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Dettaglio seduta n.301 del 20/12/79 - Legislatura n. II - Sedute dal 16 giugno 1975 al 8 giugno 1980

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SANLORENZO


Argomento: Bilanci preventivi

Esame progetto di legge n. 481: "Bilancio di previsione per l'anno 1980"


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Prosegue l'esame dell'ordine del giorno della seduta del 19 dicembre con la discussione sul punto sesto: Esame progetto di legge n. 481 "Bilancio di previsione per l'anno 1980".
La parola al relatore, Consigliere Rossotto.



ROSSOTTO Carlo Felice, relatore

L'esame del bilancio preventivo per il 1980 avviene con tempestività evitando l'esercizio provvisorio al quale si era fatto sovente ricorso negli anni passati.
Una tale doverosa novità, non solo permette di dare immediato avvio alle procedure di spesa fin dai primi mesi dell'anno, fatto questo di grande importanza, ma costituirà, nel rapporto Regioni - Enti locali, un punto di riferimento preciso ed indispensabile per tempestive scelte e conseguenti azioni politiche ed amministrative che, nell'ambito delle loro singole autonomie, questi ultimi sono chiamati ad effettuare.
Senza polemica, né spirito giustificazionista delle carenze che il bilancio può manifestare e che senz'altro sarà compito dell'opposizione individuare, non identico discorso può essere fatto sul rapporto Governo centrale - Regioni.
Qui, richiamate le argomentazioni svolte in merito dalla relazione al bilancio della Giunta, basta accennare al clima di incertezze contraddizioni e mancato adempimento ad impegni già assunti, che caratterizzano in questa fase l'azione del Governo nazionale.
Non ultima e non certo la meno grave di tutte è la carenza di efficaci linee d'azione economica che il Governo avrebbe il dovere di indicare, per consentire che il 1980 non sia, anche solo sotto l'aspetto dell'occupazione, l'anno più drammatico dalla Liberazione ad oggi e ci trova dimostrazione nella mancata approvazione del bilancio di previsione 1980 e dalla conseguente impossibilità di capire quali siano in sostanza nel quadro di una indispensabile azione programmatoria nazionale, le linee a breve respiro che a livello regionale possono trovare coerente e tempestiva applicazione.
E' indubbio che, di fronte a questa carenza di guida delle economie e della stessa cosa pubblica che Roma manifesta, maggiore valore acquista l'azione di governo regionale che, pur con limiti o inadeguatezze rappresenta per il sistema delle autonomie locali, per gli operatori socio economici, per la realtà piemontese tutta, costante e credibile punto di riferimento.
Un tale apprezzamento, non solo limitato o riferito al testo del bilancio, è emerso con sufficiente chiarezza, nel corso delle consultazioni, dall'incontro che la I Commissione ha avuto, con la realtà comprensoriale piemontese e con numerose associazioni di categoria.
In carenza di indirizzi e spunti di programmazione nazionale la nostra Regione ha saputo abbandonare la volontà di un'efficiente politica di tale tipo, anzi, agendo, operando, stimolando, ha in concreto aiutato, specie a livello delle autonomie, il rinforzarsi di una tecnica di governo della cosa pubblica che, anche nel particolare, sa disegnare e cogliere i grandi obiettivi e i fini che con il Piano di sviluppo del 1977 si sono individuati.
Non si tratta di generiche o trionfalistiche dichiarazioni: esse si sostanziano nei fatti.
Si sta, con questo bilancio, realizzando e generalizzando in concreto quella ripartizione territoriale della spesa che è strumento guida per poter, con il consenso democratico, frutto di confronto e dibattiti procedere ad una più omogenea, razionale ed equa ripartizione degli interventi, presupposto di una reale politica di riequilibrio.
In questo settore esistono non solo ritardi ed inefficienze, in parte conseguenza di difficoltà oggettive, in parte dovute a lacune culturali o inadeguatezze dei mezzi, ma ciò che si coglie e sarebbe ingiusto non fosse colto dal più severo critico, è la linea di tendenza in positivo che, con il suo sviluppo, ha consentito e consentirà di individuare e discernere i nodi ad ostacoli tecnici, da quelli prettamente politici. Per la rimozione dei primi è possibile operare con impegno più affinato e meno generico degli organi esecutivi; quelli politici dovranno essere risolti con scelta generata sia dalla conoscenza dei problemi, sia con il successivo costruttivo confronto tra le forze politiche ai vari livelli istituzionali di azione.
Basta in merito ricordare l'importanza dei presupposti tecnico politici necessari per una corretta approvazione dei piani pluriennali di attuazione alla cui redazione sono tenuti i singoli Comuni. Si richiede in sostanza un costante, necessario rapporto, non solo a livello di Giunta, ma anche a quello di Consiglio, tra il momento prettamente urbanistico a quello finanziario, entrambi elementi essenziali di una corretta politica di programmazione.
Sul piano culturale, d'intenzione politica e legislativa, le risposte date in materia nel passato da questo Consiglio non solo si sono dimostrate corrette, ma anche coerenti: esiste ora la necessità di un affinamento tecnico procedurale, anche con il sussidio dell'informatica, per impedire che la scelta politica programmatoria da un lato non sia vanificata e nel caso opposto, dall'altro, possa trasformarsi sì in azione programmata, ma ciò con il costo di fortissimi ritardi delle decisioni.
Ancora, ma con respiro più ampio, occorrerà, onde sostenere in modo efficiente il duro lavoro programmatorio a cui i Comprensori sono ora impegnati nella formazione dei loro piani socio-economici e territoriali che si ponga rapidamente a loro disposizione un quadro riassuntivo, per ciascun organismo e per ogni area d'intervento, dei dati complessivi della spesa.
Si realizzerà così quel corretto, chiaro ed incontrovertibile riferimento oggettivo, che vivificherà gli stessi piani territoriali di ciascun Comprensorio.
In merito, per colpa della Regione potrebbe realizzarsi un ritardo nell'approvazione dei piani comprensoriali non per motivi urbanistici quanto economico-sociali. Altro elemento di portata innovativa programmatoria, che peraltro recepisce istanze più volte formulate in precedenti consultazioni, sì da dimostrare come queste non siano un rito ma sostanzioso e valido modo di governare, è rappresentato dall'utilizzo delle risorse della Regione in modo integrato con le effettive risorse dei Comuni che con il presente bilancio chiaramente emerge.
Si coglie in concreto e nei fatti non solo la volontà di uscire dalla logica degli interventi a pioggia e l'effettiva materializzazione e frutto non d'opera centralistica, ma del costante confronto con la realtà comprensoriale e delle autonomie e con decisioni che scaturiscono dopo che questo confronto ha esaminato l'ampiezza delle disponibilità e la necessità delle scelte prioritarie, come sempre, con l'assunzione di responsabilità che scelta politica vuole dire.
Non cogliere queste innovative linee di tendenza, così come non afferrare che esiste una maggior propensione al realizzarsi in tutta la Regione di un sistema integrato d'informatica favorito dalla valida opera compiuta dal CSI, sarebbe grave errore politico perché impedirebbe di meglio capire, di fronte al poco, ma valido ad oggi compiuto sul terreno della fantasia e novità, il quanto e il molto ancora da compiere. In merito voglio sottolineare questo riferimento ad un autonomo processo integrato dell'attività informatica e nel rispetto di scelte autonome che attraverso la costituzione del Centro di calcolo regionale può e sta diventando un momento sempre più integrato anche quando Enti locali e le autonomie agiscono con loro iniziative. Già la Provincia di Cuneo in questi giorni ha fatto riferimento all'attività materiale del Centro di calcolo che deve ramificarsi e vivificarsi nella realtà con un decentramento operativo.
Non si ritiene degno, nella gravità del momento, anche per le ragioni sopra esposte che da sole danno la reale dimensione dell'entità dei veri problemi con i quali in concreto siamo chiamati a confrontarci, polemizzare con coloro che (pare al relatore con eccessiva superficialità o malinteso spirito di parte, che a volte prende il sopravvento quando si avvicinano le elezioni) hanno parlato di fallimento o tradimento della programmazione.
Se, come sempre ebbe a sostenersi, programmazione è un processo proprio da questo bilancio, con lo sguardo rivolto al passato, si pu all'opposto e con serenità affermare, come riconosciuto da molti degli interessati consultati, che la politica di programmazione da sognata utopia sta diventando realtà solo grazie allo sforzo ed alla volontà politica della Regione Piemonte.
I dati ed i fatti che provengono dagli artigiani, dal mondo agricolo dai Comprensori, dagli Enti strumentali della programmazione e dai rappresentanti stessi degli imprenditori sono conferma di tale affermazione.
Pare ancora al relatore che non si possa passare sotto silenzio, solo perché già tanto dibattuto nel passato, la ricorrente denuncia dell'entità dei residui passivi che quest'anno sfiorano i 333 miliardi.
In merito ognuno dei consultati, che hanno ancora parlato della materia, ha compiuto calcoli propri, secondo propri metodi, articolando e disarticolando cifre impostate, slittate, perenti o reimpostate.
Ciò che occorre dire è che, a parte la spesa sanitaria, che segue purtroppo ancora una sua logica e che c'è da augurarsi possa essere rapidamente sottoposta a controllo "politico" per quanto riguarda non tanto la sua gestione, ma l'effettiva destinazione finale il che potrà avvenire con l'importante approvazione dei disegno di legge n. 441 già all'esame della I e V Commissione, anche nei settori che nel passato erano patologicamente produttori di residui passivi, incomincia a manifestarsi una tendenza ed un'effettiva maggior fluidità di spesa con concreta riduzione del fenomeno.
Agricoltura e interventi nei lavori pubblici stanno dimostrando una tendenza in positivo quale conseguenza in parte degli interventi legislativi più snelli da poco approvati e dall'altro di un più efficiente uso odierno della macchina regionale.
In merito è opportuno cogliere come tale inversione di tendenza verificatasi nel settore agricolo sia in parte conseguenza diretta di questi rimedi e come le leggi 50/1977, 63/1977 e 20/1978 hanno non solo ci consentito, ma ciò hanno fatto nel pieno rispetto di linee di programmazione.
Inoltre, quale risultato di numerose richieste provenienti sia da Enti pubblici che da soggetti privati, il relatore sente il dovere di sollecitare la Giunta perché nei tempi più rapidi possibili presenti il disegno di legge sui lavori pubblici, così come già discusso nelle sue linee fondamentali e particolari e ciò con l'auspicio che possa diventare legge regionale entro la corrente legislatura. Esplicita domanda in merito con giudizio positivo sull'impostazione del disegno di legge, è pervenuta da parte dell'Associazione degli imprenditori che hanno pregato che in materia si possa sottoporre questa istanza alla Giunta con pieno consenso e spirito collaborativo di questa importante fetta della realtà socio economica del Paese.
Il problema dei residui passivi è ancora un problema.
Per non ripetere le argomentazioni già fatte nella relazione dello scorso anno, mi limiterò a richiamare, osservando che lo stesso è per effetto di molte e diverse cause e può essere solo correttamente risolto con grande impegno, ferma determinazione e molteplici azioni.
Non di poca importanza è l'impegno fisico-personale dei rappresentanti dei cittadini negli organi elettivi e sotto questo aspetto la Giunta del Piemonte ed il Consiglio, in larga parte dei suoi membri, ciò compiono siano di maggioranza, siano di opposizione. E credo che questa osservazione, che non ha carattere di autolode, è estremamente importante nel momento in cui c'è il tentativo di screditare la funzione delle forze politiche dando ad esse quasi un'incapacità generale in un momento in cui democrazia e libertà si difendono, anche riconoscendo la faticata e faticosa attività di coloro che, eletti dai cittadini, sono qui per affrontare problemi generali e per risolverli e non soltanto per il gusto del le citazioni o per fare della demagogia.
Altri problemi sono riconducibili all'incertezza dell'azione di governo centrale, alla carenza di una corretta osmosi con il sistema del credito e dell'impossibilità materiale, stante i vincoli legislativi nazionali, di poter competere in termini di efficienza con gli Enti privati stante il grave squilibrio salariale, a parità di competenza, a favore di quest'ultimo e a danno del settore pubblico.
E' dovere essenziale e morale riconoscere come il personale regionale nonostante le leggi da poco approvate e con le retribuzioni che sono consentite, dimostra spirito di sacrificio, senso del dovere, attaccamento ed amore per la cosa pubblica che l'onora: nel contempo non si può non cogliere il costante dissanguamento a cui la macchina regionale è esposta specie nei suoi elementi sovente allettati da stipendi doppi e tripli a passare al settore privato.
Il Vicepresidente ieri ricordava come il piano dei trasporti si sia realizzato con il contributo dell'Ires, utilizzando ancora consulenze, ma specialmente vivificando ed avvalendosi dei funzionari regionali non solo per la sua realizzazione ma per la sua gestione. Teniamo conto di quanti colleghi abbiamo perso nel passato e quante difficoltà si segnalano dove si vive, si lavora e si fanno scelte importanti.
E' impossibile realizzare, senza contributi tecnici qualificati nei settori più importanti, gli obiettivi che ci siamo dati.
Fare affidamento solo sullo spirito di sacrificio dei dipendenti sarebbe e sarà un errore che si pagherà domani con una macchina regionale sempre meno efficiente.
Non è questo un problema che una maggioranza può affrontare e risolvere: non è un problema che può essere risolto neanche con il totale consenso a livello regionale: è un problema di cui le forze politiche devono farsene carico a livello nazionale in occasione dell'esame della legge delle autonomie e della finanza locale, perché una mancata corretta risposta ad esso può, entro breve tempo, mettere in crisi la vita stessa degli Enti pubblici locali.
Né occorre confondere ciò con i problemi di una riduzione della spesa pubblica, specie corrente: anzi, una corretta riqualificazione della stessa parte da una politica salariale degli Enti pubblici che esalti, invece che mortificare, la professionalità.
Il preventivo 1980 si attesta, salvo ulteriori variazioni derivanti da leggi statali su un'entrata di L. 2.050.625.000.000 miliardi in termini di competenza e 2.168.193.000.000 in termini di cassa e di questi ben 1.182 miliardi sono destinati al fondo sanitario che, con l'attuazione della riforma sanitaria e l'entrata in funzione delle U.L.S., possono, per la prima volta, dopo tanti anni, incontrare un primo filtro politico programmatorio e non costringere così le forze politiche a livello regionale alla semplice e dequalificante funzione di "ufficiale pagatore" delle altrui, giuste o sbagliate che siano, scelte.
I vari interventi nelle aree economiche: agricoltura 225 miliardi terziario 91 miliardi, gestione ed assetto del territorio 219 miliardi istruzione professionale 57 miliardi, lo rendono compatibile con gli obiettivi del piano di sviluppo, il mancato riferimento ad un più razionale e vero riferimento ad un bilancio pluriennale aggiornato è conseguenza della carenza governativa, ma di ciò si è già parlato.
Nell'approvare a maggioranza questo bilancio, anche a nome dei colleghi, sento il dovere di manifestare tutta la profonda preoccupazione che, nel diuturno faticato lavoro, anche oscuro di Consiglieri, matura in ognuno di noi per la gravità della crisi politica ed economica, che sta assalendo il nostro Paese.
Colleghi Consiglieri, nel rassegnare al Consiglio questa relazione un doveroso omaggio va a coloro che, con la loro vita, con le loro menomazioni, con la loro dignità di cittadini e di uomini, ci obbligano a lavorare meglio e di più, a capire più nel profondo il motivo di tanti fatti negativi e nel contempo ci obbligano a non avere momenti di sconforto e di incertezza, ricordandoci che libertà, democrazia e dignità umana sono valori assoluti, che dal mondo dei filosofi si sono tradotti in Italia in realtà sociali grazie alla leale lotta di uomini amanti della libertà che hanno, dalla Liberazione ad oggi, onorato con il loro impegno fisico ed intellettuale la vita politica democratica.
Il gusto della lotta politica oggi deve rinvigorirsi verso i veri nemici della stessa convivenza democratica e sopirsi tra i singoli protagonisti del rapporto democratico: non è tempo di distinguo ideologici ma di unità politica per salvare, trasformandola in più giusta, la nostra società che trova la sua legittimazione nella riconquistata libertà avvenuta per volontà ed azione di popolo.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Simonelli.



SIMONELLI Claudio, Assessore al bilancio e alla programmazione

Credo opportuno di premettere alcune brevi considerazioni alla discussione che il Consiglio affronterà sul bilancio dopo l'introduzione del relatore.
Mi pare difficile sottrarsi, in questa circostanza, alla necessità di iniziare una valutazione, che proseguirà nei prossimi mesi ed impegnerà nella loro responsabilità politica le forze presenti in Consiglio sull'esperienza di questa legislatura, sul contesto nel quale si viene a collocare questo atto importante che è l'ultimo bilancio preventivo della Regione prima della scadenza della legislatura. In questo esame appare indispensabile fare una sorta di sforzo di memoria riandando a ricercare nei suoi tratti essenziali il ricordo di quello che erano le Regioni nel 1975, quando questa legislatura è cominciata.
Ricorderemo che questa legislatura iniziò quando ancora era in atto un contenzioso tra Regioni e Stato e lo scontro si poneva nella rivendicazione specifica di competenze, di funzioni, di spazi istituzionali dei nuovi istituti regionali. C'era da parte di settori della classe politica nazionale, di settori dell'apparato dello Stato e della pubblica amministrazione il tentativo di bloccare la capacità di espansione dei nuovi istituti e lo scontro è avvenuto sul terreno istituzionale delle competenze.
Di fronte ad una realtà di fatto che dava allora pochi poteri, gli istituti regionali erano alla fine della prima legislatura momenti di contestazione ed anche di proposta innovativa, avevano una forte carica politica di rinnovamento. Le Regioni rappresentavano nel 1975 momenti di profonda fantasia sul piano istituzionale e sul piano politico.
La legislatura si è caratterizzata di alcuni passi importanti, la 382 il D.P.R. 616, l'avvio più o meno riuscito, più o meno compiuto di alcune grandi riforme, l'urbanistica, la casa, la sanità. Ci troviamo a chiudere questa legislatura con le Regioni che certamente hanno visto aumentare enormemente compiti, funzioni, dimensioni dei loro bilanci e delle loro risorse; aumentano spazi e competenze; il rapporto con lo Stato non è più contestativo sul piano giuridico, ma semmai è un confronto costante, di polemica puntuale, in qualche caso anche di collaborazione. Ma il rischio che si profila alla fine della legislatura è un altro.
L'esperienza degli ultimi mesi e degli ultimi anni ci mostra il prevalere nel rapporto Stato - Regioni di momenti settoriali legati all'aspetto più propriamente amministrativo dei nuovi Enti. Crescono le leggi di settore che toccano le competenze delle Regioni, che in qualche caso recuperano al centro poteri già attribuiti alle Regioni, che in qualche caso regolano minuziosamente competenze che dovrebbero essere soltanto oggetto di norme, di principi e di leggi quadro. In altri casi si assiste a rapporti settoriali Stato - singole Regioni, Ministro della spesa singoli Assessori della spesa, Stato - Comuni che tendono a disarticolare quel quadro complessivo, organico, coerente di rapporti sul terreno della programmazione, che pure era stato individuato dal D.P.R. 616, in particolare dall'articolo 11, come il terreno più proficuo di rapporti di collaborazione tra lo Stato, le Regioni e gli Enti locali, facendo della programmazione regionale il punto di raccordo, di snodo, di coordinamento di tutta la finanza pubblica nelle sue articolazioni sul territorio.
Il rischio è che le Regioni vengano inghiottite nel tradizionale modo di operare della macchina amministrativa del nostro Paese e che diventino un terminale del processo amministrativo di formazione, di decisioni, di modelli di gestione, di uso delle risorse pubbliche, funzionali cioè alla conservazione di sistemi tradizionali di gestione che proprio l'esistenza delle Regioni avrebbe dovuto contribuire a trasformare.
Non è più in discussione l'esistenza delle Regioni, anzi l'interlocutore Regione è considerato indispensabile. Il suo ruolo per rischia di essere deformato. Non a caso è caduta negli ultimi tempi, anche per difetto delle Regioni medesime, la capacità innovativa, la carica di fantasia e di proposta di cui gli istituti regionali si erano fatti carico negli anni passati.
In questo contesto come si colloca la Regione Piemonte, qual è l' "Armarcord" di casa? Nel 1975 il Piemonte era una Regione uscita dall'esperienza della prima legislatura, che ha avuto due distinte connotazioni: una fase in cui parve che la Regione volesse persino rinunciare ad essere se stessa giocandosi i suoi ruoli politici ed istituzionali e una fase finale che fu invece più operosa, nella quale si posero le fondamenta del complessivo disegno di rafforzamento e di creazione della Regione.
Ma la legislatura si apriva con gli strumenti ancora in gran parte da realizzare e con la grande incognita della programmazione che rimaneva l'indicazione di fondo delle forze politiche e che divenne il punto di riferimento fondamentale della Giunta costituitasi all'indomani delle elezioni del 75.
Credo che l'esperienza di questi cinque anni è fuori da trionfalismi di comodo e di maniera e, per restare al terreno delle cose e dei fatti, si possa consegnare un'esperienza per molti versi positiva. Il quadro istituzionale si è completato o si va completando. Le strutture della Regione troveranno una loro collocazione. In ogni caso oggi la Regione è in grado di soddisfare esigenze di servizi di gran lunga superiori a quelli che erano riscontrabili cinque anni fa. Gli Enti strumentali hanno preso corpo, qualcuno ha ricominciato a "volare" dopo una fase di ibernazione e di crisi (Istituto regionale di ricerche), altri hanno iniziato positivamente ad operare (Finpiemonte, Consorzio per il trattamento automatico dell'informazione, Promark, Esap, Enti che gestiscono i parchi).
In alcuni di questi casi abbiamo strutture collegate alla vita della Regione che rappresentano punti di riferimento, di meditazione, di studio di esperienza anche per le altre Regioni.
Si sono avviati i Comprensori, la cui legge istitutiva appartiene alla prima legislatura, ma la cui concreta realizzazione è avvenuta in questa legislatura. I Comprensori sono partiti forse al di là delle attese che si potevano riporre in questi organismi. Si stanno completando in questi giorni i piani territoriali socio-economici, cioè i Comprensori stanno rispondendo sul piano operativo in modo estremamente plausibile a quelle che erano le attese riposte nel loro ruolo istituzionale. Sono state varate importanti leggi di programma ed importanti piani di settore. La programmazione è partita con un piano regionale di sviluppo, primo esempio in Italia, il cui grado di realizzazione avremo modo di verificare nei prossimi mesi, ma i cui risultati, almeno per alcuni aspetti, sono di palmare evidenza anche oggi. Alcuni settori rilevanti della spesa vengono gestiti attraverso i piani di settore e non attraverso interventi episodici. Il dibattito di ieri in relazione al piano dei trasporti ne evidenzia uno in particolare. Abbiamo piani di settore per i più importanti comparti della spesa, piani di settore accompagnati da leggi di programma o da leggi istituzionali (legge 56, legge sui trasporti, legge sulle procedure della programmazione, legge 63, provvedimenti sull'artigianato sul commercio, sul turismo, sulle aree attrezzate industriali ed artigianali).
Si è incominciato a determinare un coordinamento di spesa tra Regione ed Enti locali. In connessione con l'avvio dei piani pluriennali di attuazione con le prime applicazioni della normativa urbanistica in tema di programmazione finanziaria pluriennale dei Comuni e in attesa che entri in vigore il D.P.R. 421 che impone ai Comuni l'obbligo del bilancio pluriennale, si è cominciato a raccordare le capacità di spesa della Regione con quelle degli Enti locali. Il bilancio 1980 registra per la prima volta il tentativo di saldare nei meccanismi procedurali e nei momenti decisionali la Regione con gli Enti locali attraverso i Comprensori, in modo da determinare la comprensorializzazione del bilancio per le poste di maggiore intervento sul piano dei finanziamenti e da rendere gli Enti locali e i Comprensori partecipi di un processo decisionale che consenta di realizzare il massimo delle opere, nei tempi più brevi possibili eliminando il problema dei residui passivi e dei ritardi della spesa.
Il discorso del coordinamento della spesa deve proseguire e deve essere perfezionato. Sono in corso delle ricerche che daranno risultati importanti, per esempio, sugli indicatori di efficacia della spesa e sul riparto territoriale, mentre proseguono le ricerche tese ad ottenere il consolidamento della spesa a livello locale che dovranno determinare la formazione di bilanci consolidati dei Comprensori o comunque dei programmi consolidati per blocchi di spesa a livello comprensoriale, di cui potremo discutere molto presto non appena avremo il quadro complessivo dei piani comprensoriali socio - economico - territoriali che per il prossimo mese di febbraio saranno certamente pronti.
L'apporto fondamentale dei Comprensori a questi meccanismi di coordinamento della spesa e di formazione delle decisioni in materia di allocazione delle risorse dovrà essere tenuto presente in riferimento a quel provvedimento che richiamava il relatore Rossotto nella sua introduzione, cioè la nuova legge sulle opere pubbliche, alla quale dovrà essere garantito questo apporto dei Comprensori che hanno dimostrato di possedere una capacità di presenza all'interno dei meccanismi e degli iter amministrativi e finanziari degli interventi a livello comunale.
La politica di spesa e di bilancio nelle sue linee generali è stata in questi anni improntata al contenimento della spesa corrente, senza giungere a forme di austerità che penalizzerebbero la presenza della Regione e allo sviluppo massimo degli interventi possibili. E' stata sviluppata una politica di indebitamento graduale che non caricasse la Regione di oneri al di là dello strettamente necessario e un utilizzo dei margini offerti da una maggiore disponibilità e da una certezza delle risorse messe a disposizione dalla Cassa depositi e prestiti il che ha consentito di spostare progressivamente l'accento dagli interventi in conto capitale agli interventi in conto interesse, volti cioè a mobilitare una massa di risorse di gran lunga superiori in modo da consentire agli Enti locali di realizzare investimenti pubblici in una misura considerevolmente maggiore che per il passato, fino a raggiungere il tetto delle risorse che la Cassa depositi e prestiti mette a disposizione annualmente. Considerando le ultime cifre contenute nella nota di variazione al bilancio possiamo dire che abbiamo complessivamente coperto con il finanziamento regionale l'intera disponibilità che nel biennio 1979-1980 la Cassa aveva manifestato per il Piemonte.
Considerando le opere pubbliche principali, gli acquedotti, le fognature, le sedi municipali, la viabilità, gli impianti elettrici, gli impianti di risanamento delle acque, le opere di riassetto idrogeologico superiamo largamente gli incrementi complessivi di 300 miliardi che era la cifra che grosso modo la Cassa depositi e prestiti aveva messo a disposizione della Regione.
Da ultimo l'attività di ricerca e di studio sviluppata in questo quinquennio è stata particolarmente ricca in alcuni settori creando le premesse dell'attività che si svilupperà nei prossimi anni (studi sulla fertilità del suolo, l'analisi pedologica, i quaderni della programmazione l'osservatorio del mercato del lavoro e le altre pubblicazioni).
In conclusione, colleghi del Consiglio, il ruolo che la Regione Piemonte ha cercato di esercitare in questi cinque anni è stato quello di essere il più coerentemente e fedelmente possibile all'istituto regionale innovatore, centro di programmazione, di indirizzo e di coordinamento, che sta nella Costituzione e che sta nella volontà politica di chi le Regioni ha voluto e ha fatto vive.
Questo discorso è apparso in questi ultimi cinque anni a livello dei rapporti interregionali e nazionali, talora in scontro, talora in collaborazione. Spesso siamo stati tra le punte dello schieramento regionalista che sollecitava e in qualche caso otteneva il consenso, il concorso e la collaborazione di alcuni Ministri particolarmente sensibili.
Questo rapporto sofferto ed articolato con il Governo è stato in molti casi caratterizzato da momenti di collaborazione e di raccordo per cercare di far sviluppare una politica nuova che purtroppo si è risolta in "conati" ma non in concrete realizzazioni.
Detto questo, non vogliamo dire che questa sia la migliore Regione in astratto e che tutto ciò che è stato fatto è stato fatto bene e che nulla resti da fare. Anzi, indicare le linee di tendenza entro le quali ci si è mossi, non significa sottacere le difficoltà che abbiamo incontrato, i limiti, le carenze ancora presenti.
Le difficoltà nascono da un quadro nazionale sul quale si intrattiene la relazione al bilancio, sulla quale non voglio intrattenermi se non per rimarcare le difficoltà che tutte le Regioni incontrano nello svolgere il ruolo che la legge loro attribuisce, nella carenza di qualsiasi politica di programmazione a livello nazionale, non solo di quella globale forse troppo frettolosamente accantonata come "libro dei sogni", ma anche di quella settoriale che avrebbe dovuto essere più concreta e più coerente con i dati e che tuttavia non è decollata, anche spunti, stimoli, proposte provocatorie, ma con un contenuto innovativo, come era quella del Ministro Andreatta, di procedure atte a sveltire la spesa pubblica, dell'istituzione di un corpo di ispettori che avrebbero dovuto andare nelle Regioni, "missi dominici" del tesoro, per vedere che cosa non funziona nel meccanismo di spesa e negli iter amministrativi regionali, proposte di questo tipo lanciate in modo provocatorio, ma raccolte dalla Regione. Persino queste cose, che avrebbero comunque rappresentato il tentativo di innovazione e di sferzata di novità, sono cadute negli ultimi mesi; gli stessi spunti contenuti nello schema di piano triennale, presentato dal Ministro Pandolfi,non hanno più avuto seguito.
In questo contesto è difficile assolvere il ruolo di centro di programmazione, di coordinamento e di indirizzo che la Regione vuole avere.
I colleghi del Consiglio conoscono i rischi di un appiattimento della funzione amministrativa, sanno che la Regione ha ormai dimensioni tali che se non riesce ad utilizzare il suo potenziale di energia in un'azione rivolta alla programmazione ed al coordinamento svilupperà il suo potenziale di energia sul terreno della gestione, sul terreno amministrativo.
La mancata riforma dell'apparato centrale dello Stato da un lato, la mancata riforma delle autonomie e della finanza locale dall'altro, rendono la Regione quasi un "monstrum", una specie di costruzione che ha anticipato le altre; se le altre riforme non vengono dietro non reggerà un contesto regionale che dovrebbe presiedere, regolato da leggi innovative, come la riforma della contabilità, regolato da leggi che consentono di sviluppare iniziative in contesti nuovi, non può l'unico livello regionale sopravvivere e svolgere la sua funzione se la riforma non aggredisce anche gli altri nodi, a monte e a valle. Allora è facile, se le riforme non vanno avanti, che le Regioni siano risucchiate all'interno delle pratiche tradizionali e diventino Enti di amministrazione e di gestione.
Bisognerà sviluppare e perfezionare i rapporti con gli Enti locali, con gli Enti territoriali con i quali è essenziale stabilire forme di collaborazione e di intesa che valgano a rendere rapida, snella, efficace l'erogazione della spesa pubblica. Questi sono gli appuntamenti importanti che abbiamo con la nuova legislatura: mantenere vivo il senso di novità che le Regioni hanno portato con sé, tentare in tutti i modi di giocare la partita a livello nazionale diventando forza politica che conta e che preme. Assistendo alle audizioni della Commissione bicamerale per le questioni regionali dello scorso mese, abbiamo cercato di dare conto ai rappresentanti del Parlamento della volontà delle Regioni di essere interlocutrici non fastidiose, ma attente e responsabili del livello centrale, Governo e Parlamento, nel tentativo di dare una mano al miglioramento, al rafforzamento delle istituzioni democratiche del Paese.
Ma hanno dovuto lamentare la solitudine, al limite della disattenzione nella quale gli sforzi regionali in questi anni hanno dovuto naufragare.
Basti considerare che ci siamo affannati, giustamente, a discutere un piano di sviluppo, ci sforziamo di applicarlo, ci siamo dati carico di compatibilità con le linee di orientamento della politica economica nazionale, ma questo piano di sviluppo non è stato letto né discusso da nessuno. E' stato consegnato al Governo, ma è finito nel cassetto di alcuni Ministri e nessuno mai ci ha detto se andava bene, se doveva essere corretto, se si poteva integrare con le linee di politica economica e finanziaria che il Paese veniva traducendo in atti in questi anni.
Il terreno del rapporto con il livello centrale e con gli Enti locali resta la grande direttrice di movimento che la Regione ha davanti a sé nei prossimi anni. Il bilancio preventivo per il 1980 si colloca in questo contesto.
Ci potranno essere contestazioni sulla presentazione puntuale o tardiva dei documenti che accompagnano il bilancio, critiche legittime e in parte anche giustificate. Vorrei però richiamare il Consiglio su due fatti importanti che occorre tenere presente in questo bilancio. Primo, noi chiudiamo la legislatura discutendo il bilancio della Regione in termini utili perché si vada alla normale gestione degli ultimi mesi e non all'esercizio provvisorio. Secondo, questo fenomeno, di per sé normale in uno Stato e in un'organizzazione pubblica funzionante, si accompagna invece al massimo del deterioramento nel livello centrale. E' di questi giorni la caduta, che è talmente grave da non invogliare neppure la polemica, degli sforzi innovativi che erano stati fatti introducendo come nuovo strumento di controllo della finanza pubblica; è di questi giorni la caduta del proposito di regolare, di controllare, di dirigere, di indirizzare la finanza del settore pubblico allargato attraverso lo strumento della legge finanziaria e quindi l'adozione dell'esercizio provvisorio per lo Stato.
Accanto alla caduta della tensione politica, alla fine provvisoria dei tentativi di programmazione, si assiste anche al venir meno degli scopi razionalizzatori che avevamo riconosciuti ad alcuni punti del programma della compagine governativa e questo anno finisce con un quadro nazionale di ingovernabilità, anche degli aggregati della spesa pubblica, anche degli stessi meccanismi razionalizzatori recentemente introdotti con leggi del Parlamento.
Non dimentichiamo che le Regioni fanno uno sforzo per restare in un contesto largamente deteriorato, fedeli al loro ruolo, alla loro funzione di assolvere tempestivamente ai compiti che ad esse sono demandati.
Certo, le poste di bilancio si presteranno a considerazioni polemiche a confronti: questa è la regola del gioco democratico.
Ancora una volta, ed è ormai prassi costante, non esauriremo qui tutte le discussioni. Ci sono alcune scadenze importanti. Né la Giunta né il Consiglio penseranno che i prossimi mesi debbano essere dedicati alla campagna elettorale. Noi pensiamo che i prossimi mesi debbano essere ancora operativi fin dove sarà possibile. Sono mesi ricchi di possibilità e di realizzazioni ed anche sul terreno della verifica delle linee di politica economica e finanziaria sono mesi che ci consentiranno di fare quell'aggiornamento, che sarà anche un consuntivo dell'attuazione del piano di sviluppo per il quale è in corso di stampa un volume che sarà discusso quanto prima dal Consiglio, prima della fine della legislatura.
Guai se ci soffermassimo soltanto ad esaminare le dimensioni della spesa e non andassimo a vedere la qualità della spesa e gli effetti che la spesa è in grado di determinare: bastano queste considerazioni per poter dire che la programmazione piemontese non è soltanto decollata, ma raggiunge, con la fine della legislatura, alcuni importanti e qualificanti punti di arrivo.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Paganelli.



PAGANELLI Ettore

Ancora una volta la discussione sul bilancio regionale avviene in un momento delicato per la vita democratica del nostro Paese ed in particolare della nostra Regione.
Ricordo il 1978 quando discutemmo e votammo rapidamente il bilancio nel periodo della prigionia dell'onorevole Moro e pochi giorni dopo il ferimento del collega Picco: oggi ne discutiamo mentre la nostra Regione è ancora scossa da tanti episodi di terrorismo e dalle ultime incredibili giornate di sangue che ne hanno turbato la vita normalmente serena ed operosa.
Discutere in contrapposizione, come in effetti avviene, il documento contabile e programmatorio per il 1980 può apparire ai meno attenti anacronistico e fuori del tempo.
Così non è: le istituzioni reggono anche in momenti difficili nella misura in cui svolgono appieno il loro ruolo ed il loro compito e tutti ben sappiamo che fondamento della vita delle istituzioni è il dibattito o, per usare una terminologia più attuale, è il confronto tra maggioranza ed opposizione.
Nella misura in cui questo confronto anche netto è però serio ed impegnato si esalta l'istituzione e quindi non si è in contrasto con la difficile situazione nazionale e regionale in cui viviamo.
Non esaminiamo quest'anno la legge di esercizio provvisorio, ma il bilancio per il 1980.
E' avvenuto una sola volta in questa legislatura che si discutesse preventivamente il bilancio per l'intero anno: a fine '76 per il 1977 sulla presunzione che poi nel corso dell'anno il bilancio si sarebbe adeguato all'adottando piano di sviluppo.
La presentazione del bilancio preventivo prima dell'inizio dell'esercizio è stata sottolineata favorevolmente anche nella consultazione.
Da parte nostra osserviamo: sul piano delle spese di investimento il disporre immediatamente di un bilancio è fatto positivo che consente di dare avvio alla procedura di spesa fin dai primi mesi dell'anno e questo è uno dei mezzi per combattere i residui passivi.
Sul piano delle spese correnti qualche preoccupazione l'abbiamo e non vorremmo che fossero proprio queste spese correnti ad avere suggerito alla Giunta la strada del bilancio, nonostante si affermi "l'impossibilità di stimare, nel momento di preparazione del bilancio stesso, la consistenza dei flussi finanziari".
Il bilancio, si sa, non limita la disponibilità ai dodicesimi (come l'esercizio provvisorio) e noi dobbiamo tranquillamente confessare che ci assale il dubbio che il primo sole primaverile - coincidente con il periodo elettorale - possa prosciugare anche interamente alcuni capitoli ove già normalmente è facile e generoso l'intervento dell'esecutivo. Ma è un dubbio che la Giunta può anche fugare.
Il bilancio di previsione è accompagnato dalla relazione che contiene un ampio commento allo stato di previsione dell'entrata e dell'uscita per le singole aree: tale commento è preceduto da 18 pagine di introduzione più propriamente politica che non possiamo lasciare passare sotto silenzio, ma sulla quale la serietà del confronto ci impone di soffermarci polemicamente.
Polemicamente, anche se l'intervento dell'Assessore Simonelli è stato molto abile, come sempre, svolto all'inizio di questo dibattito, ha cercato di recuperare molti dei punti di perplessità che questa introduzione aveva suggerito e soprattutto ha cercato di porre in un'altra luce rispetto al documento quello che l'Assessore ha chiamato "il sofferto rapporto tra Stato e Regioni".
La relazione suddetta esordisce notando che la formazione di tale bilancio avviene "in un contesto di estrema incertezza nei rapporti istituzionali e finanziari con gli altri livelli di governo, che conclude quasi emblematicamente un anno nel corso del quale si erano andate via via vanificando le premesse per una programmazione della spesa pubblica poste nella seconda metà del 1978".
L'osservazione è in larga parte condivisibile: è nei fatti che lo sforzo di risanamento strutturale dell'economia italiana e, in questo ambito, di ripresa di controllo sulla dinamica della finanza pubblica avviato prima con lo schema Paldolfi, poi con il piano triennale, non è riuscito a dispiegarsi se non in minima parte nel 1979.
Le conseguenze di questa battuta d'arresto sono davanti a noi: un'accentuata ripresa dell'inflazione; rilevanti difficoltà a contenere il fabbisogno del settore pubblico entro limiti tali da non imprimere un'ulteriore accelerazione alle tensioni inflattive e da assicurare un adeguato volume di credito alle attività produttive; l'inasprirsi delle tensioni sociali, alimentate anche dalla gara fra tutti i gruppi organizzati ad espandere o almeno garantire il proprio reddito disponibile scaricando comunque su altri il costo dell'inflazione.
Che questa situazione investa anche i rapporti finanziari fra i diversi livelli di governo, come dice la relazione, è abbastanza ovvio. Non possiamo però limitarci a questa constatazione; dobbiamo chiederci perch nel corso del 1979 l'andamento dell'economia e della finanza pubblica si sia scostato così profondamente dalle linee guida che si erano tracciate nel 1978.
Nel dare risposta a questa domanda la relazione è di un semplicismo inaccettabile che non aiuta in alcun modo a comprendere la natura reale dei problemi che dobbiamo affrontare, limitandosi a denunciare una presunta reviviscenza centralistica del Governo e delle Amministrazioni dello Stato.
Un'analisi più attenta dovrebbe distinguere intanto i fattori internazionali, a partire dal riacutizzarsi della crisi petrolifera, dai fattori interni. Limitandoci a questi ultimi che sono i più rilevanti in ordine alla dinamica della finanza pubblica, si debbono porre in evidenza e sottolineare almeno due elementi.
In primo luogo il precipitare nel gennaio scorso degli equilibri politici faticosamente costruiti dopo le elezioni del 1976 (e tante forze politiche, non solo alcune, hanno da medita re sulla determinazione di questo evento), ha aperto una crisi che non è riducibile all'assetto del Governo, ma che finisce di riflettersi in una dissociazione di importanti componenti politiche e sindacali dall'obiettivo di una ripresa di sviluppo del Paese.
L'assenza, per molti mesi, di un esecutivo nella pienezza dei suoi poteri e in una fase, per di più, in cui si manifestavano nuovi squilibri internazionali, si traduce inevitabilmente in una perdita di controllo sulla congiuntura, non essendo certo sufficiente, a tal fine, l'operare dell'autorità monetaria. Tutto ciò alla fine si paga ed oggi siamo infatti al redde rationem.
In secondo luogo, e ciò investe più direttamente le nostre responsabilità, non possiamo ora dimenticare che da parte di molte Regioni e tra queste la Regione Piemonte, non si è fatto molto per concorrere a dare attuazione al piano triennale, in specie nelle indicazioni relative alla finanza pubblica.
Non si può oggi lamentare che si siano dissolte "le premesse per una programmazione della spesa pubblica poste nella seconda metà del 1978" senza dire anche che quelle premesse erano state vivacemente contestate vedendo, nell'ipotesi di ridurre in percentuale i trasferimenti che le Regioni ricevono dal bilancio dello Stato, semplicemente una mortificazione della loro autonomia e del loro ruolo.
Già allora si commise l'errore che ritorna oggi nella relazione considerando, il problema della finanza pubblica come una partita che si gioca a due, fra Stato e Regioni, e dimenticando del tutto un terzo soggetto, che pure non è marginale: il sistema produttivo.
Io non voglio insegnare nulla a nessuno e tanto meno all'estensore dell'introduzione, ma posso semplicemente ricordare quanto uno studioso che non appartiene certo all'area democristiana, l'attuale Ministro delle finanze, Franco Reviglio, affermava due anni or sono, concludendo un saggio sulla "Spesa pubblica e stagnazione dell'economia italiana". Scriveva Reviglio: un elevato e rigido disavanzo del setto re pubblico determinato in misura consistente dall'aumento delle spese correnti, che non accrescano la capacità produttiva del Paese, è strutturalmente distorsivo. Nel medio periodo esso determina l'indebolimento delle strutture produttive e una caduta del tasso di sviluppo del sistema economico, con la progressiva emarginazione del nostro Paese dal mondo occidentale più avanzato e moderno. L'indebolimento delle strutture produttive porta necessariamente a cadere in fasi di depressione sempre più lunghe e di ripresa sempre più brevi, lungo un sentiero di stagnazione della base produttiva, accompagnato da inflazione e da disequilibri nei conti con l'estero. E sempre in tema di valutazione di comportamenti diretti, se non ci si vuole collocare acriticamente nell'esame del rapporto Stato - Regioni, occorre anche ricordare che al 31 dicembre 1978 le Regioni avevano accumulato residui passivi per oltre 8.000 miliardi e ben sappiamo, anche per esperienze locali, quante di esse siano pudiche nel mostrare i propri residui e cerchino in ogni modo di nasconderli con artifici contabili più o meno ingegnosi.
E mentre i residui passivi dello Stato, che certo ci sono, attengono prevalentemente alle spese correnti, quelli delle Regioni sono per lo più legati ad investimenti non realizzati e quindi diverso è l'effetto sul sistema economico dei due tipi di residui. Per questa ragione il piano triennale osservava che: "Sino a qualche tempo fa, quando la spesa per investimenti originava direttamente dai poteri centrali dello Stato l'effetto dell'incapacità di spendere consisteva essenzialmente nel progressivo divario tra cifre di competenza e cifre di cassa. Oggi la situazione si è aggravata. La responsabilità di molta parte della spesa specie per gli investimenti, si è s postata agli Enti decentrati del settore pubblico. L 'incapacità di rispettare i programmi è rimasta, ma ne sono peggiorati gli effetti. Lo Stato mette a disposizione delle autorità decentrate somme che poi rifluiscono in depositi bancari per giacervi inutilizzate. Si è prodotta così un'indebita formazione di liquidità aggiuntiva", mentre si è ridotta, aggiungiamo, la domanda per investimenti.
Ora, se l'invocata programmazione della spesa pubblica doveva essere diretta a ridurre l'indebitamento a copertura delle spese correnti e quindi ad una riqualificazione della spesa stessa, riportandola sotto controllo occorre fare delle scelte: o le Regioni sanno farsi carico compiutamente del problema e partecipano quindi con i poteri centrali a questa opera di correzione e risanamento o finiscono di costringere l'autorità centrale a predeterminare al massimo grado possibile i comportamenti dei centri di spesa periferici. Non si tratta di disegni di centralismo " neo giacobino ", come affermato nella relazione, molto più semplicemente di rispondere con responsabilità al velleitarismo di chi vorrebbe attribuire alla programmazione regionale "il ruolo di coordinamento tra i diversi momenti della finanza pubblica", mentre non riesce a coordinare neppure la sua propria attività e dilata, per quanto gli riesce, orientamenti di spesa che non si conciliano con gli interessi generali del Paese.
Passando ora all'impianto del bilancio rileviamo come la lettura dello stesso in chiave realistica da noi più volte sollecitata negli scorsi anni sia emersa anche in parecchi documenti forniti dalla consultazione.
Ogni anno abbiamo fatto il discorso sul fondo ospedaliero, attualmente fondo sanitario nazionale e più che mai dobbiamo farlo ora.
Chi si avvicina al bilancio regionale deve sapere che una somma pari al 55 % dello stesso ha natura particolare e potrebbe in futuro anche non più apparire sul bilancio dimezzandolo di colpo.
Se infatti uno specifico articolo del disegno di legge finanziaria venisse approvato senza modifiche, gli stanziamenti del fondo sanitario riferito alle spese correnti andrebbero cancellati dal bilancio sia nella competenza che nella cassa. Infatti la quota regionale di detto fondo dovrebbe affluire direttamente alle Unità Sanitarie Locali attraverso le Tesorerie provinciali, previa deliberazione trimestrale di riparto, avente carattere formale, della Regione.
Ma anche inserite quest'anno in bilancio, queste somme devono avere una considerazione particolare, così come gli oneri ammortamento mutui che si riferiscono a scelte operate nei precedenti esercizi, così come le spese di puro funzionamento o gestione e le somme già impegnate in precedenti esercizi e per le quali è stato operato lo slittamento del limite di impegno.
Ed allora, procedendo per grandi numeri, abbiamo con i dati aggiornati all'ultima variazione che ci è stata presentata lunedì: Spesa complessiva prevista in bilancio: L. 2.050,6 miliardi da cui deduciamo: L. 1.197,3 miliardi - Erogazione alle Unità Locali dei Servizi limitatamente alle spese correnti: in questa nostra analisi limitiamo la voce alle spese correnti non ritenendo esatto come è stato fatto nella consultazione considerare l'intera somma di L. 1.226 miliardi.
L. 57,3 miliardi - Spese di puro funzionamento.
L. 69,7 miliardi - Spese di ammortamento mutui, ecc.
L. 168,4 miliardi - Spese derivanti da slittamenti e residui perenti.
L. 13,1 miliardi - Spese riferite a contabilità speciali.
Totale L. 1.505,8 miliardi con una differenza di L. 544,8 miliardi.
Sono quindi circa 545 miliardi l'effettiva massa di risorse (questa e non altra) di cui la Regione dispone per interventi.
Va notato però che di questi 545 miliardi, circa 260 sono spese relative ad assegnazioni statali con vincolo di destinazione, mentre circa 285 miliardi sono le spese che possono essere veramente ed autonomamente amministrate e dirette dalla Regione.
Se non si vuole fuorviare la comunità regionale, se si vuole avere tra le forze politiche un colloquio franco ed aperto occorre dire queste cose occorre chiarirci le idee in questi termini.
Cortine fumogene, cifre a sensazione non sufficientemente valutate ed analizzate creano confusione e non aiutano la comprensione dei problemi. Il ragionamento seguito vale ovviamente in via di principio perché - e la relazione lo riconosce - il bilancio 1980 ha un carattere di provvisorietà.
Non è infatti seriamente pensabile che il bilancio del 1980 presenti una contrazione rispetto a quello del 1979 assestato. Nel 1979 vi sono state entrate per 2.258 miliardi, nel bilancio ne sono previste per 2.014 miliardi e con la variazione la somma è già salita a 2.050 miliardi e salirà certamente ancora nel corso dell'anno.
Sarebbe interessante poi conoscere quanti di questi 545 miliardi sono destinati a spese di investimento e quanti a spese correnti, ma la Giunta non rispettando l'articolo 30 della legge regionale 14 marzo 1978, n. 12 non ci fornisce il relativo allegato. Non ho avuto tempo per consultare l'ultimo documento. Il penultimo comma di detto articolo stabilisce infatti "in allegato al bilancio le spese sono riclassificate in titoli secondo che si tratti di spese correnti, di spese di investimento e di spese attinenti al rimborso di mutui e prestiti, nonché in sezioni ed in categorie secondo le stesse ripartizioni adottate nel bilancio dello Stato per il medesimo esercizio".
Comunque, secondo calcoli fatti ci pare che, sempre escludendo le somme del fondo sanitario, vi sia nel bilancio attuale solo un incremento della spesa corrente (+ 3 %). Analizzando poi le spese d'investimento notiamo che le stesse dovrebbero essere finanziate con mutuo per un ammontare di poco superiore ai 145 miliardi. Il mutuo a pareggio invece è previsto per 187 miliardi 555 milioni.
Cosa vuol dire questo? Che parte del mutuo deve finanziare anche spese correnti? Ma l'articolo 47 della legge regionale n. 12/1978 e l'articolo 10 della legge 16 maggio 1970, n. 281, non lo consentono essendo limitata la contrazione di mutui a spese di investimento o all'assunzione di partecipazioni in società finanziarie regionali. Anche su questi problemi tecnici la Giunta deve fornire chiarimenti e soprattutto deve attenersi ai disposti legislativi.
Le considerazioni che un bilancio, ed un bilancio, di tale mole va aggiunto, suggerisce sono infinite e sarebbero ancora di più se i documenti fossero consegnati con maggiore anticipo onde consentire adeguato esame.
Il bilancio pluriennale viene consegnato oggi in Consiglio e poi si dice che lo stesso è uno strumento indispensabile per la programmazione! Nel momento in cui si sceglie la strada dell'intervento in aula e non di una vera e propria relazione di minoranza (a questo proposito faccio un'osservazione: credo che non sarà più possibile in futuro limitare a interventi l'analisi di un bilancio, ma coloro che avranno da sedere sui banchi dell'opposizione dovranno misurarsi sul documento del bilancio, con una vera e propria relazione di minoranza), occorre anche scegliere gli argomenti su cui soffermarci ed approfondire il confronto.
Ne toccherò tre in via generale che sotto l'aspetto tecnico avvalorano le considerazioni che sotto l'aspetto più propriamente politico già abbiamo svolto all'inizio dell'intervento e che sostanzialmente suggeriscono di guardare anche un po' in casa propria e non solo alimentare polemiche contro lo Stato.
1) Il bilancio si apre con un avanzo finanziario presunto alla chiusura dell'esercizio 1979 di oltre 230 miliardi. Inoltre i mutui previsti per oltre 162 miliardi sono stati solo parzialmente attivati per 42 miliardi.
Che cosa significa tutto questo? Che molti interventi non sono stati realizzati e che circa 350 miliardi previsti non sono stati impegnati nel corso dell'esercizio 1979. Che il principio dell'articolo 3 della legge di contabilità 19 maggio 1976, n. 335 (iscrivere le spese di cui si autorizza il pagamento nel medesimo esercizio) su cui sempre nei nostri interventi abbiamo richiamato l'attenzione è ancora lungi dall'essere recepito ed attuato dalla Giunta regionale.
E queste considerazioni non possono essere scaricate su altri, ma vanno tenute presenti specie quando si parla di rigidità di bilancio.
2) Con sufficienza viene poi considerato nella relazione il problema dei residui passivi (333 miliardi) per sottolineare "l'entità contenuta a riprova dell'ormai consolidata capacità di spesa della Regione ed anche in conseguenza della nuova normativa di contabilità".
Non vogliamo dedicare al problema residui passivi tanto più del necessario, ma dobbiamo ricordare che tra le somme non spese, oltre ai 333 miliardi di residui veri e propri, troviamo nel bilancio 236 miliardi di fondi statali reimpostati e 19 miliardi per la legge di slittamento: totale 588 miliardi in sede di previsione.
Una cifra superiore dunque a quella che precedentemente abbiamo considerato (era di 545 miliardi) a disposizione della Regione nel 1980 tra spese vincolate e libere e questo raffronto ci pare assai significativo.
Ripeto qui quello che ho già detto discutendo il bilancio 1979: quella dei residui passivi è una frontiera su cui la Giunta combatte. Ma, allora se nonostante l'attenzione e l'impegno dell'esecutivo il fenomeno non presenta un'inversione di tendenza, è bene non raccontare solo la favola bella dei residui da considerare non su base annua bensì in un arco più ampio di tempo e porre invece mano alla revisione delle leggi.
Tre aree di intervento presentano una situazione pesante: l'agricoltura, le attività secondarie e terziarie e l'assetto del territorio.
E' stato osservato nella consultazione che a queste tre aree sono imputati residui passivi (comprendendo fondi reimpostati e slittati) per 436,7 miliardi rispetto ad una spesa "netta" di competenza di 343,8 miliardi.
Se non si ragiona su queste cifre, se non si interviene per modificare le leggi (tra l'altro per l'agricoltura la modifica della legge n. 63 del 12 ottobre 1978 è stata richiesta dalle organizzazioni dei coltivatori diretti e dagli agricoltori) la questione dei residui passivi espliciti o meno finirà di essere oggetto di dotte disquisizioni, di tenaci attacchi o impegnate difese, ma non certo di interventi di alta chirurgia, quella per intenderci che estirpa il male alla radice o quasi.
Ed in tema di residui offriamo alla Giunta come meditazione di osservare quanto nel 1979 si è speso dei circa 75 miliardi che si erano già fatti scorrere con la legge n. 2 del 22 gennaio 1979: secondo nostri calcoli poco più del 50 %.
3) E' forse la considerazione più banale, ma rende bene l'idea, ed occorre dirlo, l'idea o di una certa opulenza o di rilevanti ritardi.
La Regione Piemonte affronta gli oneri del personale con gli interessi attivi delle somme depositate alla sua Tesoreria. Nel bilancio 1980 la previsione di stipendi, assegni ed oneri riflessi è di 22 miliardi 875 milioni.
Nel bilancio 1979 gli interessi attivi sulla disponibilità di cassa sono stati iscritti ed ormai pensiamo quasi accertati per 22 miliardi 472 milioni. Sostanzialmente pari e patta. Che poi sul bilancio per il 1980 prima stesura gli interessi siano stati iscritti per soli 15 miliardi di previsione ha poca importanza.
Se si vuole una personale interpretazione sulla primitiva cifra di previsione degli interessi attivi, eccola: la minore previsione aiuta la richiesta di trasferimento delle assegnazioni statali dalla Banca d'Italia sede di Roma - alla Tesoreria regionale e favorirà quindi l'aumento dei capitali che produrranno interessi. Ma già con la variazione il capitolo 2110 ritorna a quota 22 miliardi e nel corso dell'esercizio potrà subire ulteriori aumenti.
A prima vista la politica del capitale che frutta interessi ed in specie tanti interessi sufficienti a pagare il personale potrebbe anche essere vista favorevolmente: lo è assai di meno se si pensa che compito di un Ente come la Regione è quello di fare investimenti, non certo di tesaurizzare.
Ed a proposito di interessi, nella consultazione è emerso un particolare curioso. A fronte di una Regione con centinaia di miliardi in banca e miliardi di interessi attivi abbiamo un Centro di calcolo che nel suo bilancio deve prevedere qualche decina di milioni di interessi passivi per il ritardo con cui la Regione provvede ai pagamenti al predetto Centro.
A queste considerazioni di fondo altre specifiche se ne dovrebbero aggiungere: alcune aree saranno esaminate più a fondo dai colleghi del mio Gruppo che interverranno nella discussione.
Il discorso sul bilancio ne sottende un altro relativo alla politica di bilancio e politica di programmazione, agli accertamenti sulle scelte e sul cammino del piano, ma abbiamo la sensazione (o forse qualcosa di più, visto quale considerazione ha il bilancio pluriennale) che piani e bilanci pluriennali siano per la Giunta più astratte indicazioni di propositi che concreti ed efficaci comportamenti. E quello dell'attuazione del piano è un tema sul quale occorrerà trovare modo di ritornare presto.
Con la discussione di questo bilancio si avvia a conclusione il discorso che a nome del mio Gruppo ho portato avanti in questi cinque anni circa sui non facili temi finanziari.
Sono molte le pagine di questo colloquio. Le rileggeremo nel momento di chiudere la legislatura e anche queste assieme a molte altre scritte dai colleghi della D.C. sui più grossi temi del confronto politico faranno parte di quanto richiameremo ai cittadini piemontesi per il loro giudizio.
Ho parlato di discorso che si avvia a conclusione perché non lo ritengo ancora finito: chiediamo infatti alla Giunta, e questa è la prima richiesta di impegno politico, che anche nell'ipotesi di conclusione della legislatura prima del 30 aprile, termine di legge per la presentazione del rendiconto, il conto consuntivo del 1979 sia presentato.
E' sul conto consuntivo che si misura l'efficienza e l'operatività di un esecutivo e noi questo confronto desideriamo farlo.
La seconda richiesta di impegno politico si collega strettamente alle perplessità che avevo all'inizio dell'intervento, quando mi riferivo ai capitoli di spesa corrente di questo bilancio.
Ci avviamo verso le elezioni, verso gli ultimi mesi di legislatura, ci avviamo poi verso quel periodo in cui il Consiglio non può più esercitare le sue attività ed il suo controllo. E' appena il caso di ricordare che al termine della passata legislatura i colleghi del Gruppo comunista presentando anche una mozione, poi ritirata, richiesero precise garanzie in proposito. E fu proprio chi oggi presiede questo nostro consesso ad avanzare allora per il suo Gruppo, con estremo rigore, la richiesta di potere in ogni momento controllare l'operato dell'esecutivo. Anche noi oggi avanziamo la richiesta di maggiori garanzie politiche per la gestione dei prossimi mesi.
Non sveliamo un segreto se diciamo che è crescente la domanda che avanza da larghi strati di opinione pubblica verso la nostra forza politica di opposizione (e pensiamo non solo verso la nostra) per una più puntuale e rigorosa attenzione verso tutto ciò che è gestionale e può apparire clientelare. Ed il tono della domanda è un rimprovero nei nostri confronti.
E su queste cose lo scontro potrebbe essere nei prossimi mesi duro e certo in contrasto con quel confronto sui problemi reali che invece nobilita il dialogo tra maggioranza ed opposizione.
Nella misura in cui la maggioranza non ci metterà, con le sue decisioni, in condizione di sollevare questi problemi, nella misura in cui veramente potremmo tutti dedicare tempo ed energia ai problemi del Piemonte, e non a puntualizzazioni sui singoli atti avremo compiuto anche noi un salto di qualità e potremo dire di aver esaltato le istituzioni nel momento in cui le stesse hanno bisogno di maggiore credibilità.
Concludendo gli ultimi due interventi sui bilanci 1978-1979 ho preso a prestito un'immagine sportiva: quella del lungo rettilineo di arrivo per la volata del 1980.
Colleghi, anche il rettilineo è quasi tutto percorso e siamo ormai sotto lo striscione dell'ultimo chilometro. Il fotogramma della lunga corsa, mentre ci avviamo allo sprint finale, è davanti ai nostri occhi: le scelte, le tattiche, gli allunghi, le spinte, le incertezze, i tentativi di fuga fanno già parte di un passato. A tutti noi non resta che percorrere quest'ultimo chilometro. Tutta la corsa sarà poi giudicata da giudici numerosi e severi. Per noi democristiani la corsa non è stata facile specie all'inizio, quando molti prevedevano un sfiduciato abbandono. Abbiamo stretto i denti, abbiamo gareggiato con impegno e lealtà, abbiamo recuperato forza ed oggi siamo nel gruppo per la volata finale. Attendiamo poi con serena fermezza il giudizio di chi sarà chiamato a darlo.


Argomento: Norme finanziarie, tributarie e di contabilita

Esame deliberazione "Prelevamento dal fondo di riserva di cassa per L. 4.164.000.000. Proposta al Consiglio regionale"


PRESIDENTE

Chiede la parola il Consigliere Rossotto. Ne ha facoltà.



ROSSOTTO Carlo Felice

Chiedo, se è possibile, di sospendere brevemente la discussione sul bilancio per esaminare un'importante ed urgente deliberazione relativa a: "Prelevamento dal fondo di riserva di cassa per L. 4.164.000.000. Proposta al Consiglio regionale".



PAGANELLI Ettore

Il nostro Gruppo vota a favore della deliberazione, poiché presenta caratteri esclusivamente formali.



PRESIDENTE

Vi do lettura della deliberazione: "Vista la legge di contabilità regionale n. 12 del 14 marzo 1978 ed in particolare ['articolo 38 inerente il prelevamento dal fondo di riserva di cassa considerata la necessità di integrare lo stanziamento di cassa dei sottoelencati capitoli del bilancio dell'anno 1979 in relazione alle liquidazioni già in corso a carico dei capitoli medesimi: cap. 2905 + 120.000.000 " 8260 + 70.000.000 " 11880 + 220.000.000 " 10060 + 430.000.000 " 10405 + 610.000.000 " 2130 + 100.000.000 " 2690 + 1.000.000.000 " 2700 + 1.600.000.000 " 4350 + 14.000.000 visto che il fondo di riserva di cassa di cui al capitolo n. 12900 del bilancio per ['anno 1979 presenta sullo stanziamento di cassa la disponibilità necessaria il Consiglio regionale, unanime delibera di approvare il prelevamento di L. 4.164.000.000 dal fondo di riserva di cassa di cui al capitolo 12900 del bilancio per l'anno 1979 ad integrazione dello stanziamento di cassa ai seguenti capitoli del bilancio per l'anno 1979 per gli importi a fianco di ciascuno seguenti: cap. 8260 + 70.000.000 " 11880 + 220.000.000 " 10060 + 430.000.000 " 10405 + 610.000.000 " 2130 + 100.000.000 " 2690 + 1.000.000.000 " 2700 + 1.600.000.000 " 2905 + 120.000.000 " 4350 + 14.000.000 ______________ 4.164.000.000 Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
La deliberazione è approvata all'unanimità dei 44 Consiglieri presenti in aula.


Argomento: Bilanci preventivi

Esame progetto di legge n. 481: "Bilancio di previsione per l'anno 1980" (seguito)


PRESIDENTE

Torniamo all'esame del bilancio di previsione per l'anno 1980.
La parola al Consigliere Picco.



PICCO Giovanni

Prima che inizi la discussione vorrei fare una breve dichiarazione.
Ieri avevo annunciato che avrei fatto un intervento sul bilancio; rinuncio a questo intervento per protesta in quanto, essendomi preparato sui contenuti sia dell'area 3 sia dell'area 2, così come avevo preannunciato all'una di questa notte mi sono accorto che tra i documenti non ne ho ricevuto una parte sostanziale di quanto avrei dovuto commentare. Credo di non essere mai intervenuto su cose che non mi competevano o sulle quali non avevo sufficiente preparazione.
I due documenti sul bilancio pluriennale e sui piani pluriennali di attuazione sono pertinenti a ciò che avrei dovuto dire ma non avendoli potuti leggere non sono in condizione, questa mattina, di poter svolgere l'intervento.
Chiedo che i Capigruppo esaminino la possibilità di stabilire, nel mese di gennaio, alla ripresa dei lavori del Consiglio, due sedute appositamente dedicate a questi due argomenti: il raccordo del bilancio 1980 o pluriennale con il piano di sviluppo e i piani pluriennali di attuazione il che,tra l'altro, a noi consente anche una presa di posizione politica sui contenuti delle modifiche alla legge 56 che dovremmo affrontare successivamente.



PRESIDENTE

La parola al Presidente della Giunta.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Il Consigliere Picco ha ragione sull'assenza di alcuni documenti, per dobbiamo dire che il processo che la Giunta ha sempre portato innanzi nella formazione del bilancio non era tanto quello di dare una serie di documentazioni che fosse già oggettivamente fissata e ferma, quanto piuttosto di farla scaturire da una serie di incontri della Commissione e della consultazione. Infatti qualche documento finale è venuto meno proprio dalla consultazione. Sono state fatte delle modifiche le quali sono state possibili soltanto nelle giornate di ieri e di oggi.
Accetto la richiesta del Consigliere Picco di un dibattito ai primi di gennaio.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE BELLOMO



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Rossi.



ROSSI Luciano

Signor Presidente, signori Consiglieri, la realtà politica che abbiamo di fronte in questa ultima fase del mandato amministrativo si presenta quanto mai complessa, basta ricordare l'attuale precarietà governativa. Non solo non siamo usciti dal tunnel della crisi, ma la realtà che abbiamo di fronte, se vogliamo guardare al futuro, senza angoscia, impone sempre più la necessità di un rinnovamento che trovi impegnato profondamente attorno ad obiettivi di fondo un grande schieramento di forze. La lotta al terrorismo per la difesa della democrazia dimostra quanto sia necessaria un'effettiva unità nazionale di tutte quelle forze che seppero già all'epoca della Resistenza lanciare quel grande messaggio unitario, che fu la condizione per riconquistare la democrazia e la libertà e per andare alla ricostruzione del Paese.
In situazioni così gravi per la tenuta del quadro democratico sarebbe anche necessario che l'apparato che opera in ogni istituzione dello Stato potesse operare con grande efficacia, ma il disagio di gran parte dei pubblici dipendenti è tale che sempre più urgente diviene una profonda riforma del modo di essere e di operare della pubblica amministrazione.
Ma il prospetto che dobbiamo avere presente è rappresentato dalla condizione generale del sistema delle autonomie, Regioni ed Enti locali sia sotto il profilo economico che delle funzioni.
A questo riguardo credo che la relazione dell'Assessore al bilancio sia assai interessante e significativa per comprendere come non sia facile raggiungere il traguardo della riforma sul versante delle autonomie e come le tendenze e le tentazioni centralistiche siano ancora radicate in certe forze politiche e della burocrazia centrale.
Tuttavia se noi guardassimo alle Regioni, alla nostra Regione, alla soglia del 1980 come se fosse quella del 1975 commetteremmo un grave errore e, anche al di là delle valutazioni che in quest'aula ogni forza politica darà al bilancio in esame, non siamo certo d'accordo con la conclusione sbrigativa di chi sostiene che sul terreno dell'ordinamento del potere in questi anni nulla è cambiato o quasi. Pensiamo solo un momento cosa ha significato la legge 382, anche se il D.P.R. 616 trova poi ostacoli ad essere attuato in tante sue parti, al rilevante trasferimento di funzioni e di poteri dalle Regioni e dallo Stato agli Enti locali. Teniamo infine presente il fatto che tutto questo è stato compiuto in carenza di un'attuazione dell'articolo 11 del D.P.R. 616 in termini di programmazione nazionale. Ma comunque il D.P.R. 616 c'è, e se mai c'è da chiedersi se tutto abbiamo fatto anche come forze politiche di questo Consiglio, perch fosse pienamente attuato dal potere centrale.
Egregi colleghi, proprio partendo da queste premesse generali riteniamo che il bilancio 1980 non solo è espressione di organicità rispetto alle iniziali scelte politiche, programmatiche della Giunta regionale, ma rappresenta una continuità dell'azione di governo, che non vuole dire solo permanenza di Assessori, ma soprattutto forte presenza politica delle istituzioni democratiche in un momento tanto grave per la stessa convivenza civile e democratica del Paese, per, oserei dire, la salvaguardia stessa della nostra Costituzione.
Non mi soffermo ulteriormente su quest'argomento che del resto è già stato oggetto di molte sedute della nostra assemblea.
Tornando al bilancio, signori Consiglieri, qual è il giudizio politico che balza subito agli occhi dalla lettura delle relazioni e dei dati del bilancio? E' molto semplice: la Regione ha in buona parte attuato il piano regionale di sviluppo e questo risulta dai dati di bilancio segnalando un passaggio di non ritorno dal punto di vista istituzionale ed operativo di grande importanza, quale quello che con la seconda legislatura siamo riusciti a saldare insieme programmazione e bilancio.
Per noi, collega Paganelli, programmazione vuol dire applicazione dello spirito dell'articolo 11 del D.P.R. 616, quindi programmazione vuol dire che l'Ente pubblico è il punto di riferimento di un processo di politica economica che investe tutti i settori produttivi e la nostra politica di piano. Basta leggere l'ultimo documento della Federazione degli industriali piemontesi per comprendere meglio, se ce ne fosse bisogno, la validità del nostro concetto sulla programmazione.
Vorrei essere chiaro a questo ultimo proposito, in quanto, anche come impegno personale, non ho mai lesinato critiche ai documenti finanziari della Giunta con l'obiettivo di fare utilizzare a pieno le potenzialità insite nella riforma dell'ordinamento contabile regionale; finalmente credo si possa dire che questo legame fra programmazione e bilancio si è ormai consolidato, e nonostante molti limiti e ritardi che testimoniano come il processo resti faticoso, sarà molto difficoltoso in futuro tornare indietro verso metodi superati ed inefficienti di gestione della cosa pubblica.
Fatta questa precisazione, ritorno al punto politico più rilevante e cioè che il dibattito sul bilancio non può non essere un dibattito sul piano di sviluppo, sulla sua attuazione, sulla giustezza delle linee di intervento prioritarie in esso annunciate.
La grave situazione economica nazionale di questi mesi, che trova un riflesso regionale nei nostri "punti di crisi", il problema degli approvvigionamenti energetici, le incerte prospettive di sviluppo dei grandi gruppi come la Fiat e la Olivetti con le vicende a tutti conosciute il permanere degli squilibri del Mezzogiorno con la constatazione del fallimento dell'intervento pubblico straordinario, sono tutti eventi che fanno amaramente constatare come gli indirizzi prioritari del piano di sviluppo fossero assai lungimiranti.
Certamente le due grandi scelte del piano regionale di sviluppo, e cioè la scelta in favore del Mezzogiorno, ed in direzione di un riequilibrio regionale delle attività produttive, decongestionando Torino ed insieme sviluppando tutte le iniziative favorevoli ad una riconversione industriale in direzione di settori tecnologicamente avanzati, erano giuste e si sono scontrate solo con le carenze della politica economica nazionale, oltre che con le relativamente limitate competenze in materia industriale della Regione. Non dimentichiamo poi le incongruenze dell'azione governativa sia per quanto riguarda l'attuazione delle procedure previste dal D.P.R. 902 del 1977 sulle agevolazioni per nuovi impianti ed ampliamenti industriali per le aree depresse del centro-nord, sia per quanto riguarda la gestione della legge 675 sulla ristrutturazione e riconversione industriale.
Soltanto ieri l'Assessore Alasia al riguardo del D.P.R. 902 diceva che dopo mesi e anni di discussioni, siamo ritornati nuovamente da capo perch il Governo ha respinto le proposte da noi unitariamente deliberate. Ciò non toglie, però, che la Regione abbia preso importanti iniziative politiche, a testimonianza della sua caratteristica di Ente politico, a fini generali partendo dalla Conferenza sull'occupazione dei 1975 per arrivare alle iniziative in occasione della vertenza Olivetti e della Montefibre.
Dicevamo della giustezza di fondo delle linee prioritarie del piano regionale di sviluppo che, com'è noto, si sono tradotte in una serie di programmi e progetti del piano pluriennale di attività e di spesa che in buona parte sono realizzati. Ma su questi mi soffermerò dopo.
Prima vorrei sottolineare il significato politico che assume la scelta di non andare all'esercizio provvisorio, nella linea di quella continuità dell'azione di governo cui abbiamo fatto riferimento in precedenza: nonostante la precarietà della finanza statale, regionale, comunale e provinciale, la Regione ribadisce la necessità di un reale coordinamento della finanza pubblica che si basi sulle procedure e sui meccanismi previsti dalle riforme legislative degli ultimi tre anni (legge 335/1976 legge 468/1978 e loro attuazione amministrativa). Tutto questo in presenza di una gravissima carenza da parte governativa anche per la mancanza di un bilancio pluriennale che rischia da un lato di paralizzare Comuni e Province proprio nell'anno in cui più è importante garantire la loro presenza democratica ed approfondire il loro legame con i bisogni dei cittadini e dei lavoratori, dall'altro di svuotare le potenzialità innovative del bilancio regionale.
Siamo ormai caduti in una spirale vorticosa che rischia di rendere impossibile qualsivoglia meccanismo di programmazione economica democratica e cioè fondata sul sistema delle autonomie.
Ricordiamo ancora che dalla riunione dell'Anci con i Ministeri è emerso che le prime quote di ripiano dei bilanci degli Enti locali per il 1979 saranno versate nel mese di marzo del 1980. Questo vuol dire non soltanto ulteriori indebitamenti per i Comuni ma, per riflesso, provocherà gravi remore nei confronti della volontà di investimenti, quindi sarà un altro incentivo al meccanismo dei residui passivi.
Inoltre le Regioni, ormai accerchiate da una legislazione settoriale di spesa sempre più a spicchi non comunicanti e da un'assenza di previsioni pluriennali di risorse certe e basate su meccanismi di rivalutazione equi rischiano di vedere smontata la loro azione di governo in mera azione amministrativa.
Nello stesso tempo il Governo non ha ancora preso seri impegni per una definitiva riforma della legge comunale e provinciale e della finanza locale che solo può precostituire l'ambiente esterno adeguato per l'azione di programmazione regionale; è inutile a questo proposito ribadire critiche che facciamo da anni, spesso proprio in occasione di queste discussioni sul bilancio; è inutile altresì ribadire il grido d'allarme presente nella relazione della Giunta, sugli elementi di divisione che rischiano di nascere tra Regioni da un lato, Comuni e Province dall'altro, in seguito a questo marasma giuridico ed all'assoluta carenza di una linea organica di politica istituzionale ed economica da parte del Governo (le vicende della legge finanziaria sono illuminanti a questo proposito).
Ma, signori Consiglieri, se spesso ci siamo lamentati di questa situazione, credo che oggi dobbiamo ugualmente affrontare con coraggio e responsabilità i nostri impegni, i nostri doveri verso la collettività regionale che rappresentiamo; verrei meno al mio credo politico se oggi mi limitassi alle recriminazioni ed ai lamenti e non pensassi anche agli aspetti largamente positivi dall'azione della nostra Regione, alle proposte di trasformazione che come Gruppo ci sentiamo di portare avanti.
Dicevo poc'anzi che il piano in buona parte è stato realizzato: ciò è un grande successo perché dimostra che la programmazione è possibile solo che ci sia una seria volontà politica dietro e che, una volta in atto, essa riesce a creare anche un tono più elevato del dibattito politico quale quello presente oggi in quest'aula.
Ecco, la mia fiducia nell'ordinamento regionale, nella Repubblica delle autonomie alle soglie della terza legislatura regionale deriva proprio da questo e credo che chiunque governi in futuro la Regione non potrà non tenerne conto.
Nello stesso tempo mi sembra che il metodo della programmazione abbia portato anche le forze sociali ad un confronto di merito sulle proposte di sviluppo regionale con contributi e stimoli interessanti e comunque utili per il dibattito democratico in Consiglio regionale, sì che noi rifiutiamo al di là dei limiti e dei ritardi che pur ci sono, l'accusa di "rito inutile" alle consultazioni.
In questo ci sembra di poter cogliere alcuni suggerimenti e proposte anche sul documento della Federpiemonte, al di là del fatto che in essa si sottovaluta il ruolo costituzionale della Regione di Ente di programmazione e di coordinamento oltre che di erogazione, per cui, ad esempio, diventa di grande rilevanza la gestione del fondo per la spesa sanitaria, anche se contabilmente magari non passa attraverso la Tesoreria regionale.
A questo riguardo mi sia permesso un inciso: pagare i medici, pagare gli infermieri, far funzionare gli ospedali è spesa corrente? Una volta per tutte si chiarisca scientificamente questo concetto. Far funzionare i servizi, pagare gli insegnanti delle scuole professionali non è spesa corrente. Semmai il problema sta nel vedere che tale spesa sia la più produttiva possibile. E' per questo che abbiamo fiducia nella riforma sanitaria, perché se riuscirà a decollare attraverso i processi democratici che si stabiliscono con le U.L.S. una programmazione precisa della spesa per la difesa della salute in fase preventiva e in fase curativa costituirà effettivamente una grande vittoria di democrazia, oltrech sociale.
Faccio un invito formale alla Giunta: comunque sia il ritardo delle leggi dello Stato, la legge finanziaria deve essere discussa dal Consiglio regionale, come punto di riferimento non come pretesto contro lo Stato.
Anche in assenza di un piano di programmazione sanitaria, la Giunta regionale presenti il suo piano, per cui, quando lo Stato darà le sue linee generali, se lo troverà sul tavolo e potrà dirci i punti in cui abbiamo sbagliato e quelli in cui siamo stati produttivi.
Se quindi si perde di vista questo ruolo della Regione, di promozione e di stimolo per una riorganizzazione insieme efficiente, efficace e democratica degli Enti locali, si perde molto del ruolo che le Regioni possono assumere per la riforma complessiva dello Stato e della pubblica amministrazione.
Inevitabile conseguenza di questa "miopia" è la ripresa dell'annosa polemica sui residui passivi", che tende a verificare l'efficienza e l'operatività dell'azione regionale solo attraverso uno o più indicatori di spesa e di velocità di tale spesa.
Accetto l'impostazione dell'avvocato Paganelli circa l'esame dei residui passivi che tende ad uscire dalla denuncia verso lo sbocco della revisione delle leggi, ad esempio, definire la legge quadro sulle opere pubbliche che si dimostra sempre più indispensabile. Il mio Gruppo lo aveva detto con chiarezza in I Commissione: bisognava sospendere tutto per tre mesi, un anno fa, per andare a questa legge quadro che unificasse tutte le procedure della spesa pubblica. Ma, al di là di tali aspetti, l'intervento del collega Paganelli sui residui è gravemente riduttivo perché si dimentica l'attività politico - amministrativa attraverso la quale la Regione non spende una lira o relativamente poco, ma che in termini di produttività generale del sistema socio - economico è di grande rilevanza (si pensi ai piani comprensoriali, alla promozione delle U.L.S.). Inoltre abbiamo più volte dimostrato che un discorso serio dei residui non può non essere un discorso generale di organizzazione e di procedure amministrative e in questi termini noi comunisti siamo pronti a confrontarci con proposte concrete che possano venire da più parti. Anzi, ci sembrerebbe importante verificare e confrontare queste proposte in quest'aula, alla luce dei principi di riforma proposti dal Ministro Giannini nel suo rapporto sulla pubblica amministrazione di recente presentazione al Parlamento. Ciò potrà essere utile anche per chiarire meglio i termini ed i contenuti in ordine alle iniziative da noi prospettate per la formazione degli operatori della pubblica amministrazione.
Infine voglio anche accettare il discorso sulla velocità di spesa più volte qui fatto presente. Credo che, a questa data, siamo già ad una spesa di circa 1.250 miliardi sul bilancio 1979. E' interessante capire le tendenze che si manifestano e capire i limiti, gli errori, le contraddizioni da correggere. Se pensiamo che la spesa per l'agricoltura fino al 1977 rappresentava solo il 12 % rispetto alle previsioni e nel 1978 indicava il 18%, oggi la spesa per l'agricoltura supera il 38% . Sulla competenza e sui residui siamo attorno al 35 %. Fra il 1978 e il 1979 la spesa fatta si aggira sui 200 miliardi.
Non dico che dobbiamo essere soddisfatti perché c'è ancora un grosso margine da recuperare anche se la linea di tendenza è positiva, ma quando parliamo della revisione della legge 63 siamo disposti a misurarci, ma non siamo però disposti a scavalcare gli organi decentrati della programmazione; siamo disposti a snellire i tempi, ma mai a scavalcare gli organi decentrati della programmazione perché i Comprensori hanno un grande compito da svolgere nella politica agricola a livello territoriale.
La critica deve sempre partire dal positivo, altrimenti non contribuiamo a dare idee chiare a chi nella Regione opera in base alle leggi che, tra l'altro, quasi sempre vengono approvate all'unanimità.
E, per concludere, ricordiamo ancora una volta che le erogazioni delle Regioni sono direttamente correlate ai flussi finanziari mensili provenienti dalla Tesoreria dello Stato per cui sarebbe opportuno che i critici dei residui passivi si facessero anche promotori di una richiesta di far partecipare le Regioni, in una qualche misura, alla politica di tesoreria dello Stato.
Occorre però anche andare alla regionalizzazione della Cassa depositi e prestiti, ma per questo lo Stato deve discutere i piani di sviluppo invece che tenerli in biblioteca. Questo non è un problema di parte, è un problema la cui soluzione dipende anche dall'impegno che sono disposti a dare gli amici della Democrazia Cristiana.
Signori Consiglieri, il bilancio di previsione per l'anno 1980 costituisce dunque una tappa ulteriore del processo di programmazione avviato nel 1977. Allora avevamo posto l'accento sulla rilevanza che assumeva il programma obiettivo di organizzazione e di informazione programma che oggi si può dire in buona parte realizzato. Con le ultime due leggi sul personale e sulle strutture, recentemente approvate, si è completato il disegno di riorganizzazione degli uffici regionali che era stato intrapreso con la legge n. 6 del 1979.
Il Consorzio per il trattamento automatico dell'informazione si è ormai consolidato e svolge una notevole attività di supporto tecnico dell'azione amministrativa della Regione, oltreché di stimolo e di ausilio per la ricerca scientifica dell'Università e del Politecnico, secondo le linee che erano state chiaramente enunciate nel piano regionale di sviluppo. L'Ires l'Esap e la Finpiemonte contribuiscono a rendere più efficace la programmazione regionale.
La relazione della Giunta regionale è già stata esauriente sull'attività svolta da questi Enti e sui compiti che essi assumeranno nel 1980 attraverso le risorse specificatamente previste in bilancio.
Ci sembra importante rilevare come con l'utilizzo di questi Enti strumentali, al di là di alcuni limiti e ritardi che pur permangono, si sia dimostrato l'esistenza di vie non traumatiche di riforma e di riorganizzazione della pubblica amministrazione locale evitando errori spesso compiuti a livello centrale (valga per tutti l'esempio degli sprechi nell'utilizzo dell'informatica nella pubblica amministrazione centrale denunciati esplicitamente dalla Corte dei Conti e dallo stesso Ministro Giannini).
Nello stesso tempo è andata avanti la politica di decentramento, sia garantendo efficacemente il trapasso di funzioni dalla Regione agli Enti locali, previsto dal D.P.R. 616, sia attraverso i Comitati comprensoriali che hanno svolto un ruolo prezioso garantendo un rapporto democratico tra Regione ed Enti locali. Tra l'altro l'attività dei Comprensori sarà corroborata attraverso il completamento delle relazioni sulla situazione socio-economica e territoriale dei Comprensori e dei primi schemi di piano comprensoriale.
La consultazione fatta con i Comprensori ha indicato la necessità che quanto prima il Consiglio regionale discuta i risultati raggiunti, anche per garantire che sia utilizzata appieno la possibilità di territorializzazione del bilancio regionale.
Signori Consiglieri, per quanto riguarda invece le aree di intervento mi sembra che si possano fare due osservazioni di fondo: 1) la progressiva settorializzazione e la conseguente destinazione vincolata delle nostre risorse di bilancio, al di là dei già rilevati limiti che ciò comporta per una politica di programmazione, non ha impedito un'azione di riorganizzazione di tali spese con una conseguente loro riqualificazione; il caso delle spese per l'agricoltura, per i trasporti pubblici e soprattutto per la sanità è a questo proposito assai indicativo 2) occorre ribadire ancora una volta che le scelte di bilancio non possono essere valutate solo in termini di cifre, in quanto interventi come quelli previsti nel programma per lo sviluppo industriale e dell'artigianato mettono in moto processi cumulativi di sviluppo che moltiplicano in misura rilevante l'impatto economico della spesa regionale.
Partendo da queste due osservazioni di fondo, risulta chiaro come la validità dell'azione regionale può essere garantita solo attraverso delle certezze: in altre parole non è tanto e solo un problema di cifre assolute di bilancio, ma di procedure sicure di assegnazione di fondi da parte dello Stato e di adempimenti amministrativi tempestivi da parte degli organi amministrativi preposti alla gestione delle leggi di riforma in atto nel Paese.
Poste queste premesse, sarebbe facile analizzare il bilancio regionale giustificando ogni stanziamento. Ci sembra invece importante rilevare gli interventi più qualificanti per lo sviluppo complessivo della nostra Regione a partire dalle spese per i programmi dell'agricoltura che, al di là di tutte le polemiche, hanno inciso nell'elevamento della produttività del sistema agricolo. Certamente rimangono delle difficoltà di ordine procedurale amministrativo che si tratta di superare con l'esperienza di lavoro maturata, ma comunque la capacità di spesa è arrivata a soglie non trascurabili, specie nell'ultimo biennio, pari a 200 miliardi circa.
Abbiamo già parlato dei programmi per l'industria e artigianato e ci sembra ora importante rilevare come condizione comunque irrinunciabile per un ordinato sviluppo industriale della Regione sia l'approvazione del piano regionale dei trasporti e di tutti i piani territoriali comprensoriali in corso di elaborazione. Nello stesso tempo la politica delle infrastrutture sviluppata direttamente o indirettamente dalla Regione garantirà l'attuazione di tale piano. A questo proposito ripeto ancora che un utile contributo per l'attuazione di tale politica potrà essere dato dalla proposta di revisione delle leggi sui finanziamenti per le opere pubbliche richiamata anche nella consultazione con l'Unione dell'edilizia del Piemonte, che certamente sarà definita entro il termine della legislatura.
A garanzia che lo sviluppo economico non sia però causa di dissesti idrogeologici ed ambientali, il completamento del piano dei parchi e dei programmi ecologici risultano attività indispensabili che il bilancio contempla sulla base delle specifiche leggi di settore.
Tuttavia sollecitiamo che i fondi stanziati siano rapidamente erogati per tali finalità anche in base alle priorità espresse dai Comprensori.
Invito, a tale riguardo, la Giunta a leggere attentamente le schede del Comprensorio dell'Ossola - Verbania.
Ugualmente il programma per lo sviluppo industriale va visto in maniera integrata con gli interventi previsti dalla recente legge sulla formazione professionale che purtroppo deve essere nuovamente approvata dal Consiglio dopo le osservazioni del Governo.
In ogni caso si continua nella direzione tesa a garantire la coerenza dell'attività di formazione con le esigenze del mercato del lavoro e dei processi di riconversione industriale secondo criteri chiaramente enunciati nella relazione dell'area di intervento specifica.
Auspichiamo poi che attraverso i 105 miliardi del piano decennale della casa, così come prevede la legge, entro gennaio i cantieri possano iniziare ad operare e che prosegua nei risultati positivi già raggiunti l'opera della legge regionale n. 27, per l'acquisizione ed il risanamento dei quartieri di interesse storico e culturale.
Nel valutare poi i risultati assai positivi già raggiunti dal piano dell'edilizia scolastica, invitiamo la Giunta regionale, nelle nuove variazioni di bilancio che saranno necessarie, a tenere presente la necessità di maggiori finanziamenti per l'edilizia scolastica minore.
Sulla spesa sanitaria poco resta da dire rispetto a quello detto in precedenza,se non la constatazione che essa è stata ricondotta all'interno della programmazione socio-sanitaria regionale e che oggi più che mai è da richiedere che il Governo rispetti gli adempimenti previsti dalla legge di riforma.
Egregi colleghi, abbiamo visto come il bilancio di previsione per il 1980 rappresenti una tappa importante per la vita politico - amministrativa della nostra Regione. Certamente, esistono ritardi e difficoltà originati da un quadro di riferimento esterno in cui diventa assai preoccupante la perdurante latitanza del Governo, se non la sua rinnovata volontà centralistica testimoniata dal rinvio di importanti leggi approvate da questo Consiglio regionale.
Voglio però ribadire che per il mio Gruppo questo quinquennio ha rappresentato un periodo di modificazioni e trasformazioni profonde nel modo di operare della nostra istituzione, incidendo nella stessa qualità del rapporto tra cittadini e Regione, attraverso un'azione che ha teso a rendere sempre più "trasparente" l'attività della Regione in coerenza con la scelta del metodo della programmazione. Vorrei, a questo proposito rilevare come la "trasparenza" non deve essere riferita esclusivamente al bilancio, ma deve coprire tutta l'attività regionale e per fare questo occorre attuare pienamente l'articolo 8 del nostro Statuto sull'informazione pubblica. Il nuovo Regolamento del Consiglio ha tenuto conto di queste esigenze, ma credo che per il futuro ancora più vasto dovrà essere il nostro impegno di diffusione dell'informazione, di educazione del cittadino per far valere i suoi diritti e far presente ogni forma di disservizio pubblico da lui rilevato. Gli impegni che ci troveremo di fronte per l'attuazione della riforma sanitaria dovranno essere permeati di questa filosofia di fondo, di partecipazione cosciente del cittadino a scelte fondamentali come quelle attinenti alla sua salute.
Ma, in generale, tutti i rapporti con l'esterno della Regione devono essere sviluppati e diffusi, in quanto la sua natura di Ente di legislazione e programmazione comporta necessariamente un'azione di coordinamento che deve essere supportata da adeguati strumenti informativi.
Ben vengano quindi critiche e suggerimenti per ovviare ad eventuali disfunzioni e ritardi, ma il principio di fondo della pubblicità, della trasparenza, in generale della partecipazione dei cittadini alla vita politica della Regione non può essere scalfito.
Abbiamo fatto questo discorso per ribadire il nodo politico in cui si dibattono le Regioni: alla fine della prima legislatura fu detto efficacemente che le Regioni si trovavano in un "cono d'ombra"; alla fine della seconda legislatura si può forse dire che il "cono d'ombra" si è ristretto (visto che ci sono più risorse) ma continua a rimanere. Quello che vogliamo dire è che il problema del rapporto Stato - Regioni - Enti locali, in definitiva il modello di Stato delle autonomie disegnato dalla Costituzione è ancora da venire e a poco vale il dilatarsi dell'azione regionale attraverso un aumento di risorse tra l'altro con tutti i limiti evidenziati dalla relazione della Giunta, se ciò comporta una progressiva amministrativizzazione della loro attività, depoliticizzandone i contenuti.
Ugualmente, poco valgono i vari decreti Stammati e Pandolfi, se poi come sta accadendo si rischia di riaprire la spirale dell'indebitamento comunale per inadempienze dello Stato. La disorganicità dei provvedimenti l'incertezza sui loro tempi, le riforme promesse e non fatte, portano come gravissima conseguenza un allontanamento del cittadino dalle istituzioni pubbliche elettive e soprattutto per queste ultime l'impossibilità di attuare un disegno compiuto di trasformazione dell'assetto socio-economico esistente in direzione di una società più giusta.
Questi sono allora i problemi politici di fondo che si trova ad affrontare anche la nostra Regione all'inizio dell'anno 1980. Occorre perciò un confronto franco con il Governo ed il Parlamento per fare conciliare la tendenza del modo di distribuire le risorse, in direzione di un'attuazione piena del disposto dell'articolo 11 del D.P.R. 616, sempre più citato e meno praticato, per un rilancio della programmazione economica nazionale e per un coordinamento di tutta la finanza del settore pubblico allargato.
Non è concepibile che, ad esempio, nel 1979 rispetto al 1978, la spesa complessiva dello Stato abbia avuto un incremento del 52,8%, mentre nello stesso periodo l'incremento dei trasferimenti alle Regioni dal bilancio statale è stato solo dell'1,3 %; ed ancora, l'incidenza della spesa statale sul prodotto interno lordo ha subito un incremento (dal 30,6 % al 39,5%) mentre l'incidenza dei trasferimenti alle Regioni dal bilancio statale diminuiva (dal 6,3% al 5,5 %). Il problema è dunque politico, prima che economico e finanziario, e qui sta la vera questione del peggioramento dei rapporti tra potere centrale e Regioni per la sistematica tendenza a trasferire sulle autonomie locali ogni onere derivante dalla necessità di riduzione della spesa pubblica.
Ecco, allora, egregi colleghi, noi comunisti vi proponiamo che la discussione sul bilancio 1980 sia occasione di una grande iniziativa e, in caso, battaglia politica perché proprio nell'anno del rinnovo dei Consigli regionali siano poste le premesse per un'azione più efficace dei nuovi Consigli attraverso la piena attuazione del disegno costituzionale.
Al di là delle questioni che potranno dividerci, credo che i Capigruppo potrebbero riunirsi in questa occasione per riprendere aspetti che riguardano i rapporti con lo Stato perché si dia urgente risposta al problema complessivo delle autonomie e perché il bilancio dello Stato venga corretto nella deformazione dei dati che ha riportato nel bilancio 1979 al fine di non ridurre maggiormente la fascia a nostra disposizione.
La Regione deve riconquistare, al di là di tessere di partito e di frontiere, la volontà politica per conquistare il reale potere previsto dal disegno costituzionale. In questo senso io e il mio Gruppo leggiamo il bilancio 1980 ed esprimiamo voto favorevole.



PRESIDENTE

Ha chiesto di intervenire la dottoressa Castagnone Vaccarino. Ne ha facoltà.



CASTAGNONE VACCARINO Aurelia

Proprio seguendo la traccia, che d'altra parte non è stata fatta nel momento in cui il Consigliere Rossi ha preso la parola, derivavano le critiche che il Gruppo repubblicano avrebbe dovuto fare sul bilancio.
Quali erano i principi ai quali si era ispirata questa legislatura, dai quali doverosamente dobbiamo partire? (Questo è anche un consuntivo politico di quello che è accaduto).
Il nuovo modo di governare era un modo di governare programmatorio.
Tuttavia solo nel 1977 si arrivava al piano di sviluppo il quale avrebbe dovuto procedere attraverso aree e progetti con la partecipazione dei Comprensori, che prevedeva e rendeva assolutamente necessaria la maggiore chiarezza possibile sia in linea politica sia in linea di trasparenza di bilancio.
Qui veniamo al primo fatto. La partecipazione è qualcosa che c'è dove la gente capisce di che cosa si tratta, ma dove la gente non capisce quasi nulla, come in questo bilancio, è estremamente difficile pensare che ci possa essere stata della partecipazione perché, o la partecipazione è dovuta al fatto che le varie forze politiche hanno già dato i loro lineamenti ai rappresentanti dei Comprensori e ai rappresentanti delle forze sociali, oppure, francamente, un bilancio che non può essere capito nemmeno dai Consiglieri regionali, diventa difficile pensare che possa essere capito dagli altri Enti partecipatori.
Che cosa non si capisce in questo bilancio? Non si capisce quali sono le risorse destinate al finanziamento di nuovi interventi e quali sono le risorse già vincolate alla realizzazione di interventi precedentemente decisi. In particolare gli stanziamenti relativi a slittamenti operati con le leggi regionali n. 8/1978 e 2/1979, i residui propri ed impropri, le reimpostazioni di assegnazioni statali, le annualità passive e i residui perenti agli effetti amministrativi. Tutto questo, se non è ben identificato in appositi capitoli a fianco o al di fuori di singoli programmi e progetti, rende assolutamente impossibile la lettura del bilancio.
Non solo, ma tutte le volte che arriva un bilancio, arriva contemporaneamente, nel momento in cui siamo già in aula per discuterlo una variazione di bilancio che comporta, per esempio, "giochetti" di 7 miliardi in più di interessi.



SIMONELLI Claudio, Assessore al bilancio e alla programmazione

La variazione ha come sua caratteristica proprio quella di seguire le consultazioni e di tenerne conto: è la risposta che la Giunta dà alle consultazioni e alle discussioni avute in Commissioni. Per forza di cose deve arrivare all'ultimo momento.



CASTAGNONE VACCARINO Aurelia

Mi consenta, Assessore, di trovare molto strano che durante le consultazioni siano stati reperiti 7 miliardi di interessi. La Regione a questo punto non doveva aspettare i suggerimenti. Evidentemente i suggerimenti della consultazione sono stati veramente straordinari! Come dicevamo, le difficoltà di lettura sono molto gravi e lo debbono essere tanto se, anche nella consultazione, l'Unione Industriale dichiarava che la trasparenza era pressappoco nulla; eppure questo documento è stato letto da un ottimo funzionario del Bilancio che in questo momento è dipendente dell'Unione Industriale (e questo fa parte di quel discorso di mantenere alla Regione personale qualificato).
Questa è soltanto una precisazione iniziale. Noi ci auguriamo che le difficoltà di lettura possano essere superate in seguito con un'altra impostazione di bilancio, che noi presenteremo come proposta in un ordine del giorno.
Per quanto riguarda i problemi di fondo della Regione, indubbiamente sono gravissimi e, per la Regione Piemonte, forse in questo momento si presentano ancora più gravi che per altre Regioni. Gli scopi e il fine che si proponeva il piano di sviluppo erano soprattutto centrati sul riequilibrio socio-economico, sulla riconversione industriale e sulla diversificazione industriale, quando questa fosse stata possibile.
Sappiamo qual'è la situazione nella quale ci troviamo oggi. L'industria dell'auto, non certo solo in Italia e non certo solo in Piemonte, si trova in grande difficoltà in rapporto alla crisi petrolifera. Le notizie giornalistiche ci dicono che l'industria americana licenzia un addetto su quattro dell'industria automobilistica; ci sono tutti i giorni tentativi di raggruppamento a livelli internazionali: è di ieri quello della Renault con la Volvo nel tentativo di superare questa situazione.
Non possiamo certo pensare, comunque, ad uno sviluppo dell'industria automobilistica quale c'è stato fino all'anno 1975/76 e più moderatamente negli anni successivi. Questo non può non avere un'enorme incidenza per quanto riguarda la Regione Piemonte e noi non possiamo non farci carico di questo problema, anche se le competenze in materia di industria non sono della Regione.
Tuttavia, in mancanza di un piano di riconversione dell'industria e di una diversificazione dell'industria, la crisi dell'automobile o quanto meno il non sviluppo del settore automobilistico, peseranno profondamente sulla nostra Regione.
Quali sono gli atteggiamenti della Regione per porre qualche rimedio a questa situazione? Questo è il nodo politico che noi non possiamo eludere.
Ci si può chiedere: che cosa ha a che fare questo discorso con il bilancio? Ha a che fare, perché visto che il nostro bilancio dovrebbe essere collegato al piano di sviluppo e con la programmazione, ha estrema importanza tutta una serie di questioni quali, per esempio, le aree attrezzate industriali e le nuove aree attrezzate artigianali.
Non si vede ancora nel bilancio come siano stati identificati questi problemi. I piani pluriennali di attuazione di cui non abbiamo notizia, ed esistono gravi carenze anche da parte del Consiglio regionale, non hanno dato luogo a nessun coordinamento; sono stati approvati così come i Comuni li avevano fatti e i finanziamenti regionali sono stati "contrattati". Non sono in grado di dire in questo momento se questa è una contrattazione programmata o se è una contrattazione che deriva dalle necessità, dalle richieste. Posso dire che in mancanza di piani comprensoriali ed in mancanza di un piano socio-economico regionale con possibilità attuative, i piani pluriennali di attuazione sono di fatto disattesi.
E così la mancanza del piano territoriale di coordinamento regionale comprensoriale incide profondamente sulle decisioni che si prendono nei confronti dei piani pluriennali di attuazione.
Mi si dirà che questa Regione non poteva fare tutto in cinque anni: la possibilità di cambiare il mondo non l'hanno né le Giunte di centro sinistra, né le Giunte di centro, né le Giunte di sinistra. Noi per partiamo dalle ambizioni che questa Giunta aveva avanzato e dobbiamo misurare le differenze che esistono tra quelle ambizioni e la realtà che si è attuata.
Solo questa mattina l'Assessore al bilancio ha incominciato a tracciare in larghe linee la relazione politica, quindi non ci è consentito di fare il bilancio vero e proprio delle attuazioni del piano. Siamo soltanto di fronte ad un documento di carattere contabile. Comunque, su di esso possiamo già fare alcune osservazioni.
Non ritorno sull'argomento dei residui passivi perché troppe volte se ne è parlato. Certo, essi sono sempre molto elevati. Inoltre non risultano residui passivi i conti accreditati ai funzionari: sottolineo questo argomento per la terza volta. E non risultano i fondi che gli ospedali hanno depositati in banca. Tutti denari che, in realtà, fanno parte della massa dei residui passivi.
E' vero, come ha detto l'Assessore alla sanità in occasione della discussione dell'ultima legge sanitaria, che la Regione Piemonte non ha avuto le disgrazie successe altrove, la "barella selvaggia", nelle proporzioni della Campania e del Lazio, ma questo non significa che le questioni piemontesi funzionino bene. Lo stesso Presidente del Consiglio lo può testimoniare avendo avuto urgente bisogno di un medico in un sabato e ha dovuto attendere un'ora e mezza. Quindi, non abbiamo ancora risolti i problemi dei dipartimenti di emergenza e di accettazione del pronto soccorso; abbiamo semplicemente detto: "la spesa corre" e questo sembra renderci contenti.
In realtà questo non ci può rendere contenti. La gestione della sanità quale noi dovremmo consegnare alle U.L.S., dovrebbe essere la migliore possibile perché nel momento in cui nuovi organismi assumono la responsabilità della gestione, non è possibile pensare che nei primi anni di questa gestione i nuovi organismi siano preparati a migliorarla pertanto se noi consegniamo una gestione deteriorata, certamente peggiorerà ancora, almeno per altri due anni. La situazione è estremamente preoccupante. Sciacquarsi la bocca sulla medicina preventiva e cose del genere è molto bello, purtroppo, siamo ben lontani dalla prevenzione perch non siamo arrivati nemmeno alla cura.
Non si dimentichi poi il tema della viabilità delle leggi piemontesi e del modo in cui sono state applicate. Più volte si è parlato da tutti i banchi del problema della revisione delle leggi. Senza di essa i residui passivi rimarranno tali. In alcuni casi gli Assessorati ci hanno dato precisi riferimenti, ma in altri casi non sappiamo nulla di quello che è successo e di come funzionano le leggi.
Recentemente la Consulta femminile ha fatto un esame accurato del funzionamento dei finanziamenti agli asili nido e dei consultori socio familiari. Ringraziamo la Consulta per questo contributo volontario, ma dobbiamo osservare che tale verifica doveva essere fatta dagli Assessorati competenti che devono stabilire se è utile o meno continuare a finanziare determinate strutture.
E veniamo agli organismi strumentali o pseudostrumentali della Regione.
Essi sono estremamente diversi. Non possiamo passare sotto silenzio il fatto che le diversità di impostazione che esistono all'interno della Giunta fra il Gruppo socialista e il Gruppo comunista hanno delle conseguenze gravi nei confronti degli Enti strumentali. Questo va detto.
L'Ires, per molto tempo, ha funzionato al di sotto delle sue possibilità a causa del non accordo tra comunisti e socialisti. La Promark di cui l'Assessorato in questa occasione non dice assolutamente niente, non sappiamo quali funzioni abbia e non sappiamo quanto riceve dall'Assessorato al commercio oltre il capitale già impegnato dalla Regione.
Finpiemonte. Nei confronti di questo Ente sarebbe necessaria una precisa indicazione di carattere politico. Non è un organo propositivo, ma è un organo di gestione.
Il riequilibrio socio-economico del Piemonte è uno degli scopi per il quale si sono impegnati tutti i Consiglieri di questa legislatura, tuttavia dobbiamo dire che la rilocalizzazione delle industrie non avviene nelle aree attrezzate, ma avviene nell'immediata cintura torinese per cui Torino potrà diventare una città di servizi, ma sarà serrata nella prima cintura da una morsa di ferro in quanto si parla di rilocalizzazioni a Orbassano, a Rivoli, a Settimo, zone già congestionate che certamente non favoriranno il riequilibrio piemontese. A parte il fatto che si tratta ancora di un processo di avviamento ma non ancora di un processo in atto.
Ci chiediamo se questo processo, così come viene portato avanti, sia corretto o meno. Comprendiamo le difficoltà della mobilità della manodopera e altre difficoltà che si frappongono alla rilocalizzazione delle industrie in aree extra torinesi e ci chiediamo se valga la pena di fare questa operazione, che ha un costo per la Regione non irrilevante, oppure se non sia opportuno ridiscutere completamente il problema delle rilocalizzazioni industriali.
Per quanto riguarda l'Ipla la gestione commissariale avrebbe già dovuto essere risolta. Sappiamo che, anche in questo caso, ci sono dissidi interni che impediscono la risoluzione del problema comportando ritardi impossibilità di gestione, formazione di residui passivi e la non chiarezza delle situazioni.
Si dirà che i repubblicani parlano sempre delle stesse cose, ma non possiamo tacere del problema del sistema cartografico (che possiamo chiamare il "sistema delle cantine"). Ci è costato quasi 8 miliardi, che non è cifra da poco, e su di esso si innestano non soltanto problemi sulla sua validità o meno, ma problemi di gestione che non può essere condotta dalla Regione, ma che, secondo le proposte della Giunta, dovrebbe essere fatta da altra società.
La gestione potrebbe essere attribuita al Consorzio automatico dell'informazione, ma anche su questo punto scatta uno dei tanti dissidi all'interno della Giunta. L'Ires ha risolto il problema, a mio avviso correttamente, nel senso che gestisce in proprio la struttura informativa dell'Istituto. Non sono, in linea di massima, favorevole ad un unico Consorzio.
Sono previsti, per il prossimo anno, circa 264 milioni per la reimpostazione del bilancio. Mi chiedo che cosa significhi questo e se l'impostazione data finora era sbagliata. Per quanto riguarda il programma per la distribuzione commerciale faccio alcuni esempi per dimostrare come si accumulano i residui passivi: abbiamo uno stanziamento di 3 miliardi per contributi agli Enti locali relativi agli investimenti per lo sviluppo della rete distributiva, ma abbiamo già 2 miliardi e 200 milioni di slittamenti dagli anni precedenti. La legge regionale 47/1975 non funziona tuttavia non viene modificata e non si capisce se questi miliardi accontentino gli Enti locali o se accontentino i commercianti per il solo fatto di vederli stanziati sulla carta: in realtà questi investimenti sono inutilmente iscritti a bilancio.
Inoltre 1.050 milioni sono stanziati per la propaganda commerciale e fieristica, per manifestazioni locali, nazionali, internazionali. Quanto va alla Promark? Qual è l'utile di ritorno delle manifestazioni promosse dalla Promark? La gestione attuale della Promark è passiva, come era in passato nonostante le numerosissime iniezioni e commesse della Regione, oppure è attiva? Area di attività. C'è una diminuzione di 14 miliardi per quanto riguarda le acquisizioni patrimoniali; ci era stato detto che si era di fronte ad una mezza legislatura e che si voleva lasciare libertà alla prossima legislatura nel campo delle acquisizioni. Certo, 54 sedi regionali sono già molto numerose e i costi di gestione ci fanno tremare le vene dei polsi.
Ci sono poi 180 milioni per la collaborazione con la stampa. In realtà questa collaborazione non è che la propaganda sull'attività della Giunta e a me sembra che tale cifra sulle spalle del cittadino per la propaganda della Giunta sia eccessiva tanto più che i partiti che fanno parte della Giunta ricevono già i finanziamenti nazionali, quindi le spese di propaganda le affrontino con quei finanziamenti.
Abbiamo inoltre 750 milioni per l'organizzazione di convegni e manifestazioni. Le settimane sovietiche, per quanto è possibile capire essendo ripartite tra i capitoli del commercio, dell'artigianato e della cultura sono costate 600-700 milioni e, francamente, le mostre che abbiamo visto non valevano quella cifra. Mentre l'Urss mandava a noi quelle cose modeste, inviava il tesoro del Cremlino a Parigi e devo dire che quella mostra era di tutt'altro livello.
Ancora 550 milioni sono previsti per acquisti di libri, riviste e periodici e su questo argomento abbiamo presentato un'interrogazione che attende ancora risposta: noi lo riteniamo uno stanziamento enorme rispetto ai risultati che si ottengono. L'austerità deve essere per tutti i cittadini ma anche l'Ente pubblico non deve dare esempio di sperpero ottenendo poi risultati assolutamente modesti.
E potrei continuare per quanto riguarda la formazione professionale soprattutto del personale paramedico che è ancora carente e senza del quale non raggiungeremo mai il livello europeo delle strutture sanitarie dal quale, per ora, siamo ben distanti. Certo, siamo partiti da posizioni molto arretrate e dobbiamo fare molta strada per arrivare ai livelli che sono assolutamente necessari. Anche se andiamo incontro al periodo elettorale che normalmente viene considerato più di scontro che di incontro fra le forze politiche, mi auguro che ci sia ancora la possibilità di operare in modo che la comunità non abbia a lamentarsi delle rappresentanze politiche che ha eletto, sia come maggioranza che come minoranza.
Il nostro Partito ha sempre fatto un'opposizione costruttiva e non ha intenzione di cambiare atteggiamento in questo periodo elettorale. Su questo l'intera Regione può sempre contare.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SANLORENZO



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Cardinali. Ne ha facoltà.



CARDINALI Giulio

Signor Presidente, Consiglieri, sarò breve perché le televisioni e i giornalisti hanno chiesto anticipazioni sul comportamento dei vari Gruppi a proposito del voto, quindi parliamo più per il testo stenografico che non per la realtà che sarà raggruppata in voti.
Inizierò con un breve ricordo personale. Nel gennaio o nel febbraio del 1971 l'allora Presidente Calleri disse in una Giunta, con gli occhi quasi lucidi dall'orgoglio, che il bilancio della Regione si configurava probabilmente in 60 miliardi. Oggi, alla vigilia del 1980, parliamo di un bilancio di 2.050 miliardi se guardiamo alle cifre generali e di 545 se molto più saggiamente, come dice il collega Paganelli, facciamo riferimento ai fondi che sono realmente impegnati e impegnabili da parte della Regione.
E' una situazione completamente diversa, una situazione che certamente non ha funzionato come era nelle aspettative e come era nelle grosse promesse fatte da questa Giunta.
Oggi, di fronte alle scadenze elettorali, di fronte a tanti prossimi canti del cigno, la stessa Giunta nella sua relazione tiene conto di questo fatto quando ripropone in termini accentuati il problema del contenzioso con lo Stato, problema che aveva lievemente sopito quando il Governo di unità nazionale reggeva le sorti del nostro Paese.
Si ripropone quindi questo tipo di problema sul quale credo si possa in parte concordare con ciò che viene detto nella relazione, anche se le difficoltà in cui si dibatte il Paese in generale vedono nello Stato il tentativo non di riversare sulle Regioni queste difficoltà, ma certamente di guardare alle Regioni come centri in cui le difficoltà forse hanno un peso e un significato minore. La situazione è destinata a peggiorare tant'è vero che il riferimento alla parola "giacobino" indicata nella relazione con riferimento allo Stato mi fa venire in mente l'equivoco di quella cara amica che diceva che quando si trovava in circostanze difficili, e qui evidentemente equivocava, aveva sempre una grande pazienza da giacobino evidentemente confondeva gli aggettivi riferibili al termine pazienza.
Tornando al problema che ci trova qui riuniti, credo che si possa definire l'atteggiamento del nostro Gruppo in un punto essenziale. Non facciamo un esame dettagliato delle cifre, non andiamo a verificare i singoli addendi delle somme. Per la verità anche nell'intervento, di carattere conduttore per quello che riguarda l'opposizione, del collega Paganelli mi è parso che ci fosse più un contenuto di carattere generale che un'analisi di carattere specifico, anche se ad altri interventi è stato affidato questo tipo di valutazioni.
Noi riteniamo di poterci mettere, nei confronti di questo bilancio nelle condizioni di chi vede non attuate, non realizzate promesse che purtuttavia erano contenute nel documento programmatico del piano di sviluppo, che noi abbiamo votato proprio come ipotesi di aspettativa a lungo raggio, come ipotesi sulla quale intendevamo essere concordi con le aspettative della Giunta. Se oggi traducessimo i risultati in un voto come quello all'epoca del piano di sviluppo finiremmo con il votare più per una prosopopea che per un'aspettativa e quindi non saremmo certamente in grado di farlo.
I soldi che la Regione ha investito direttamente sono stati in diverse circostanze investiti sulla base di leggi regionali che anche noi abbiamo sottoscritto. Riteniamo però che se andiamo ad analizzare i risultati obiettivi di tutto questo, non possiamo vedere, al di là del fondo permanente dei residui passivi, una deludente applicazione.
Il collega Rossi ha detto che c'è nell'operatività delle leggi regionali e negli interventi di investimento anche una serie di fattori moltiplicativi all'esterno.
Credo sia ora di portar li a conoscenza. L'ho già chiesto in altre circostanze e ho avuto una risposta per tre quarti positiva soltanto dall'Assessore all'agricoltura, che in realtà ci aveva confortato almeno con alcuni dati circa i risultati degli investimenti regionali in quel settore.
Sentiamo riparlare di revisione di leggi, per la quale eravamo disposti. Riteniamo che proprio la difficoltà delle procedure, la necessità di sveltirle, la necessità di renderle più snelle e più aderenti possa realmente dare una risposta positiva all'accelerazione della spesa e all'eliminazione di lunghi tempi morti che, sul piano dell'assetto territoriale, appaiono in tutta la loro evidenza. Non so quali risultati porterà la discussione sui piani di attuazione che andremo a fare. Vorrei perlomeno che si potessero quantificare in termini reali possibilità produttive ed attuative nell'ambito di una prospettiva che richiede dieci e che probabilmente ci troverà nelle condizioni di verificare che si potrà corrispondere soltanto con uno o due al massimo.
Queste sono le ragioni di carattere fondamentale, tenuto conto che il ridimensionamento delle aspettative della Giunta cozzano contro una serie di valutazioni che erano già state fatte dalle opposizioni, anche da noi nel momento in cui davamo dei mandati fiduciari, che forse fummo troppo frettolosi nel dare, ci pongono oggi nella condizione di non poter dire sì a questo bilancio e, quando diciamo che non possiamo dire sì, intendiamo dire che diremo no.



PRESIDENTE

Sono convocati i componenti della Commissione nomine congiuntamente ai Capigruppo.
I lavori riprenderanno alle ore 15.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 13)



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