono le responsabilità dirette degli enti territoriali.
Che cosa voglio dire con questo tipo di argomentazione? Che al di là dell'alto costo del denaro, con tutte le conseguenze che questo ha sul bilancio degli enti locali, ci sono dei fatti patologici che discendono dalla responsabilità diretta e dal comportamento degli enti pubblici e delle forze politiche (che poi sono quelle che hanno la responsabilità della gestione degli enti pubblici attraverso i propri amministratori) e che sono fenomeni di un'espansione sovente incontrollata della spesa corrente per gonfiamento di organici, per aumento esagerato di certi tipi di spesa improduttiva e parassitaria rispetto ai quali, se non c'è una capacità di invertire delle tendenze - ad esempio con provvedimenti che possono anche essere di carattere nazionale, una parametrizzazione degli organici e di certi tipi di spesa corretti - se non c'è una capacità di oculata gestione di certe forme di spesa e di intervento a livello locale non sarà solo il consolidamento dei debiti che potrà introdurre un elemento di modificazione strutturale. La modificazione strutturale deve venire da interventi, da accordi, da impegni, da orientamenti diversi, da comportamenti nuovi nel campo della gestione degli enti pubblici che vadano verso una rigorosa gestione del denaro pubblico attraverso blocchi, sia pure provvisori, delle assunzioni, attraverso contenimenti di spese improduttive, attraverso (ad esempio sul piano delle spese dei Comuni) il contenimento di un certo tipo di spesa che passa attraverso le aziende municipalizzate, che vede arrivare all'assurdo di pagare i dipendenti delle aziende municipalizzate non solo molto di più dei dipendenti dei Comuni, ma molto di più dei dipendenti del settore direttamente produttivo, le così dette contrattazioni integrative aziendali a livello di aziende speciali.
Sono tutti fatti che hanno finito per avere un'incidenza estremamente pesante e che devono vedere la capacità di innescare dei comportamenti diversi, alternativi che ricuperino appieno i margini di improduttività, di parassitismo presenti all'interno delle strutture pubbliche.
Questo lo dico anche perché se noi analizziamo, in un'ottica un po' diversa da quella che ci è stata presentata ieri, il problema globale della spesa pubblica, dobbiamo renderci conto che la spesa complessiva degli enti territoriali per il 1976 si preannuncia complessivamente di 15,000 miliardi, che a questi 15.000 miliardi va aggiunta la spesa delle Regioni quindi superiamo i 20 000 miliardi complessivi di spesa degli enti territoriali, a fronte di un bilancio dello Stato che è, se non vado errato, di 35/40.000 miliardi.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

37.000 miliardi.



GANDOLFI Aldo

Ma il bilancio dello Stato per il 50 per cento quasi è costituito da spese di trasferimento agli enti locali, agli enti territoriali, agli enti previdenziali e quindi vediamo che il volume complessivo di spesa degli enti territoriali, comprendendoci dentro anche le Regioni, pur depurandolo di spese di trasferimento tra gli enti territoriali stessi, è della stessa entità, grosso modo, della spesa fatta dallo Stato attraverso i suoi canali, depurata delle spese di trasferimento. E quindi la querela nei confronti dello Stato perché da troppo poco agli enti territoriali, non ha molto ragione di esistere e comunque è abbastanza chiaro che se oggi va fatto in maniera decisa un tentativo di contenimento, di razionalizzazione di riqualificazione della spesa pubblica, la responsabilità degli amministratori periferici dello Stato (amministratori regionali, comunali di enti ospedalieri e così via) non è di minore entità di quella degli amministratori dello Stato, cioè la possibilità di manovra si divide per un 50 per cento a livello periferico e per un 50 per cento a livello statale.
E la responsabilità è complessiva e deve essere di tutti ed è un problema di cui devono farsi carico in egual misura le forze politiche a livello regionale, come le forze politiche a livello nazionale. Va anche tenuto conto di un altro dato, cioè che di questi 20.000 miliardi che grosso modo possiamo indicare come volume complessivo della spesa degli enti territoriali, sappiamo che circa 9000 miliardi verranno coperti facendo ricorso a mutui per pagare prevalentemente delle spese correnti, cioè che c'è una dimensione abnorme e impossibile a sostenersi di pressione sul sistema creditizio per il finanziamento di un'aliquota imponente della spesa degli enti territoriali, che è non solo una palla al piede per gli enti territoriali stessi, ma che obiettivamente è la condizione strutturale sulla quale si poggia poi la condizione di debolezza e di stagnazione della nostra economia, perché queste sono risorse che devono essere sottratte, in una situazione di questo genere, al finanziamento delle attività direttamente produttive e spiegano, tra le altre cose, anche se non la giustificano ovviamente in toto, la necessità, in congiunture del tipo di quella che attraversiamo, della stretta creditizia alle attività economiche.
Che significato aveva la proposta del PRI di un accordo a monte del bilancio, tra le forze regionali? Di una presa di coscienza di tutte le forze politiche che indistintamente hanno qualche responsabilità di governo a livello regionale su questo ordine di problemi e la capacità quindi di proporre, non solo a livello nazionale, quel tipo di provvedimenti che ieri Rossi indicava, ma di proporre a livello locale un atteggiamento diverso e quindi arrivare ad un'assunzione di responsabilità rispetto ai problemi di gestione degli enti locali e degli enti territoriali di tipo nuovo nella misura in cui solo uno sforzo comune può permettere di rompere queste spirali che stanno veramente facendo affogare non solo il sistema complessivo delle autonomie, ma direi sono ormai una delle condizioni determinanti della stagnazione economica del nostro Paese.
Ma, dicevo, questo tipo di impegni che noi vedevamo presi in una situazione ancora non aperta di discussione di bilancio, devono avere secondo noi, delle decisioni di comportamento per quanto riguarda la spesa degli enti locali di tipo nuovo sul piano della gestione delle aziende municipalizzate, sul piano dell'impostazione dei bilanci degli enti territoriali anche per quel che riguarda il costo di alcuni servizi; cioè torno a ripetere che se nel campo dei trasporti è concepibile il costo politico per certe fasce di utenti e certe fasce di orari e di utilizzo dei servizi, per altri servizi come la raccolta rifiuti, l'acqua potabile e così via, il prezzo politico in queste condizioni è una cosa veramente assurda ed insensata che rischia di creare delle condizioni insostenibili per i bilanci comunali. Il discorso dell'avvio delle nuove istituzioni territoriali che vede anche una responsabilità diretta della Regione deve avere un'estrema attenzione a non creare continuamente dei livelli di burocrazia nuovi, ma di utilizzare appieno le strutture ed i livelli burocratici esistenti per non ampliare la struttura burocratica complessiva degli enti pubblici. Queste però sono cose che investono responsabilità collettive di tutti gli amministratori pubblici del Piemonte e riguardano fondamentalmente le spese correnti. Ma anche sul piano degli investimenti cioè dell'orientamento delle spese per investimenti, ci devono essere dei ripensamenti sul modo in cui abbiamo organizzato certi tipi di spesa pubblica negli scorsi anni. Per un anno, probabilmente per due anni, gli investimenti degli enti pubblici, nella misura in cui sia ancora possibile farlo, dovranno essere orientati da quel tipo di interventi che abbiano pochissima incidenza sulle spese correnti degli enti locali. E' chiaro che un aumento consistente di servizi pubblici che comportano costi di gestione abbastanza onerosi, al di là delle cose che sono già state impostate, per un anno o due dovrà essere evitato a meno che (e lo sentivo dire ieri dal Sindaco della città di Torino) non si pensi a forme di gestione volontarie di servizi, ma è illusorio pensare di fare interventi in conto capitale che spingano i Comuni ad ampliare certi servizi nelle condizioni attuali della finanza locale.
Bisogna ripensare a quello che abbiamo fatto in questi anni ed a quello che potremo fare nei prossimi 12 o 24 mesi, dovremo fare il più possibile investimenti riducendo semmai la parte di spese correnti, orientandoli in due o tre direzioni che comportino poca incidenza sulle spese correnti degli enti territoriali e la massima incidenza possibile invece su certe condizioni strutturali della nostra problematica sociale.
Che cosa pensiamo noi in particolare? Che la Regione nell'attuale situazione, certamente per il 1976, probabilmente per il 1977, debba utilizzare il massimo possibile di risorse per fare interventi nel campo delle opere igienico-sanitarie piuttosto che dei servizi, e nel campo dell'edilizia economica popolare piuttosto che in altre direzioni. E questi due canali di erogazione della spesa regionale in conto capitale vanno potenziati al massimo perché sono criteri ed orientamenti di spesa che non ampliano o ampliano molto poco le spese di gestione degli enti territoriali ed incidono invece in maniera abbastanza consistente sulle condizioni strutturali ed hanno, nel caso dell'edilizia economico-popolare, anche delle possibilità di incidenza sul costo della vita e sulla soluzione di problemi sociali abbastanza sentiti.
Queste erano le considerazioni che stavano alla base del tipo di proposta politica che noi abbiamo ritenuto di fare alcune settimane fa quando il discorso del bilancio non era ancora avviato concretamente in Commissione e quando sembrava che fosse possibile impostare un discorso che sul bilancio regionale, ma più in generale sull'orientamento di tutte le amministrazioni pubbliche piemontesi, vedesse un accordo di massima delle forze politiche capace di produrre delle inversioni di tendenza nel comportamento delle amministrazioni pubbliche.
Questo non è stato possibile e oggi ci troviamo a discutere del bilancio regionale in condizioni che permettono delle possibilità di incidenza più limitate, anche perché sarebbe stata necessaria, come premessa al bilancio, una revisione di carattere legislativo, specialmente per alcuni settori di spesa regionale, o quanto meno degli impegni in questo senso.
Da questo punto di vista peraltro l'occasione del bilancio può non essere inutile e soprattutto le settimane che seguiranno all'approvazione del documento possono presentare ancora delle possibilità di recupero rispetto a questa situazione. Quindi varrà la pena che in maniera precisa e puntuale cerchiamo di analizzare quali sono le condizioni, i modi in cui il bilancio regionale si colloca in questa situazione.
La prima considerazione che dobbiamo esporre è quella relativa alle previsioni di entrata che la Giunta ha sottoposto al Consiglio regionale.
La nostra impressione è che la Giunta abbia gonfiato troppo queste previsioni di entrata.
E' vero che il mantenere alte le previsioni di entrata permette alla Giunta di articolare poi dei programmi di spesa, e soprattutto sul piano dell'accensione dei mutui più consistenti, ma noi vorremmo sottolineare che se questa tendenza che già abbiamo avviato l'anno scorso, si mantenesse su questo esercizio e sul successivo, ed a questa tendenza corrispondessero (come corrisponderanno nella situazione attuale del nostro Paese) delle erogazioni da parte dello Stato più ridotte, andremmo incontro a dei rischi gravissimi e drammatici, che del resto con molto realismo l'Assessore al bilancio ha *illeggibile*. Non ha senso che noi impostiamo il bilancio in modo da poter spendere quest'anno il più possibile, perché se questo poi con oneri per l'accensione di mutui, ci fa ritrovare l'anno prossimo in condizioni di non poter pareggiare il bilancio, che cosa succede? La legislazione attuale ci sembra che non permetta alle Regioni di fare dei mutui per ripianamento di bilancio, come concede agli enti locali, ma se tutte le Regioni seguiranno questo tipo di impostazione, che cosa succederà? Che nel primo esercizio 1977, ad esempio, le Regioni sì barcameneranno alla meno peggio cominciando ad incidere sugli attivi di cassa che sono ancora abbastanza consistenti, ma questo ridurrà gli importi, che pure sono previsti a bilancio, sugli interessi attivi pagati dalle banche. L'anno successivo, continuando questo tipo di tendenza, tutte le Regioni presenteranno dei conti in rosso allo Stato e nel frattempo si saranno esauriti i residui attivi depositati presso le banche. Ad un certo punto le Regioni metteranno il governo nazionale nella necessità non di aumentare complessivamente la spesa pubblica - che non è possibile data la situazione della nostra economia - né a dover discutere o di provvedimenti straordinari o della possibilità per le Regioni di cominciare ad accendere mutui per i ripianamenti di bilancio; con questi criteri noi cominciamo ad avviare gli stessi meccanismi che hanno portato gli enti locali all'indebitamento progressivo che oggi tutti lamentiamo ed a quella situazione esplosiva che oggi è una delle cause della situazione inflazionistica del Paese. O diventa un fatto di scarsa responsabilità, o diventa un fatto che comunque ci farà registrare, nel 1977, nel 1978, delle condizioni di bilancio estremamente più pesanti e più difficili da gestire per la Regione, perché, ripeto, significherà incidere sugli attivi di cassa che la Regione ha, ridurli gradualmente, non poter più contare nemmeno sugli interessi attivi che hanno una certa consistenza sul piano delle entrate.
La prima considerazione che dobbiamo fare, quindi, e che questo tipo di impostazione secondo noi non è accettabile, bisogna fare uno sforzo per ridimensionare le previsioni di entrata sul fondo globale e su altri fondi in maniera un pochino consistente e piuttosto rinunciare a delle spese se vogliamo fare atto di responsabilità. E rinunciare a delle spese in che modo? Intanto noi abbiamo gia indicato in Commissione che c'è una serie di capitoli di spesa del bilancio (288, 292, 300, 302, 346, 452, 518, 538 828, 922, 923) in cui complessivamente ci sono circa sei miliardi previsti per vari settori (cultura, assistenza, turismo, artigianato, agricoltura sanità, commercio) iscritti in bilancio, in base a leggi statali; in quasi tutti i capitoli vi sono degli incrementi di spesa abbastanza consistenti e per interventi che, tutto sommato, non sono di carattere strutturale, si tratta di interventi che in passato sono sempre stati affidati alla discrezionalità della Giunta e nella maggior parte dei casi si risolvono in erogazioni di fondi nemmeno agli enti locali, sovente ad enti di vario tipo, anche privati.
Su questo tipo di capitoli noi solleviamo due ordini di problemi: il primo è che soprattutto si possa tentare di incidere attraverso riduzioni del volume di spesa previsto che non si giustifica: ad esempio un capitolo nel campo dell'agricoltura che ha queste caratteristiche di discrezionalità quando c'è una legislazione dell'agricoltura che interviene su tutta una serie di fatti strutturali, tutto sommato non è che si giustifichi molto.
Lo stesso discorso lo dobbiamo fare per altri settori come l'assistenza, il turismo ecc. Va tentata una riduzione delle previsioni di spesa contenute in questi capitoli e quanto meno degli incrementi previsti rispetto all'anno precedente.
In secondo luogo facciamo anche una questione di principio: noi abbiamo avviato nel 1972/73 dei bilanci in cui c'era una parte estremamente alta di interventi di capitoli corrispondenti a leggi statali che mantenevano la loro operatività nel momento in cui le Regioni avviavano la loro vita. Poco per volta siamo andati realizzando una legislazione regionale che in tutti i casi in sostanza ha definito criteri ed orientamenti di spesa e definito quindi anche le procedure attraverso le quali la spesa si veniva organizzando, o direttamente o indirettamente, cioè attraverso criteri definiti esplicitamente dalle leggi, o attraverso organismi (come ad esempio il comitato regionale di coordinamento dei trasporti) che sono stati investiti del compito di una discussione preventiva degli atti amministrativi che poi la Giunta deve approvare.
A noi sembra che questa parte residua di legislazione statale e di discrezionalità così ampia della Giunta vada gradualmente eliminata attraverso una legislazione regionale che precisi gli orientamenti di spesa, che definisca le procedure e quindi anche i margini di discrezionalità della Giunta e direi non per il gusto di fare su questi problemi delle questioni di principio, ma perché se c'è un momento nel quale essi hanno anche un significato sostanziale, è proprio questo: su un volume di spesa di questo genere (sono circa 6000 milioni complessivamente) evidentemente va fatto uno sforzo di razionalizzazione, di scelta di priorità ed a nostro avviso è uno sforzo che deve coinvolgere, attraverso la formazione di una legislazione regionale, non solo le responsabilità della Giunta ma quelle del Consiglio e di tutte le forze politiche.
La nostra proposta quindi è di depennare le voci di questi capitoli e di trasferirle tutte al fondo globale per poter fare quell'analisi di priorità e di valutazione di importanza degli interventi sul piano della spesa che è una condizione essenziale per poterci fare uscire da questa situazione di bilancio estremamente rigida e pericolosa per il futuro.
Io prima accennavo all'esigenza di ridurre in maniera sensibile, almeno di 5/6 miliardi, le previsioni di spesa per non creare delle condizioni insostenibili o esplosive nei bilanci sugli esercizi degli anni prossimi e una parte certamente di questa possibilità di riduzione passa attraverso la riduzione o il contenimento di questi capitoli.
Vi sono poi altri capitoli sui quali occorre farne uno sforzo di riduzione di 1.500/2000 milioni e sono quelli relativi alle spese di puro funzionamento di organi regionali, compreso il Consiglio regionale cioè 6 16, 18, 24, dal 188 al 205 per i Comprensori, dal 368 al 740 che prevedono spese per consulenze, convegni, pubblicazioni ecc. Secondo noi vanno assolutamente contenuti, dobbiamo cercare di spendere il meno possibile, o di incrementare il meno possibile queste spese rispetto ai livelli degli anni precedenti.
In particolare - e qua ritorno ad un accenno che ho fatto prima l'istituzione dei Comprensori va gestita avendo ben chiaro che cosa vogliamo fare dei Comprensori, e come vogliamo farli funzionare, ma cercando in ogni modo possibile di evitare che la loro istituzione significhi la creazione di nuove sedi regionali, di una nuova burocrazia per quanto limitata possa essere. Dobbiamo poter attingere alle strutture esistenti per il funzionamento di questi organi. E comunque ci sembra che per il quadrimestre di funzionamento dei Comprensori, che sarà il quadrimestre che va da settembre a dicembre di quest'anno, una spesa di 400 milioni annue sia eccessiva, specialmente con le indicazioni di spesa che ci sono.
Per gli interventi di carattere strutturale noi abbiamo delle altre richieste da avanzare. Intanto, lo abbiamo dichiarato pubblicamente l'arresto di qualsiasi ulteriore intervento di spesa nel campo dell'agricoltura. Mi spiace che non ci sia l'Assessore Ferraris che ieri mi chiedeva chiarimenti su questo ordine di problemi. Ferraris mi diceva ieri: gli oneri che abbiamo in bilancio in gran parte derivano dall'accensione di mutui.
In taluni settori abbiamo criteri di valutazione della redditività della spesa: per l'edilizia economico-popolare ci sono tanti appalti fatti sappiamo che si faranno tante case tanti alloggi; nel settore dei trasporti le leggi che abbiamo varato sappiamo che hanno permesso di acquistare tanti autobus, ecc. e questo ci permette di fare subito dei conti sul miglioramento dei servizi, sulla riduzione dell'età media del parco autobus regionale, o sull'incidenza della politica della casa sul fabbisogno complessivo di abitazioni. Abbiamo invece l'impressione che gli interventi via via varati negli scorsi anni nel campo dell'agricoltura non ci permettano assolutamente di fare valutazioni di questo genere, cioè una volta dato il contributo per un edificio rurale o per un certo intervento di meccanizzazione, o per il bestiame, non abbiamo oggi gli elementi sufficienti per poter dire che questi interventi hanno veramente modificato condizioni strutturali, migliorato la produttività di certe strutture agricole e così via. In definitiva questa politica di interventi rivolti ai singoli imprenditori rischia, per il modo in cui l'abbiamo impostata negli scorsi anni, a tutto il 1975, di tradursi in trasferimenti di reddito agli agricoltori; la Regione, in sostanza, assume il ruolo di erogare agli agricoltori certe cifre senza avere la minima possibilità di valutare se in effetti modificano in qualche modo la condizione strutturale del lavoro nei campi. Questa può anche essere una funzione della pubblica amministrazione: si rastrellano, attraverso il sistema fiscale dei soldi, li si ridistribuisce a certe categorie, ma certo è una funzione non accettabile per l'agricoltura nella misura in cui l'agricoltura è il settore forse primario di competenza regionale. Noi non possiamo considerarci semplicemente un ente di trasferimento che si limita a dare, ad ogni agricoltore mediamente le 200.000 lire all'anno, ma abbiamo il compito di pensare al modo in cui si può migliorare la produttività e quindi la produzione complessiva nelle campagne.
Il problema come noi lo impostiamo è anche quello di bloccare questa spesa che ha assunto una dimensione rilevante nel bilancio, ma per fare poi un'azione in positivo a nostro avviso occorrono almeno tre o quattro mesi di lavoro serio, di analisi, di discussioni e di confronto per arrivare a rivedere la nostra legislazione, i nostri criteri di intervento, in una direzione che secondo noi deve andare verso interventi di carattere globale su delle aree territoriali, cioè attraverso l'ente di sviluppo, attraverso i piani di zonizzazione, attraverso i piani agricoli di zona, ecc. Si deve poter arrivare a degli interventi che puntino non tanto a dare al singolo agricoltore un certo contributo a seconda che faccia o non faccia certe cose, ma che migliorino la condizione strutturale complessiva sul piano della riconversione delle colture, della ricomposizione fondiaria, delle strutture tecniche di assistenza.



BERTI Antonio

Questo è il mio intervento dell'altro giorno!



GANDOLFI Aldo

Mi fa piacere! Ma questo è un discorso che investe tutte le forze politiche. Sappiamo benissimo che non è più semplicemente problema della Giunta, o di questo o quel partito, sappiamo benissimo che il mondo dell'agricoltura piemontese è organizzato attraverso certe strutture che portano avanti istanze in maniera anche distinta, a volte in contrapposizione alle politiche dei singoli partiti. Su questo problema in particolare o c'è un'effettiva coincidenza di indicazioni di volontà di tutte le forze politiche in Consiglio regionale, o alla sua soluzione non si arriverà mai; o usciamo dalla discussione di questo bilancio con un impegno comune ed unanime delle forze politiche presenti in Consiglio regionale, o ci candidiamo a dei giochi di pressione, di strumentalizzazioni reciproche che poi lasceranno completamente cadere nel vuoto questo tipo di indicazione, cioè la capacità di poter dichiarare alle organizzazioni contadine, lavoriamo assieme 3/4 mesi per fare un lavoro serio e vediamo di impostare, con il bilancio del 1977 e preventivamente con una legislazione nuova, il discorso degli stanziamenti all'agricoltura.
In una situazione come questa muoversi come la Giunta ancora proponeva con gli interventi elencati sui fondi globali, con interventi aggiuntivi del tipo solito di rifinanziamento, noi abbiamo l'impressione che rischi di essere un fatto che irrigidisce ulteriormente il bilancio e non modifica sostanzialmente, anzi non modifica affatto le condizioni complessive dell'agricoltura.
Ai lavoratori della terra può essere fatto un altro discorso sulla scia delle considerazioni che noi facevamo: se noi orientiamo una certa spesa ancora nel bilancio, 1.000/1.500 milioni per opere pubbliche, ma in direzioni che hanno incidenza sulla situazione dell'agricoltura e delle zone agricole piemontesi, facciamo un'operazione che in prospettiva è certamente molto più produttiva di quella di continuare ad erogare dei contributi sulla parte corrente ai singoli agricoltori. L'aveva citato Rossi, l'ha ripreso Paganelli, certe opere pubbliche, tipo il potenziamento di acquedotti che interessano le Langhe o il Monferrato, il disinquinamento di corsi d'acqua che dal punto di vista delle opere di irrigazione hanno notevole importanza sulla produttività di aree del Vercellese, del Novarese, del Casalese ecc. sono certamente, in queste condizioni, non solo programmi di spesa più rispondenti alle esigenze poste dall'attuale congiuntura e dalle condizioni del bilancio regionale, ma in definitiva anche interventi che essendo fatti molto a monte della struttura agricola hanno possibilità di incidere sulla situazione dell'agricoltura in maniera molto più significativa.
In questo senso noi richiediamo che uno sforzo sia fatto con stanziamenti in questa direzione dell'ordine di almeno un miliardo, un miliardo e mezzo.
Siamo d'accordo sull'indicazione che è stata data per l'edilizia economica popolare, cioè fare uno sforzo per stanziare almeno altri due miliardi, due miliardi e mezzo che utilizzando poi lo strumento delle convenzioni possano eventualmente mobilitare risorse anche non pubbliche di privati o di imprese.
Che significato hanno queste nostre proposte? Quello di ricercare una dimensione di bilancio che non pregiudichi e non metta la Regione in condizioni finanziarie drammatiche nel 1977 o al massimo nel 1978; per la Regione di fare lo sforzo massimo possibile per contenere le spese di funzionamento o spese di erogazione che sono spese correnti, sia per permettere questo ridimensionamento delle entrate, sia per convogliare risorse su interventi significativi nel settore degli investimenti; la capacità di orientare gli investimenti in modo prioritario o verso le opere di carattere igienico-sanitarie e di disinquinamento e verso interventi di edilizia economico-popolare; la capacità infine (e questo non è tanto un impegno di bilancio, ma un impegno che le forze politiche in occasione della discussione sul bilancio possono assumersi e che può avere incidenza sulla vita regionale nei prossimi mesi specialmente nel campo dell'agricoltura) di avviare una legislazione regionale nuova che ci permetta di puntare non tanto all'espansione della spesa regionale, ma ad una sua riqualificazione nel senso di una maggiore incidenza, di una maggiore redditività e produttività e che quindi permetta di recuperare tutti i margini possibili di bilancio all'interno degli stanziamenti che già ci sono per incidere in maniera strutturalmente più significativa e più valida sulla qualità più che sulla quantità della spesa regionale.
Torno però a riaffermare, a conclusione di questo intervento, che il problema della riqualificazione della spesa pubblica investe innanzi tutto la Regione per la dimensione della spesa regionale nel contesto della spesa pubblica complessiva del Piemonte, ma è un problema che va al di la dell'azione che la Regione direttamente porta e che investe la responsabilità dei partiti i quali, in un modo o nell'altro, sono corresponsabili di quanto si fa nelle pubbliche amministrazioni. Noi non possiamo più ritenere che il problema della fine di una politica monetaria restrittiva possa passare semplicemente attraverso decisioni che investono il Governo o la politica nazionale, ci deve essere una capacità di innesco di comportamenti nuovi e per certi versi alternativi rispetto a quelli che si sono realizzati in passato nelle pubbliche amministrazioni. Quindi ripetiamo come considerazione conclusiva su questo dibattito, che al di là del discorso del bilancio regionale, delle intese che su questo si potranno o non si potranno realizzare, c'è un problema complessivo che investe i partiti a livello regionale e che è quello di accordi sulla vita politica e amministrativa a tutti i livelli degli enti territoriali che ci mettano in condizioni di chiedere, di proporre, di pretendere alternative a questa stretta creditizia.
Se noi non sapremo fare atti di consapevolezza e di rigore a tutti i livelli amministrativi in queste condizioni nazionali ed internazionali cioè di aumento continuo delle materie prime, di svalutazione della lira rischiamo di candidare la nostra economia ad una stagnazione permanente e probabilmente anche a fenomeni di disoccupazione e di deflazione abbastanza marcata. Questa è l'unica strada possibile per ridurre il peso complessivo dell'apparato pubblico e dei fenomeni di parassitismo che attraverso l'apparato pubblico si sono venuti determinando nel nostro Paese e per garantire un rilancio non effimero al nostro sistema produttivo nell'arco dei prossimi 6 o 12 mesi. Se non batteremo questa strada le speranze di un risanamento della nostra situazione economica saranno veramente limitate.



PRESIDENTE

Vorrei solo fare un'osservazione. Non ho minimamente interrotto il Consigliere Gandolfi, sia perché era attentamente seguito da tutto il Consiglio, sia perché, essendo l'unico rappresentante del PRI che parlerà nel dibattito, mi sono permesso di portare da 20 a 47 i minuti, però vorrei ricordare a tutti che l'intesa di ieri era di 20 minuti a testa, se e possibile. Si può scegliere qualunque strada, anche quella di continuare venerdi, sabato, ma bisogna deciderlo prima.



BONTEMPI Rinaldo

Potrebbe anche essere l'ultima volta che sentiamo Gandolfi!



PRESIDENTE

Certo, il tema lo merita e l'argomentazione è affascinante, però vorrei ricordare questo.
La parola alla dottoressa Vietti.



VIETTI Anna Maria

Signor Presidente, signori Consiglieri, il mio intervento tratterà sinteticamente le parti dei bilancio relative all'assistenza sociale ed all'assistenza scolastica.
Esaminando i capitoli del bilancio dell'assistenza sociale noto che essi, in gran parte, si riferiscono agli stessi interventi degli scorsi anni, anche per attività talvolta vivacemente contestate dall'allora minoranza comunista. Il che sta a dimostrare che tali interventi erano e sono necessari e che, nel quadro legislativo attuale, rispondono ad un'esigenza della comunità regionale.
Un capitolo di spesa che registra un notevole incremento è il capitolo 518 (che passa da 160 milioni a 650 milioni); esso prevede sussidi omofamiliari ed eterofamiliari alternativi al ricovero nonché oneri per il pagamento di rette per anziani, inabili e minori presso istituti di assistenza.
Come già ebbi a dire in altre occasioni concordo sui provvedimenti che incentivano interventi alternativi al ricovero attraverso la concessione di contributi alle famiglie nell'obiettivo di rivalutare il ruolo dell'istituto familiare; non vorrei tuttavia che tali interventi soprattutto i sussidi eterofamiliari, fossero difficilmente praticabili e che aprioristicamente venisse escluso l'impegno per il pagamento di rette presso istituti residenziali che seppur sempre contenuto nel passato, in certi casi limite, rappresenta purtroppo l'unica possibilità di un intervento adeguato.
Rilevo inoltre che, mentre nell'elenco delle spese per oneri derivanti da provvedimenti legislativi in corso, vi è una previsione di un onere di 45 milioni per l'ammortamento di un mutuo di 400 milioni per contributi in conto capitale a Comuni, Consorzi di Comuni, Comunità montane per Case albergo, Case comunità, Centri d'incontro, conseguentemente al disegno di legge della Giunta n. 8, nessuno stanziamento è invece previsto per contributi in conto interesse per incentivare enti locali territoriali ed enti di assistenza per la costruzione, ma soprattutto per il miglioramento di strutture edilizie assistenziali.
I 400 milioni stanziati per contributi in conto capitale per Case albergo, Case comunità e Centri d'incontro non rappresentano certamente un contributo sufficiente alla soluzione del problema, tanto più che prevedendo il disegno di legge della Giunta n. 8 un contributo agli enti locali territoriali in conto capitale non superiore al 20 per cento dell'effettiva spesa dell'opera, in considerazione della situazione della finanza locale, tale stanziamento è certo scarsamente incentivante; ma più grave è non aver previsto alcun onere per contributi in conto interesse per il miglioramento delle strutture assistenziali esistenti, quasi ignorando che oltre 30.000 anziani ed alcune migliaia di minori vi sono ospitati e che anche l'adeguamento delle strutture edilizie ha un suo ruolo nel miglioramento degli interventi assistenziali.
Nella relazione dell'Assessorato all'assistenza, a pag. 144, si fa un fugace accenno al problema dei consultori familiari previsti dalla legge statale 29 luglio 1975 n. 405, qualificandoli come "consultori di igiene demografica e pianificazione familiare", in netto contrasto con la legge quadro nazionale che affida ad essi il compito non solo dell'educazione alla maternità e paternità responsabile (il che è certamente molto importante) ma li prefigura come servizi polivalenti psicologici, medici sociali al servizio del singolo, della coppia e della famiglia e non già come meri consultori demografici. Se così fosse non potremmo che esprimere la nostra recisa opposizione



BERTI Antonio

Ne eravamo sicuri.



VIETTI Anna Maria

Dato che Vecchione dice che non è vero, può darsi che sia un lapsus che denota però una volontà di realizzare i consultori in un certo modo, da cui noi dissentiamo.
Il Consigliere Rossi, parlando degli asili nido, ha messo in rilievo come gli stessi attualmente non impegnino tutte le loro potenzialità, che un 50 per cento degli impianti siano inutilizzati. Certamente questo non si verifica negli asili nido costruiti in base alle leggi regionali perch soltanto due di questi sono in funzione, ma è un dato da tenere presente.
Nella passata legislatura, per l'inclusione dei piani di finanziamento, si è tenuto conto del numero dei potenziali utenti e pertanto non ritengo che le localizzazioni siano sbagliate, ma è un dato importante anche perché il piano pluriennale fino al 1978 prevedeva un soddisfacimento di posti per il 15 per cento degli utenti; la relazione di Vecchione sui problemi dell'assistenza prevedeva all'80 il soddisfacimento del 25 per cento degli utenti. E' dunque bene verificare quale richiesta da parte della popolazione abbiano gli asili nido esistenti, anche per ridimensionare le nostre previsioni in rapporto alle effettive esigenze.
La parte della relazione relativa agli asili nido mette in evidenza come la politica dell'Assessorato non sia riuscita ad imprimere un adeguato acceleramento alla consegna dei lavori e conseguentemente all'esecuzione degli asili nido da parte dei Comuni beneficiari dei contributi. Dei 35 asili nido in costruzione inclusi nell'elenco allegato alla relazione, per più della metà la consegna dei lavori è avvenuta prima dell'elezione dell'attuale Giunta e per i rimanenti asili nido quasi tutti i Comuni avevano già in corso la gara d'appalto. Sono risultati certamente scarsi.
Inoltre il ritardo dell'assegnazione ai Comuni dei contributi di gestione degli asili nido per il 1975 avvenuta soltanto nel 1976, e per di più in seguito ad una nostra interrogazione, il non utilizzo dell'art. 2 della legge 16/4/1975 n. 22, la quale prevede contributi integrativi ai Comuni fino ad un massimo di venti milioni, per appalti in aumento o revisione dei prezzi contrattuali che, di fronte ad uno stanziamento di due miliardi registra esclusivamente un impegno di 240 milioni, assunti con deliberazione della precedente Giunta, in data 8 luglio 1975, mentre nessun provvedimento in merito è stato ancora assunto dall'attuale Giunta, sono fatti certamente in contrasto con la tanto conclamata volontà di diminuzione dei residui passivi e rappresentano un'ulteriore remora per l'operatività dei piani degli asili nido che richiedono interventi tempestivi da parte della Regione per superane le effettive difficoltà dei Comuni per la costruzione e per la loro gestione.
Esaminare i capitoli del bilancio relativi all'assistenza scolastica congiuntamente alla relazione dell'Assessorato competente che li considera in stretta correlazione con le proposte di legge di modifica della legge 2/9/1974 n. 27 e successive modificazioni, richiede necessariamente un riferimento al contenuto ed ai principi ispiratori del disegno di legge della Giunta regionale n. 82 concernente "Interventi regionali per favorire l'esercizio del diritto allo studio" che tante polemiche ha suscitato nella comunità regionale.
Le democratiche manifestazioni di protesta, le migliaia di telegrammi inviati al Presidente della Giunta, le circa centomila firme di cittadini che si oppongono alla discriminazione tra alunni che frequentano scuole statali e di enti locali territoriali e quelli che frequentano scuole non statali che pure svolgono una funzione di pubblica utilità, stanno a dimostrare il vivo interesse della comunità al problema.
Il Gruppo D.C. anche in questa sede, esprime la propria disponibilità come del resto dimostrato dal contenuto della propria proposta di legge, ad ogni modifica della legge 27 che fenda a razionalizzare gli interventi, ad una maggiore economicità dei servizi, all'incentivazione della costituzione di Consorzi di Comuni, secondo la zonizzazione prevista per l'istituzione delle unita locali, che dovrà essere prossimamente deliberata da questo Consiglio al fine dell'aggregazione di Comuni secondo aree omogenee per l'utilizzo razionale dei fondi e delle strutture esistenti e per il superamento della polverizzazione dei contributi.
Per razionalizzare gli interventi riteniamo anche necessario che la distribuzione dei fondi avvenga in base a criteri obiettivi, ad esempio al numero degli alunni, con correttivi a favore degli alunni residenti in Comuni montani ed in Comuni a scarsa densità demografica, in rapporto ai maggiori oneri da affrontarsi in particolare per i servizi di trasporto con una riserva di fondi da parte della Giunta regionale per particolari situazioni emergenti. Ciò è necessario anche per superare le sperequazioni avvenute lo scorso anno nell'assegnazione dei contributi, denunciate nel corso delle consultazioni.
Fatte queste affermazioni chiediamo però alla Giunta ed ai Gruppi di maggioranza la loro disponibilità a recepire le indicazioni emerse dalle consultazioni che richiedono l'effettivo superamento di ogni discriminazione tra gli alunni che frequentano scuole statali e degli enti locali territoriali e quelli che frequentano scuole non statali e la reale valorizzazione dell'attività degli organi collegiali della scuola che, ai sensi della legge 30/7/1973 n. 477, hanno ormai assunto un ruolo insostituibile nei processi di auto-governo, decentramento e partecipazione democratica alla vita della scuola con l'apporto delle componenti ad essa più intimamente legate e che invece nel disegno di legge della Giunta vengono ridotti quasi esclusivamente a meri organi consultivi degli enti locali territoriali.
Non possiamo certo considerare rispondente a tali richieste la nuova bozza del disegno di legge recentemente presentata dall'Assessore.
Le profonde trasformazioni della nostra società che ha visto accentuarsi i suoi aspetti dinamici richiedono, all'interno della scuola esperienze comunitarie realmente formative. Il processo educativo dei giovani, malgrado la massima generosità educativa, non può più avvenire all'interno della propria famiglia o nel chiuso dell'aula scolastica, bensì con un dialogo ed un confronto fra genitori, insegnanti, giovani stessi con l'assunzione in comune delle responsabilità formative. Gli organi democratici della scuola devono essere l'occasione per il raggiungimento di tale obiettivo, ma per essere realmente organi di partecipazione democratica devono avere ampi spazi di autonomia almeno nella gestione dei fondi per l'acquisto di materiale didattico e per le attività integrative scolastiche.
Nel territorio è necessario garantire una pluralità di competenze per favorire la partecipazione: le varie funzioni della società devono non solo essere assunte responsabilmente, ma governate dai protagonisti, in questo caso dai genitori, dagli insegnanti, dagli alunni stessi. Di particolare rilievo dovranno essere i compiti attribuiti agli istituendi consigli di distretto, veri organi di programmazione scolastica, costituiti oltre che dalle rappresentanze più significative della scuola, anche dai rappresentanti degli enti locali territoriali e delle organizzazioni sindacali. In caso contrario rimarranno puramente allo stato di potenzialità i compiti che dovrebbero essere ad essi affidati dalla Regione nel settore dell'assistenza scolastica, secondo l'art. 12 della gia citata legge 30/7/1973 n. 477.
Quindi ampio spazio di autonomia agli enti locati territoriali per i problemi dei trasporti e delle mense, ma altrettanta autonomia agli organi democratici della scuola per i problemi più strettamente didattici e per le attività relative all'orientamento professionale, all'assistenza scolastica e psicopedagogica per esaltarne la partecipazione, per favorire la dialettica tra gli organi per una reale crescita democratica complessiva.
La legge inoltre non deve limitare l'autonoma scelta da parte della famiglia della scuola per i propri figli, escludendo dagli interventi per l'assistenza scolastica gli alunni che frequentano scuole non statali. Non vi deve essere un riconoscimento puramente formale e giuridico della libertà di scelta dei genitori della scuola per i propri figli, ma deve essere garantito l'effettivo esercizio di questa libertà. La nostra Costituzione è per un effettivo pluralismo scolastico così come tutte le legislazioni dei Paesi della Comunità Europea e la nostra legislazione statale che con il D.P.R. 14/1/1972 n. 3 di trasferimento delle competenze di assistenza scolastica alle Regioni a Statuto ordinario prevede gli interventi sia per gli alunni della scuola statale, sia per quelli delle scuole non statali e che con la legge 24/7/1972 n. 1073 prevede le borse di studio agli alunni capaci e meritevoli in difficile situazione economica indipendentemente dalla scuola che frequentano.
Con questo nostro atteggiamento, sia ben chiaro, non intendiamo difendere alcun interesse e tanto meno iniziative di carattere speculativo bensì l'effettiva eguaglianza di tutti gli alunni perché gli alunni e non già le scuole sono i beneficiari dei contributi. Sosteniamo una concezione di uno Stato moderno che non monopolizzi l'istruzione, che è si gestore di scuole statali, ma contemporaneamente deve svolgere la sua funzione di promotore del bene comune quindi di rendere praticabile alla famiglia il diritto-dovere di educare i propri figli. Una democrazia sostanziale mentre garantisce il pluralismo all'interno della scuola statale, deve anche garantire il pluralismo delle istituzioni scolastiche con parità di trattamento agli alunni che le frequentano, lasciando ampi spazi di libertà alle iniziative dei cittadini e valorizzando tutte le potenzialità educative che la comunità è in grado di esprimere.
In questo quadro ritengo sia possibile l'approvazione di una buona legge per l'esercizio del diritto allo studio che razionalizzi gli interventi, tenendo conto delle esperienze conseguenti all'applicazione della legge n. 27, che tenda all'effettiva gratuità della scuola materna e dell'obbligo, che realizzi un autentico pluralismo articolato di competenze, lasciando ampi spazi di autonomia alle famiglie degli alunni agli enti locali territoriali ed alle componenti più significative del processo educativo-formativo della scuola.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Curci. Ne ha facoltà.



CURCI Domenico

Signor Presidente, signori Consiglieri, con l'approvazione del bilancio per il 1976 verrà ufficialmente sancito lo spostamento del Consigliere Rossotto e del Gruppo che egli rappresenta a sinistra. Ma, al di là delle vicende interne del Partito liberale, qui rappresentato ormai soltanto più dal suo Segretario nazionale, crediamo di poter dichiarare che il Gruppo del Movimento Sociale Italiano - Destra nazionale rappresenta in questo Consiglio tutta la pubblica opinione di destra, che anche nella nostra Regione esiste in misura ben maggiore e più vasta di quanto sia rispecchiato dal numero di voti che il nostro movimento ha conseguito nelle ultime elezioni regionali.
Fatta questa premessa, indispensabile per comprendere chiaramente quali sono le posizioni politiche che intendiamo sostenere, dobbiamo anzitutto rilevare come l'adesione di quel Gruppo e la ventilata - perché di questo si è parlato - possibile astensione del Partito socialista democratico rappresenta, o rappresenterebbe, non un atto di coraggio o di fiducia, come qualche collega appartenente a quei Gruppi si affanna a cercar di dimostrare in giro, ma l'assunzione di una responsabilità senza più alibi di fronte agli elettori che la giudicheranno.
Non sapremmo, e vorremmo che ce lo dicessero gli interessati, dire in che cosa consisterebbe l'atto di coraggio nel voto favorevole ad un bilancio che, sinceramente, non sappiamo se anche sotto il profilo tecnico possa essere definito tale. Si tratta di un documento che è un incerto insieme di ipotesi, costruito su valutazioni che pirandellianamente possono tanto essere quanto non essere. Quel poco che è certo ed attendibile è deludente. Gran parte del bilancio è dichiaratamente rigido, mentre la disponibilità per spese di investimento è assai modesta di fronte alla necessità di un'azione capace di incidere con concretezza sui bisogni di una Regione che è travagliata da una profonda crisi economica e che ha bisogni pubblici e sociali di rilevante portata.
La speranza è affidata soltanto alle erogazioni per alcuni settori specifici di intervento, dai due decreti di emergenza del Governo e da alcune leggi speciali dello Stato che prevedono erogazioni attraverso le Regioni. E', insomma, il metodo meramente di emergenza, che non ha mai messo né mai metterà in moto un meccanismo di sviluppo o cambiamento strutturale, che sono l'unica condizione per uscire veramente dalla crisi.
Il bilancio che la Giunta ci ha presentato, quindi, non solo non incide in alcun modo sulla drammatica realtà regionale, ma sconta anche le conseguenza di una produzione legislativa, quella sin qui compiuta dall'attuale Giunta, scarsamente incisiva, su un tessuto economico e sociale articolato come quello del Piemonte. Io non so se questa è veramente l'aspettativa dei cittadini che il 15 giugno dello scorso anno votarono così numerosi per il Partito comunista.
Infatti, in che cosa consiste la politica delineata nel bilancio per il 1976 e in quella degli anni successivi? Ieri l'Assessore al bilancio ci ha detto che il 1977 sarà un anno di recessione, che il 1978 sarà un anno di attesa, e che spera che nel 1979-1980 possa iniziarsi l'inversione della tendenza. Praticamente, quindi, la politica della Giunta consisterà essenzialmente nella partecipazione all'attuazione della legge statale 482 collegata all'azione nei confronti del Governo centrale, e nella concreta istituzione di quei singolari organismi che sono i comprensori, e nel completamento, poi, dell'ordinamento della Regione. Tutto il resto è soltanto sperato o intenzionale, non essendovi coerenza se non marginale tra ciò che si dice di voler fare e i mezzi per farlo.
Sul dibattito relativo alla legge 382 noi concordiamo che i decreti delegati devono essere tali da risolvere i tanti ed intricati problemi che rendono così evanescente ed incerta l'attività regionale, e, oltre tutto riteniamo che si debba arrivare anche ad una revisione della legge finanziaria regionale, in un contesto organico che articoli in modo equo tutta la finanza pubblica in relazione ai compiti definiti ai vari livelli.
Sulla vicenda relativa ai comprensori noi rafforziamo la nostra convinzione negativa già espressa in quest'aula dal collega Carazzoni su questi singolari organismi, né carne né pesce, un po' organi della Regione un po' enti intermedi, collocati un po' sopra un po' sotto Comuni e Province, dei quali finiscono con l'annullare sostanzialmente l'autonomia.
A nostro giudizio, questi pletorici organismi, che sono fuori della Costituzione, sono destinati ad aumentare la confusione istituzionale. Vi è poi il raccordo, non ancora risolto, con le Comunità montane, vi è il rapporto con i Comitati sanitari di zona. Una ragnatela, quindi, nella quale l'attività amministrativa rischia, con gravi conseguenze per le comunità locali, di rimanere invischiata in modo paralizzante.
Intanto, ho sentito dire che la Regione voglia inviare - non so se già l'abbia fatto - propri funzionari presso i comprensori. Sono dunque organi periferici e diretti della Regione? Nasce anche la burocrazia comprensoriale? Sono tutte domande inquietanti, e non sono le sole che si potrebbero porre. Bastano però a motivare la nostra opposizione su questo problema. Un problema che è, in definitiva, il cardine della vostra costruzione politica, programmatoria ed urbanistica, un cardine così incerto, così anomalo, così illegittimo e oltre tutto tanto irrazionale che condiziona tutto il discorso che voi ci presentate in merito al Piano di sviluppo regionale, in ordine al Piano territoriale, in merito alle localizzazioni industriali, alla politica agricola e così via.
Dunque, quella che voi considerate una politica sono in realtà delle non scelte ma imprecisati disegni che danno largo margine al nostro atteggiamento critico. A nostro giudizio, voi state mettendo in moto un meccanismo irrazionale e pletorico, destinato ad incepparsi ed a rendere più difficile la vita e l'attività amministrativa degli enti locali.
Fin da quando, un anno fa, la nuova Giunta presentò il suo programma di governo, si constatò che più di una scelta strategica si era di fronte ad un'idea messianica per un modello alternativo di sviluppo.
In effetti, quel programma, anziché esprimere una capacità e politicamente una volontà di programmazione, si esercitava nel teorico senza avere né a valle né a monte un sostegno di ipotesi concretamente possibili e soprattutto un contenuto quantitativo su cui seriamente pronunciarsi. Quel documento manifestava l'indirizzo astratto, seguito poi dalla Giunta nel suo modo episodico, contingente, fatto di decisioni prese giorno per giorno. Non vi era, dicevo, una scelta coerente per il futuro del Piemonte. Vi era teoricamente tutto e concretamente nulla.
Oggi non credo che il Consiglio regionale si trovi in migliore condizione in ordine al bilancio per il 1976, che ad anno inoltrato, in una situazione generale politica ed economica di totale sfacelo, si presenta e lo dice la stessa Giunta a pag. 5 della sua relazione - "non diverso dai bilanci precedenti".
Siamo dunque ancora alla fase di "transizione", si legge più avanti.
Siamo, aggiungiamo noi, ad un vuoto di chiarezza, alla non determinazione delle scelte che l'ora grave che la Nazione sta attraversando rendono ancora più censurabili. La tensione che l'attuale Giunta era riuscita ad artificialmente creare ed alimentare all'atto del suo insediamento è dunque caduta, se a pag. 6 si ammette che l'impossibilità di presentare un programma diverso costituisce un grave limite alla comprensione della politica di spesa seguita dalla Regione. Non vi è stata, e non vi è quindi, una politica circa il futuro regionale: questa la constatazione ovvia che deriva da quelle enunciazioni circa il programma presentato dalla relazione della Giunta. Il giudizio di merito e quello politico non possono pertanto che essere negativi.
Sia pure nella limitatezza dei mezzi si dovevano porre, secondo noi scelte possibili e concrete per un indirizzo di programmazione regionale che potesse valere ad avviare cambiamenti strutturali in Piemonte, con dosature di priorità che tengano in conto la situazione sociale in rapporto ai mezzi disponibili e che abbiano fissi lo sguardo a due obiettivi primari: la produzione e l'occupazione. Tutto il resto ruota attorno: il territorio, l'ambiente, le istituzioni, i trasporti; tutto deve essere finalizzato al raggiungimento di quegli obiettivi.
Da questa discussione noi riteniamo, e credo sia opinione non soltanto nostra, che la maggioranza non ne esca in modo edificante, per la contraddizione tra i propositi conclamati all'atto dell'insediamento e la realtà emergente dal bilancio; ne esce, soprattutto, male politicamente per la mancanza di scelte organiche in relazione alle esigenze del Piemonte ed al momento economico e politico che attraversiamo.
Nella grave ora che si attraversa per colpa e responsabilità di quelle forze politiche che hanno per tanti anni gestito il potere, la strada delle buone intenzioni non austeramente concretate, la via delle velleità e delle proclamazioni di principio può solo portare la Nazione a maggiore rovina.
Per questo noi, che voi pretendete, pur nella gravità del momento, e salvo il peso negativo delle vostre responsabilità, di continuare a discriminare ed a separare dal corpo vivo del Paese al quale apparteniamo e nel quale operiamo a stretto contatto, interpretando i bisogni e le esigenze dei cittadini, esprimeremo un voto negativo e di sfiducia verso il vostro comportamento e verso le contraddizioni che i vostri stessi documenti, come quello in discussione oggi, esprimono e manifestano.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Benzi. Ne ha facoltà.



BENZI Germano

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, farei in premessa una proposta: di mettere sui loro banchi almeno le fotografie degli Assessori come si fa per le rubriche dei giornali, oppure di svolgere questo dibattito per corrispondenza, il che ci darebbe la possibilità di starcene tranquillamente a casa nostra. Perché il fatto che un dibattito di questa importanza si svolga in un'aula semivuota non depone certamente a favore della sensibilità politica dei Consiglieri regionali né della Regione.
Mi sento in dovere di dire queste cose poiché credo di essere il più anziano, in questa assemblea, visto che è purtroppo assente l'amico e collega Oberto, al quale rivolgo un affettuoso augurio: un simile disinteresse denota infatti quanto la Regione sia scaduta nella considerazione perfino di noi che ne siamo gli attori principali. Mi scuso di questo sfogo, che faccio per me ma anche per tutti coloro che interverranno: piuttosto che discutere in un clima così poco propizio sarebbe meglio passare direttamente alle votazioni, perché è evidente che non c'è intenzione di seguire né quel che dirà l'opposizione ne quel che ha da dire la maggioranza.
Noi avevamo atteso il bilancio preventivo per il 1976 con una certa curiosità, per vedere quale nuovo impulso avrebbe dato alla nostra Regione il modo nuovo di governare preannunciato dalla nuova Giunta. Ma, ahimè l'Assessore alla programmazione dichiara che per il 1976 non è stato possibile formulare un documento diverso da quelli tradizionali, perché le tre leggi dello Stato non consentono di operare diversamente. Ma allora, i bilanci della passata gestione erano corretti, e fatti come le leggi permettevano di fare. Dico questo proprio perché la parte che allora era all'opposizione sosteneva che i nostri bilanci non erano fatti bene: la stessa accusa potremmo oggi ritorcerla tranquillamente noi, visto che la nuova Giunta ha presentato un bilancio dello stesso tipo dei precedenti.
L'imbarazzo è accresciuto dal fatto che il bilancio è raccordato con il Piano regionale di sviluppo, che non è stato ancora presentato, e quindi non conosciamo, e non sappiamo se sarà approvato, modificato, ritirato. Si può dire che il bilancio poggia su un fantasma, un fantasma che aleggia di quando in quando in quest'aula, ma pur sempre impalpabile.
Non avevamo alcuna preclusione per il documento della Giunta, consci come siamo della gravità del momento, con la disoccupazione che avanza, il numero sempre maggiore di operai in Cassa integrazione, di giovani in cerca di primo impiego: ma proprio per questo ci aspettavamo un altro tipo di bilancio.
Nella premessa dell'Assessore Simonelli si dichiara che "il bilancio non si presenta all'insegna dell'ordinaria amministrazione, ma si prefigge l'obiettivo di fornire un contributo alla soluzione dei gravi problemi posti dalla crisi economica sociale". Questo, però, non trova riscontro nelle cifre stanziate: si ha invece l'impressione che ogni Assessorato abbia avuto un qualche cosa per essere accontentato, senza un taglio deciso per quanto riguarda l'occupazione ed il potenziamento del settore relativo alla creazione di nuovi posti di lavoro.
Risponde questo bilancio alle attese delle nostre popolazioni ed alle esigenze economiche e sociali del momento? Ecco la domanda che io pongo a me stesso, alla quale pero sarà difficile per la Giunta poter dare risposta positiva.
Si doveva rinunciare, in un momento come questo, agli interventi quantitativi per individuare invece i settori trainanti, prioritari, quelli che era indispensabile potenziare. La vecchia Giunta aveva proposto una legge sull'edilizia con 43 miliardi di spesa complessivi; di questa legge una parte è stata ripresa e portata avanti dall'Assessorato competente, ma è troppo poco. Con la richiesta di abitazioni che abbiamo, con la disoccupazione in atto, andava compiuto un atto di coraggio, dando avvio ad una coraggiosa politica della casa. Proprio per la casa, a Torino, vi sono stati episodi di violenza e un uomo è morto. Eppure, pur avendo ricevuto pressioni dai sindacati del settore edile perché dedicasse particolare attenzione a quelle carenze, la Giunta regionale ha tralasciato questo importantissimo aspetto nel bilancio.
Vi leggero qualche cifra relativa al censimento del '71 sulle case a Torino. Ci sono ancora nel capoluogo piemontese 3.270 case con l'acqua all'esterno; 51 mila case con il gabinetto all'esterno; 90 mila case senza bagno e circa 95 mila senza riscaldamento centrale. Su 425 mila case che esistono in Torino, 85 mila sono state costruite fra il 1919 ed il 1945 e 75 mila prima del 1919, il che vuol dire che abbiamo un patrimonio di case fatiscente, abbiamo alloggi non degni dell'uomo.
Questa Giunta, anziché incrementare l'attività in questo settore importantissimo per creare dei posti di lavoro, ha persino diminuito gli stanziamenti in confronto alla vecchia Giunta, quella famosa Giunta che veniva accusata di non saper impostare nulla. Ecco la grande occasione perduta per fare un bilancio veramente nuovo, fonte di lavoro e di alto contenuto sociale; un bilancio che tutte le forze politiche avrebbero approvato senza esitazione. Bisognava passare dai 43 milioni stanziati dalla vecchia Giunta a 70 miliardi, comprimendo molte spese di altro genere che si possono comprimere (mi ricollego all'ottimo intervento che ha fatto il collega ed amico Gandolfi, in cui egli ha richiamato ad un maggiore rispetto del denaro pubblico, che va considerato come cosa sacra e speso con la massima oculatezza).
Sono d'accordo su certe cose con il collega Berti, per il quale ho la massima stima e la massima ammirazione: ebbene, collega Berti, lasciami dire che mi stupisco, data l'autorità di cui godi nel tuo partito, che proprio il problema della casa, che tu conosci forse meglio di me, sia stato così trascurato dalla nuova maggioranza.
E' un fatto che le Regioni, non solo la nostra, io penso, stanno perdendo di credibilità. Abbiamo voluto le Regioni per governare meglio dello Stato, convinti che il centralismo sia negativo. Ma qualche volta i cittadini rimpiangono le Prefetture, perché stiamo diventando una burocrazia aggiuntiva a quelle esistenti. L'altra Giunta veniva accusata di lasciar crescere i residui passivi, non riuscendo a spendere il denaro che lo Stato dava alla Regione. Oggi facciamo lo stesso rilievo all'attuale Giunta: non si possono ipotizzare 12 miliardi di interessi attivi se nelle case della Regione non ci sono almeno 100 miliardi depositati. Questo significa che in questo campo la situazione non è mutata. Chiediamo pure conto all'attuale Giunta della somma di 53 miliardi che il Governo ha stanziato per il momento anticongiunturale, cioè perché fossero spesi subito, in investimenti atti a produrre lavoro. Quando, come verranno spesi? E' vero che certi ritardi politici son dovuti a precise responsabilità del Governo centrale, all'impreparazione dello Stato, nella sua legislatura centrale, ad affrontare i problemi regionali. Io concordo con coloro che muovono questa obiezione. Ma questo non può essere sempre una scusa: dobbiamo essere noi a trascinare in questa direzione.
Avevamo guardato con favore allo sforzo dei partiti dell'attuale Giunta per la ricerca di possibili convergenze sui contenuti dell'azione politica amministrativa della Regione. Ma quando siamo stati chiamati ad impostare od a discutere il bilancio, atto fondamentale della Regione? E' vero che in aula consiliare sono ancora possibili modifiche al bilancio. Ma, visto che l'Assessore preposto dichiara che i fondi ancora spendibili sono circa due miliardi, come ieri il collega Rossi ha giustamente ipotizzato, e pertanto il bilancio è rigido, è praticamente impossibile rimettere in discussione gli stanziamenti. Così, i partiti non facenti parte della Giunta non possono fornire un apporto politicamente qualificato e determinante in merito al bilancio.
Non facciamo una tragedia per il fatto che il bilancio viene presentato in ritardo, anche se la precedente Giunta per lo stesso motivo veniva aspramente criticata. Ci sarebbe anche da chiarire qualcosa su certe cifre poste in entrata: di alcune è dubbia la consistenza, ma la diamo per buona perché il pareggio del bilancio sarà dato dalle somme che non verranno spese per fine anno, e perciò con le varianti il bilancio certamente pareggerà.
Passerò ora a fare qualche rilievo in merito a talune voci che mi hanno maggiormente interessato.
Nelle entrate, vedo che la cifra degli interessi, all'art. 73 (pag.
13), è di 12 miliardi, esattamente come per il 1975. Questo sta a dimostrare che l'attuale Giunta non può spendere il denaro che lo Stato invia alla Regione nell'arco dell'anno, perché, se così non fosse, questa sarebbe un'entrata gonfiata.
Nelle uscite dovrò soffermarmi più a lungo.
All'art. 40 (pag. 31), "Spese per l'uso degli impianti telefonici" noto un aumento enorme: si passa da 65 a 200 milioni.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

E' dovuto all'aumento fatto dalla SIP. Anche la spesa per il telefono di casa tua è certamente cresciuta.



BENZI Germano

Può darsi che il motivo dell'aumento sia quello che ritieni tu. Per penso che sarebbe bene controllare la spesa dell'anno precedente, per un confronto, e inoltre sarebbe bene che al Consiglio venisse fornito un elenco con la spesa telefonica addebitata ai singoli apparecchi dei vari uffici. Al momento di assumere, qualche anno fa, un Assessorato, avevo notato che per un certo telefono c'era una spesa di 750 mila lire in due mesi; dopo il mio intervento di controllo, la spesa è calata repentinamente a 200 mila lire il mese.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Comunque, il libro della spesa, relativo a tutti gli uffici, l'abbiamo consegnato.



BENZI Germano

All'art. 75 (pag. 32) sono previsti 200 milioni per "Rimborso agli enti di provenienza di assegni di carattere continuativo per il personale". Non mi colpisce tanto la cifra quanto il fatto che si tratti di una voce nuova.
Sarebbe bene che parlassimo della politica del personale, o in Commissione o in Consiglio regionale. Vorremmo ci venissero chiarite alcune cose.
All'art. 94 (pag. 33) è previsto l'aumento delle spese per l'Ires da 600 a 700 milioni. Subito dopo, all'art. 96 della stessa pagina, sono stanziati 50 milioni per "Contributo per le spese di impianto e di funzionamento del Consorzio per il trattamento automatico dell'informazione". Bisogna chiarire la distinzione fra la funzione dell'Ires e quella di questo Consorzio. Quale sarà la sorte dell'Ires se si creerà un tale Consorzio? Non possiamo pensare che la Regione, che già dispone di un ente come l'Ires, non si ponga una tale questione. E' un punto che richiederebbe un chiarimento.
All'art. 288 (pag. 41), per le "Spese per il funzionamento delle biblioteche, per mostre ed altre manifestazioni" passiamo da 25 milioni a 475. E' una cifra che andrebbe giustificata. Non è il momento, come già ha rilevato il collega Gandolfi, di spendere in attività non produttive. A meno che queste mostre siano suscettibili di produrre lavoro, nel qual caso sarei d'accordissimo.
All'art. 828 (pag. 67) l'importo stanziato per "Sussidi e premi per promuovere l'incremento dell'artigianato e della piccola industria per favorire mostre, manifestazioni fieristiche eccetera" è tale e quale quello del 1975, 300 milioni. Se si tien conto della svalutazione, in pratica abbiamo stanziato il 20 per cento in meno. Questo era un po' il banco di prova della volontà di difendere l'artigianato e la piccola industria: questo settore, di cui tutti parliamo come possibile fonte di lavoro, è stato invece trascurato. C'è al riguardo il silenzio più assoluto, un silenzio preoccupante E' vero che si sono stanziati 2 miliardi per l'inizio dei lavori nelle quattro aree industrializzate, ma quali sono le aree prescelte e da quale di esse si comincerà? Perché due miliardi sono senz'altro insufficienti per tutte quattro le aree. Quali lavori dobbiamo e vogliamo fare, quali impianti? Abbiamo contatti con le organizzazioni a carattere padronale per sapere quali aziende industriali o quali attività artigianali si insedieranno in questi luoghi che noi intendiamo attrezzare? Perché non dobbiamo correre il rischio di attrezzare delle zone che poi rimangono deserte. Non ho nulla da obiettare sul fatto che si stanzino questi due miliardi, se mai, anzi, dico che sono troppo poco. Mi pare però, che manchi una preparazione adeguata perché si vada in questi posti a creare veramente del lavoro. Con quanto andiamo predisponendo ci potrebbero essere posti di lavoro per 3.500 dipendenti, secondo un calcolo molto approssimativo, con i problemi annessi e connessi. A me pare che questa questione non sia stata esaminata nella sua interezza; è mancato, secondo me, un approfondimento.
All'art. 1368 (pag. 93) vi sono 450 milioni per "Prestazione di garanzia fidejussoria al SAMIA". Si è parlato qualche volta della necessità del rilancio dell'artigianato e della piccola industria, con mostre rassegne ecc. ecc. Se l'acquisto della quota del SAMIA vuol essere l'avvio di questa politica, io sono d'accordo; se invece queste quote sono servite solo a salvare una mostra, lo stanziamento non ha alcuna efficacia a parte i meriti che il SAMIA può avere.
Abbiamo parlato già diffusamente di mostre di settore della piccola e media industria e dell'artigianato, ma io non so che cosa ci sarà di effettivamente concreto in questo settore. Abbiamo a Torino dei palazzi che sono indicatissimi per questo scopo, e potremmo fare mostre anche fuori Torino; ma queste iniziative, che pure dovrebbero essere di incentivo all'occupazione, alla creazione ai nuovi posti di lavoro, rimangono solo sulla carta, con indicazioni di cifre che non dicono nulla.
La cifra stanziata per le scuole professionali denota la volontà di dare essa un forte sviluppo. Ma anche qui si deve prestare molta attenzione al tipo di scuola da sviluppare, precisare cosa si vuol insegnare a questi ragazzi e come e perché si preparino veramente ad una professione. Se continueremo a seguire la linea della gestione della precedente Giunta dicendo questo critico anche me stesso, che ne facevo parte - non concluderemo nulla. Nelle vecchie scuole professionali il denaro era non dico buttato ma veramente speso male, almeno in parte. Ora, io vorrei sapere dall'Assessore e dal Presidente come vogliamo impostare questi nuovi corsi professionali, per dare all'industria i tecnici di cui ha bisogno.
Abbiamo letto sui quotidiani tre mesi fa che mancano in Piemonte 6.500 lavoratori specializzati, eppure ci sono centomila disoccupati nella nostra regione. Cosa facciamo in rapporto a ciò? Se continueremo a pagare i barbieri, ad esempio, perché insegnino ad insaponare la barba ai clienti veramente butteremo via il denaro.
Anche il settore commerciale mi pare sia stato trascurato, in questo bilancio. Oggi si sta manifestando in forme strane questa carenza sul piano commerciale: c'è gente che vende la carne su bancarelle a circa metà prezzo rispetto alle macellerie; e la spiegazione è che quella carne costa meno perché viene venduta senza il visto sanitario, cioè senza un bollo su un pezzo di carne. Se gente con pochi mezzi riesce ad ottenere simili risultati, non perdiamo il nostro tempo a calmierare il pane per un po' di giorni? Non faremmo meglio a risolvere le cose un po' più intelligentemente, così da modificare veramente la situazione? Se vogliamo veramente fare qualcosa di nuovo per dar sollievo a tanta gente, con pochi mezzi e tartassata in ogni modo, perché la Regione non si fa promotrice con le banche locali, con i grossi Comuni, di un ente di acquisto e di distribuzione in grande stile? Se commercianti improvvisati riescono a vendere a prezzi del 40-50 per cento inferiori a quelli normali vuol dire che c'è modo di fare un buon lavoro in questo senso. Vorrei che il collega ed amico Marchesotti, che si occupa di questo settore, prendesse delle posizioni coraggiose altrimenti la Regione continuerà a farsi rimorchiare ad essere un ente burocratico che fa soltanto della gran burocrazia.
Non mi dilungo ulteriormente, anche se avrei altro da dire, anche per rispettare i limiti di tempo concordati.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Rossotto. Ne ha facoltà.



ROSSOTTO Carlo Felice

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, l'approvazione o meno del bilancio costituisce il momento di verifica dell'operatività della Giunta della compatibilità della stessa operatività con gli impegni programmatici delle forze di maggioranza, infine del flessibile adeguamento alle finalità che sorgono dall'impegno politico posto a fondamento dell'azione della Giunta delle azioni necessitate, non prevedibili, che nell'arco di tempo che decorre dalla formazione dell'accordo politico di maggioranza possono verificarsi e pretendono di essere risolte.
In un momento di grave crisi e di incertezza politica ed economica non è certo, questo, un elemento trascurabile di valutazione, accertati quanti sono stati gli inadempimenti nel rapporto Stato-Regioni da parte dello Stato stesso.
Nel mio intervento, che per mantener fede all'impegno di rispettare il tempo prefissatoci in venti minuti, il doppio di quello che i Deputati al Parlamento europeo hanno a disposizione, il che non è poco, concentrerò la mia analisi su tre punti: a) validità dell'accordo politico intercorso tra le forze di maggioranza, che vede l'Unione Liberale Democratica protagonista, con uguali responsabilità, meriti e demeriti, delle due altre ben più importanti componenti politiche b) rispetto nella realizzazione del bilancio, e per quanto è possibile operare autonomamente ad una Regione, degli impegni più volte assunti, sia per il tipo di impostazione dell'azione politica che il bilancio dimostra sia per le scelte d'investimento prioritarie eseguite e indicate con lo stesso c) analisi della necessità di una più penetrante azione nel merito attraverso la riqualificazione della spesa regionale, principalmente nei settori dell'agricoltura, della sanità e dell'istruzione professionale, su cui è opportuna un'attenta riflessione e poi una sollecita azione che sappia essere presupposto di serie modifiche strutturali nei tre settori.
Sulla validità, dopo quattro mesi di rodaggio impegnativo dell'accordo politico che ci ha portato in maggioranza, credo di dover spendere poche parole.
In un momento di profonda confusione e carenza politica, noi abbiamo ritenuto nostro dovere mettere a disposizione della Giunta il nostro impegno perché un certo tipo di processo degenerativo dell'assetto socio economico potesse, almeno a livello regionale, ottenere, se non una radicale inversione (tutti sappiamo come sia impossibile fare tutto ciò di colpo e senza un'identica o coincidente volontà politica a livello nazionale), almeno una battuta d'arresto.
I fenomeni del lento ma costante restringimento della base produttiva del Paese, con il conseguente ampliamento dell'area parassitaria o assistenziale, che si traduce poi nei fenomeni di crollo della produttività, disoccupazione giovanile, emarginazione femminile dal mondo del lavoro, inflazione, a cui faceva riferimento l'Assessore Simonelli citando i dati allarmanti e preoccupanti della relazione economica nazionale per l'anno 1975, chiedono un diverso modo di operare, e credo nonostante un bilancio non possa mai azzerare gli errori o l'eredità del passato, che questo bilancio, ed il tipo di azione che la Giunta, sostenuta dalla maggioranza e quasi sempre anche dalla minoranza, che in questo modo ne riconobbe la validità, ha posto in essere, credo, dicevo, che qualcosa di nuovo e di molto concreto si sta realizzando.
Di qui, da queste novità, da questo in molte occasioni consenso quasi sempre unanime, ricaviamo, con un pizzico di orgoglio, il primo elemento positivo e di riconosciuta validità del gesto compiuto a fine '75 da noi liberaldemocratici, anche se qualcuno, errando, ama chiamarci ex liberali.
Eravamo liberali, per esserlo compiutamente, o per lo meno per esserlo di più, ci siamo assunti questo oneroso impegno, di governare con altri, in questo drammatico momento, una delle Regioni dove la crisi è stata ed è più acuta. Nonostante ciò, molto si è fatto, e molto è già accertare che mai come oggi attorno alla nuova istituzione regionale si sta costruendo fiducia e consensi di molti e di ceti e categorie diverse, anche di quelle che elettoralmente mai si riconobbero nell'attuale maggioranza.
Penso che questo sia operare per dare un significato ed un contenuto concreto all'espressione "rispetto del pluralismo".
Confermata, con l'esaurimento del primo ordine di interventi che mi ero prefisso la validità dell'accordo di maggioranza che sostiene questa Giunta, accordo aperto agli apporti concreti, tecnici e politici, di qualsiasi altra forza politica che ciò voglia fare, penso che sia opportuno esaminare se la realizzazione tecnica del bilancio dimostri in concreto di aver rispettato gli impegni politici che la maggioranza aveva più volte assunto ed in ordine ai quali noi liberal-democratici demmo il nostro assenso.
Obiettivo politico essenziale che questa Giunta si propose, di fronte alla grave crisi che investiva Paese e regime, era una mobilitazione massima delle risorse possibili, sia per quanto attinente a quelle del passato non utilizzate, sia per quelle recepibili nel futuro, e mi pare che questo bilancio dimostri che così si e operato.
Le critiche in ordine all'eccessivo rigonfiamento della spesa colpiscono questo tipo di scelta, che è pero scelta politica di un'esigenza o lotta politica che le Regioni devono portare avanti per non conoscere così come da tutti riconosciuto, la fine della loro autonomia se l'attuale rapporto Stato-Regioni non debba modificarsi.
E' certo un bilancio rigido, e il Consigliere Rossi, con la sua relazione di maggioranza, ha chiaramente e con attenta indagine enunciato i limiti sia per aiutare a riflettere sia per sollecitare una soluzione: ma è pure evidente a tutti che in questa rigidità c'è una concreta apertura di azioni vitali che si riconoscono tutte in quegli obiettivi programmatici che più volte, anzi sempre, ricordiamo.
Così la Finanziaria regionale, il decollo delle aree industriali l'operatività dei comprensori già nel corso di quest'anno saranno mezzi e strumenti perché la politica di piano decolli.
Di contro, le scelte prioritarie con una politica di investimenti per l'agricoltura, i trasporti, i lavori pubblici, l'assistenza, l'ecologia anche se in alcuni casi queste priorità sono state rafforzate dai trasferimenti obbligati dallo Stato, sono chiare risposte agli impegni assunti.
Penso, e già qualcosa in merito ho sentito, che l'opposizione, com'è suo dovere, nell'esercizio del suo diritto di critica e di stimolo, troverà dispersioni, ritardi, omissioni o attribuzione di meriti di altri da parte degli esecutori del bilancio. Ciò è il compito dell'opposizione: compito di una maggioranza cosciente dei limiti di azione che si è imposta e che le sono imposti da ristrettezze di mezzi e dalla rigidità di impostazione del bilancio, non è solo non ascoltare i suggerimenti, ma chiedere che cosa si deve ridurre di investimenti in un settore per incrementare l'altro, ad ognuno le sue responsabilità.
E' nota la polemica che, dopo aver riconosciuto la necessità di interventi prioritari per l'agricoltura, in questo bilancio si sarebbe negata di fatto tale affermazione destinando alla stessa somme inferiori a quelle stanziate nel corso del 1975.
Questa impostazione politica richiede per lo meno una risposta di metodo. Chi afferma ciò, deve anche dire che cosa bisogna ridurre. Tutte le risorse sono in gioco, e, a meno che non si voglia giocare, così come già ho sentito, con i 50 od i 100 milioni ricavabili da alcuni capitoli di dubbia interpretazione letterale, che impediscono una più chiara comprensione della loro effettiva operatività (ma fino a che non arriverà la riforma della contabilità regionale occorre giocare anche con questi bizantinismi), chi vuole di più in agricoltura deve assumersi la responsabilità di dire da quale settore e perché l'ulteriore stanziamento deve essere ritagliato, e quale categoria deve subire tali conseguenze.
Una politica di piano, anche se embrionale, quale questo bilancio tende già a prefigurare con le chiare indicazioni di disponibilità di spesa pluriennale, fatto di cui forse non si è valutata sufficientemente l'importanza innovativa, impone il rispetto di uguali regole e assunzione di responsabilità da parte anche dell'opposizione. Se non si fa così, non ci si confronta, ma si teorizza, con frasi apodittiche, sganciate dalla realtà; il che, in clima preelettorale, può essere un modo di operare, ma vuol però dire che si premiano gli schieramenti e non costruttivamente l'esame dei contenuti. Nel merito v'è da osservare che il rapporto fatto con il bilancio del '75 non è corretto, specie per l'agricoltura, perch prende come punto di riferimento un bilancio in cui si decise di intervenire massicciamente ed eccezionalmente a favore dell'agricoltura; se così si continuasse, la Giunta regionale si potrebbe ridurre nell'immediato futuro, a gestire solo l'Assessorato per l'agricoltura.
Credo che i venti minuti siano ormai quasi esauriti. Permane ancora un punto che ho annunciato di voler trattare. Parlo di quell'azione più penetrante nel merito che si deve attuare attraverso la riqualificazione delle spese. L'Assessore Simonelli ha chiaramente sottolineato come già in questo bilancio esiste un aggressione della spesa corrente, e il Presidente della I Commissione, Rossi, nella sua relazione ha ancora distinto quanto della spesa corrente è in realtà spesa di investimento e come tale sarebbe errore ridurre come riduzione della spesa corrente.
Approvo entrambe le enunciazioni e ritengo che esse debbano trovare quotidiana applicazione nell'azione di governo regionale che da questo bilancio prenderà le mosse. Per parte mia, sollecito interventi che trasformino i mediocri risultati produttivi e la scarsa operatività ed efficienza di molte delle spese che effettuiamo nei settori dell'agricoltura, della sanità e dell'istruzione professionale.
Dobbiamo avere il coraggio di eliminare, accertato che le risorse sono poche, e non sono da prevedere anni rosei, al contrario piuttosto tristi ogni spesa che non contribuisca, anche solo indirettamente, a modificazioni strutturali in questi settori.
Ogni spesa che non agisca sulle strutture è un pannicello caldo, che può alleviare un dolore, ritardare l'avverarsi di un fenomeno drammatico ma che, non risolvendo nulla, se non vaghi e non convinti consensi elettorali, è perdita sociale netta.
Credo che nei campi, negli ospedali e nelle scuole professionali si ponga, ad una classe politica che vuol modificare le strutture antiquate clientelari e parassitarie del nostro assetto socio-economico, un terreno ricco di soddisfazione.
Come operare? Le leggi agricole (la n. 45 e la n. 51) della passata legislatura vanno riviste in concreto, con un serrato confronto tra esigenze, finalità e risultati conseguiti, sapendo anche assumere momentanei periodi di impopolarità, benefica perché risolutiva e affermativa di un nuovo modo di rispondere alle esigenze. La grossa sfida è la cooperazione, ed è ad essa che dobbiamo dare spazio e avvenire, se vogliamo che all'efficienza produttiva si accompagni il rispetto dei diritti degli agricoltori ad essere non subordinati ad altri ma operatori autonomi.
Nel settore sanitario, sappiamo quanto ogni radicale azione presupponga una concreta azione a livello nazionale. La carenza di questa non può per giustificare il coraggio, per esempio, di vedere in concreto, magari con analisi per campione severa e radicale, come spendono i soldi della collettività gli enti ospedalieri. La polemica tra il Consigliere Armella e la maggioranza circa l'approvazione sic et simpliciter da lui voluta dei bilanci di questi enti e all'opposto una seria indagine sugli stessi, deve essere momento di riqualificazione di una spesa che, se abbiamo solo trasferita, incide per oltre il 50 per cento sul nostro bilancio.
I nostri cittadini devono da noi sapere se amministratori, operatori sanitari, dipendenti negli ospedali - perché anche costoro devono sentirsi tutelati dalla nostra azione - compiono esattamente il loro dovere utilizzano al meglio i mezzi che la collettività mette a loro disposizione o se ciò non avviene. Se ciò non avviene e noi non interveniamo, siamo colleghi Consiglieri, noi al pari di costoro responsabili dello sperpero di ricchezza che costoro effettuano. E' inutile ricordarsi, o forse è utile farlo, che la degenza media negli ospedali italiani è tripla di quella svizzera, ed ognuno sa quale e di che qualità è la differenza di prestazioni, e poi non agire ma solo parlare è ancora più negativo. Ricordo e faccio mie le osservazioni del collega Berti in occasione del dibattito sulla sanità come un preciso intervento in questo settore, riqualificando la spesa, si tradurrebbe in effettiva spesa di investimento, perché con la riduzione delle degenze aumenterebbe la produttività degli ospedali senza nuovi appalti! Infine, pur sapendo che molti altri potrebbero essere i settori interessati, quale ultimo campione prenderò quello dell'istruzione professionale.
Nel merito bisogna prendere atto che, anche se con estremo ritardo, la riforma della scuola media superiore è quasi matura: tutti i progetti e il testo unificato Ballardini prevedono una funzione primaria delle Regioni ed in merito noi abbiamo grosse responsabilità. Può darsi che su questa materia anche nell'ambito della maggioranza si dovranno superare ostacoli per la soluzione concordata di visioni diverse, ma ciò ormai si impone.
Con queste riflessioni, per questi motivi, con questo serio e meditato confronto, confermo il mio voto favorevole, nonostante le dichiarazioni terribili, che avrebbero dovuto farmi decidere in senso contrario ma che mi lasciano assolutamente indifferente, del collega Benzi, al bilancio preventivo 1976.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Bontempi. Ne ha facoltà.



BONTEMPI Rinaldo

Signori Consiglieri, avrei voluto limitarmi a toccare alcuni aspetti specifici del bilancio, che mi appaiono tali, per le loro caratteristiche sia di ordine qualitativo che di ordine quantitativo, da qualificare questo primo bilancio della nuova Giunta - direi, senza alcun trionfalismo, ma con la coscienza anche dei limiti già ricordati - come atto politico di grande importanza e di segno positivo.
Il fatto di intervenire dopo altri che hanno esaminato questo bilancio ed il suo significato secondo un'ottica ovviamente diversa mi induce, per a far precedere questi argomenti, forse un po' settoriali, da una premessa di carattere piuttosto generale, svolgendo considerazioni che ci permetteranno, penso, di arricchire il quadro delle discussioni fin qui condotte ed anche di apportare qualche rettifica ad un certo tipo di interventi, che non mi sono parsi, per la verità, molto intonati al tema ed all'oggetto della discussione odierna.
Mi riferisco in particolare all'intervento del Consigliere Paganelli un intervento, peraltro, quanto mai argomentato, puntuale, attento, secondo caratteristiche che ritroviamo sempre negli interventi di questo collega.
Oltre a considerazioni quanto mai appropriate, Paganelli ha fatto alcune affermazioni di carattere più generale, direi politico, sulle quali devo esprimere delle perplessità che mi sembrano abbastanza motivate.
Ad un certo punto egli ha toccato un tasto che da un po' di tempo sentiamo suonare in quest'aula, e vorrei anzitutto rispondergli a questo proposito. Da tempo si va dicendo che la Giunta, prima con la Conferenza sull'occupazione poi con l'appuntamento del piano, poi con il bilancio continua a promettere delle risposte sul programma operativo, ma non si pronuncia mai in concreto. Ho tanto l'impressione che a queste affermazioni, che Paganelli ha oggi riportato qui, si sia mossi, tutto sommato, da una presunzione psicologica: quella che la Giunta di sinistra la nuova Giunta che ha assunto il governo della Regione in realtà solo dal luglio scorso, avesse in mano la bacchetta magica per poter subito dare una configurazione strutturata ed estremamente analitica, specifica al suo programma di intervento. A questo tipo di presunzione possiamo replicare con animo perfettamente tranquillo dicendo che, certo, un programma operativo non è stato definito, ma si è venuto delineando fatto dopo fatto in questi mesi, e - mi pare che su questo dovremmo soffermarci - il bilancio non è che l'atto terminale, molto significativo, di questo indirizzo.
Dicevo dunque che, fatto dopo fatto, e in vari momenti politici - la Conferenza, le discussioni sul piano stesso, che, almeno potenzialmente sono state aperte un mese fa, con l'elaborazione di materiale che contiene già a grandi linee (ne abbiamo discusso l'altro giorno in II Commissione) alcuni indirizzi operativi di come deve e vuole muoversi la Regione - un programma operativo è emerso, nonostante i limiti, d'altra parte riconosciuti, insiti in un'attività che in questi mesi ha dovuto farsi carico di tanti e tanti problemi.
Non riteniamo quindi di poter più oltre sopportare passivamente la critica erosiva secondo cui la maggioranza, la nuova Giunta che essa ha espresso, dice di voler fare ma non lo dimostra con i fatti. Sono state già varate molte leggi che per la loro importanza qualificante son già elementi di un programma operativo. Non solo, ma questo bilancio, visto che oggi è in discussione il bilancio, è molto probante sotto questo punto di vista.
Due esempi bastano a dimostrarlo. Il primo, accennato anche nell'intervento, che ho apprezzato in maniera particolare, del Consigliere Gandolfi, concerne il settore dei trasporti. Poiché solo dall'anno scorso sono entrato a far parte del Consiglio regionale, mi rifaccio alla mia esperienza precedente di componente di un'Amministrazione comunale, ove penso che comunque l'andamento, sia pur in proporzioni più modeste, sia del tutto analogo a quello dell'Amministrazione regionale, e ricordo che ogni qual volta si faceva il bilancio in Comune la maggior preoccupazione, la più assillante, era che gli strumenti che si predisponevano con le appostazioni di cifre potessero non realizzarsi, non diventare operativi incidenti. Ebbene, ditemi voi quale bilancio, anche regionale, ha visto un'immediata, direi quasi contestuale, traduzione sul piano operativo come questo che abbiamo in esame, per quello che riguarda il settore dei trasporti. Già l'altro ieri, in Commissione, l'Assessore Bajardi ha portato per l'esame e la discussione un piano di assegnazione degli autobus: ecco così le indicazioni di bilancio diventate immediatamente operative.



BERTI Antonio

Una Commissione che non ha visto una partecipazione molto numerosa dei componenti.



BONTEMPI Rinaldo

Giustissimo questo richiamo di Berti, che dovrebbe indurre un po' tutti, compresa la minoranza, ad un ripensamento su cosa si intende per costruire insieme anche questi programmi operativi, ed alla conclusione che è necessario il confronto su questi argomenti ci sia, anche in Commissione.
Per quanto riguarda il programma autobus, dicevo, abbiamo già le indicazioni e le assegnazioni alle aziende pubbliche ed anche alle aziende private, con cifre che non hanno bisogno di commenti. Questo è piano operativo, questa è traduzione nei fatti di una politica che in questo bilancio è chiaramente presente.



GANDOLFI Aldo

Negli anni precedenti si faceva lo stesso.



PICCO Giovanni

E' l'esempio meno probante che potevi portare.



BONTEMPI Rinaldo

Se sia o non sia probante credo lo possano valutare gli altri Consiglieri. A me sembra molto positivo il fatto che siano già state date queste indicazioni in rapporto a leggi varate recentissimamente. Notate che per seguire queste indicazioni la Regione si appresta ad anticipare fondi che lo Stato ha promesso di stanziare ma non ha ancora inviato.
L'assegnazione di 263 autobus per le aziende pubbliche e 90 per le aziende private costituisce, secondo me, l'immediata traduzione in concreto del piano autobus. Le relative cifre già le conoscete: si tratta di circa 18 miliardi di investimenti messi in moto da 11 miliardi e 700 milioni di contributi fra Regione e Stato.
Non comprendo perché mi venga obiettata la scarsa efficacia probatoria di questo tipo di discorso: cercherò di dedurlo dagli interventi successivi. Io dico invece che in questo ambito è stata operata una scelta ben precisa, una scelta che è una risposta alle osservazioni precedenti: il bilancio ha in sé notevoli elementi operativi.



PICCO Giovanni

Le scelte dovrebbero essere caratterizzate dall'innovazione delle impostazioni, mentre qui non c'è alcuna innovazione.



BERTI Antonio

Sei arrivato tu, invece, a portare qualche innovazione: l'hai dimostrato con il tuo intervento, con le tue idee a ripetizione. Le tue innovazioni vengono dal Comune di Torino.



PICCO Giovanni

In II Commissione non sono intervenuto sulle comunicazioni di Bajardi perché si trattava di un'analisi conoscitiva... Certo, le cosiddette "innovazioni" sono note da cinque anni... Sul piano ferroviario...



BERTI Antonio

E' dal Governo nazionale che vengono novità evidenti, è di lì che ci vengono indicazioni anche di carattere operativo.



PICCO Giovanni

Dove si parla, per esempio, dei convogli per i pendolari preannunciati da Libertini nella sua intervista?



BONTEMPI Rinaldo

Ma qui non si inventa nulla, mi pare sia già stato detto in altri interventi, per altri argomenti. Senza voler entrare in polemica in merito a quanto è stato fatto prima dall'Assessorato ai trasporti, riferendomi soltanto ai fatti attuali, dico che la validità di una Giunta si dimostra con il portare rapidamente ad attuazione delle linee che possono anche essere cresciute nel tempo.
Con il suo intervento, Picco ha praticamente confermato che, in fondo questa Giunta non fa che applicare indirizzi già in precedenza adottati. E in effetti un'Amministrazione si qualifica, oltre che con il portare avanti intendimenti e indirizzi nuovi, anche con il proseguire indirizzi precedenti che vanno ripresi per la loro correttezza. Non si può continuare a dire: la Giunta non si qualifica, perché la Giunta si qualifica anche facendo questi interventi.
Mi pare, comunque, che il piano autobus sia incontestabilmente una prova di tempestività e di concretezza della nuova Giunta. Altra riprova la proposta politica che sarà contenuta nel piano di sviluppo illustratoci dall'Assessore Bajardi, che prospetta nel campo dei trasporti un intervento che questo bilancio adombra come indicazione di cifre; è un intervento che certo esce da una discussione lunga, da un'elaborazione che ha visto le forze politiche confrontarsi ampiamente anche nel passato, ma che adesso nel piano, e poi soprattutto nei comportamenti di amministrazione attiva diventerà un momento concreto.
Se qualcuno intende dire che questo bilancio ha dei limiti, mostra delle insufficienze, su questo tema si può sviluppare la discussione, ci si può confrontare. Ma non si può, con giudizio perentorio, dire che in questo bilancio ancora una volta, dopo mesi, manca un indirizzo operativo. E ci sono anche negli altri capitoli delle indicazioni, certamente suscettibili di riflessioni, di affinamenti, come diceva Gandolfi prima. Questo è compito del Consiglio; però non si può ridurre la discussione del bilancio ad un momento di critica a priori, caricata di certi segni meno che attengono, se mai, ad un tipo di polemica, ad un tipo di posizione preconcetta che non posso davvero apprezzare.
Qualcuno, per esempio, ha rilevato polemicamente che sono state "gonfiate" le entrate. Ascoltando la relazione, come sempre disincantata del collega Simonelli, ed anche quella del collega relatore Rossi, mi son reso conto che l'aver abbondato nella previsione delle entrate non è stato determinato dall'intento di presentare un bilancio di entità maggiore di quelli passati, ma da una scelta, ancora una volta, abbastanza precisa, di un principio: che cioè l'autonomia - quante volte ce lo siamo detto per i Comuni, che era valido questo principio! - delle Regioni, degli enti locali è un momento che si deve cercar di contrattare politicamente, di ottenere politicamente. Ma come ottenerla se non attraverso un'indicazione di scelte e di contenuti già prima che facciano corresponsabili la Regione, il sistema delle autonomie e quindi la gente, la popolazione che negli enti locali e nella Regione si ritrova? Questo è un argomento che non possiamo sottovalutare.
Certo, è giusto porre l'accento - come è stato detto nella stessa relazione di Rossi - sulle preoccupazioni derivanti da un eventuale sovradimensionamento: però dobbiamo anche dire che qui è necessario operare, anche per la Regione, un certo salto di ordine qualitativo. Questo salto di ordine qualitativo non è certo realizzato compiutamente da questo bilancio: ma con questo bilancio la Giunta fa una proposta politica indicando quali sono i bisogni delle popolazioni e quali bisogni devono avere delle risposte. Mi pare sia questa la logica di una previsione di bilancio che prospetta in una certa misura una non rigorosissima attenzione alla dimensione delle entrate.
Mi pare che questo sia un argomento basilare, un argomento di cui ormai chi ha esperienza di enti locali, chi ha esperienza anche regionale deve farsi carico. Non si può, secondo me, almeno, immiserire con una polemica sul "gonfiamento" delle entrate una scelta che fa definire, mi pare correttamente, questo bilancio uno sforzo per uscire dall'ordinaria amministrazione. I vincoli, i limiti, anche di struttura, che abbiamo sono tanti, lo riconosciamo, però questo bilancio è indice della volontà di superarli. Noi non crediamo, cioè, che uscendo da questa logica indicazione di bisogni e di tipo di risposte si possa arrivare veramente a conquistare una diversa autonomia.
Quanto al discorso dei rapporti con lo Stato, teniamo presente, fra l'altro, che l'interlocutore Stato - vedi il caso della 382 - appare sempre più labile, sempre più sullo sfondo, e quindi un'indicazione di questo tipo è necessaria anche per questo motivo.
Quanto poi agli aspetti più specifici, ho già parlato dei trasporti. Mi pare che questo sia un campo di priorità scelto nel bilancio su cui la sottolineatura vada fatta e su cui non si possano sbrigativamente mettere in un angolo le considerazioni insite nella previsione di bilancio, anzi le decisioni già attuate in ottemperanza al bilancio, perché questo è un elemento che qualificherà la Regione, così come i contributi per la pubblicizzazione. Anche per questo il discorso è aperto, si dovrà vedere in quali termini, con quale coinvolgimento degli enti locali; certo, a livello di comprensorio. Anche questo è un elemento che qualifica il bilancio regionale.
Quanto al problema della casa, mi è spiaciuto, collega Benzi, sentire da lei definire - ma le do credito del particolare momento cosiddetto preelettorale, che fa sempre andare su una riga più alta discorsi e valutazioni - la mancanza di una scelta quantitativamente maggiore nel campo della politica della casa come "una grande occasione perduta". Lei ha addirittura detto - non so con quanta attendibilità e compatibilità con lo stesso bilancio - che dai 40 milioni previsti dalla vecchia Giunta la nuova maggioranza avrebbe dovuto passare ad uno stanziamento di 70 miliardi. Mi pare, però, che anche Benzi in Commissione - era presente quando si sono discusse le due leggi sulla casa - si sia reso conto di qual è un tipo di intervento che allo stato attuale, prima della 382...



BENZI Germano

Per la verità, ho sempre detto all'amico Assessore che le cifre a disposizione del suo settore erano troppo limitate



BONTEMPI Rinaldo

Non mi era sembrato, ma se è così tanto meglio.
Il problema è piuttosto un altro: è di definire il tipo e la correttezza dell'intervento nell'ambito della casa a fronte delle cifre di fabbisogni che abbiamo davanti, a fronte del ruolo che con la programmazione, Regione, Stato, privati, cioè tutti coloro che operano nel settore, possono svolgere. Da questo punto di vista, la scelta fatta dalla Regione non va annegata in una considerazione negativa in quanto quantitativamente inferiore a quello che avrebbero comportato certe risposte. E' una scelta di tipo qualitativo, esemplare, l'abbiamo detto più volte: una scelta su cui si intende andare avanti. E già in questo bilancio è presente, proprio a fronte delle due leggi, uno sforzo finanziario consistente per venire incontro, anzi, per stimolare, gli interventi degli enti locali, soprattutto nei centri storici. E' un tipo di scelta corretto.
Vale anche per questo settore il richiamo ad un uso oculato del denaro pubblico, quando abbiamo una tale entità di fabbisogni in cui ritengo personalmente che interventi ai limiti del possibile della Regione di aumento ulteriore potrebbero incidere assai poco data l'enorme rilevanza delle necessità.
Allora, qual è la scelta? E' dell'intervento qualitativo? Dell'intervento espansivo? Dell'intervento pilota che può ricollegare gli interventi statali? Mi pare che sotto questo profilo sia veramente sbagliato, collega Benzi, parlare di "occasione perduta", e che vada invece recepito anche in questo settore un momento subito strettamente operativo collegato a certe iniziative, anche queste, va ricordato, già prese dalla Giunta precedente. Però sono interventi che non possono - questo è proprio un giudizio abbastanza netto - essere annegati in un giudizio negativo per l'entità del finanziamento. Anche perché è tutto da dimostrare - come ha detto anche il collega Rossotto - quanto negli altri interventi si sarebbe potuto ridimensionare di consistente.
Il collega Benzi, nella sua relazione, che ho apprezzato per l'estrema chiarezza, ha cercato di porre in luce anche gli elementi emersi dalla consultazione, dalla discussione della Commissione. Certo, la rigidità del bilancio, a fronte dei molti impegni che assillano la Giunta, pone dei limiti; ma su questi limiti, noi dobbiamo prendere atto, dobbiamo far crescere certamente una maggiore potenzialità della Regione anche in campo finanziario, collocandoci, secondo me, nella visione corretta di fronte a questo bilancio, un bilancio che, per tutti gli sforzi che emergono anche dalla lettura della relazione dell'Assessore, dalla lettura del Presidente della Commissione, si qualifica veramente come un atto - l'ho detto all'inizio e lo ripeto in chiusura - di notevole importanza politica e di segno decisamente positivo.



PRESIDENTE

Signori Consiglieri, direi di concludere ora la seduta, per riprendere i lavori alle ore 15 precise. Primo oratore sarà il Consigliere Debenedetti.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 12,35)



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