Sei qui: Home > Leggi e banche dati > Resoconti consiliari > Archivio



Dettaglio seduta n.44 del 14/04/76 - Legislatura n. II - Sedute dal 16 giugno 1975 al 8 giugno 1980

Scarica PDF completo

Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SANLORENZO


Argomento:

Ordine del giorno della seduta


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
I colleghi hanno ricevuto l'ordine del giorno che reca: 1) Approvazione verbali precedenti sedute 2) Comunicazioni del Presidente 3) Relazione della Commissione speciale di indagine conoscitiva sul fenomeno della droga in Piemonte 4) Esame progetti di legge n. 18 e 58 relativi ai provvedimenti per il recupero e l'utilizzazione delle terre incolte od insufficientemente coltivate 5) Esame disegno di legge n. 39: "Finanziamenti relativi a favore delle cooperative a proprietà indivisa" 6) Esame disegno di legge n. 40: "Acquisizione o risanamento di complessi residenziali di interesse storico o culturale".
Vedremo nel corso dei lavori se seguire i punti cosi come sono stati elencati, o se modificare qualcosa.
La parola al Consigliere Berti.



BERTI Antonio

Chiedo subito la modifica dell'ordine del giorno, cioè che si cominci con la droga e con i disegni di legge n. 39 e 40, rinviando ad oggi pomeriggio l'esame dei progetti di legge sulle terre incolte.



PRESIDENTE

Non ho nessuna obiezione, anzi, direi che questa procedura permetterebbe di svolgere con calma e serenamente i nostri lavori in modo ottimale, un tema o due al mattino e uno importante al pomeriggio, cosi che ci sia sempre la possibilità di un confronto vero sulle questioni che si discutono.
Vi sono delle obiezioni a questa procedura? Non ve ne sono.


Argomento:

Ordine del giorno della seduta

Argomento:

Approvazione verbali precedenti sedute


PRESIDENTE

I colleghi hanno ricevuto i processi verbali delle adunanze del 31 marzo e del 1° aprile. Vi sono delle osservazioni? Possiamo dichiararli approvati? Sono approvati.


Argomento:

Approvazione verbali precedenti sedute

Argomento:

Comunicazioni del Presidente


PRESIDENTE

Passiamo al punto secondo dell'o.d.g.: "Comunicazioni del Presidente".


Argomento: Ordine pubblico e sicurezza

a) Atti criminali avvenuti a Torino nelle ultime 24 ore


PRESIDENTE

Signori Consiglieri, i momenti gravi che il Paese sta attraversando sono in questi giorni resi ancora più drammatici dal succedersi in queste ultime 24 ore di atti criminali di provocazione e di tensione.
Nella notte di ieri è stata devastata e incendiata la Camera del Lavoro di Sassari. Ieri a Nichelino un caposquadra della Fiat Mirafiori è stato ferito alle gambe da due sconosciuti.
Informo altresì che questa notte, alle ore 0,05 un incendio, assai probabilmente doloso, è scoppiato nel magazzino sellerie della Fiat Rivalta dove vengono tenute parti di gomma piuma. Il 50 per cento della costruzione del capannone di 6.000 mq. è andato distrutto; solo l'intervento immediato dei lavoratori presenti nel turno di notte, della manutenzione, dei Vigili del fuoco ha permesso di domare le fiamme e salvare parte del materiale ed impedire che l'incendio si estendesse agli impianti di produzione.
La Federazione dei lavoratori metalmeccanici ha emesso questa mattina un comunicato ed ha invitato tutti i lavoratori alla massima vigilanza. E allo scopo di favorire il ripristino degli impianti e lo svolgimento rapido delle indagini, ha deciso di revocare lo sciopero interno programmato per la giornata di oggi, nella convinzione di interpretare il sentimento di tutti i lavoratori e di contribuire per questa via anche a dimostrare il più alto senso di responsabilità.
Credo che la decisione dei lavoratori non sia affatto una rinuncia alle loro legittime rivendicazioni nella lotta per il contratto, ma indica la via della responsabilità a tutte le forze politiche perché quando la casa brucia si trovi la via dell'intesa per salvare il nostro Paese prima di tutto dalle forze che tendono, con la strategia della tensione, con l'inflazione, la speculazione sulla lira a renderlo ingovernabile e portarlo alla rovina.
Penso che il Consiglio regionale, nell'elevare la sua condanna di fronte a questo ennesimo atto di violenza possa anche esprimere il suo compiacimento verso l'atteggiamento che lavoratori stamane hanno preso alla Fiat Rivalta.


Argomento:

a) Atti criminali avvenuti a Torino nelle ultime 24 ore

Argomento:

b) Congedi


PRESIDENTE

Hanno chiesto congedo i Consiglieri Martini, Zanone, Ferraris e Menozzi.


Argomento:

b) Congedi

Argomento:

c) Presentazione progetti di legge


PRESIDENTE

Sono stati presentati i progetti di legge: n. 85: "Istituzione dell'anagrafe patrimoniale dei Consiglieri regionali e degli amministratori degli enti regionali", presentato dal Consigliere Carazzoni in data 1° aprile 1976 n. 86: "Rifinanziamento della legge regionale 4 giugno 1975 n. 46 'Interventi a favore di consorzi fra enti locali per lo smaltimento dei rifiuti solidi'", presentato dalla Giunta regionale in data 7 aprile 1976 n. 87: "Istituzione dell'Azienda autonoma della tenuta La Mandria" presentato dalla Giunta regionale in data 9 aprile 1976.
Qualcuno chiede la parola? Nessuno, quindi passiamo al punto successivo dell'o.d.g.


Argomento: Programm. e promoz. attivita" socio-assist. (assist. minori, anziani, portat. handicap, privato sociale, nuove poverta")

Relazione della Commissione speciale di indagine conoscitiva sul fenomeno della droga in Piemonte


PRESIDENTE

Il punto terzo all'o.d.g. reca: "Relazione della Commissione speciale di indagine conoscitiva sul fenomeno della droga in Piemonte". I Consiglieri penso avranno ricevuto tutto il materiale.
Egregi Consiglieri, la Commissione d'indagine conoscitiva sull'uso ed il traffico della droga in Piemonte, insediatasi il 10 dicembre 1975 dopo essere stata costituita dal Consiglio regionale, presenta oggi i risultati dei suoi lavori svoltisi in poco più di tre mesi assegnatigli.
Un arco di tempo assai breve rispetto alla difficoltà del compito e che tuttavia abbiamo voluto rispettare anche a scapito di una maggiore completezza. Il rispetto dei tempi inoltre è stato reso possibile per la collaborazione che la Commissione ha ricevuto da diversi e numerosi settori della comunità regionale.
I Consiglieri ricorderanno quali erano gli obiettivi che la Commissione si era prefissi: essi erano una raccolta di dati sull'entità effettiva del fenomeno, sulle cause dell'uso della droga, sui luoghi di consumo, sulle caratteristiche dello spaccio e del traffico in Piemonte.
A termine dei lavori credo che possiamo dire che questi obiettivi sono stati in parte anche rilevante raggiunti ed oggi la comunità regionale ha a disposizione una serie di dati, di elementi, di caratteristiche specifiche che crediamo sufficienti per valutare la dimensione di un fenomeno assai complesso e grave.
Questa somma di conoscenze oggi può essere messa a disposizione dei diversi operatori in questo campo (fra i quali la nostra stessa Regione ) conoscenze che permetteranno un'applicazione non solo tecnica della legge antidroga da pochi mesi in funzione, ma anche e soprattutto - crediamo permetteranno di individuare una linea complessiva di interventi per prevenire e contrastare il diffondersi del fenomeno, limitare i guasti che ha già provocato e può provocare, colpire coloro che del traffico della droga hanno fatto una delle più pericolose forme di delinquenza organizzata.
Tali risultati, che i Consiglieri potranno vagliare leggendo gli atti della Commissione, sono stati possibili perché l'indagine ha avuto un carattere ancora più spiccatamente di massa di quella che il nostro Consiglio regionale aveva condotto nel 1975 sui fenomeni di criminalità e di eversione fascista.
Il dato certamente più rilevante e significativo è, crediamo, prima di tutto costituito dal numero di risposte al questionario che la Commissione ha proposto ad un corpo sociale omogeneo quale quello rappresentato dagli studenti delle scuole medie superiori pubbliche e private del Piemonte.
97.056 giovani hanno risposto al questionario. 348 scuole medie pubbliche e private su 450 interessate hanno raccolto l'invito a condurre l'inchiesta.
Delle 97.056 risposte pervenute, censite ed analizzate solo il 4,62 per cento ha dato risposte non utili ai fini dell'inchiesta.
Questo è certamente il primo dato rilevante dell'iniziativa poich l'esito del tentativo non era affatto scontato in partenza.
Infatti sia nella fase delle consultazioni che in quella della vera e propria attuazione dell'indagine di massa nelle scuole è stato messo costantemente in evidenza il fatto che non si trattava di un compito in classe, di un'imposizione, di una circolare da attuare emanata da un qualsivoglia organo dello Stato, ma di un'indagine che è stata realizzata nella stragrande maggioranza di casi con il consenso di coloro verso i quali era diretta.
L'inchiesta ha però coinvolto anche coloro che per compiti istituzionali o per professione o specializzazione o per aver condotto esperienze autonome già si erano occupati del problema.
E già la fase di consultazione preliminare alla stessa indagine di massa condotta in 24 centri con la partecipazione di 1.250 rappresentanti degli organi di gestione della scuola, di educatori, di specialisti, di rappresentanti di Comuni, avevano indicato la possibilità di riuscire a delineare un quadro del fenomeno come sinora non si era potuto ancora ottenere.
Tutti i dati raccolti ed esposti nella relazione della Commissione consentono di affermare che senza poter dare dimensioni quantitative precise oltre a quelle riscontrate nei singoli settori di indagine, il fenomeno del consumo della droga in Piemonte è già grave anche se le cifre non giustificano strumentali allarmismi. Si tratta di una gravità che è suggerita da una certa diffusione del fenomeno in ogni zona del Piemonte da una sua tendenza allo sviluppo e, quindi, indicativa di una potenziale tendenza dei processi di emarginazione verso una qualità negativa della vita.
Fra gli elementi conoscitivi utili a dare una dimensione del fenomeno vanno citate le 1.767 dichiarazioni pari all'1,82 per cento dei giovani che hanno risposto al questionario affermando di aver fatto uso della droga.
Altro dato certo sono le 2.370 richieste di intervento registrate in un anno dal Centro Abele mentre tutti gli altri dati complessivi che tendono a quantificare sono stati registrati nell'indagine ma sono il frutto di valutazioni che la Commissione semplicemente riporta lasciandone ai diversi soggetti che l'hanno formulato la responsabilità. Va tuttavia considerata con rilevante interesse la tabella elaborata dalla Commissione e comprendente la segnalazione di 87 scuole dove più alta è stata l'indicazione del consumo della droga avvenuta nel passato o esistente al presente.
Le indicazioni relative al fenomeno del traffico e dello spaccio di sostanze stupefacenti in Piemonte emerse hanno evidenziato un nodo che in materia è apparso pressoché "connaturato" all'indagine: vale a dire la difficoltà di riuscire ad isolare le fonti (persone, organizzazioni ambienti) di traffico e spaccio "puro" dal contesto più ampio e meno probante dello spaccio-consumo.
Il quadro che ne emerge, stando ovviamente alle segnalazioni e lasciando quindi ad esse e a chi le ha rese la responsabilità delle indicazioni (che, com'è ovvio ma non inutile precisare, la Commissione assume con le dovute riserve), delinea una presenza del fenomeno del traffico e dello spaccio aggregato attorno ai centri maggiori delle varie province, secondo localizzazioni in genere relative a locali di divertimento o luoghi aperti al pubblico.
La registrazione di 125 luoghi come sedi di traffico e di smercio occasionale o permanente di un qualche tipo di droga ci pare fornisca almeno una traccia di una più complessa mappa del traffico che rimane ancora da redigere.
Le vere e proprie "centrali" coincidono probabilmente invece con altri luoghi dove la malavita organizzata, entrata gradualmente negli ultimi tempi anche nei mercati e "piazze" periferiche (come, tutto sommato sembrerebbe essere tuttora il Piemonte) ha le sue sedi.
Per quanto concerne le motivazioni dell'uso della droga, la Commissione ha preso in esame sia le risposte fornite da dossier, studi, dichiarazioni di varia provenienza e più specificamente le risposte alla terza domanda del questionario: "Secondo il tuo parere per quale motivo un giovane ricorre all'uso della droga?". Tale domanda ha avuto in tutto il Piemonte 125.672 risposte o meglio sono stati dai giovani indicati 125.672 motivi perché molto spesso la risposta portava l'indicazione di più motivi come cause del ricorso alla droga.
I motivi indicati più frequentemente sono, in ordine percentuale decrescente, le cause di tipo morale, quelle di carattere sociale, quelle di carattere ideale e anche la curiosità. Emerge comunque un dato: le cause e le matrici del fenomeno droga sono le stesse degli altri fenomeni di emarginazione e disadattamento, di cui la droga non è che un aspetto, certo il più grave e il più pericoloso.
Abbastanza significativi, a questo proposito, i tre giudizi che seguono: "C'è un numero di giovani che fa ricorso alla droga per provare un'esperienza e poi nella maggior parte dei casi smettono. E' più preoccupante invece quando la droga viene presentata, a ragazzi di periferia, emarginati, che purtroppo non la vedono come esperienza, ma come elemento in cui cercare una determinata sicurezza, in cui trovare se stessi, per mezzo della quale uscire da una società che essi rifiutano. E' facile per un giovane caderci, quando avvengono in lui mutamenti, crisi paura della vita" (ragazza - Succursale "P. Gobetti" di Torino) "Premettendo che un drogato è sempre un malato o almeno un ragazzo o una ragazza che ha dei problemi. Questi nascono da un tipo di struttura sociale che imprime un tipo di rapporto tra individuo e individuo che è posto su un piano superficiale ed umanamente carente. Ciò è anche dimostrato dallo spostamento di chi usa la droga, prima principalmente giovani di classe borghese, ora soprattutto giovani che provengono dal proletariato e sottoproletariato cioè quei giovani che particolarmente soffrono di quei rapporti sociali che vengono imposti" (ragazzo - Liceo scientifico "Vercelli" di Asti), ed un'allieva dell'Istituto Magistrale "Soleri" di Saluzzo: "Io credo che un giovane inizi a drogarsi perché non ha trovato affetto nelle persone che lo circondano, le quali invece di incoraggiarlo lo demoliscono in partenza e non lo aiutano a superare le crisi che un giovane può attraversare".
Ed emerge altresì l'insufficienza e l'incapacità della scuola a rispondere alle esigenze di preparazione, di crescita culturale dei giovani cui si aggiungono le drammatiche prospettive per il futuro lavorativo degli stessi. Di qui le cause del disorientamento ideale e di comportamenti repressivi e deresponsabilizzanti come il ricorso alla droga.
Le risposte degli studenti alla domanda relativa alle esperienze tratte da chi ha fatto uso di droga riconfermano la realtà evidenziata dalle indagini giornalistiche: nella quasi totalità coloro che danno una valutazione positiva delle esperienze compiute sottolineano nello stesso tempo con chiarezza che tale giudizio verte solo sulle droghe leggere mentre le droghe pesanti sono sempre viste, tranne rarissime eccezioni come fattore emarginante, elemento che isola, in modo definitivo, dal tessuto sociale. Comunque, anche per le droghe leggere il giudizio degli studenti nasce dalla sensazione o presunzione di poter usare la droga come rimedio all'insoddisfazione personale, al malessere e disagio provocati da motivi di carattere sociale. Motivi di carattere sociale che un'analisi attenta da parte della Commissione non può non sottolineare come annotazione ricorrente Per quanto concerne i rimedi, la Commissione dedica tutta una parte della relazione che è già il frutto di un'elaborazione degli Assessorati di tutte le Regioni.
La domanda del questionario nelle scuole: "Quali rimedi suggeriresti per combattere fenomeno?" ha avuto 110.613 risposte. Occorre tener presente però che molti ragazzi hanno suggerito più rimedi nella stessa risposta e che quindi certe risposte sono state registrate più volte Analizzando le risposte pervenute si può intanto constatare una maturità di fondo dato che il complesso di proposte preventive o di rimozione delle cause o di intervento medico assommano ad oltre il 52,71 per cento delle risposte effettivamente formulate.
Dal complesso delle risposte appare un elevato grado di consapevolezza sociale e politica della natura complessa del fenomeno e delle strade da percorrere per combatterlo efficacemente.
Se si vogliono cogliere particolari tipi di proposte che possono essere assunte come emblematiche di tutta una gamma di posizioni che si esprimono nelle risposte degli studenti, si può prendere ad esempio ciò che scrive un ragazzo dell'Istituto "Leonardo da Vinci" di Borgomanero là dove rileva che: "Il diffondersi delle droghe leggere o pesanti come fenomeno di massa richiedono risposte politiche di massa. E' in questo senso che va combattuta una grande battaglia ideale per eliminare il fertile terreno del qualunquismo su cui attecchisce la droga per dare una prospettiva politica ai giovani". Oppure ciò che scrive una ragazza del Centro Professionale INAPLI di San Cassiano d'Alba che è riuscita ad uscire dall'esperienza droga là dove dice: "Io ho avuto un appoggio, qualcuno, che ancora adesso mi vuole bene, ma purtroppo non tutti sono fortunati. Il miglior rimedio sarebbe di volersi bene, aiutarci l'un con l'altro, cercare di combattere".
Fra le risposte che invitano a risalire alle cause e ne indicano nello stesso tempo alcune, ci pare indicativa ed emblematica quella di una ragazza della Civica Scuola Magistrale di Torino che indica la necessità di "risalire alle cause del gesto, come nel mio caso. Se avessi avuto un aiuto per risolvere la crisi che c'è nella mia famiglia e nella scuola non mi sarei più drogata".
In questo senso va inteso e interpretato lo spirito della nuova legge che non punisce più chi detiene ad uso personale modiche quantità di droga: non è reprimendo che si frena la propagazione del fenomeno droga, ma predisponendo a priori i mezzi per il recupero dei drogati.
Altro mezzo di intervento per frenare la diffusione della droga è senz'altro la prevenzione da attuarsi soprattutto attraverso l'informazione a tutti i livelli partendo naturalmente dalle scuole. A questo discorso si riallaccia quello dell'assoluta carenza nel nostro Paese di un'educazione sanitaria correttamente intesa che non consiste certo in un ormai generalizzato abuso di farmaci (e soprattutto di psicofarmaci) attraverso anche incontrollate forme di pubblicità.
La nuova legge prevede la realizzazione entro sei mesi, di centri medici di assistenza cui dovrebbero rivolgersi coloro che vogliono abbandonare la droga.
Questi centri non dovrebbero limitarsi a prestare al drogato che vuole abbandonare la droga, le cure mediche e farmacologiche necessarie, ma debbono affrontare i problemi non solo individuali ma sociali, politici e psicologici del fenomeno droga.
L'intervento dell'ente pubblico, se può comportare il rischio di cui sopra, è però fondamentale per far sì che questi centri non siano avulsi dalle strutture della società organizzata, cioè siano collegati a servizi sociali e sanitari organizzati sul territorio e soprattutto alle costituende Unità locali dei servizi, il che, oltre a rispondere ad evidenti criteri di programmazione degli interventi pubblici, costituirebbe per questi centri un'indubbia garanzia di tipo organizzativo, tecnico ed economico.
Si possono riassumere le indicazioni emerse circa gli interventi che l'ente pubblico può effettuare nei seguenti punti: a) opportunità di sviluppare una corretta azione informativa, a tutti i livelli e soprattutto a quello scolastico b) necessità di approfondire la dimensione del fenomeno per conoscerne la consistenza reale presupposto indispensabile per un intervento organico c) necessità di collocare gli interventi curativi e riabilitativi intesi in senso lato, in un quadro complessivo che non si limiti agli aspetti sanitari del fenomeno ma ne abbracci anche gli aspetti sociali ed umani.
Si tratta del resto delle stesse indicazioni che scaturiscono, pur con alcune carenze e limiti, della nuova legge.
Queste indicazioni sono contenute e sviluppate nel documento introduttivo presentato dalla nostra Regione alla riunione interregionale sull'applicazione della legge antidroga svoltasi recentemente a Torino e che la Commissione condivide e fa proprio.
A lavori ultimati sono apparsi, altresì, chiari i limiti dell'inchiesta che in parte erano consapevoli sin dall'inizio (e quindi sono stati in qualche modo voluti come connaturati ad un'operazione che aveva tempi e scopi definiti) e in parte sono risultati dall'impossibilità di pervenire a gradi superiori di conoscenza.
In effetti, mentre in uno specifico settore della scuola è stato possibile condurre un'inchiesta di massa, tale operazione non è stata possibile, ad esempio, né all'Università né in altri settori della vita sociale (zone di alto reddito o zone di emarginazione sociale), luoghi di divertimento (discoteche o night clubs) o luoghi dove vivono agglomerati rilevanti di cittadini (caserme).
In questo senso l'indagine rappresenta un'esperienza che deve avere degli sviluppi ed una continuità. E' evidente che i limiti potranno e dovranno essere superati contestualmente all'applicazione della legge e dovrà darsi vita ad iniziative dei Comuni, dei Comitati di quartiere, degli organi di gestione della scuola per approfondire ed elevare il grado di conoscenza e per perfezionare l'efficacia dell'intervento.
E' abbastanza evidente che la Commissione auspica che i dati locali e particolari che in cosi rilevante misura sono comunque emersi e che indicano i punti cruciali dove il fenomeno e più grave, siano oggetto di approfondimenti da attuarsi a cura di tutti gli organi preposti sia per quanto concerne l'azione preventiva che per quella repressiva.
La Commissione inoltre ha già provveduto, adempiendo ad uno specifico obbligo giuridico, a consegnare alla Magistratura e alle Autorità di Polizia giudiziaria tutti i dati che interessano le competenze istituzionali di tali organi.
La Commissione infatti non aveva la titolarità giuridica né i mezzi a disposizione per accertare se le segnalazioni pervenute corrispondono, e in quale misura, alla realtà dei fatti.
La Commissione appena venuta a conoscenza delle segnalazioni ha deciso di informare le autorità competenti le quali hanno il diritto-dovere di utilizzare il materiale loro consegnato per condurre gli accertamenti e le indagini che la legge stabilisce.
La Commissione rileva ancora il tipo di collaborazione nuovo, e crediamo proficuo, che per questa via si è venuto a stabilire fra la Regione, la partecipazione popolare e le autorità preposte alla lotta contro tutti i tipi di criminalità.
E' convinzione finale della Commissione che una corretta azione di prevenzione sociale nei confronti della criminalità organizzata soprattutto di quella che si dedica in Italia e all'estero al traffico della droga leggera e pesante, non possa essere condotta se non attraverso un'integrazione degli interventi degli organi istituzionali dello Stato con nuove e sempre più ampie forme di partecipazione democratica degli enti territoriali e delle comunità locali Chi chiede di parlare? Consigliere Beltrami, ne ha facoltà.



BELTRAMI Vittorio

Signor Presidente, signori Consiglieri, l'esperienza che assieme abbiamo portato avanti dando vita alla Commissione di indagine sulla, droga ha dato luogo ad un arricchimento dei Consiglieri regionali che vi hanno partecipato: sul piano conoscitivo per la penetrazione entro un mondo del quale avevamo tanto sentito parlare e sul quale tanto era stato detto e scritto ma dei quale afferravamo dimensioni e immagini attraverso la semplice percezione intuitiva sul piano umano-politico-sociale per i molti contatti avuti qui e in periferia, per avere scoperto che a vivere un dramma, oltre ai soggetti protagonisti attivi (dovremmo dire "passivi" se visti entro gli effetti riduttivi e frustranti provocati dall'uso della droga) e le loro famiglie c'erano espressioni di milizia spontanea a livello di volontariato che, da sempre, per carica di spontaneità e di interesse ha coperto molti spazi, ha promosso organici - anche se tardivi - interventi dei pubblici poteri.
La droga è segno dei tempi! La droga è segno della decadenza dei valori morali, del costume, della tradizione.
La conseguenza è una malattia che investe chi ne è coinvolto sotto il profilo fisico-psichico e noi Regione dobbiamo muoverci nei suoi confronti come ci si muove verso l'ammalato comune, anche se ci troviamo di fronte ad un tipo strano di ammalato.
E' in crisi il modello tradizionale della famiglia, causa l'isolamento o la polverizzazione della cellula nucleo familiare nell'aggregazione urbana. Il rapporto educativo tra genitori e figli risente di una dinamica di vita che propone situazioni tanto difformi per le diverse famiglie. I genitori talvolta sono fuori casa per il lavoro; i figlioli raggiungono un livello di istruzione superiore a quello dei genitori; ci sono problemi di immigrazione interna; la spersonalizzazione del rapporto tra abitanti dello stesso borgo per il tipo di vita introdottosi nelle grandi convivenze (fabbrica, scuola, centri socio- assistenziali, ospedali); la solitudine di molte persone; la mancanza di ideali ai quali rivolgersi e rifarsi per una loro traduzione entro schemi di vita non "burocratici" e da offrire a quei giovani che nella vita, talvolta, hanno tutto e subito, senza attendere magari coinvolgendo nel loro disastro i sacrifici della generazione che li ha prodotti.
Giovani ai quali si rivolge la legge del 22 dicembre u.s. che con un buon lavoro il Parlamento della Repubblica ha offerto al Paese per tentare di risolvere un problema tanto scottante.
Legge non permissiva, non punitiva se non per giusto titolo e nella giusta direzione proponendo larga comprensione per il giovane che ingenuamente incappa nella rete diabolica dello spacciatore che, ricavando ricchezza economica dal commercio della droga, viene invece perseguitato con ferma decisione.
Legge perfettibile, correggibile certamente dopo l'esperienza della prima applicazione, ma tanto minuziosa e che per la prima volta mette in moto anche i nuovi organi democratici della scuola, si rivolge ai genitori ed agli insegnanti, richiama i valori del volontariato, affida precisi compiti alle Regioni - e siamo qui assieme a fare voti perché trovino espressioni di concretezza operativa - entra nelle caserme e affida alla magistratura l'intelligente gestione delle norme, perché trovino nella fermezza dell'intervento l'occasione di rioffrire una dimensione umana al problema.
Sarebbe un atto di ingenua superbia pensare che quanto oggi è all'esame del Consiglio possa avere definito ili problema, e l'ha già detto, il Presidente nella sua relazione.
Le risultanze dell'indagine, però, ne propongono l'esigenza risolutiva attraverso il linguaggio e l'esperienza dei giovani delle medie e dei giornalisti, talvolta anche nella contraddittorietà delle indicazioni.
E' premessa per un approfondimento che deve rivolgersi alle aree non toccate dall'odierna relazione (Università, zone di alto reddito e di emarginazione sociale, grandi ambienti di vita comunitaria) in una Regione come la nostra dove talune province hanno interzone penetranti e sovrapposte su altri territori, zone di confine e di transito di ogni merce e quindi anche della droga.
Deve darci soprattutto la certezza, la profonda convinzione che lo scandalo vero della droga è il commercio disumano dello spaccio, della distribuzione e che la piaga, proprio per essere tale, può toccare ognuno di noi, può addirittura arrivare alle nostre famiglie.
Le considerazioni che ho svolto brevemente e non solo l'ultimo paventato pericolo ci inducano ad essere solleciti nell'intervento, aperti alla comprensione verso chi è travolto da malattia tanto crudele, per offrirgli un grosso motivo di speranza, meglio ancora se l'intervento pu innestarsi in un quadro di intervento generale secondo linee di respiro in un compiuto piano di riforma sanitaria.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Carazzoni.



CARAZZONI Nino

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, intervenendo in questo dibattito a nome della Destra Nazionale che abbiamo avuto l'onore di rappresentare nella Commissione speciale di indagine conoscitiva sulla diffusione della droga in Piemonte, sembra a noi opportuno sottolineare che tema della discussione altro non possano né debbano essere che lo svolgimento ed i risultati dell'inchiesta stessa.
Intendiamo, cioè, dire che - almeno ad avviso nostro - non è questa l'occasione per intervenire sul fenomeno della droga in sé e per s considerato un fenomeno di drammatica attualità e di spaventose ripercussioni, che ha ben precise matrici e connotazioni non soltanto sociali od economiche, ma anche più squisitamente politiche. Certo, un dibattito in questi termini sarebbe senza dubbio interessante, ma ci porterebbe alquanto lontano soprattutto lungo la strada della ricerca e della denuncia che oggi non possono non essere fatte risalire a quelle forze ed a quei gruppi di estrazione radical-marxista che in America, in Europa, in Italia hanno predicato o vanno predicando una vera e propria "filosofia della droga" per sovvertire ogni ordine costituito, per dissacrare valori tradizionali, in una parola per rivoluzionare e distruggere la società. Un confronto o, probabilmente, uno scontro di tesi su questo piano risulterebbe, come dicevamo, di vivo interesse: ma travalicherebbe i confini entro i quali pensiamo che il dibattito di oggi vada mantenuto. Così anche, neppure crediamo che sia questa l'occasione per parlare ancora della legge 22 dicembre 1975, n. 685, sulla disciplina degli stupefacenti e delle sostanze psicotrope, che ha profondamente innovato la legislazione vigente in materia. Sarebbe anche questa discussione di indubbia qualità che ci consentirebbe di ribadire la nota posizione della Destra Nazionale gia affermata a livello parlamentare così alla Camera come al Senato e motivatamente critica nei confronti di una normativa che - se accettabilmente individua il drogato come un ammalato non da punirsi, ma da curarsi tuttavia è inaccettabile laddove non stabilisce l'obbligatorietà della cura disintossicante in cliniche specializzate né punisce, anche soltanto a livello contravvenzionale, l'uso di sostanze stupefacenti. Ma sarebbe pur essa quasi una divagazione rispetto a quello che è e deve rimanere al centro di questo nostro dibattito.
Se dunque - come confidiamo - vorremo tutti limitarci ed attenerci allo specifico argomento del lavoro svolto dalla Commissione, noi potremo senz'altro avviare da qui il nostro intervento, anzitutto cercando di chiarire a noi stessi ed a quanti avranno la cortesia di ascoltare - e non crediamo proprio d'andare con queste osservazioni fuori tema - perché mai la Presidenza del Consiglio regionale, cioè a dire il Presidente Sanlorenzo, cioè a dire il Partito comunista italiano, abbia voluto assumere questa iniziativa.
Non è certo una domanda oziosa: se si parte dal presupposto che per noi è apodittico - ma che apodittico non dovrebbe essere per noi soltanto - che nella fredda strategia comunista nulla viene affidato al caso ma tutto è preventivamente programmato e finalizzato all'interesse del partito, la prima cosa che occorre chiedersi a fronte di una qualunque "mossa" del PCI è dove voglia andare a parare.
In altre parole: se il Partito comunista si fa promotore in Piemonte di un'inchiesta sulla diffusione della droga, noi pensiamo che, prima ancora di scendere ad una valutazione di massima dei risultati di questo "passo" ci si debba sforzare di capire e di interpretare in chiave politica perch il PCI abbia voluto l'indagine. Per censire i drogati piemontesi? O per preparare la Regione ai nuovi compiti che le vengono affidati dalla legge 685? Non per questo. O non soltanto per questo. A nostro avviso, le ragioni vere hanno da essere ricercate altrove e - poiché non vi è stato modo di parlarne prima, cioè all'insediamento della Commissione - vedremo almeno di individuarle ora.
Per anni la parola droga è stata, per il Partito comunista, una parola tabù. L'argomento era considerato impopolare. Chi si drogava, inoltre, o apparteneva alla fascia medio-alta della borghesia o faceva parte di quella schiera di giovani del '68 che politicamente nasceva già oltre il PCI, se non proprio contro di esso.
L'elettorato comunista, ritenevano i dirigenti del partito, non ne era quindi coinvolto. Né lo sarebbe stato. Tant'è vero che, nel silenzio della sinistra ufficiale, l'iniziativa per modificare la legge antidroga del 1954, ciecamente repressiva, parte nel 1972 addirittura dal Ministro della Sanità, Gaspari, democristiano, cui seguono due diverse proposte, entrambe della DC, l'una del senatore Torelli, l'altra del senatore De Carolis. Nel frattempo, però, in consumo degli stupefacenti subisce sostanziali cambiamenti. Proprio nel 1972 vengono immessi sul mercato a prezzi promozionali, notevoli quantità di morfina e l'anno seguente inizia il lancio (dapprima per campioni geografici e sociali, poi in grande stile) dell'eroina. Nella primavera 1975 gli eroinomani regolari sono cinquemila nell'autunno salgono a ventimila, entro due anni saranno centomila. La droga diviene un fenomeno di massa. Se prima l'area di diffusione era tipicamente borghese, oggi gli stupefacenti si diffondono tra i proletari ed i sottoproletari, si consumano nelle periferie urbane e nelle zone dove sorgono le fabbriche, coinvolgono decine di migliaia di famiglie, minano quello che è forse l'ultimo tessuto sociale rimasto omogeneo in trent'anni di dopoguerra.
La diffusione "proletaria" ha caratteri propri, che il Partito comunista fiuta come pericolosi. Se tra gli studenti ed i giovani della borghesia la regola e il passaggio dalla droga leggera (hashish, marijuana) a quella pesante (eroina, morfina, cocaina), nelle aree proletarie lo stadio delle droghe leggere viene di norma saltato.
Emarginazione, miseria, disoccupazione, mancanza di ideali culturali spingono il giovane della periferia nel giro della malavita di basso rango locale. La sua carica di ribellione, quindi, invece di trovare sbocchi politici, si indirizza verso soluzioni individualistiche di segno negativo assoluto: la più semplice delle quali è il consumo della droga pesante, cui si accompagnano, dal punto di vista ideologico, i miti della sottocultura di impronta americana (la musica, il cantante, la vita giorno per giorno la negazione del lavoro). In queste aree, cioè, non si tratta di seguire una moda più o meno culturale o di dimenticare un sogno spezzato. Si tratta di cancellare le sofferenze di una terribile realtà senza prospettive: la sigaretta non basta, la droga è subito pesante, con tutti gli effetti sociali (prostituzione, furti, spaccio, eccetera) che ad essa si accompagnano. Di fronte a questa nuova realtà, che intacca il suo elettorato e sempre più allontana schiere di giovani dalla milizia politica, il Partito comunista "scopre" il problema della droga.
E "scopre" anche (siamo nell'estate 1975) il suo ritardo nei confronti delle forze dell'estrema sinistra che, su questo argomento, risultano essere ben più avanti. "Più avanti" in ogni senso: i gruppi extraparlamentari presentano un campo di posizioni molto vario, che va dalla totale tolleranza verso la droga sino all'estrema intolleranza, vista però, quest'ultima, da chi in tempi passati ha consumato droga in segno di ribellione anti-borghesia e, al limite, come arma rivoluzionaria. Vista cioè, dal di dentro.
Il Partito comunista, invece, mantiene ancora una posizione generica moralista, un po' da chiesa: la droga è male, in sostanza. Per risalire la china, il PCI mobilita - a partire dall'autunno 1975 - tutto il suo potente apparato: ed è su questo sfondo di mobilitazione generale che viene alla luce, nel dicembre dell'anno scorso, l'iniziativa del "Piemonte rosso" per un'indagine di massa sulla diffusione ed il consumo della droga.
Un'iniziativa-campione che - come ha sottolineato il relatore e come infatti ha da essere evidenziato - non ha precedenti in Italia: il che viene solo a confermare, anche attraverso questa vicenda, quale delicata ed eccezionale importanza abbia il governo comunista della nostra Regione per il tipo di sperimentazione che, in campi diversi (e ne abbiamo un esempio anche dal convegno europeo di Torino dei prossimi giorni), da qui sta portando avanti e da qui punta ad allargarsi oltre i confini regionali. Per cui, dovrebbe bastare questa oggettiva osservazione a dimostrare a tutti la pericolosità dell'azione del PCI e la conseguente necessità, per gli anticomunisti, di rendersi conto che proprio in Piemonte (e non in altre Regioni a vocazione rossa quali la Toscana, l'Umbria o l'Emilia Romagna) si sta giocando la partita decisiva attorno alla credibilità o meno del Partito comunista come forza di governo.
Con l'indagine sulla droga, il PCI piemontese non soltanto interpreta tempestivamente la linea politica assunta in materia a livello nazionale ma - soprattutto - punta ad un duplice obiettivo che, in effetti, riesce almeno in parte a raggiungere: da un lato, impadronendosi di un tema di forte attualità quale quello della lotta contro gli stupefacenti, avvalora di sé medesimo l'immagine che oggi gli è tatticamente più utile, cioè quella di partito d'ordine, dall'altro lato, scompagina il fronte degli extraparlamentari, aggregandone alle sue tesi una parte non trascurabile ed isolando inesorabilmente (questo lo è visto con chiarezza nel corso delle consultazioni ) coloro che - all'interno di "Avanguardia operaia", del "Manifesto", di "Lotta Continua" - non si piegano ad accettare il ripudio di qualsiasi tipo di droga.
Da ultimo - ed e anche questo motivo non marginale - il PCI vuole dimostrare più buona volontà di quanta, a fronte di così drammatico problema, non sia stata offerta, per colpevole inerzia, dalle forze politiche che sono state al governo durante la prima legislatura regionale.
Giova ricordare, infatti, che senza stare ad attendere il "miracolistico" intervento comunista - qualcosa già la Regione Piemonte avrebbe potuto e dovuto fare nella lotta alla droga: dopo un'interpellanza presentata proprio dal Gruppo della Destra Nazionale, sin dal 14 ottobre 1972 il Consiglio regionale aveva votato all'unanimità una mozione con la quale tra l'altro, si impegnava la Giunta di allora: 1) ad adottare le misure necessarie, nell'ambito dell'assistenza, per un reale recupero di coloro che fanno uso di stupefacenti 2) ad elaborare e sottoporre all'esame del Consiglio, nel corso dell'anno scolastico, un programma per la propaganda, in particolare nelle scuole, diretta alla conoscenza e quindi alla prevenzione dei pericoli insiti nell'uso degli stupefacenti e degli allucinogeni.
Impegni, come si vede, colpevolmente disattesi, perché nulla poi è stato fatto su questo piano.
E siamo così giunti all'iniziativa comunista del 21 novembre 1975, di cui noi - a costo di una premessa fors'anche troppo lunga - abbiamo ritenuto di dover illustrare quelli che sono stati - ad avviso nostro - gli scopi reali, le autentiche finalità cioè che hanno mosso la proposta del Presidente Sanlorenzo. Ed era precisazione chiarificatrice che andava fatta, non soltanto per inquadrare nei suoi esatti termini politici un'indagine sulla droga che ha fatto notizia in tutta Italia, ma anche e soprattutto - per non lasciare senza interpretazione approfondita questa non sottovalutabile "mossa" del PCI, nel convincimento già più volte ripetuto che solo la conoscenza esatta ed illuminata delle tattiche di fondo che esso va per seguendo può consentire tempestive ed efficaci contromisure.
E veniamo all'inchiesta, nei confronti della quale - vogliamo dirlo subito con aperta sincerità - noi ci siamo collocati con estrema diffidenza. Una diffidenza certamente giustificata, almeno dal punto di vista della Destra Nazionale, da un triplice ordine di motivi che adesso alla conclusione dell'indagine, intendiamo pure ricordare, sempre per dare completezza a questo nostro intervento.
Anzitutto, il nome del proponente, che non può essere per noi garanzia di imparzialità e di obiettività, specie se ricordiamo la parte che egli ha avuto in una precedente "inchiesta di massa": ci riferiamo a quell'indagine sul "neo-fascismo in Piemonte" che aveva trovato nel comunista Sanlorenzo uno dei promotori più convinti e dei sostenitori più accesi; e che, proprio per questo, era stata poi - attraverso una serie di falsificazioni che siamo pronti anche a qui specificare e documentare - grossolanamente strumentalizzata.
Poi, il tentativo iniziale di escludere dalla Commissione speciale di indagine la rappresentanza della Destra Nazionale. Tentativo che rientr soltanto per la nostra reazione e dopo che la Conferenza dei Capigruppo investita del problema, dovette prendere atto che una simile arbitraria esclusione avrebbe costituito un'intollerabile violazione dello Statuto regionale.
Infine, le finalità - apertamente e forse imprudentemente dichiarate che l'inchiesta avrebbe dovuto conseguire. Tra queste - lo disse proprio il Presidente Sanlorenzo davanti a questa assemblea - la ricerca di relazioni "tra le trame nere ed alcuni dei dediti alla droga". Ecco perché - nel corso di questi mesi - noi abbiamo adempiuto al nostro incarico di Commissari in posizione di vigile presenza e mossi soprattutto dalla volontà di impedire qualsiasi speculazione e, in particolare, speculazioni a danno della Destra Nazionale.
Dobbiamo adesso prendere atto - e passiamo con questo ad un esame più ravvicinato dei risultati raccolti - che non è stato possibile strumentalizzare l'indagine o, meglio ancora, che l'indagine non è riuscita a provare nulla di ciò che, alla partenza, si voleva che provasse. Al punto che la relazione finale della Commissione speciale ha trovato consenziente al di là di alcune riserve che verremo subito ad esplicitare, anche la nostra parte politica.
E questo ci permette ora, ci sollecita anzi, ad un esame sereno di ci che è stato, nelle luci e nelle ombre, il lavoro svolto dalla Commissione stessa.
Noi crediamo di dover dire, a questo punto, che l'indagine (al di là delle nascoste ragioni politiche che l'hanno determinata e sulle quali ci siamo intrattenuti nella premessa) abbia portato l'esito obiettivamente valido di meglio sensibilizzare su un problema così angoscioso quale quello della droga l'attenzione dell'opinione pubblica. Ma anche riteniamo che purtroppo, non sia andata moto oltre sul piano di più concreti risultati: e, questo, non per colpa di alcuni vogliamo precisarlo per obiettività - ma per le difficoltà stesse connaturate all'inchiesta - e riconosciute dalla relazione finale - che d'altronde non aveva precedenti e che, pertanto, è venuta a costituire, in positivo ed in negativo, un'esperienza del tutto nuova.
Uno degli scopi dell'indagine - il principale anzi - era quello di raccogliere dati sull'entità effettiva del fenomeno in Piemonte, pur nell'ambiente ristretto della scuola media superiore. Ebbene - nonostante che le risposte al noto questionario distribuito dalla Regione siano pervenute (e questo è senz'altro rimarchevole) in numero rilevante - non è che proprio quello che si voleva individuare, vale a dire l'entità effettiva del fenomeno, sia stata inquadrata almeno con sufficiente approssimazione.
Facciamo un esempio: il più alto numero di confessione di drogati (85) è giunto dall'istituto Tecnico Cobianchi di Verbania. Si dovrebbe dedurre che questa città sia un centro attivo nello spaccio e nel consumo della droga? Ma Verbania è anzitutto collocata in una Provincia, quella di Novara, la cui Questura dichiara che "gli studenti in genere sono poco stimolati dalla tentazione di provare tari espedienti; non si, notano infatti, né nelle vicinanze degli istituti scolastici, né negli esercizi frequentati da studenti, giovani dediti all'uso della droga". Ed inoltre allo spoglio dei dati sui luoghi di traffico degli stupefacenti si segnalano per la Provincia di Novara, oltre al capo luogo Domodossola ed Omegna, ma non Verbania. Ed allora vien fatto di chiedersi: sono attendibili le "confessioni" degli studenti drogati dell'ITI Cobianchi (il cui preside, detto per inciso, è un Consigliere comunale del PCI, impegnato quindi alla buona riuscita dell'inchiesta)? Oppure è disinformata la Questura di Novara? O, ancora, sono mancate per reticenza congrue segnalazioni su Verbania come Comune dove la droga si spaccia e si consuma largamente? Un altro esempio: dobbiamo prestar fede alla segnalazione della Questura di Torino secondo la quale "la diffusione della droga non è allarmante in quanto a tutt'oggi non esiste in questa città un'organizzazione per il commercio delle sostanze stupefacenti"; oppure dobbiamo credere a quanto denunciato dal Gruppo Abele (e ripreso nello studio giornalistico di Gabufa e Ferri) che indica in diecimila il numero dei drogati nella provincia torinese? Un altro esempio ancora: come mai - su 1.209 Comuni interpellati - 13 soltanto hanno dato notizie circa lo spaccio ed il consumo di droga? Perch la stragrande maggioranza degli enti locali non ha valutato sufficientemente, anche per mancanza di idonei strumenti di rilevazione e di analisi, la gravità del fenomeno? O perché - lo volesse il cielo! - il fenomeno non ha, in Piemonte, quelle dimensioni drammatiche che certa pubblicità tende invece ad attribuirgli? Potremmo continuare a lungo nell'esemplificazione, ma quanto detto ci pare che basti.
E ciò può anche ripetersi in ordine agli altri scopi che l'indagine si era assegnata, vale a dire l'individuazione dei luoghi di consumo e accertamento delle caratteristiche dello spaccio, a proposito dei quali si è fatta sì una letteratura abbastanza pregevole, ma, in sostanza, si sono potuti raccogliere ben pochi dati certi ed attendibili.
In conclusione, sembra a noi di poter dire che questa inchiesta - non per mancanza di buona volontà da parte di chi l'ha condotta e neppure per errori di impostazione: e questi riconoscimenti dovrebbero almeno avvalorare la serenità della nostra critica! - sia risultata forzatamente superficiale, confusa, contraddittoria. Tra le righe, lo riconosce anche la relazione finale della Commissione speciale ed è questa, appunto, una delle ragioni per cui noi l'abbiamo approvata. Ma, di contro, non si, giunge ad ammetterlo esplicitamente: e questo spiega perché noi, pur sottoscrivendola, l'abbiamo condivisa con molte riserve.
Vien fatto di chiedersi, a questo punto, se - anziché un'indagine così spettacolare (e, ripetiamolo ancora una volta, utile soprattutto al PCI per i suoi fini particolari) - non sarebbe stato più valido (diciamolo pure con il "senno di poi") l'impegno della Regione Piemonte rivolto ad una diversa sensibilizzazione delle famiglie, degli operatori scolastici, dei giovani sul fenomeno "droga". Se, cioè, alla distribuzione di un generico questionario non sarebbe stato preferibile anteporre un'approfondita ed incisiva azione indirizzata - sul piano psicologico, sociale e sanitario all'informazione ed alla controinformazione, specie a livello di insegnanti, circa le spaventose conseguenze derivanti dall'uso di sostanze stupefacenti.
Agendo in questa direzione forse si sarebbero potuti ottenere risultati più proficui. Ed obiettività vuole che si dica che questa richiesta la Commissione speciale si è pur sentita avanzare da più parti, ad esempio nella consultazione di Vercelli. Tuttavia, come si suol dire, "cosa fatta capo".
Certo e che - con questa iniziativa - si è innescata una miccia che suscita ed impone risposte precise: infatti, occorre adesso approdare ad una ben meditata legge regionale ed inventare interventi concreti che siano rispondenti alle esigenze di massa.
Per questi fini, riteniamo di poter ribadire il nostro assenso - e di confermare quindi la disponibilità della Destra Nazionale - alle politiche di intervento ed alle proposte operative che sono state indicate dalla relazione finale della Commissione speciale. E così pure di dover esprimere un consenso, per larghissima parte favorevole, a quelle che sono state le conclusioni della Commissione stessa: il riconoscimento di una partecipazione rilevante di giovani all'indagine, l'acquisizione di dati che prima mancavano del tutto e che adesso, pur nella loro elevata contraddittorietà, potranno utilmente servire per quella vasta operazione culturale imposta dalla gravità intrinseca del fenomeno; l'auspicio che gli organi competenti dello Stato, adeguatamente potenziati nelle loro strutture oggi carenti, siano messi in grado di condurre un'azione di bonifica vincente contro la droga. Ma - soprattutto - vogliamo dire d'essere pienamente d'accordo con quella che è stata, ad avviso nostro, la conclusione più qualificante del lavoro svolto: che, cioè, l'uso della droga, leggera o pesante che sia, costituisce una risposta comunque sbagliata, qualunque abbiano ad essere le cause che possono portare alla determinazione di farne uso.
Signor Presidente, colleghi Consiglieri, questa indagine - con i suoi aspetti positivi, con i suoi limiti riconosciuti, con le carenze rilevate ci trova però concordi in un'affermazione di principio che droga chiama morte e che, dunque, bisogna stroncare il male alle radici ovunque esse affondino.
Ma dove sono queste radici? La Commissione non lo ha detto. Forse perché non ha voluto dirlo. Ed allora proviamo a rispondere noi. Non sono forse in uno Stato che ha ormai perduto ogni eticità? Non sono forse in una società che ha fatto dell'antivalore il proprio credo, dell'agnosticismo la propria filosofia, dello scetticismo la propria fede?



OBERTO Gianni

C'è nel mondo intero la droga, c'è in tutti i Paesi.



CARAZZONI Nino

Oggi ci ritroviamo con i nostri figli drogati.
Ma chi ha educato questi giovani a non credere? Chi li ha allevati a non voler credere, a disprezzare, a buttar giù, a rinnegare, ad affermare che i valori sui quali si fonda ogni comunità umana altro non sono che orpelli inutili, sovrastrutture retoriche, castelli di carta? Chi li ha costretti, questi nostri figli, a vivere alla cieca, alla giornata, nel relativo, da trent'anni avendo davanti agli occhi come modelli i personaggi di oggi e come realtà quella squallida e desolante che tutti vediamo? Ecco le domande alle quali deve essere data una risposta.
Perché, altrimenti, le ricerche, le inchieste, le indagini quale quella di cui stiamo qui discutendo, potranno si contribuire alla più approfondita conoscenza di un fenomeno che è spaventoso e che è drammatico, ma non varranno a stroncarlo se non avranno il coraggio di affermare che, per sottrarre la gioventù dall'insidia alienante e mortale dei paradisi artificiali, occorre dare alle nuove generazioni "qualcosa" in cui credere ancora e per cui valga ancora la pena di battersi: quei valori tradizionali, cioè, attorno ai quali viene costruita la vita di una comunità umana e che possono, anzi debbono, essere aggiornati, resi più comprensibili, reinterpretati, storicamente adeguati ai nuovi tempi, ma che non vanno buttati a mare con un'acritica ed astorica operazione chirurgica.
Il pluriennale impegno della Destra Nazionale contro il grave problema della droga ha queste radici e queste convinzioni.



PRESIDENTE

La parola al Presidente della Giunta regionale, Viglione.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Signori Consiglieri, la conclusione dei lavori della Commissione speciale di indagine conoscitiva sul fenomeno della droga in Piemonte costituisce una realizzazione fra le più significative attuate da questo Consiglio regionale.
L'approfondimento sull'effettiva entità del fenomeno di diffusione della droga, le sue cause, i luoghi di consumo, le caratteristiche dello spaccio di droga in Piemonte, costituirà ora una fase successiva di lavoro.
Sarà infatti necessario consegnare tutti i dati raccolti ai tecnici agli esperti, ma soprattutto farla conoscere, informare la collettività attraverso idonee fonti di informazione, assumendo politicamente questo problema, su cui sovente l'informazione è distorta ed allarmante.
Desidero qui sottolineare che questa inchiesta oltre all'attualità e drammaticità del fenomeno analizzato, costituisce un momento importante per la metodologia di lavoro attuata.
Si è trattato, infatti, di una nuova occasione di partecipazione di massa della comunità regionale piemontese, cui hanno collaborato i Comuni la magistratura, le guardie di finanza, le forze dell'ordine, enti ed esperti, associazioni e gruppi spontanei operanti da tempo su questo tema giungendo ad una consultazione di circa 1.500 persone .
Ma il dato più significativo e caratterizzante di questa indagine è certamente, la collaborazione diretta con le scuole, con i giovani che sono stati i protagonisti di questa inchiesta.
Si è trattato di una partecipazione generalizzata, come risulta dai 97.056 questionari degli studenti delle scuole medie superiori, pari al 62 per cento degli allievi piemontesi, pervenuti ed esaminati dalla Commissione di indagine.
All'inchiesta hanno partecipato rispondendo al questionario, 348 istituti sui 450 interpellati; si è trattato quindi di una collaborazione dei giovani e della scuola in generale, e il fatto costituisce, di per s un risultato rilevante.
Dalle risposte pervenute emerge con chiarezza l'attenzione e la tensione dei giovani rispetto a tale fenomeno.
Dovranno ora essere esaminati ed ulteriormente approfonditi i dati emersi, le motivazioni delle 1.767 risposte di giovani che hanno confessato di essere dediti alla droga e quelle dei 1.210 giovani che possono ritenersi consumatori occasionali.
In generale i dati sono molto preoccupanti, soprattutto in relazione allo svilupparsi del fenomeno della droga, considerando che, da parte di alcuni ricercatori, il consumo di droga viene ritenuto sestuplicato negli ultimi sette anni.
L'incertezza sui fenomeni del traffico e dello spaccio di droga e, in particolare, la non conoscenza della rete dei distributori, costituiscono l'aspetto più preoccupante, nei confronti del quale è necessario intervenire con fermezza, dando avvio a tutte le forme di intervento che possono individuare prima e successivamente colpire, gli spacciatori di droga.
In questa direzione la Regione dovrà utilizzare tutta la sua capacità e pressione politica, affinché le autorità competenti intervengano ed operino attivamente per colpire il fenomeno di distribuzione e spaccio della droga.
E' questa un'esigenza prioritaria, considerando i gravi danni provocati dal consumo di stupefacenti sulle condizioni fisiche e psicologiche dei giovani. E' inoltre significativo che le cause del consumo di droga vengano per lo più considerate sotto il profilo politico e sociale, o ricollegate alla crisi spirituale e morale attraversata dalla nostra società.
L'aspetto stesso della "curiosità" viene sovente denunciato, elemento questo di cui dobbiamo farci carico per impostare una corretta informazione intorno a questo fenomeno ed alle sue reali conseguenze.
Se poi si analizzano i motivi per cui si ricorre alla droga, si constata come le cause della diffusione sono ricollegabili ai fenomeni di emarginazione e di disadattamento, di mancanza di strutture e di momenti di aggregazione sociale.
Per questo è necessario che la Regione utilizzi tutte le sue competenze di ordine sociale, sanitario ed assistenziale per affrontare il problema della droga come uno dei problemi sociali più gravi da risolvere.
La Giunta regionale ritiene quindi di accogliere le proposte operative della Commissione per sviluppare una corretta informazione, a livello scolastico, per prevenire il diffondersi dell'uso della droga.
E' necessario inoltre avviare interventi riabilitativi sotto tutti i profili, sanitario e sociale, affrontando questo problema consapevoli dell'inutilità di interventi di carattere repressivo.
Perché ciò si realizzi sarà indispensabile una collaborazione concreta ed effettiva dei Comuni nella gestione dei servizi necessari organizzandoli sul territorio nell'ambito delle unità sanitarie locali.
Siamo tuttavia consapevoli che è soprattutto indispensabile una vasta azione politica, di cui fin d'ora ci facciamo carico, tendente ad affrontare il fenomeno della droga e della sua diffusione nel Piemonte in modo concreto, senza generare ulteriori allarmismi, ma operando affinch soprattutto i giovani e quanti sono soggetti a questo fenomeno, vedano nelle istituzioni e negli interventi che esse intendono attuare, una concreta possibilità di superamento ed un elemento di rinnovata fiducia per la prevenzione del fenomeno ed il recupero dei tossicomani.
E' questo un compito che intendiamo attuare, sia per le nostre specifiche possibilità di intervento, sia perché l'adesione di massa della comunità regionale del Piemonte lo ha individuato come uno dei problemi più urgenti per la cui ricerca di soluzione, i risultati di questa inchiesta si possano ritenere un primo indispensabile elemento.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Furnari.



FURNARI Baldassare

Colleghi Consiglieri, vorrei fare qualche considerazione mettendo in evidenza l'impegno della Regione da quando la nuova legge sulla droga ci ha dato la possibilità di agire concretamente.
Quest'impegno si è espresso in conferenze, incontri, nella formazione di una Commissione conoscitiva del fenomeno, nella distribuzione di schede nelle scuole medie superiori per raccogliere dati. Questi dati in aggiunta a quelli raccolti da altre fonti ci hanno permesso di accertare la vastità del fenomeno in Piemonte ed in particolare nella provincia di Torino.
Sappiamo quindi che in provincia di Torino nel 1975 c'erano diecimila drogati di cui quattromila da droga pesante. Quindi, se è vero che nel 1969 il numero dei drogati era di millesettecento, ne deduciamo che in sei anni i consumatori sono aumentati di quattromilatrecento unità, cioè circa settecento in più all'anno.
L'aspetto diventa più inquietante se si considera la droga pesante introdotta nel mercato soltanto verso il 1971, i cui consumatori raggiungono la cifra di mille in più all'anno. Cioè in quattro anni l'incremento dei consumatori di droga pesante è stato tale da far pensare con orrore che tra altri quattro anni tutti i drogati potrebbero usare droga pesante.
In questa prospettiva ad un impegno sul piano conoscitivo non ha corrisposto un sufficiente impegno sul piano operativo. Il problema della droga pesante è così grave che anche un giorno di ritardo è da evitare quando si può fare qualcosa. Ecco perché da questo dibattito deve nascere qualche proposta concreta per operare subito.
Infatti, chi è vittima della droga, ha bisogno di soldi, deve trovare o accaparrarsi la droga a qualsiasi costo e con qualsiasi mezzo; non è difficile mettere in relazione questo fenomeno con l'altro della malavita organizzata e della delinquenza spicciola ed occasionale, che solo a noi talvolta, sembra senza motivazioni o senza scopo.
Dalle note schede è risultato, speriamo attendibilmente, che solo 557 studenti sono consumatori abituali e 1.210 consumatori occasionali, per cui potremmo dedurne favorevolmente che nella scuola il fenomeno non è vasto come ci si poteva attendere. E' un dato che può sembrare strano, che ci sembra molto interessante e giustifica la necessità di un chiarimento ed un approfondimento ulteriore, esigenza sentita anche da diversi studenti.
Altro dato consolante è il no di 68.592 giovani (70,67 per cento) in confronto ai 13.105 si ella domanda: "Ti risulta che venga consumato qualche tipo di droga nella tua scuola?". E' altrettanto significativo che 8 940 allievi ritengano che si consumi, invece, droga in ambienti extra scolastici.
Comunque valutando prudentemente, triplichiamo il numero dei ragazzi consumatori abituali di droga nelle medie superiori, aggiungiamo un certo numero di consumatori nelle medie inferiori e nelle università, arriviamo a circa cinquemila tossicomani nell'ambiente scolastico. Se nella sola provincia di Torino si parla di un totale di diecimila, è evidente che gli altri cinquemila sono da cercare altrove. E' evidente il dilagare della droga in tutti gli ambienti: scolastico, extra scolastico e di lavoro.
A quest'ultimo riguardo facciamoci una domanda: "Quanti sono i lavoratori che hanno abbandonato il posto e si sono trasformati in disoccupati cronici o in delinquenti, delle cui azioni sono piene le pagine della cronaca nera?". Una delle risposte ci viene dal Centro Abele al quale sono giunte in un anno 2.370 richieste di intervento, equivalenti a 6/7 chiamate al giorno. Duemila richieste erano di intossicati da droga pesante.
Nella maggior parte si è trattato di persone di estrazione sociale molto modesta, con età variabile dai 15 ai 40 anni e con origine prevalentemente meridionale. Sono anche conseguenze della nostra società industriale, cresciuta senza le strutture necessarie e fonte di emarginazione.
Non mi soffermo sulle cause che spingono alla droga, anche perch variabili a seconda del ceto sociale a cui appartiene il tossicomane, per essendo un uomo politico, mi sembra giusto dedicare il necessario spazio alle proposte che tutti insieme dobbiamo fare in Consiglio regionale per agire urgentemente e concretamente.
E' vero che abbiamo già segnalato in via provvisoria numerosi ospedali del Piemonte come pronti ad accogliere l'appello dei drogati, ma quali sono stati i risultati? Esaminiamo un possibile caso: si pensi se all'imbarazzo o alla prevedibile ritrosità del ragazzo che si presenta al Pronto Soccorso si offre o si contrappone soltanto l'opera e l'aiuto del personale di turno. Il più delle volte quest'ultimo è impreparato in materia e il risultato finale potrebbe essere il ricovero del paziente all'Ospedale psichiatrico. Sarebbe un risultato nettamente contrario allo spirito della nuova legge sugli stupefacenti.
Prima di ogni altra cosa propongo quindi l'immediata apertura dei Centri Droga, funzionanti giorno e notte, con personale altamente specializzato.
Sarebbe inoltre opportuno, è anche l'opinione di specialisti, che presso tali centri fossero impiegati alcuni ex drogati che più di tutti sarebbero in grado di aiutare il tossicomane, almeno sul piano della comprensione.
Sarebbe opportuno anche che si vigilasse in modo particolare sull'impiego del personale volontario, per non cadere nel dilettantismo nel facile entusiasmo o nella superficialità dell'impegno.
Il drogato non deve essere abbandonato a se stesso; egli deve sapere in caso di necessità, dove andare in qualunque momento con la sicurezza di essere accolto nel modo più utile per lui, sia per le cure fisiche che per quelle psicologiche.
Lo stesso impegno dobbiamo porre per il recupero sociale dei drogati senza dimenticare che, il recupero di un drogato è sempre cosa difficile oltre che economicamente onerosa per l'interessato e per la società.
Quindi, considerando che la droga è una conseguenza, non una causa dobbiamo proporci fin dove è possibile la prevenzione del fenomeno. Sono interessate tutte le componenti sociali: la famiglia, la scuola, l'ambiente di lavoro.
Sono necessari provvedimenti per l'informazione e la sensibilizzazione e devono essere di nostra competenza.
In un discorso più vasto dobbiamo impegnarci a rimuovere gli ostacoli che impediscono lo sviluppo di personalità complete e quindi normali; che abbiano prospettive e possibilità concrete per vivere onestamente in una società libera e ricca di riforme, che non abbiano a considerare la droga come uno dei mezzi per evaderne.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Oberto, ne ha facoltà.



OBERTO Gianni

Signor Presidente, prendo la parola brevemente, ma sento la necessità di farlo intanto per trovarmi solidale con la poca attenzione (mi perdoni signor Presidente) che il Consiglio le ha dato quando lei ha fatto la sua esposizione. Io, che sono stato seduto su quella sedia, vedevo i suoi occhi che cercavano in giro, vedeva parecchio vuoto, vedeva parecchio disinteresse, vedeva parecchie persone che stavano confabulando le une con le altre e la cosa dispiaceva a me, ma credo sia dispiaciuta anche a lei Il Presidente del Consiglio, soprattutto quando si fa relatore di un problema di un determinato argomento, merita tutta l'attenzione, si chiami Sanlorenzo, si chiami Vittorelli, si chiami Oberto; è il Presidente del Consiglio, è l'uomo che incarna l'essenzialità del Consiglio.
Anche adesso il problema è scarsamente sentito, forse perché non abbiamo ancora avvertito sui muri delle nostre città e dei nostri paesi le scritte che leggiamo "libertà di sesso", "aborto subito, sicuro, gratuito" non è ancora scritto "droga sicura, certa, gratuita, immediata", nemmeno abbiamo preparato questo nostro dibattito stamattina con l'offerta di una fumatina sperimentale da parte nostra per poterci rendere conto e quindi questi problemi sì, fanno titolo e i giornali qualche volta sono presenti e raccolgono e scrivono delle grosse parole, la gente ad un determinato momento si emoziona, ma dunque la droga c'è, ma dunque il problema esiste troviamo la maniera di risolverlo.
Mi scuso con i colleghi Consiglieri anche per queste mie espressioni che loro avranno certamente accettato nello spirito con cui le ho fatte e soprattutto per essere il più anziano fra di loro.
I problemi che si dibattono in Consiglio regionale meritano sempre l'attenzione di tutti, del più giovane, del più anziano, possibilmente dal principio alla fine, responsabilizzandoci e, non dando, come ha cercato di fare, con l'abilita consueta, il collega Carazzoni, non dando al problema anche quelle componenti parapolitiche che tornano al fine del raggiungimento di uno scopo che non è quello del dibattito; è riuscito a richiamare l'attenzione più lui, signor Presidente del Consiglio, che non lei nella sua relazione, ma ha inserito, vede, un tantino di droga, io non so se pesante o leggera, la droga politica delle sue considerazioni si è infilata lì nel momento in cui si discuteva il resto e allora immediatamente, ci siamo sentiti tutti un pochino galvanizzati come tocc credo, a colui che scopri la prima droga, il caffè. Tutti noi siamo drogati, il caffè è una droga. Si racconta che fosse un monaco disperso su una montagna dove non c'erano che pochi arbusti e poca erba che, attento nella meditazione di quelli che sono i problemi che ci elevano a Dio e anche a quelle che sono le considerazioni terrene, notava che delle caprette che vivevano in quella zona brucando e mangiando determinati arbusti venivano come eccitate, si svegliavano, si sveltivano, facevano dei salti a volte scomposti, come non facevano normalmente. Andò alla ricerca e stabilì che mangiavano il frutto di quella piantina del caffè e di lì nacque, anche per noi, il principio della droga.
Ma chiudiamo questa parentesi che ho voluto collocare, per riportare l'argomento alla sua essenzialità ed alla sua importanza.
Signor Presidente, forse sarebbe stato opportuno che l'Assessore subito dopo la sua relazione e anche dopo quello che è stato detto dal Presidente della Giunta regionale, ci avesse indicato le prospettive positive, concrete di un'azione operativa che si cerca di fare. Perché? Io alle statistiche dò sempre un valore che riduco del 50 per cento. E' difficile che si trovino tanti scolari schietti, sinceri, distaccati dalla vicenda che abbiano voglia di dire intera la verità per se stessi e siano interpreti di quella che è la verità degli altri compagni di scuola. Questi dati conoscitivi quindi, che hanno una certa rilevanza ed una certa importanza, debbono essere considerati molto attentamente da qualcuno che riuscisse a farne una specie di delibazione, di interpretazione, in maniera da ridurre alla realtà concreta delle cose le risposte, ma non in termine riduttivo, in termine molto probabilmente peggiorativo.
Non sono d'accordo con coloro i quali dicono che quello della droga è un problema modesto, quasi inesistente nella Regione Piemonte. Io esercito una professione, signor Presidente, che non soltanto in questi ultimi anni in cui il problema della droga è esploso, ma anche in passato, mi ha posto e mi pone a contatto con coloro i quali commettono dei delitti e cadono in posizioni indubbiamente delicate e contrastanti con quello che è il modo di vivere. Il Presidente della Giunta regionale e anche altri colleghi fanno come me l'avvocato penalista; quante volte ci siamo trovati a contatto di persone delle quali non riuscivamo a spiegare il comportamento e lo spiegammo successivamente? Essi erano nel mondo di là, nel mondo dei drogati, di coloro che non hanno più il senso della responsabilità, di coloro i quali, considerati ammalati finché volete, diventano degli ammalati-delinquenti, pericolosi per sé e per la società. Quante volte negli anni della mia lunga attività professionale ho sentito parlare di cocaina, dagli anni '30 (anni dell'inizio della mia attività professionale) fino ad oggi? E allora l'importante, signor Presidente, non è soltanto che lei abbia promosso questa indagine. Mi consenta una piccola parentesi: il Consiglio regionale piemontese alla fine del 1972, se la memoria non mi tradisce principio del 1973, aveva già posto in evidenza il problema senza avere alcuno strumento a sua disposizione per poter entrare direttamente nel merito. Non esisteva, allora, la 685 che venne fuori soltanto a dicembre del 1975, ma i signori Consiglieri che erano nel Consiglio regionale sanno che la questione è venuta in Consiglio e che è stata discussa, e se io ho l'informazione esatta sanno anche che in Commissione è stato dato atto che l'Assessore alla sanità collega Armella più di una volta ebbe a porre questo dialogo diretto all'indagine, alla ricerca di intervento positivo per risolvere determinati problemi senza riuscirvi. Vi è una piccolissima testimonianza: il primo quaderno pubblicato dalla Giunta regionale che ho avuto la responsabilità e l'onore di presiedere è proprio dedicato al problema della droga, compatibilmente con quelli che erano gli elementi disponibili a quel tempo per poter agire.
Oggi c'è la legge 685, signor Presidente, che tiene conto di questa realtà che noi abbiamo accertato, che va aggiornata continuamente. Ho parlato con degli insegnanti e mi hanno risposto: in questa scuola non si fuma; ed io avevo la certezza assoluta che anche in quella scuola si fumava.
Vorrei chiedere ai signori Consiglieri: hanno ventura di conoscere personalmente un drogato, una drogata? Conoscono il problema nei termini reali? E cosa pensano quando leggono tra le tante dichiarazioni che sono state fatte, quella di una ragazza che dice: "la droga mi ha fatto finalmente conoscere me stessa"? Mi veniva in mette il motto di un filosofo greco "conosci te stesso non attraverso l'alterazione della droga, ma attraverso alla formazione della persona, della dignità della persona".
Ecco allora il grosso problema della scuola e della famiglia e giustamente è stato sottolineato "della famiglia".
Io ho in corso in questi tempi (non svelo certamente dei segreti professionali) alcuni procedimenti penali gravissimi che coinvolgono vertici, se vogliamo chiamarli così, della scala, dei gradini della società, dell'ambiente nel quale vivo e povera, poverissima gente che ha lasciato il posto di lavoro invischiata in questa vicenda.
Il pericolo è che si generalizzi quella maniera di pensare che la droga leggera sia tollerabile; andare al di là dei molti caffè è già un rischio è già un pericolo, il fumare la droga leggera è indubbiamente un invogliarsi per arrivare a fumare la droga pesante. L'esperienza, se me lo consentono, più che del Consigliere regionale, dell'avvocato penalista, mi fa dire ai colleghi che debbono prendere una determinata decisione che non sbaglierà la Regione e il merito sarà suo Presidente, perché la rappresenta in questo momento, merito sarà della Giunta che predisporrà dei dati positivi e concreti, merito sarà del Consiglio regionale del Piemonte intero, in tutta la sua unità, che fronte ad un pericolo che diventa o sta per diventare grave come quello del cancro e del tumore, prende una determinata posizione.
Ecco perché ho ritenuto opportuno, signor Presidente, signori Consiglieri, prendere la parola in questo momento, eventualmente mi riservo di replicare all'Assessore quando ci avrà dato la risposta che è quella che più ci attanaglia: che cosa in concreto fare. Ma che cosa importerà domani se i giornali non in sciopero diranno che il Consiglio regionale ha dibattuto il grave problema della droga? Ma che cosa importerà se citeranno delle esperienze anche personali? Ma che cosa varrà, in definitiva, se ancora una volta il mondo dei drogati sarà sollecitato dall'invito che viene dal Consiglio regionale se poi, signor Presidente della Giunta, in fretta non si prenderanno quei provvedimenti che sono oggi consentiti a lei, alla sua Giunta, al Consiglio regionale dalla legge 685? Non basta più l'informativa, non è più sufficiente, altrimenti ci troviamo di fronte alla sorpresa (per me è stata tale) di quei bambini che l'altra sera alla televisione hanno sentito parlare da un'insegnante, in verità in termini estremamente pudichi e veritieri, del problema del sesso, tre dei quali dopo, hanno neutralizzato tutto dicendo: "Ma tutto questo noi lo sapevamo già".
Signori, siamo in questa situazione, bisogna aprire gli occhi conoscere la realtà ed agire in concreto rapidamente con degli strumenti positivi, precisi che io personalmente invoco richiamandomi, non a titolo di merito personale, ma a titolo di merito della Giunta regionale esecutiva che ha agito in passato, a quanto, senza strumenti, ha evidenziato con una pubblicazione che resterà a segnare il principio di quel lavoro concreto che il Consiglio regionale si determinerà di fare.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Rossotto.



ROSSOTTO Carlo Felice

Signor Presidente, il giudizio positivo sull'opera che i colleghi sotto la sua guida, hanno condotto e di cui stamane la relazione ci ha dato conto, porta ad evidenziare l'esistenza di un fenomeno noto, fenomeno che però non mi pare debba (e questo è anche scritto nella relazione) giustificare strumentali allarmismi, ne strumentali interpretazioni sui motivi che hanno indotto a questa indagine seria. E' uno dei fenomeni collegati ad una società che da agricola diventa industriale, in cui si perdono determinati valori, determinati rapporti di vita, in cui infiniti sono gli elementi di crisi sociale e culturale (culturale nel senso di rapporto tra uomo e ambiente non soltanto in termini di acquisizione nozionistica). Questo è un fenomeno che possiamo riscontrare con preoccupazione, ma non con allarmismo e che si richiama ad altri fenomeni come l'emarginazione, come (si e voluto dire la parola più grossa) la delinquenza.
Non a caso mi sovvengono le parole del sindaco della nostra città il quale identificava in un intervento come proprio dai quartieri-ghetto, dai quartieri che abbiamo realizzato come risposta immediata alle esigenze di nostri simili risolvendo il problema della casa in determinate maniere, lì da quei posti, da quelle vie si vedano fatti di cronaca negativa che coinvolgono sia il fenomeno della droga, sia quello della delinquenza, sia quello della prostituzione. Sono le conseguenze di un certo tipo di società che non è stata continuamente vivificata da quell'impegno, da quel salto di qualità ulteriore sociale e culturale che è necessario in difesa di valori fondamentali che sono di tutti e che non è giusto vedere strumentalizzati da una forza politica; se una forza politica ha maggiore sensibilità delle altre questo sia accusa a chi non si riconosce in quella linea, in quelle finalità che la forza politica vuole raggiungere, faccia colpa a se stesso di non avere saputo impostare la soluzione del problema.
Il problema quindi è ridimensionato, però è ugualmente grave come altri che esistono nella nostra società e maggiormente può essere chiamata negativa, più, tragicamente negativa una scuola che determina un fenomeno ancor più grave dopo i sacrifici di tutta la collettività, dopo sacrifici di coloro che la frequentano, dando una gioventù che si sente emarginata dal contesto vivo, sia per la mancanza di posti di lavoro, sia perché la realtà è ben diversa da quella a cui era stata preparata.
Il problema della droga quindi a livello regionale ci può già vedere operativi. Purtroppo la legge 685 dà alle Regioni dei compiti rigidi estremamente esecutivi dell'attività regionale nella fase di legislazione regolamentare delle disposizioni nazionali in materia. Su questo dobbiamo prepararci, però con la visione che il problema dimostra nei confronti del tossicomane, di colui che è stato colpito, che può essere colpito; non è tanto un discorso di recupero, che è gia un discorso per me negativo, che determina una categoria che è al di fuori del contesto esistente; noi dobbiamo considerare anche tutti gli altri fattori negativi di soggetti simili che per colpa anche nostra, o per colpa di un certo tipo di sistema si trovano in posizione non di uguaglianza nei confronti degli altri.
Dobbiamo realizzare un servizio sociale che non sia il momento di diversificazione tra coloro che hanno bisogno di qualche cosa dalla società e quegli altri che invece per conto loro hanno risolto tutti i problemi, ma che sappia coinvolgere e risolvere unitariamente. Io penso che anche lo sforzo che viene compiuto dalla rapida realizzazione o individuazione delle unità locali come momento aggregativo sia dei servizi sanitari, sia dei servizi assistenziali nel loro complesso, sia valido. Non occorre andare sempre a identificare un singolo caso; un'eccessiva non attenzione ai problemi ha creato una società industriale avanzata, con le sue capacità di alluvionare terreni fertili dove valori morali, valori etici hanno avuto secoli alle loro spalle per poter determinare le condizioni di vita. Di qui quasi riprendendo un concetto che è fondamentale oggi nel mondo del lavoro, di fronte ad una parcellizzazione eccessiva del lavoro che porta all'alienazione del soggetto che è chiamato a compiere questo - la necessità di una ricomposizione del lavoro che sappia di nuovo dare all'uomo il gusto di qualche cosa di suo, di creativo, anche in questo contesto di rapporti tra l'opera di assistenza generale come servizio sociale, la necessità di una ricomposizione di tutte queste funzioni che noi come Regione possiamo avere, per dare una risposta che indubbiamente nel momento in cui aiuta il drogato, aiuta anche colui che è emarginato e che potrebbe essere colpito dal fenomeno della droga, o e già colpito da fenomeni ancora più gravi come quello di sentirsi staccato dal contesto sociale, di non essere partecipe diretto, insieme ai suoi simili, a questa travagliata, necessaria vita di scontri e di verifiche continue, al discorso di coloro che vogliono risolverlo con le parole e non soltanto richiamandosi a concetti ormai estremamente superati quali quello di stato etico o di buon padre di famiglia che dà gli sculaccioni a coloro che hanno compiuto delle cose non buone e che poi premia con sorriso benevolo coloro che queste azioni non buone non hanno compiuto e che quindi sarebbero i primi della classe.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bontempi.



BONTEMPI Rinaldo

Signori Consiglieri, cercherò di restringere al massimo questo mio intervento perché molte cose sono già state dette e aspetti delle risultanze dell'indagine sono stati esaminati e perché obiettivamente credo che la massa imponente di dati emersi dalla Commissione non possa comunque essere esaurita con un intervento, sia pure ampio.
Però ritengo (e questo lo voglio dire non solo come membro della Commissione di indagine conoscitiva) che una riflessione su come è stata condotta questa indagine vada fatta. E questo proprio perché la risonanza di questa iniziativa è probabilmente maggiore all'esterno che non qui. Noi in fondo, come Consiglieri, come operatori politici, siamo abituati a confrontarci su vari problemi e spesso rischiamo (non vorrei che fosse un'impressione personale) di vedere nelle cose da fare, nelle leggi da approvare, nei provvedimenti da assumere il nostro scopo principale. Ed è giusto che sia così. Però questa specifica iniziativa del Consiglio regionale - unitaria tra l'altro, vorrei sottolinearlo - forse merita una riflessione l'impatto che questa iniziativa ha avuto con la comunità.
Devo dire che le 97.O00 risposte delle 348 scuole, dai 1.767 giovani consultati sono un dato molto importante, come molto importante è stato lo stimolo che si è creato nella comunità piemontese quando siamo partiti con questa indagine conoscitiva, quando siamo andati alle consultazioni, quando abbiamo ricevuto da vari enti ed associazioni delle informazioni, delle relazioni.
Ritengo che questo ci faccia trarre subito una conclusione: quando delle carte che non possono essere assolutamente definite vincenti, come i questionari, hanno una simile rispondenza, vuol dire che il problema è sentito, ma soprattutto che la coscienza dei giovani, della comunità riesce ad essere coinvolta nella discussione e questi questionari non finiscono per essere, come poteva succedere, delle semplici formalità. E questo perché anche i problemi più delicati, più scottanti (e senz'altro questo è un problema delicato e scottante) non possono avere altro approccio che quello della più diffusa e democratica partecipazione della collettività.
Ho raccolto un aspetto in tutta questa vicenda (l'intervento di Beltrami ed anche la relazione del Presidente mi sembra lo abbiano posto in luce) e cioè che dalle risposte dei giovani, dalle problematiche emerse nelle consultazioni, anche dai dubbi, dalle perplessità su come era condotta l'inchiesta - dubbi e perplessità che si sono tradotti in parte anche nei limiti dei risultati della stessa - sia venuto uno sforzo da parte della comunità di appropriarsi in maniera democratica, attraverso la discussione di un argomento che è stato sempre tabù, relegato da un tipo di legislazione certamente, ma anche dall'incertezza politica, da parte un po' di tutti, questo lo ammetto. Era tra gli argomenti di cui non si doveva parlare e di cui caso mai si doveva dare mandato pieno e completo alla magistratura ed alla polizia. Certamente questi sono gli organi che devono intervenire per quanto riguarda l'applicazione della legge, ma c'è un momento preventivo - lo abbiamo riconosciuto tutti - che è quello dell'informazione, della partecipazione, della discussione. I giovani ce ne hanno dato una prova molto ampia. Io ammetto che i questionari non vanno presi per oro colato, possono esserci delle risposte date con una certa leggerezza, però ne abbiamo tenuto conto; possono esserci delle segnalazioni meno significative di altre, però è stata abbastanza evidente la serietà dell'approccio, e soprattutto mi è parso di notare (io ho fatto alcune consultazioni e con me molti Consiglieri e chiedo loro conferma di questa mia impressione) da parte della comunità questo desiderio, questa volontà di misurarsi sul problema in maniera non allarmistica a priori c'era gente che voleva sapere cosa faceva la Regione, ma voleva conoscere certe distinzioni, voleva sapere qual era l'approccio a livello di comunità locale al problema. Non a tutti questi interrogativi c'è stata una risposta soddisfacente, però un contributo importante lo abbiamo dato con questa indagine che è partita con caratteristiche di massa, che ha sacrificato tecnicismo e specificità anche nel questionario.
Il fatto poi che questa inchiesta abbia avuto come campo di indagine la scuola, ma che non si sia limitata a questo, le testimonianze dei giornalisti, i Comuni, tutto il materiale che in maniera diffusa è stato raccolto sono una riprova dell'incisività di questa iniziativa e ne è una riprova anche il fatto che alcuni quartieri di Torino sono venuti alla Regione dal Presidente Sanlorenzo a dire: noi vogliamo fare una mostra aperta nel quartiere, con dei dibattiti sulla diffusione dei pericoli di questo fenomeno.
Direi che questa indagine non si esaurisce qui. Qui noi traiamo alcune conclusioni, facciamo una discussione di ordine generale, ma certo l'indagine va molto oltre e sarà compito delle forze sociali, dei cittadini, delle famiglie, dei quartieri, di tutte le aggregazioni sociali della nostra comunità svilupparla.
Ancora due considerazioni, prima di concludere.
Le risposte ai questionari, soprattutto le testimonianze rese dai ragazzi, ci danno un quadro, a mio avviso, oggettivo, reale, non forzato intendo dire, né in senso di sottovalutazione ne in senso di adesione.
Cioè, non hanno risposto solamente coloro che approvavano l'iniziativa della Regione, e quindi erano d'accordo sulla valutazione negativa del fenomeno, ma anche persone che si sono espresse in termini positivi sull'esperienza della droga. E' pero molto importante rilevare che queste risposte cosiddette "positive" sono riconducibili - lo dicono gli stessi interessati - a motivazioni di dissociazione, di emarginazione, di ricerca di qualcosa che non trovano nella società, nell'ambiente in cui vivono; e questo ci pare un dato molto importante, che conforta l'assunto di fondo che emerge anche dalla relazione, soprattutto nelle sue conclusioni, che comunque il fenomeno della droga, della diffusione delle sostanze stupefacenti, ha in sé delle connotazioni negative, sia che l'approccio e l'assunzione da parte del singolo siano negativi sia anche quando il singolo considera esperienza positiva e liberatoria questo fenomeno.
"Liberatoria" da che cosa, infatti? Da uno stato di insoddisfazione, da uno stato, in fondo - riportiamo il termine generico, che forse non dice tutto di emarginazione e di disadattamento E' questo l'aspetto che risulta prevalente del fenomeno, anche a una prima lettura di questa indagine e di tutti gli altri documenti: la droga è un effetto, non una causa, dei fenomeni di emarginazione. E' vero che provoca, a sua volta, una maggiore e più profonda emarginazione (giustamente è stato ricordato lo stato dei tossicomani puri, degli eroinomani, dei cocainomani): però, sono l'emarginazione, il disadattamento, la difficoltà, direi, di trovare un modello di vita giusto, corrispondente alle aspirazioni di tanti giovani, a provocare certe necessità. Di qui l'esigenza di una giusta analisi ed anche di una giusta risposta. La risposta, venuta anche dai questionari, è una risposta, direi, molto positiva, in quanto non si è limitata a dire, con larga approssimazione: "Cambiamo la società", il che sarebbe stato assai poco e sarebbe stato insoddisfacente; ma è stata invece una risposta direi, di massa, che ha voluto significare la necessita proprio di andare alle radici del fenomeno in maniera collettiva, sforzandoci un po' tutti e qui richiamiamo anche la nostra responsabilità - di dare a questo fenomeno un'elaborazione collettiva, capace di individuare senza allarmismi, con realismo, e anche con giusta preoccupazione, un modo di affrontare il fenomeno della droga e della sua diffusione. Questo mi pare un elemento molto importante, e, d'altra parte, la chiave di volta della nostra indagine di massa è stata la partecipazione, il coinvolgimento.
A questo proposito devo obiettare al collega Carazzoni - astenendomi peraltro dal rispondergli circa altre illazioni da lui fatte, molto diligentemente, ma che mi pare non possano avere gran peso - di una presunta strumentalizzazione. La Commissione ha pienamente centrato i suoi compiti, non tanto, forse, nella raccolta dei dati (interessanti, completi ma con limiti che abbiamo senz'altro riconosciuto), quanto nell'aver provocato questo sforzo di discussione e di elaborazione collettiva nella comunità piemontese. Uno sforzo che non finisce oggi, ripeto, ma che continua, e che deve avere anche su questo problema un grosso apporto da parte delle forze democratiche. Se in questo sta il torto dell'iniziativa del Presidente Sanlorenzo, ebbene, è un torto che accettiamo molto volentieri, perché noi riteniamo che sia invece proprio questo il cavallo vincente, che solo in questo modo sia possibile recuperare, certo non con facilità, ad una coscienza collettiva tale che la droga non appaia come rimedio a situazioni di emarginazione, a situazioni personali o familiari difficili, talvolta insostenibili.
Vorrei ancora ricordare un altro dato che è pure emerso ma che mi pare nessuno abbia ancora messo in evidenza. Molti questionari, molte risposte anche le testimonianze rese ai giornalisti, hanno denunciato il ruolo degli spacciatori e dei trafficanti, il rapporto, in certi casi un rapporto di viluppo che quasi non si riesce a sciogliere, fra consumatore e spacciatore. Alla base di questo rapporto sta la coscienza, anche in chi ha provato la droga, o addirittura in chi la prova ancora, che lo spacciatore il trafficante, è il responsabile non esclusivo ma certo in larga massima di una tale situazione. Io inviterei tutti a rileggere quanto ha scritto il giornalista Marolo, della "Gazzetta del Popolo": dalle risposte di questi ragazzi all'intervistatore emerge la figura chiave dello spacciatore, del trafficante, quindi la necessità di colpire le centrali, i luoghi organizzati di diffusione, di spaccio, per eliminare uno dei punti fondamentali del dilagare del fenomeno.
Certo, sotto questo aspetto, la nostra Commissione non ha potuto ottenere grossi risultati. Quando parliamo di luoghi di traffico, noi ci riferiamo all'individuazione, come è detto anche nella relazione, di spacci in cui non è possibile isolare la componente spacciatore da quella consumatore, cioè spacci dove molto spesso troviamo la figura del consumatore spacciatore. Di questi luoghi ne sono stati individuati 125 nella Regione, il cui elenco, con tanto di nome di luoghi pubblici di divertimento e anche di persone, è stato consegnato questa mattina alla Magistratura. La Magistratura e la polizia devono sentirsi impegnate a cercar di individuare gli anelli di collegamento di chi tira le fila di questo traffico. Vi è inoltre coscienza abbastanza diffusa della necessità di intervenire a monte socialmente (ma questo richiederà un cammino un po' lungo); ma si deve intervenire subito nei confronti degli spacciatori e dei trafficanti.
Mi limiterò ad una sola altra considerazione, poiché mi sono già dilungato anche troppo, lasciandomi un po' trasportare da un argomento che per la verità ci ha appassionato tutti (anche il Consigliere Oberto, pur non facendo parte della Commissione, ha dimostrato la sua sensibilità al problema dando un apporto notevole con il suo intervento, che ho molto apprezzato); è obiettivamente necessario rimontare uno stato di disagio che è presente tra i giovani, e non solo tra i giovani ma che tra i giovani ha delle connotazioni particolari, per quel che riguarda la droga. E' uno stato di disagio, di ribellione a cui non possiamo disconoscere che contribuiscono delle componenti anche sottoculturali o culturali; per vorrei ricordare, tanto per far chiarezza, che quello che è stato una certa eredità del movimento Frike, o Bennick, o, mi pare, Ginzberg, Timothy Lee eccetera, era rivolto, sette-otto anni fa, soprattutto a un modo di intendere il consumo della droga - è detto anche nell'indagine dei giornalisti - in compagnia, in collettività, cioè un modo di evadere certamente sbagliato ma che era rivolto all'uso certe droghe che classifichiamo oggi leggere, ma in cui questo tipo di sottocultura, di cultura, se vogliamo dire che ha anche avuto la sua incidenza nell'odierno fenomeno di massa, è poco presente. Cioè, è stata filtrata ampiamente direi che si è un pochino spogliata dei suoi orpelli, e si è espressa nella brutalità, nell'evidenza di un fatto che non ha bisogno di orpelli culturali o sottoculturali, ed è invece un tentativo, sbagliato fin che si vuole, compiuto dalle categorie, non classi, di giovani più emarginati e più disadattati. A questo fenomeno di massa della droga dobbiamo rispondere intervenendo socialmente.
Permettetemi di citare, più in generale, una frase tratta dai "Quaderni dal carcere" di Gramsci, appropriata all'analisi sul perché, sul come i giovani si ribellino tendenzialmente. Gramsci diceva: "I giovani sono in ribellione permanente perché persistono le cause di essa senza che ne siano permesse l'analisi, la critica, il superamento". Io credo, in tutta coscienza, che il lavoro svolto da questa Commissione sia stato un contributo per dare ai giovani la possibilità il permesso, direi, di svolgere un'opera di analisi, di critica, e quindi per arrivare ad un superamento.
Certo, non è ottimistica questa visione, e quanto è stato detto dai miei colleghi evidenzia la necessità di proseguire in interventi precisi specifici. E' indubbio, però, che con questa indagine è stato compiuto un primo passo. Il fatto, tra l'altro, che la Regione Piemonte abbia ricevuto nelle risposte dei giovani, un riconoscimento alla sua credibilità è elemento che non può se non confermare soprattutto un indirizzo: noi crediamo che anche forme in sé un po' astratte, come i questionari, possano diventare veicoli di partecipazione autentica se la formulazione di questi questionari, di questi interrogativi, viene fatta in modo corretto preceduta da adeguata discussione, ma soprattutto se viene fatta da un ente democratico cui gran parte dei giovani riconoscono una fondatezza democratica e quindi un'affidabilità.



PRESIDENTE

Conclude la discussione l'Assessore Enrietti.



ENRIETTI Ezio, Assessore alla sicurezza sociale e sanità

Il dibattito è stato assai interessante, e, direi, altamente produttivo. Oltre alla relazione del Presidente del Consiglio, ho seguito con particolare attenzione l'intervento svolto dal Consigliere Oberto, al quale devo dar atto di aver centrato perfettamente il problema.
Ho portato con me, con gli altri documenti, anche il testo che la Giunta regionale aveva a suo tempo predisposto in argomento, che è un ottimo ed utilissimo documento.
Con questa affermazione credo di aver replicato implicitamente alla considerazione del Consigliere Carazzoni, il quale ha detto, se ho inteso esattamente, che il Presidente del Consiglio porta avanti questo tipo di discorso in quanto comunista. E' un'insinuazione che mi pare possa essere immediatamente confutata: è stato il Presidente del Consiglio, ma a nome di tutto il Consiglio, a portare avanti questa iniziativa, sulla scia d'altronde, di ciò che già aveva fatto il Consiglio regionale precedente.
Questa iniziativa costituisce un atto politico non marginale, dettato dalla consapevolezza che questo gravissimo problema non è fatto che riguardi solo un partito o un individuo, né la sua discussione costituisce soltanto - in questo concordo perfettamente con l'indicazione del Consigliere Oberto un'esercitazione oratoria per far parlare di sé i giornali; ma è un atto di estrema importanza, cui è significativo che il Consiglio abbia dedicato un'intera mattinata, rifacendosi d'altronde ad esperienze passate.
Da queste considerazioni di fondo emerge la netta, precisa indicazione dell'utilità di questa indagine, non come fatto superficiale, confuso e contraddittorio, come ho sentito dire da qualcuno, ma, invece, come Bontempi ha rilevato, come fatto qualificato, e che è andato a fondo dei problemi in quanto fatto politico di massa; non è stata semplicemente una rilevazione così, di carattere burocratico, ma un fatto permeato come si rileva dalle risposte che certamente tutti voi avrete letto e che noi abbiamo sotto gli occhi, di sensibilità, un fatto la cui vastità ed importanza è all'evidenza di tutto il Consiglio.
Vorrei dare il mio contributo a questo dibattito entrando anche nel merito dei problemi, come d'altronde è stato sollecitato. Prima intendo però fare ancora un breve accenno all'aspetto generale del ruolo esercitato da questo Assessorato in riferimento ai problemi comuni alle altre Regioni ed a quelli di livello nazionale; la posizione di primo piano, di capofila della Regione Piemonte è emersa nettamente ad esempio per la tematica relativa all'applicazione della legge 685 (Prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza).
Devo ricordare ai colleghi del Consiglio che la Regione Piemonte appunto attraverso contatti con gli Assessori regionali di tutta Italia, e in conseguenza anche degli elaborati precedentemente curati, che io ho citato, è risultata la capofila dell'iniziativa della promozione di una legge regionale che vada bene non soltanto per il Piemonte ma per tutta Italia. In Piemonte si terrà fra breve un convegno degli Assessori regionali di tutta Italia affinché l'elaborazione degli elementi concreti di attuazione della legge regionale sull'applicazione, in conformità delle disposizioni della legge 685, sia un fatto non soltanto piemontese ma un fatto nazionale.
Passo, dunque, a delineare alcuni concetti di carattere generale all'individuazione di alcune problematiche circa la diffusione della droga un fenomeno che compromette gravemente lo sviluppo sociale del nostro Paese.
La lotta alla droga deve partire dalla lotta contro un tipo di organizzazione sociale che genera le condizioni perché larghe fasce di giovani, socialmente ed economicamente più depresse (ma anche con meccanismi di emarginazione individuale che paradossalmente si ritorcono sugli individui più esposti delle classi egemoni), non trovino altra soluzione che il proprio annullamento e la propria autodistruzione come fuga.
Se allora il problema della droga tocca sfere dove tutti i problemi hanno la stessa matrice sociale: miseria, disoccupazione, lavoro alienante emarginazione, sfruttamento e consumismo, con i loro effetti sull'individuo diretti e mediati dalla disgregazione familiare e sociale nonché culturale caratteristiche dell'urbanesimo forzato e della decadenza contemporanea del mondo rurale, vediamo emergere il vero volto del fenomeno, che è in funzione della disuguaglianza fra individui e non della diversità, e i suoi veri confini, che si allargano e si accomunano ad altri fenomeni di ben più antica consuetudine nella nostra società, quali l'alcoolismo, la prostituzione eccetera.
L'impegno delle forze politiche progressiste, delle forze sociali delle organizzazioni sindacali, va dislocato su questo terreno; con una presa di coscienza ed un'assunzione di responsabilità nel mutamento.
Se, infatti, è vero che occorre stimolare la crescita civile e morale del Paese, affinché chi oggi cerca risposte individuali ai propri problemi possa orientare e organizzare la sua proposta in termini più costruttivi e di partecipazione collettiva alla vita politica e sociale, e altresì vero che solo risolvendo i nodi strutturali dello sviluppo, nazionale ed internazionale, tale nuova politica può sortire effetti positivi.
L'interpretazione socio-politica della problematica della droga ricomprendente gli aspetti di psicologia individuale, familiare e di gruppo, finora tentata e spinta fino alla denuncia (pur nei suoi chiari limiti e con i rischi della genericità), ha un preciso significato: delineare, chiarendo le cause più profondamente radicate nel contesto sociale, la vastità e complessità dell'approccio preventivo che accomuna la tossicodipendenza ad altre problematiche che riconoscono radici sociali analoghe, approccio preventivo che è la principale, se non l'unica vera modalità di risposta corretta. Ci sta innanzi, invece, una lunga via da percorrere, lungo la quale l'impegno politico e la chiarezza degli obiettivi non dovranno mai venir meno, sia su scala nazionale e internazionale, sia per giungere ad un accettabile controllo della diffusione mondiale della droga.
E' tuttavia compito immediato delle forze politiche regionali, nel rispetto di tale impegno politico e di tale chiarezza di obiettivi iniziare l'attuazione nel nostro Paese di provvedimenti che consentano un pronto e corretto, anche se graduale intervento. Innestate, infatti, nella realtà politica sotto descritta, le lotte che i lavoratori stanno conducendo in questi anni sui problemi dell'occupazione, dell'assetto del territorio, della casa, della scuola, della salute hanno già come matrice comune la presa di coscienza che la lotta per le riforme equivale alla lotta contro l'emarginazione sociale e quindi anche contro il dilagare delle sostanze stupefacenti secondo i noti meccanismi.
In questo contesto va vista, quindi, la richiesta di iniziative per combatterne le cause specifiche e contenerne gli effetti, privilegiando il momento preventivo rispetto a quello curativo e ripudiando gli interventi repressivi verso chi è essenzialmente vittima dell'uso di stupefacenti.
Rispondendo a queste sollecitazioni il Parlamento ha approvato il 22/12/1975 la legge n 685 sulla "Disciplina degli stupefacenti e delle sostanze psicotrope", che, in effetti, segna un momento innovativo nella regolamentazione della materia.
Gli aspetti più qualificanti di questa nuova legge sono: la depenalizzazione dell'uso personale di sostanze stupefacenti anche a scopo non terapeutico, operando così una netta distinzione fra consumatore e spacciatore, con la conseguente assicurazione al tossicomane del diritto di essere curato la definizione di nuove norme-quadro per un intervento pubblico nel campo della prevenzione-cura-riabilitazione dei drogati, affidando, in questo campo, compiti primari alle Regioni e agli enti locali l'inasprimento delle misure di repressione del commercio di sostanze stupefacenti, con forte aggravamento delle pene per gli spacciatori A questi ed altri lati positivi della legge si contrappongono per alcuni aspetti negativi. La legge nazionale pone alle Regioni delle difficoltà nell'impostazione dei programmi di prevenzione e di intervento nel campo della tossicodipendenza, nel senso di risposta corretta alla domanda sociale, in quanto risente di tre grossi limiti nella sua impostazione. Se da un lato, infatti, non può incidere seriamente sul mercato della droga, che continua a seguire la logica del profitto e dell'interesse privato, sia a livello dei Paesi produttori che nei meccanismi di importazione e di commercio, dall'altro non prevede una disciplina contro l'uso incontrollato delle "droghe legali", rappresentato dal dilagare dei medicinali (soprattutto psicofarmaci) che le tabelle contenute nella nuova legge non garantiscono da un controllo contro le grosse speculazioni delle Case farmaceutiche, ai danni della popolazione.
Il secondo grosso limite della legge è rappresentato da un'impostazione di tipo autoritario e tecnicistico, a scapito delle istanze democratiche e partecipate. Questo rilievo si evidenzia soprattutto esaminando la composizione del "Comitato regionale per la prevenzione delle tossicodipendenze", che non prevede al suo interno la rappresentanza degli enti locali, che pur sono tenuti a gestire tutti i servizi, né la partecipazione delle forze sociali e sindacali, né di rappresentanti dei più diretti interessati, cioè ex tossicodipendenti.
Pertanto, i momenti di socializzazione, e quindi di omogeneizzazione delle esperienze che devono indirizzare il coordinamento e la promozione delle iniziative regionali, sono affidati a funzionari ministeriali all'autorità giudiziaria e di polizia, ad "esperti", non già agli organismi elettivi locali, quali espressioni delle istanze reali.
Il terzo grosso limite viene infine individuato nella mancanza di indirizzi di coordinamento delle iniziative disciplinate dalla legge stessa: infatti l'attività del Comitato di studio, di programmazione e di ricerca istituito dal Provveditore agli studi nell'ambito della scuola è scollegato dalle attività del Comitato regionale e dei Centri medici e di assistenza sociale e dagli altri servizi socio-sanitari operanti sul territorio.
Questa impostazione rischia di svuotare di contenuto i momenti della partecipazione e della riaggregazione delle esperienze che costituiscono l'asse portante della prevenzione nonché della razionalizzazione degli interventi. Pertanto, le leggi attuative regionali devono provvedere a colmare questi vuoti, in aderenza ai rispettivi programmi di politica sociosanitaria.
Sul piano più strettamente operativo, i presupposti sopra enunciati devono portare a: inquadrare il fenomeno della droga e la lotta contro la sua diffusione all'interno del piano di servizi antiemarginanti previsti nell'ambito delle Unità locali dei servizi, attraverso una serie di attività non settoriali ma integrate a livello del territorio delegare quindi la gestione dei servizi ai Comuni, loro Consorzi e Comunità montane, i quali dovranno operare autonomamente nell'ambito della programmazione regionale e nel quadro delle costituende Unità locali dei servizi, recuperando le attività, le esperienze ed i modelli locali per quanto riguarda sia il tipo di rapporto terapeutico sia il tipo di struttura riabilitativa (comunità autogestite, affidamenti familiari eccetera).
Ciò consentirà innanzitutto il controllo e la verifica dal basso delle attività di cura, prevenzione e riabilitazione, in un confronto dialettico e democratico tra tecnici e utenti che è lo strumento più qualificato per la stessa formazione permanente degli operatori, nonché il primo e principale strumento di risocializzazione del tossicodipendente.
Attraverso questa via si assicura, infatti, al tossicodipendente non solo un ruolo attivo verso la cura e la riabilitazione specifica, ma lo si rende anche partecipe di un processo che lo vede protagonista nell'eliminazione delle cause presenti nel suo stesso ambiente sociale e familiare che lo hanno portato ad un reale stato di emarginazione. Ciò in quanto solo un approccio paritario, stimolante l'autonoma volontà del tossicodipendente, centrato soprattutto sugli interventi di tipo sociale può garantire risultati apprezzabili in questo campo evitare, attraverso le deleghe, l'organizzazione, quindi, di centri medici e di assistenza sociale specifici per tossicomani, ma trovare risposte specifiche attraverso operatori competenti all'interno di una rete coordinata di servizi socio-sanitari, nell'ambito, tra l'altro, di una problematica più vasta, comprendente l'alcoolismo o altri fenomeni di "devianza" individuare perciò nei servizi socio-sanitari organizzati sul territorio, in base alla politica dell'onnicomprensività, il perno dell'attività globale di prevenzione, cura e riabilitazione utilizzare, quindi, le strutture ed il personale già in attività, in particolare le equipes socio-sanitarie, psico-sociali eccetera già distribuite sul territorio, opportunamente integrate ai fini della presente legge e di un adeguamento operativo a livello polifunzionale, prevedendo anche l'intervento sul momento ospedaliero. I servizi, ad esempio, presenti in Piemonte in altri Comuni e Province sono indicativi allo scopo; equipes psico-medico-pedagogiche, servizi di assistenza domiciliare, centri di incontro, affidamento a famiglie, gruppi e comunità, servizi sociali di base a livello comunale; equipes psichiatriche di territorio e centri di igiene mentale a livello provinciale effettuare il ricovero in ambiente ospedaliero solo in casi di gravi danni organici, non curabili ambulatorialmente. Le cure ospedaliere specifiche per tossicomani non devono alimentare speculazioni nella creazione di nuove divisioni o sezioni speciali, ma piuttosto stabilire collegamenti fra servizi nell'ambito della ristrutturazione degli ospedali col processo di formazione dei dipartimenti di pronto-soccorso e accettazione assicurare, inoltre, misure di ausilio legale e sociale (posto di lavoro protetto eccetera) da affiancare agli interventi sanitari o socio psico-terapeutici i Comuni potranno utilizzare e coordinare, con i propri, anche i servizi di dipendenza provinciale e quelli ospedalieri mediante convenzioni, nella prospettiva di un recupero completo alle Unità locali dei servizi delle attività provinciali ai fini dell'integrazione dei servizi in tutto il territorio regionale nelle deleghe, sarà possibile distinguere le attività terapeutiche dirette dalle attività di coordinamento e burocratiche, specie in fase di prima attuazione, per realizzare un processo costruttivo che consenta di ottemperare agli obblighi di legge entro il termine previsto da un lato, e dall'altro di realizzare una struttura agile, che non settorializzi o ipertrofizzi il problema la composizione del Comitato di coordinamento regionale dovrà essere la meno burocratica possibile, né configurarsi come raccolta di una elite di esperti, ma dovrà assicurare un ruolo specifico del Comitato nel coordinamento delle attività giudiziarie e scolastiche previste dalla legge, con quelle più specificatamente socio-sanitarie, rispetto alle quali il Comitato dovrà essere lo strumento di sintesi al servizio delle esigenze territoriali, senza però sovrapporsi alla pianificazione generale tediante pianificazioni settoriali sempre nel quadro delle Unità locali e all'interno dei programmi regionali di formazione del personale sociosanitario, organizzare momenti di qualificazione e aggiornamento specifici, ma su tutta la problematica dell'emarginazione, come elemento di fondo. In tale programma vanno assolutamente inserite, mediante collegamenti operativi, le iniziative didattiche attribuite dalla legge agli organismi della scuola, in quanto il personale insegnante ha funzione indispensabile preventiva contro l'emarginazione sociale del giovane, sia con i contatti personali diretti sia come elemento diffusore di educazione sanitaria, la quale non è, nel caso specifico, propagazione di notizie fisiopatologiche atte a dissuadere il potenziale tossicomane (anzi, sotto questo profilo è una forma di involontaria propaganda), bensì offerta di strumenti critici sulla propria realtà sociale, psicologica e morale e soprattutto offerta di valori a cui ancorare gli scopi della propria esistenza attraverso questa via, va inoltre approfondita la tematica conoscitiva circa l'entità della diffusione della tossicodipendenza e dell'alcoolismo nel proprio ambito territoriale e soprattutto nell'individuazione di gruppi o soggetti esposti al rischio, coinvolgendo gli organismi locali, gli organi collegiali della scuola, le associazioni giovanili eccetera, ben consci del rischio di restringere il tema al solo aspetto della tossicodipendenza e dei limiti, nel campo specifico, delle metodiche tradizionali di raccolta dei dati e di indagine conoscitiva componente qualificante dell'attività regionale dovrà essere, infine l'operare in stretta comunanza sul piano scientifico e organizzativo vitalizzando, fra l'altro, dal basso i collegamenti nazionali previsti anche dalla legge, nella direzione soprattutto di cercare strumenti per l'individuazione e repressione delle forze che controllano la produzione ed il commercio sia delle droghe illegali che delle droghe legali (come le attuali manovre delle Case farmaceutiche hanno chiaramente posto in luce).
Sono questi gli obiettivi di carattere generale - ancora, lo ammetto di indicazione estremamente generale - che puntualizzano la linea di marcia sulla quale occorre procedere con la massima celerità. La definizione dei provvedimenti operativi concreti, quindi della legge quadro operativa, in cui dovranno inserirsi tutte queste direttive, dovrà, a mio avviso scaturire, insieme alla precisazione concreta degli strumenti operativi indispensabili alla sua applicazione, dal convegno che si terrà a Torino nel prossimo mese - se la situazione nazionale lo consentirà, visto che si prospettano elezioni politiche anticipate -, e coinvolgerà il nostro Consiglio nel suo insieme e gli Assessori regionali di tutta Italia.



PRESIDENTE

Se non vi sono altre richieste di parola, possiamo considerare esaurito il punto all'ordine del giorno. Nel corso della giornata si valuterà se concludere eventualmente la discussione con un breve documento, nel caso che la Commissione sul fenomeno della droga, la Giunta regionale ed i Capigruppo ritenessero opportuna una formalizzazione.


Argomento: Urbanistica (piani territoriali, piani di recupero, centri storici - Edilizia pubblica (convenzionata, sovvenzionata, agevolata) - Opere pubbliche - Edilizia: argomenti non sopra specificati

Esame disegno di legge n. 39: "Finanziamenti integrativi a favore delle cooperative a proprietà indivisa" e n. 40: "Acquisizione o risanamento di complessi residenziali di interesse storico o culturale"


PRESIDENTE

Passiamo ora ai punti successivi del nostro programma di lavori odierno. Secondo le intese raggiunte prima del dibattito testè concluso affronteremo ora i problemi relativi alle leggi n. 39 e n. 40. Suggerirei di fare una discussione unica delle due leggi, stante la loro analogia, per poi procedere, ovviamente, a votazioni separate.
Se non vi sono obiezioni a che si faccia un'unica discussione dei disegni di legge 39 e 40, invito il relatore, che è per entrambe il Consigliere Bontempi, ad esporre le sue argomentazioni.



BONTEMPI Rinaldo, relatore

Allineandomi già, di mia iniziativa, allo spirito dell'invito del Presidente, accolto anche dal Consiglio, avevo già preparato un'unica relazione per i due disegni di legge. Questo per due ordini di motivi: da un lato perché le relazioni della Giunta ai due provvedimenti sono estremamente analitiche e dettagliate, per cui al relatore spetta soprattutto sottolineare alcuni aspetti di ordine generale, motivare i provvedimenti; dall'altro, proprio perché i due provvedimenti, 39 e 40, si legano, direi, strutturalmente ad un unico concetto: l'intervento che la Regione, nel campo del gravissimo problema della casa, intende compiere.
Darò pertanto lettura della relazione che ho preparato, premettendo soltanto che essa, pur essendo stata preventivamente discussa in Commissione, non impegna i vari Gruppi politici all'osservanza dei criteri che ne emergono.
Nel presentare all'attenzione di questo Consiglio i presenti disegni di legge per l'approvazione, ci pare vadano sottolineati alcuni aspetti di carattere generale entro cui vanno correttamente inquadrati i disegni di legge n. 39 e n 40, per coglierne appieno il significato, la portata, le implicazioni.
Il problema della casa ha ormai assunto nella nostra Regione una gravità ed una drammaticità tali da rendere superfluo qualsiasi discorso di genere: occorre invece misurarsi concretamente con la realtà in termini di fabbisogni emergenti, risorse disponibili e competenze istituzionali, per delineare anche in termini operativi una politica che assuma il problema della casa come problema sociale.
Alcuni dati forniscono con tutta evidenza il quadro di riferimento su cui occorre operare. Dalle informazioni censite nel 1971 si può ricavare il seguente ammontare di fabbisogni pregressi presenti a quella data: n. 7.939 vani utili necessari per eliminare le abitazioni improprie (baracche, caserme e via dicendo) n. 132.469 vani utili per eliminare le condizioni di sovraffollamento intendendo per sovraffollamento un rapporto abitante-vani superiore a 2, da 2 in poi n. 450.981 vani utili necessari per eliminare le condizioni di affollamento, in cui l'indice è oltre l'1 e al di sotto del 2 (1 e mezzo ecc.) infine, dato che vorrei richiamare all'attenzione di tutti per il suo peso quantitativo: n. 1.539.630 vani utili sui quali sarebbe stato necessario intervenire per eliminare le condizioni non soddisfacenti a causa delle carenti condizioni materiali dell'alloggio. (Possiamo richiamare qui dei concetti di anti-igienicità, di mancanza di servizi igienici, mancanza di riscaldamento centrale e via dicendo).
Questi dati assumono poi un rilievo ancora maggiore se rapportati al fatto che l'estesa fascia di insoddisfacente od inaccettabile condizione abitativa corrispondente a situazioni di degrado edilizio, in costante peggioramento, rilevata al 1971, sia rimasta tale nonostante che nel periodo '51-'71 la produzione di nuove abitazioni e stanze sia stata elevata, tanto in valore assoluto quanto in rapporto alla popolazione (la popolazione in quei vent'anni è cresciuta di 1.046.419 unità, pari ad un incremento del 23 per cento, ed i vani, ripeto, di produzione globale, sono cresciuti di 1.970.948, con un incremento del 50 per cento). Da questo deriva quindi che il non corretto impiego di queste risorse, la mancanza di una politica generale della casa, la mancanza di una politica che sia intervenuta per il recupero, la ristrutturazione ed il risanamento di situazioni di degrado ha portato a questa situazione assurda: abbastanza elevato numero di stanze realizzate in questi vent'anni, ma nessuna soluzione dei problemi della gente, soprattutto delle classi che si trovano in stato di grave degrado abitativo.
La situazione abitativa alla fine del 1975 non può essere sostanzialmente cambiata rispetto a quella rilevata nel '71, sia perché non sono cambiate in modo quantitativamente rilevante le politiche riguardanti la casa (la produzione edilizia pubblica sovvenzionata e convenzionata relativa alla legge 865 ed alle leggi 166 e 492, di cui qui in Consiglio ancora ultimamente abbiamo approvato le localizzazioni, è tuttora in corso di attuazione, e l'iniziativa privata non ha cambiato i caratteri precedenti, li ha mantenuti fermi), sia perché in questi anni si sono avuti forti cali nell'entità globale della produzione.
In via di prima approssimazione, si può comunque ritenere che alla fine del 1975 l'aliquota di vani utili su cui sarebbe necessario intervenire per eliminare le situazioni insoddisfacenti o inaccettabili a causa delle condizioni materiali dell'alloggio sia rimasta quella rilevata nel 1971 cioè 1.539.630 vani utili.
Per quanto concerne le condizioni di affollamento, può essere assunta l'ipotesi che la produzione di stanze, pubblica e privata, che si è avuta dal 1971 al 1975, sia stata rivolta alla loro riduzione, e che alla parziale riduzione delle abitazioni improprie abbia provveduto un'aliquota dell'edilizia sovvenzionata pubblica. Sulla base di questa ipotesi ottimale, si può stimare che alla fine del 1975 sarebbero stati necessari 422.573 vani utili per sostituire le abitazioni improprie e per eliminare le condizioni di affollamento, assumendo quindi tali dati (che, giova sottolinearlo, prendono in considerazione solamente le situazioni pregresse), ne deriva una valutazione dell'impegno finanziario per soddisfare questo fabbisogno più o meno in questi termini: Costruzione di 422.573 vani utili, per eliminare le abitazioni improprie e le condizioni di affollamento (stimando, più o meno, al dato attuale, cioè senza un innescamento a livello generale di metodologie e di standardizzazione di produzione industriale, un intervento che costi 4,5 milioni a vano, secondo i tipi previsti per l'edilizia residenziale pubblica) - Totale L. 1.901.578 miliardi Interventi per eliminare le condizioni di non igienicità su 1.539.630 vani, che può essere computato all'incirca su un costo vano per intervento stimabile al 55 per cento della costruzione di un vano nuovo - Totale miliardi 3.810.000 circa, con un totale quindi generale di fabbisogni pregressi, a cui corrisponde un intervento finanziario di miliardi 5 e 712.162 lire. A questo occorre poi aggiungere l'impegno finanziano da preventivare per soddisfare il fabbisogno addizionale nel periodo '76-'86 che può essere valutato, anche in un'ipotesi molto contenuta di sviluppo della popolazione, in altri 1000 miliardi e più.
Da questo quadro di dati emergono dunque due considerazioni di fondo: da un lato, la necessità di valutare realisticamente la soluzione del problema della casa come un problema che, per le sue dimensioni, non pu essere affrontato se non in una prospettiva di lungo periodo; dall'altro la necessità di inquadrare correttamente il problema della casa nella sua dimensione, che è e resta soprattutto una dimensione nazionale.
Ciò impone prioritariamente la necessità che lo Stato estenda l'investimento pubblico nel settore dell'edilizia economica e popolare. In proposito, comunque, giova dirlo, occorre realisticamente osservare che per quanto si possa estendere, nel bilancio nazionale, la voce relativa alla casa, ancora grande rimarrà comunque il divario tra il fabbisogno insoddisfatto e l'offerta proveniente dall'investimento pubblico.
Di qui la necessità di un intervento indiretto e di tipo selettivo da parte dello Stato, sia attraverso lo strumento del credito, sia attraverso lo strumento della normativa urbanistica, al fine di guidare aliquote consistenti dell'investimento privato verso la soluzione di fabbisogni più urgenti.
Di converso - e questa è un'altra conseguenza -, stante le attuali disponibilità finanziarie degli enti locali, della stessa nostra Regione un programma per la soluzione del problema della casa non può essere sostenuto economicamente da interventi diretti, quantitativamente significativi, sia pure parziali, di tali enti. Troppo grande, infatti ed è un dato anche questo oggettivo, il divario tra entità di risorse da destinare per coprire anche solo una parte dei fabbisogni in maniera significativa, e la limitatezza oggettiva delle disponibilità, a tutt'oggi della Regione.
Tuttavia, di fronte all'estensione con cui sono presenti situazioni abitative insoddisfacenti ed inaccettabili per gravi carenze materiali degli alloggi e rispetto alla pressante domanda di alloggi soddisfacenti a basso affitto, la Regione non può limitarsi, nel settore della casa, al solo espletamento dell'uso efficiente delle scarse risorse pubbliche disposte dalle leggi nazionali, secondo quelle che sono le competenze ad essa finora delegate in materia.
Molto opportunamente, quindi, a giudizio della Commissione, la Giunta regionale, a seguito della pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 221 del luglio 1975, ha operato recuperando i concetti fondamentali del disegno di legge n. 267, che fu presentato dalla Giunta precedente alla fine della scorsa legislatura e venne rinviato dal Commissario di Governo e tenendo conto della nuova realtà determinatasi a seguito dei finanziamenti di cui alle leggi 166 e 492, inserendoli nei due disegni di legge n. 39 e n. 40, che rappresentano - lo voglio sottolineare al Consiglio - un momento di importante continuità rispetto a quella che fu un'iniziativa della Giunta regionale che ha preceduto l'attuale; disegni di legge che oggi siamo chiamati ad approvare, per la cui dettagliata illustrazione, come ho già detto in premessa, ritengo di poter rimandare alle analitiche e compiute relazioni della Giunta che accompagnano i due disegni di legge.
Vorrei, prima di terminare la mia esposizione, illustrare i criteri informatori dei due disegni di legge.
Il disegno di legge regionale n. 39 costituisce un provvedimento correttivo delle leggi finanziarie dello Stato, che pongono a carico della cooperazione a proprietà indivisa oneri non sostenibili... Infatti, gli oneri da accollare ai soci delle cooperative sono tali per cui i canoni di locazione degli alloggi di edilizia economica e popolare superano, a volte quelli del mercato libero.
Le cooperative a proprietà indivisa hanno ragione di essere solo se possono assegnare gli alloggi in uso ai soci senza richiedere alcun anticipo di capitali e far pagare un canone inferiore a quello di mercato: è quindi necessario che possano disporre di finanziamenti che coprano l'intero costo e il cui ammortamento inizi con la disponibilità degli alloggi ed abbia un costo non superiore ad una certa cifra sostenibile per vano.
Si ritiene valido l'importo di L. 13.000 per vano di 16 metri quadrati in quanto lo stesso corrisponde, in linea di massima, all'onere finora posto a carico delle cooperative a proprietà individuale dai finanziamenti disposti dalla GESCAL, per cui, a maggior ragione, tale tipo di agevolazione finanziaria si rende necessario nei confronti delle cooperative a proprietà indivisa.
Inoltre, a conferma di quanto sopra, le organizzazioni delle cooperative giuridicamente riconosciute, sulla base dei conti economici derivanti dalle leggi finanziarie statali, hanno verificato che il suddetto onere rappresenta l'importo massimo sopportabile dalla fascia di reddito medio dei soci che compongono le cooperative a proprietà indivisa.
E' quindi necessario predisporre dei finanziamenti integrativi a favore delle cooperative a proprietà indivisa - ripeto, qui si riprende quanto fu una parte della legge della Giunta precedente, dell'altro Consiglio, a favore delle cooperative a proprietà indivisa -, al fine di ottenere canoni di locazione maggiormente proporzionali a quella che è poi la base di riferimento, cioè la disponibilità economica dell'utenza.
E' infatti noto - mi pare di doverlo qui sottolineare - che i soci delle cooperative edilizie a proprietà indivisa corrispondono ad una domanda di locazione a costi sociali per cui si è posto il problema sia del reperimento necessario a coprire la quota del costo dell'intervento non coperta dai finanziamenti pubblici, sia di contenere gli oneri derivanti dall'accensione dei mutui bancari ad un livello tale che siano sopportabili dai soci stessi.
Inoltre, poiché le cooperative edilizie a proprietà indivisa sono gravate in modo diverso in relazione al tipo di finanziamento pubblico assegnato, si rende necessario, in considerazione delle medesime finalità perseguite dalle cooperative, perequare gli oneri a carico delle stesse considerando anche che è chiaramente riconosciuta alla cooperazione a proprietà indivisa, per il tipo di intervento che si prefigge, un ruolo analogo a quello svolto dagli Istituti autonomi per le Case popolari.
Con questo disegno di legge, che impegna la Regione per un finanziamento di 3.811 milioni, come si è detto, si intende sopperire a deficienze ed incongruenze delle leggi nazionali; infatti, tale finanziamento permette l'utilizzo dei fondi disposti dallo Stato ammontanti a ben 49 miliardi, e ne è addirittura allo stato attuale condizione necessaria.
Se in questo modo, e per l'urgenza, si giustifica l'intervento della Regione, non pare però opportuno che la Regione assuma permanentemente una funzione correttiva dell'inadeguatezza dei provvedimenti nazionali. Sotto questo profilo, si pone il problema di rivendicare per i futuri interventi sia chiaro, non è rivendicazionismo, ma una proposta politica ben decisa che dobbiamo fare - le leggi nazionali si modifichino, in modo da prevedere in sé meccanismi correttivi all'attuale inadeguatezza che siano sufficienti, in modo da assicurare una corretta corrispondenza tra provvedimenti e necessità.
Il disegno di legge regionale n. 40 costituisce, invece, un provvedimento autonomo della Regione, che con propri finanziamenti intende promuovere, anche se in misura, lo riconosciamo, per ora limitata, ma in via esemplare, una linea di intervento rivolto al recupero del patrimonio edilizio esistente. E' questa, direi, materia su cui il consenso della Commissione è apparso molto vasto: questo indirizzo di andare in particolare in Piemonte, in particolare a Torino, non tanto a cercare aree esterne, che poi, tra l'altro, non ci sono più, ma di riutilizzare ristrutturare, risanare, mantenendo la composizione sociale esistente quindi non cacciando gli attuali abitanti, i centri storici e le barriere.
Il disegno di legge dispone finanziamenti (di 1.500 milioni per tre anni) per l'acquisizione di complessi residenziali obsoleti, di interesse storico o culturale, da parte dei Comuni, su cui si dovranno operare interventi di risanamento o di ristrutturazione a favore degli abitanti attualmente residenti.
Per il risanamento e la ristrutturazione sono previsti appositi finanziamenti (1.000 milioni annui per tre anni).
La maggiore entità dei finanziamenti per l'acquisizione intende promuovere da parte degli enti locali la formazione di piani particolareggiati, ai sensi della legge 167, all'interno degli abitati, per il cui risanamento potranno sopperire i futuri finanziamenti nazionali o rifinanziamenti della stessa legge regionale. Per spiegare meglio, quando ci siamo trovati a dover applicare la legge, mi pare, 166, non siamo stati in grado di convogliare i finanziamenti per opere di risanamento proprio perché mancavano gli strumenti da parte dei Comuni (la 167, i piani particolareggiati). Ora, aver adottato questo provvedimento - che anch'esso, recepisce con linea di continuità quanto era stato previsto dalla precedente Giunta -, che dia un indirizzo politico ben preciso ai Comuni, finanziando l'acquisizione di questi immobili, è un momento prevalente in questo disegno di legge. Perché, certo, per la ristrutturazione, per il risanamento, interveniamo adesso. Non è probabilmente pensabile che la Regione possa continuare in futuro a stanziare grossi finanziamenti con questo scopo, ma è invece pensabile che se inneschiamo da parte dei Comuni queste acquisizioni di complessi residenziali, i finanziamenti statali potranno essere correttamente convogliati in quella direzione. Questo è il significato di un provvedimento esemplare, che ha però anche una sua notevole incidenza, per quanto dirò più avanti.
La Commissione rileva e l'importanza e la correttezza di un tale tipo di intervento, volto a promuovere un'azione di recupero e di ristrutturazione delle abitazioni dei centri storici, nel segno di un indirizzo di politica della casa che, come illustrata ad evidenza dalle cifre ricordate all'inizio, deve sempre più qualificarsi nel recupero e nel risanamento dell'esistente. In questo senso, lo stesso meccanismo su cui è articolato il provvedimento (e per cui, ripeto, rimandiamo alla relazione di accompagnamento della Giunta), si pone con caratteristiche tali da rendere la sua funzione potenziale come punto di riferimento e di indirizzo per le stesse leggi nazionali di futura emanazione, che quindi, a differenza del passato, potranno trovare le condizioni di applicabilità per un'estesa e diffusa azione di ristrutturazione e risanamento nei centri storici.
In conclusione, la Commissione auspica altresì che la Giunta possa, pur negli oggettivi vincoli posti dalla situazione di bilancio dell'Ente esaminare le possibilità di un ulteriore maggior finanziamento a questa legge, che per il suo carattere esemplare si pone come un momento di grande importanza politica, rivolto a soddisfare esigenze che sono primarie ed urgenti della comunità piemontese.



PRESIDENTE

Ringrazio il relatore, Consigliere Bontempi.
Invito i Consiglieri che intendono intervenire ad iscriversi, anche per poter programmare i lavori. Per ora è iscritto a parlare il solo Consigliere Petrini. A lui si aggiunge ora il Consigliere Picco. Nessun altro? Allora penso che potremo concludere la discussione ancora nella mattinata.
Il Consigliere Petrini ha facoltà di parlare.



PETRINI Luigi

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, le motivazioni del voto favorevole del Gruppo consiliare democratico cristiano in ordine al disegno di legge di iniziativa della Giunta regionale piemontese n. 40 formano l'oggetto di questo mio intervento, volutamente sintetico, atteso l'ampio dibattito che gia si è svolto in Commissione.
In linea generale, direi che il nostro voto odierno va interpretato alla luce di due considerazioni di fondo.
Da un lato, infatti, esso esprime in concreto la nostra volontà di condurre un'opposizione che si qualifica anche sapendo riconoscere senza preconcetti di schieramenti la validità complessiva del provvedimento, pur con i limiti oggettivi, accennati nella relazione della Giunta e del collega Bontempi e di cui faro cenno più oltre.
Dall'altro, questo voto ci consente di manifestare e ribadire in concreto quella che fu una precisa linea operativa della precedente Amministrazione, che si concretizzò nelle norme approvate dal Consiglio regionale nello scorso mese di aprile sull'edilizia residenziale pubblica senza peraltro conseguire il visto della Commissione di Governo.
Allora, infatti, venne un'indicazione assai interessante in ordine agli interventi regionali di recupero del patrimonio già disponibile, ma da riadattarsi a causa delle condizioni di degradazione nel quale era venuto a trovarsi. Già veniva fatto esplicito riferimento ad "interventi di ristrutturazione, rinnovo urbano, risanamento e restauro conservativo del patrimonio edilizio esistente", nonché ad "interventi di manutenzione straordinaria e di risanamento del patrimonio di edilizia pubblica residenziale".
Con gli stessi intenti di allora, ci disponiamo a sostenere, non senza un preventivo esame critico, anche l'odierno provvedimento, assegnando ad esso delle finalità oggettivamente valide, e, nella fattispecie rispondenti ad un indirizzo di interventi da noi già sostenuto.
Sull'opportunità e la necessità di provvedere al risanamento ed al riadattamento dei centri storici urbani, impostandovi una politica di recupero delle strutture abitative esistenti, esiste gia da tempo una larga convergenza a livello di amministratori ed operatori.
Altrove sono già stati avviati progetti di risanamento dei centri storici, cui si sta tentando di dare sollecita attuazione: Torino ed il Piemonte presentano una situazione particolarmente grave sotto il profilo della degradazione di taluni quartieri, tale da imporre l'adozione di misure tempestive.
Ecco che, tuttavia, proprio sulla natura e le caratteristiche di queste misure c'è da sottolineare un aspetto importante, riferito alla sua efficacia pratica, termine su cui oggi noi misuriamo questo strumento legislativo.
E' infatti essenziale che ogni tipo di intervento volto all'acquisizione ed al risanamento dei complessi residenziali di interesse storico e culturale si basi sull'esistenza di idonei meccanismi urbanistici ed operativi, e, conseguentemente, sull'esistenza di una politica urbanistica promozionale in questa direzione.
E' questo un dato di tutta evidenza, che la legge ovviamente indica così come lo è la risoluzione del nodo centrale del finanziamento delle operazioni di acquisizione e di risanamento dei quartieri. Sono convinto che se prima d'ora iniziative di questo genere, pur predisposte con cura e sorrette da una precisa volontà attuativa, non hanno potuto prender corpo in Piemonte come nelle altre regioni - salvo rare eccezioni - ciò è dovuto agli alti costi che ogni intervento presuppone ed alla relativa difficoltà di reperimento dei fondi cui ogni ente locale va soggetto.
Queste due condizioni costituiscono, in realtà, una sorta di "conditio sine qua non" a monte delle varie iniziative, rischiando, ove disatteso, di renderlo puramente velleitario e di dare ai programmi in base ad esse elaborati il significato di esercitazione accademica.
C'è, dunque, da verificare la rispondenza del disegno di legge n. 40 a queste condizioni di fondo, discendendo anche da tale processo l'espressione di un voto favorevole o meno.
Per quanto concerne il primo requisito, il disegno di legge n. 40 fa esplicito riferimento, al suo articolo 2, ai complessi residenziali che "devono essere inclusi in piani di zona formati ai sensi della legge 18/4/1962 n. 167 e successive modificazioni ed integrazioni, approvati o anche solo adottati.". La chiara finalità della norma consente di inserirla in un contesto urbanistico preciso, creando un aggancio con i temi di politica urbanistica generale, e, in definitiva, determinando un incentivo per quei Comuni, o consorzi di Comuni, per i quali il problema si presenti senza la parallela possibilità di darvi soluzione.
Se analizziamo, per contro, l'altro aspetto, quello finanziario dobbiamo invece manifestare alcune perplessità, non tanto, forse, per quanto attiene all'entità complessiva, che si mette a disposizione della legge per la sua attuazione, quanto piuttosto per il maggiore importo destinato alle acquisizioni rispetto alle ristrutturazioni. L'Assessore Rivalta ha giustificato l'impostazione, già nel corso delle consultazioni collegandola ai tempi di attuazione della legge, e, in definitiva, al suo carattere sperimentale.
Ciò impone un'ulteriore riflessione. Alla legge in esame, cui vanno dunque attribuiti dei limiti, occorre conferire un altro titolo di validità, proprio allo scopo di renderla capace di incidere concretamente sullo stato di cose denunciato. Sappiamo, infatti, che, pur non essendo evidentemente un provvedimento "ad hoc" questa legge è nata con lo scopo di provvedere al risanamento ed al riadattamento dei quartieri. Leumann di Collegno, della Snia di Torino e degli operai tessili di Borgosesia, anche se per questi ultimi non esiste ancora lo strumento urbanistico approvato.
C'è dunque un limite oggettivo che, a prima vista, sembrerebbe vanificare la seconda delle condizioni sopra espresse.
Per evitare di giungere ad un giudizio di settorialità e di inadeguatezza, va tuttavia accettato e ritenuto valido in alternativa il concetto di una capacità di risposta della Regione a situazioni critiche di carattere contingente, riservando ai procedimenti messi in moto la veste di "progetto pilota", intendendo in questi termini attribuire un carattere sperimentale alla legge.
Vorrei, comunque, andare più in là, nel tentativo di vedere la situazione nel suo complesso, e cioè il fenomeno globale dell'acquisizione e del risanamento dei quartieri; dev'essere messa in risalto anche la capacità di stimolo nei confronti dei Comuni che questa legge può tradurre in pratica.
In altre parole, se proprio la limitatezza delle risorse rappresenta in questa fase un freno, relegando l'intervento regionale ad un ruolo succedaneo e straordinario rispetto a quello statale questa legge pu determinare negli enti locali un impulso verso la creazione delle condizioni idonee ad un tempestivo e sollecito utilizzo delle risorse, che in questo come in altri campi dell'edilizia pubblica residenziale verranno messe a disposizione dagli organi statali.
Resta chiaro, tuttavia, che l'organicità e la reale incidenza dei futuri interventi regionali permane legata all'effettiva disponibilità finanziaria, dati gli alti costi che questo tipo di interventi impone. Al tempo stesso ci si rende conto che non si può che agire con quanto è oggi a disposizione, operando su situazioni chiaramente definite, accettando i limiti di una politica siffatta e cercando di scorgere nel meccanismo che si mette in movimento gli effetti promozionali che ad esso sono conseguenti.
Detto ciò, si tratterebbe di passare ad una valutazione dei singoli articoli, che tuttavia vorrei risparmiare all'assemblea, che già ha udito il relatore, per soffermarmi invece su di un aspetto interessante emerso nelle consultazioni e rilevato anche nelle altre località in cui si sono gia avviati procedimenti analoghi.
Mentre Comuni e consorzi di Comuni risultano destinatari dei contributi regionali per l'acquisizione delle aree, i beneficiari dei contributi per gli interventi specifici volti al risanamento ed al riadattamento dei complessi sono gli Istituti autonomi per le Case popolari, le cooperative edilizie a proprietà indivisa e le imprese di costruzione ed i loro consorzi.
Credo sia evidente che, mentre nei primi due casi non sono possibili rilievi di sorta, il discorso può diventare delicato allorquando si prende in considerazione l'ipotesi di imprese o loro consorzi. La definitiva stesura della legge accetta e qualifica, ai fini dell'intervento di risanamento, le imprese ed i loro consorzi, assegnando validità al ruolo che in questo specifico campo può essere affidato al capitale privato.
Si segue, in definitiva, una linea non rivoluzionaria ma realistica ricalcando analoghe iniziative di integrazione dei fondi pubblici con quelli privati. In linea di principio, pertanto, siamo favorevoli all'impostazione seguita per quanto concerne l'operazione vera e propria del risanamento: un regime di equilibrio tra investimento pubblico e privato, che contemperi le esigenze dell'uno e dell'altro, e auspicabile nella misura in cui oggi la finanza pubblica si trova in condizioni di notevole pesantezza.
Il discorso, tuttavia, può e deve essere ampliato, sia pure in termini generali ed a livello di analisi.
L'estrema difficoltà da parte dell'ente locale di acquisire i complessi da risanare può infatti suggerire ipotesi diverse. Ci si rende conto infatti, che l'operazione di acquisizione ha un suo costo economico, che pone sempre a carico dell'ente almeno un 20 per cento della spesa; ma ha anche un costo "temporale" e burocratico, nel senso che l'attualità ed i tempi stessi necessari all'operazione di esproprio finiscono con il costituire una remora alla realizzazione dei programmi di riadattamento.
Credo non si presti ad equivoci, ma rispecchi uno stato di cose reale ed un modo "pratico" di vedere il problema, il formulare l'ipotesi di definire alternativamente anche il processo di acquisizione dei nuclei residenziali da risanare, coinvolgendovi gli operatori privati, fermo restando il vincolo di una convenzione che regoli i rapporti tra di essi e l'ente locale.
Siamo convinti, ad ogni modo, che questo problema non possa essere visto al di fuori di un contesto più ampio e generale, nell'ambito di un provvedimento, cioè, che consideri la questione del risanamento dei centri storici e culturali - nell'accezione più ampia del termine - in maniera complessiva, senza limitarsi a riferimenti specifici o a situazioni emergenti.
Ogni legge, peraltro, è strumento perfettibile ed integrabile, starei per dire che il disegno di legge n. 40 lo è più degli altri: motivando l'approvazione del Gruppo democristiano, ho puntato proprio di più sulle premesse che esso crea che su quanto effettivamente sarà chiamato a realizzare.
Non dimentichiamo che il problema della casa, di un'abitazione civile e "sana", è sul tappeto da parecchi anni, durante i quali la degradazione dei vecchi centri urbani è andata progressivamente accentuandosi. La realizzazione di nuovi alloggi, generalmente nelle periferie urbane prospetta una soluzione sotto il profilo generale della disponibilità a sopperire alle carenze attuali e ad accogliere gli ulteriori insediamenti.
A sua volta, il risanamento dei complessi urbani di valore storico o culturale giustifica da sé i propri maggiori costi rispetto ai nuovi insediamenti, con il prospettare determinati vantaggi che l'ente pubblico non può trascurare, prima fra tutte la salvaguardia della "natura" dell'insediamento abitativo preesistente. Né si può scordare il beneficio indiretto dell'annullamento del costo, non solo economico, dello spostamento dei nuclei abitativi esistenti, cui spesso conseguono notevoli difficoltà di adattamento al nuovo ambiente.
Su questi temi, e sul tentativo di avviare su di essi un processo operativo, si fonda il nostro odierno consenso, che discende, ripeto dall'impostazione che a suo tempo fu data anche dalla precedente Amministrazione e che il Consiglio regionale aveva avallato.
Chiediamo, comunque, che la Giunta sia precisa ed attendibile nell'impegno a fornire una risposta alle perplessità emerse nel corso del dibattito in Commissione, che qui ho sintetizzato nella convinzione che la Giunta stessa ne faccia oggetto di studio, analisi ed anche di concreto impegno finanziario.
E' certo, comunque, che del problema ci si dovrà nuovamente occupare non solo per la sua intrinseca rilevanza, ma in considerazione del più ampio contesto in cui va necessariamente collocato. Grazie.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Picco. Ne ha facoltà.



PICCO Giovanni

L'intervento del Consigliere Petrini dovrebbe avere sufficientemente chiarito l'atteggiamento del Gruppo della Democrazia Cristiana in termini di apporto costruttivo nell'affrontare il problema, grave ed urgente, della casa.
Penso, però, che l'approccio che deve derivarne, nella considerazione dei problemi più generali, non possa non tenere conto di come questo problema sia, sul piano dei problemi politici locali, una vertenza vera e propria, rispetto alla quale il modo d'essere e di affrontare i problemi stessi da parte degli Esecutivi non può collocarsi in atteggiamenti di ribaltamento di situazioni.
L'approccio che noi abbiamo sentito in questi ultimi mesi dal Governo della Regione, e anche dal Governo di Comune, a queste sollecitazioni ad affrontare questo problema, a queste rivendicazioni, ci è parso viziato di ipoteche politiche. Vi spiego il perché. Mi pare che, se si oppone come elemento di confronto a questa problematica la dimensione della questione diciamo subito che questa dimensione è ancorata a dati statistici, peraltro non verificati da effettiva consistenza. Accetto quelli ufficiali riportati nella relazione ai due disegni di legge come punto di riferimento, non disponendo di altri elementi più precisi, ma certamente essi richiederebbero un'articolazione ed una specificazione di localizzazione che consenta di meglio individuare gli obiettivi per una politica di intervento.
Si oppone a questa vertenza, da parte degli Esecutivi, il discorso della limitatezza delle risorse, soprattutto quando si invoca da parte della Regione una disponibilità consistente nell'ambito del bilancio regionale. E si sottolinea come le modeste risorse disponibili siano insufficienti ad affrontare, sia pure parzialmente, sia l'incremento che è necessario in fatto di abitazioni a causa dell'accrescimento ipotizzabile della popolazione, sia quello necessario per porre rimedio al sovraffollamento verificato in sede di censimento '71, sia per il risanamento, la ristrutturazione occorrenti ad ovviare alla obsolescenza anti-igienicità eccetera.
Si ricorda, in questa contrapposizione alle rivendicazioni, che il calo degli investimenti, pubblici nel settore dell'edilizia residenziale e l'insufficienza complessiva degli stanziamenti attivati con le leggi 865 166, 492, sono di tutta evidenza. Si sottolinea come i limiti dei meccanismi di questi finanziamenti siano tali da imporre di fatto inneschi operativi piuttosto rigidi, soprattutto anche in conseguenza di eventi che in sede di legislazione nazionale non possono sempre essere previsti, quali i problemi relativi al credito, le disponibilità finanziarie e via dicendo.
E naturalmente si conclude con il rinvio, per una problematica di fondo, che affronti questo grave problema a livello locale, regionale, alle responsabilità del Governo, accettando per la Regione solo un ruolo di mediazione, un ruolo quasi esclusivamente surrettizio, per rimediare anche solo parzialmente alle gravi carenze di scelte e di utilizzazione delle risorse di fronte alle quali si trova il Paese.
Noi non possiamo, evidentemente, accettare un approccio di questo tipo in termini generali, perché sappiamo quanto grave sia la dimensione di questo problema, non solo a livello locale, piemontese, ma a livello nazionale, e riteniamo che questo tipo di avvicinamento e di modo di affrontare la problematica, soprattutto in apertura di legislatura e nel momento in cui ci accingiamo a prelevare dalle scarse risorse disponibili una certa parte che ipotecherà i bilanci futuri della seconda legislatura sia un atteggiamento che non denota responsabilità costruttiva da parte di tutte le forze politiche quale occorrerebbe.
Siamo di fronte ad una serie di osservazioni operate in sede di consultazione, osservazioni, debbo obiettivamente riconoscere, che sono state in parte recepite anche con l'apporto costruttivo che abbiamo cercato di dare nelle discussioni in seno alla II Commissione. E ci troviamo di fronte - al di là delle vertenze sindacali che non voglio citare in questa sede - ad una serie di prese di posizione delle forze politiche sul problema casa, in occasione non solo dell'esplicitazione del piano esposto dagli industriali ma su tutta una serie di eventi che si sono verificati nella nostra città e nella nostra Regione in questi ultimi tempi.
Rispetto a questo atteggiamento, di forze politiche e di sindacati, ci pare che soprattutto il disegno di legge n. 39 non si collochi in funzione di una costruttiva responsabilità così come è stato sottolineato riprendendo lo spirito e la sostanza degli accordi che a suo tempo erano stati raggiunti anche all'interno dello stesso Consiglio regionale in occasione della votazione del disegno di legge n. 267 dell'aprile scorso.
Questa continuità, ci preme sottolinearlo - forse è l'unico aspetto della relazione Bontempi che sarebbe da correggere -, non è del tutto tale.
A nostro avviso, invece, è necessario mettere a fuoco una serie di problemi che sono sì di grande dimensione quantitativa e finanziaria, così come ha esposto il relatore Bontempi, ma che devono soprattutto mettere a fuoco che si deve fare una chiara e precisa definizione delle risorse disponibili e della loro corretta utilizzazione, e soprattutto si deve operare una selezione della spesa ed una sua qualificazione in modo da rendere queste scelte congruenti con gli obiettivi che si vogliono conseguire e con le risorse che a livello regionale sono disponibili.
Penso che il problema delle competenze sia ormai stato sufficientemente chiarito. Noi riteniamo che le competenze della Regione in questo problema dell'edilizia economico-popolare, nel problema della casa, siano competenze totali, che hanno un solo limite, della disponibilità parziale delle risorse; competenze totali dal punto di vista concettuale, politico chiarite non solo per quanto riguarda gli aspetti amministrativi, ed istituzionali, dalla sentenza della Corte Costituzionale, ma da una serie di obiettive valutazioni che non è difficile qui richiamare, che concernono tutti gli aspetti e le strategie di intervento della politica regionale, a cominciare dagli obiettivi di riqualificazione territoriale per arrivare agli obiettivi più propriamente socio-economici, conseguibili in assonanza con i riequilibri territoriali. Per citare, gli obiettivi di perequazione fra i diversi ceti di cittadini che hanno diritto non solo all'accesso alla disponibilità di un bene, che é, direi, un diritto sacrosanto ma purtroppo non conseguibile immediatamente da tutti, ma anche solo il diritto alla disponibilità di questo bene, disponibilità temporanea disponibilità con la formula dell'affitto, che sia in grado di affrontare quelle caratteristiche tipiche dell'evoluzione e della dinamica della popolazione piemontese che noi tutti ben conosciamo e che non credo sia qui il caso di sottolineare.
Noi non neghiamo l'esigenza, ripresa negli obiettivi di fondo del disegno di legge n. 39, dell'acquisizione di un bene quale quello della casa; ma riteniamo sia indubbiamente più urgente e prioritaria l'attenzione della politica regionale verso ceti meno abbienti, verso fasce le cui condizioni temporanee non permettono tuttora di disporre di questa accessibilità al bene casa con la continuità che sarebbe ovviamente nei desideri e nella volontà di tutti, e neppure solo in termini contingenti pensando alle caratteristiche tipiche della crescita della nostra popolazione, sia quella già esistente ed insediata sia quella che si verrà ad insediare in funzione delle evoluzioni caratteristiche produttive della nostra struttura piemontese, e che consenta di disporre a rotazione, a seconda dell'età, delle condizioni, delle esigenze nel rapporto casa-lavoro del nucleo familiare, di questo bene, che per quanto attiene agli investimenti pubblici noi sappiamo che è stato in passato alquanto penalizzato rispetto ad altri tipi di investimenti.
Noi, tra l'altro, come Gruppo della Democrazia Cristiana, riteniamo di sottolineare come la stessa formula della cooperazione a proprietà indivisa non abbia ancora raggiunto quel limite di concreta perfettibilità che consenta di individuare in questa soluzione un tipo di risoluzione sostanziale ai problemi della nostra comunità piemontese. Riteniamo che questa formula della cooperazione indivisa sia sostanzialmente un'indisponibilità patrimoniale del bene casa, e soprattutto che (questo è un aspetto che mi preme sottolineare), di fatto condizioni abbastanza rigidamente la localizzazione dei soggetti beneficiari di questi beni, la condizioni nel rapporto casa-lavoro come in tutti gli altri aspetti che concernono le relazioni sociali e quindi le opzioni che una famiglia ha il diritto di operare nella crescita del proprio rapporto con la società.
Manca, in questo disegno di legge n. 39, sostanzialmente il raccordo come già ho sottolineato, con quelle fasce a minor reddito che avrebbero invece dovuto trovare considerazione e rispetto alle quali tace la Giunta nel più generale problema dell'edilizia sovvenzionata e della struttura operativa attualmente esistente degli Istituti autonomi per le Case popolari.
Ricordo come su questo problema, dell'edilizia sovvenzionata e del patrimonio di edilizia pubblica, sussistano delle posizioni molto precise prese dalle forze politiche a denuncia di determinati fenomeni: fenomeni di morosità, degli affitti politici non sempre perequati, e quindi delle sperequazioni di trattamento fra i diversi locatari degli stessi complessi di edilizia pubblica, le difficoltà operative nelle quali si dibattono queste strutture degli Istituti autonomi per le Case popolari per appalti per esigenze che non sono sempre generalizzabili all'intera realtà del territorio nazionale (ad esempio i costi delle costruzioni, i costi delle urbanizzazioni, i costi dei servizi, che molti imputano non essere stati sufficientemente considerati nella definizione degli stanziamenti delle varie leggi che si sono succedute in questi ultimi due anni sono aspetti che hanno regionalmente caratteristiche diverse e quindi debbono trovare evidentemente, a livello regionale quell'attenzione che consenta di superare i punti morti per una piena utilizzazione di queste risorse).
Secondo noi, quindi, il problema si colloca in un'obiettiva necessità di un intervento legislativo regionale che condizioni i meccanismi della stessa legislazione nazionale. Una legislazione che, come ho già detto, non ha ancora trovato precisi parametri di riferimento che consentano di far seguire ai costi meccanismi precisi e canoni di affitto che siano estensibili a tutta la realtà nazionale.
E' quindi necessario che la Regione si ponga concretamente in questo campo, con un'iniziativa che, riconosciamo, non può essere un'iniziativa ad effetto immediato ma deve essere tale da iniziare un processo di recupero e dell'utilizzazione del patrimonio e della successiva estensione di questo patrimonio che sia secondo gli obiettivi che si vogliono conseguire.
La necessità, ad esempio, di moralizzare progressivamente l'accesso al patrimonio dell'edilizia pubblica che si sta per completare (alcuni appalti sono già in corso) con i recenti provvedimenti di legge, n. 966 e 492 eccetera, può estrinsecarsi nella misura in cui un intervento regionale di fatto si ponga come condizionante il canone dell'affitto, soprattutto per il patrimonio nuovo. E' chiaro che poi il discorso andrà esteso progressivamente al vecchio patrimonio, ma per ora bisogna iniziare a precostituire le condizioni di questa disponibilità anche da parte di questi ceti meno abbienti in situazioni non sperequative, non astratte, non fumose dal punto di vista politico, ma che sia tale da poter mettere ordine in questo delicato settore.
Ora, il celere avvio di questi programmi di edilizia pubblica è secondo noi, l'unica possibilità per questo avvio di processo di risanamento che non riguarda solo ed esclusivamente i nuclei di nuovo insediamento, di nuove residenze, ma che investe la problematica più generale che abbiamo da affrontare nella nostra Regione, del risanamento dei nuclei storici obsoleti. E' un problema, come gia è stato sottolineato da Petrini, prioritario per una politica di riequilibrio che riconsideri il patrimonio edilizio esistente come nodo fondamentale per risolvere questo problema. Quindi, noi - e lo abbiamo già anche detto in documenti che i nostri colleghi in altri Consigli, quello comunale e quello provinciale hanno espresso - non siamo solo ed esclusivamente per l'estensione di questo patrimonio e quindi per gli investimenti in nuovi tipi di strutture siano esse case-parcheggio o case d'altro tipo, ma riteniamo che il problema dell'intervento regionale si debba comunque collocare nella direzione di un'attenta strategia di utilizzazione del nuovo e del vecchio in modo da non esaltare ulteriormente gli squilibri esistenti, sui quali tutti concordiamo e sui quali da tempo soffermiamo la nostra attenzione.
Come può inserirsi questo intervento condizionante della Regione nel campo dell'edilizia sovvenzionata? Sostanzialmente affrontando il problema dei costi di urbanizzazione, che, come è sottolineato nell'ordine del giorno votato dall'Istituto autonomo per le Case popolari di Torino del 21 gennaio, è un onere ormai insopportabile dagli istituti stessi e che rischia non solo di condizionare l'operatività e la celerità di avvio dei programmi ma di fatto di condizionare inequivocabilmente i canoni di affitto, riconducendoli ancora e sempre nell'alveo dei canoni politici che hanno dato nel passato i noti inconvenienti.
Ora, l'intervento legislativo regionale dovrà predisporre le condizioni per un corretto programma di insediamenti di edilizia sovvenzionata lasciando quindi disponibili i fondi dello Stato per coprire la dinamica si deve parlare purtroppo di dinamica - dei costi di costruzione, quali sono al presente.
Oggi noi ci troviamo invece di fronte a questo disegno di legge, che stanzia 1.250 milioni annuì dal 1976 al 2001, e per un complesso di 31.250 milioni (non sto a fare la capitalizzazione al 2001 di questa cifra comunque è una cifra piuttosto consistente), oltre ai 2.600 milioni stanziati nel bilancio '75-'76 per gli interventi in conto capitale, che saranno poi restituiti, sia pur senza interessi, in 35 anni. Ritengo che questo sia un tipo di stanziamento non trascurabile rispetto alle disponibilità che noi avremo per affrontare questo problema. E non ne sottovalutiamo nemmeno la portata al pensiero che dovrà assicurare l'accessibilità a questo bene a circa 10 mila cittadini piemontesi, al pensiero che le finalità che sono d'altra parte sottolineate nella relazione al disegno di legge tendono a questa tempestiva utilizzazione dei fondi stanziati con le tre leggi già citate. Un patrimonio, quindi iniziale di 10.600 vani, successivamente integrabile, che pone in essere un volano di investimenti per 49 miliardi. Ho ricordato questi aspetti per sottolineare come non sia nostra intenzione sminuire la portata dell'intervento ma semplicemente vogliamo evidenziare come questo intervento si collochi in un ambito di priorità che non sono quelle giuste.
Cioè, nel considerare la cooperazione a proprietà indivisa e la forma organizzata di questa domanda come una domanda che debba trovare a carico dell'ente pubblico completo soddisfacimento.
Noi non riteniamo che sia così scontato il ruolo che l'edilizia a cooperazione indivisa potrà assolvere nel futuro, assimilabile al ruolo degli Istituti autonomi per le Case popolari, e pensiamo che sarebbe stato molto più corretto ed opportuno che la Regione considerasse l'uno e l'altro aspetto stanziando inizialmente, rispetto a questa premessa-stralcio dei piani di investimento quinquennali della Regione, un tipo di intervento regionale legislativo che tenesse conto dei due aspetti, ma non solo dei problemi della cooperazione a proprietà indivisa.
Quindi, noi ci chiediamo come si collochi questo intervento nel quadro di queste esigenze, che sono state ampiamente prospettate nella relazione ai due disegni di legge, e come si collochi soprattutto nel quadro di un contesto operativo o di un piano-casa che comunque dovremo certamente affrontare. La domanda, la sollecitazione ci è venuta esplicita dallo stesso documento che la Giunta di sinistra al Comune di Torino ha prospettato con la richiesta di un intervento consistente da parte del bilancio regionale.
Credo, quindi, riassumendo, che il nostro atteggiamento nei confronti di questo disegno di legge debba essere fortemente critico, per molti aspetti che ho già evidenziato e che riassumo, cioè di non aver collocato l'intervento nel quadro complessivo delle esigenze, di non aver operato una scelta politicamente perequativa delle esigenze e degli squilibri che esistono, di aver scelto una forma di impegno finanziario che certamente non si potrà ripetere negli anni futuri, che sappiamo invece che si tratta di stanziamenti che vanno a favore di iniziative già completamente avviate.
Sottolineiamo inoltre come queste iniziative siano quasi esclusivamente per l'80 per cento almeno, collocate nella città di Torino, e quindi rivolte certamente non ad obiettivi di perequazione ma forse in direzione squilibrante rispetto agli interventi che si sarebbero dovuti fare in questo momento nella Regione. Tacendo poi su altri aspetti più propriamente operativi che riguardano le caratteristiche proprie di questi insediamenti che andiamo a finanziare (certi quartieri di 167 che saranno comunque dei quartieri monosociali, anche se, mi si permetta, a cooperazione a proprietà indivisa, certi meccanismi operativi che vedono in causa consorzi di cooperative per la costruzione di questi stabili ed altri aspetti che non credo siano oggetto delle considerazioni di questa nostra discussione).
Inoltre, sottolineiamo come alcuni meccanismi di facilitazione nella direzione della cooperazione a proprietà indivisa potevano essere ricercati nell'ambito di accordi con le banche, con gli operatori finanziari ed il credito - oneri, ad esempio, di prefinanziamento e periodi di preammortamento potevano essere oggetto, senza oneri particolari di bilancio da parte della Regione Piemonte, di accordi nel quadro della Finanziaria regionale, oppure nel quadro di intese con la Tesoreria che sono attualmente in fase di conclusione.
Siamo peraltro consci dell'impossibilità di affrontare complessivamente tutti i problemi che si pongono nella generale esigenza di interventi, sia per la cooperazione a proprietà indivisa, sia per l'edilizia convenzionata ma sottolineiamo con forza come una scelta particolare e settoriale di questo tipo desti in noi molte perplessità per le ragioni che ho esposto.
Concludendo questo intervento, penso che potremo esprimere, dopo la replica dell'Assessore, il nostro giudizio di voto, che comunque, annuncio fin d'ora, sarà un voto stimolante, anche se critico, per indurre la Giunta regionale ad affrontare nella sua organicità questo problema in modo da potervi dare, nell'ambito delle prospettive di questa nostra seconda legislatura, una risposta soddisfacente.



PRESIDENTE

E' ancora iscritto a parlare il Consigliere Gandolfi. Proporrei al Consiglio di ascoltare ancora il suo intervento, rinviando alla seduta pomeridiana la replica dell'Assessore Rivalta e la votazione dell'articolato.
Ha facoltà di parlare il Consigliere Gandolfi.



GANDOLFI Aldo

Questi disegni di legge presentati dalla Giunta hanno significato dichiarato di interventi parziali, di tamponamento a situazioni critiche.
Li valutiamo positivamente, in particolare il disegno di legge n. 40, come indicazione di una strada che vale la pena di seguire. Preciso che sul disegno di legge n. 39 siamo più critici, per tutta una serie di motivi in parte già indicati dal collega Picco nell'intervento che ha preceduto il mio: il nostro voto sarà comunque positivo, in particolare perché noi riteniamo che verso gli interventi nel campo dell'edilizia economica popolare e del recupero dei complessi residenziali preesistenti ci si debba avviare con estrema decisione e con il massimo di risorse possibili nell'ambito del bilancio regionale, in particolare in un momento come questo in cui vanno perseguiti i tipi di intervento, sul piano della spesa regionale (l'abbiamo dichiarato nei giorni scorsi ed avremo modo di ribadirlo con particolare enfasi nell'ambito della discussione sul bilancio), che hanno un alto valore sociale e concorrono a calmierare dei fenomeni inflazionistici particolarmente forti (quello della crescita del costo della casa è uno dei più gravi e dei più preoccupanti) pur avendo pochissima incidenza sulla parte delle spese correnti degli enti territoriali o degli enti pubblici che come gli Istituti delle Case popolari hanno poi il compito di gestire questi interventi. Oggi bisogna fare il possibile per privilegiare gli interventi in questa direzione.
Perché siamo critici in particolare sul disegno di legge n. 39? Perch è preoccupante che si debba intervenire in aggiunta agli stanziamenti già fatti dallo Stato, e lo si possa fare esclusivamente per le cooperative a proprietà indivisa. Cioè, noi dobbiamo studiare i modi di intervenire su tutta la gamma dell'edilizia economico-popolare, quindi anche per l'edilizia convenzionata, oltre che per l'edilizia sovvenzionata, e dobbiamo cercare di farlo, probabilmente, in forme nuove, anche mobilitando al massimo risorse delle imprese costruttrici o dei privati; perché è intuitivo che, con le limitazioni di bilancio che lo Stato o le Regioni presenteranno nei prossimi anni, ci dovrà essere uno sforzo della Regione per mobilitare il massimo possibile delle risorse su questo terreno.
Noi ci auguriamo, quindi, che questi due interventi non siano semplicemente a tamponamento di situazioni esistenti che vanno in qualche modo o sanate o avviate a soluzione, ma siano l'inizio - e con questo spirito diamo voto favorevole - di una politica organica, che veda la Regione proporsi in maniera determinata la maggior mobilitazione di risorse in queste direzioni e il maggior sforzo per orientare il massimo possibile della spesa regionale verso interventi di questo tipo.
Annunciando, con questo tipo di sollecitazione, il nostro voto favorevole, auspichiamo che la discussione del bilancio e poi del piano regionale ci permetta di vedere evidenziato uno sforzo più organico ed ancora più consistente da parte della Giunta regionale.



PRESIDENTE

La seduta del Consiglio regionale è sospesa. Per la ripresa pomeridiana dei lavori proporrei il seguente orario: ore 14,45 riunione dei Capigruppo ore 15,30 ripresa effettiva dei lavori.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 13,10)



< torna indietro