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Dettaglio seduta n.47 del 27/04/76 - Legislatura n. II - Sedute dal 16 giugno 1975 al 8 giugno 1980

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SANLORENZO


Argomento:

Ordine del giorno della seduta


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Tutti i Consiglieri hanno ricevuto l'ordine del giorno che reca: Approvazione verbali precedenti sedute Interpellanze e interrogazioni (che però non ci sono) Comunicazioni del Presidente Esame disegno di legge n. 45 "Bilancio di previsione per l'esercizio finanziario 1976" Sostituzione di un componente dimissionario del CO.RE.CO di Casale Monferrato Esame deliberazione della Giunta regionale relativa al regolamento organico provvisorio dell'ESAP Esame della relazione della Giunta regionale relativa ad una proposta di rettifica dei comprensori Esame disegno di legge n. 30 "Modifica della legge 23.5.1975 n. 34 recante 'Concessioni e contributi in conto capitale ai Comuni ed ai loro Consorzi, nonché alle Comunità montane per gli strumenti urbanistici'" Penso che sarebbe opportuno seguire l'ordine del giorno così com'è portando a termine l'esame del bilancio e successivamente fare gli altri punti.


Argomento:

Sul programma dei lavori


PRESIDENTE

Suggerisco questa procedura: oggi pomeriggio ascoltiamo le relazioni introduttive del Presidente della I Commissione Rossi e dell'Assessore al Bilancio Simonelli; sospendiamo la seduta, facciamo una breve riunione dei Capigruppo per ordinare la discussione sul bilancio da riprendersi, in questo caso, domani mattina e da continuarsi per tutta la giornata per tutto il tempo necessario a sviluppare la discussione; si prevede la conclusione del dibattito sul bilancio nella giornata di giovedì possibilmente nella tarda mattinata in modo da avere ancora il tempo di esaurire anche gli altri punti all'ordine del giorno.
Questo come schema ideale, la cui verifica l'avremo al termine della seduta di oggi, con la riunione dei Capigruppo che sin d'ora suggerisco di fare.
Interpellanze e interrogazioni non ce ne sono per ora, ma non è che non ce ne siano giacenti, suggerisco di svolgerle al termine della seduta, così da dare rigore all'impostazione della prima fase dei lavori della nostra assemblea.


Argomento:

Comunicazioni del Presidente


PRESIDENTE

Passiamo alle comunicazioni del Presidente.


Argomento:

a) Congedi


PRESIDENTE

Hanno chiesto congedo i Consiglieri Martini, Menozzi, Oberto Tarena (per i motivi che già conoscete) Picco, Zanone, Cardinali e Lombardi.


Argomento: Consiglio, organizzazione e funzioni

b) Caso di scioglimento delle Camere ed eventuale presentazione della candidatura da parte dei Consiglieri regionali.


PRESIDENTE

Desidererei inoltre ricordare ai Consiglieri qualcosa che per alcuni di loro potrà essere interessante: in caso di scioglimento delle Camere (ipotesi che a questo punto dobbiamo pur prevedere) la normativa in materia prevede che i Consiglieri regionali che intendono presentarsi candidati devono cessare le funzioni esercitate entro i sette giorni successivi alla data del decreto di scioglimento. Per cessazione delle funzioni si intende l'effettiva astensione da ogni atto inerente all'ufficio rivestito preceduto dalla formale presentazione delle dimissioni.
Si potrebbe comunque prevedere, entro il settimo giorno di cui sopra una seduta del Consiglio regionale con all'ordine del giorno l'eventuale presa d'atto delle dimissioni, cioè in tempo utile per permettere l'operazione.
Dico questo perché i Consiglieri siano avvertiti dei tempi che hanno a disposizione e che sono solo quelli, praticamente entro i primi giorni della prossima settimana, se lo scioglimento delle Camere avviene, come è prevedibile, e se la data delle elezioni è prevista per il 20 giugno.
Non vi sono richieste di parola sulle comunicazioni del Presidente? Passiamo allora all'esame del punto successivo all'o.d.g.


Argomento: Assestamento di bilancio

Esame disegno di legge n. 45 "Bilancio di previsione per l'esercizio finanziario 1976"


PRESIDENTE

Il punto quarto dell'o d.g. reca: "Bilancio di previsione per l'esercizio finanziario 1976". La parola al relatore, Consigliere Rossi.



ROSSI Luciano, relatore

Signor Presidente, signori Consiglieri, i lavori della Commissione dopo le consultazioni, sono terminati nella seduta dì giovedì e nella giornata di sabato è stato possibile consegnare alla Segreteria la relazione che adesso vi leggerò.
L'esame del bilancio di previsione per il 1976 costituisce un significativo momento di confronto e di verifica politica, per tutto il Consiglio, sulle proposte e sulle iniziative da attuare dalla nostra Regione nei prossimi mesi.
Il piano di sviluppo, che seguirà l'approvazione del bilancio, così come la Giunta ha annunciato, permetterà sicuramente di valutare quanto il documento ora all'esame trovi la sua validità: vale a dire quella che dovrà essere la strategia di riequilibrio del territorio, il modo in cui andare ad una ridistribuzione delle risorse e degli investimenti, quale orientamento e stimolo dare alle scelte produttive, quindi il modo di governare, nell'ambito delle competenze, i processi reali che avvengono nella Regione.
Il bilancio in esame - come emerge anche dalla relazione della Giunta deve essere considerato come un atto che tende a rifiutare una politica di ordinaria amministrazione, le cui scelte che vengono indicate, per alcuni aspetti sollecitano un positivo confronto con il potere centrale e vogliono essere un preciso impegno per affrontare i gravi problemi del Piemonte.
Che ciò sia indispensabile è stato più volte affermato da questa assemblea, sin dalle prime battute della seconda legislatura: quanto cioè sia grave la situazione economica e come essa possa peggiorare se non si adottano concreti provvedimenti di emergenza nel contesto di una politica programmata di riforme, e se non ci si avvia verso sbocchi democratici più avanzati, nella direzione politica del Paese.
La crisi economica, come più volte è stato documentato, ha caratteri strutturali e in Piemonte, proprio per le errate caratteristiche del suo sviluppo, propone oggi, con caratteristiche nuove rispetto alla storia economica degli ultimi vent'anni, un problema di primo piano, quello del lavoro e dell'occupazione, anche se con aspetti diversi e di minor gravità rispetto ad altre Regioni del Paese, dove la disoccupazione di massa ha una diffusione permanente.
Alcuni, caratteri specifici della crisi nella nostra Regione, in particolare, vanno ricordati, in quanto si presentano accentuati e senza soluzione di continuità negli ultimi due anni.
Il ricorso alla Cassa integrazione ha registrato nel 1975 una tale ampiezza da raggiungere 53.390.000 ore per gli interventi ordinari, alle quali vanno aggiunte 3.586.000 ore per gli interventi straordinari per la ristrutturazione aziendale. A queste ore si assommano ancora 3.922. 000 ore che riguardano la gestione edilizia. Complessivamente le ore a Cassa integrazione sono state di circa 61 milioni: immense ricchezze non prodotte, malgrado la massa di bisogni da soddisfare che ha la nostra popolazione.
Ma assieme all'ampiezza quantitativa del ricorso alla Cassa integrazione guadagni, già di per sé eloquente, va rilevato ancora che tale fenomeno si presenta in misura sempre maggiore come l'anticamera dei licenziamenti.
Infatti , l'occupazione nel Piemonte, a seguito di processi strutturali e del mancato rinnovo del turn-over, negli ultimi due anni ha registrato la perdita di 52.000 posti di lavoro.
Il fenomeno di crisi (che particolarmente è stato affrontato in Consiglio), e il calo dei livelli occupazionali coinvolge le aziende piccole, medie e grandi, mentre per alcuni complessi viene messa in forse la loro stessa esistenza, almeno come integrità organica dei complessi stessi, ricordo per tutti il caso del Cotonificio Valle di Susa.
Infine, la situazione presenta specifici aspetti di gravità per quanto concerne l'occupazione femminile e giovanile. Da due anni si è accentuato un sostanziale blocco delle assunzioni dei giovani, in modo particolare dei giovani intellettuali che, almeno in parte, potrebbero trovare uno sbocco nella necessaria riqualificazione dei servizi.
Ricorderò solo, per dare una dimensione generale del problema, che su cinque milioni e mezzo di disoccupati in Europa il 40% è costituito da giovani di età inferiore ai 25 anni.
Le iniziative già avvenute, in preparazione della Conferenza regionale sull'occupazione, hanno indicato quanto seria e preoccupante sia tale questione anche in Piemonte.
Il problema del lavoro giovanile è perciò una questione di fondo collegata profondamente allo sviluppo della vita democratica della società nazionale.
Questa situazione grave e complessa, se pur illustrata in modo sommario, è stata seguita dalla nostra assemblea che l'ha vissuta intensamente e che non si è limitata alla "fin troppo facile denuncia", ma si è impegnata in un serrato confronto con le forze politiche, economiche e sociali e con il Governo.
Un contributo perciò rilevante di proposte, di iniziative e di lotte è stato dato in tutti questi mesi al fine di andare verso quella riconversione industriale e quel nuovo modo di affrontare i problemi gravi dell'agricoltura, indispensabili per garantire nuove scelte produttive, per operare nella direzione di quel nuovo modello di sviluppo economico e sociale che affronti i problemi del Sud e del Nord del Paese in modo unitario e, nello stesso tempo, per consentire una rinnovata competitività sui mercati internazionali.
Questa è stata e deve essere la funzione della nostra Regione e non è perciò un caso l'essere stati direttamente compartecipi a tutte le lotte sociali, tese a salvaguardare l'occupazione e le aziende dei vari settori interessati.
Come istituzione siamo stati dunque protagonisti in prima persona con le forze economiche e sociali, in tutte le sedi, sino ai grandi recenti incontri con i lavoratori della FIAT.
Certo, se anche il contributo dato dalle Regioni nel loro complesso fosse stato accolto dal Governo, se ai provvedimenti anticongiunturali fosse seguito quel piano a medio termine, tanto dibattuto dalle forze politiche, economiche, sociali e sottolineato dalle istituzioni di base dello Stato, probabilmente oggi nel Paese si avrebbero prospettive anche politiche più certe per trovare la soluzione ai difficili problemi che assillano la società.
Piano e provvedimenti avrebbero non solo stimolato le forze produttive in senso generale, ma avrebbero permesso agli Enti locali di uscire dalla paralisi, dalla quasi impossibilità di operare sul piano economico e indicato una gestione diversa dei grandi servizi collettivi.
Comunque, al di là delle valutazioni e considerazioni che richiedono un approfondimento maggiore, un fatto è certo: la consultazione svolta ha permesso di rilevare che un inizio, sia pur faticoso, di ripresa economica si stava avviando, ma i provvedimenti fiscali e monetari, assunti dal Governo il 18 marzo, hanno riproposto una situazione ancora più precaria.
Le conseguenze di tali provvedimenti sono a tutti note: aumento dei prezzi, ulteriori processi inflattivi conseguenti alla svalutazione della lira e nuovi pericoli di depressione. Questi fatti e la crescente incertezza di guida politica da parte del Governo hanno determinato nuove pesanti incognite.
A sua volta la politica creditizia, se non verrà rapidamente modificata, provocherà dure ripercussioni negli investimenti, per cui anche le nostre leggi basate sul ricorso al credito potranno incepparsi.
Il Bilancio in discussione, con la sua impostazione, rappresenta quindi un atto di coraggio teso a contrapporsi alla politica del blocco degli investimenti e per una spesa pubblica qualificata e selettiva. Ecco perch anche con la lotta delle Regioni, occorre far modificare i provvedimenti governativi del 18 marzo, per garantire al Piemonte la condizione di canalizzare il credito in modo selettivo, per supplire alla domanda di capitali da parte della piccola e media impresa, delle cooperative e dei Consorzi di produttori.
Altrettanto occorre che avvenga nei confronti delle Regioni, Province e Comuni, chiamati ad una sempre più difficile opera diretta ad incentivare l'economia ed a realizzare una vasta politica di servizi sociali.
Abbiamo quindi bisogno di proporci questa strategia che permetta veramente di affrontare la crisi che colpisce il sistema produttivo ed istituzionale, strategia che non dovrà subire ulteriori ritardi qualora avvenisse lo scioglimento anticipato dei Parlamento, per motivi non determinati certamente dal grande movimento di lotta delle classi lavoratrici e delle loro istanze politiche e sociali.
Tuttavia nel momento in cui, quasi certamente, il Parlamento deciderà le sorti dell'attuale legislatura, quanto prima detto può sembrare essere fuori dalla realtà, ma ciò non toglie che rimarchiamo la nostra più viva preoccupazione che si vada alle elezioni senza cambiare nulla, senza che siano presi quei provvedimenti concreti indispensabili ad affrontare la gravita della situazione.
Ecco perciò, come in questa situazione la Regione, in quanto istituzione, mentre deve sapere operare per contribuire ad evitare ulteriori pericoli che potrebbero svilupparsi a seguito di vuoto di potere ha il compito di fare ogni sforzo a sostegno della congiuntura, rifiutando l'ordinaria amministrazione e cercando invece di qualificare le sue spese nelle direzioni suggerite dai fabbisogni sociali.
Le considerazioni sin qui svolte sulla situazione economica, unite ai provvedimenti del 18 marzo e al ritardo del Governo nel comunicare alla Regione i fondi, che, ai sensi di legge, dovranno essere trasferiti, hanno sicuramente influito sui tempi per la formulazione del Bilancio.
Tuttavia, seppure con una certa difficoltà, le consultazioni svoltesi sul Bilancio con i vari Enti ed organizzazioni sociali hanno potuto attuarsi e la discussione è stata proficua.
Per la prima volta a tutti i Comuni della Regione è stato inviato il Bilancio ed hanno partecipato alle consultazioni non solo i Presidenti dell'ANCI e dell'UPI, ma anche i loro organi direttivi.
Inoltre, il periodo in cui si è operato con l'esercizio provvisorio di Bilancio non ha creato una perdita di tempo prezioso perché significative leggi sono state approvate e potranno trovare subito la loro concreta applicazione appena il documento in discussione sarà votato.
La consultazione ha fatto inoltre emergere la convinzione che il Bilancio avrebbe potuto essere più utilmente discusso congiuntamente al Piano Regionale di Sviluppo, in modo da poter inquadrare gli interventi in una discussione complessiva che tenesse conto delle risorse disponibili nei prossimi anni.
Poiché il Piano di Sviluppo è in fase di avanzata elaborazione, il Bilancio, peraltro, ha potuto tenere già conto delle indicazioni emerse dagli studi dell'IRES e dalle Commissioni assessorili, che del resto il Consiglio già conosce, e dal confronto avuto con le forze economiche e sociali. Del resto, anche buona parte delle leggi, che prima abbiamo ricordato, approvate in questi mesi, vanno nella direzione indicata dai documenti di piano.
L'esame delle entrate del Bilancio pone in rilievo che, oltre all'aumento delle quote conseguenti ai provvedimenti anticongiunturali aumentano anche le entrate tributarie, seppure in misura insufficiente.
In particolare, il fondo comune previsto all'art. 8 della legge 281 aumenterà, anche se in misura non ancora ufficialmente nota alla Regione.
La Giunta regionale ha stanziato a Bilancio la somma di 82 miliardi e 500 milioni, che rappresenta un aumento del 29% circa rispetto allo stanziamento del 1975. E' evidente che si tratta di un'appostazione a Bilancio che non ha la sicurezza di venire confermata, ma è una scelta politica precisa cui deve seguire un'azione efficace per ottenere dal governo uno stanziamento corrispondente.
Anche nel bilancio 1976 le entrate provenienti dagli interessi attivi sui fondi di cassa ammontano a 12 miliardi.
Dalla consultazione è emersa la preoccupazione che questo significhi un ulteriore ritardo nell'erogazione tempestiva della spesa regionale e un mantenimento dei residui passivi ereditati dalle precedenti gestioni.
A questo proposito, prendendo atto della volontà più volte manifestata dalla Giunta regionale e dal Presidente di procedere alla liquidazione dei residui passivi sino all'esame del consuntivo 1974, si invita la Giunta regionale a voler procedere in questo senso.
Si manifesta perciò qualche dubbio sulla possibilità che la cifra di 12 miliardi per interessi attivi possa essere effettivamente realizzata (gli attuali tassi di interesse potranno contribuire a tenere alto il provento dei fondi giacenti, anche se questi dovessero diminuire in valore assoluto).
In base alle leggi indicate negli elenchi dei fondi globali, è prevista inoltre l'assunzione di nuovi mutui per oltre 36 miliardi.
I mutui, uniti a quelli precedentemente assunti con leggi regionali ammontano complessivamente - per l'esercizio 1976 - a oltre 175 miliardi somma che rappresenta il tetto delle disponibilità di indebitamento della Regione per questo esercizio.
Tenendo conto che, in forza di leggi regionali a validità pluriennale la capacità di indebitamento della Regione per l'esercizio 1977 risulta già impegnata per nuovi mutui, per un complesso di 26.650 milioni e che in tale esercizio graveranno interamente le annualità di ammortamento di tutti i mutui contratti ai 31 dicembre 1976, se ne deduce che (perdurando l'attuale limite massimo di indebitamento e l'attuale dinamica delle entrate tributarie regionali) la possibilità di nuove iniziative che comportino l'assunzione di nuovi mutui, si riduce, col succedersi degli esercizi finanziari, entro margini sempre più ristretti.
Negli elenchi riguardanti i fondi globali sono compresi tutti i disegni di legge di cui è prevista l'approvazione nel corso dell'anno, con l'indicazione dello stanziamento relativo. Questo avviene per la prima volta nel Bilancio regionale ed è un'innovazione opportuna per programmare in modo coerente la politica di spesa ed evitare che "leggine" di pura erosione siano anteposte a leggi prioritarie.
Questi dati fanno emergere in tutta la loro evidenza i limiti della Finanza regionale, che è ormai giunta ad una situazione di crisi: senza un adeguato incremento di entrate non è più possibile finanziare nuove leggi anzi, se le entrate aumentano meno dell'ammontare medio dei prezzi, vi è addirittura il rischio di dover ridurre la portata delle leggi già approvate.
Per questo è opportuno, sia in sede di applicazione della legge 382 (e auguriamoci che eventuali elezioni non ne ritardino il dispositivo), sia in sede di riforma della legge per la Finanza e per la contabilità regionale che vengano aumentati i fondi a disposizione delle Regioni e che sia garantita una crescita delle entrate proporzionalmente almeno alla crescita delle entrate tributarie dello Stato.
Egregi colleghi prima di passare all'analisi della spesa, è opportuno riprendere il tema di fondo che la Regione si trova ad affrontare con il Bilancio 1976.
Da un lato, entrate limitate, dall'altro grandi fabbisogni aggravati dalla crisi.
Le scelte possibili erano, in astratto, due: o un Bilancio di contenimento e di normale amministrazione, che accettasse come un dato non modificabile la situazione delle entrate e rinunciasse ad ogni nuova spesa oppure un Bilancio che coraggiosamente si assumesse l'obiettivo dell'espansione della azione regionale, con l'impegno di sollecitare i provvedimenti necessari all'adeguamento delle entrate.
La Giunta regionale ha scelto questa seconda soluzione e noi la condividiamo.
Per questo il Bilancio 1976 - impostato in modo da coprire gli interventi più urgenti - è rigido e non consente - se non in misura modesta, come vedremo - l'utilizzo di risorse per interventi aggiuntivi.
D'altra parte lo sforzo fatto nel 1976, se non cambierà la politica del Governo verso le Regioni, così come verso gli Enti locali, non potrà essere ripreso nei prossimi anni.
Sappiamo, infatti, anche in base ai documenti del Bilancio pluriennale trasmessi dalla Giunta ai componenti della Commissione - Bilancio visto sotto l'aspetto della dinamica delle entrate e quindi delle risorse disponibili - che il 1977 sarà un anno di grandi difficoltà, in cui sarà estremamente difficile non solo approvare nuove leggi di spesa, ma mantenere gli stessi impegni già assunti.
La consultazione, a nostro avviso, ha evidenziato in una certa misura questa presa di coscienza, mostrando la responsabile preoccupazione degli enti e degli organismi piemontesi, che hanno dimostrato di condividere la necessità di privilegiare scelte prioritarie.
Analizzando ora le spese, possiamo partire - come già il relatore collega Dotti fece introducendo la discussione sul bilancio 1975 - dalla spesa corrente. Questa, nel Bilancio in esame, aumenta di circa 26 miliardi, anche se in percentuale si riduce del 53,2% al 43,5% della spesa totale, al netto della spesa del fondo ospedaliero.
Questa incidenza potrebbe essere ritenuta ancora troppo alta, però è opportuno analizzare più nel dettaglio cosa rappresentano le spese correnti del bilancio.
Questo approfondimento ci pare necessario perché spesso si tende a identificare le spese correnti come spese improduttive, ritenendo comunque utile la loro riduzione. Questo, viceversa, è vero solo per le spese che riguardano il semplice funzionamento dell'amministrazione, che devono essere tenute sui livelli bassi, anche se non è possibile scendere sotto certi limiti se non a prezzo della paralisi degli uffici e dell'attività.
Vi sono, invece delle spese correnti che corrispondono ad interventi importanti di grande significato sociale (come gli interventi per l'assistenza e la formazione professionale o la redazione di piani di studi) la cui riduzione aggraverebbe i fabbisogni.
Vi sono poi altre spese correnti che derivano dalla maggiore capacità operativa della Regione: tali sono, ad esempio, gli oneri per mutui che figurano nel Bilancio come spese correnti, oneri che nel Bilancio 1976 ammontano a lire 16 miliardi e 315 milioni contro i 9 miliardi e 95 milioni dello scorso anno, ma che servono per finanziare investimenti economici e sociali (come le leggi per le aree industriali attrezzate, per le opere igienico-sanitarie, per il piano autobus, ecc.).
Entrando nel dettaglio si rileva che le spese di pura gestione sono circa 42 miliardi, pari al 11% della spesa totale e meno del 40% delle spese correnti.
Gli oneri del personale ammontano a lire 12 miliardi e 656 milioni (compresa la somma accantonata nel fondo globale per l'eventuale applicazione del contratto nazionale) e incidono sul totale del bilancio per circa il 5 Questo dato che si ricava dall'esame del Bilancio fa giustizia anche nei confronti di quelle posizioni che giudicano in modo strumentale il costo del nostro personale, specie se si tiene pure conto che ci sono ancora dipendenti che hanno stipendi che vanno dalle 155.000 alle 175.000 lire mensili, ed ancora se si tiene conto che l'impiegato segretario, per il quale è richiesto il titolo di studio superiore, percepisce, appena assunto, uno stipendio di 180.000 lire mensili.
In questa spesa sono anche compresi 210 milioni destinati al personale dei Comprensori.
Una parte almeno di questa somma non dovrebbe in realtà essere aggiuntiva, ma solo sostitutiva perché il personale destinato ai Comitati comprensoriali dovrebbe essere recepito presso altri uffici della Regione.
Aspetto, questo, che è stato rilevato all'unanimità dalla I Commissione per cui invitiamo la Giunta ad esaminare la possibilità di ridurre tale somma a favore di altri interventi Tuttavia, tale questione, e la Commissione lo ha discusso ampiamente ai Comprensori dovrebbe essere distaccato soprattutto personale delle Province e dei Comuni, proprio perché i medesimi siano espressione di unità per un migliore funzionamento degli strumenti della pianificazione comprensoriale.
A proposito ancora del personale ci pare necessario fare ancora alcune considerazioni.
La legge n. 22 del 12.8.1974 ha risolto l'annosa questione dell'inquadramento di tutto il personale, tuttavia alcuni aspetti del problema sono ancora aperti e debbono comunque trovare una risposta.
Una soluzione va trovata anche per quel personale, assunto temporaneamente dalla Regione in numero limitato, successivamente alla deliberazione di inquadramento.
Questa è una raccomandazione che abbiamo voluto fare, seppure siamo certi che la Giunta in proposito sta operando.
In merito ai problemi dell'organizzazione del lavoro sono stati fatti sicuramente passi avanti, basti pensare ai gruppi di lavoro costituiti presso i vari Assessorati e come aspetti specifici vengano già impostati a livello di tipo comprensoriale.
Comunque ci pare giusto sottolineare la necessità di andare in modo sollecito alla legge sulle strutture, per un'organizzazione degli uffici dove coordinamento ed efficienza stiano alla base dell'attività della Regione.
A questo riguardo occorre però avere attenzione alle nuove esigenze, ai nuovi problemi che potrebbe creare l'applicazione della legge n. 382.
Ci auguriamo infine che la questione del contratto nazionale, in fase di elaborazione, trovi dalle parti interessate quell'impostazione circa l'organizzazione del lavoro prima ricordata.
A conclusione di queste brevi considerazioni sulla spesa e sulle funzioni del personale, esprimiamo ai dipendenti il nostro apprezzamento per l'opera che svolgono, con la convinzione che ad un lavoro sempre più intenso e qualificato degli organi della Regione, corrisponda altrettanta passione ed intelligenza da parte di tutti.
In merito alle scelte più specifiche di investimento del Bilancio, esse sono condivisibili perché indirizzano la spesa secondo alcune priorità quali: i trasporti pubblici, l'agricoltura, le opere igienico-sanitarie e la tutela dell'ambiente, la pianificazione territoriale, l'assistenza scolastica e sociale, oltre al rafforzamento della politica di sostegno dello sviluppo produttivo in direzione dell'artigianato, dell'industria del settore distributivo e del turismo Queste priorità vengono perseguite non solo attraverso gli stanziamenti di Bilancio (che registrano un aumento di spesa attraverso le somme a disposizione dei relativi Assessorati, così come indica la tabella allegata alla relazione) ma anche attraverso la previsione di nuove leggi relative ai settori in esame e l'attivazione di strumenti di intervento come la Finanziaria, le aree industriali attrezzate, il SAMIA, gli organi di comprensorio.
A questo sforzo di qualificazione e di espansione della spesa regionale, che passa dai 347 miliardi e 640 milioni ai 449 miliardi e 516 milioni, contribuisce anche l'utilizzo di una parte dei fondi stanziati dai provvedimenti anticongiunturali, che ammontano ad oltre 53 miliardi, di cui però la relazione della Giunta regionale ci informa che non è ancora stata effettuata l'erogazione alla Regione.
A questo proposito, mentre riteniamo non giustificabile da parte del Governo, dei Ministri competenti, il ritardo nell'erogazione di dette somme, la cui destinazione risale ai luglio 1975, occorre altresì rilevare che non è ancora avvenuto il riparto fra le Regioni di tutti gli stanziamenti (ad esempio, per l'edilizia ospedaliera, che rappresenta la quota più consistente, 35 miliardi su 53, tale riparto è stato fatto dal CIPE il 30 marzo scorso); si invita comunque la Giunta a voler predispone con la massima urgenza i provvedimenti per consentire l'utilizzo tempestivo dei fondi stessi, non appena ricevuti.
I fondi stanziati dai provvedimenti anticongiunturali rappresentano la parte più consistente dell'ammontare delle entrate con destinazione vincolata.
Il vincolo nasce peraltro - e ciò va rilevato non solo per obiettività ma per l'importanza che assume - da scelte compiute dal Parlamento alle quali anche le Regioni hanno concorso, perciò la spesa si muove secondo indirizzi di priorità condivisibile dalla programmazione regionale.
La Regione tuttavia non si è limitata a ritrasferire le somme derivanti dagli stanziamenti statali, così come risulta dal bilancio, ma ne ha fatto oggetto di una complessiva manovra della spesa per rafforzare gli interventi stessi.
Così ad esempio, l'assegnazione di quattro miliardi e 480 milioni per il piano autobus, sarà aggiuntivo e non sostitutivo dell'intervento regionale nel settore dei trasporti pubblici che è di 10 miliardi, in base alle leggi votate recentemente dal Consiglio.
Rispetto agli otto miliardi previsti dal bilancio 1975, la spesa in questo importante settore sale ad oltre 14 miliardi ed una parte di essa è destinata agli interventi di pubblicizzazione dei servizi.
Ci pare giusto evidenziare che si risponde positivamente a quelle precise richieste che Organizzazioni sindacali economiche ed Enti locali hanno voluto rimarcare nella consultazione.
In merito al settore dell'agricoltura, si è molto discusso, nella consultazione, con le Associazioni di categoria, ed altrettanto è avvenuto nella Commissione.
Si fa rilevare pertanto alla Giunta ed ai Colleghi del Consiglio di prendere in considerazione l'opportunità, attraverso lo spostamento di spesa da alcuni capitoli del Bilancio, di aumentare gli interventi a favore dell'agricoltura di circa un miliardo, che potrebbe aggiungersi a quanto già previsto nella rubrica n. 11 dell'elenco n. 4 del Bilancio in esame.
Tuttavia, occorre che questa proposta evidenzi il quadro complessivo degli interventi in agricoltura. Ai dieci miliardi assegnati dai provvedimenti anticongiunturali sono da aggiungere dieci miliardi di mutui che il Bilancio prevede di contrarre per erogarsi sotto forma di contributi in conto capitale, i cui oneri sono già indicati nei riparti dei fondi globali e che assieme ad altri fondi indicati permettono di destinare complessivamente risorse nuove per circa 41 miliardi.
A questi dovranno aggiungersi quei fondi che si potranno ricavare da una concreta revisione delle leggi regionali, che consenta di recuperare le somme non spese negli esercizi precedenti, ed infine occorre aggiungere le risorse derivanti dalle applicazioni delle direttive C.E.E. per le quali è già iniziata la consultazione.
Tali risorse, per il 1976, comprendono anche le quote arretrate, che dovrebbero ammontare a circa 10 miliardi.
Occorre altresì considerare che il Bilancio prevede interventi, seppure non sotto la voce specifica, in certo modo collegate al settore dell'agricoltura: risorse per 5 miliardi, attraverso mutui, in interventi per la sistemazione idraulico-forestale del territorio; per 140 milioni per la bonifica del patrimonio zootecnico; per 2600 milioni per l'assistenza sociale, sotto varie forme, ai coltivatori diretti. Sono spese, queste, non indifferenti, anche se l'agricoltura ha necessità certamente superiori.
Si impone tuttavia, una sempre maggiore qualificazione e selettività della spesa, onde avere un risultato possibilmente migliore, avendo presente la rigidità del Bilancio.
La consultazione, tra l'altro, ci ha indicato che in tal senso occorrerà operare. Citiamo due esempi: nell'Albese si prospetta l'opportunità di coordinare certi interventi a favore del Consorzio dell'acquedotto delle Langhe, dove lo sviluppo agricolo dipende anche da una utilizzazione diversa delle acque; così dicasi per il Casalese, dove la consultazione ci ha permesso di rilevare che il costo dell'acqua ai contadini è di oltre 300 lire al metro cubo, perché manca un adeguato piano per lo sfruttamento della rete idrica.
Certo, questo non è un compito della sola Regione, ma nell'economia delle nostre spese ed attraverso un sempre più concreto rapporto di utilizzo delle poche risorse, di cui possono disporre ancora i Comuni interessati, è possibile anche in questo modo dare un contributo significativo allo sviluppo della produttività agricola.
A proposito delle Comunità montane, la consultazione ha riproposto che la legge regionale, la quale prevede un incremento dei fondi per il funzionamento di questi organismi per 280 milioni l'anno, sia approvata al più presto. Così pure ha proposto che venga esaminata la possibilità di trasferimento di personale tecnico, anche in previsione dell'entrata in funzione dei Comprensori.
Nel Bilancio risultano ridotti alcuni stanziamenti che riguardano opere di bonifica montana, perché una parte dei relativi interventi sono ricompresi nel piano di sistemazione idrogeologica e forestale che opera per la prima volta nel 1976 con uno stanziamento di 5 miliardi.
D'altra parte nel Bilancio operano anche gli stanziamenti statali per il finanziamento dei piani di sviluppo delle Comunità che ammontano a 4 miliardi e 678 milioni.
Saranno appunto i piani di sviluppo a costituire la traccia per indirizzare la spesa regionale a favore dei territori montani, superando tradizionali interventi spesso incongruenti che non sono in grado di decidere sulle strutture avviando invece un reale processo di sviluppo. Ad esempio, una legge come quella sulle aree industriali attrezzate opera anche all'interno dei territori montani (anzi, nell'area di Borgosesia l'organismo che dovrebbe gestire le aree attrezzate dovrebbe essere proprio un consorzio fra due Comunità montane).
Tutte le leggi regionali possono quindi operare nei territori montani e la via per rendere concreto questo intervento è appunto rappresentata dai Piani di sviluppo.
L'assegnazione da parte dello Stato del fondo di 4 miliardi e 269 milioni per il completamento di opere di competenza regionale viene destinata a favore del collettore e degli impianti di depurazione dell'area torinese, anche qui non in sostituzione, ma in aggiunta ai fondi stanziati con la legge regionale per il risanamento delle acque.
Il fondo ancora di 4 miliardi e 269 milioni, per i progetti speciali di cui all'art. 12 della legge n. 281 è stato utilizzato per 3 miliardi per gli asili nido.
La consultazione ha suggerito che venga utilizzata la parte residua di tale fondo a favore dell'edilizia residenziale. A questo riguardo la I Commissione propone di prendere in considerazione questa richiesta che tende a sottolineare l'importanza di scelte prioritarie.
Pertanto si invita la Giunta a trasferire la somma di 1 miliardo e 200 milioni stanziati nel capitolo 1398, e così pure ad impegnare gli 800 milioni ancora disponibili nel fondo del capitale 1018, per destinarli al settore della casa, in modo specifico per incrementare la legge sul recupero delle abitazioni dei centri storici recentemente approvata dal Consiglio regionale.
E' questa una scelta prioritaria che qualifica la nostra Regione, ma al tempo stesso vuol essere un preciso richiamo al potere centrale a dedicare maggiori risorse al settore della casa.
Ulteriori commenti su tale necessità sarebbe fare della retorica, ma non possiamo non ricordare che il 30 giugno prossimo scade la legge sul blocco dei fitti, perciò si invita questa assemblea, con l'autorità che le è propria, a sollecitare dal Governo un preciso impegno perché sia attuata una nuova regolamentazione della materia in senso equo e democratico.
Per il settore dell'edilizia ospedaliera, mentre si invita la Giunta a predisporre urgentemente il piano di utilizzo complessivo dei 35 miliardi stanziati nei provvedimenti anticongiunturali, la si sollecita anche ad impiegare i residui accantonati nei Bilanci degli scorsi esercizi per un razionale intervento, da definirsi attraverso l'esame dell'apposita Commissione consiliare.
A proposito del settore della Sanità, nel capitolo 452 del Bilancio è prevista una maggior spesa di 550 milioni a favore della medicina scolastica. La Commissione, pur riconoscendo l'importanza di recepire almeno in parte le richieste dei Comuni, al fine di estendere questo importante servizio, invita la Giunta a trasferire lo stanziamento del capitolo citato, data la sua rilevanza, nei fondi globali, e predisporre un'apposita legge in cui vengano definiti i criteri di intervento della Regione.
La consultazione ha pure messo in evidenza l'opportunità che la Giunta utilizzi con sollecitudine il fondo già previsto negli scorsi esercizi per far entrare in funzione le "Unità di base" nell'attività di prevenzione della salute nei luoghi di lavoro.
Al riguardo, già 50 Comuni hanno deliberato in merito alle proposte della Regione: occorre ora sperimentare quanto deciso.
Per questo motivo, sembra importante sottolineare ciò che è emerso dalla consultazione.
Per quanto concerne l'assistenza, gli stanziamenti previsti in Bilancio indicano quale salto di qualità oltre che di quantità, sia avvenuto in questo importante settore.
La consultazione ha però messo in discussione due aspetti: in primo luogo, la necessità di approfondire con i Comuni e le Organizzazioni sindacali i costi di gestione degli Asili nido, al fine di far modificare dal Parlamento la legge istitutiva dei medesimi onde vengano stanziati fondi adeguati, anche se la Regione già interviene con maggiori contributi.
In secondo luogo, l'opportunità di indire un Convegno di studio per esaminare le esperienze acquisite con la costruzione degli Asili nido, in quanto, dove esistono, l'utilizzazione presenta aspetti preoccupanti: è stato segnalato, infatti che i frequentanti permettono di utilizzare solo il 50 per cento degli impianti. Sono problemi, questi, che vanno comunque esaminati, onde rendere più produttiva la scelta degli investimenti che la Regione ha fatto.
La commissione segnala inoltre all'Assessore competente, relativamente allo stanziamento previsto al capitolo 538, dell'ammontare di 1 miliardo per concorso nelle spese delle varie attività estive ed invernali a favore dei minori bisognosi, di emanare, appena fatte le opportune esperienze un'apposita legge onde regolamentare questa materia.
Colleghi del Consiglio, la spesa che il Bilancio indica nel campo dell'istruzione ammonta a circa 25 miliardi.
Questo intervento è stato per molto tempo tradizionalmente considerato come una spesa di consumo: la consultazione ha invece indicato come essa produca in larga misura effetti che possono essere concettualmente assimilati agli investimenti.
Da tutti è stato sottolineato che gli 11 miliardi destinati alla formazione professionale vanno considerati come un valido contributo alla crescita delle capacità produttive dei sistema economico regionale.
Occorre, però, che venga fatta una legge regionale per questo specifico settore, così come, d'altra parte, aveva già sottolineato il documento elaborato dalla III Commissione. Occorre altresì che si intervenga con una politica tesa a facilitare una formazione professionale sempre più qualificata negli stessi settori in cui la Regione interviene: nell'agricoltura, nei servizi sociali, nel settore del commercio, oltre che in quello industriale.
Nel Bilancio ci sono al riguardo anche stanziamenti settoriali specifici; occorre probabilmente un coordinamento maggiore nei vari interventi: ecco perché si sollecita la Giunta a predisporre una legge organica che cerchi di superare certi limiti imposti dalla legislazione vigente.
Anche in merito al miliardo di spesa previsto per l'incremento delle attività culturali, biblioteche ed iniziative collegate, la Commissione richiama l'opportunità che venga fatta una legge specifica per garantire una politica più coordinata e produttiva.
Ben 12 miliardi, oltre alle spese per beni e servizi e personale, sono inoltre stanziati per l'assistenza scolastica.
E' in corso il dibattito sulla nuova proposta per la legge che regolerà l'intera materia.
In ogni caso, Colleghi del Consiglio, si deve considerare lo sforzo non indifferente che la Regione realizza per avviare un'attività che nel suo complesso può assumere, assieme ai Comuni, che possono esserne i principali protagonisti, un altro significato sociale, poiché può contribuire a riformare dalla base il nostro sistema scolastico, sia creando nuove condizioni ambientali, sia favorendo la creazione di nuove strutture, nuovi servizi e nuove tradizioni.
Si impone però, e la consultazione l'ha richiesto, di realizzare urgentemente con i Comuni, a livello di Comprensorio, un coordinamento di tutti gli interventi di carattere sociale (sanità, assistenza, eccetera) sotto i vari aspetti.
Tale coordinamento deve avere un duplice aspetto: garantire che le risorse messe a disposizione della Regione e dei Comuni, seppure non sufficienti rispetto ai fabbisogni, siano comunque utilizzate nel modo migliore; inoltre, tenendo conto che molte di tali attività sono di carattere promozionale, occorre ribadire che è necessaria una nuova politica generale nei confronti della Finanza locale, per evitare che la grave situazione di crisi degli Enti si traduca nel blocco delle spese sociali stesse e nell'impossibilità di gestire anche le iniziative già avviate.
In merito ad altri aspetti settoriali del Bilancio, ci pare interessante fare alcune considerazioni.
La situazione economica dell'artigianato e in particolare dell'industria è stata affrontata dalla nostra Assemblea quasi in modo permanente. Pensiamo non sia il caso di riprendere ora il discorso, anche tenendo conto del fatto che nelle prossime settimane il Consiglio discuterà il Piano di sviluppo.
Limitandoci perciò alle previsioni del Bilancio, possiamo rilevare che per l'Artigianato gli interventi indicati corrispondono agli impegni presi che si sono concretizzati nella approvazione della nuova legge che modifica ed integra i provvedimenti per l'ammodernamento tecnologico e l'incremento della produttività.
Gli stanziamenti contenuti nel Bilancio corrispondono quindi alle maggiori somme previste dalla legge per interventi che consentono di attivare crediti agevolati per 15 miliardi all'anno.
Per le cooperative artigiane la legge agevola tanto le spese di impianto quanto il costituirsi di cooperative di garanzia ed infine l'esplicarsi di più efficienti gestioni aziendali.
In tema di Cooperazione, la consultazione ha messo in rilievo come la spesa regionale sia utilizzata a favore dell'associazionismo con stanziamenti in diversi settori. Questi interventi, per la loro importanza potrebbero essere coordinati attraverso una legge generale sulla cooperazione. Si invita la Giunta a voler prendere in esame questa proposta.
Nel settore dell'industria ricordiamo ancora, richiamandoci a quanto già rilevato, gli stanziamenti per le aree attrezzate, gli oneri per la costituzione del capitale sociale della Finanziaria, la partecipazione al SAMIA (per il quale il Bilancio contiene un secondo stanziamento di 450 milioni).
Per il settore del commercio, gli stanziamenti previsti nei vari capitoli superano i 2 miliardi, così che la spesa è più che raddoppiata rispetto a quella del Bilancio 1975.
Gli interventi sviluppano gli obiettivi che vengono proposti col credito agevolato a favore dei vari aspetti del settore e permettono di facilitare la ristrutturazione della rete distributiva e di agevolare i Comuni nella dotazione dei piani urbanistici commerciali.
Gli incrementi, inoltre, degli interventi volti alla realizzazione delle manifestazioni fieristiche sono una importante scelta per la promozione della produzione nei vari campi di attività.
Anche per il settore del turismo e dell'industria alberghiera si registra un incremento di spesa, tendente a potenziare i contributi previsti da leggi statali. La Commissione propone che queste spese vengano riesaminate e che l'incremento previsto sia portato nel fondo comune, per utilizzarlo mediante apposite leggi regionali in materia.
In previsione dell'entrata in funzione dei Comprensori, con la elezione degli organi direttivi, crediamo assumano particolare importanza gli interventi previsti dal Bilancio per l'assetto del territorio, e questo sia in relazione alla elaborazione di dati ed elementi conoscitivi, sia in aiuto a quei Comuni che trovano difficoltà ad adottare i piani urbanistici.
L'analisi del territorio regionale sotto i più diversi aspetti e la conoscenza delle strutture esistenti sono indispensabili per indirizzare gli investimenti che siano coerenti con una politica di piano.
Tali indagini sono infine necessarie per dare ai Comitati comprensoriali più elementi possibili di conoscenza, ai fini della stessa gestione della politica territoriale.
Tuttavia, la Commissione ha rilevato che taluni stanziamenti, per la loro dimensione, possono non risultare interamente spendibili nel corso del 1976. Si invita la Giunta a recuperare nei relativi capitoli, così come abbiamo suggerito anche per altri, somme da destinare ad interventi prioritari già indicati precedentemente.
Le considerazioni svolte sulle caratteristiche del Bilancio 1976 confermano che la spesa, soprattutto per le opere pubbliche, è collegata in larga misura all'attività propria degli Enti locali.
Nel Titolo II del Bilancio - "Spesa d'investimento" -, ben 6.073 milioni, stanziati nella categoria trasferimenti, sono destinati a contributi per gli interessi sui mutui che gli Enti locali devono contrarre per l'attuazione di opere e di servizi, e corrispondono ad una massa di credito, al tasso e con la durata prevista per i mutui regionali ammontante a oltre 40 miliardi.
Se a questi si aggiungono i contributi in conto capitale, sempre previsti a favore degli Enti locali per opere pubbliche, sono possibili altri stanziamenti per circa 17 miliardi.
Questi stanziamenti impegnano somme notevoli e dimostrano che la Regione con la propria incentivazione finanziaria intende contribuire in modo sostanziale alla soluzione dei problemi che assillano le comunità.
Tuttavia, occorre responsabilmente rendersi conto che la realizzazione degli obiettivi da attuare attraverso il canale degli Enti locali presenta serie difficoltà.
Ciò lo abbiamo già evidenziato in altre parti dell'esame sinora condotto sul Bilancio; ad esempio, dall'esame del Bilancio consuntivo del 1974 risulta che soltanto il 6,7% delle somme impegnate per spese d'investimento nella categoria trasferimenti sono state pagate.
Negli ultimi mesi, nonostante difficoltà di vario ordine, risulta che seri sforzi sono stati compiuti dalla Giunta per superare questa situazione, accelerando l'esame delle pratiche, modificando le stesse attribuzioni in modo da attivare più rapidamente le spese, avviando infine un'azione di cancellazione e di recupero di residui passivi.
Nonostante questa azione, le difficoltà degli Enti locali si sono ancora aggravate per la stretta creditizia, per il taglio dei bilanci e per il grave costo che comportano le anticipazioni di cassa.
Da una prima indagine - già a voi trasmessa - che l'ufficio della I Commissione ha svolto sullo stato dei bilanci 1976 dei Comuni del Piemonte con popolazione superiore ai 10.000 abitanti compresi i capoluoghi di provincia, risulta che soltanto otto Comuni non hanno Bilancio in disavanzo.
Complessivamente, il disavanzo di questi Comuni, per il solo esercizio '76 ammonta a 220 miliardi circa, così suddivisi: 118 miliardi per le spese di gestione amministrativa dei servizi e per la manutenzione degli impianti, 63 miliardi e 270 milioni destinati a pagare le quote di ammortamento dei mutui per gli investimenti fatti, 39 miliardi per pagare gli interessi sulle anticipazioni di cassa.
E' vero che un terzo circa del disavanzo complessivo riguarda solo il Comune di Torino; tuttavia per la dimensione e le risorse degli altri Comuni, la situazione è ormai quasi insostenibile.
Per le sei Province del Piemonte il disavanzo dei Bilanci, sempre per il solo esercizio 1976, ammonta a circa 111 miliardi e 500 milioni, ed oltre un terzo di esso è dovuto all'ammortamento dei mutui per investimenti e per il pagamento degli interessi sulle anticipazioni di cassa.
I piani di spesa previsti in questi Comuni e nelle Province del Piemonte, nel Bilancio del 1976 è destinato in parte a vanificarsi, in quanto le spese per le anticipazioni di cassa stanno divorando rapidamente le delegazioni necessarie per accedere ai mutui destinati ai nuovi investimenti pubblici e per i servizi.
Il perdurare di questa situazione, egregi Colleghi, costringerà la Regione ad intervenire sempre più direttamente, sostituendosi agli Enti locali. Ma una tale strada obbligata avvierebbe alla stessa sorte l'ente regionale, cioè porterebbe alla progressiva riduzione della propria autonoma capacità di spesa.
Questa sarebbe la fine del sistema delle autonomie, perché le Regioni senza un valido collegamento con la realtà degli Enti locali, rischiano di essere presto soffocate dal centralismo.
Anche interventi coordinati tra Regione ed Enti locali (ad esempio attraverso la Tesoreria regionale e mediante accordi con le banche) non sarebbero sufficienti per fronteggiare la situazione.
Da qui la necessità che le richieste fatte al Governo nel Convegno di Viareggio dalle Regioni, Province e Comuni vengano rapidamente accolte: consolidamento della situazione debitoria degli Enti locali al 1975 ampliamento dei limiti di delegabilità sui mutui; applicazione della legge che prevede nel Bilancio dello Stato il fondo annuale per il risanamento dei Bilanci deficitari; aumento delle entrate in misura del 20% annuo rispetto a quelle attuali.
L'accoglimento di tutte queste richieste è ormai indilazionabile se si vuol far assolvere alle istituzioni elettive di base dello Stato le funzioni loro spettanti. L'attuazione di questi obiettivi è la condizione per giungere a conquistare la stessa riforma della Finanza regionale.
Le forze politiche democratiche del Consiglio regionale sono consapevoli del legame stretto che unisce questi problemi e del fatto che senza una soluzione ampia dell'intera questione della Finanza locale, non vi è possibilità di vero respiro democratico per le istituzioni. Anche i programmi di emergenza che vengono indicati per il Paese resteranno sulla carta se per la loro realizzazione non sarà possibile mobilitare le energie delle Regioni, delle Province e dei Comuni.
La Commissione ha certamente potuto prendere atto, al di là delle diverse valutazioni politiche, che questo è un Bilancio difficile e che la Regione deve lottare per avere e per mantenere uno spazio di operatività.
E' perciò necessario che questo sforzo sia comune a tutte le forze democratiche, e venga fatto in modo continuativo, nel momento in cui in Consiglio si dovranno approvare nuove leggi e sarà necessario modificare quelle vecchie per renderle migliori.
Tale sforzo unitario ritengo abbia maggior valore in questo momento difficile non solo sul piano economico ma anche su quello politico.
Come relatore di maggioranza mi sento di dover portare la testimonianza di un lavoro unitariamente compiuto dalla Commissione.
Per questi motivi esprimo la speranza e formulo l'augurio che l'attività del Consiglio possa aspirare senza pause e arresti proprio in una situazione così grave, ad una sempre maggiore unità di intenti, per contribuire all'avanzamento sociale e democratico del Piemonte.
Sulla base di questa considerazione, a nome della maggioranza della Commissione, invito il Consiglio regionale a dare il proprio voto favorevole a questo Bilancio.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare l'Assessore al Bilancio ed alla programmazione Simonelli.
Ne ha facoltà.



SIMONELLI Claudio, Assessore al bilancio e programmazione

Signor Presidente, Colleghi, vi verranno ora distribuite delle cartelle che contengono i dati relativi al Bilancio pluriennale, cioè uno stralcio del documento più complessivo rappresentato dal Piano regionale di sviluppo Vengono forniti al Consiglio in quanto queste tabelle sono la proiezione delle possibilità del bilancio, quindi della entrata, della spesa vincolata e delle risorse ancora disponibili, per tutti i piani dal '76 all'80, e danno così il quadro di riferimento nel quale collocare anche la discussione del Bilancio per il 1976.
Desideriamo innanzitutto ringraziare il relatore, Presidente della I Commissione, per la sua ampia esposizione, che mi pare abbia esaurientemente colto non solo le linee generali del Bilancio ma anche le caratteristiche più specifiche di dettaglio tanto dell'entrata quanto della spesa. Ciò mi esime anche dal fornire una serie di altre particolareggiate considerazioni, salvo che non si voglia poi, nel corso del dibattito chiedere una serie di chiarimenti specifici, a fronte dei quali verranno date altrettante specifiche risposte.
Desidero anche, introducendo questo dibattito, scusarmi con il Consiglio per essersi la relazione al Bilancio trascinata per tempi lunghi.
E' tradizionale tallone d'Achille degli Assessori al Bilancio di tutto il mondo, ma nondimeno responsabilità in questo caso anche mia. Abbiamo predisposto una relazione ponderosa, e, ci sembra, abbastanza esauriente il cui approntamento ha però richiesto un certo tempo per cui è stata consegnata tardi ai Consiglieri, costringendoli ad un lavoro di esame concentrato negli ultimi giorni, quindi ad una fatica supplementare.
Il Bilancio per il 1976 della Regione Piemonte si inquadra in una situazione certamente assai grave, come tutti sappiamo, che non credo sia errato definire a fosche tinte. Basti considerare i dati della relazione sulla situazione economica del Paese recentemente pubblicati, i quali ci evidenziano la situazione del '75, una situazione che è certamente meno grave di quella che si sta registrando nei primi mesi del '76.
I dati contenuti nella relazione sulla situazione generale del Paese nel '75 ci mostrano l'andamento di alcune fondamentali grandezze in termini che sono assolutamente preoccupanti. Mi limiterò a citare i dati fondamentali. Abbiamo, intanto, una contrazione del valore aggiunto dell'industria in senso stretto del 9,2%. Quella del valore aggiunto che deriva dalla trasformazione industriale, cioè al netto dei prodotti energetici, è ancora superiore, del 9,7%. Le costruzioni di opere pubbliche diminuiscono dell'8,2%. Il prodotto interno lordo, segna, nel suo complesso, una diminuzione del 3,7%. Abbiamo, dunque non solo attinto il livello programmato dagli adepti del terrorismo ecologico, di arrivare al prodotto 0, ma siamo arrivati al prodotto sotto 0.
Per la prima volta dal dopoguerra, cioè da quando si compiono queste valutazioni annue, si può registrare una diminuzione dei consumi finali interni, che è stata nella misura dell' 1,4%; vale a dire che nel corso del '75, per la prima volta dalla fine della guerra, è diminuito l'insieme dei consumi delle famiglie. Gli investimenti fissi netti sono diminuiti del 20,2%, quelli lordi del 12,7%. L'occupazione è andata ancora perdendo di consistenza. Le forze di lavoro in cerca di primo impiego sono aumentate nel corso del '75, del 16,8%; quelle femminili, che rappresentano, come sappiamo, una punta particolarmente dolente sul mercato del lavoro, sono aumentate del 23,1%. I disoccupati sono aumentati del 26,8%; la disoccupazione femminile è cresciuta del 41,8%. Le forze di lavoro non occupate - cioè disoccupati e non occupati in cerca di prima occupazione sono state, nel '75, rappresentate per oltre il 63% dalla forza di lavoro giovanile, cioè dalla forza di lavoro sotto i venticinque anni, che rappresenta il 63% dei non occupati, tanto disoccupati quanto occupati in cerca di prima occupazione. Per le donne questa percentuale è ancora più alta e raggiunge quasi il 70%.
In variazioni assolute abbiamo non solo un calo di occupazione nell'agricoltura pari al 4,7%, nell'anno, ma anche un calo nell'industria anche questo un dato abbastanza inedito abbiamo una diminuzione dello 0,1 dell'occupazione industriale e addirittura dello 0,3% per quanto riguarda i lavoratori dipendenti; abbiamo invece un aumento dell'1,4% nei servizi destinati alla vendita e altrettanto nei servizi non destinati alla vendita, vale a dire che cresce la terziarizzazione della nostra economia e quindi crescono le componenti del sistema meno dinamiche e meno legate ad uno sviluppo industriale di tipo moderno (senza con questo voler dire che il terziario sia un fattore di scarsa produttività).
Le entrate sono diminuite del 4,8%. Le imposte indirette nette, in particolare, mostrano una diminuzione del 13,7% contro un aumento, che c'era stato nel '74, del 26,8%. Queste cifre evidenziano il crollo verticale del gettito dell'IVA, che, accompagnato alla inefficienza della macchina dell'imposizione diretta, testimonia della gravità sul fronte delle entrate tributarie dello Stato.
Le importazioni sono diminuite del 10%, effetto della stretta durissima, che si è ripercossa sui livelli di occupazione e sui livelli di produzione del Paese. Le esportazioni sono aumentate del 3,1%, una cifra abbastanza modesta, certamente irrisoria, se teniamo conto che questo modestissimo aumento delle esportazioni e stata l'unica componente positiva della domanda finale nel corso del '75.
Questa situazione, che ho tratteggiato a linee grandissime del quadro del 1975 evidenzia una condizione disastrosa della nostra economia. Questa peraltro, nella relazione generale sull'andamento economico del Paese viene accompagnata da alcune valutazioni non dico ottimistiche ma certo meno pessimistiche in ordine ad un aspetto particolare del problema, e cioè al problema del controllo dell'inflazione, che si dà, nella relazione generale del Paese, quanto meno avviato. In effetti si citano alcuni primi modesti risultati parziali ottenuti sul tema del controllo dell'inflazione: il tasso di aumento dei prezzi degli impieghi interni sale nel '75 solo del 15,4%, contro un aumento del 21,7% nel '74; la componente dei prezzi dei consumi finali aumenta solo del 16,1 mentre nel '74 era aumentata del 19,5.
Ma se mai valessero queste annotazioni, ripeto, parzialmente positive (a mio giudizio non valgono), a comunque far ritenere fondata o a far assolvere la politica seguita nel corso del '75, che ha a nostro giudizio aggravato la situazione, aggiungendo ad una inflazione non controllata i rischi di una depressione che certamente sta rappresentando un momento di maggior gravità per le strutture produttive e per i livelli occupazionali i primi mesi del '76 si sono incaricati di annullare anche i parziali effetti benefici che potevano essere registrati nel corso del '75. Proprio mentre la relazione generale viene pubblicata, i dati degli indicatori economici mostrano che l'inflazione ha ripreso a galoppare ed i prezzi stanno nuovamente salendo in misura che suscita viva preoccupazione. In febbraio, i prezzi al consumo aumentano del 2,2% rispetto a gennaio raddoppiando il ritmo di incremento medio mensile rispetto a tutto il periodo precedente. E questo aumento del 2,2% mensile è assai elevato: prova ne sia che nell'anno caratterizzato dalla più forte inflazione, cioè il '74, soltanto due volte si è registrato un rincaro dei prezzi di queste proporzioni. Il costo della vita è stato dell'1,7% superiore in febbraio a quello del gennaio (mi riferisco sempre ai dati di febbraio, che sono gli ultimi di cui si disponga): il più alto aumento dall'ottobre del '74. I prezzi all'ingrosso sono addirittura aumentati, nel mese di febbraio rispetto a gennaio, del 3,1%, il balzo più elevato registrato negli ultimi due anni. Ciò sta a dimostrare come questa spinta dei prezzi, e quindi dell'inflazione, sia destinata ad aggravarsi nei prossimi mesi, quando gli aumenti dei prezzi all'ingrosso produrranno tutti i loro effetti ricadendo a cascata sui prezzi al minuto. Cioè, la capacità inflazionistica innescata dall'aumento dei prezzi nei primi due mesi dell'anno è destinata ad essere assai superiore nel corso dell'anno. "Mondo economico" calcola che il saggio medio di incremento dei prezzi nel corso del '76 possa essere superiore al 25% .
L'indice dei prezzi all'ingrosso, del resto, è più che raddoppiato rispetto al 1970. La lira segnerà nel corso del 1976 il dimezzamento del suo potere d'acquisto rispetto al '70: noi registreremo, nel corso di quest'anno, la perdita della metà del valore d'acquisto della lira rispetto al 1970. Gli occupati continuano a diminuire: i dati del gennaio '76 confrontati con quelli del gennaio '75, mostrano -2% di occupati nelle industrie manifatturiere sopra i 500 addetti. Cresce il disavanzo della bilancia commerciale, perché la svalutazione della lira ha come un impatto immediato sulle importazioni, che rincarano all'istante, mentre i maggiori ricavi delle esportazioni sono rinviati di alcuni mesi, per cui la bilancia commerciale patisce nell'immediato gli effetti della svalutazione. A febbraio il deficit della bilancia commerciale è stato di 464 miliardi in un mese, mentre nel febbraio '75 doveva essere di 44 miliardi, cioè inferiore al 10% della cifra attuale.
Peraltro, si aveva a febbraio qualche sintomo di timida ripresa della produzione industriale, come ha ricordato anche il relatore: cioè, la produzione industriale complessiva del '76 segnava un incremento del 2,9 rispetto al febbraio '75, sia pure con notevoli differenze nell'andamento dei vari settori.
Accanto a questi dati emergono altri dati, altrettanto e più preoccupanti, che riguardano la gestione del Tesoro e che mettono in discussione la linea di politica economica e finanziaria seguita dal Governo nel corso del '75.
Il fabbisogno del Tesoro, nel 1975, ha raggiunto il 12,6% del prodotto interno lordo: è il massimo dalla fine della guerra. La media degli anni scorsi, cioè gli anni di crisi, non quelli che furono chiamati - quanto impropriamente ce ne accorgiamo oggi - del miracolo, tra il '70 e il '74 il fabbisogno del Tesoro era in media del 7-8% sul prodotto interno lordo.
L'indebitamento netto della pubblica Amministrazione si è raddoppiato tra il '74 e il '75.
Questi dati fanno emergere quello che già sappiamo, ma che qui viene confermato in modo plasticamente palpabile: che la spesa dello Stato è in continua espansione, ma è una spesa rigida, incontrollabile, non utilizzabile né ai fini di una politica di sviluppo e neppure più ai fini di una politica anticongiunturale. La spesa pubblica, cioè, contrariamente a quello che pur si dice, non è neppure usata come variabile strumentale della politica economica: è un dato pressoché rigido, che il Paese subisce senza che possa produrre dei risultati.
Il peso del settore pubblico sull'economia italiana è andato continuamente crescendo, dal '65 ad oggi, ma non si può certamente dire che questo abbia modificato i caratteri del sistema, il quadro dell'economia nel quale viviamo. L'aumento, infatti, dell'intervento pubblico in economia si è tradotto in un aumento complessivo della spesa crescente, che è passata dal 30,7% del reddito nazionale nel '65 al 37,5% nel '73. Aumentano i trasferimenti, in particolare i trasferimenti alle famiglie, che certamente soddisfano anche esigenze di carattere sociale ma che si configurano sempre di più come una sorta di monetizzazione delle riforme non fatte, cioè come una sorta di surrogato, attraverso l'erogazione di denaro alle famiglie, rispetto ai servizi pubblici, ai servizi sociali, ai consumi sociali che non vengono fatti, non vengono innescati.
Diminuiscono gli investimenti della pubblica Amministrazione. Le opere pubbliche, che dovrebbero essere lo strumento classico dell'azione anticongiunturale, la mano operativa del Governo per realizzare risultati sul terreno della politica anticongiunturale, anche in base ad una applicazione classica delle teorie keynesiane, diminuiscono mediamente dello 0,8% per gli anni dal '70 in poi, con effetti, quindi, che sono prociclici, cioè che appesantiscono la tenuta del ciclo. La spesa pubblica si viene, cioè, progressivamente spostando dagli investimenti ai trasferimenti; il che, in altri termini, significa che cresce la quota del reddito nazionale disponibile per essere destinata ai consumi privati e diminuisce la quota destinata agli investimenti pubblici ed ai consumi sociali. Si ha, cioè, un effetto perverso di questa crescita dell'intervento pubblico, che, lungi dal portare ad una maggiore direzione pubblica dell'economia, conduce invece ad una privatizzazione crescente di essa. Cito un giudizio che per primo ha dato lucidamente Ruffolo: questo aumento della spesa pubblica non si traduce in un maggiore controllo pubblico, ma in una maggiore privatizzazione delle risorse a disposizione del sistema. E per citare ancora un altro economista di parte cattolica, il Mazzocchi, "a giudicare in termini di pubblicizzazione dell'uso del prodotto nazionale, si ricava l'impressione che l'Italia stia diventando nonostante tutte le opinioni contrarie il Paese più privato del pianeta Terra", cioè il Paese nel quale la capacità della mano pubblica di dirigere i processi economici e finanziari tende ad essere sempre minore.
In questo quadro, la finanza locale, ed in particolare quella dei Comuni e delle Province si viene a collocare in termini che sono certamente ancor più drammatici. Il relatore ha indicato già una serie di dati relativamente ai Comuni: il livello del loro indebitamento, la difficoltà che hanno di contrarre nuovi mutui per finanziare opere pubbliche. Ebbene noi abbiamo dati spaventosi sulla realtà della finanza locale, dati, tra l'altro, che si fermano al '74 e che quindi non tengono ancora conto dell'ulteriore peggioramento intervenuto nell'ultimo anno. Dati che ci mostrano come il saldo delle transazioni correnti, che è la formula usata nella nuova contabilità ma che significa poi il saldo della parte corrente dei bilanci, che raggiungeva valori negativi nel '65 di 335 miliardi, ha raggiunto ora i 1625 miliardi per i Comuni e da 56 a 378 miliardi per le Province.
Gli investimenti per opere pubbliche sono certamente aumentati, sarebbe stato ben strano che non lo fossero: però, l'incidenza degli investimenti in opere pubbliche sul totale delle spese in conto capitale ha segnato un tracollo. Nel 1965, per i Comuni, le spese per opere pubbliche incidevano per il 56,4% sul totale delle spese in conto capitale; dieci anni dopo, le opere pubbliche incidono per il 27,9%. Mentre, di riflesso, gli oneri per il rimborso dei prestiti, che incidevano per il 33,5% sul totale delle spese in conto capitale, oggi incidono per il 65,8%. Vale a dire che i bilanci comunali sono in gran parte gravati per un lato della spesa corrente, per l'altro lato, sul fronte della spesa in conto capitale, sono in gran parte composti da rimborso di prestiti, cioè dagli oneri che derivano dall'indebitamento contratto fin qui dai Comuni. Ma c'è un altro dato ancora più allarmante su questo punto: se calcoliamo l'incidenza del rimborso dei prestiti sul totale dell'accensione mutui vediamo che questo passa percentualmente, sempre dal '65 al '74, dal 27% al 53,9%; il che significa che ormai la maggior parte dei mutui viene contratta per coprire l'onere di mutui precedenti. Questo mostra come la spirale della finanza locale sia ormai giunta ad un punto che si avvicina alla totale paralisi.
In questa situazione non c'è dubbio che i provvedimenti recentemente adottati dal Governo, a metà marzo, rappresentino un elemento di ulteriore irrigidimento della situazione, tale da produrre conseguenze catastrofiche se tali disposizioni dovessero aver vigore per un periodo più lungo di qualche mese o di qualche settimana. Infatti, accanto ad effetti generali che deprimono la domanda, che bloccano quei timidi sintomi di ripresa industriale manifestatisi attraverso i dati raccolti per i primi mesi dell'anno, che bloccano il credito alle attività industriali, e quindi i nuovi investimenti, che sono destinati, quindi, a ridurre i livelli occupazionali, tali provvedimenti, sul piano della finanza locale, provano in pratica, l'impossibilità per gli Enti locali di accedere al credito, e quindi l'impossibilità di sopravvivere, visto che al credito gli Enti locali accedono non soltanto per finanziare nuovi investimenti ma anche per pagare i debiti degli esercizi precedenti.
Viene qui in luce il nodo strutturale mai risolto che sta strangolando la finanza locale: quello di un sistema nel quale gli oneri derivanti dall'eccesso delle spese sulle entrate - un eccesso strutturale, non dovuto al malgoverno di questo o quel Comune - non vengono risolti anno per anno ma vengono fatti rimbalzare sui bilanci degli anni successivi, creando quindi, una macchina che ha l'effetto di moltiplicare l'indebitamento e quindi le spese che i Comuni devono sostenere per finanziare un unico intervento; perché lo stesso intervento finanziato in deficit in un esercizio si paga dieci volte perché continua a rimbalzare su tutti gli esercizi successivi. E il meccanismo del testo unico della Finanza locale è tale che le risorse crescenti dei Comuni continuano ad essere macinate per pagare questa massa ingente di debiti che ormai al 1° gennaio '74 ammonta globalmente a circa 14 mila miliardi, una cifra da capogiro.
In queste condizioni credo che chiunque si fosse accinto a predisporre il bilancio di una Regione si sarebbe trovato nella necessità, quanto meno di fare un primo rozzo esame di coscienza per vedere che cosa in questa situazione è ragionevolmente possibile proporre a questa società regionale per valutare se non convenisse ad un certo punto gettare la spugna e limitarsi a registrare gli effetti negativi traumatizzanti, paralizzanti di questa crisi. Giacche anche per le Regioni e per la Regione Piemonte in particolare, questa situazione si traduce in difficoltà di gestione.
Le Regioni non hanno alle spalle decenni di inadempienze statali, di funzioni nuove trasferite senza trasferire le risorse, di politica difficile di bilancio, come gli Enti locali, e quindi non subiscono la paralisi dovuta all'indebitamento pregresso e alle difficoltà trascinate da decenni: hanno, anzi, dietro le spalle alcuni anni in cui vi erano risorse disponibili e non vi era la possibilità, o la capacità, di spenderle, e quindi hanno un plafond rappresentato dalle famose giacenze di cassa, che non a caso, peraltro, sono immobili, cristallizzate, ferme nel loro ammontare di 87 miliardi credo ormai dal 1973 o '74, equivalente alla ibernazione delle possibilità di spesa non utilizzate nei primi anni; e non sono aumentate proprio perché negli anni successivi il giro, per così dire della spesa regionale ha consentito di non aumentare le risorse ferme utilizzando anche le disponibilità giacenti che si venissero a realizzare nel corso dell'esercizio per innescare la spesa nuova. Il che è discorso diverso da quello dei residui passivi, come dirò tra poco, giacché i due problemi, delle giacenze di cassa e dei residui passivi, sono due problemi che devono essere tenuti distinti perché si tratta di fenomeni diversi: i residui passivi sono un fatto contabile, le giacenze di cassa sono un fatto fisico. Sono due problemi che hanno connessioni tra loro, ma non sono la stessa cosa.
Le Regioni, dunque, hanno dietro di se alcuni anni di risorse non facilmente spendibili, e questo ha dato all'opinione pubblica, ai commentatori, la sensazione che esista da parte delle Regioni una condizione di eccezionale felicità in questo dissestato sistema della finanza pubblica e di quella locale in particolare; che esista un'isola felice nella quale vivono le Regioni, al riparo della crisi da scarsità di risorse che investe tutto il resto della finanza pubblica, e che così le Regioni abbiano a loro disposizione risorse illimitate, con le quali far fronte a fabbisogni crescenti e giustamente sollecitati dalla spinta delle masse popolari, degli Enti locali, delle forze vive della società regionale, che anche attraverso l'attività delle Regioni sono messe in moto, e sono messe in condizioni di avanzare delle richieste e di dare dimensione concreta e precisa alla domanda sociale.
Questa , pero, non è la realtà con la quale ci dobbiamo confrontare. Le Regioni non sono un'isola felice nel quadro dissestato della finanza pubblica; anzi, si avviano ad essere strangolate da una stretta finanziaria che non è, nella sostanza, diversa da quella che nell'arco di alcuni decenni ha strangolato i Comuni e le Province. Si avviano, cioè, ad avere da una parte, una spesa cui far fronte, che è una spesa in parte rigida perché deriva da impegni pluriennali già assunti, da soddisfazione di fabbisogni che si è cominciato a soddisfare e che diventa difficile interrompere nel loro soddisfacimento ad un certo punto; dall'altra si trova con entrate che viceversa non crescono non solo ad un ritmo sufficiente a soddisfare interventi nuovi, capaci di fronteggiare altri fabbisogni, ma neppure ad un ritmo sufficiente per consentire di finanziare gli interventi già decisi negli anni passati, di entrate, cioè, che non hanno neppure dinamica sufficiente a compensare il diminuito potere d'acquisto della lira, o il tasso medio di svalutazione, o l'incremento medio dei costi generali, e neppure l'incremento medio delle entrate tributarie dello Stato, che tuttavia abbiamo visto essere largamente insufficienti per finanziare gli investimenti pubblici.
Questo il quadro delle risorse. Un quadro che arriva quest'anno in piena evidenza davanti al Consiglio, ma che già si profilava nel '75 quando si compì da parte del Consiglio, nella sua interezza, un grosso sforzo, con un bilancio che accentuò le capacità di mobilitazione e di spesa della Regione e che fu gestito dalla vecchia e dalla nuova Giunta con questa precisa indicazione politica: quella di dare un contributo ad una politica anticongiunturale, di sostegno dell'occupazione, di sostegno della produzione, di spesa qualificata. Quest'anno le difficoltà sono venute al pettine in modo ancora maggiore e l'incremento delle entrate regionali non sarebbe sufficiente, in base ai dati ancor provvisori di cui disponiamo per finanziare praticamente alcuna nuova legge di spesa.
In questa situazione, come diceva in termini molto corretti e condivisibili il relatore Rossi introducendo il dibattito, la Regione aveva di fronte a sé due strade precise: quella di registrare che viviamo ormai in una situazione che precede la paralisi totale degli istituti regionali e di conseguenza impostare un bilancio per il 1976 che fosse di contenimento e in parecchi casi di riduzione della stessa portata delle leggi già approvate, affrontando le leggi già approvate e decidendo quale di quelle leggi andava modificata per ridurne la portata; oppure cercar di fare il massimo possibile di mobilitazione di risorse - e dirò dopo in che modo - per cercar di fare ancora del Bilancio per il '76 un bilancio di espansione e di spinta, cioè un bilancio capace di produrre effetti nel tessuto economico e sociale della Regione. La Giunta ha scelto questa seconda strada: ha scelto di rispondere in modo attivo alle difficoltà che nascono dalla crisi, facendo ancora per quest'anno - lo sottolineo per la seconda volta e tornerò ancora a sottolinearlo più oltre - del Bilancio un tentativo di riduzione degli effetti negativi della congiuntura, un momento di attacco rispetto alla crisi che sta impoverendo le strutture economiche del Piemonte.
Per far questo occorre ovviamente operare una serie di scelte, che vengono indicate. Intanto, occorre aggredire la spesa corrente. Qui, il primo discorso da fare è che, sia pure su livelli certamente non confondibili con quelli della pubblica Amministrazione centrale, e neppure con quelli degli Enti locali, esiste un problema di contenimento della spesa corrente anche per la Regione. E in questo bilancio ci si è posti l'obiettivo di contenere quella parte di spesa corrente che è la spesa di pura gestione. Qui, ha ragione Rossi di dire nella sua relazione: attenti che la spesa corrente, di per sé, può essere un modo sbagliato di porre il problema, perché non sempre spesa corrente significa spesa improduttiva. E allora dobbiamo distinguere, dobbiamo approfondire. Spesa corrente vuol dire, da un lato, spesa di funzionamento della macchina regionale (quelle che abbiamo chiamato spese correnti di gestione), dall'altro trasferimento ed erogazione di risorse ad altri soggetti (cioè spese di trasferimento), e ancora oneri che conseguono alla politica di mutui fatti dalla Regione perché ogni mutuo fatto, e quindi ogni decisione presa di ampliare l'intervento regionale nel settore degli investimenti (perché i mutui si fanno solo per finanziare gli investimenti) si traduce nel bilancio in oneri di parte corrente, perché gli interessi di un mutuo di un miliardo comportano 135 milioni di parte corrente e 15 milioni in conto capitale (135 la rata interessi, 15 milioni la rata rimborso capitale, incidono sul bilancio in questo modo). Quindi, i mutui fatti o previsti per il piano autobus, per gli impianti igienico sanitari, per costituire la Finanziaria per le aree industriali attrezzate si traducono sul bilancio in maggiori spese correnti.
C'è dunque una parte di spesa corrente che consegue ad una maggiore dinamicità della Regione, ad uno sforzo della Regione per andare in alcune direzioni qualificate sul terreno degli investimenti pubblici. Comprimere queste spese correnti significherebbe, quindi, ridurre gli investimenti regionali.
C'è poi la parte di spesa corrente che ho chiamato di trasferimento che è operativa, non riferita alla macchina amministrativa della Regione ma che si rivolge ad altri operatori, che risponde ad esigenze precise della società regionale, che possono essere, io credo, anche qualificate riviste, modificate. Ma dubito che, nel quadro anche di una programmazione pluriennale seria, possano essere sensibilmente ridotte. Mi riferisco, per esempio, alla formazione professionale, all'assistenza sociale all'assistenza scolastica: tutti interventi che certamente richiedono, e in qualche caso esigono anche, una qualificazione, un diverso modo di essere spesi, ma che certamente non postulano una riduzione complessiva degli stanziamenti da destinare a queste opere.
C'è infine, quella parte di spesa corrente che riguarda il funzionamento della macchina regionale. Questa è quella sulla quale si pu esercitare il massimo possibile di contenimento, già presentate nel Bilancio. Dovremo soprattutto fare ancora uno sforzo per intervenire, sulla base delle indicazioni che la Commissione ha dato, con alcune altre riduzioni di qualche stanziamento in questa fase di discussione del Consiglio, al che la Giunta è ampiamente disponibile. Ma con l'attenzione anche qui, che sotto un certo livello non si può scendere, perché questa parte di spesa corrente, una volta che ha raggiunto livelli fisiologici non può più essere ridotta se non si vuol rischiare di bloccare le possibilità di spesa della Regione. Noi abbiamo delle spese, come quella per il personale, che incidono - è già stato detto - assai poco sul quadro complessivo del Bilancio, sia in assoluto sia se confrontata con quelle delle altre Regioni: per il 5% - al netto della spesa ospedaliera, che non abbiamo considerato, ovviamente, trattandosi di una spesa che non viene amministrata dalla Regione ma solo trasferita - sull'insieme del bilancio cioè è l'incidenza minore rispetto ad una spesa complessiva ampia della Regione, e l'incidenza minore rispetto alla spesa di tutti gli ultimi anni.
Anche in questa categoria, che pure è quella sulla quale si deve abbassare la scure del rigoroso contenimento, esistono dei limiti al di sotto dei quali non è possibile andare se non a prezzo di immobilizzare sclerotizzare, inceppare la stessa macchina regionale.
Il secondo obiettivo al quale il Bilancio in questo contesto si ispira è quello della qualificazione della spesa in direzione di alcuni obiettivi prioritari. E gli obiettivi prioritari sono quelli che emergono dalle indicazioni del Bilancio: L'a.gricoltura, i trasporti pubblici l'assistenza scolastica e sociale, la tutela dell'ambiente e l'assetto del territorio, l'edilizia residenziale, le iniziative promozionali per le attività produttive.
Questa priorità nasce evidentemente non da una scelta che improvvisamente sia balenata nel cervello della Giunta, ma da un terreno che e stato sufficientemente arato ed anche coltivato in questi mesi; nasce dagli scambi di opinione che le forze politiche hanno fatto registrare in questa sede ed in altre sedi pubbliche; nasce dagli studi dell'IRES, dalle opzioni per il Piano regionale di sviluppo, che il Consiglio conosce ed ha discusso già nel corso della prima legislatura; nasce dall'ulteriore lavoro per la redazione del Piano di sviluppo che sta per essere consegnato al Consiglio. Sono, dunque, scelte che nascono da una serie amplissima di verifiche e di confronti, che abbiamo potuto fare, negli ultimi mesi in modo più serrato, con le forze sociali del Piemonte, nel corso dei quali abbiamo registrato i punti d'incontro in ordine a questi interventi. Con l'avvertenza che dare priorità a questi interventi nei settori nei quali la spesa pubblica dev'essere indirizzata in modo più massiccio non significa soltanto e necessariamente spendere molto e sempre di più, perché il limite del Bilancio che ho ricordato si pone come tetto, in molti casi, a spendere di più, e, comunque, come tetto ad un trend di espansione della spesa che parta dai risultati acquisiti nel '75 come se fossero la base sulla quale innestare poi degli incrementi della spesa. Dev'essere chiaro che se noi concepissimo il Bilancio regionale come un qualche cosa che ci consegna il livello del '75 perché su questo livello del '75 ci inventassimo la possibilità di crescita della spesa, anche nei settori prioritari, faremmo un'operazione astratta che cozza contro la realtà.
Il Bilancio '75, e a maggior ragione il Bilancio '76, che è superiore a quello del '75, rappresentano non dei punti di riferimento per l'espansione della spesa, ma dei tetti alla espansione della spesa, rispetto ai quali come dirò in breve quando passerò a sintetizzare i dati del Bilancio pluriennale - la possibilità di ulteriore ascesa della spesa regionale è estremamente contenuta per i prossimi anni.
Dare priorità alla spesa in alcuni settori significa certamente spendere il più possibile in quei settori, ma significa anche qualificare la spesa e l'intervento della Regione in essi, attraverso un'attività legislativa che sia capace di dare alla spesa il massimo di efficacia e il massimo di effetti sui settori che vengono investiti, e dunque con interventi che si collochino sotto il profilo qualitativo come elementi che privilegiano determinati settori. Per inciso, credo che noi tutti, qui e in altre sedi, dovremo, come forze politiche, e come forze politiche regionaliste, che hanno vissuto un'esperienza di attività regionale (questo vale soprattutto per chi ha vissuto l'esperienza della prima legislatura) cominciare a porci in modo serio un problema: se e quanto valga la pena di considerare l'efficienza e la capacita delle Regioni in base al numero delle leggi che vengono approvate, o in base al numero dei miliardi che vengono erogati in questo o quel settore, e se non cominci invece a diventare determinante e politicamente qualificante una valutazione che passi a considerare il contenuto di queste leggi, la loro bontà, la loro capacità di rappresentare non la prosecuzione di una tradizionale attività di spesa dello Stato, in cui è cambiato soltanto lo sportello attraverso il quale passano i danari e sono invece rimasti i criteri che ispiravano e guidavano la spesa, ma di introdurre elementi nuovi, elementi di riforma di cambiare le strutture dei settori sottoposti alla competenza della Regione.
All'interno di questi settori prioritari - tratto molto velocemente questo punto perché mi pare che già il relatore abbia dato ampia contezza degli stanziamenti - ci sono gli interventi per l'agricoltura. A quelli contenuti nel Bilancio, che sono elevati - quasi 52 miliardi - ma peraltro risentono (nessuno qui vuol barare al gioco) certamente degli appesantimenti dovuti agli oneri pluriennali assunti con leggi dell'anno scorso, nel senso che questi 52 miliardi non rappresentano - come ama dire Ferraris, con espressione non tecnicamente corretta ma tuttavia felice perché rende perfettamente l'idea - denaro fresco che si immette, ma sono in effetti in parte denaro che deriva dagli impegni assunti in particolare con le leggi approvate nel '75, si aggiungono l'onere previsto nei fondi globali, che consente l'assunzione di un altro mutuo per 10 miliardi, i fondi stanziati con provvedimenti di emergenza (per quanto riguarda l'agricoltura, si tratta di 9 miliardi, compresi nel bilancio, che concernono la zootecnia, e circa 13 miliardi non compresi nel bilancio ma che comunque sono destinati all'agricoltura piemontese, la cui destinazione è vincolata per gli impianti di irrigazione). Credo che questo grosso sforzo possa essere ulteriormente potenziato tenendo conto della possibilità di reperire, con ulteriori riduzione di stanziamenti del bilancio, una somma che il relatore valutava, come indicazione della Commissione, dell'ordine del miliardo (la Giunta verificherà nel corso del dibattito, sentite anche le opinioni espresse dai Gruppi consiliari su questo punto, se ci sia questa possibilità). Si potranno poi certamente destinare a questi fini gli stanziamenti che deriveranno dai fondi CEE e che, raggruppando più esercizi, incideranno nel '76, quanto meno come appostazione contabile (per ora sono segnati nel bilancio per memoria) per circa 10 miliardi, ed altresì quelli sulle leggi regionali in vigore non utilizzati e non spendibili rapidamente, con una operazione di modifica delle leggi e di riciclaggio delle risorse in tal modo ritrovate. Questo è un altro dei discorsi sui quali è opportuno soffermarci, che riprenderò più oltre in modo più organico.
Nel settore dei trasporti pubblici, abbiamo lo stanziamento assegnatoci dallo Stato di 4 miliardi e 480 milioni per il piano di emergenza, che è interamente aggiuntivo rispetto alle leggi che il Consiglio ha già votato e che coinvolgono risorse per altri 10 miliardi.
Qui bisogna dire, per inciso, che non riteniamo fondata la critica venuta da qualche parte a questo bilancio secondo la quale tutta la capacità di spesa della Regione sarebbe poi riconducibile alle risorse a destinazione vincolata che ci provengono dallo Stato in virtù dei decreti di emergenza.
Le risorse che ci vengono in virtù dei decreti di emergenza non ci siamo limitati a prenderle e a spenderle, ne abbiamo fatto oggetto di moltiplicatore, cioè, le abbiamo unite ad altre risorse regionali, per dare maggiore organicità agli interventi. Questo avviene nell'agricoltura, ove i 9 miliardi per la zootecnia saranno utilizzati insieme con le altre risorse di cui parlavo prima, per nuove leggi, nel corso dell'anno; tra l'altro nuove leggi che incomincino ad introdurre elementi innovativi e non si limitino a rifinanziare gli interventi classici e tradizionali; così come gli interventi per il piano autobus si aggiungono, e non si sostituiscono a quelli stanziati dalla Regione con le sue risorse. Così come gli interventi per gli asili nido, cioè i 3 miliardi che sono già stati utilizzati nel bilancio '75 per gli asili nido, si accompagnano ad altri 14 miliardi di nuove risorse regionali destinate al piano degli asili nido.
Così come i 4 miliardi e 269 milioni per opere di competenza regionale sono una parte che si aggiunge al piano di risanamento delle acque, e non che sostituisce gli interventi regionali. Quindi i decreti di emergenza sono stati per noi soltanto un primo conferimento di fondi sui quali la Regione ha innestato una sua cosciente iniziativa politica volta ad aumentare le risorse in quei settori che proprio perché caratterizzati dall'emergenza in base a scelte che ha fatto il Parlamento, anche per noi avevano priorità, e quindi anche nella logica della Regione sono settori che devono essere privilegiati nella spesa regionale.
Gli interventi per l'assetto del territorio, che sono quelli che segnano l'incremento più significativo - da 39 miliardi a quasi 71 miliardi comprendono: l'ulteriore rifinanziamento per 9 miliardi del Piano di risanamento delle acque; il primo stanziamento, per 5 miliardi, del Piano di riassetto idrogeologico e forestale; la messa in moto dell'azienda regionale che dovrà gestire i parchi, per la quale viene stanziato complessivamente un miliardo e mezzo, e che comincerà concretamente a realizzare la gestione della Mandria nei prossimi mesi; il rifinanziamento per 1 miliardo e 850 milioni complessivamente del piano per lo smaltimento dei rifiuti solidi; l'accantonamento nel fondo globale di altri 3 miliardi e 800 milioni più le somme stanziate a bilancio per rifinanziare la legge 28 per le opere pubbliche. Qui è aperto un discorso sul quale il Consiglio si confronterà quando dovremo rifinanziare quella legge, cioè sulla scelta fra interventi in conto interesse e interventi in conto capitale, ovvero su quale sia dei due interventi quello da privilegiare e anche sui criteri ai quali ricondurre la spesa pubblica, cioè se ad un certo punto non si possa utilmente cominciare ad avviare una destinazione della spesa pubblica per opere pubbliche che sia già finalizzata ad interventi precisi sul territorio (Rossi ricordava qualche caso, come l'acquedotto delle Langhe e così via, Paganelli in Commissione aveva sostenuto questa tesi); in altre parole, si tratta di vedere se ad un certo punto, nella impostazione della spesa per opere pubbliche, non convenga cominciare, attraverso consultazione dei comprensori, ad individuare le opere da finanziare concentrando le risorse su una serie di opere definite, in maniera da poterle seguire continuativamente fino alla loro conclusione, da poter dare cioè non finanziamenti generici ma finanziamenti specifici che valgano a mobilitare delle risorse per realizzare concreti e precisi obiettivi.
Vi sono poi ancora: l'ampliamento fino a 1 miliardo e 100 milioni dello stanziamento previsto dalla legge 34, che mi pare sia all'ordine del giorno dei lavori del Consiglio, per la redazione di strumenti urbanistici, cui si accompagna anche, per la prima volta, un certo rafforzamento delle strutture di ufficio destinate alla gestione urbanistica; gli interventi nell'assistenza scolastica, che prevedono un incremento, in base alle indicazioni anche pervenute dalla consultazione, di un miliardo per il rifinanziamento della legge che è attualmente all'esame della Commissione il rifinanziamento fino a 2 miliardi e 200 milioni, con uno sforzo, quindi assai consistente, della legge per l'assistenza domiciliare; i nuovi interventi per contributi agli enti locali che realizzano centri di incontro e case-albergo; il rifinanziamento delle leggi sull'assistenza farmaceutica.
Per quanto riguarda l'edilizia ospedaliera, per essa sono disponibili a bilancio 35 miliardi che provengono dai provvedimenti anticongiunturali, ai quali la Giunta aggiungerà tutti i residui esistenti, cioè tutte le somme accantonate e non spese, allo stesso titolo, sui bilanci scorsi, nonché il fondo di 941 milioni all'anno che affluisce sul fondo ex articolo 9 destinato agli stessi scopi. Quindi, ci sarà un pacchetto di interventi per l'edilizia ospedaliera assai consistente, che al più presto il Consiglio discuterà in maniera da farne a stralcio una serie di primi interventi che consenta di coprire il fabbisogno in tutto il Piemonte, e sarà intanto una possibilità non solo di messa in moto di una quota rilevante di spesa pubblica ma sarà anche il modo per soddisfare dei bisogni che sono certamente elevati.
Non figura in bilancio il piano degli asili-nido, che è stato interamente finanziato, come ho già detto, sul bilancio '75 e i cui interventi sono in corso.
L'edilizia residenziale introduce il discorso su un altro dei settori prioritari sui quali la Regione, a fronte degli enormi fabbisogni che sono rilevati, certamente può fare poca cosa. Questo discorso l'abbiamo fatto con grande chiarezza in tutte le sedi, anche nei confronti con il movimento sindacale, che ci ha sollecitato a fare interventi in questa direzione e al quale abbiamo evidenziato come le dimensioni stesse del fabbisogno non possano consentire alla Regione di fare interventi che incidano in modo determinante per la copertura di questo fabbisogno. Tuttavia, è chiaro che in questa situazione non è possibile alla Regione sottrarsi ad un suo impegno per cercare di realizzare alcune cose. Abbiamo già votato le due leggi, una che consente nuovi provvedimenti a favore degli IACP e delle cooperative a proprietà indivisa, l'altro che consente il recupero di complessi edilizi nei centri storici. Dalla consultazione e dalla relazione di Rossi emerge l'indicazione politica di destinare ad altri interventi nel settore della casa, ed in particolare per interventi nei centri storici altre risorse disponibili sul bilancio, ed in specie i due miliardi che sono ancora a disposizione sui fondi globali. Questa indicazione credo che la Giunta - se i dati che emergeranno dalla discussione in aula confermeranno i risultati della discussione in Commissione e gli orientamenti rilevati nelle consultazioni - sia pronta a seguirla.
Tra le iniziative promozionali per le attività produttive abbiamo iscritto in particolare gli stanziamenti, che Rossi ha già ricordato relativi al SAMIA, per il quale va chiarito che a bilancio non figura la somma di 175 milioni che consegue alla legge già approvata per la partecipazione della Regione, legge che dopo il visto del Commissario di Governo, già apposto, sarà iscritta con decreto del Presidente a bilancio approvato (era finanziata sul bilancio '75). Figura invece l'onere di 450 milioni per la prestazione di garanzie fidejussorie che era prevista dalla legge; la cifra potrà però anche essere destinata, se così si deciderà, ad ampliare l'intervento regionale; è una somma disponibile a questi fini.
Abbiamo già votato alcune leggi fra quelle considerate qui: quella per l'artigianato, ad esempio. Sono a bilancio gli oneri che conseguono all'assunzione del mutuo di 10 miliardi per la costituzione della Finanziaria.
Un altro degli elementi che caratterizzano questo Bilancio è dunque quella che ho definito la massima mobilitazione di entrate, il che significa una previsione di entrata che è stata sinteticamente definita davanti alla Commissione e in alcuni interventi sulla stampa, come gonfiata. Qui forse è bene spendere qualche parola. I Consiglieri sanno qual è il meccanismo attraverso il quale si viene formando tra le fonti di entrata quella più consistente, che è il fondo comune, previsto all'art. 8 fondo comune che è composto da un insieme di tributi erariali che quando fu predisposta la legge finanziaria regionale nel '70, almeno nelle intenzioni del legislatore, avrebbero dovuto essere quei tributi erariali che avevano la maggiore dinamicità, e quindi tali da garantire al fondo per le Regioni una crescita assai accentuata rispetto a quella media delle entrate dello Stato, che in verità si sono rivelati viceversa tributi a dinamicità assai contenuta, e soprattutto con scarti notevoli da un anno all'altro, cosicch il fondo alimentato da questi tributi e destinato alle Regioni ha avuto andamento assai discontinuo e in ogni caso insufficiente e comunque sproporzionato alla stessa crescita dell'insieme delle entrate tributarie dello Stato.
In questo fondo, la quota che spetterebbe al Piemonte per il 1976 sarebbe pari a 60 miliardi e 190 milioni, e rappresenta, tra l'altro, un ulteriore peggioramento della quota spettante al Piemonte rispetto a quella degli anni scorsi: è l'8,66% del totale, mentre nel '73 era l'8,75, con ulteriore decremento, quindi. Peraltro, di fronte alla dura contestazione delle Regioni, che hanno posto, con una documentazione ineccepibile davanti al Governo una situazione di carenza di risorse in modo drammatico il Governo ha predisposto un provvedimento legislativo per integrare questi stanziamenti, conferendo al fondo delle risorse aggiuntive per integrare i bilanci '75 e '76, risorse aggiuntive che anche per il '75, evidentemente dobbiamo mettere ormai nel bilancio '76, atteso che il bilancio '75 è chiuso.
Con questi provvedimenti, che hanno la forma del disegno di legge, e che nella confusione con cui si sta chiudendo la legislatura, sembrano approvati da una Commissione di uno dei due rami del Parlamento - non ho capito però se in sede referente o in sede deliberante - ma che comunque dubito che riescano a trovare approvazione definitiva prima della chiusura delle Camere, gli stanziamenti aggiuntivi che confluirebbero sul Bilancio del Piemonte sarebbero di 12 miliardi e 679 milioni, portando quindi la cifra complessiva a disposizione del Piemonte sul fondo comune ad una dimensione di quasi 73 miliardi che è quella cui si riferiva, mi pare Paganelli in un articolo recente su questo argomento.
Siamo, dunque, di quasi 10 miliardi al di sotto della cifra di 82 miliardi e 500 milioni che è stanziata sul bilancio '76 e che è la stessa cifra che avevamo apposto in sede di bilancio provvisorio. Questo significa che occorre una ulteriore modifica del disegno di legge - modifica che peraltro le Regioni hanno chiesto perché siano incrementati ancora i fondi ciò non solo perché le Regioni devono recuperare quel 25% in più che posero a bilancio nel 1975 e che corrispondeva alla perdita in termini reali delle loro capacità di spesa, percentuale rispetto alla quale i provvedimenti adottati dal Governo sono largamente insufficienti, ma perché poi le Regioni chiedono una ulteriore integrazione per tener conto della situazione che si determina nel '76, visto che, come abbiamo visto dai dati che ho citato prima, la previsione sull'incremento medio dei prezzi non pu essere certamente inferiore ad un altro 25% nel corso del 1976.
Quindi, il mantenimento in termini reali, e non monetari, della capacità di spesa delle Regioni esige un ulteriore incremento del fondo ex articolo 8, perché in caso contrario decresce la capacità reale di spesa delle Regioni. Se poi restassero le somme che sono state indicate, decresce anche la capacità in termini monetari, in molti casi; cioè, ci dobbiamo avviare a quella operazione di riduzione delle leggi regionali di cui ho già parlato.
Lo stesso provvedimento governativo prevede poi una parziale e limitata riforma della legge finanziaria regionale, a partire dal 1976, cioè prevede che il fondo ex art. 8 continui ad essere quello che è: e qui c'è l'opposizione delle Regioni, le quali hanno chiesto che il fondo si commisuri ad una quota delle entrate tributarie dello Stato, hanno detto facciamone una quota fissa delle entrate tributarie dello Stato che si muova quindi e nelle sue dimensioni, e nelle sue capacità di incremento secondo la logica delle entrate tributarie dello Stato. Il Governo non ha accettato questa tesi e si è limitato, lasciando il fondo così com'è cioè composto da quei determinati tributi che quindi continuano a crescere secondo la loro logica, si è limitato ad applicare a questo fondo un parametro di incremento, dicendo: questo fondo si incrementerà, a partire dal 1977, in misura proporzionale all'incremento delle entrate tributarie dello Stato; cioè un qualche raccordo con l'andamento della entrata complessiva dell'erario si viene a stabilire, non è quel raccordo completo che le Regioni chiedevano, è pur sempre però un primo elemento che consente una crescita del fondo, ma soprattutto consente qualche previsione, non del tutto azzardata, sull'andamento dell'entrata per gli anni futuri, giacch questo provvedimento governativo mira a disciplinare l'andamento dell'entrata per gli anni che vanno dal 1977 al 1981. Quindi abbiamo un quinquennio nel corso del quale può essere, con una qualche ragionevole approssimazione, calcolata la possibilità di incremento delle entrate regionali.
Le Regioni naturalmente hanno continuato a chiedere, pur accettando come primo risultato questo del Governo, da un lato quello che ho già ricordato, cioè maggiori fondi sugli esercizi 1975/76 e dall'altro hanno continuato a chiedere un aggancio all'insieme delle entrate tributarie dello Stato.
Per quanto riguarda il fondo ex art. 9, cioè quello destinato a finanziare i programmi regionali di sviluppo, abbiamo lasciato la stessa cifra che era a bilancio l'anno scorso di 13 miliardi e abbiamo apposto uno stanziamento nel capitolo successivo del bilancio di 6 miliardi e 800 che corrisponde agli oneri che la Regione ha sostenuto per il pagamento delle spese derivanti dall'applicazione del contratto collettivo per i dipendenti delle aziende concessionarie di trasporto pubblico.
E' una vicenda annosa che il Consiglio conosce e sulla quale non mi dilungo se non per dire che il governo ha accettato l'ipotesi di stanziare dei fondi per coprire gli oneri sopportati dalle Regioni, facendo affluire questi fondi sull'art. 9 della 281 e non sull'art. 8, però non è ancora avvenuto il riparto di questi fondi tra le Regioni perché è ancora in discussione il criterio se questi fondi debbano essere ripartiti, come vorrebbe il governo, secondo gli stessi criteri dell'art. 9, cioè con il vincolo che il 60% vada alle Regioni del Sud, oppure, come sostengono le Regioni che hanno pagato questi oneri (e tra esse il Piemonte), se i criteri per distribuire queste somme non debbano essere proporzionati agli oneri che le Regioni hanno sostenuto; queste somme vengono fatte confluire sul fondo ex art. 9, ma siccome non hanno nessun riferimento ai programmi regionali di sviluppo e non hanno nessuna possibilità di incidere, non possono essere correlate a criteri di riequilibrio territoriale, bisogna che vengano destinate a seconda di come le Regioni le hanno spese. Quindi questa cifra di 7 miliardi e 800 milioni che comprende l'insieme della spesa fra il 1974 ed l 1976 sostenuta con leggi regionali della Regione Piemonte, è anch'essa una entrata che ci dobbiamo conquistare attraverso questo confronto col governo perché arrivi nella sua interezza alla Regione.
Per quanto riguarda gli altri incrementi maggiori di entrata dobbiamo registrare un incremento dell'ILOR: nella discussione in sede di Commissione è stato avanzato il dubbio se questo incremento sia già dato riscontrarlo nel 1976, oppure no, però anche qui c'è molto arretrato e soprattutto mancano ancora tutti i ruoli delle società e dei professionisti che sono tali da consentire un aumento del gettito dell'ILOR. Abbiamo viceversa lasciato invariato l'aumento della tassa di circolazione, abbiamo lasciato invariata l'entrata che proviene dalle giacenze attive; nella previsione di poter cominciare certamente a incidere anche sul livello delle giacenze, ma che questo non avvenga in termini significativi nel corso del 1976.
Abbiamo viceversa posto un'entrata di due miliardi per quanto riguarda le entrate che derivano dalle tasse giacenti in materia di circolazione cioè dal contenzioso inevaso perché avendo meccanizzato le relative procedure nel corso del 1976 sarà possibile smaltire l'intero arretrato e quindi questa entrata che apparentemente rappresenta un salto enorme e non comprensibile, in realtà è un'entrata che certamente avremo una tantum quanto in meno in queste dimensioni, che però è ragionevolmente prevedibile nel corso del 1976.
Un quarto criterio al quale il bilancio si ispira riguarda la politica dei mutui e qui, dalle cose che anche Rossi ha già detto, abbiamo scelto di accendere mutui nella misura massima possibile: siamo arrivati al tetto dell'indebitamento scegliendo consapevolmente la strada di un potenziamento delle capacità di spesa della Regione, ritenendo che nel 1976 debba essere messa in moto la maggior mole possibile di risorse. Abbiamo cioè toccato il tetto dell'indebitamento, il che si tradurrà in pesanti vincoli per l'indebitamento futuro, come vedremo esaminando sinteticamente i dati del bilancio pluriennale.
Per inciso dirò che questa politica di largo ricorso ai mutui non significa che la Regione si metterà a fare mutui comunque, la Giunta si è vincolata, con una sua autonoma determinazione interna, a non contrarre mutui ad un tasso di interesse che sia superiore al 13 %, che credo sia il massimo che possiamo sopportare, anche se nelle nostre leggi indichiamo il tasso non superabile quello del 15% (tutte le nostre leggi hanno, come ricorderete, il meccanismo che il tasso non deve superare il 15%; io penso che sia ragionevole che non si debba superare il 13 se no le risorse mangiate con la politica di indebitamento sono eccessive. E quindi, nella misura in cui non fosse possibile contrarre mutui al 13%, faremo mutui soltanto nei momento in cui il tasso decresce; peraltro allo Stato in questo momento abbiamo trattative per fare mutui al 13%, nonostante la stretta è possibile fare mutui al 13% per le Regioni.
Vi è poi, come quinta indicazione, la necessità di mobilitare altre risorse aggiuntive e questo significa il discorso dei fondi CEE che in bilancio figura per memoria, ma che significa la richiesta di interventi CEE vuoi nel settore della formazione professionale, vuoi, quando sarà, nel settore dell'agricoltura. Significa poi sviluppare le iniziative della Finpiemonte; è chiaro che anche l'attività della Finanziaria rappresenta un volano che moltiplica gli interventi della Regione, sono perciò ulteriori risorse aggiuntive che attraverso l'attività della Finanziaria si possono mettere in moto sugli interventi regionali.
Ciò significa il reperimento di finanziamenti da parte della Cassa depositi e prestiti, la quale ha avuto, con i provvedimenti di emergenza uno stanziamento aggiuntivo di mille miliardi come garanzia dello Stato per i mutui da concedere ai Comuni.
La Cassa depositi e prestiti ha in questi giorni, in questi mesi, delle disponibilità e in effetti ha ripreso le erogazioni di mutui a favore degli Enti locali. Si tratta allora, mentre i tassi sono così elevati e mentre le possibilità di accesso al credito presso gli istituti bancari da parte degli Enti locali sono praticamente nulle, di sviluppare tutte le possibilità di accesso alla Cassa depositi e prestiti.
Il Presidente della Regione ha fatto una circolare ai Comuni sollecitandoli a ricorrere alla Cassa depositi e prestiti, indicando anche tutte le modalità e le procedure necessarie per avere questi mutui, tenendo conto che la Cassa depositi e prestiti non ha evidentemente risorse illimitate ed è comunque vincolata dai provvedimenti anticongiunturali a concedere i mutui coperti da questi mille miliardi aggiuntivi entro il 30 giugno 1976, dunque occorre presentare domande entro il 30 giugno 1976 occorre presentare domande che vadano nei settori prioritari indicati (asili nido, scuole materne, opere igienico sanitarie e verde pubblico) occorre presentare domande accompagnate dal progetto esecutivo approvato dai competenti organi e quindi sono inutili domande generiche, le domande che non fossero complete di questi elementi devono essere integrate.
Occorre poi fare riferimento, nelle domande, al finanziamento ai sensi della legge 492 perché questa ulteriore possibilità di intervento della Cassa depositi e prestiti è legata a questo intervento.
La circolare del Presidente della Giunta mira a sollecitare i Comuni ad attivare questo canale rappresentato dai mutui della Cassa depositi e prestiti, che è in pratica l'unica alternativa, in questo momento, al finanziamento in conto capitale totale o quasi da parte della Regione.
Oggi, per le opere degli enti locali, vi sono due strade: o il finanziamento in conto capitale da parte della Regione, che arrivi al 100 o vicino al 100%, oppure il mutuo della Cassa depositi e prestiti che consente un tasso accessibile e rispetto al quale noi possiamo dare il contributo in conto interessi, perché a questo punto il contributo in conto interessi pesa per la Regione in ragione solo del 6%, resta a carico dei Comuni il 3%, possiamo fare una politica.
In definitiva, solo attraverso una verifica di quali sono le dimensioni della domanda dei Comuni alla Cassa DD.PP. e quindi solo sapendo che quota delle opere pubbliche dei Comuni e delle Province può essere finanziata dalla Cassa DD.PP. possiamo sciogliere, con conoscenza di causa, il nodo che abbiamo: se privilegiare esclusivamente la spesa in conto capitale, o se lasciare aperta una certa parte delle nostre risorse in conto interessi.
Perché se queste risorse in conto interessi possono essere destinate a mutui concessi dalla Cassa DD.PP. acquista un senso lasciare nella legge 28 una fetta di risorse destinate al conto interessi, se viceversa i Comuni dovessero sopportare gli oneri con gli istituti di credito ordinari evidentemente sarebbe velleitario e illusorio stanziare somme in conto interessi, conviene concentrare l'intervento soltanto in conto capitale.
Questo non significa che una politica di questo tipo valga sempre e dovunque, anzi, io credo che in questa materia occorra procedere a degli aggiustamenti continui della politica della Regione e quindi innovare continuamente, con leggi che in questo caso davvero debbono essere solo annuali, perché ogni anno muta la congiuntura, innovare e quindi variare il mix tra i contributi in conto interessi e i contributi in conto capitale così come la situazione rende più conveniente per la Regione. Anche perch è intenzione della Regione utilizzare anche il plafond del credito che pu venire dagli istituti bancari piemontesi, anzi, nelle clausole con le quali abbiamo iniziato le trattative e con le quali andremo a stipulare la convenzione e sulle quali il Consiglio sarà chiamato nei prossimi giorni a discutere il documento che si configura come una sorta di regolamento abbiamo richiesto alle banche che concorrono al servizio di tesoreria della Regione, di mettere a disposizione un plafond di credito per gli Enti locali, secondo le indicazioni del piano regionale.
Ci rendiamo conto che oggi queste risorse non sono utilizzabili, dati i livelli raggiunti dai tassi e non possiamo fare in questi mesi affidamento su queste risorse nuove, però è chiaro che questo è uno strumento da utilizzare e da attivare e quindi nei prossimi esercizi sarà un altro elemento, una variabile diversa che dovremo introdurre nel discorso.
Ultimo di questi criteri ispiratori del bilancio, ma come i Consiglieri si possono rendere conto, non solo del bilancio ma della politica generale di spesa della Regione, la necessità di riutilizzare risorse stanziate su leggi già approvate negli anni scorsi.
Noi abbiamo prodotto un'intensa attività legislativa negli anni scorsi che da un lato ci ha irrigidito il bilancio, che oggi è gravato in misura assai consistente(ed è verificato dalle tabelle che illustrano questi aspetti in sede di relazione) dalle spese pluriennali, ossia noi abbiamo una parte consistente del bilancio vincolata da impegni pluriennali, ma abbiamo vincolato a questi fini anche una parte dei bilanci futuri. Già parlando dell'agricoltura ho detto che è possibile, facendo un esame spregiudicato e attento delle leggi già in vigore, reperire quelle risorse che non sono spendibili. E lo stesso discorso vale per altre leggi che operano in altro settore.
Noi abbiamo fatto molte leggi, ma non sempre buone e soprattutto non sempre abbiamo fatto leggi che tecnicamente consentono una rapidità e tempestività di spesa.
Vi sono dunque due criteri ai quali ci possiamo attenere nella revisione della legislazione regionale già in vigore: un criterio di carattere tecnico e un criterio di carattere politico; ci possono essere dei contenuti di legge che meritano di essere rivisti, ci possono essere e ci sono senz'altro dei meccanismi legislativi che meritano di essere ritoccati. Dall'uno e dall'altro lavoro possono nascere altre risorse da destinare al finanziamento di nuovi interventi.
Questo lavoro avremmo voluto portarlo già in sede di bilancio all'esame del Consiglio, ma non è stato possibile perché l'esame sullo stato di attuazione della spesa non ha potuto essere ancora fatto in modo completo e tale da consentire una disamina sufficientemente ampia e non solo per spezzoni e riteniamo che una disamina per spezzoni non abbia molto senso in questo contesto. E questo è uno degli impegni che ci assumiamo per andare a fare questo lavoro in modo serio fin dai prossimi mesi.
E qui entriamo nell'ultima parte di questo discorso.
E' stato rilevato nelle consultazioni, è stato rilevato sulla stampa ce l'hanno detto gli enti che sono intervenuti, ce lo siamo detto anche tra noi: il rito della discussione annuale del bilancio rischia di essere un rito abbastanza superfluo e improduttivo, e anche molto noioso per chi parla e per chi ascolta; c'è una noia che è connaturata all'oggetto di questa materia, mai la discussione di cifre ha rappresentato un "divertissement" credo sotto nessun cielo e in nessuna epoca.



BERTI Antonio

E' vero che sei arrivato in ritardo con la relazione, ma...



SIMONELLI Claudio, Assessore al bilancio e programmazione

Questo l'ho già detto in un momento in cui lei non era in aula, ed il fatto che non fosse in aula le dà il grande merito di essere presente per la fine della mia relazione.



BERTI Antonio

Speravo che avesse già finito!



SIMONELLI Claudio, Assessore al bilancio e programmazione

Mi rendo conto che è difficile starla ad ascoltare tutta e che quindi anche in questo caso i turni sono un'innovazione importante nell'attività di lavoro del Consiglio! Il rito del bilancio è un rito veramente sproporzionato rispetto alle capacità reali di confronto e di decisione che vi sono connesse. Di questo dobbiamo essere consapevoli. E il fatto che questo rito debba essere celebrato a scadenze fisse conferisce una certa drammaticità alla discussione sul bilancio e una carica politica che giustamente ha, perché è il documento fondamentale finanziario e contabile della Regione, che per poi non è corrispondente alle conseguenze che dal voto sul bilancio scaturiscono. In altri termini: i bilanci come quelli regionali, intanto non hanno neppure adesso, cioè alla fine dell'esercizio provvisorio certezza sul fronte delle entrate perché il riparto ufficiale definitivo delle entrate della Regione non lo sappiamo, saranno certamente modificati nel corso del 1976 un po' perché continueranno ad aumentare le entrate della Regione nel senso che ormai si va verso un'attività di legislazione del Parlamento che continua a trasferire fondi alle Regioni, al di là di quella che è la legge 281.
I criteri dai quali si può determinare il tipo di entrate regionali sono stati alterati dalla prassi, ci sono delle entrate che ci arrivano in base a leggi che non sono neanche, dal punto di vista strettamente giuridico, configurabili né come legge di trasferimento di funzioni, n come legge di delega, sono leggi che si limitano a trasferire dei compiti e delle risorse che vengono destinate alle Regioni, certamente a destinazione vincolata, ma poi senza neanche sapere se queste risorse rappresentano una vera e propria somma da iscrivere a bilancio, oppure una somma che nel bilancio transita soltanto per arrivare poi al suo utilizzatore definitivo.
E' chiaro quindi che questo bilancio cambierà nel corso dell'esercizio perché ci saranno leggi nuove che trasferiranno altre risorse, perch avremo quantificato dei trasferimenti che oggi mettiamo solo per memoria perché ci sono i fondi della CEE che non sappiamo se e quando arriveranno perché continuamente tutto è soggetto a queste modifiche.
In una situazione di questo tipo diventa essenziale non tanto e non solo il momento in cui si predispone il bilancio all'inizio dell'esercizio ma diventa essenziale controllare la gestione del bilancio, cioè controllare come, giorno dietro giorno, mese dietro mese, la spesa regionale in concreto viene destinata.
Un'altra considerazione deve essere fatta. Il bilancio dello Stato ed in una certa misura anche il bilancio delle Regioni, hanno perso una parte del loro rilievo di tipo politico generale nella misura in cui si sono trasformati in semplice documento che registra delle decisioni di spesa già assunte; proprio l'enorme proliferare della legislazione pluriennale di spesa, che irrigidisce i bilanci futuri, rende meno evidente il significato politico di scelta di ogni singolo bilancio, conferendo il momento di scelta politica al momento in cui vengono votate le singole leggi di spesa.
D'altra parte la mancanza di un quadro pluriennale in cui inquadrare le leggi di spesa spesso non consente, nel momento in cui si vota la legge di spesa, di fare una scelta oculata mediata e inquadrata in una logica programmatoria, col duplice risultato di avere bilanci irrigiditi e di avere decisioni di spesa che li irrigidiscono che non sono conformi a scelte programmatiche, ma che sono spesso casuali, le leggine che il Parlamento per tradizione ormai vota e che noi, anche in qualche caso abbiamo votato.
Anche l'esame una volta all'anno dei conti consuntivi, poi, è un rito che non ha la drammaticità del bilancio, che spesso anzi viene fatto molto in sordina, anche se ci consegna dei dati che sono per certi versi più interessanti di quelli del preventivo, ma che non ha capacità di impatto sulla realtà perché avviene quando i giochi sono fatti e quando cioè delle somme non spese e delle leggi regionali non operanti noi possiamo solo registrare le cifre che vanno a finire nei residui, o quelle che vanno a finire in economia e l'unica scelta che si fa in sede di rendiconto è quella di come impiegare l'eventuale avanzo di amministrazione.
Allora il problema è quello di introdurre strumenti nuovi per consentire al Consiglio, ma più in generale alla società regionale, alle forze sociali, agli Enti locali di partecipare alla vita della Regione attraverso un esame e un controllo della gestione della spesa, in modo continuativo.
Per questo la Giunta si impegna a presentare al Consiglio regionale un documento finanziario che a scadenze periodiche - di tre, quattro mesi, lo decideremo insieme - evidenzi lo stato di attuazione della spesa regionale lo stato di funzionamento delle leggi e consenta quindi di introdurre alle leggi quelle modifiche, anche nel corso dell'esercizio, che quindi consenta di riutilizzare delle risorse che si vede non possono essere utilizzate che consenta cioè di anticipare il momento della verifica rispetto al rendiconto e quindi consenta non di mandare in residui passivi le somme non spese nell'anno ma di trasformarle in altre iniziative di spesa che siano attivabili più rapidamente, che dia cioè in mano alla Regione anche uno strumento di politica anticongiunturale, che consenta di indirizzare la spesa e di modificare la sua destinazione nel corso dell'anno, giacché la tempestività nell'erogazione della spesa, e anche il mutamento nella destinazione della spesa sono fatti importanti di scelta politica e di guida di una politica di spesa.
Per fare un esempio: quando noi abbiamo votato quella legge che stanziava dei denari come contributi agli ECA per il riscaldamento, è chiaro che nel momento in cui quella legge (che poi non è stata operante perché c'è stato il ricorso alla Corte costituzionale) avesse dovuto diventare operante nel mese di giugno, si poneva il problema immediatamente di revocarla e di destinare le risorse ad altri interventi, salvo ripresentarla in ottobre. Ma questa flessibilità nella destinazione della spesa può essere resa possibile attraverso l'esame periodico continuativo dello stato di attuazione delle leggi, che tra l'altro è reso più semplice dalla meccanizzazione del bilancio che abbiamo avviato e che è quasi conclusa, meccanizzazione del bilancio che consente di avere i dati per sorreggere questo documento e consentire questo confronto periodico.
L'altro elemento che è fondamentale ai fini di una diversa politica della spesa e quindi di un diverso ruolo anche del Consiglio regionale, è il discorso del bilancio pluriennale, cioè di un documento nel quale il discorso delle entrate e della spesa sia collocato in un arco di alcuni anni, che è l'arco del quinquennio di vita dell'amministrazione regionale.
Qui arriviamo ad un primo problema: il bilancio pluriennale come documento ad effetti giuridici, cioè come vero bilancio che produce degli effetti, noi non lo possiamo fare finché non passa la legge di contabilità che prevede che appunto sia la sede di riscontro delle spese. Noi ci possiamo limitare, in questa sede, a formulare un bilancio pluriennale che sia di orientamento, quindi con effetti conoscitivi e di orientamento per la politica di spesa della Regione, salvo poi, sfruttando la metodologia seguita ed i risultati ottenuti in questa sede, trasformarlo in quel documento giuridicamente vincolate che sarà previsto dalla riforma della contabilità. Ed è quello che abbiamo fatto in sede di elaborazione del piano regionale di sviluppo e che è stato consegnato oggi ai Consiglieri in una cartellina, che contiene tutta la serie delle proiezioni dell'entrata e della spesa, secondo quattro ipotesi, o meglio, due ipotesi principali e due sotto ipotesi.
In termini sinteticissimi di che cosa si tratta? Abbiamo raggruppato tutte le entrate in un certo modo, prevedendo un certo loro incremento nei prossimi anni, secondo un'ipotesi di massima ed un'ipotesi di minima che sono state illustrate alla Commissione.
A pag. 14 della relazione che accompagna il bilancio sono spiegate queste tabelle e non lo ripeto, dico solo per chiarezza che l'ipotesi di massima parte dai dati del bilancio 1976 innestando delle previsioni di aumento sul plafond rappresentato dal 1976. L'ipotesi di minima invece parte da un livello 1976 più basso di quello contenuto nel bilancio ed è l'ipotesi che piacerebbe ad Alberton, è quell'ipotesi che sconta un aumento di entrate inferiore a quello che abbiamo posto a bilancio.
Per fare un esempio: il fondo dell'art. 8 nell'ipotesi massima parte da 82 miliardi 500 milioni stanziati a bilancio, nell'ipotesi minima parte da 72 e l'incremento previsto parte da 66, cioè dalla quota '76 depurata dalla quota '75. Quindi è un'ipotesi di minima in senso veramente rigoroso scontando degli incrementi molto modesti, in qualche caso, come nella tassa di circolazione, nessun incremento; la tassa di circolazione resta immutata nell'ipotesi di minima, aumenta del 5% nell'ipotesi di massima, l'ILOR parte da 9 miliardi sotto il bilancio nell'ipotesi di minima e aumenta del 5% l'anno, aumenta del 10 nell'ipotesi di massima il fondo comune l'ho già detto, il fondo regionale di sviluppo ha un aumento del 10% nell'ipotesi di minima e del 15 in quella di massima e così via.
Gli interessi sui fondi disponibili decrescono di mezzo miliardo all'anno in un'ipotesi e di un miliardo nell'altro, pensando di attivare la spesa regionale in modo più dinamico ovviamente, se l'ipotesi è di massima in modo tale da ridurre le giacenze di cassa e quindi da ridurre anche gli interessi attivi.
La spesa ha un suo andamento già predeterminato per tutta la spesa vincolata, ossia per quella che corrisponde a trasferimenti dello Stato, o che nasce dalle leggi regionali in vigore, ha un incremento medio del 10 all'anno per quanto riguarda la spesa libera, cioè quella che viene determinata di anno in anno e l'incremento non è comunque basso perché sul totale della spesa libera l'incremento del bilancio 1976 è stato certamente minore del 10%.
Sulla base di questa ipotesi si è calcolato quale sarebbe l'andamento dei bilanci nei cinque anni che vanno fino all'80. Si sono poi introdotte due sottoipotesi, l'una che immagina la contrazione di mutui al tasso del 12%, l'altra al tasso del 13% che è il margine di variabilità dei mutui regionali. In base all'ipotesi di massima (dò dei dati che risultano dalla tabella di sintesi) nessun bilancio regionale può essere chiuso in pareggio tra l 1976 e il 1980; nell'ipotesi massima, cioè nelle condizioni che qui abbiamo ipotizzato come le migliori, il 1977 non può essere chiuso in pareggio e avrebbe, se si realizzassero queste condizioni e se resta immutata la spesa regionale, un disavanzo fra i tre e i sette miliardi. In base all'ipotesi di Minima non vi è quindi nessuna possibilità di finanziare nuove spese nei prossimi anni, anzi, è necessario intervenire per ridurre le spese già stabilite con leggi pluriennali della Regione.
In base all'ipotesi massima, invece, è possibile, superato il 1977 (nel quale comunque dovrà essere fatta una revisione delle leggi regionali) finanziare nuovi interventi che nelle due sottoipotesi, a seconda di qual è l'onere dei mutui, possono variare per i cinque anni tra 144 e 207 miliardi di nuovi interventi; a cui può essere aggiunta la maggiore spesa sostenibile con mutui, cioè quella che può essere innescata sfruttando le capacità di indebitamento della Regione, capacità di indebitamento che anche qui sono nulle nell'ipotesi di minima per tutti e cinque gli anni salvo il 1980 che consentirebbe un piccolo indebitamento; sono invece più ampie nell'ipotesi di massima; anche qui col tasso del 13% nel 1977 bisogna ridurre i mutui già approvati con leggi regionali, nell'ipotesi di massima c'è uno spazio per un ulteriore indebitamento per tutti gli anni. Comunque nella migliore delle ipotesi, immaginando cioè che si realizzino le entrate nei livelli che abbiamo previsto, che i mutui si contraggano mediamente al 12% di interesse, le risorse globalmente disponibili nei cinque anni non sono superiori a 400 miliardi, compresi 200 miliardi di risorse ricavabili dal bilancio e 200 miliardi di risorse assumibili con mutui.
Queste sono le dimensioni sintetiche del bilancio pluriennale che danno un quadro che, ripeto, conferma le cose che dicevo in apertura della mia relazione circa la drammaticità della condizione a cui è pervenuta la finanza regionale. Noi ci troviamo in una situazione nella quale saremo, in ogni caso, costretti a rivedere alcuni dei nostri interventi e dovremo batterci con grande durezza per ottenere risorse finanziarie in modo adeguato per finanziare gli interventi prioritari indicati dal piano nei prossimi anni.
E qui si colloca un problema che è politico, ma che è anche politico istituzionale molto serio. Il fondo previsto dall'art. 9 della 281, così come il fondo previsto dall'art. 12 che riguarda i progetti speciali delle Regioni, dovevano servire a finanziare i piani regionali di sviluppo e cioè a fare affluire alle Regioni delle quote assai consistenti di risorse. Fino adesso questi canali sono stati canali attraverso i quali sono passate risorse limitatissime. Quando noi ragioniamo in termini di un bilancio come il nostro e sull'art. 9 ci arrivano, mettiamo 13 miliardi, con 13 miliardi all'anno per il Piemonte non si finanzia niente. Allora è chiaro che il discorso politico assai impegnativo che le Regioni hanno di fronte, è quello di formulare, attraverso i piani di sviluppo, dei progetti di spesa che possano essere finanziati sull'art. 9 o sull'art. 12 giacché questa è la via, mi pare, la più corretta per chiedere maggiori risorse dallo Stato non quella di un generico incremento delle entrate regionali che nella misura in cui lo Stato non può controllare dove vadano destinate, possono anche giustificare delle resistenze perché si può temere che le Regioni vadano nella direzione di accentuare quelle spinte distorte, quegli effetti perversi della spesa pubblica che ho già ricordato prima vadano cioè in direzione soltanto di erogazioni, di trasferimenti di spesa corrente.
Noi dobbiamo chiedere un aumento delle entrate non a destinazione vincolata che ci consenta il finanziamento dell'attività normale della Regione, ma tutto ciò che appartiene alle spese di sviluppo e quindi agli investimenti prioritari, noi dobbiamo chiedere che venga finanziato non con entrate generiche, ma come entrate dell'art. 9 e dell'art. 12, che per devono avere un salto di dimensioni assolutamente gigantesco rispetto agli stanziamenti attuali. Se veramente i piani regionali di sviluppo sono il punto di passaggio di una nuova spesa pubblica qualificata, se rappresentano il banco di prova della capacità dei poteri decentrati di andare nella direzione di nuovi investimenti pubblici selettivi, capaci di reggere un diverso sviluppo economico, allora è chiaro che in questa direzione lo sforzo della finanza statale deve essere uno sforzo massiccio deve essere uno sforzo gigantesco rispetto all'esperienza passata e quindi questo è l'elemento da far giocare anche per l'attuazione degli interventi che discuteremo del nostro piano regionale di sviluppo. Questa è la strada sulla quale ci si deve mettere per chiedere più soldi per fare certe cose non più soldi genericamente, ma più soldi per finanziare certi progetti di intervento, certi investimenti della Regione.
E qui è il terreno aperto per un confronto che sia un confronto serrato, che vada al cuore dei problemi, che consenta di individuare i nodi. E qui si aprono delle possibilità diverse di finanziamento, cioè si esce da quella impasse, da quella cosa che stringe il cuore, da quei limiti che veramente sono angusti e che il bilancio pluriennale evidenzia e nei quali non c'è spazio per interventi significativi se non si mettono in moto dei processi politici che consentano di acquisire altre risorse e quindi deve essere oggetto di una battaglia precisa sulla quale tutte le forze democratiche si misureranno, cioè di chiedere un salto di qualità alla finanza pubblica in direzione delle Regioni e in direzioni delle spese prioritarie delle Regioni.
Questi sono, a grandissime linee, i caratteri che informano il bilancio 1976. Come avevo promesso, non entro nel dettaglio della spesa, mi fermo a pag. 14 e credo che il Consiglio mi vorrà almeno un po' di benevolenza per questa autolimitazione.
In realtà questo è, colleghi del Consiglio, l'ultimo bilancio che discuteremo in questo modo nel senso che il bilancio 1977 si inquadrerà nel bilancio pluriennale. Io mi auguro che ci sia un bilancio pluriennale come strumento giuridico di contabilità della Regione, però se così non fosse in ogni modo abbiamo l'inquadramento nel bilancio pluriennale nostro e comunque, prima del bilancio 1977, andremo a discutere le linee della spesa della Regione attraverso queste verifiche periodiche; noi avremo tra poco una discussione sul rendiconto del 1975, che è quasi pronto. Con il rendiconto, o subito dopo, bisogna già discutere lo stato di attuazione del bilancio 1976. Quindi, o contestualmente al rendiconto 1975, o subito dopo si va ad affrontare già come si sta spendendo questo bilancio, si va ad affrontare il discorso dei residui passivi che in questa sede sarebbe stato assai arduo discutere. E' sempre opportuno discutere di tutti, però in questa sede sarebbe stato assai arduo discutere dei residui passivi anche in mancanza di uno strumento, quale è il rendiconto, che li quantifichi in modo certo.
Per esempio potrei dare al Consiglio alcune cifre sui residui passivi degli esercizi passivi 1972/73, che sono quelli per i quali, in sede di rendiconto, abbiamo già dei dati certi; allora si può dire che sul bilancio 1972 i residui passivi che erano al 31.12.1974 di 16 miliardi, al 31.12.1975 sono di 10 miliardi, da 16.338 sono 10.878; che i residui passivi di questi 10 miliardi sono di spese di investimento e su questo tornerò subito; i residui passivi del bilancio 1973 sono diminuiti, tra il 1974 ed il 1975, cioè riferendoci ai conti, sono diminuiti da 34 miliardi e 200 milioni a 26 miliardi e 38 milioni.
Quindi, quella parte dei residui passivi che deriva dai bilanci 1972 e 1973, è passata, tra i due rendiconti a fine dicembre 1974 e a fine dicembre 1975, da un insieme che era di circa 50 miliardi, ad un insieme di circa 36 con una riduzione di 14 miliardi.
Peraltro, di questi 36 miliardi oltre 27 sono rappresentati da spese di investimento e cioè sono in particolare quei residui passivi che si hanno presenti quando si dice "somme accantonate e non spese".
Questi residui passivi sono di natura molto diversa tra loro; in parte sono somme stanziate non spese e non spendibili perché corrispondono a dei contributi che la Regione ha dato per mutui che non si sono contratti in quegli anni e quindi che non saranno mai spendibili. Questa parte di residui passivi è quella che può essere cancellata e la Giunta ha predisposto un disegno di legge, che presenterà nei prossimi giorni al Consiglio, per cancellare 15 miliardi di residui passivi di questa natura che si riferiscono ai bilanci 1972, 1973 e 1974.
Una seconda parte di residui passivi riguarda la spesa stanziata e che non è stata ancora spesa per i tempi tecnici di avvio delle leggi regionali e questi residui passivi in parte possono essere riutilizzati con quella revisione delle leggi che dicevo prima, in parte bisogna aspettare che le leggi funzionino, è un ritardo fisiologico; una terza parte di residui passivi contabili riguarda mutui non contratti dalla Regione e quindi non sono somme che la Regione ha accantonato, ma sono i mutui che andremo a contrarre.
Questo insieme di discorso in termini molto concreti lo facciamo in sede di rendiconto del bilancio 1975, se faremo, come io credo dovremo fare del rendiconto, un documento non soltanto da approvare a tamburo battente ma da fare oggetto di approfondimento in questa direzione.
Mi sono lasciato trascinare da Alberton a parlare dei residui passivi la colpa quindi è sua, che mi ha provocato e sollecitato.
Ma voglio concludere.
Credo di avere dato un sommario conto delle difficoltà con le quali si fa un bilancio regionale in questo momento, difficoltà che evidentemente esulano dalle formule, dai gruppi, dalle maggioranze ecc. e che non diminuiscono le responsabilità politiche, per cui ognuno certamente deve fare il suo mestiere, ma sono dati obiettivi dai quali io credo che ogni forza politica debba partire perché sarebbe sbagliato immaginare che la Regione sia una cosa diversa da quella che é, cioè che il nostro bilancio abbia vincoli diversi da quelli che ha, che le nostre capacità di spesa siano diverse da quelle che sono e quindi sarebbe sbagliato un confronto che non tenesse conto dei dati della realtà che ci consegnano un bilancio rigido, nel quale si possono apportare delle modifiche, e la Giunta è disponibile a farlo. A nome della Commissione il relatore Rossi ha dato alcune indicazioni verso talune modifiche che possono essere apportate, il dibattito ne darà delle altre e la Giunta è disponibile ad apportarle, per nel quadro di una situazione che è molto rigida e nella quale non ci sono risorse aggiuntive da destinare ad interventi nuovi, nel quadro più generale di una situazione che vedrà il 1977 come un anno di arresto della spesa della Regione, come un anno nel quale comunque spenderemo molto di meno di quest'anno e nel quale dovremo fare i salti mortali per fare quadrare i conti; con un 1978 che si presenta ancora come un anno di pausa anche se segna già l'inizio di inversione di tendenza, con gli ultimi due anni del quinquennio che invece consentiranno, se ci muoveremo in quest'ottica programmata, di riaccendere le possibilità di spesa della Regione.
Un bilancio, dunque, certamente di transizione per tutte le cose che sono state dette: vuoi per il suo aspetto, vuoi per il momento in cui si viene a collocare, ma non un bilancio di ordinaria amministrazione, non confondiamo questi termini, è un bilancio che non potremo ripetere un altr'anno, è un bilancio che nasce da uno sforzo politico cosciente di mobilitare la spesa della Regione fino ai limiti possibili e immaginabili non un bilancio di ordinaria amministrazione, ma il massimo che sia oggi consentito - e lo ripeto per l'ennesima volta - un bilancio che non sarà ripetibile in questi termini e in queste dimensioni nel prossimo esercizio.
E' alla luce di questi elementi, di questo quadro di luci e di ombre comunque di difficoltà, certo di chiarezza politica nell'uso e nell'impiego delle risorse, che la Giunta consegna il bilancio 1976 al voto del Consiglio.



PRESIDENTE

Dopo avere ascoltato questa severa, come sempre intelligente, anche se un po' lunga, esposizione di un'amarissima situazione, credo che possiamo interrompere i nostri lavori, convocare i Capigruppo per discutere la procedura da seguire nelle prossime ore.
Il Consiglio riprenderà domattina alle ore 9,30.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 18,30)



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