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Dettaglio seduta n.36 del 19/02/76 - Legislatura n. II - Sedute dal 16 giugno 1975 al 8 giugno 1980

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SANLORENZO


Argomento: Istituti Pubblici di Assistenza e beneficenza - II. PP. A. B.

Esame disegno di legge n. 28 "Norme per l'esercizio delle funzioni trasferite dal D.P.R. 15.1.1972, n. 9, in materia di nomina dei Consigli di Amministrazione delle IPAB" (seguito)


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Come primo oratore era iscritto il Consigliere Armella.
Non essendo egli ancora in aula vuol prendere la parola qualche altro Consigliere? La dottoressa Vietti Ne ha facoltà



VIETTI Anna Maria

Il disegno di legge in discussione, che tratta della nomina da parte della Regione dei membri dei Consigli di Amministrazione delle Opere Pie che, secondo gli Statuti e le Tavole di Fondazione, sono ora di competenza dei Prefetti o di altri organi centrali e periferici dello Stato nonch della sostituzione, da parte della Regione, di tali membri, nominati successivamente al 1/4/1972, è stato licenziato dalla Commissione competente con il voto favorevole dei Gruppi Comunista e Socialista, mentre il Gruppo Democristiano si è riservato di esprimere le proprie osservazioni in aula.
Le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza sono enti, un tempo privati, pubblicizzati con la legge Crispi del 1890, i cui compiti istituzionali e la cui composizione dei Consigli di Amministrazione sono stabiliti nei rispettivi statuti.
Noi non riteniamo che "ope legis", cioè per effetto del D.P.R. 15 gennaio 1972, n. 9, le Regioni abbiano la competenza di eleggere i componenti dei Consigli di Amministrazione, in sostituzione degli organi centrali e periferici dello Stato; se così fosse, non sarebbe neppure necessaria l'approvazione del disegno di legge in discussione.
"Ope legis" sono state trasferite le nomine, già di competenza del disciolto Partito Fascista, poiché, essendo tali nomine demandate ai Prefetti, in base ad una legge dello Stato, alle Regioni con il D.P.R. 15 gennaio 1972, n. 9, oltre alla competenza sulla vigilanza delle I.P.A.B.
sull'erezione di nuove istituzioni, sulle fusioni, sulle soppressioni e sulle modifiche degli Statuti, è stata trasferita la competenza delle nomine che prima spettavano ai Prefetti, non in conseguenza degli Statuti bensì ad una legge dello Stato.
Diversa invece la competenza del Prefetto e degli argani periferici e centrali dello Stato per quanto riguarda le nomine previste negli Statuti poiché, in tal caso, è stato quasi sempre il fondatore, cioè colui che ha dotato di patrimonio l'istituzione, ad esprimere tale volontà.
Esaminiamo brevemente come avvenivano le modifiche degli Statuti delle I.P.A.B. prima del trasferimento delle competenze alle Regioni.
Era il Ministero degli Interni che istruiva la pratica, sentiva il parere del Consiglio di Stato ed il Presidente della Repubblica decretava la modifica degli Statuti.
Ciò premesso, è opportuno ricordare come il Consiglio di Stato si comportava di fronte alle richieste di modifica degli Statuti.
Mai il Consiglio di Stato ha espresso parere favorevole alla sostituzione di componenti del Consiglio di amministrazione quando questi trae, vano origine dalle tavole di fondazione, conseguentemente alla volontà di coloro che avevano dato vita all'istituzione, tranne che vi fosse la rinunzia da parte dell'Ente o della persona, titolare del diritto di nominare o di far parte del Consiglio di Amministrazione.
Ci rendiamo conto che, avendo altre Regioni approvato leggi analoghe le quali hanno ottenuto il visto da parte del Governo, non possiamo certamente non essere favorevoli al fatto che un ente elettivo, come la Regione, abbia la possibilità di effettuare tali nomine. Riteniamo che il Governo, approvando le leggi relative, che modificano gli Statuti, anche per quanto riguarda i componenti che traggono la loro origine dalla volontà dei fondatori, abbia implicitamente effettuato la rinunzia per conto degli organi periferici e centrali dello Stato, titolari del diritto di nomina di membri dei Consigli delle I.P.A.B. per trasmettere tale competenza alle Regioni.
Proprio tenendo conto di questa realtà, noi, malgrado talune riserve che però sono superate dall'approvazione da parte del Governo di leggi analoghe di altre Regioni, accettiamo l'art. 1 del disegno di legge proposto. Siamo invece, per le suddette considerazioni, contrari all'art.
2, e presenteremo pertanto un emendamento soppressivo di tale articolo.
Siamo contrari per motivi di opportunità, perché il far decadere tutti coloro che sono stati nominati, a decorrere dal 1/4/1972 dai Prefetti, dai Provveditori agli Studi - che tra l'altro per le Scuole Materne hanno competenza di vigilanza didattica - equivale ad un atto di sfiducia nei riguardi di questi Amministratori, in secondo luogo, determina l'impossibilità di numerosi Presidenti e componenti dei Consigli di Amministrazione di portare a termine il mandato ricevuto.
Noi riteniamo dunque che non sia opportuno effettuare tali sostituzioni, e riteniamo, per di più, che non sia legittimo perché il trasferimento non avviene "ope legis", ma in base ad una legge specifica che modifica la composizione dei Consigli di Amministrazione, ossia il disegno di legge in discussione, che il Governo può approvare, come avvenne per le leggi di altre Regioni, facendo implicitamente la rinunzia per conto degli organi dello Stato.
Le nomine avvenute finora sono legittime e non possono essere annullate.
Sul piano politico noi riteniamo invece che l'Ente elettivo, che è la Regione, si sostituisca ai Prefetti ed agli altri organi centrali e periferici dello Stato nella nomina dei membri delle I.P.A.B. di loro competenza, a mano a mano che le varie nomine vengono a scadenza.
Per i suddetti motivi di opportunità e di legittimità non condividiamo il contenuto dell' art. 2 per il quale presenteremo un emendamento soppressivo.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Armella. Ne ha facoltà



ARMELLA Angelo

Dovrei dir male quello che la dottoressa Vietti ha detto così bene perché non so cosa potrei aggiungere a quanto ella ha già esposto Comunque visto che dovevo essere io ad intervenire su questo argomento, non voglio sottrarmi a questo compito.
Nella relazione che l'avvocato Calsolaro ha fatto su questa legge a nome della maggioranza, l'unica parte effettivamente convincente è a mio avviso quella espositiva, laddove si precisa che le IPAB in Piemonte sono 1468, tante per l'assistenza ai minori, tante per gli anziani, scuole materne e via dicendo, Quando si è addentrato nell'esame di merito della legge evidentemente ha incontrato delle difficoltà, e va detto a suo merito ed onore che non le ha nascoste, anzi, le ha messe a fuoco pressoché tutte sia pure in funzione dell'esigenza di pervenire a delle conclusioni sul piano della opportunità se non sul piano del diritto Cosicché ha cercato di motivare una adesione a questa legge per ogni parte, pur non nascondendo perplessità che traspaiono evidenti dal suo canovaccio.
Già sull'art. 1 della legge, con il quale si tende a sostituire con tutta semplicità, in forza del decreto delegato n. 9 del 1972 la Regione agli organi dello Stato nella effettuazione delle nomine, la stessa Giunta e per essa l'Assessore all'Assistenza, ha avuto dei ripensamenti, che sono stati espressi con due emendamenti aggiuntivi, proposti addirittura in via alternativa (un sistema nuovo, a dire il vero, di presentare una legge al Consiglio), tra i quali il Consiglio è invitato a scegliere; il primo che dice: "La Giunta regionale, sentita quella Commissione che è consiliare provvede alle nomine", il secondo, in via alternativa, che spezza addirittura la competenza e precisa: "Per i presidenti provveda il Consiglio, per i membri del Consiglio d'Amministrazione può provvedere la Giunta". E qui siamo chiaramente sul piano dell'opportunismo, dicendo in sostanza: è inutile che stiamo a valutare le ragioni di diritto che dovrebbero condurre ad una soluzione univoca; arriviamo pure, dunque, ad una soluzione ripartita, cioè si divida fra il Consiglio e la Giunta questa competenza.
In realtà, non si era ritenuto in passato, e mi pare giustamente, che fosse necessario, per far funzionare la Regione, ricorrere a leggi sulle procedure. Le leggi sulle procedure volevano essere una ulteriore specificazione dell'esercizio delle competenze, delle modalità di esercizio delle competenze trasferite a mezzo dei decreti delegati. Ad un certo punto, promuovendo i decreti delegati questi trasferimenti, si sarebbe dovuto pervenire, secondo la tesi di coloro che ritenevano necessaria la legge di procedura, a delle specificazioni, quasi che lo Statuto della Regione non le contenesse già in misura sufficiente, e con una motivazione questa che già in allora fu portata, che fu dalla maggioranza di allora disattesa, e oggi, in una situazione diversa, si può anche comprendere che sia ripresentata. Ma le argomentazioni di diritto non possono cambiare di molto.
In realtà, lo Statuto, prevedeva, e prevede, quali sono gli organi che devono esprimere, nell' esercizio delle loro funzioni, le competenze della Regione; cioè, qualora si tratti di Consiglio, il Consiglio, qualora si tratti della Giunta, la Giunta. Ora, se si deve ritenere, come in effetti si ritiene, che delle funzioni siano state trasferite dallo Stato alla Regione - vedremo poi se trasferite sono state o no -, certamente lo Statuto prevede già quali sono gli organi che devono esercitare queste competenze, e lo Statuto ha previsto che laddove si parli di Regione si tratti del Consiglio regionale.
Si dice, però, da parte del relatore: ma il Consiglio regionale sarebbe soffocato dalla necessità di dar corso ad un numero cospicuo di nomine per enti di assistenza e beneficenza, e proprio per questo sarebbe opportuno che non tutte andassero al Consiglio, e pertanto il Consiglio farebbe bene a rinunciare a questa sua competenza, che invece è espressa chiarissimamente dal nostro Statuto Ma il fatto che il numero delle nomine da effettuare sia ingente o limitato non comporta, a mio avviso, alcuna differenza: la competenza o è del Consiglio o è della Giunta, e a mio avviso è senz'altro del Consiglio.
Il punto da esaminare a monte è però quello che la dottoressa Vietti ha presentato con precisa puntualizzazione, e cioè se in forza del decreto delegato siano state trasferite alla Regione delle funzioni che non sono del Prefetto in quanto tale, o di altri organi periferici dello Stato in quanto organi periferici dello Stato, ma in quanto cosi disposto negli Statuti degli enti, cioè da parte degli enti, in definitiva, con l'approvazione relativa che deve venire dagli organi che esercitano la vigilanza su questi istituti, su questi enti, e cioè che in questo caso e certamente la Regione, ma che non comportano per ciò una sostituzione in funzioni che sono demandate dagli stessi statuti.
Insomma, quali sono le funzioni che esercitavano i prefetti o che esercitavano i provveditorati agli studi, eccetera? Quelle dei prefetti, ad esempio, erano funzioni di controllo e di vigilanza. Queste sono state trasferite alla Regione: il controllo lo fa l'organo regionale, il CO.RE.CO. la vigilanza la fa la Regione, cioè la Giunta. Questa è la sostanza. Non c'era, tra le funzioni dei prefetti, quella di nominare i componenti dei Consigli d'amministrazione, che altrimenti i prefetti li avrebbero nominati in tutti gli enti di assistenza e beneficenza; invece venivano nominati soltanto laddove gli statuti degli enti lo prevedessero.
E la modifica degli statuti è sempre stata una prerogativa non alienabile degli enti stessi: il prefetto poteva promuovere la modifica degli statuti ma non era in sua facoltà modificarli. Fare o non fare la battaglia su questo punto è questione di merito e di opportunità.



VECCHIONE Mario, Assessore all'assistenza

E' politica.



ARMELLA Angelo

Su questo punto qualcosa va detto in sede politica. Noi da qualche tempo rileviamo che l'Assessore regionale all'Assistenza porta avanti con decisione una tendenza ad una certa centralizzazione, in cui si vuol vedere, in definitiva, l'Amministrazione regionale in termini sostitutivi di tutte quelle attività che possono essere espletate anche da altri.
Faccio questo rilievo non per fare dell'accademia, per cui non sarebbe questa la sede, e men che meno un'accademia da seminario giuridico, ma per riaffermare che c'é, nella nostra società, una pluralità di iniziative, di interessi, di espressioni associative che va rispettata, in mancanza della quale non si incentiva la crescita della nostra società, ma in realtà si può esprimere anche un atteggiamento di soffocazione delle iniziative di fondo che nella nostra società possono apparire. Questo è il significato di un pluralismo, se questo pluralismo non vuol essere soltanto una parola, un termine abusato, una espressione a cui non corrisponde, al di là della espressione labiale, un significato di fondo, di sostanza, che vuole invece riconoscere proprio nella sostanza che ci sono delle iniziative che partono strettamente dalla società, e direi dalla società in cui l'Amministrazione regionale deve necessariamente e giustamente disporre tutto quanto riguarda il coordinamento, disporre quanto riguarda l'indirizzo, ma deve, nello stesso tempo, usare il massimo del rispetto.
Per questo a noi pare non opportuno che si presenti una legge di procedura, e, con la scusa della procedura, che è una questione di rito, si presentino modifiche sostanziali della organizzazione di questi enti perché, in definitiva, si vuol pervenire, attraverso una legge di procedura, ad una modifica degli statuti. So bene che la legge è sempre legge, si chiami di procedura o in altro modo, e il rubricarla in un modo o nell'altro non comporta modifiche alla sua applicabilità. Però, sta di fatto che questo succede proprio con la legge delle procedure, Che questo sia avvenuto in passato in altre Regioni è vero - non nella misura in cui si sostiene nella relazione, perché per la verità (posso sbagliare ed essere smentito dall'Assessore, ma solo per l'insufficienza della documentazione) una iniziativa di questo genere, cosi esplicita o esplicitata, l'ho vista soltanto nella legge di procedura della Lombardia in altre Regioni si sarà pervenuti forse di fatto a nomine in luogo dei prefetti, ma non era esplicitato nella legge, si diceva soltanto che "la Regione esercita le funzioni già esercitate dal prefetto in relazione alle nomine" senza far richiamo agli statuti degli enti. Il fatto che la Lombardia, come ha detto bene la dottoressa Vietti, abbia avuto allora l'approvazione da parte del Governo non significa che la sua decisione fosse legittima: l'avv. Vecchione sa bene quante volte succede che anche magistrati prendano una strada e poi ad un certo punto, melius re perpensa mutino d'opinione. Comunque, fare una battaglia su questo punto ha un significato politico che forse travalicherebbe le nostre intenzioni.
Certo che quando si passa all'esame dell'art. 2 non si resta più soltanto a livello di perplessità. Io comprendo bene l'opposizione dei nostri colleghi di Gruppo componenti dell'VIII Commissione, opposizione che qui si traduce in una reiezione di tale articolo, nel trovarsi di fronte ad un articolo in cui, in una prima stesura, presentata dalla Giunta, si propone la decadenza di coloro che erano stati legittimamente nominati da organi che legittimamente esercitavano delle funzioni, e in una stesura successiva (non so se presentata come emendamento o altro, l'aspetto formale non ha molta importanza) si richiama la data del 1° aprile '72 significativa perché in relazione, ovviamente, al decreto delegato 1972 per affermare una "illegittimità delle nomine in allora eseguite da parte di organi che si dicono competenti", in contraddizione con tutto il contesto della legge, e con la relazione stessa, laddove si dice essere necessaria una nuova legge per spostare la competenza dai prefetti alla Regione.
La conclusione alla quale pervengo, sulla base di queste osservazioni è ovvia. Vi sono delle legittimità che sono palesi, altre che sono di ragione di opportunità. C'è un complesso, così, nell'esame stesso della legge, che non può portare ad una adesione che possa essere aperta concordata e convincente: almeno su questi punti su cui io ho avuto occasione di esprimermi ci deve essere da parte del Consiglio un riesame quanto meno per addivenire ad una valutazione dell'insieme più conforme alla necessità, alla opportunità e alla legittimità, affinché la legge risponda più efficacemente alle esigenze della Regione.



PRESIDENTE

Chiede di parlare il Consigliere Besate. Ne ha facoltà.



BESATE Piero

Noi approviamo, naturalmente, nella sua interezza la relazione che è stata presentata, come pure l'articolato che viene sottoposto all'approvazione del Consiglio. Siamo convinti che dal punto di vista formale, e più ancora dal punto di vista politico, e anche dal punto di vista della concezione dei lavori del Consiglio e della sua funzionalità la legge corrisponda in pieno alla tutela dei diritti delle opposizioni ad intervenire per quanto concerne la materia trattata nella proposta di legge che viene licenziata dalla VIII Commissione, e non sia per nulla in contrasto con lo Statuto, in cui all'art. 16 è detto che le nomine "sono di competenza del Consiglio, salvo quelle demandate dalla legge al Presidente e alla Giunta", e che prevede all'art. 24, appunto l'articolo che viene richiamato, anche una commissione per le nomine della Giunta.
Diciamo molto chiaramente che non è una scelta di principio la nostra di voler attribuire le nomine alla Giunta anziché al Consiglio; non avremmo infatti alcuna difficoltà a demandare tutte le nomine al Consiglio se non fossimo preoccupati per la speditezza dei lavori del Consiglio.



CALSOLARO Corrado, relatore

Si tratta di 972 nomine, in totale.



BESATE Piero

Dovremmo trovarci per giornate intere ad infilare bigliettini nelle urne: una operazione quanto mai nobile, ma che paralizzerebbe l'attività del Consiglio. Tenete presente che, oltre alle istituzioni di pubblica assistenza e beneficenza, si sono tutte le altre che si trovano sul territorio regionale, per le quali pure si dovrebbe procedere in modo analogo. Poiché il significato del demandare al Consiglio le nomine è quello dell'esercizio di un controllo da parte del Consiglio, dei Gruppi (questa è la sostanza della controversia), si trattava di trovare un punto di equilibrio che consentisse di mettere in condizione tutti i Gruppi di partecipare effettivamente alla formazione della decisione, il che è ancora più democratico che il chiamarli semplicemente ad approvare o meno una decisione già proposta da altri. E ci pare che quanto viene prospettato, e quanto è stato specificato e illustrato nella relazione, rispetto all'accorgimento di esaminare la questione anche in sede di Conferenza dei Capigruppo - ciò che non era possibile far entrare nell'articolato della legge - corrisponda in pieno ad una prassi di partecipazione dell' intero Consiglio, di tutte le forze, alla formazione della decisione sul quando sul come, sul chi scegliere. Questo è importante, non si può dimenticare quanto ha detto il relatore della VIII Commissione, proprio dal punto di vista politico.
Fatte queste considerazioni, non posso trattenermi dal dire che certe critiche che sono state mosse suonano un po' stonate da parte di chi le ha fatte. So che questo non è un argomento che si possa far valere da parte nostra, ma noi abbiamo sempre sostenuto che si doveva procedere così come proponiamo di fare oggi con questa legge e con quanto è detto, a complemento dell'articolato, nella relazione. Non vogliamo fare della facile ritorsione, ma non possiamo al tempo stesso ammettere che si dimentichi che la proposta che viene avanzata e nella legge e nella relazione come procedura tiene conto di diversi elementi che possono essere contrastanti: da una parte l'esigenza per il Consiglio di esaminare e decidere tutto, dall'altra l'esigenza, a questa contrapposta, di non paralizzare i lavori del Consiglio e nello stesso tempo di trovare un meccanismo che dia con precedenza una risposta soddisfacente alla prima delle esigenze, quella della partecipazione di tutte le forze del Consiglio alla formazione della decisione, non soltanto alla sua approvazione o non approvazione. Ci pare che lo strumento di legge che viene presentato e la relazione che l'accompagna siano tali da dare le massime garanzie in tal senso, lo dico con la più profonda convinzione. Questo e stato l'intento che ci ha ispirati nell'approntamento di questo strumento spinti dalla necessità di precisare chi deve provvedere alla scelta di questi rappresentanti che devono essere nominati dalla Regione.
La difesa delle prerogative del prefetto non la ritengo nemmeno degna di una polemica: credo che nemmeno più i prefetti vogliano certe cose perché sanno benissimo, se hanno un minimo di intelligenza, che ormai queste son funzioni della Regione, visto che il decreto del Presidente della Repubblica n. 9 trasferisce alle Regioni tutte, proprio tutte le funzioni amministrative degli organi centrali e periferici dello Stato in materia, riservando agli organi centrali soltanto quelle espressamente indicate.
D'altro canto, non ci pare nemmeno di buon gusto, pur con tutto il rispetto per le opinioni e le argomentazioni altrui, al momento di affrontare i problemi dell'attuazione della 382, una difesa su questa materia dal punto di vista giuridico: fa nascere il dubbio che si cerchi con questo un alibi per altre opinioni politiche che non si vuol esprimere più apertamente.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Debenedetti. Ne ha facoltà.



DEBENEDETTI Mario

In relazione alla proposta fatta dalla dottoressa Vietti di abrogazione dell' art. 2, ritengo di poter proporre una modifica di tale articolo nel senso che venga eliminata la previsione che implica la sostituzione automatica dei membri nominati in precedenza dal prefetto.



BESATE Piero

Dopo l'aprile del 1972.



DEBENEDETTI Mario

Appunto. Non dobbiamo dimenticare che queste nomine sono state fatte sicuramente in modo legittimo. Non voglio adesso affrontare la questione della legittimità, ma mi pare che, non fosse altro per ragioni di opportunità, si dovrebbe eliminare questo riferimento, che sembra comportare la decadenza automatica di queste nomine.
Riterrei pertanto di proporre la modifica dell'art. 2 in questi termini: "La Giunta regionale provvede alle nomine di cui al precedente art. 1 sentita la Commissione consiliare per le nomine", demandando, quindi la responsabilità politica sul piano amministrativo alla Giunta, ove ci fossero casi particolari per i quali si rendesse necessario adottare un provvedimento di sostituzione che dovrà essere comunque adeguatamente motivato. Generalizzando, con l'affermare il principio della decadenza ipso jure delle nomine che sono state fatte legittimamente, mi pare che sul piano dell'opportunità non ci qualificheremmo sicuramente.



BESATE Piero

Non si parla di decadenza: ho spiegato le ragioni.



PRESIDENTE

Sono esauriti gli interventi dei Consiglieri. La parola all'Assessore Vecchione.



VECCHIONE Mario, Assessore all'assistenza

Nelle posizioni espresse in quest'aula dai rappresentanti della Democrazia Cristiana, la signorina Vietti e Armella, colgo una contraddizione: mentre è chiaro il discorso fatto dalla Signorina Vietti in relazione alla correttezza del contenuto dell'art. 1, il Consigliere Armella nega anche la validità di tale articolo e rileverebbe nella relazione e nella posizione della Giunta elementi di perplessità che sono falsati, introducendo problemi di pluralismo che vanno chiariti in questa sede.
In relazione a ciò muovo brevemente la scaletta del mio intervento.
Partiamo dal decreto n. 9, che trasferiva tutte le funzioni dei Prefetti alle Regioni. Qui c'é, ope legis, la immediata sostituzione della Regione al Prefetto in relazione a quelle disposizioni, di statuto anche che sono norme secondarie rispetto alla norma primaria che è la legge dello Stato.
Come si sono comportate le varie Regioni? Non c'è da tener presente solo il caso della Lombardia: anche la Puglia, l'Emilia, la Liguria, la Toscana, al momento in cui i poteri sono stati trasferiti alle Regioni hanno immediatamente provveduto ad esercitarli, manifestando cosi una volontà politica regionale in ordine a queste istituzioni. Quindi, è proprio un discorso politico, non giuridico, quello che dobbiamo portare avanti.
Vi sono altre Regioni che di fatto, ope legis, per via amministrativa hanno provveduto immediatamente a fare le nomine laddove le faceva il Prefetto, cosa che qui non è avvenuta. In queste leggi, in modo particolare quelle delle Regioni citate, vi è proprio la chiara sostituzione della potestà da parte del Governo regionale a quella del Prefetto. E perché? Perché nelle tavole di fondazione e negli statuti certe volte si indicava il Prefetto? Logico: il Prefetto conglobava in sé la posizione della vigilanza e del controllo, e le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza facevano riferimento a quella autorità, che chiamavano all'interno del Consiglio d'Amministrazione degli istituti. Questo è caduto, nel senso che la vigilanza ed il controllo sono passati alle Regioni Quindi, proprio nella ricerca della volontà originaria dei fondatori delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza si vede la continuazione di questa logica.
E' molto strano, a mio modo di vedere, che si sostengano delle tesi profondamente antiregionaliste sotto questo profilo e si porti qui, in quest'aula, il discorso del pluralismo e dell'accentramento. Consigliere Armella, una volta varata questa legge, la Giunta ha in animo di presentarne un'altra, di delega ai Comuni per le nomine. Quindi, ci spogliamo, come Regione, del potere di effettuare nomine all'interno delle 1468 istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza.
Mi pare, oltre tutto, scorretto presentare come perplessa la Giunta che non ha fatto altro che presentare in Commissione, di fronte alla richiesta dei livelli di nomina fatta in Commissione dal Consigliere Oberto, delle ipotesi, dicendo: a me pare giusto che il potere sia un potere del Consiglio, e a me pare giusto che siamo ancora indietro nella ripartizione di competenze fra Consiglio e Giunta e ho motivato in Commissione che una legge di ripartizione di competenze fra Consiglio e Giunta, deve venire, ma aspettiamo il trasferimento ulteriore della 382 per fare una legge di carattere organico.
Questo il discorso che è stato fatto. Pertanto, ho presentato due diverse proposte di emendamento, che erano proposte che dovevano venire dalla Commissione, ma che ho scritto io. Una diceva: affidiamo al Consiglio la nomina dei Presidenti dei Consigli di Amministrazione; ma quando poi abbiamo visto che i Presidenti da nominare erano ben 364, dovendosi provvedere anche a quelli di piccole istituzioni di piccoli Comuni, abbiamo pensato che sarebbe stato veramente frustrante per l'attività politica del Consiglio passare tanto tempo a imbussolare il nome del Presidente dell'asilo nido di un Comune di mille abitanti. Allora ho concluso: l'unica soluzione possibile è quella di usare la formula: "Sentita la Commissione consiliare competente" perché è l'unica introduzione legislativa che possiamo fare nel testo normativo; specificando, però, nella relazione introduttiva, che l'accordo politico è che la Giunta proponga i nominativi dopo aver sentito i Capigruppo, soprattutto per le nomine di una certa importanza. Colgo l'occasione per ripetere qui che sono fermi da tempo i Consigli d'Amministrazione, non essendosi ancora trovata una via d'uscita per l'effettuazione delle nomine.
Quindi, non perplessità della Giunta, ma aiuto della Giunta nei confronti della Commissione per trovare una via d'uscita e soprattutto una indicazione chiara. Non è una legge di procedure, ma una legge di merito che rivendica alla Regione nel suo complesso, non alla Giunta, non all'Assessore, non al centralismo, un potere che è suo proprio.
Veniamo all'art. 2. Fra Armella e la Vietti su questo punto c'è un certo divario di opinioni (divergenze forse in seno alla Democrazia Cristiana, problemi che non ci riguardano, quindi). La dottoressa Vietti sostiene sostanzialmente: non è possibile spezzare la continuità di carattere amministrativo, quindi dobbiamo aspettare che i mandati ai Consigli d'Amministrazione scadano e si possa quindi procedere a nuove nomine, che faremo in base all'art. 1.
Ora, la scelta che ha ispirato l'art. 2 è una scelta politica: che la Regione si appropri di un potere che non è stato utilizzato dal '72 a venire ai giorni nostri. Si è anche proposto di depennare il termine di tre mesi previsto dalla Giunta per la sostituzione dei membri dei Consigli. Io ho detto: sono perfettamente d'accordo che venga tolto, perché da parte nostra non c'é alcun intento coercitivo nei confronti di questi Consigli d'Amministrazione; quel termine era stato posto ovviamente in connessione con il fatto che noi intendiamo con ciò far rilevare che si tratta di una competenza che era nostra fin dal '72 e che è sfuggita alla precedente Giunta. Su questo punto la maggioranza è stata sostanzialmente concorde, e sarebbe opportuno che anche altri Gruppi si pronunciassero in proposito.
Vorrei aggiungere, in merito alla questione deleghe, una dichiarazione politica: non c'é intenzione di procedere a sostituzione nei confronti di tanti piccoli Consigli d'Amministrazione, di asili, scuole e via dicendo però, vi sono sicuramente casi di amministrazioni che hanno commesso e commettono errori di una certa gravità, per i quali noi riteniamo necessario che questo momento, attraverso una verifica che i Capigruppo con la Commissione consiliare competente, si realizzi sostanzialmente l'applicazione della legge, in modo da riportare a noi quel potere che è un potere nostro, che ci deriva dall'art. 1 del Decreto n. 9 di trasferimento dei poteri.
Per la questione delle competenze, quando saremo a conoscenza del quadro complessivo di tutto quello che la 382 trasferisce in questa materia, credo che si dovrà procedere anche a definire i livelli di competenza.
La richiesta di passare alla Commissione consiliare competente per le nomine è una richiesta di carattere tecnico, perché 1468 nomine credo paralizzerebbero il Consiglio per mesi e mesi senza consentire di giungere ad una soluzione di carattere operativo.



PRESIDENTE

Più nessuno chiede di parlare, e pertanto possiamo passare alla votazione degli articoli della legge.
"Articolo 1 - La Giunta regionale, sentita la Commissione consiliare per le nomine, provvede, a norma dell'art. 1 del Decreto 15 Gennaio '72 n.
9, alle nomine dei presidenti e dei membri dei Consigli di amministrazione delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza precedentemente demandate ai Prefetti o ad altri organi statali da singole disposizioni degli statuti o delle tavole di fondazione".
Non sono stati proposti emendamenti. Nessuno chiede di parlare? Si pu allora passare alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico il risultato della votazione: Presenti e votanti 53 hanno risposto SI 33 Consiglieri si sono astenuti 20 Consiglieri.
L'art. 1 è approvato.
"Art. 2 - La Giunta regionale provvede a nominare, negli Enti di cui al precedente articolo 1, e sentita la Commissione consiliare per le nomine, i rappresentanti della Regione in sostituzione di quelli nominati dai Prefetti o da altri organi statali successivamente al 1° aprile 1972." Ho una proposta di emendamento soppressiva dell'art. 2 firmata dai Consiglieri Armella, Vietti, Beltrami, Oberto e altri.
Vi sono dichiarazioni di voto? La parola al Consigliere Armella.



ARMELLA Angelo

Noi abbiamo presentato questo emendamento perché in effetti non si tratta di una questione giuridica, ma politica ed è politica proprio nella misura in cui vuole riaffermare l'autonomia pluralistica di questi Enti.
Noi ci chiediamo:se questi Enti non volessero la partecipazione della Regione, che cosa succederebbe? Faremmo la figura di quelli che hanno legiferato in casa d'altri, cioè hanno disposto qualche cosa che l'Ente nella propria autonomia non avrebbe voluto provvedere a fare.
In definitiva la risposta dell'Assessore che dice che è una legge di merito e non una legge di procedura, conferma le nostre osservazioni quando dicevamo che questa non era una questione relativa all'applicazione del decreto delegato n. 9, ma era una questione relativa al funzionamento degli enti di assistenza e beneficenza ; è una legge di merito che può trovare posto in una regolamentazione generale nella disciplina dell' assistenza e beneficenza . E lì effettivamente è la sua sede e non la sede in termini di procedura che allora viene intesa come uno strumento per arrivare allo scopo di pervenire ad una legislazione di merito che palesemente sarebbe monca, sommaria e ridotta ai soli casi in cui negli Statuti degli enti c'è l'indicazione degli organi dello Stato.
Per questi motivi riteniamo che l'emendamento debba essere accolto e l'art. 2 soppresso.



PRESIDENTE

Non essendovi altre richieste di parola si passa alla votazione dell'emendamento per alzata di mano.
L'emendamento è respinto.
Dobbiamo ora passare alla votazione dell' art. 2. Vi sono dichiarazioni di voto? La parola alla dottoressa Vietti.



VIETTI Anna Maria

Evidentemente con le posizioni che abbiamo assunto in precedenza votiamo contro l'articolo 2.
I motivi sono già stati espressi nel mio intervento: votiamo contro per motivi di legittimità oltreché per motivi di opportunità perché certamente tale articolo rappresenta sfiducia alle persone che sono state elette, a parer nostro, legittimamente dagli organi centrali e periferici dello Stato ed anche perché determina discontinuità nell'azione amministrativa degli Enti.
Mi pare che nelle affermazioni dell'Assessore competente vi siano parecchie contraddizioni, in quanto egli sostiene che il trasferimento delle competenze, relative alle nomine, è avvenuto "ope legis" - se cosi fosse non sarebbe necessaria la legge in discussione - e contemporaneamente dichiara che con questa legge si rivendica un potere alla Regione.
Inoltre non si può dichiarare che il Prefetto è stato indicato dai fondatori dell'Ente come titolare di nomina di componenti del Consiglio di Amministrazione, in quanto organo di vigilanza; non possiamo fare il processo alle intenzioni dei fondatori delle Opere Pie. D'altronde la stessa presentazione del disegno di legge da parte della Giunta dimostra che la Regione non ha questa potestà senza una legge specifica; in caso contrario la Regione poteva provvedere direttamente alle nomine.
La mia esperienza è che l'assunzione delle competenze "ope legis" conseguentemente al trasferimento delle funzioni relative alle nomine, già di competenza del disciolto Partito Fascista, ha determinato un lungo iter burocratico. I Prefetti infatti non accettavano le nomine da parte della Regione e soltanto, dopo sei mesi di attesa della risposta ad un quesito posto alla Presidenza del Consiglio, sono state sciolte le riserve.
Voglio anche replicare all'Assessore, il quale ha affermato che questa competenza è sfuggita alla Giunta precedente. Evidentemente è sfuggita, ma non esclusivamente per colpa della Giunta, perché l'iniziativa legislativa non è soltanto della Giunta, ma di tutti i Consiglieri.
Concludendo, in analogia alle leggi che sono state approvate da altre Regioni, ma che, a differenza del disegno di legge in discussione, non prevedono la decadenza dei componenti dei Consigli di amministrazione regolarmente in carica, dichiaro che questo articolo deve essere respinto.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Calsolaro, ne ha facoltà.



CALSOLARO Corrado, relatore

A nome dei Gruppi che hanno sottoscritto la relazione e quindi il disegno di legge modificato in Commissione, ed in accordo con la Giunta dichiaro che voterò a favore dell'art. 2 per ragioni e di carattere giuridico, che pure esistono, e per ragioni di carattere politico.
Confesso di non essere riuscito a capire le argomentazioni del Consigliere Armella, e ringrazio che non sia stato mio professore di diritto amministrativo all'Università di Torino perché probabilmente mi avrebbero bocciato agli esami da procuratore.
E' evidente che le ragioni di carattere giuridico sono fondate - e vorrei che mi si dimostrasse il contrario -, perché le nomine avvenute dopo il trasferimento dei poteri alle Regioni sono viziate da illegittimità, e quindi male hanno fatto i Prefetti ed i Provveditori agli studi, o quegli altri organi centrali o periferici dello Stato, che hanno adempiuto ad un compito che non competeva più loro.
Né vale dire che il trasferimento opera ope legis perché se così fosse allora bisognerebbe che ci si spiegasse per quale ragione queste nomine, a partire dal trasferimento delle funzioni, non siano mai state fatte; il che vuol dire che opera ope legis, ma fino ad un certo punto soltanto.
E non è vero, come ha già detto anche il collega Vecchione, per la verità, che soltanto la Regione Lombardia ha legiferato in materia.
Io qui ho il malloppo relativo alle Regioni che sono su questa linea in funzione cioè di un intervento legislativo delle Regioni per sostituire alle nomine degli organi centrali e periferici dello Stato le nomine da parte o dei Consigli o delle Giunte. Il fatto poi, del numero delle norme è chiaro che può portare soltanto a quella forma prevista dall'art. 1: si tratta di 972 nomine. Ho fatto un conto: anche soltanto a 10 minuti per votazione, sono 9720 minuti; diviso 60 fanno 162 ore e cioè 27 giorni. Se il Consiglio regionale vuole stare qui per 27 giorni, per sei ore al giorno, a votare il Consigliere d'amministrazione dell'asilo (con tutto il rispetto) di Chiaverano o di Rocca d'Arazzo, può farlo; però credo che il Consiglio regionale abbia cose molto più importanti da fare. Piuttosto il Consiglio deve votare altri Consiglieri o Presidenti. E' il caso, per l'altra legislatura, dei Presidenti dei Consorzi provinciali per l'istruzione tecnica che invece non si riuscì mai ad ottenere perché la maggioranza del Consiglio votò il non passaggio agli articoli della proposta di legge.
Le ragioni politiche sono poi chiaramente indicate nella relazione; le ha richiamate l'Assessore Vecchione e ad esse noi facciamo riferimento in quanto opportunamente evidenziano la situazione così come si presenta di fronte al Consiglio regionale.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Robaldo.



ROBALDO Vitale

Prendo la parola per chiarire il motivo della nostra astensione.
Noi riteniamo che in gran parte questa legge sia pleonastica perché di fatto c'è un D.P.R. che delega certe funzioni alla Regione.
Si è detto: noi vogliamo innanzi tutto chiarire che è la Giunta a fare queste nomine, però vogliamo anche dire che sente prima la Commissione nomine per una maggiore partecipazione.
Noi riteniamo che al massimo l'articolo di legge poteva essere uno solo, dove si diceva "la Giunta regionale, sentita la Commissione consiliare per le nomine, provvede a norma dell'articolo alle nomine varie".
Dire che l'art. 2 deve essere votato per correggere (questo mi è parso il succo del discorso del collega Calsolaro) le operazioni illegittime perpetrate da organi tutori o di vigilanza, come il Prefetto, lo riteniamo un errore giuridico, perché noi siamo un organo legislativo, ma non possiamo fare delle leggi solo per correggere degli atti illegittimi.
A me pare che vi siano delle procedure che devono essere seguite perché se dovessimo con legge regionale provvedere ad eliminare le eventuali irregolarità amministrative che altri enti territoriali, o altre organizzazioni hanno attuato, non so fin dove possiamo arrivare.
Con il nostro voto di astensione noi vogliamo sottolineare queste perplessità: la legge poteva essere fatta per individuare l'organo, non Consiglio, ma Giunta, che deve provvedere alle nomine e per dire che la Giunta, prima di provvedere alle nomine sente la Commissione consiliare però andare oltre al D.P.R. del 15/1/1972 n. 9 per sanare una situazione illegittima (io la ritengo tale) sul piano amministrativo regionale, non è una procedura corretta e che non si addice all'organo legislativo che noi rappresentiamo.
Ci sono dei momenti processuali sul piano amministrativo, quelli erano le sedi cui adire quando eventuali nomine che sostituivano nomine prefettizie illegali non fossero state accettate.
Queste sono le perplessità che intendiamo sottoporre all'attenzione del Consiglio.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Vecchione.



VECCHIONE Mario, Assessore all'assistenza

Soltanto per chiarire che nell'art. 2 non è prevista una decadenza automatica, ma soltanto la possibilità di sostituzione dei membri di Consigli di amministrazione che, come diceva poco fa il Consigliere Robaldo, hanno un'origine illegittima di nomina. Questo è di nuovo un rapporto di carattere politico che si deve porre con tutto il Consiglio attraverso la Commissione senza nessun momento né di centralizzazione di poteri da parte della Giunta, né sostanzialmente di attacco nei confronti del pluralismo, né di manifestazioni di sfiducia nei confronti di una quantità di persone che sono investite di queste funzioni nell'ambito dei Consigli di amministrazione.
La dichiarazione politica aggiuntiva che ho fatto prima e che rifaccio oggi, è che queste nomine dovranno essere delegate ai Comuni dove hanno sede le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, perché poi di fatto avviene esattamente così, è avvenuto per il passato e avviene oggi che su segnalazione dei sindaci dei Consigli comunali la Giunta nomini i rappresentanti in tali Consigli. E questa è una stortura, è un giro vizioso che è contrario ad una chiara democrazia nell'ambito anche di questi rapporti con i Consigli di amministrazione, rispettato e fatto salvo il pluralismo.



PRESIDENTE

Passiamo alla votazione dell'art 2 per appello nominale.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

La votazione ha avuto il seguente esito: presenti e votanti 55 hanno risposto SI 30 Consiglieri hanno risposto NO 20 Consiglieri si sono astenuti 5 Consiglieri.
L'art. 2 è approvato.
"Art. 3 - La presente legge regionale è dichiarata urgente ed entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione sul Bollettino ufficiale della Regione Piemonte ai sensi del 6' comma dell'art. 45 dello Statuto".
Vi sono richieste di parola? Si proceda alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

La votazione ha avuto il seguente esito: presenti e votanti 54 hanno risposto SI 33 Consiglieri hanno risposto NO 2 Consiglieri si sono astenuti 19 Consiglieri.
L'art. 3 è approvato.
Passiamo alla votazione dell'intero disegno di legge.
Vi sono richieste di parola? Consigliere Debenedetti, ne ha facoltà.



DEBENEDETTI Mario

Mi ricollego a quanto ho detto nel precedente intervento.
Noi abbiamo votato l'art. 1 che è sicuramente l'articolo fondamentale della legge; avevamo manifestato delle perplessità per la previsione specifica dell'art. 2 e abbiamo aderito all' emendamento proposto relativo all'abrogazione dell'art. 2 stesso. Però, tenuto conto anche delle dichiarazioni fatte dall'Assessore e cioè che l'art. 2 avrebbe una funzione logica di riaffermazione del principio stabilito all'art. 1 e che la Giunta non intende, sul piano operativo, attuare queste sostituzioni, noi esprimiamo voto favorevole alla legge.



PRESIDENTE

La parola ai Consigliere Bianchi



BIANCHI Adriano

Motivo brevemente la nostra astensione sull'intera legge, a significare che noi non approviamo una serie di decisioni che sono state prese, ma non contestiamo, in linea di principio, l'acquisizione alla Regione di un potere, di una facoltà altrimenti attribuita.
Il problema è delle vie, dei modi corretti e dei tempi per pervenire a questo risultato. Questa è la ragione della nostra astensione.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Carazzoni.



CARAZZONI Nino

Signor Presidente, colleghi, il punto nodale di questa proposta di legge è l'attuazione di un decreto del Presidente della Repubblica che non può e non vuole essere minimamente in discussione neppure da parte nostra anche se dobbiamo ripetere ancora una volta e anche questa volta il nostro dissenso rispetto al trasferimento di un certo tipo di competenze agli organi regionali.
Ma, a fronte di un decreto del Presidente della Repubblica è evidente che sarebbe del tutto velleitario ancorché illegittimo sollevare alcuna eccezione.
Ma altro punto nodale è altresì la scelta politica che viene introdotta con l'art. 2 della legge stessa ed è sulla scelta politica che si è manifestato e che qui riaffermiamo, il nostro dissenso.
Noi ci siamo astenuti sui singoli articoli, ribadiamo l'astensione sul complesso della legge.



PRESIDENTE

Altre dichiarazioni di voto? Si passi alla votazione dell'intero disegno di legge.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

La votazione ha avuto il seguente esito: presenti e votanti 56 hanno risposto SI 33 Consiglieri si sono astenuti 23 Consiglieri.
Il disegno di legge è approvato.


Argomento: Nomine

Commissione regionale per la sistemazione idraulica e forestale (art. 8 L.R. 19/11/1975, n. 54): nomina di 5 esperti


PRESIDENTE

Avremmo ora la nomina di 5 esperti per la Commissione regionale per la sistemazione idraulica e forestale. Sono dell'opinione di farla subito per non rimandarla ancora una volta.
Si distribuiscano le schede.
La maggioranza indica questi nomi: Borello Ivo, Durante Silvio, Quaglia Mario.
La minoranza indica i nomi dell'ing. Bozzelli Serafino e Capello Riccardo.



(Si procede alla votazione a scrutinio segreto)



PRESIDENTE

Comunico il risultato. Presenti e votanti n. 52 Hanno riportato voti: Borello Ivo n. 30 Durante Silvio n. 30 Quaglia Mario n. 30 Bozzelli Serafino n. 20 Capello Riccardo n. 20 schede bianche n. 2 I cinque nominativi sono eletti.
Abbiamo completato anche la trattazione del punto ottavo all'ordine del giorno.


Argomento: Programm. e promoz. attivita" socio-assist. (assist. minori, anziani, portat. handicap, privato sociale, nuove poverta") - Programmazione e organizzazione sanitaria e ospedaliera

Dibattito sulla sicurezza sociale e sanità


PRESIDENTE

Passiamo a trattare il punto nono all'ordine del giorno "Dibattito sulla sicurezza sociale e sanità".



ENRIETTI Ezio, Assessore alla sicurezza sociale e sanità

Signor Presidente, Signori Consiglieri, anche se il dibattito sulla sicurezza sociale e sanità meritava forse di essere inserito al primo punto dell'ordine del giorno anziché l'ultimo di una lunga giornata di dibattito il Consiglio ha svolto comunque molto lavoro ed io modestamente e umilmente mi accingo, dopo aver distribuito nella riunione precedente una relazione scritta, ad illustrare le linee sulla politica della sicurezza sociale e sanitaria entro le quali si muove la Giunta regionale.
E' il primo dibattito che si fa in Consiglio, sollecitato dal sottoscritto nella IV Commissione, che ha recepito sollecitamente il mio invito, come lo hanno recepito i Capigruppo. Questo dibattito, a mio avviso, rappresenta un momento di grande importanza non soltanto per l'aspetto specifico delle questioni che tratterà, ma anche per l'aspetto generale.
Il taglio che la Giunta vuol dare e che personalmente voglio dare al problema della sanità e della sicurezza sociale in Piemonte, è un taglio che deve permettere un salto di carattere culturale molto più elevato di quanto fatto in passato, un salto culturale che ci faccia essere presenti come piemontesi e come Consiglio Regionale del Piemonte, nella politica sanitaria nazionale.
Se c'é un'osservazione da fare (e alcuni dati di fatto che porterà a conoscenza del Consiglio testimoniano quanto sto affermando) è proprio la mancanza della Regione Piemonte quale interlocutrice valida nella elaborazione della linea politica sanitaria nazionale; noi ci troviamo di fronte ad una grave carenza degli organi nazionali, del governo nazionale nei confronti della politica sanitaria, e delle linee operatrici e quindi siamo giunti alla determinazione - come si sono trovati concordi tutti gli Assessori regionali alla sanità riuniti a Napoli nei giorni scorsi - di impostare la politica sanitaria e della sicurezza sociale come protagonisti e non semplicemente come esecutori di una politica che ci viene dall'alto.
Queste sono dichiarazioni politiche che forse non si ritrovano in maniera precisa nella mia relazione scritta, e appunto per questo ne faccio una maggiore ed ampia articolazione, individuando alcuni interlocutori che danno immediatamente il taglio politico col quale vogliamo configurare tutta la nostra politica sanitaria.
Il fatto essenziale ormai acquisito sul piano culturale da tutte le forze politiche, è il dato che la politica sanitaria non è più soltanto una politica degli operatori sanitari o della medicina, ma è una politica del territorio.
Un altro dato che mi pare estremamente importante è quello che ormai dopo quella ospedaliera anche l'intervento sanitario sta passando dalle mutue alle Regioni.
Questi sono i due pilastri fondamentali dai quali dobbiamo partire per fare un'analisi approfondita delle esigenze socio-sanitarie e per dare una risposta politica a questo tipo di problematica.
Altro problema di carattere generale che credo sia acquisito da tutte le forze politiche è il discorso della prevenzione, della cura e della riabilitazione, del non accentramento del ricovero ospedaliero quale unico elemento della riforma sanitaria.
Su questo si fonda la linea politica che stiamo portando avanti e alcuni atti di carattere operativo che già abbiamo messo in moto si riferiscono a questa impostazione.
Occorre puntare tutta la nostra azione all' inquadramento dell'azione regionale nel più ampio discorso della riforma sanitaria nazionale e di qua, a mio avviso, deve venire la spinta del Consiglio Regionale del Piemonte affinché la politica sanitaria regionale abbia un'applicazione immediata, senza forme di deviazione; su questo vi è una diversità di valutazione tra le varie forze politiche a livello nazionale e a livello regionale. Noi riteniamo che, più che puntare alla revisione della legge 386, se non soltanto per alcuni articoli ai quali mi riferirò più tardi occorra puntare (e deve essere il Consiglio Regionale a recepire, a mio avviso, questo dato di fondo) sulla necessità urgente di fare di questo il problema centrale della nostra azione politica.
La programmazione, però, non intesa soltanto (mi consentano i Consiglieri di fare questa doverosa precisazione forse più per me stesso che per il Consiglio) come espressione verbale di volontà politica, ma come fatto concreto della capacità di realizzare ogni intervento da parte della Regione Piemonte in un ambito programmatorio. Credo che sia questa la impostazione politica che vogliamo dare diversamente dalle precedenti amministrazioni, senza con questo voler polemizzare; l'intervento ossia non deve essere estemporaneo ma di carattere esclusivamente programmatorie tenendo presente che non vogliamo lasciare tutto fermo per poi rimandare l'applicazione degli interventi operativi alla definizione del piano socio sanitario. Occorre però che ogni intervento, sia quello dell'edilizia ospedaliera, sia quello delle attrezzature, qui sia connesso ad una visione globale dei problemi e non sia assolutamente un intervento settoriale tanto più che molte volte un intervento settoriale può degenerare a livello clientelare al quale in ogni modo noi siamo del tutto contrari.
Quindi abbiamo la necessità di porre la programmazione al centro della nostra azione politica, ma che arrivi concretamente alle scelte che devono essere coordinate e valutate attentamente. Credo però che il Presidente della IV Commissione dovrà dare atto della nostra volontà di realizzare un confronto continuo prima di arrivare a qualsiasi intervento di carattere operativo. Così, come abbiamo fatto ieri, l'altro ieri e i giorni scorsi per la definizione del fondo per le attrezzature.
Vi sono alcuni concetti di carattere generale cui però mi pare opportuno fare ancora riferimento.
Il principio della globalità dell'intervento in un quadro programmatorie va visto non soltanto come fatto amministrativo della Regione Piemonte, ma come indirizzo politico generale e la Regione (questo credo sia un concetto di fondo estremamente importante che deve recepire il Consiglio) deve demandare la gestione di ogni intervento ad altri organi compito della Regione è quello di indirizzare e di coordinare l'attività degli enti, ma non di gestirne le attività.
Vogliamo arrivare alla definizione del piano socio-sanitario in termini estremamente brevi ed alcuni passi in questo senso li abbiamo fatti e li illustrerò fra poco.
Voglio dire però (e credo che debba essere accettato questo nostro discorso) che non vogliamo rimandare ogni decisione di carattere operativo al momento in cui il piano socio-sanitario sarà fatto, ma ci proponiamo di definire in tempi brevissimi, nel giro di due o tre mesi, un piano se non socio-sanitario in termini globali almeno un piano sanitario, almeno un piano ospedaliero a larghe maglie che ci consenta di fare interventi sia nel settore delle attrezzature, sia in quello dell'edilizia ospedaliera in modo programmato.
Per arrivare a fatti concreti ed estremamente importanti dobbiamo partire da ciò che è emerso dalle precedenti esperienze e per quanto mi riguarda devo dare un giudizio positivo sui precedenti atti compiuti da questo Consiglio nella sua prima legislatura: mi riferisco ai Dipartimenti di emergenza sia di primo, sia di secondo livello e alle unità di base che trovano la corrispondenza in questa Giunta Regionale che le ha fatte proprie, aggiungendo qualcosa di più, in modo da rendere operativi questi due provvedimenti, molti importanti e qualificanti, consentendo alle organizzazioni sindacali di diventare interlocutori reali, come in effetti stanno diventando.
Occorre però fare alcuni riferimenti di carattere concreto anche ad altri fatti che a nostro avviso non sono positivi.
Oggi il mio Assessorato registra, specialmente per quanto riguarda l'edilizia ospedaliera, un residuo passivo di 16 miliardi non spesi perch non vi è un discorso programmatorio, e altri 11 miliardi in fase di esecuzione progettuale che deve essere ancora verificata sul piano della programmazione ospedaliera; ossia abbiamo un monte di 27 miliardi che non risultano spesi e che non risultano inquadrati in un discorso programmatorio generale.
E non è che con questo si possa fare alcun processo ad alcuno, sono inconvenienti che registriamo nel momento dell'impostazione della politica sanitaria; sono fatti, a mio avviso, che dimostrano la necessità urgente di arrivare a interventi programmatori tali che consentano sia l'impegno della cifra, sia l'immediata esecuzione dell'opera; ciò potrebbe contribuire a risolvere alcuni problemi occupazionali.
Occorre affrontare i problemi di carattere edilizio puntando su alcuni criteri che abbiamo già definito in larga massima quando è stato impostato il piano di emergenza che abbiamo inviato al Governo con la richiesta del Consiglio Regionale di 77 miliardi che certamente non saranno 77; mi consentano i signori Consiglieri di aprire a questo punto una parentesi sempre in riferimento all'influenza che il Piemonte ha nel campo della politica sanitaria nazionale: il Ministro dei LL.PP., di concerto con il Ministro della Sanità ha fatto una proposta (che non è stata ancora n valutata, né accettata, come prevede la legge, dal CIPE sentite le Regioni) per cui dei 600 miliardi disponibili per l'edilizia ospedaliera, al Piemonte toccherebbero soltanto 23 miliardi. Questo, a mio avviso, suona offesa per il Piemonte in quanto non si tiene conto di alcune valutazioni di necessità sanitarie e politiche importantissime, specialmente se facciamo riferimento al fatto che ben 86 miliardi sono previsti per il Veneto, ossia per una Regione in cui si registra un numero maggiore di posti letto rispetto agli abitanti.
Questo però non significa che noi vogliamo fare del momento ospedaliero il momento centrale della politica sanitaria; io mi riferisco solo alla poca influenza della Regione Piemonte nei confronti del livello centrale per la determinazione della linea politica sanitaria nazionale, influenza che invece la nostra Regione dovrebbe maggiormente esercitare.
Comunque il Piemonte si è opposto a questa divisione del fondo edilizio nazionale, ma vi è stata la crisi di governo che ha sospeso ogni iniziativa; mi auguro che l'attuale Ministro convochi le Regioni e che in quella sede si realizzi un dibattito più aperto e si pervenga a decisioni più ragionate e basate su criteri più validi dell'attuale ripartizione del fondo nazionale ospedaliero.
Questo per quanto riguarda il fondo nazionale per l'edilizia ospedaliera, ma vi è anche il fondo per la gestione di tutta la sanità in Piemonte. Anche in questo campo noi siamo stati sacrificati maggiormente rispetto a qualsiasi altra Regione del Nord. Nell'ultimo convegno degli Assessori regionali vi è stata la convergenza delle posizioni del Piemonte rispetto alle posizioni della Sicilia, della Calabria, della Basilicata e delle altre Regioni in quanto la nostra richiesta era di far coincidere i criteri per la suddivisione del fondo nazionale ospedaliero con il numero degli abitanti. Altre Regioni come Lombardia, Veneto, Liguria, hanno dei fondi estremamente più elevati di quelli del Piemonte e di questo anche l'Assessore Armella ebbe a fare una dura critica nei confronti dell'allora Ministro della Sanità.
Ora però non è sufficiente una dura critica, occorre una presa di posizione di tutto il Consiglio affinché la Regione Piemonte non sia la Cenerentola nel campo socio-sanitario. E' quindi una grossa battaglia che a mio avviso deve impegnare non soltanto l'Assessorato e la Giunta, ma tutto il Consiglio.
A questo proposito faccio al Consiglio una dichiarazione ufficiale che ho già fatto anche alla IV Commissione: ispirandoci a criteri di efficienza e di economicità si volevano fare degli appalti per quanto riguarda la suddivisione del fondo destinato alle attrezzature. Vi era già un fondo destinato dalla precedente amministrazione di due miliardi per il 1975 avevamo un residuo di 500 milioni del 1974 e ci si orientava (questo era il mio orientamento, condiviso d'altronde da tutta la Giunta) verso l'affidamento delle apparecchiature agli enti ospedalieri e non semplicemente del finanziamento, in quanto l'acquisto di apparecchiature radiologiche corrisponde a circa un miliardo e mezzo in Piemonte, mentre coi soldi contanti e con un appalto pubblico ci sarebbe certamente stata una diminuzione dei costi, tale da consentire un risparmio di 300/400 milioni. Il Commissario di Governo non ha ritenuto di approvare una delibera del genere, ma ha voluto invece affidare semplicemente alla Giunta Regionale il compito di finanziare gli Enti ospedalieri.
La materia è talmente delicata e difficile che non ritengo di dover fare una battaglia politica perché non vi è stata l'approvazione del Commissario di Governo però occorre fissare, come abbiamo d'altronde già detto ieri in IV Commissione, concordi tutti i Partiti, i criteri di massima sui quali la Giunta si dovrà orientare per la ripartizione di questi due miliardi e mezzo. E i criteri sono: 1) intervenire immediatamente su quelle attrezzature obsolete che non consentono l'assistenza sanitaria in maniera efficiente in tutti gli ospedali 2) sostituire i generatori 3) fare i laboratori di analisi 4) fare un intervento anche di carattere operativo e programmatorio nel campo dell'emodialisi e delle apparecchiature radiologiche 5) pronto soccorso.
A questo punto, chiariti alcuni punti di carattere generale, occorre parlare dei problemi specifici per quanto riguarda la politica nei confronti di tutta la classe medica.
Voi sarete certamente informati sulle decisioni prese dagli Assessori di tutti i Partiti nella conferenza internazionale di Napoli circa l'applicazione della legge del 1968 art. 43, che stabilisce in maniera precisa che i medici devono scegliere se lavorare in case di cura oppure di enti ospedalieri, a tempo pieno.
La Regione Piemonte ha preso una posizione chiara che credo debba essere condivisa da tutto il Consiglio; l'applicazione dell'art. 43 deve essere un fatto sistematico, senza con ciò (io l'ho ripetuto a iosa agli organi di stampa, all'opinione pubblica e lo ripeto ufficialmente in Consiglio) arrivare ad uno scontro con la classe medica, o all'estremizzazione di questo tipo di valutazioni differenti. Vi sono state associazioni professionali di livello regionale che si sono dichiarate disponibili ad accettare l'applicazione dell'art. 43 della legge del 1968 ciò ha indotto l'Assessorato ad esaminare in termini tecnici, nel giro di 7/8 giorni, il principio dell'applicabilità dell'art 43 della legge adottando delle soluzioni tecniche per la prima risposta ad alcune incongruenze pratiche.
Con questo non dobbiamo certamente attribuirci la responsabilità della non applicabilità della legge, anzi, dobbiamo dire in maniera chiara e precisa che deve essere applicata dichiarando la Regione e direi tutto il Consiglio Regionale completamente a disposizione per creare le attrezzature, le organizzazioni tecniche necessarie nei vari Enti ospedalieri, magari con convenzioni fra Regione e Case di cura private le quali si sono dimostrate ufficialmente disponibili a dare alla Regione il massimo contributo, affinché i medici possano fare liberamente la loro scelta salvaguardando il principio ormai generale e accettato da tutte le forze politiche che è quello dell'accettazione della libera professione da parte del medico, naturalmente regolamentata, codificata rispetto ad alcune logiche e rispetto ad alcuni campi.
Quindi alcuni principi di carattere generale devono essere fissati e credo che possano essere recepiti dal Consiglio Regionale.
Un altro problema importante è quello della formazione professionale.
L'Assessorato di cui faccio parte ha in proposito una trattativa in corso con le organizzazioni sindacali. La Regione Piemonte ha questo ponderoso ed importantissimo compito di intervenire in questo settore che ormai si presenta, sotto molti aspetti, caotico, non regolamentato e non uguale su tutto il territorio piemontese.
L'Assessorato, attraverso i suoi uffici, ha predisposto un censimento di tutte le scuole professionali paramediche esistenti nel Piemonte occorre puntare in un tempo successivo naturalmente, e non breve, alla regolamentazione e alla gestione politica di tutte le scuole professionali da parte della Regione Piemonte.
Un altro argomento sul quale occorre intervenire è la definizione del prontuario farmaceutico; occorre fissare alcuni criteri di carattere generale. Il Corriere della Sera ed altri giornali hanno fatto una grossa battaglia perché su 16.000 farmaci in commercio solo 600/700 sono utilizzabili.
Noi abbiamo fatto alcune cose di carattere operativo partendo da alcuni dati che abbiamo recepito dal passato Consiglio Regionale, quali i dipartimenti di emergenza, le unità di base; non abbiamo recepito invece la zonizzazione del territorio piemontese. La precedente amministrazione aveva formulato un piano che non abbiamo ritenuto, per i criteri con i quali era stato elaborato, di farlo nostro e ci siamo impegnati a farne uno seguendo altri tipi di criteri che si riferiscono in maniera particolare agli abitanti di questi contenitori, che è una delle discriminanti importanti rispetto alla precedente zonizzazione: noi riteniamo che le zone socio sanitarie non possano avere un numero di abitanti inferiore ai 20.000 e superiore agli 80.000.
Alcuni altri criteri estremamente importanti non previsti nella precedente zonizzazione sono quelli dell'unificazione di tutti i servizi: comprensori, trasporti, viabilità, quartieri per Torino ed in maniera particolare i distretti scolastici.
Con molta umiltà affermiamo che non riteniamo di aver fatto una cosa perfetta ed inamovibile, abbiamo però dato un contributo positivo al Consiglio, alle Commissioni, soprattutto agli Enti locali, ai sindacati con i quali andremo a confrontarci e agli operatori sanitari.
Io mi auguro che la consultazione che andremo a fare ci consenta di arrivare in aula con un progetto unitario, al di fuori delle varie e legittime differenziazioni che ci possono dividere. D'altronde questo è un nostro modo di fare politica.
Prima di arrivare a questo proposta di zonizzazione ho girato il Piemonte per rendermi conto personalmente delle varie situazioni locali e con molti Consiglieri regionali, con i sindacati, con gli Enti locali, ho avuto occasione di dibattere pubblicamente a lungo questo problema, in modo da consentire al dipartimento di formulare questa proposta che non vuole essere l'unica valida, ma che deve essere oggetto di dibattito e di consultazione da parte di tutti gli enti interessati, in maniera particolare dei tre interlocutori principali che ho individuato.
Fatta questa consultazione e preparato questo strumento pianificatore estremamente importante, prospetterà al Consiglio le tabelle di marcia con le quali la Giunta si avvia alla realizzazione del piano socio-sanitario che a mio avviso deve essere un fatto fondamentale sia sul piano culturale sia sul piano della concretizzazione e realizzazione dei progetti.
E qua faccio un'altra importante affermazione di carattere politico che a mio avviso differenzia sostanzialmente la tematica dell'intervento il modo di concepire il metodo della partecipazione: noi siamo pervenuti alla definizione delle zone socio-sanitarie, ma non abbiamo calato su di esse il modello dei servizi, alternativo, o compensativo delle attuali strutture: noi vogliamo arrivare alla definizione del modello dei servizi nelle varie zone socio-sanitarie dopo aver fatto il censimento di tutte le esigenze partendo dalle zone e nel rispetto della partecipazione della base. La Giunta sarà impegnata in prima persona nelle consultazioni e recepirà tutte le esigenze di questi contenitori che dovranno essere le future unità sanitarie locali dei servizi; successivamente farà il modello dei servizi. Procederemo poi, in tempi i più ravvicinati possibili, alla definizione di una legge regionale che stabilisca il tipo ed i limiti del governo delle unità locali dei servizi. A questo punto il discorso di chi governa è facile e aperto perché interverrà il Comune nella generalità dei casi; nel caso delle grandi città, come Torino, dovranno intervenire i quartieri e vi sarà un rapporto fra quartieri e il Comune; in altre zone dove invece il contenitore comprende diversi Comuni dovremo intervenire con una legge che obblighi il consorziamento dei vari Comuni, come pure saranno chiamate a gestire le unità locali dei servizi.
Questi sono i concetti di politica generale sui quali vogliamo orientarci.
Certamente non ho ripetuto quello che già ho scritto nella relazione ho solo voluto integrarla, ma credo sia opportuno fare ancora un'affermazione che ritengo di estrema rilevanza ed importanza essendo la politica sanitaria non un fatto esclusivo, non di etichette, non un fatto di partito, tanto meno di Gruppi, né un fatto settoriale, ma un fatto di tale rilevanza politica nazionale (in questo caso regionale) che deve investire continuamente in ogni suo atto il Consiglio Regionale in modo che non sia una questione particolare di questo o di quell'altro Assessore, di questo o di quell'altro Dipartimento, ma sia una politica di tutto il Consiglio Regionale.



PRESIDENTE

Prima di dare la parola al Consigliere Beltrami gradirei sapere quanti si iscrivono a parlare, per non mortificare questo dibattito che si preannuncia importante. Per ora quattro Consiglieri. Va bene.
La parola al Consigliere Beltrami.



BELTRAMI Vittorio

Signor Presidente, signori Consiglieri, intervenendo nella discussione mi viene spontaneo ritornare col pensiero al primo dibattito sulla Sanità che si è svolto nella Regione Piemonte nel 1973 nel quale, offrendo largo spazio agli interventi e successivamente alla divulgazione degli stessi entro le rappresentanze elettive regionali, venne affrontato unitariamente il tema della salute con quello della sicurezza sociale, conferendo a quest'ultima non più l'ambito ristretto entro il quale pare si muova oggi ma l'intera gamma degli interventi che tradizionalmente andavano sotto il nome dell'assistenza e della beneficenza.
Anche allora eravamo sotto il pungolo di una crisi economica certamente meno crudele dell'odierna, avevamo una delegazione della FIARO che bussava alle porte perché il Consiglio Regionale prendesse atto come gli amministratori degli ospedali, sotto la morsa della stretta creditizia e della dilatazione dei debiti degli Enti ospedalieri, erano costretti a gettare la spugna, avevano comunque pochissimo margine di sopravvivenza.
Era la crisi che avrebbe provocato l'intervento del decretone del 1974 trasformato nella legge n. 386 che buona o grama possa essere, ha introdotto innegabilmente un nuovo discorso, conferendo alla Regione nuovi compiti, nuovi impegni, nuovi oneri, introducendo e abbreviando i tempi così è almeno nei voti, della riforma sanitaria.
Il servizio radiotelevisivo di allora ci proponeva, attraverso il dramma di Gigi Ghirotti, la crudeltà dell'odissea dell'ammalato.
Il dibattito fu serio, non dico la solita parola "sofferto" innegabilmente colse una grossa offerta di impegno da parte di tutti i Gruppi consiliari, opposizione e maggioranza.
Con seria convinzione che investiva rilevante sensibilità per il tema trattato, significando che i dibattiti quando sono sentiti servono, non ritardano le leggi, anzi predeterminano il clima, gli stati d'animo confortati dalla ricchezza delle singole conoscenze, preparano culturalmente e confortano chi propone, chi diventa soggetto attivo di iniziativa legislativa.
Se c'é continuità nel modo di intendere e di affermare i problemi, se la crescita e le nuove richieste della società marciano di pari passo con l'accresciuta perfezionata sensibilità di chi si muove in questa materia, ritengo giusto dovere affermare che questo dibattito non solo è necessario, anzi, doveva essere svolto prima, proprio perché dalla presa di coscienza di tutti anche alla luce del mutato quadro politico del Consiglio Regionale potesse essere riscoperto quel filone ideologico che con ruoli diversi, ma riterrei con pari convinzione, le forze politiche regionali hanno individuato dapprima nella formulazione della Carta Statutaria, nelle osservazioni ai decreti delegati, nelle osservazioni al progetto di riordino dei Ministeri nel dibattito intercorso entro la Regione con i Consigli regionali di tutta Italia, nelle diverse iniziative, talune delle quali diventate ormai leggi della Regione, che hanno riproposto un chiaro modo di ancorarsi a precise ed inequivocabili scelte, per cui è scoraggiante avvertire che taluno possa avere la sola e semplice impressione che il dibattito vada a scapito dell'avanzamento della produzione legislativa. L'una e l'altra sono, a mio avviso, strettamente connesse e interrelate e si perfezionano e si integrano a vicenda.
Ed è proprio per questo motivo che la Regione non è oggi, nel settore della Sanità, all'anno zero, anche se obiettivamente la difficoltà del muoversi, un diverso modo di interpretare la realtà socio-politica del Piemonte, il conferimento di pesanti ed impegnative attribuzioni scaturenti dal passaggio della gestione ospedaliera alle Regioni con il 1° gennaio propongono difficoltà obiettive, quelle stesse che ha riproposto poco fa l'Assessore Enrietti.
Però il tema della salute e della sicurezza sociale ha formato oggetto di precedenti dibattiti, di studi, da quelli del CRPO a quelli della passata legislatura, ai dibattiti entro il Consiglio, entro la Commissione.
Mi ricordo, ad esempio, un intervento di Gallo dell'IRES, di tecnici specializzati nel settore dell'igiene pubblica , del lavoro, dei tumori professionali, dell'istituto di audiometria per i danni alla salute derivanti dai rumori.
Costituiscono ricchezza, patrimonio di studi e non solo per la complessità dei dati che vi si ritrovano, ma perché raccolgono tutto un modo di giudicare, di essere, di proporre che è patrimonio culturale di questo Consiglio e che ci fa sottolineare decisamente come nel settore della Sanità e della sicurezza sociale non siamo all'anno zero. Semmai ripeto, se un addebito è da muoversi all'impostazione di questo confronto è proprio quello di portare avanti, a parole, il discorso sulla globalità degli interventi, sulla interrelazione con larghe fasce di sconfinamento e di sovrapposizione tra i servizi sociali, da quelli sanitari ospedalieri a quelli scolastici, culturali, ricreativi, assistenziali (essendo venuto meno il carattere di accentuata marcatura nella delimitazione tra le zone d'ambito) e non ritrovare poi, al concreto, la traduzione di questa concorde visione in un dibattito accomunante questi temi.
Questo richiamo all'anno zero, anzi, esprime la preoccupazione che proponendo quadri programmatici, necessariamente distribuiti nel tempo ignorando l'esistenza di quel patrimonio al quale mi riferivo, possa fare scorrere ulteriormente il raggiungimento di quegli obiettivi ai quali tutti tendiamo in buona fede, proprio nello spirito della relazione dell'Assessore che a pag. 5 invoca il superamento del frazionismo e soprattutto la partecipazione ed il contributo di tutte le forze presenti nel Consiglio regionale.
Il non avere valutato a fondo, ad esempio, la possibilità che il precedente progetto di zonizzazione, che già era il risultato del superamento di un primo progetto che decisione unanime delle forze politiche e stimolazione della IV Commissione consiliare rimisero alla Giunta per un approfondimento, dando luogo ad un più aggiornato e politicamente corretto progetto di zonizzazione, il non avere valutato a fondo che detto elaborato, già assegnato a tutti i 1.200 Comuni del Piemonte, avesse già potuto dare luogo ad un primo dibattito, magari con rilevamento di larghi giudizi negativi, di verifica con tutti gli apporti critico-costruttivi pensabili, a mio avviso è stato un errore che porterà nonostante ogni migliore processo di accelerazione nella consultazione e negli incontri con gli operatori sociali, con la comunità di base, ad un ulteriore scorrimento dei tempi di attuazione della zonizzazione.
E poiché alla stessa è legata la definizione del successivo piano ospedaliero, sulla cui necessità ritengo non si debbano spendere ulteriori parole, il paventato ritardo si consolida con quello denunciato nella prima legislatura dall'opposizione di allora.
Non sento di creare ad altri delle difficoltà, né di volerle creare per me stesso. Certo mi torna abbastanza difficile il dovere, ad esempio iniziare oggi una specie di processo al progetto di zonizzazione che solo ieri l'altro è stato assegnato alla Commissione, dove ancora non s'é svolta la rituale discussione. D'altro canto a questo si richiamano la relazione e l'intervento dell'Assessore ed il Consiglio è lo sbocco ultimo, anzi, il primo di ogni animazione politica, di chi vive questa esperienza regionale: il parlarne pub offrire l'occasione di anticipare qualche elemento utile alla successiva discussione nella Commissione e nella comunità regionale.
La domanda che mi sono posto, penserei correttamente, alla luce di un'esperienza vissuta su questo argomento é: che cosa di nuovo, di particolarmente aperto, ricco di socialità avanzata ci viene proposto con il nuovo progetto di zonizzazione.
Nella relazione al disegno di legge si fa un'ampia disquisizione sui servizi socio-sanitari, si parla dei tre momenti di intervento sulla salute dell'uomo, poi si innesta il discorso, di per sé valido, del coordinamento di tutti i servizi entro le comunità locali in superamento della primitiva concezione di unità sanitaria locale.
Ecco, la domanda semplice che insorge nel guardare i due progetti: che differenza c'é tra questo progetto ed il primo presentato nel 1974 dall'Assessore dell'epoca e che concordemente venne riproposto al riesame della Giunta per dare luogo ad un altro progetto più maturo e distribuito prima del chiudersi della prima legislatura a tutti i Comuni? Notasi che era un momento nel quale Settimo e Nichelino proponevano attraverso l'iniziativa legislativa dei Comuni, la "Istituzione e la regolamentazione dei Comitati sanitari e sociali di zona", mentre il Gruppo comunista e quello liberale proponevano una legge per la salvaguardia del Piano sanitario regionale (legge che in parte è superata dalla 386).
E' zonizzazione sanitaria questa? No. Almeno viene detto nella relazione. E' zonizzazione socio-sanitaria. Nella legge, però, non ci sono contenuti che ne danno l'indicazione e non solo per quanto attiene alla successiva legge sui consorzi, ma nella stessa relazione mancano quelle affermazioni sui contenuti di fondo che dovrebbero costituire il supporto della scelta o comunque la spiegazione di come si è pervenuti a questa che io ritengo una semplice perimetrazione geografica sul territorio.
E' veramente una semplice perimetrazione che investe l'assetto del territorio, la si lega anticipatamente al prodotto comprensoriale, quando lo stesso non è ancora stato immesso sul mercato.
Ma se il discorso è globale e unitario bisognerebbe che la legge dicesse, individuasse con certezza compiti, funzioni, finalità, definisse poiché legge, il concetto di "unità dei servizi" e quant'altro attorno ad essa si muove, si agita. C'é una larga zona di silenzio sia nella legge sia nella relazione su questo argomento.
Non sottolineo il fatto che nel disegno di legge accennando agli allegati non ci sia quello riguardante l'individuazione delle strutture attualmente operanti nel territorio perché l'Assessore ha avvertito che provvederà a rassegnare integrativamente la documentazione. Nella stessa documentazione, però, non si ritrova la raccolta di quei documenti che normalmente accompagnano questi tipi di progettazioni: la corrispondenza ad esempio, tra la distribuzione della popolazione e la localizzazione dei servizi e le infrastrutture esistenti.
Un processo di formazione di sub-aree (quelle che nel precedente progetto erano definite distretti), il raccordo tra il livello zonale e interzonale che può anche essere rinviato al domani, ma allora proprio si può chiedere che cosa di concreto, di sostanziale esiste nel progetto e soprattutto quali sono le animazioni che in esso si raccolgono e la promozione di quali fini con esso si perseguono.
Nasce spontanea una domanda: ho visto una delibera assunta nella seduta del 2/12/1975 dalla Giunta regionale relativa all'incarico per il piano socio-sanitario affidata a degli esperti. Pensando che la deliberazione resa esecutiva, possa essere divenuta operante anche per l'intercorrenza del periodo natalizio, ai primi del 1976, è possibile che in un mese gli esperti siano stati in grado di scodellarci il piano? Vi hanno lavorato veramente? E' una domanda alla quale si può anche dare una risposta.



BERTI Antonio

Sono tecnici molto bravi e attivi.



BELTRAMI Vittorio

Se questa è la risposta sono soddisfatto: sono stakanovisti della zonizzazione e questo mi fa piacere.
Vi manca un ipotetico raccordo al piano di sviluppo regionale perché è certo, ad esempio, che l'inserimento di un nuovo polo di sviluppo industriale riequilibrante o compensante altra zona di eccessivo sviluppo di territorio, proporrà uno spostamento della stessa situazione sociale e una variazione della domanda di utenza del servizio.
Mi si creda, non intendo assolutamente essere polemico. Sono cose serie e gli errori, tutti, di ieri e di oggi, li paghiamo alla fine tutti insieme, soprattutto chi ha bisogno di assistenza. Ritengo che il Piemonte stia aspettando questa sua organizzazione a livello sanitario. C'é un certo ritardo, prendiamocene, per essere stati maggioranza ieri, quella parte di responsabilità che ci compete, ma non vorrei che proprio per questo desiderio di dimostrare che quanto era stato fatto ieri era tutto gramo e quel che si fa oggi è tutto buono.



ENRIETTI Ezio, Assessore alla sicurezza sociale e sanità

Io non ho detto questo, ho detto che alcune cose erano state fatte e le abbiamo recepite.



BELTRAMI Vittorio

Ne prendo atto. Nella consultazione, forse perché c'era un maggior contatto con la base hai detto anche quello, l'ho sentito con le mie orecchie, - qui non l'hai detto ed io, che sono à contatto nella consultazione con la base ho avvertito questo particolare risvolto.
Nella sostanza, quello che era un risvolto di critica era da parte mia portato su questo piano: invitare a scendere dalle posizioni astratte dalle enunciazioni squisitamente ideologiche e di principio, cariche di dotazioni concettuali, sul terreno della realtà e delle urgenze che il Paese invoca sul piano risolutivo.
Leggo nella relazione, ad esempio, a pag. 16 che "lo schema generale dei servizi non sarà una struttura formale calata sul territorio, ma procederà invece secondo il processo concreto-astratto-concreto, da un'individuazione dei problemi delle zone attraverso una considerazione delle esperienze informali, ad un inquadramento degli stessi problemi in una prospettiva regionale unitaria, ad un riaffidamento degli stessi problemi, così inquadrati agli organi di partecipazione a livello territoriale".
D'accordo, sono principi un po' nebulosi, per la verità (almeno per me che non sono molto addentro alle segrete cose della programmazione e delle perimetrazioni sanitarie) non diciamo delineamenti di filosofia teoretica ma l'impatto tra questi lineamenti e la realtà dell'ospedaletto di periferia che si trova ad affrontare il più piccolo dei suoi problemi (lo scoppio delle apparecchiature, le 80.000 lire richieste per la seduta dell'anestesista straordinario) diventa veramente drammatico, paralizza demoralizza.
L'opposizione non ha solo il compito di vigilare e di controllare che i tempi siano rispettati, ma partecipativamente deve offrire un contributo costruttivo e questo, che è un sospetto che insorge e che innegabilmente preoccupa, va visto da questa angolazione, sotto questo profilo di volontà di partecipare costruttivamente al processo di crescita della Regione.
Il discorso sulla prevenzione ci è comune: abbiamo detto altre volte, paradossalmente, che "la prevenzione è in grado di svuotare gli ospedali"; non è del tutto così però, perch l'ospedale resta una realtà concreta entro la quale sviluppare una parte piuttosto impegnativa nell'intervento rivolto dalla comunità alla salute del cittadino.
Restano da definire i grossi temi dell'ambito operativo degli ospedali del raccordo tra le strutture ospedaliere e quelle potenzialmente legate alla Regione, se non si darà luogo ad un'interruzione nel processo messo in atto con la legge 386; parlo dell'acquisizione, almeno potenziale, teorica delle strutture mutualistiche.
Sono grossi temi che sono sul tappeto ed io ho l'impressione che prendendo il discorso tanto alla larga, ignorando ad esempio tutto quanto esiste sul piano dei rilevamenti, di quel patrimonio di studi ai quali mi riferivo prima, noi andiamo a ulteriormente differire nel tempo la risposta ad una certa parte di domande inevase con la passata legislatura e quella maturata dopo il 1° gennaio 1975, data nella quale è intervenuto il passaggio ufficiale degli ospedali alle Regioni con la 386.
Questo elemento concreto della presenza di una legge che ha di fatto posto sulla strada della liquidazione gli enti mutualistici, che ha conferito più ampie responsabilità alle Regioni, che ha tentato di scuotere, pur con imperfezioni procedurali, la spirale debitoria che si era abbattuta sugli ospedali italiani, costituisce innegabilmente un serio momento della vita pubblica e nonostante tutti i motivi che hanno sin qui ritardato l'adozione di un più ampio progetto di riforma sanitaria, ecco, è innegabile che si sono stabilite le premesse obiettive attraverso le quali filtrare un definitivo passaggio, nella pienezza delle funzioni dell'assistenza socio-sanitaria alle Regioni.
Certo le mutue dispongono ancora del tutto autonomamente di una serie di strutture che affiancate a quelle ospedaliere, calate in una nuova organizzazione del territorio possono domani coprire larghi spazi, specie se coordinati, particolarmente per il momento preventivo, per superare quelle soluzioni di parcheggio da più parti e da tutte le forze politiche denunciate, alle quali sono costretti a ricorrere i cittadini utenti allorquando devono sottoporsi a visite preventive sullo stato della loro salute.
Certo la 386 è imperfetta, qualcuno ha tentato di proporla come mini riforma sanitaria anche se non lo é, pur avendo introdotto un dispositivo che scattando non può che promuovere l'accesso alla riforma. Lo dico con tutte le sospettose riserve che le precedenti lungaggini o inadempienze possono portarci a fare su questo argomento.
Lo stesso Comitato costituito a mente dell' art. 20 della 386 e che nella Regione Piemonte ha avuto un suo perfezionamento proprio su precise determinazioni di tutte le forze politiche, costituisce un importante elemento di raccordo tra le strutture esistenti nel Paese e dovrebbe tentare di combinare la messa insieme delle politiche socio-sanitarie del Paese.
Ci sono poi, in Parlamento, delle precise proposte di legge che non incontrano l'adesione di tutte le forze politiche riguardanti il "raccordo" tra la legge n, 386 e la riforma sanitaria.
E' un po' ardito, per la verità, il dire di raccordare due cose delle quali una è inesistente. Certo che la 386 con la sua, direi, incisività per taluni aspetti, non ha però consentito che il problema per gli ospedali psichiatrici potesse essere affrontato con pienezza di responsabilità anche se il settore è ritenuto veramente uno dei più ammalati nel quadro ospedaliero sanitario. Non vi ha trovato un elemento di riferimento che consentisse di anticipare anche in questa direzione i tempi della riforma per consentire a questo tipo di ammalato parità di trattamento e di dignità rispetto agli altri ammalati.
E qui dovrei rifarmi ad alcune critiche che l'Assessore ha fatto nella sua introduzione, agli organi di governo. Prendiamoci tutta la parte che ci compete: noi per essere stati tanto (taluni dicono "troppo") al Governo gli altri per avere introdotto un discorso sanitario che è di marca comune perché eravamo assieme nel condurre la dirigenza governativa, ma che si rifà principalmente ai socialisti.
Ad esempio i grossi disastri avvenuti nel settore dell'assistenza psichiatrica sono nati proprio dalla legge 431 del 1968 perché, mentre le nuove correnti scientifiche, di dottrina, ideologicamente e politicamente avanzate, proponevano l'eliminazione del grosso concentrato ospedaliero, il buon Mariotti varava i grossi complessi, dava la possibilità di ristrutturarli, arricchiva di presenze il personale con dotazioni a non finire, creando infiniti problemi.
Così la 132, sulla quale oggi si sta discutendo ampiamente in ordine al rapporto dei medici con le case di cura a tempo pieno, ecc., è nata in casa governativa quando, assieme, conducevamo il governo della cosa pubblica.
E' un'affermazione che doverosamente dovete accettare perché è giusta.
L'argomento degli ospedali psichiatrici ci interessa veramente tanto perché - lo si è detto altre volte - su 40.000 posti letto nel Piemonte almeno 10.000 sono per questo tipo di ammalati.
Sugli ospedali psichiatrici si riversa una fascia di domanda che appartiene invece, almeno per il 25 % all'assistenza geriatrica e un'altra fascia ad altri tipi di assistenza generica e solo un 50 % a malapena è bisognoso di vera e propria assistenza neuropsichiatrica.
Un altro elemento da disciplinare, per il quale anche da noi c'é stato un rinvio della legge da parte del Commissario di Governo, e che costituisce motivo di largo interesse, è il raccordo tra il personale delle attuali strutture ospedaliere ed assistenziali-mutualistiche e le norme regolamentanti i concorsi degli Enti ospedalieri.
Avevo intenzione di parlare anche di altri argomenti, ma volutamente li trascuro; ad esempio lo scioglimento dell'ONMI è una realtà operante nel Paese e bisogna dire che erano in pochi ad essere convinti che le forze politiche avrebbero raggiunto questo obiettivo, Se c'era un addebito alle forze di governo era proprio questo.



BERTI Antonio

Purtroppo ignora l'istituto regionale.



BELTRAMI Vittorio

Sono state innegabilmente restituite a quella fascia di intervento a livello territoriale regionale, secondo le giuste invocazioni di tutte le forze politiche. C'é solo da augurarsi che contemporaneamente all'estinzione di certi Enti vi sia un intervento collaterale che consenta alla Regione di assorbire questi nuovi compiti demandati dall'intervento della legge.
Avrei voluto parlare anche sul legame che vi sarà tra la ricerca l'Università, l'elaborazione dei dati, la programmazione, le grandi apparecchiature moderne che servono per le indagini in massa e sui nuovi impianti ospedalieri. E' un argomento che era caro al Presidente Viglione e questa frase l'ho ripresa da un suo intervento nel dibattito svolto nel 1973.
Così come in un dibattito come l'odierno meritava qualche maggiore accenno il problema del personale, laico e religioso, operante nel settore il volontariato oggi ancora più legato ai presidii esterni della sicurezza sociale ed a quelli dell'assistenza agli anziani in particolare; la qualificazione degli operatori sociali.
Ma ho ritenuto di non farlo per motivi di brevità, per rispetto verso chi viene dopo, per scrupolo e perché siamo ai primi passi di questa legislatura, anch'essa all'inizio tanto ammalata - ora pare non più - ed avremo certamente altre occasioni di farlo, più avanti, magari in sede di elaborazione di proposte operative nella fase più avanzata, quando avremo lasciato alle spalle le pur valide enunciazioni di oggi che però, a mio avviso, rimangono purtroppo enunciazioni di carattere teorico.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Robaldo.



ROBALDO Vitale

Signor Presidente, Colleghi, per la verità io prendo la parola su questo argomento senza averlo approfondito doverosamente in quanto credevo scivolasse alla prossima riunione.
Il mio sarà un intervento di una certa puntualizzazione su tre o quattro punti della relazione che ci ha fatto l'Assessore.
L'Assessore alla IV Commissione, immediatamente dopo la costituzione della stessa, aveva presentato le linee generali della politica sociosanitaria che intendeva attuare di nuovo concretizzate ed espresse nella relazione che ha svolto oggi, però prevedevano anche dei tempi di attuazione, c'era una prima, una seconda e una terza fase.
La prima fase, che doveva formulare una definizione del modello di servizi, una proposta di azzonamento del territorio e una proposta di legge regionale sulle strutture consortili, doveva essere attuata in brevissimo tempo (tre mesi aveva detto l'Assessore). Ora, non vogliamo formalizzarci sui tempi tecnici indicati e poi non mantenuti, perché sappiamo che ci sono delle difficoltà e le previsioni più ottimistiche a volte si presentano di difficile attuazione, diciamo però che rispetto a quel discorso fatto al momento dell'insediamento della Commissione, non è che ci sia stato, sul piano operativo e pratico, da parte dell'Assessore, un'iniziativa concreta che abbia conseguentemente svolto un'attività di cui oggi possiamo prendere atto.
In Commissione abbiamo discusso il rifinanziamento di due leggi e due altri problemi, quali quello della spesa di acquisto di attrezzature ospedaliere per due miliardi e più e della modalità e del criterio per arrivare a Testo acquisto, superando la proposta della Giunta e dell'Assessore di appalto diretto della Regione di distribuzione di questi macchinari rispetto alla decisione, che è prevalsa, di distribuire gli importi alle varie amministrazioni che possono poi nella loro autonomia procedere ad appalti vari e ad acquisti diretti; e quello del piano di zonizzazione che è indubbiamente da discutere e da verificare quanto prima.
Il discorso, ripeto, si riporta a quello fatto in precedenza, per dobbiamo dire che al di là di queste dichiarazioni, che noi condividiamo e che ritengo siano condivise un po' da tutte le forze politiche, al di là di una settorializzazione e di una parcellizzazione, noi riteniamo ci siano delle scadenze già date dalle leggi nazionali vigenti, la 386 e la 382 le quali, pur nei loro limiti, danno alla Regione una possibilità di intervento e che devono essere tenute presenti dall'Assessore.
Al 1° luglio 1977, in base alla legge 382, passano alla Regione tutti i servizi extra ospedalieri delle mutue. Noi sappiamo che molti di questi enti, parlo in particolare dell'INAM, si trovano in difficoltà a gestire gli ambulatori e noi assistiamo addirittura a casi di chiusura perch impossibilitati ad avere altro personale; noi riteniamo che ci debba essere una presa di contatto organica ed omogenea sul piano regionale da parte dell'Assessorato con questa realtà extra ospedaliera, per arrivare alla scadenza del 1° luglio 1977 con una visione che non pregiudichi il piano regionale socio-sanitario, ma che ponga già dei punti fermi che possono essere dei punti di riferimento e non arrivare al 10 luglio 1977 in una situazione di potenzialità inferiore rispetto a quella che abbiamo adesso.
Il discorso della globalità ci vede d'accordo, ma questo non vuol dire aspettare per fare poi un grosso disegno di prospettiva, perché intanto delle realtà di cui noi dobbiamo tenere conto vanno quasi in decadimento proprio perché manca questo collegamento.
Noi riteniamo che nell'ambito di queste leggi, che pure sono lacunose sotto certi aspetti, che sono criticabili per la distribuzione dei finanziamenti che, come ha detto l'Assessore, non vedono tenuta nel dovuto conto la presenza e l'esigenza della nostra Regione, ci deve essere un impegno di operosità politica e un'attuazione immediata di certe azioni.
A pag. 6 la relazione dice: "Per l'ambiente di fabbrica è in fase di avanzata attuazione la rete di 36 unità di base". Qui siamo davanti alla medicina preventiva e noi chiediamo: queste 36 unità di base a che punto sono? Quante sono già state attuate? Quante si prevede di attuarne? Qui ci devono essere anche delle priorità. Fare un piano vuol dire fare delle scelte in base alle risorse economiche e pertanto su questo punto vorremmo avere dei chiarimenti e delle indicazioni più puntuali.
A pag. 12 notiamo una indicazione, indubbiamente politica, che qualifica la Giunta e l'Assessore; c'é una dichiarazione esplicita a voler formare del personale paramedico sostanzialmente come operatore unico.
Questa mi pare un'affermazione che valga la pena di puntualizzare e di discutere un momento perché ad una semplificazione del genere non sappiamo se si arrivi con una maggiore qualificazione o con una dequalificazione del personale paramedico. Noi sappiamo come funziona questo personale: c'é un caposala, c'é un assistente in sala operatoria e poi ci sono i vari assistenti ai servizi specializzati vari. Creare del personale che abbia un'unica specializzazione e che sia il jolly equivalente per tutti questi tipi di servizi è molto discutibile sul piano pratico e anche sul piano formativo. Noi pensiamo che il personale paramedico debba essere specializzato maggiormente e per questo occorre una serie di scuole professionali specializzate ad hoc, impegno che dovrebbe andare di pari passo con l'impegno della professionalizzazione del personale paramedico.
Ci dovrebbe essere un esplicito riferimento a questo altro impegno sul piano della preparazione professionale per garantire domani la soluzione di questo problema rispetto a quelle che sono le necessità, però sempre tenendo presente la nostra perplessità e la nostra osservazione su quello che è l'orientamento dell'Assessore, cioè non un personale specializzato a tipo unico, ma due, tre fasce di specializzazione al massimo che però noi riteniamo siano molto più aderenti alle esigenze del servizio specifico.
A pag. 13 si dice che "nello spirito di questa proposta e di questo intendimento dell' Assessore c'é già un orientamento e si può arrivare mercé quella Commissione che è stata composta allorquando si è arrivati all'accordo degli ospedali con le cliniche universitarie". Noi, riprendendo quella che era stata la nostra osservazione su quel punto, vorremmo chiedere che cosa intende dire l'Assessore quando scrive: "e dovrà operare anche per le altre convenzioni nel quadro del piano socio-sanitario regionale". In allora l'Assessore (mi ricordo che la questione era stata anche oggetto di interrogazione e di articoli di stampa) aveva confermato in Consiglio che di fatto aveva dovuto quasi prendere atto di quella convenzione, che però non condivideva. Ora, fare riferimento a quella Commissione come una Commissione trainante rispetto a una formazione professionale del personale paramedico, e dire che ci saranno altre convenzioni, vuol dire che c'é stato un cambiamento di intendimenti e di intenzioni da parte della Giunta e quindi chiederemmo un chiarimento.
Detto questo, noi abbiamo delle perplessità circa il prontuario terapeutico regionale che avrebbe l'ambizione di orientare gli operatori sanitari. Indubbiamente un prontuario terapeutico regionale si impone per serietà e perché dovrebbe sconsigliare ed eliminare la dispersione dei sottofarmaci e via di seguito, però pretendere che un prontuario terapeutico sia di orientamento ai medici perché dovrebbe orientare gli operatori sanitari, ci pare un'ambizione un po' velleitaria.
Queste sono le poche cose che volevamo dire, soprattutto sono richieste di chiarimenti e puntualizzazioni di perplessità in ordine al personale paramedico, in ordine a quella che secondo noi è la mancanza di contatto dell'Assessorato con i servizi extra ospedalieri; la scadenza del 1° luglio 1977 ci impone di vedere immediatamente queste realtà per non trovarcele smembrate o addirittura in posizioni inferiori alla presente.
Con queste osservazioni noi sottoponiamo all'attenzione dell'Assessore questi concetti sperando ci possa dare i chiarimenti richiesti.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Carazzoni.



CARAZZONI Nino

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, questo dibattito rappresenta o per meglio dire rappresenterebbe senza dubbio, un'occasione suggestiva ed invitante insieme per un discorso più ampio sulla drammatica situazione sanitaria del nostro Paese, alla cui origine sta quella sciagurata riforma ospedaliera varata dal centro sinistra e vantata e pubblicizzata in tutti i modi, nonostante fosse subito risultata disastrosa e nonostante che il pericolo da essa rappresentato fosse stato rilevato persino, sia pure timidamente, da alcuni settori della maggioranza di un tempo. Una riforma che, come tutte quelle del centro sinistra, come tutte quelle fermamente volute dal Partito socialista e dalla D.C. ogni volta che si è messa in concorrenza con i socialisti, ha risposto sostanzialmente a due soli criteri: la demagogia ed il clientelismo. Tuttavia, si tranquillizzino i colleghi, noi sfuggiremo alla facile tentazione di allargare questo discorso; alla possibilità, cioè, che qui ci viene offerta di ripetere ancora una volta e una volta di più le accuse documentate della nostra parte politica nei confronti della linea sanitaria sino a qui seguita in tutti questi anni, per attenerci invece strettamente a quello che è il tema in discussione, vale a dire l'esame dell'attività svolta dall'Assessorato alla sicurezza sociale e alla sanità.
D'altra parte, ci consenta l'Assessore, tutto quanto noi avremmo potuto dire a commento della politica sanitaria a livello nazionale, e cioè che è una politica confusa, nebulosa, incerta, contraddittoria, velleitaria insieme e demagogica, tutto questo noi crediamo che possa essere benissimo ripetuto anche per la politica sanitaria seguita a livello regionale.
Questo, infatti, è il primo giudizio che ci sentiamo di dare dopo averla ascoltata attentamente oggi e soprattutto dopo avere letto, con molta attenzione, anzi, lo confessiamo, con molto sforzo, la relazione che ci è stata consegnata: che sarà anche, noi vogliamo crederlo, un piccolo capolavoro di programma, ma che a noi, purtroppo, ha detto ben poco in ordine a quanto la Regione si propone di fare, ma non velleitariamente bensì sul piano concreto dei fatti Noi vorremmo dire, per esempio, che è una bella frase ad effetto (ci pare che l'abbia letta prima il Consigliere Beltrami, non sappiamo a quale proposito) dire: "Lo schema generale dei servizi non sarà una struttura formale calata sul territorio, ma procederà invece, secondo il processo concreto-astratto - concreto da un'individuazione dei problemi delle zone attraverso una considerazione delle esperienze informali ad un inquadramento degli stessi problemi in una prospettiva regionale unitaria ad un riaffidamento degli stessi problemi così inquadrati agli organi di partecipazione a livello territoriale" Ci scusi tanto, Assessore, che cosa significa tutto questo? E' un tipo di linguaggio talmente astruso, talmente incomprensibile che noi confessiamo i limiti della nostra interpretazione.
E l'On. Moro,che proprio in questi momenti, e crediamo con concetti non diversamente nebulosi, sta inoltrando innanzi alle Camere il programma del suo "monocolore allo sbando", noi pensiamo che impallidirebbe a leggere una simile prosa e certo avrebbe molto da imparare da questo tipo di esposizione.
Perché diciamo questo? Perché se noi dobbiamo dibattere il problema della sanità, se dobbiamo parlare di sicurezza sociale preferiamo - e crediamo di essere legittimati in questa richiesta - parlare, intervenire su relazioni che siano almeno chiare, almeno significative, almeno concrete. Per cui il non averlo fatto, o l'averlo fatto in questi termini ci porta a concludere che qui si sia imboccata questa strada nel tentativo di mascherare, attraverso una ridondanza di frasi, attraverso una fraseologia così alienante, il sostanziale vuoto di politica sanitaria che caratterizza oggi questo Assessorato.
Ne consegue che allora, come sette giorni fa intervenendo nel dibattito sull'Urbanistica, noi ci permettemmo di dire all'Assessore Astengo di scendere sulla terra, di rinunciare cioè al proposito velleitario di aprire grandi strade per tracciare almeno piccoli sentieri, in sostanza di abbandonare il grandioso progetto di ripartire nell'urbanistica da zero per limitarsi a fare il poco e il concreto che si poteva oggi fare; noi riteniamo di dovere rilanciare questa medesima raccomandazione nei confronti dell'Assessore Enrietti. Perché, appunto, la politica sanitaria è una cosa seria, ma altrettanto seria deve essere (oltre che comprensibile) la programmazione sanitaria.
A noi non sembra che risponda a questi requisiti, per esempio - e veniamo a un esame diretto della relazione sin qui citata - l'enfatica presentazione che viene fatta dei dipartimenti di emergenza che, secondo l'Assessore (lo ha scritto e lo ha ripetuto nell'intervento di oggi) troveranno attuazione pratica nei prossimi mesi.
Parliamone un po', allora, di questi dipartimenti di emergenza. Noi non abbiamo alcuna difficoltà a dire che in teoria il concetto è validissimo ma la domanda è un'altra; la domanda é: ma è veramente convinto l'Assessore, è veramente convinto l'esecutivo in carica che, così come teorizzati, i dipartimenti di primo e di secondo livello possano realizzarsi? Noi abbiamo una modestissima esperienza da citare, ma la mettiamo ben volentieri a disposizione dei colleghi e dell'Assessore. Abbiamo l'esperienza dell'ospedale della nostra città, ovviamente quello che conosciamo meglio, l'Ospedale di Verbania.
Allora diciamo che nell'ipotesi che si volesse realizzare un dipartimento di emergenza e di accettazione di primo livello all'Ospedale di Verbania, città di 30.000 abitanti, bisognerebbe avere un nucleo di pronto intervento operante 24 ore su 24 e formato, per turni di otto ore da: un aiuto o assistente di medicina; un aiuto o assistente di chirurgia un aiuto o assistente di anestesia e rianimazione; un'ostetrica; un tecnico di laboratorio; un tecnico di radiologia; una infermiera professionale un'infermiera professionale di anestesia e rianimazione; tre infermiere generiche; una centralinista; tre ambulanze con relativo personale; un nucleo di guardia divisionale presente 24 ore su 24, cioè: un aiuto o assistente di ostetricia e ginecologia; un aiuto o assistente di ortotraumatologia; un aiuto o assistente di cardiologia. Inoltre: un nucleo di pronta disponibilità, sempre a turni di 24 ore, cioè: un primario o aiuto o assistente di medicina; un primario o aiuto o assistente di chirurgia; un primario o aiuto o assistente di ostetricia e ginecologia; un primario o aiuto o assistente di pediatria; un primario o aiuto o assistente cardiologo; un primario o aiuto o assistente di anestesia e rianimazione; un primario o aiuto o assistente di laboratorio un'infermiera professionale strumentista; un'infermiera professionale anestesista; un'infermiera generica di sala operatoria; una segretaria.
Noi chiediamo scusa per avere tediato i colleghi con questa piuttosto lunga elencazione, ma ci sembrava opportuno dire tutto questo per sottolineare ed è qui che divergono poi le nostre impostazioni - che si possono fare delle bellissime costruzioni teoriche, ma quando poi si va ad affrontare quella che è la realtà pratica, la realtà concreta, una realtà che tiene conto (citiamo sempre l'esempio prima riferito) che all'Ospedale di Verbania servirebbero, per attuare il dipartimento di emergenza e di accettazione di primo livello qualcosa come 60 medici in più, ci rendiamo immediatamente consapevoli che siamo alle costruzioni teoriche e quindi alle costruzioni demagogiche che non hanno alcuna rispondenza con quella che è la realtà di fatto.
Così come, per riprendere il filo del discorso, noi non riteniamo neanche serio - ed è più politico questo concetto - introdurre, come lei Assessore ha fatto nella sua relazione, questa abnorme definizione di ospedale che, come lei esattamente cita "dovrebbe essere uno strumento operativo di tutela della salute in una particolare fase del momento di diagnosi, cura e riabilitazione, però uno strumento certamente non unico né da stimare quale asse portante di una completa organizzazione sanitaria".
Noi crediamo di intuire anche le ragioni politiche (che non condividiamo) che stanno a monte di questa definizione, ma perché l'abbiamo definita abnorme? Perché questo concetto che si vuole di soppiatto introdurre, urta contro quello che ormai è un dato di fatto acquisito accettato generalmente in tutto il mondo occidentale e cioè che l'ospedale è e deve rimanere il pilastro portante dell'assistenza sanitaria. Questa è una cosa di fondo.
L'ospedale come noi lo intendiamo oggi, e come soprattutto pensiamo che dovrebbe diventare in un domani per migliorare la situazione sanitaria è questo.
L'organizzazione mondiale della sanità dà dell'ospedale la seguente definizione: "l'elemento di una organizzazione di carattere medico e sociale che ha la funzione di assicurare alla popolazione un'assistenza sanitaria completa, curativa e preventiva e di cui i servizi esterni si irradiano fino alle cellule familiari considerate nel loro ambiente".
Questa ci sembra essere una definizione chiarissima, che non lascia spazio ad altre distorte interpretazioni, che soprattutto non lascia spazio a quello che è un disegno, che va contrastato proprio sul piano politico di ridimensionare, di ridurre quelle che sono le prerogative, che tali devono restare, dell' ospedale definito prima il pilastro portante del sistema sanitario italiano.
Per tornare ancora alla relazione, se ci è sembrata essere - e lo abbiamo detto - molto demagogica in queste parti accennate, dobbiamo altresì aggiungere che ci lascia delle perplessità perché ci sembra essere equivoca su altri punti. Così, ad esempio, in ordine a quella che è l'applicazione dell'art. 43 della legge 132 del 1968. Lei, Assessore, ne ha fatto una vivace difesa qui in aula oggi pomeriggio ed effettivamente noi dobbiamo dare atto che così come da lei prospettata la situazione potrebbe anche dal nostro punto di vista essere accettabile, perché è vero che qui si è voluto evitare lo scontro frontale, si è voluta evitare la estremizzazione del problema, ma a questo punto lei ne dà una giustificazione alquanto ambigua e alquanto equivoca. Dice che in sostanza la legge verrà applicata, non si rinuncia al principio di applicazione della legge, ma lo si farà, questo, gradualmente, e tenendo conto di quella che è la realtà di fatto.
Ora, la realtà di fatto porterebbe ad un'altra conclusione se volessimo stare sul concreto e uscire dall'equivoco: porterebbe a prendere atto che i sette anni famosi sono trascorsi senza che da parte di chi di dovere si provvedesse alle strutture ospedaliere, in mancanza delle quali la soluzione da lei indicata diventa semplicemente una soluzione all'italiana abborracciata, perché o siamo nelle condizioni di farla applicare questa legge, oppure prendiamo atto di non essere in condizioni di farla applicare, ma allora diventa molto più logico, molto più coerente soprattutto molto più chiaro aderire, per esempio, a quella che è anche un'impostazione della nostra politica che al riguardo si è fatta premura di presentare una specifica proposta di legge a livello parlamentare, cioè aderire alla richiesta di slittamento di almeno un anno della legge stessa.
Ugualmente equivoca ci sembra essere la dichiarazione sulla questione del tempo pieno. Che cosa esattamente significa tempo pieno è una cosa che noi non siamo riusciti a comprendere molto bene, ma soprattutto vorremmo sapere quali concreti provvedimenti la Regione potrà attuare perché questa norma sia rispettata.
Qui bisogna mettersi bene in testa che se non si vuole fare della vuota demagogia, è assolutamente da riconoscere in via prioritaria che quella del medico non è una professione da catena di montaggio, non è quindi che la Regione possa ad un certo momento dire al sanitario: tu devi restare in ospedale otto ore su otto perché cosi io ti comando di fare. In via prioritaria il medico deve avere tutt'altra considerazione, il medico opera quando si sente di operare, ci sarà il giorno in cui non si sente e quindi è del tutto assurdo o ancorché demagogico il volere restare ancorati a questo principio.
Ma poi in sottordine, scontato che la Regione abbia il diritto-dovere di controllarne l'attività, le strutture sanitarie, in oggi, sono tali da potere consentire a questo medico, così come vorrebbe la legge, l'attività didattica, l'attività di ricerca, l'attività di sperimentazione? Anche qui in teoria possiamo accettare tutto questo se nella realtà pratica avessimo sul serio gli ospedali dotati di biblioteche, di laboratori di analisi o altro; allora diventa credibile, altrimenti stiamo a fare soltanto della demagogia.
E ancora un'annotazione, l'ultima che ci siamo appuntati e che si riferisce agli intendimenti che la Regione ha quanto al settore farmaceutico.
Noi siamo d'accordo con lei che oggi siamo arrivati ad una fase consumistica dell'uso dei farmaci e siamo altresì d'accordo che sarebbe opportuno provvedere alla rieducazione dell' utente, perché si eviti appunto questo abnorme sviluppo consumistico; ma quando poi, come proposta concreta, ci viene portata avanti l'idea del prontuario terapeutico regionale, ci domandiamo se qui non si voglia ritornare al famoso librone dell'INAM contro il quale i sindacati si sono schierati, sollevando polemiche e argomentando in una linea di posizione che fu nettamente contraria? Noi non pensiamo che la Regione oggi voglia ripetere un esperimento del genere; ma se allora non si vuole ripetere un esperimento del genere, che cosa si intende esattamente per "prontuario farmaceutico"? E quali possibilità concrete ha la Regione, anche qui? Signor Assessore, colleghi, queste sono le annotazioni che abbiamo ritenuto di dovere fare cosi, spulciando qua e là tra i passi della relazione Enrietti, una relazione - lo abbiamo già detto - che nella valutazione nostra è confusa, è demagogica, è ambigua, è velleitaria, è cioè l'espressione di una politica, anzi, di un'intenzione politica più che di una politica, che sembra a noi essere altrettanto confusa, altrettanto demagogica, altrettanto ambigua, altrettanto velleitaria ed alla quale pertanto, non può andare che la più severa critica da parte del gruppo della Destra Nazionale.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Ferrero.



FERRERO Giovanni

Data l'ora tarda non mi è possibile intervenire su tutti gli argomenti qui sollevati, anche perché la relazione verbale dell'Assessore Enrietti è stata più ampia ancora della traccia distribuita la volta passata. Mi sembra - e questa forse è una difficoltà mia personale - non siano del tutto chiare le alternative proposte all'impostazione programmatica della Giunta e in quale modo si debba, da parte del Gruppo comunista, tenere conto dei suggerimenti e delle indicazioni nelle scelte da effettuare.
Concordo con il Consigliere Beltrami nell' affermare che già molto si è discusso su questi argomenti (é sufficiente rivedere le argomentazioni svolte nel precedente Consiglio regionale), perciò cercherò di evitare ripetizioni.
In questi giorni (scusate la digressione) rileggendo un libro che molti Consiglieri conosceranno, mi ha colpito in modo particolare una frase: "Quando l'Angelo ruppe il quarto sigillo - dice il libro - apparve un cavallo pallido, verdastro e chi gli stava sopra aveva nome Morte; gli era compagno l'inferno per inghiottire i cadaveri e gli fu dato il potere su un quarto della terra di menar strage con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della terra".
Al di là della discussione sulla validità o meno del significato storico o trascendente del testo in questione, vorrei fare rilevare come alcune indicazioni in materia di sanità siano state lucidamente espresse duemila anni or sono. Analizzando le cause prioritarie di malattia e di morte in esso contenute, trovate le cause di traumatismo indotte dagli uomini che si sono trasformate nel tempo - e speriamo continui così - dalle guerre fatte con la spada, in incidenti automobilistici, in incidenti sul lavoro, in una serie di altre cause prodotte dall'uomo e sempre crescenti.
Trovate gli incidenti naturali, non più causati dalle bestie feroci certamente, ma dal rapporto dell'uomo con la natura; la fame, connessa a meccanismi economici estremamente diffusi, che oggi ha nel mondo e anche in Italia ed in Piemonte delle radici non del tutto scomparse; le epidemie cioè fenomeni incontrollati che nascono dal modo in cui è organizzata la società, civile.
Penso sia stato possibile scrivere tanti anni fa queste parole perch chi le scriveva, in contrasto con l'allora pensiero dominante, aveva introdotto un grande rivolgimento affermando l' uguaglianza degli uomini rifiutando una cosa che in quel periodo era invece largamente diffusa ossia la distinzione tra liberi e schiavi, una stratificazione sociale ingiusta ed oligarchica.
Questa è la ragione di fondo che permetteva di cogliere, già allora, il carattere non individuale, ma in genere sociale e collettivo della malattia e della morte per gli uomini.
Io penso quindi che non ci sia alcuna vergogna nel dire che la maggioranza attuale si muove applicando idee già emerse in passato. Inoltre il Partito comunista ha contribuito a definire le impostazioni che sono emerse, e non solo all'interno di questo Consiglio. Perché non si tratta di affermare dei principi, come qui è stato detto, ma di attuare in modo concreto delle iniziative che siano in grado di sconfiggere o di modificare almeno la gravità di questi fenomeni.
Quindi lo sforzo fondamentale, in questa fase della discussione, è di concentrarci sul modo di concretizzare le cose che vogliamo fare e le priorità che vogliamo affermare.
Oggi quelle cause di morte e di malattia possano essere affrontate nel nostro Paese, in un modo che è qualitativamente diverso dal passato, legato alla possibilità di partecipazione offerta dalla trasformazione degli organismi istituzionali e dai momenti di organizzazione che sono andati avanti, tra la gente. Questo è lo strumento decisivo che permette di affrontare e di risolvere, al di là di aumenti della spesa nel settore sanitario che noi comunisti deprechiamo, (il raddoppio della spesa in circa due anni e mezzo è una cosa insostenibile per qualunque paese) il difficile compito di riqualificare la spesa e di migliorare la qualità dei servizi sociali e sanitari.
La partecipazione e le forme nuove di organizzazione della struttura sanitaria oggi possibili (non voglio qui fare la storia del trasformarsi degli ospedali da Opere Pie a Enti pubblici via via integrati in un piano generale di coordinamento) permettono oggi di superare, almeno in parte quel senso di ineluttabilità che era contenuto nella citazione iniziale.
Per il nostro gruppo politico è possibile, analizzando i processi reali di tipo produttivo, sociale e culturale in corso nella nostra società ricavare delle indicazioni sulla base delle quali rendere concreto, cioè attuabile, il problema più generale di alleviare le sofferenze dell'uomo.
Inoltre le indicazioni fornite dall'Assessore Enrietti sono in larga parte concordanti con una bozza di legge unitaria che a livello nazionale i partiti avevano approvato nel Comitato ristretto della Camera, dopo il 15 giugno, in modo molto rapido. Su alcuni articoli noi avevamo delle perplessità, ma sui problemi di fondo delle competenze delle Regioni, della funzione degli ospedali e delle unità sanitarie locali, sulle questioni del rapporto fra prevenzione e terapia non vi erano più incertezze.
Io non vorrei cogliere in alcune obiezioni sollevate un elemento di sfasatura e di discrepanza tra quello che viene sostenuto nazionalmente e che si è concretizzato in un testo scritto, e le indicazioni che invece possono emergere in sede regionale.
L'argomento dal quale parte il ragionamento dell'Assessore è quale debba essere l'uso dei dati, delle informazioni, della conoscenza in materia sociale e sanitaria per definire l'organizzazione dei servizi.
Perché esiste un modo di usare i dati, in genere è questo quello propagandato come più realistico, senza individuare e filtrare le distorsioni esistenti.
Il partire, mi si permetta, dai presidi ospedalieri esistenti, nello stesso momento in cui si afferma che i presidi ospedalieri non sono distribuiti sul territorio in modo corretto e appare come il rapporto tra medicina e chirurgia, tra varie specialità, non è equiparabile a standards moderni, è una contraddizione grave, è in realtà un modo per rendere forte e marcata la presenza e il peso nella ristrutturazione e nella riforma del sistema sanitario di quelle distorsioni che si vogliono eliminare.
E' invece indispensabile tenere conto con estremo realismo di questi dati. E non penso si tratti di fare questioni di documentazione; tutti conosciamo il lavoro che è stato presentato nel Consiglio regionale passato dall'Assessore Armella, e la cartina della dislocazione degli ospedali e delle strutture sanitarie penso fosse presente anche a chi ha esteso la proposta di zonizzazione. Il problema è quello di individuare, in questa situazione estremamente complessa, quali fili si vogliono tirare per accelerare il processo di trasformazione. Con riferimento alle discussioni tenutesi in Consiglio sull'urbanistica e sull'assetto del territorio, un primo filo sia quello del comprensorio, quello della congruenza della zonizzazione sanitaria e dell'impostazione dei servizi con la logica dei comprensori; non voglio dire solo con i confini perché questo potrebbe sembrare un discorso soltanto sulla carta, dico con la logica, cioè con tutto quel processo (che non sto qui a richiamare perché molti di voi lo hanno vissuto, io l'ho solo conosciuto di riflesso) di definizione di aree ecologiche, di criteri di sviluppo, di comprensione e di interpretazione della realtà piemontese.
Questo mi sembra un primo punto. Un secondo punto che in Piemonte è ineliminabile è in quale conto il Consiglio Regionale e la Giunta debbano tenere le proposte espresse dal movimento operaio organizzato e dai lavoratori in generale, espresse, per quello che riguarda Torino, dai Comitati di Quartiere e da altre forme di organizzazione non solo di sinistra. Non è una questione di schieramenti, è una questione di forme nuove di organizzazione nei confronti delle quali noi dobbiamo avere un atteggiamento serio sulla forma, e anche sui contenuti, cioè sulle cose proposte.
Questi due punti, che si potrebbero poi appoggiare con cartine, e con cifre, sono da tenere in conto.
Vorrei solo citare un parere: secondo il piano ospedaliero della Regione Lombardia il numero di posti letto del Piemonte non è sostanzialmente carente. Si può discutere se certi reparti geriatrici siano stati gonfiati oppure no, se vadano inclusi oppure no altri reparti specialistici, ma in sostanza le carenze nella disponibilità di posti letto derivano da una cattiva utilizzazione dell'edilizia e del personale esistente.
In questa situazione con quali criteri può avvenire la riorganizzazione degli ospedali, affinché, al di là delle distinzioni di partito, i vari partiti mantengano nel Consiglio, nelle Province e nei Consigli di amministrazione degli ospedali lo stesso tipo di posizione? Perché è frequente la richiesta, a volte con alcune punte strumentali nei confronti della Giunta, di un ampliamento indiscriminato della propria struttura e all'interno di questa, dell'ampliamento indiscriminato del proprio reparto di divisione, utilizzando delle ragioni pur legittime: le ragioni degli ammalati che attendono.
Questo tipo di pressione, che ha un fondamento, come può essere correttamente interpretata da un organismo politico se non attraverso la riproposizione di principi generali di coordinamento, attraverso un meccanismo di priorità e non soltanto attraverso la riproposizione della situazione così come essa é? Questo processo è quello utilizzato per la definizione dei comprensori e non sto ulteriormente ad illustrarlo.
Il richiamo all'ottica di un nuovo assetto istituzionale e territoriale, all'ottica del comprensorio, non è formale; intanto perch non si considerano soltanto le strutture ospedaliere, ma il complesso di presidi che si occupano di sanità. Voi saprete che su certe materie sono competenti lo Stato, la Regione, la Provincia e i Comuni, si tratta quindi di mettere in moto un processo di coordinamento tra Enti che hanno finalità a volte simili, a volte addirittura non hanno più le finalità istituzionali (anche se magari di grande valore permane la loro attività) che sono dirette da Enti differenti. Di qui la necessità di un inquadramento unitario. Non esiste soltanto la diagnosi radiografica fatta all'interno di un ospedale, della stessa qualità é, o dovrebbe esserlo, la diagnosi fatta sullo stesso paziente in un poliambulatorio dell'INAM, al Consorzio provinciale antitubercolare e in molte altre sedi oggi esistenti.
L'unità nella gestione e nell'individuazione dei programmi è quindi una definizione dei criteri anche di organizzazione di queste unità, da affiancare al decentramento dei servizi e alla partecipazione degli utenti e del personale, non sono cose astratte ma orientano le scelte di bilancio della Regione.
Da questi principi generali deriva che i servizi a cui la zonizzazione si riferisce non devono essere soltanto di tipo sanitario. Con riferimento ai comprensori, si individua una stretta integrazione tra il servizio sanitario, il servizio assistenziale e una serie di altri servizi, quali la scuola, i trasporti, ecc.
Inoltre la prevenzione non è soltanto medicina preventiva, non è soltanto un rapporto individuale tra medico e paziente, ma è un fatto generale di organizzazione del territorio, dei servizi, delle strutture produttive, ecc. Questo è un altro criterio che mi sembra non secondario per la Regione nel legiferare.
Da questi nodi politici derivano poi le priorità, che sono i consultori con una certa impostazione (di questo discuteremo in altre sedi), le iniziative di coordinamento dei presidi attuali, le unità di base per quel che riguarda la salute dei lavoratori, i dipartimenti di emergenza. A questo riguardo le circolari interpretative, i criteri che mi sono stati fatti vedere hanno una connotazione seria, non di rigonfiamento degli organici, ma di distribuzione sul territorio di un servizio indispensabile e (tra l'altro anche qui in applicazione dell'allegato "e" del contratto nazionale del personale sanitario) di ristrutturazione anche all'interno dell'ospedale, attraverso il modo di ammissione dei pazienti. Il potenziamento dei poliambulatori e delle strutture decentrate ordinarie e di pronto intervento, è una scelta conseguente.
Per gli ospedali mi pare vengano individuati dei criteri che sono quelli di un'impostazione non aziendalistica, che sono quelli di una zonizzazione, di un piano (e mi auguro che le altre forze politiche vorranno contribuire a definirlo) per l'edificazione di nuovi ospedali, per la ristrutturazione di quelli esistenti, per il riequilibrio-meccanismo complesso e lungo - tra ospedali vicini, magari con nuove suddivisioni di compiti.
Vorrei ora tentare di concretizzare, forse in modo non sufficientemente meditato, alcune questioni alla luce dell'impostazione generale fin qui espressa.
Cominciamo da un settore di grande attualità: la medicina nucleare, la terapia dei tumori con mezzi raggianti, il cobalto, acceleratori betatroni. Io vorrei localizzare la vostra attenzione su due aspetti di un certo rilievo: il primo riguarda i piani di terapia, cioè il problema di individualizzare per il singolo paziente il modo di utilizzare la macchina problema complesso, che richiede l'ausilio di calcoli abbastanza sofisticati, al di là di un certo numero di terapie standards oggi praticate.
Cominciamo con un censimento in Piemonte delle apparecchiature di irraggiamento non corredate di strumenti sufficientemente sofisticati, di dosaggio e di controllo. Proviamo a vedere rispetto a standards di altri Paesi il numero di queste apparecchiature e poi valutiamo qual è lo stato di pressione della popolazione per accedere ad un servizio perché a volte non si riesce neppure ad accedervi.



BELTRAMI Vittorio

All'oftalmico c'è una bomba al cobalto che copre il 10 % del fabbisogno; ci sono altri ospedali che ne avrebbero bisogno e non sono in grado di averla.



FERRERO Giovanni

Questo però conferma l'indicazione di prima. Mi sembra preoccupante il costruire la zonizzazione di Torino attorno all'esistenza in quell'ospedale di quella bomba al cobalto. Ciò non significa che debba essere spostata: però è un discorso che non riguarda strettamente il Consiglio nella sua applicazione tecnica. La Regione può e deve assumere delle iniziative di coordinamento per quello che riguarda in particolare i piani di terapia.
Il secondo aspetto ad esso collegato, riguardante gli operatori sanitari, ma non solo loro, va sotto il nome di "protezionistica". La normativa e le precauzioni da adottare in questo settore devono essere assai accurate. Basti pensare che un ago di radium emette radiazioni con vita media di millenni: quella polvere è in grado, per qualche decina di generazioni, di mantenere la sua pericolosità.
"Protezionistica" vuol dire controllo delle piastrine, oggi effettuato da Enti diversi e nei modi più disparati: si ottengono risultati soddisfacenti solo grazie alla buona volontà degli operatori. Vi sono aspetti altrettanto delicati della questione che riguardano i cittadini non ospedalizzati; non per nulla vi è una normativa la quale stabilisce il quantitativo massimo di sostanza radioattiva che può essere immessa negli scarichi.
Vorrei far rilevare, senza intenti polemici, che informazioni del genere (quali debbano essere i criteri standards per i protocolli di terapia, o per seguire il decorso dei pazienti dopo l'intervento, o per adeguare la cura a dati reali) possano venire, in una logica di programmazione, coordinate dalla Regione.
Il tracciato delle fognature nelle città in cui vi sono più ospedali è un parametro da non trascurare, perché nello stesso canale possono immettersi sostanze pericolose il cui effetto si somma.
Al di fuori di un servizio integrato in una rete regionale capace di tener conto dell'insieme di considerazioni - tra le quali quelle appena accennate sono una piccola parte - atte a garantire la soddisfazione dell'utenza, tutto si ridurrebbe a stabilire se assegnare o no qualche macchinario.
Ricordo ad esempio l'esistenza di un collegamento tra i piani di terapia e le indicazioni fornite dal Presidente della Giunta questa mattina sul Consorzio per il trattamento automatico dell'informazione. La possibilità di procedere gradualmente verso delle standardizzazioni è infatti legata a una fase iniziale, anche se temporanea, di centralizzazione delle procedure. Ci si può avvalere del contributo degli stessi operatori interessati formalizzando una Commissione che raggiunga un accordo tecnico. Si può così superare la fase attuale dove le singole istanze, premendo in modo scoordinato, provocano un pesante aumento della spesa.
Un altro esempio: il prontuario farmaceutico. Si tratta di definire non un prontuario di 20.000 farmaci, ma di 500 farmaci (questo è l'ordine di grandezza, non importano le centinaia). Si tratta di organizzare le farmacie degli ospedali non come se fossero dei magazzini di bulloni con scritto il numero di catalogo del prodotto, ma in modo tale da potersi riferire ai principi attivi dei prodotti. Il riferimento ai principi attivi permette un altro tipo di rapporto con le Case farmaceutiche, ma permette anche un altro tipo di rapporto con i medici e con i malati. Il prontuario farmaceutico, quindi, non è un modo per insegnare a somministrare la Cibalgina, è un modo per compiere una scelta ragionata dei principi attivi isolando sulla base della scienza medica, quelli meno idonei ma pure in circolazione e di responsabilizzare maggiormente, di dare maggiori autonomie al personale sanitario. Si tratta di seguire questo prontuario farmaceutico nei mesi e negli anni, creando una Commissione in grado di raccogliere le indicazioni del personale delle farmacie, dei capi di farmacia, dei medici che usano i farmaci e capace di accettarle o respingerle sulla base di proposte motivate; bisogna mettere in moto un meccanismo di contatto e di rapporto con gli operatori che oggi non esiste in Piemonte, nell'interesse degli ammalati.
Ciò non è impossibile, è sufficiente parlare con persone che abbiano competenza in questo campo e con amministratori di altre Regioni che al di là del colore politico l'hanno già fatto, per rendersi conto di come questo intervento faccia parte di un processo di riorganizzazione ospedaliera.
Vorrei ancora fare un ultimo esempio, emerso anche dagli altri interventi.
In genere si è soliti contrapporre la cura alla prevenzione. Allora io vorrei fare innanzi tutto presente al Consiglio (anche questi sono dati rilevabili dalla documentazione già raccolta) come il grosso della spesa è assorbita dalla diagnosi e che una parte della spesa, una parte in genere modesta, è concentrata sui problemi della terapia. Ci sono casi drammatici che tutti voi conoscete: altre Amministrazioni del Piemonte hanno raccolto tanti dati su tanti bambini e poi sono passati gli anni prima che questi ragazzi facciano anche un minimo di ginnastica correttiva. L'azione preventiva agisce sullo stato di salute, per mantenerlo, mentre la diagnosi, di per sé, non produce alcun effetto. Questa mi pare la distorsione fondamentale, non tutta derivante da scelte politiche.
Da queste considerazioni scaturisce un'iniziativa democraticamente gestibile, decentrata sul territorio e con un livello culturale e scientifico adeguato alla possibilità oggi offerta dalla cultura e dalla scienza.
La Regione Piemonte ha individuato nelle unità di base per la salute dei lavoratori uno dei punti prioritari ed ha anche dato un'interpretazione precisa a questa dizione sostenendo che non erano strutture per raccogliere sangue, urina, lastre e quanto necessario per corredare ogni lavoratore di una lunga sequela di numeri, ma era invece indispensabile partire da una rilevazione delle condizioni di lavoro e da questa fare una scelta dei rischi possibili e quindi finalizzare l'intervento diagnostico e poi terapeutico e, ove necessario, di tipo più raffinato, solo sugli esposti a rischio. Mi sembrano evidenti anche gli ordini di grandezza dei costi dei due tipi di rilevazioni: con i fondi disponibili si può ottenere un beneficio molto più esteso. Questo modo di procedere può essere ulteriormente utilizzato, a partire dalle unità di base. In che modo? Oggi esiste un problema molto grave che ha sostituito la peste di cui parlavo all'inizio ed è quello delle neoplasie, dei tumori. E' un meccanismo drammatico, i dati ne dimostrano lo sviluppo progressivo. Senza dubbio il fumo della sigaretta è un contributo molto più grave, non è facile dire se ai tumori, ma certo al monossido di carbonio nel sangue, di quanto non sia lo scarico delle automobili. Però è anche vero che la larga maggioranza degli inquinamenti prodotti è di fonte industriale: in certe zone del nostro Paese si arriva al 90% . In genere sono zone con alta densità produttiva, come è facilmente rilevabile; il consumo di energia e alcuni indicatori molto semplici ne danno ragione. Pensiamo a come si è modificato il clima di Torino.
E' un problema di tipo sanitario molto delicato che deve vedere la partecipazione dei lavoratori, ma anche delle forze politiche alla definizione di modi di intervento non lesivi per lo sviluppo dell'industria, cioè che non abbiano come obiettivo quello dell'eliminazione della produzione industriale, ma nello stesso tempo in grado di permettere all'Ente pubblico di intervenire su quei processi e non soltanto di subire passivamente le scelte altrui.
Di qui nascono due tipi di considerazioni: il primo è che molta parte della legislazione regionale in questa materia è rigida, fissa delle percentuali; si tratta invece di valutare l'effetto molto più complesso degli inquinamenti sul territorio. Per conseguire risultati non è pensabile un meccanismo centralizzato o un meccanismo che parta dagli ospedali, ma è indispensabile una collaborazione attiva con tutte le forze sociali, una mobilitazione dei Comuni e quindi l'attribuzione ai Comuni e non ai presidi ospedalieri di certe funzioni in materia di sanità. Altrimenti non sarà mai possibile conoscere quali sono gli insediamenti industriali distribuiti sul territorio, come si modificano nel tempo e quali sono i problemi che comportano.
La capacità di cogliere non soltanto delle percentuali massime accettabili, ma dei criteri, delle procedure più complesse di interazione tra insediamenti produttivi e ambiente, deve essere coordinata dalla Regione; e questo non è un compito da delegare a un singolo reparto, a una singola struttura sanitaria. Le implicazioni nei campi della politica industriale, del territorio, dell'agricoltura di scelte di questo genere sono così ampie da richiedere un intervento coordinato dalla Regione come organismo di programmazione. E quindi la Regione deve anche predisporre una raccolta di altri dati e di altre informazioni per approntarsi ad affrontare queste scelte. Si tratta di collegare all'interno di un discorso di piano, la rilevazione dei dati con l'interpretazione degli stessi sulla base di criteri e di modelli che sono innanzi tutto politici, quali la disincentivazione dello sviluppo nell'area metropolitana torinese; criteri che qui sono già stati più volte espressi dal Gruppo comunista e dalla Giunta.
Ritengo che, ove le proposte emerse non siano in grado di rappresentare una risposta corretta alle esigenze socio-sanitarie della popolazione, se quindi quel tipo di modello, di impostazione generale della ristrutturazione della sanità ha gravi lacune, bisogna allora trovare altre risposte e soluzioni che siano accettabili innanzi tutto dagli operatori del settore. Che non ripropongano una Regione burocratica e amministrativa che non presentino il volto della Regione soltanto come organismo di consultazioni formali, ma presentino delle ipotesi, delle scelte attorno alle quali sia possibile chiedere un impegno, un dibattito.
Il coordinamento delle varie strutture, il reperimento di indicatori validi, seri per una politica di programmazione può partire dai principi esposti.
Altri criteri, altri - io li chiamo "indicatori" - per una programmazione esistono sicuramente, devono però essere esplicitati, e non possono essere la difesa di quanto oggi esiste.



PRESIDENTE

Signori Consiglieri, credo che non ci sia bisogno di fare degli sforzi di fantasia per avvertire che il livello del dibattito che abbiamo vissuto in questo scorcio di seduta, con la relazione e con gli interventi che si sono susseguitimi finora, meritino una conclusione adeguata. Abbiamo appena adesso sentito la voce di un giovane che ha il senso della storia e la concretezza della scienza e anche la capacità di farsi ascoltare, mi pare di poter salutare questa voce giovane del Consiglio Regionale come un apporto di cui tutti quanti noi potremo, credo, usufruire.
La mia proposta è quindi di fare in modo che questo dibattito si concluda non questa sera, ma la prossima seduta. Vedo dei nomi ancora iscritti per cui c'é la garanzia che anche la conclusione del dibattito sia a livello dell'esordio, anzi, mi permetterò di fare la proposta ai Capigruppo che questo dibattito sia sollecitamente stampato, pubblicato e diffuso perché credo che sia la prima occasione che abbiamo di un confronto di opinioni su questi temi di cui possono usufruire credo tutte le forze politiche e sociali regionali.
Proporrei quindi di concludere questa sera la seduta così.


Argomento: Tutela dell'ambiente - Inquinamenti: argomenti non sopra specificati

Ratifica deliberazioni Giunta regionale


PRESIDENTE

C'é però una questione che desidererei porre alla vostra attenzione ed è l'opportunità di ratificare le delibere che la Giunta ha assunto con i poteri del Consiglio, se non vi fossero obiezioni e se ci fosse ancora il numero legale. E' questione di un minuto: sono i comunicati che vi abbiamo mandato con telegramma ieri sera.
Se non vi sono obiezioni leggo rapidamente il testo del titolo delle delibere e si vota per alzata di mano.
"Deliberazione n. 511/Q in data 20/9/1975 del Comitato generale Presidente e Commissari Consorzi di bonifica montana, ecc. 'Provvedimenti riguardanti il personale. Rientro e trasferimento alla sede di Torino'.
Annullamento per vizio di legittimità".
Chi è d'accordo alzi la mano.
E' approvata.
"Deliberazione n. 511/A del 20/9/1975 del Comitato generale Presidenti e Commissari Consorzi bonifica montana, ecc. 'Provvedimenti riguardanti il personale. Direzione ufficio raggruppato'. Annullamento per vizio di legittimità".
E' approvata.
"Deliberazione n. 511/M in data 20/9/75 del Comitato generale Presidenti e Commissari Consorzi bonifica montana, ecc. 'Provvedimenti riguardanti il personale: CCNL 24/7/1975 in vigore dall'1/7/1975.
Applicazione automatica nuovo trattamento economico dall'1/1/75 al 30/9/75 e relativo conguaglio'. Annullamento per vizio di legittimità".
La parola al Consigliere Bianchi.



BIANCHI Adriano

Chiedo al Presidente e al Consiglio pochi secondi. Colgo l'occasione per segnalare un fatto molto grave e cioè che gruppi di dipendenti dei Consorzi di bonifica montana, tutelando dei diritti che probabilmente sono seri e validi, ma con modalità molto preoccupanti, hanno proceduto ad azioni di sequestro conservativo su somme di pertinenza delle Comunità montane per cui le Comunità montane ancora prima di cominciare a funzionare sono già nelle grane perché non possono pagare le imprese che avevano diritto di ottenere gli acconti alle scadenze.
Poiché siamo in materia è una specie di intervento-interrogazione verbale al Presidente della Giunta affinché ci facciamo carico di sgravare rapidamente, anche con provvedimenti di carattere legislativo, le Comunità montane da un onere che non possiamo riversare con decisioni di questo genere su enti che sono appena sorti.



PRESIDENTE

La parola al Presidente della Giunta.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

La Giunta è a conoscenza di questo fatto accaduto ad Alessandria, ma non può costituirsi in quanto sono succedute alle bonifiche montane le Comunità montane.



BIANCHI Adriano

C'è una nostra legge.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Noi conosciamo tutta la storia, è inutile stare a ripeterla, lei sa Consigliere, che la Giunta ha impugnato ogni decisione precedente da parte delle Comunità per il personale, e questo stesso personale invece ha ritenuto di andare a sequestrare delle somme depositate e già di pertinenza ormai delle Comunità montane. Quindi spetta alle Comunità procedere alla loro difesa, però la Giunta ha già proceduto ai necessari accertamenti e in conseguenza si comporterà. Però dobbiamo rimediare su certi Enti che vengono soppressi senza una attenzione particolare alle situazioni precedenti.
Questo è un dato che ci farà riflettere per l'avvenire.



PRESIDENTE

Siamo in sede di votazione della delibera che ho già letto.
E' approvata.
Sono stati recapitati degli ordini del giorno firmati dalle diverse forze politiche che riguardano gli scandali recenti, credo che la questione potrà essere oggetto di esame dei Capigruppo per iscriverla all'ordine del giorno.
Prego dare lettura delle interrogazioni ed interpellanze intervenute all'Ufficio di Presidenza.


Argomento:

Ratifica deliberazioni Giunta regionale

Argomento:

Interrogazioni, interpellanza ed ordine del giorno (annuncio)


FABBRIS Pierina, Consigliere Segretario

Interrogazione del Consigliere Picco in merito alla partecipazione azionaria alla S.p.A. SAMIA.
Interrogazione con richiesta di risposta scritta del Consigliere Picco per conoscere le ragioni del ritardo dell'approvazione della variante 14 al Piano regolatore di Torino.
Interrogazione dei Consiglieri Robaldo e Gandolfi sulle iniziative regionali per promuovere e incentivare lo sviluppo turistico-ricettivo del Piemonte.
Interrogazione del Consigliere Cerchio sull' opportunità di rivedere l'ipotesi dei dipartimenti d'emergenza che vedrebbe escluso dal provvedimento l'ospedale di Chieri.
Interpellanza del Consigliere Gandolfi sull'ipotesi di insediamento di centrali nucleari nell' area di Trino.
Ordine del giorno dei Consiglieri Robaldo, Gandolfi, Calsolaro, Benzi e Bianchi in merito ai recenti scandali e casi di corruzione che sembrano coinvolgere uomini politici e gettare discredito sulle istituzioni democratiche del Paese.



PRESIDENTE

Il Consiglio è convocato per giovedì ed i punti all'ordine del giorno saranno comunicati per lettera.
Per domani alle ore 11 sono convocate le I, II e VIII Commissione per i comprensori.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 19)



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