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Dettaglio seduta n.30 del 20/01/76 - Legislatura n. II - Sedute dal 16 giugno 1975 al 8 giugno 1980

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SANLORENZO


Argomento:

Comunicazioni del Presidente


PRESIDENTE

La seduta è aperta, ma in un'aula dove le parole che si dicono non corrispondono agli atti che si compiono: abbiamo parlato di una ripresa dei lavori alle ore 15, i Capigruppo si sono riuniti puntualmente alle 14,45 ma adesso siamo ben al di là delle ore 15 e vedo meno della metà del Consiglio riunito. C'è qualcosa che va modificato nel comportamento collettivo, non è la prima volta che lo sottolineo, ma quando le sedute si concludono in un modo..



OBERTO Gianni

Sono le prediche inutili queste, signor Presidente, perché vanno indirizzate agli altri, noi siamo i fedeli che sentono sempre la predica.



PRESIDENTE

Lo so, lo so.
Ai Consiglieri presenti comunico il risultato della riunione dei Capigruppo che, a seguito del dibattito di questa mattina, ha deciso che si proceda (e stamani non era stato messo in discussione) allo svolgimento del punto concernente la relazione della Commissione che si è incontrata con la Comunità Europea; che si proceda altresì all'udienza della relazione dell' Assessore Astengo sul punto relativo all'urbanistica; che si proceda al rinvio del punto relativo alla RAI-TV, non perché non vi sia il documento della Giunta, perché è stato consegnato a suo tempo, non perché non vi sia un nuovo documento aggiuntivo che verrà consegnato nel pomeriggio e che concerne il regolamento della Commissione RAI-TV, ma perché e stato fatto presente opportunamente dallo stesso Comitato della RAI-TV che sarebbe in grado, entro non molto tempo di presentare delle proposte precise che concernono l'attuazione della riforma e allora è parso opportuno rinviare il dibattito a quando queste proposte saranno presentate.
La conferenza dei Capigruppo ha altresì deciso che al primo punto all'ordine del giorno del prossimo Consiglio si svolga un dibattito politico sulla dichiarazione della Giunta circa l'allargamento della maggioranza, secondo una disponibilità che la Giunta aveva già espresso in precedenza e che questa mattina era stata ribadita. Domani si riunirà la conferenza dei Capigruppo che fisserà la data di convocazione del prossimo Consiglio.
Vi sono obiezioni a queste decisioni? Non ne vedo, procediamo quindi alla trattazione dei punti all'ordine del giorno, secondo quanto è stato deciso dalla Conferenza dei Capigruppo.


Argomento: Rapporti delle Regioni con l'ordinamento comunitario - Questioni internazionali

Relazione di una delegazione del Consiglio regionale al Parlamento Europeo


PRESIDENTE

Signori Consiglieri, come voi sapete la delegazione del Consiglio regionale del Piemonte, composta dai Consiglieri Berti, Calsolaro Carazzoni, Cardinali, Chiabrando oltre che dal sottoscritto, si è incontrata nei giorni scorsi con le autorità del Parlamento Europeo a Lussemburgo e della Commissione delle Comunità Europee a Bruxelles.
Gli incontri di maggiore rilievo politico si sono svolti anzitutto con il Presidente del Parlamento Europeo, George Spenale, e con i parlamentari dei seguenti gruppi politici, nell'ordine: gruppo socialista, comunista D.C., liberale e conservatore. Gli incontri con la Commissione per le Comunità Europee si sono avuti attraverso il Commissario Thomson responsabile per la politica regionale e l'onorevole Scarascia Mugnozza Vice Presidente della Commissione.
A livello di informazione tecnica in ordine agli strumenti CEE sono state effettuate altresì riunioni con la partecipazione di funzionari responsabili nei settori industriale, energetico, ricerca, agricoltura e problemi sociali.
La delegazione ha potuto inoltre incontrarsi con rappresentanti delle organizzazioni degli emigrati italiani a Lussemburgo.
Questi incontri sono stati complessivamente 17, compresi quelli con l'Ambasciatore italiano in Lussemburgo e l'ora di udienza del dibattito in corso al Parlamento si sono tenuti in tre giorni per cui i colleghi potranno intanto essere rassicurati circa il fatto che non si è trattato in questo caso, di un'esperienza di turismo politico.



BERTI Antonio

Neanche in altri!.



PRESIDENTE

La precisazione tende a rispondere ad una polemica in generale che c'è verso le visite all'estero e tende a far sì.....



BERTI Antonio

Ma non della Regione Piemonte!



PRESIDENTE

Ah no, certo, mai.
Egregi Consiglieri, desidero ricordare subito gli obiettivi della visita della delegazione pie monte al Parlamento Europeo. E prima di tutto ciò che non abbiamo voluto fare.
Non siamo andati a trattare un aspetto della politica estera del governo nazionale. Non ne avevamo il mandato, il dovere e i poteri. Specie di fronte ad una crisi di governo. Non siamo andati nemmeno a proporre o richiedere interventi particolari per il Piemonte o per una politica autarchica che serva a risolvere i suoi problemi, Non abbiamo avanzato richieste finanziarie.
Prima di tutto perché le politiche autarchiche non hanno mai risolto veramente i problemi di un Paese e oggi, meno che ieri, di fronte alla gravità della crisi economica internazionale possono risolvere i problemi di una Regione, del nostro Paese e nemmeno quelli dell'Europa.
In secondo luogo perché nello stesso momento in cui la nostra delegazione illustrava situazioni particolari e generali che riguardavano il Piemonte, non dimenticava nemmeno per un momento che gli stessi nostri problemi possono essere risolti solo se contestualmente vi è una svolta radicale nella politica italiana e anche europea verso il nostro Mezzogiorno.
Infine la visita della delegazione piemontese al Parlamento Europeo non ha voluto essere, sia pure a livello diverso, una delle tante iniziative che si prendono frequentemente e a cui ci hanno abituati i diversi capi di Stato europei per ragioni di prestigio, cui seguono solenni dichiarazioni di principio e magniloquenti documenti. Al contrario siamo stati ispirati dalla consapevolezza della gravità della situazione in cui tutta l'Europa è immersa. Consapevolezza che, ad esempio, abbiamo trovato assai scarsamente riflessa - salvo anche lodevole eccezione e proprio da parte dei parlamentari italiani - nel dibattito cui pure abbiamo potuto assistere al Parlamento Europeo, scarno nell'impegno e in questo senso niente affatto esemplare se non per la forma degli interventi che erano si concisi, anche se ahimè, piuttosto vuoti.
Lo scopo della visita è stato invece quello di conoscere e di rendersi conto più precisamente dei termini di una realtà da cui non si pu prescindere e nello stesso, tempo dire alcune nostre volontà e opinioni in ordine a problemi generali e particolari che riteniamo debbano essere affrontati e risolti anche con il contributo delle nostre popolazioni.
Quelle di una Regione che è europea per la sua storia internazionale, per ciò che vi si produce, internazionalista per la maturità dei lavoratori che la caratterizzano, per la cultura politica che ha prodotto e da cui trae alimento la sua prospettiva. Una Regione che si è presentata agli incontri con una delegazione unitaria e rappresentativa, la prima del genere che abbia richiesto e ottenuto la serie di incontri politici che vi ho descritto.
Abbiamo quindi detto al Presidente Spenale che la nostra presenza a Lussemburgo e a Bruxelles voleva dire che non intendevamo restare osservatori indifferenti di fronte all'aggravarsi della crisi dell'Europa.
Abbiamo detto che considereremmo come negativa una crisi delle istituzioni comunitarie che riguardasse ancora più gravemente di quanto non sia oggi il processo di unificazione politica ed economica e fosse quindi tale da rinviare a tempo indeterminato, malgrado gli impegni recentemente assunti la creazione di un potere multinazionale. Il solo che possa risolvere quei problemi che gli stati nazionali non sono più in grado, ciascuno per conto suo, di dominare.
Abbiamo quindi denunciato come proprio in queste settimane abbiamo assistito al disimpegno delle multinazionali dalle attività produttive della nostra Regione (ne abbiamo discusso ancora stamani qui) dopo aver sfruttato tutte le congiunture precedentemente favorevoli. Proprio in questi mesi viviamo in Italia drammaticamente il riflusso di migliaia di immigrati che ritornano ai loro paesi di origine per cercare, senza trovarlo quel lavoro che non hanno più nei Paesi europei dove l'avevano cercato e trovato. Proprio in questi mesi avvertiamo l'urgenza di una radicale svolta nella politica agricola che è solo quasi comune, come si dice e che ha dato risultati largamente insoddisfacenti e contraddittori a quelli che erano gli obiettivi fissati.
E' inoltre un fatto che la divaricazione delle politiche nazionali è crescente, che da circa due anni si assiste ad una pratica paralisi da parte dei Consigli dei Ministri della Comunità Europea. Ed è anche purtroppo vero che vi è una progressiva disgregazione operativa invece che un aumento dell'unita, che prevalgono le tendenze protezionistiche e vari particolarismi invece dell'interesse generale. Si affermano nei fatti ruoli dominanti di questa o quella potenza europea in luogo di un'autentica collaborazione. Senza aver potuto prendere visione diretta dell'intero rapporto Tindemans abbiamo appreso e sentito commentare con giusta preoccupazione, anche se non in tutti gli ambienti della Comunità, la teorizzazione delle inevitabilità delle diverse velocità di marcia delle due Europe, quella dei Paesi di prima categoria e quella di seconda, fra i quali saremmo elencati anche noi assieme all'Inghilterra ed all'Irlanda. E' invece indispensabile una politica che sia comunitaria in quanto tende a superare gli squilibri fra singoli Paesi e a conquistare all'Europa una sua autonomia non tanto contro gli Stati Uniti o l'Unione Sovietica, ma capace di renderla protagonista della creazione di un nuovo ordine internazionale sulla base anche di principi che furono affermati nella convenzione di Lomé.
In questo senso abbiamo raccolto un invito del Presidente Spenale, e lo propongo oggi all'assemblea, di sollecitare il nostro Parlamento anche durante la crisi di governo a voler ratificare il trattato dato che siamo l'unico Paese della Comunità che non l'ha ancora fatto.
Nell'incontro che ho avuto stamani con alcuni parlamentari piemontesi mi è stata data l'assicurazione che oggi pomeriggio e domani,un sede di Commissione il Parlamento italiano affronterà questo tema e vi sono speranze che venga risolto, facendo anche eccezioni alle procedure parlamentari che d'altra parte già conoscono, in questo campo, eccezioni rilevanti.
Abbiamo sottolineato inoltre il nostro interesse e la nostra partecipazione ad una comune politica dell'energia, ad una comune politica industriale ed alla ricerca, quindi, di tutte quelle procedure che permettono in concreto alle Regioni ed al nostro Paese di esercitare un ruolo non subalterno.
Ma proprio perché le Regioni del nostro Paese sono nate da poco abbiamo potuto avvertire nella nostra recente esperienza tutta l'importanza fondamentale per la soluzione di qualsiasi problema economico, anche i più ardui, della necessità della partecipazione alle decisioni ed alle scelte delle nostre comunità regionali, attraverso tutte quelle forme e quegli istituti, anche nuovi, che garantiscano il ruolo determinante delle grandi forze popolari nel decidere le questioni del loro avvenire ed è per questo che possiamo proporre ed opporre alla crisi attuale della CEE (e lo abbiamo proposto nelle varie sedi e nei vari incontri che abbiamo avuto anche con i gruppi politici) l'alternativa democratica della creazione di una unione politica fondata su un largo consenso popolare.
Per questo, come forze democratiche europeiste, abbiamo affermato la necessaria trasformazione democratica della CEE, Abbiamo sostenuto l'indispensabile presenza immediata nell'attività delle istituzioni comunitarie del movimento sindacale, dei movimenti organizzati delle masse lavoratrici e la necessità dell'elezione di un Parlamento Europeo a suffragio universale da attuare con una legge elettorale, possibilmente unica, da svolgere nella stessa giornata in tutti i Paesi.
Solo così potrà nascere un Parlamento eletto dal popoli e solo così si potrà dare vita alla vera e nuova costituente dell'unione politica dell'Europa occidentale. Ma qui abbiamo potuto cogliere difficoltà oggettive, e carenze di volontà soggettive, ostacoli ancora da superare non lievi che non garantiscono affatto che la scadenza solennemente firmata a Roma diventi realtà.
Nello stesso tempo abbiamo tenuto a fare ben presente che le stesse elezioni non sono tutto e forse nemmeno l'essenziale.
Ciò che succederà nel 1978 con le elezioni sarà eccezionalmente condizionato dal modo in cui si avvierà a soluzione la crisi economica internazionale. Se in questi anni che ci separano dalla data delle elezioni si sarà riusciti ad ottenere una forma di controllo sulle attività delle multinazionali, allora nuove condizioni si saranno create e queste nuove condizioni si creeranno se si sarà attuata una politica di difesa dei lavoratori immigrati, se si avvierà una coerente politica di interventi strutturali che preveda una programmazione a medio termine dello sviluppo economico, una politica sociale dell'occupazione fatta con un orizzonte davvero europeo, una politica regionale attuata con dei fondi qualitativamente e quantitativamente diversi da quelli finora messi a disposizione, con una revisione radicale della politica agricola.
In questo quadro, alcuni dei temi che abbiamo discusso in sede tecnica ed in sede politica hanno avuto certamente un rilievo maggiore, come quello concernente le possibilità di controllo delle attività delle multinazionali.
Ci è stato detto come queste possibilità di controllo siano oggi solamente affidate ai poteri di indagine conoscitiva, che in qualche caso tuttavia, ha permesso di sapere cose che altrimenti non si sarebbero potute conoscere, come ad esempio nel caso delle società petrolifere e dell'IBM ma con l'esclusione di ogni altro potere; mentre la questione di tecnica giuridica per arrivare a questo controllo, è del tutto aperta. Ma qui le tecniche giuridiche e anche le legislazioni nuove devono fare i conti con la carenza di volontà politiche, perché è stato rilevato in un altro incontro, come un progetto per controllare le concentrazioni industriali presentato dal 1972, non abbia poi avuto nessun seguito, e proprio perch nessuno dei governi ha preso delle iniziative per arrivare a concertare una misura di questa natura.
Abbiamo poi anche capito che vi sono dei Paesi che nei confronti delle multinazionali non hanno nessuna intenzione di arrivare ad un qualsiasi controllo, ma che addirittura favoriscono queste attività e altri che hanno tutt'altri interessi e che anche se volessero fare questo controllo non hanno strumenti e mezzi per compierlo.
Un secondo punto che è stato certamente oggetto di particolare attenzione nei vari incontri che abbiamo avuto, è stato quello dell'utilizzazione, da parte dell'Italia, degli istituti della CEE così come sono attualmente e quindi dei fondi regionali, dei fondi sociali del FEOGA. E qui abbiamo appreso, non dico con sorpresa, ma è stata ribadita e percentualizzata una certa impressione che avevamo secondo la quale, ad esempio, il nostro Paese dà per il 20% e riceve per il 20% e c'è, in questa drammatica coincidenza di dare e avere, una delle componenti probabilmente delle due velocità di marcia dei Paesi forti e dei Paesi deboli.
Nello stesso tempo abbiamo conosciuto come l'opinione prevalente sia al Parlamento che negli altri ambienti della CEE, è che l'Italia non certo brilla per solerzia e per tempestività di provvedimenti attuativi delle direttive comunitarie e neanche per l'istruttoria delle possibilità che già esistono di intervenire perché il fondo sociale, il fondo regionale, il FEOGA e tutte le altre istituzioni della Comunità, siano per lo meno utilizzale da uno dei Paesi che certamente ne ha più bisogno.
Questa è l'opinione largamente prevalente e diranno i Consiglieri che hanno partecipato con me alla delegazione se questa impressione che ho ricavato e che presento all'attenzione del Consiglio non sia stata anche citata più volte da parti diverse e non certamente sospettabili di voler criticare aprioristicamente l'atteggiamento dei nostri governi.
Una terza questione che ci ha molto incuriositi è la Possibilità attuale dei rapporti nella nostra Regione con la Comunità. E lì abbiamo appreso delle cifre, dei dati che ci hanno detto come non si tenga conto della politica della CEE; vengono invece registrati numerosi episodi i quali rivelano un tentativo di tagliare fuori la possibilità di controllo politico della Regione Piemonte su finanziamenti, interventi, a favore di privati o industria privata, o settori dell'industria di vario genere.
Molti utilizzano invece, molto sollecitamente e molto precisamente, gli strumenti e i mezzi della Comunità. Ci sono state fornite delle cifre. Ad esempio ci è stato detto, che la Banca Europea per gli investimenti ha concesso 32 milioni di unità di conto (e ogni unita di conto è 625 lire) 20 miliardi, per un non meglio identificato intervento sulle infrastrutture che riguardano la Liguria e il Piemonte; e sono stati concessi 0,3 milioni di unità di conto per case di abitazioni per lavoratori, e 5,4 milioni di unità di conto per ristrutturazioni delle acciaierie ed altri investimenti e il FEOGA ha contribuito con 5,5 milioni di unità di conto per l'ammodernamento delle strutture agricole.
In qualche misura, interventi, anche rilevanti dal punto di vista finanziario, avvengono, ma qui è venuta alla ribalta, ed io la propongo all'attenzione dei Consiglieri e di tutti gli organi della Regione, il problema di un'immediata maggiore conoscenza di tutte queste strumentazioni, di tutti i meccanismi, di tutte le procedure e anche una conoscenza di ciò che viene fatto concretamente dalla Regione Piemonte ma che non inserito in una politica di programmazione, non conosciuto nemmeno a tempo debito, perché conoscerlo quando i fatti sono successi si tratta soltanto di prendere atto degli interventi che sono già avvenuti, tutto questo problema ci pone una serie di questioni che noi dobbiamo affrontare e risolvere, almeno sul piano della conoscenza come Regione, come Consiglio e come Giunta.
Tralascio tutta una serie di altre considerazioni che i Capigruppo che hanno partecipato con me alla visita avranno materia e spazio per svolgere.
E rilevo l'opportunità di concentrare qualche minuto di attenzione del Consiglio su alcune proposte, alcune suggestioni che possono derivare da questa visita perché se dal dibattito emergesse l'opportunità di racchiuderle anche in un documento, ne ravviserei l'utilità e l'importanza.
Intanto c'é l'invito esplicito che il Presidente della assemblea del Parlamento Europeo ci ha fatto, ad invitare il nostro Parlamento a ratificare la convenzione di Lomé. Ricordo ai Consiglieri che non avessero avuto occasione di i materia che quella di Lomé è un'importante convenzione firmata con 46 Paesi del Terzo mondo, dove, per la prima volta si dà il diritto a questi Paesi di accedere sui mercati europei senza limitazioni senza dazi doganali, senza difficoltà, salvo che per alcuni prodotti dell'agricoltura. E questa importante questione è stata ratificata da tutti gli altri Paesi della Comunità, meno che dal nostro Parlamento. Ho già informato prima circa l'ipotesi che questo accada ma sarebbe opportuno, e questo è un invito che ci è stato rivolto, di sottolineare questo elemento e di prendere una posizione come Consiglio regionale in questo campo.
La seconda questione che solleverei come utilità politica è quella di prendere una posizione quanto più possibile precisa, almeno per quanto è possibile prenderla oggi, sulle elezioni del Parlamento Europeo, perch anche su questo abbiamo capito che ci sono difficoltà oggettive, diversi sistemi elettorali nei vari Paesi della Comunità che obbediscono a tradizioni storiche, a meccanismi che sono assai differenti, pensate per esempio alla proporzionale che noi abbiamo e che l'Inghilterra non ha; la stessa Francia l'ha in forma assai corretta e diversa, ma esiste l'opportunità di prendere una posizione precisa, perché è in discussione anche l'ipotesi che si tengano queste elezioni, in quanto, accanto a queste difficoltà oggettive, vi sono poi ancora riserve, espresse e non espresse circa l'opportunità di tenere queste elezioni.
Io credo che noi dovremmo prendere una posizione perché le elezioni ci siano, si svolgano in un unico giorno e con il sistema elettorale più vicino a quello proporzionale, perché questo soltanto creerebbe la condizione per avere un Parlamento composto in una maniera radicalmente diversa da quella che è l'attuale.
Un altro ordine di questioni su cui si ravvisa l'opportunità di prendere una posizione come Consiglio, se i Gruppi lo riterranno opportuno è quella che riguarda la necessità di colmare tutti i ritardi dei nostri governi e l'opportunità quindi di prendere una posizione in un momento come questo in cui si sta formando, o si cerca di formare, un nuovo Governo circa la necessità di colmare tutti i ritardi e rimuovere le lentezze delle procedure per l'assegnazione dei finanziamenti e tutte le altre procedure che concernono i rapporti del nostro Paese con la Comunità. Perch altrimenti è un volersi mettere davvero nelle condizioni di debolezza senza che in fondo a ciò siamo costretti se non dalla incapacità dei Governi di fare quello che devono fare.
In questo quadro tutta una serie di precise richieste sono state avanzate. Io qui ne ricordo alcune e non perché debbano essere tutte quante inserite nell'eventuale documento conclusivo, ma certo è stata rilevata l'opportunità che il governo italiano assuma l'iniziativa volta a predisporre uno strumento legislativo di ricezione della direttiva comunitaria, sulla montagna per esempio.
E' stato rilevato - e sembrava quasi a noi, di assolvere ad una funzione di ricezione critica di un indirizzo che riguardava altri l'opportunità di impegnare i parlamentari italiani affinché in sede europea si facciano portatori delle tematiche regionali. E' stata rilevata la necessità - e questo lo potremo mettere come assunzione di responsabilità nostra, da parte della Regione Piemonte, e in realtà delle Regioni - che le Regioni prendano l'impegno di svolgere un ruolo di sensibilizzazione e di informazione verso le rispettive comunità sui temi delle elezioni del Parlamento Europeo, sui temi che riguardano la necessità della trasformazione della Comunità Europea, della sua democratizzazione e dei modi in cui questa democratizzazione può avvenire.
Sull'opportunità di una maggiore voce delle Regioni nell'ambito comunitario: qui occorrerebbe valutare l'opportunità di una rappresentanza delle Regioni nei Comitati di gestione del settore agricolo, nonché la possibilità da parte delle Regioni di essere sentite dal Comitato di politica regionale. Qui dobbiamo anche avvertire che tutta una serie di Stati che hanno ordinamenti differenti, per esempio la Germania, hanno dei loro rappresentanti inseriti nei meccanismi di decisione della Comunità Europea. E .allora si spiega anche che assieme alla maggiore efficienza di una burocrazia (per esempio quella tedesca, che certo non si fa cogliere impreparata nell'utilizzo di tutti gli strumenti della Comunità) vi è anche una differenza nella presenza di voci durante il controllo effettivo di questi strumenti, controllo che certo dovrebbe essere in qualche modo avviato allo studio per colmare il ritardo che abbiamo avuto, culturale e politico, in questo campo.
A livello regionale è stata ravvisata l'opportunità (i Consiglieri giudichino se è necessario farlo o meno) che le Regioni adottino, senza ulteriori ritardi, le norme procedurali necessarie per l'attuazione degli interventi previsti dalla legge nazionale di attuazione delle direttive comunitarie per la riforma dell'agricoltura (questa mattina abbiamo sentito da parte della Giunta l'impegno a risolvere questo problema nel più breve tempo possibile); infine che le Regioni attuino, in una nuova visione interventi legislativi uniformi a favore degli emigrati di rientro (e questo problema urgente è di questo ultimo periodo ) dando particolare rilievo alla formazione professionale poiché è chiaro che i lavoratori emigrati possono reinserirsi nei ciclo produttivo se vengono riqualificati professionalmente rispetto a ciò che era la professione che avevano nei paesi della CEE dove avevano trovato lavoro.
Sui progetti FEOGA e stata ravvisata l'opportunità che le Regioni valutino la necessità di costituire un fondo di anticipazione per dare sollecito corso alle opere previste, come misura tendente ad accorciare i tempi anche qui di intervento fra ciò che viene progettato e ciò che viene effettivamente concesso.
E' stato auspicato che il Governo italiano organizzi un convegno nazionale sulle direttive comunitarie per la montagna, c'è tutta una serie di altre proposte che i signori Consiglieri hanno nelle loro mani e che sono il frutto dello scambio di opinioni che abbiamo avuto ai vari livelli.
Come proposta che riguarda la Regione Piemonte, io mi permetterei, al vari organi della Regione, di suggerire l'opportunità di costituire un ufficio di collegamento con gli organi comunitari, con compiti di carattere informativo, di studio e documentazione, che potrebbero assumere la caratteristica di unità amministrativa negli uffici della Giunta regionale (se la Giunta regionale riterrà che questo sia utile) e la caratteristica di una Commissione di lavoro in quella del Consiglio regionale, ma Commissione di lavoro permanente. Abbiamo avanzato qui la proposta ed abbiamo trovato immediato consenso che sarebbe forse anche opportuno promuovere un incontro di lavoro fra la Regione Piemonte, i funzionari della Commissione della CEE e le autorità politiche della stessa CEE, per fare in modo che questa esperienza che abbiamo vissuto sia rapidamente trasferita a livello politico e a livello anche di tecnici da parte della nostra Regione. E' uno dei modi per superare ritardo culturale che abbiamo sentito, che poi si traduce in ritardo operativo ed in ritardo di efficacia di efficienza e persino di possibilità di programmazione degli interventi, sia pure modesti, che a questo punto possiamo fare.
Infine credo che questa questione potrà avere un suo coordinamento nazionale in Italia e potrà e dovrà avere una attenzione diversa da parte delle Regioni verso il governo del nostro Paese, per fare in modo che il nostro governo si faccia interprete della necessità di assicurare un ruolo delle Regioni nella Comunità, evitando qualunque suggestione di sostituirci noi alla politica estera del governo, o di prendere delle scorciatoie che tutto sommato, troverebbero un ostacolo obiettivo negli ordinamenti comunitari che prevedono tuttora un ruolo decisionale fondamentale da parte dei governi nazionali.
Sono soltanto alcune delle proposizioni e delle impressioni che mi è parso di poter cogliere dal resoconto che era stato consegnato ai Consiglieri, su cui auspico un conciso, ma se possibile approfondito dibattito, di modo che si possa anche arrivare a delle determinazioni che possano segnare per la nostra Regione, in questo settore, un passo in avanti nella costruzione di una complessiva politica regionale.
Qualche Consigliere intende intervenire? Il Consigliere Picco, ne ha facoltà.



PICCO Giovanni

A titolo personale, ed a nome delle Associazioni europeistiche torinesi e piemontesi, penso di poter esprimere la viva soddisfazione per questa iniziativa del Consiglio regionale, che ha certamente rotto una barriera non dico di indifferenza assoluta, ma di rapporti e sensibilità difficilmente innescate fra i nostri organismi istituzionali e la CEE.
Ritengo che le proposte, che il Presidente Sanlorenzo ha fatto in questa sede siano degne della massima attenzione ma necessitino di un approfondimento, perché si tratta di problemi complessi, che sono già stati dibattuti in varie sedi e costituiscono parte del patrimonio propositivo e promozionale che le Associazioni da tempo portano avanti; forse su un piano eccessivamente volontaristico e senza sufficienti raccordi con le istituzioni. Raccordi sono avvenuti nei grandi Comuni, le Province, forse con la Regione stessa, senza però coordinamenti che, a livello regionale indubbiamente ormai si impongono, perché le problematiche sono alla dimensione dell'importanza che e stata rilevata nella relazione del Presidente.
In questa sede, quindi, a parte l'adesione personale alle iniziative proposte, in particolare quella della creazione di un ufficio di collegamento con gli organismi comunitari e di una Commissione di lavoro permanente presso il Consiglio regionale, mi permetto, a nome delle Associazioni europeistiche, di rivivificare una proposta che probabilmente il Presidente conosce, relativa alla istituzione di una Casa dell'Europa a Torino. La proposta era stata avanzata a suo tempo, trovando probabilmente i tempi non sufficientemente maturi per una concretizzazione; una sede nella quale si possano raccogliere le Associazioni europeistiche con strutture di collegamento culturale con le istituzioni.
Penso che la Regione, che in questa fase avvia un processo di recupero di beni storici e culturali, possa tener presente questa esigenza delle Associazioni europeistiche; una esigenza da tempo sentita e che ormai ritengo si imponga con una iniziativa che veda la Regione impegnata in primo piano.



PRESIDENTE

Qualche Consigliere intende intervenire? Chiede di parlare il Consigliere Calsolaro. Ne ha facoltà.



CALSOLARO Corrado

Signor Presidente, signori Consiglieri la visita della delegazione del Consiglio regionale alle Istituzioni comunitarie - al Parlamento e alla Commissione - ha aperto una nuova fase nel complesso rapporto che coinvolge la Regione, lo Stato e la Comunità europea.
La nostra Regione, peraltro, aveva già in precedenza, nella passata legislatura, espresso alcuni atti politici importanti in funzione della partecipazione al movimento di democratizzazione delle istituzioni europee anche sul piano interno; con l'approvazione della proposta di legge al Parlamento nazionale per l'elezione unilaterale a suffragio universale diretto dei delegati italiani al Parlamento europeo; con la discussione del disegno di legge Natali per l'attuazione delle direttive comunitarie in agricoltura, ai fini del riconoscimento legislativo delle competenze proprie delle Regioni; con la proposta di legge al Parlamento nazionale per la costituzione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri di una Commissione interregionale per l'elaborazione e l'attuazione della politica comunitaria (per non citare che alcuni casi, a nostro avviso particolarmente significativi).
La visita dei rappresentanti dei Gruppi consiliari a Lussemburgo e a Bruxelles (la cui brevità, come ha già fatto rilevare il Presidente Sanlorenzo nella sua relazione non deve trarre in inganno i Colleghi sull'effettiva ampiezza del programma svolto, essendo stata somma cura del nostro Presidente del Consiglio di bandire ogni pur minima concessione all'aspetto turistico del soggiorno, se mi consente il collega Berti particolarmente "engagé", innovando in modo radicale sul vecchio metodo degli incontri europei di carattere festaiolo o folcloristico, alla "Jeux sans frontieres ", questa visita - dicevo - ha realizzato il contatto con una realtà largamente sconosciuta, o per lo più immaginata attraverso le rispettive convinzioni federaliste o le dispute politiche a base di saggi articoli, interviste, tavole rotonde, e così via, ha dimostrato, cioè l'esistenza di una realtà molto diversa.
Da questo punto di vista l'esperienza fatta è stata molto utile, e tengo a ringraziare - proprio perché da tempo seguo, anche se non da esperto, questi problemi - il Presidente del Consiglio per questa iniziativa, ed in particolare i funzionari che l'hanno organizzata con un impegno ed una puntualità veramente eccellenti.
Un'iniziativa che il Consiglio regionale ha assunto per primo fra tutte le Regioni d'Italia, così come è stato riconosciuto nel corso degli incontri da tutti i nostri interlocutori, e che implica, anche in questo campo una diversa visione, certamente più corretta istituzionalmente, dei rapporti fra Giunta e Consiglio delle diverse funzioni, delle rispettive competenze ed autonomie.
La democratizzazione delle istituzioni europee passa obbligatoriamente attraverso le elezioni dirette del Parlamento europeo. E l'impegno assunto da sette Capi di Stato e di Governo della Comunità europea al Vertice di Roma dello scorso dicembre, che fissa ad una data unica, nel maggio-giugno 1978, l'elezione popolare del Parlamento europeo rappresenta una svolta decisiva, storica, per la Comunità, nel senso che fornisce all'integrazione il motore politico e permette di infrangere le strutture burocratiche associando i cittadini nell'opera di costruzione europea.
Il Presidente del Parlamento europeo, il .socialista francese Georges Spenale, ha opportunamente fatto rilevare che "il Parlamento europeo insiste, sia per ragioni politiche che per ragioni psicologiche, perch queste elezioni si svolgano in una data unica in tutti i Paesi della Comunità" e che, "in ogni caso, l'impegno preso dal Consiglio europeo deve essere il segnale di una mobilitazione delle forze politiche e dell' opinione pubblica in tutti i Paesi interessati", "Resta però - ha detto il Presidente Spenale - un lavoro considerevole da compiere perché queste elezioni possano effettivamente aver luogo alla data stabilita. E'- un vero e proprio conto alla rovescia che comincia oggi. Pertanto, il Consiglio dei Ministri della Comunità deve subito decidere sul progetto di convenzione che gli è stato presentato dal Parlamento europeo".
Ci sembra, aderendo alle tesi del Presidente Spenale, che i problemi si incentrino su questi tre punti: 1) che le elezioni si svolgano effettivamente alla data fissata, e nello stesso giorno per tutti gli Stati membri 2) che il Regno Unito e la Danimarca - che non hanno contestato il principio delle elezioni europee, e che si sono sempre espressi per un continuo progresso della democrazia nella Comunità - recedano, prima del 1978, dalla posizione di "non impegno" assunta al Vertice di Roma 3) che, per quanto più direttamente ci riguarda, i poteri locali, e fra questi le Regioni, assumano concrete iniziative ai fini della mobilitazione popolare, delle forze politiche e sindacali, sociali e culturali, per la più larga partecipazione alla consultazione elettorale e la sua preparazione.
Si innesta nel quadro della preparazione il problema del sistema elettorale da adottare, al quale ha accennato il Presidente del Consiglio e che è stato oggetto di vari interventi nel corso degli incontri della delegazione.
La posizione dei socialisti su questo punto è che, sul piano dei principi è auspicabile che i vari Paesi elaborino una procedura uniforme fondata sul sistema proporzionale. Ci rendiamo però anche conto del fatto che i sistemi elettorali dei vari Paesi democratici corrispondono a tradizioni, mentalità e convinzioni fondate sul diverso modo di concepire la rappresentanza popolare e il rapporto di mandato che intercorre tra elettori ed eletti.
Non riteniamo opportuno entrare in questioni che riguardano i singoli Paesi, ma ci sembra necessario precisare - proprio perché è stato argomento sollevato nel corso di un incontro - che i socialisti francesi, a mezzo del loro Segretario nazionale per le relazioni internazionali, Robert Pontillon, e ancora più recentemente a mezzo del segretario del Partito Francois Mitterand, si sono dichiarati assolutamente favorevoli alla elezione del Parlamento europeo a suffragio universale, purché si effettui con lo scrutinio proporzionale. Lo stesso atteggiamento di favore e di appoggio alle elezioni popolari del Parlamento europeo è stato assunto nel Vertice socialista di Elsinore, secondo quanto recita il comunicato conclusivo emesso dai rappresentanti dei Partiti socialisti europei, in modo particolare dei Partiti socialisti dei Paesi della Comunità economica europea.
Per quanto riguarda il nostro Paese, pur essendo pacifica l'adozione del sistema proporzionale, manca tuttora una indicazione specifica dà parte delle forze politiche sui criteri elettorali da adottare.
Crediamo quindi di poter sottoporre a questo Consiglio la proposta che fermo restando il sistema proporzionale, vengano istituite circoscrizioni elettorali interregionali (le circoscrizioni regionali sarebbero infatti troppo piccole in rapporto al limitato numero di parlamentari da eleggere attualmente mi pare che i parlamentari italiani siano 66 o 67, e non dovrebbero comunque aumentare di molto), con il recupero dei resti su scala nazionale; e che venga fissata la incompatibilità tra il mandato europeo e quello nazionale o regionale.
Siamo invece contrari alla formazione di liste nazionali precostituite di tipo verticistico ed autoritario. Esse negherebbero all'elettore la possibilità di scelta dei candidati: un siffatto metodo di elezione in realtà non si discosterebbe gran che dall'attuale metodo delle elezioni di secondo grado.
La necessità di una presenza attiva dei poteri locali nel processo di integrazione democratica dell'Europa e l'importanza di una concezione articolata della Comunità che tenga conto dei vari livelli di potere e di decisione sono state riconosciute dalla stessa Commissione nel rapporto redatto per il primo Ministro belga Tindemans.
La pressione delle collettività di base, ai tre diversi livelli europeo, nazionale e locale - per l'avvicinamento del potere ai cittadini e per l'attribuzione di maggiori competenze alle istanze regionali e locali è un fatto generale, che caratterizza e costituisce l'aspetto fondamentale dell'evoluzione democratica della società attuale.
Il processo di trasferimento di una somma crescente di poteri a livello europeo non deve costituire, così come è stato fatto rilevare da numerosi membri della delegazione, l'occasione per un ulteriore accentramento - o per un recupero di accentramento - burocratico, ma per l'attuazione di un più largo decentramento, con l'obiettivo di garantire al tempo stesso l'efficacia delle decisioni e la massima partecipazione dei cittadini In questo quadro, la creazione di canali permanenti di incontro tra gli enti territoriali dei Paesi membri della Comunità e gli organi di questa per la realizzazione di un equilibrio istituzionale comunitario, deve condurre alla formazione di un'Assemblea - che non è ancora la Camera delle Regioni di cui si parla in sede di teoria politica - in cui siano organicamente rappresentati i poteri locali e regionali, quali istanze indispensabili di un ordine democratico decentrato e garanzia delle libertà collettive e personali, In questa prospettiva è urgente che sia creato nell'ambito comunitario, un organismo consultivo delle collettività locali e regionali, sull'esempio di quanto già e stato realizzato in seno al Consiglio d'Europa con la costituzione della Conferenza europea dei poteri locali.
La partecipazione delle Regioni alla consultazione per il Fondo di sviluppo regionale appare necessaria sia per una migliore conoscenza delle strutture del nuovo Fondo e dei suoi meccanismi di applicazione, per larga parte sconosciuti, sia per evitare attese miracolistiche destinate inevitabilmente ad andare deluse.
Il controllo del Comitato di politica regionale è stato conservato dal Governi nazionali (la decisione del Consiglio del 18 marzo 1975 stabilisce all'art. 3, che i membri del Comitato vengono scelti tra gli alti funzionari responsabili della politica regionale dei singoli Stati): deve pertanto essere garantita una consultazione dei poteri regionali da parte del Comitato stesso. La nostra posizione non può essere che questa: incontri diretti delle Regioni interessate ai finanziamenti del Fondo con il Comitato di politica regionale, attraverso consultazioni anche con le Commissioni del Parlamento europeo, e procedure scritte e informazioni tecniche a livello di Segreteria del Comitato.
Il Commissario Thomson ha confermato la sua disponibilità, almeno a parole, e - la sua convinzione che la politica comunitaria non possa fare astrazione dalla collaborazione e dal contributo di idee e di esperienze degli Enti territoriali. Crediamo a questo proposito di dover evidenziare due problemi di notevole interesse per gli Enti locali e regionali: quello delle politiche che, a livello regionale, nazionale e comunitario, devono essere elaborate e realizzate per contrastare le tendenze alla congestione economica ed urbana in alcune zone centrali del territorio comunitario, e quello dell'azione delle istituzioni comunitarie necessarie per rafforzare la cooperazione tra le Regioni situate alle frontiere interne della Comunità.
Sul primo punto esiste già una traccia, elaborata dalla Commissione di studio per la politica regionale del Consiglio dei Comuni d'Europa Consiglio dei Comuni d'Europa cui noi come Regione aderiamo, pagando anche le relative quote -, che contiene l'inventario e l'analisi delle zone di forte concentrazione nei vari Paesi membri della Comunità e delle misure da essi adottate per far fronte ai problemi che in esse si pongono; la valutazione dell'efficacia di queste misure; l'indicazione e le prospettive di una politica di decongestione a livello comunitario.
Occorre, in sostanza, una autentica politica regionale della Comunità: un intervento per la disincentivazione che in certe aree pone certamente delicati problemi, prima di tutto politici, ma anche giuridici e tecnici.
L'adozione di direttive comunitarie, una volta accolto in sede politica il principio di una responsabilità propria della Comunità in questo campo potrebbe essere un valido strumento normativo, data la loro flessibilità che, nel rispetto di alcuni principi ed esigenze stabilite a livello comunitario, permette al singoli Stati una loro attuazione adattata alle diverse situazioni nazionali e regionali.
Anche la società europea di sviluppo regionale, che è allo studio presso la Commissione della Comunità europea, potrebbe inserirsi in questo complesso discorso, in quanto essa, facilitando la ricerca e l'informazione sugli investimenti e l'assistenza tecnica, potrebbe influenzare anche la localizzazione degli investimenti.
Sul secondo punto - e cioè i problemi delle Regioni di frontiera - si tratta di fornire un inventario in materia di iniziative di cooperazione particolarmente nel campo dei servizi pubblici (trasporto approvvigionamento idrico, protezione dell'ambiente, e così via): mi sembra, comunque, che in questi punti la Presidenza del Consiglio si stia già muovendo per un incontro con la Regione Rhone -Alpes e con i suoi Amministratori locali, e lo ha infatti annunciato poco fa. Gliene diamo atto, con la nostra piena approvazione.
Ma un'azione diretta da parte di singoli poteri locali o di singole Regioni nei confronti della Comunità ha scarse possibilità di successo: credo che nessuno dei Colleghi che hanno partecipato agli incontri abbia dei dubbi su questi punti. Siamo così perfettamente convinti che non è con azioni di carattere frammentario, affidate all'iniziativa dei singoli Enti che si può ottenere il riconoscimento istituzionale dei rapporti tra le Regioni e la Comunità, ma con l'unione di tutte le energie dei Poteri locali in una battaglia comune a livello europeo.
Mi è sembrata assai significativa la precisazione del Vicepresidente della Commissione sul problema dei rapporti Regioni (e poteri locali) Comunità. " A livello informativo", ha tenuto a precisare: è un livello che ha certamente una sua importanza: ma non è il livello democratico, quel livello di partecipazione al quale si richiama il rapporto della Commissione a Tindemans, e sul quale pensiamo di doverci attestare.
Vorrei fare, quindi, alcune proposte, che non intendono evidentemente esaurire tutti gli argomenti, e che possono dare l'avvio ad una politica "europea" nuova da parte della Regione.
Sul piano nostro regionale: 1) la costituzione di un ufficio interno, a carattere dipartimentale che abbia come compito l'informazione, lo studio dei problemi comunitari l'istruttoria dei progetti. A tale scopo sarà necessario curare, con un'adeguata politica di formazione professionale, la preparazione di uno staff di funzionari esperti nelle diverse materie comunitarie. Le Comunità organizzano periodicamente dei seminari, che durano da qualche settimana a qualche mese: a questi seminari credo la Regione potrà inviare quegli elementi che, per le funzioni svolte o per particolare vocazione personale appaiono idonei allo scopo 2) la costituzione di una Intercomissione consiliare (sul tipo di quella a suo tempo creata per i problemi dell'Università) per i problemi europei.
Sul piano dei rapporti con lo Stato, proporrei: 1) la sollecitazione dell'iter parlamentare della proposta di legge di iniziativa regionale relativa alla costituzione della Commissione interregionale per l'elaborazione e l'attuazione delle politiche comunitarie 2) la definizione della questione relativa ai provvedimenti regionali che stabiliscono aiuti in relazione all'applicazione dell'art. 93 del Trattato (c'e la circolare del Ministero relativa alle leggi sulla zootecnia).
Sul piano dei rapporti con le altre Regioni: 1) un'azione congiunta - da svolgersi nei confronti del Parlamento e del Governo - di promozione per l istituzione di un'Assemblea consultiva delle Regioni e dei Poteri locali in seno agli organismi comunitari 2) la richiesta che le Regioni siano consultate nella fase di predisposizione della legge elettorale per il Parlamento europeo 3) un esame approfondito delle leggi regionali che dovranno essere emanate per l'attuazione delle leggi nazionali di recepimento della legislazione comunitaria. Noi siamo andati a dire che il nostro Stato è carente, e via dicendo. Ci siamo sentiti obiettare che anche le Regioni sono carenti, perché non hanno ancora approvato le leggi di attuazione delle leggi nazionali di recepimento delle direttive comunitarie, e ci hanno citato le leggi sull'agricoltura e sulle zone svantaggiate e sulla montagna 4) infine, l'utilizzo, proprio in quanto soci dell'Associazione Italiana per il Consiglio dei Comuni d'Europa, dell'Ufficio nazionale e dell' ufficio di collegamento di Bruxelles del C.C.E. per tutto ciò che concerne gli aspetti politici ed organizzativi, l'attività di informazione e di documentazione, gli uffici regionali per i problemi europei, la formazione dei funzionari, gli strumenti di intervento finanziario in favore dello sviluppo regionale (Feoga e direttive agricole, Fondo sociale europeo, Fondo europeo di sviluppo regionale, interventi CECA, prestiti BEI).
Il Fondo sociale europeo è stato uno degli argomenti sui quali si è soffermata - con particolare attenzione - l'indagine conoscitiva della delegazione. Esso prevede appunto, nella sua nuova disciplina, che gli Enti pubblici e territoriali possano accedere ai finanziamenti volti sia a far fronte alle ripercussioni che gli sviluppi dell'integrazione possono avere sull'occupazione, sia a contrastare le difficoltà che in questo campo si possono manifestare in alcune Regioni in taluni rami di attività economica o in gruppi di imprese.
Siamo venuti a conoscenza che numerose Regioni italiane, sia a Statuto ordinario che a Statuto speciale, hanno usufruito del Fondo sociale, o hanno avviato progetti a tale scopo per operazioni di formazione professionale dei lavoratori che abbandonano l'agricoltura per orientarsi verso altri settori produttivi o per interventi nel settore tessile e in quello dei minorati. A questi progetti sono interessate numerose imprese e decine di migliaia di lavoratori, nonché di formatori di quadri aziendali e docenti di formazione professionale.
L'analisi dei problemi, che si pongono in rapporto all'utilizzo del Fondo sociale europeo riapre poi il più ampio problema della competenza regionale in materia di formazione professionale e della riforma del decreto delegato di trasferimento delle funzioni statali alle Regioni in cui tale competenza appunto viene esclusa.
Fondamentale rimane anche il discorso dell'inserimento del Fondo sociale europeo in piani di sviluppo globale che non possono che essere elaborati dalle Regioni ed in un più vasto ambito di una politica regionale comunitaria per i problemi dei lavoratori migranti, cui ha fatto cenno il Presidente del Consiglio. Sono consenziente su quanto ha detto il Presidente del Consiglio circa il problema delle multinazionali: in sostanza, ci è stato detto che la Comunità non è in grado di intervenire su questo argomento, ma che ci sono delle possibilità di indagine. Noi crediamo che non si tratti di stabilire, così come ha fatto finora la Comunità in base alle norme del trattato, delle norme di buona condotta, ma dei poteri di controllo ai quali devono essere assoggettate le multinazionali. Esse sfuggono in quanto tali ad un corretto rapporto con gli Stati nazionali, sfuggono quindi a qualsiasi intervento di programmazione da parte dello Stato. E noi crediamo che, intanto, una risposta a questi problemi sia quella di far partecipare i lavoratori, le Regioni, i Paesi europei al controllo della economia e della società europea. Ciò significa anche, evidentemente, la democratizzazione della Comunità europea, che però non si incentra soltanto sulle elezioni popolari, ma deve concretizzarsi nel controllo dei cittadini sull'attività economica, ed in particolare su quella delle multinazionali, che recentissimamente ha suscitato preoccupazioni anche nell'ambito del Congresso americano, Anche là, infatti, l'attività delle multinazionali sfugge al controllo del Parlamento e dello stesso Governo americano, e persegue fini che sono in contrasto con gli interessi dei cittadini, del popolo, dei lavoratori americani.
Ci è stata fatto rilevare che le Regioni italiane hanno una sorta di timidezza nell'affrontare i problemi comunitari, come se questi fossero problemi che devono essere affrontati soltanto dai Vertici dei Capi di Stato europei. Noi siamo invece convinti che i problemi comunitari sono problemi che interessano le Regioni direttamente, e pensiamo che lo sviluppo dell' Europa dipenda in larga parte dalla politica che le Regioni sono in grado di decidere e di realizzare.
Il Presidente del Consiglio ha accennato al rapporto Tindemans, che noi non siamo riusciti ad avere. Io credo che sarà molto interessante, magari in occasione della discussione sul piano di sviluppo regionale, affrontare anche questo tema (i due treni che corrono a diverse velocità; una immagine che mi ha fatto tornare alla mente la paradossale storiella della tartaruga e della lepre dei filosofi-matematici greci, variata in quanto là partiva prima la tartaruga mentre ora partirebbe prima la lepre, per cui se allora si argomentava che la lepre non avrebbe mai raggiunto la tartaruga possiamo essere ben certi che questa tartaruga, che parte dopo, non potrà mai raggiungere la lepre, a meno che attenda che abbia fatto il giro del mondo, per potersi affiancare a lei) C'é poi il problema della fascia europea meridionale (di quelli che Papandreu chiama i "negri bianchi" d'Europa), dell'area mediterranea, del colloquio Nord-Sud.
Vorrei, concludendo, richiamare l'attenzione del Consiglio e della Giunta sulle proposte operative formulate. Ritengo giusto che il Consiglio si pronunci su di esse, dichiarando il mio consenso sulla relazione svolta dal Presidente Sanlorenzo e rivolgendo invito al Consiglio non tanto nel senso che la Regione si ponga il problema di essere la prima della classe anche se m realtà ha dimostrato in questa occasione di esserlo, ma di operare con coerenza e responsabilità per la costruzione di un'Europa veramente libera e democratica.



PRESIDENTE

Chiede di parlare il Consigliere Cardinali. Ne ha facoltà.



CARDINALI Giulio

Signor Presidente, Colleghi Consiglieri, proprio questa mattina ho avuto motivo di compiacimento dalla constatazione, rilevata nei resoconti stenografici che sono stati distribuiti, i primi della nuova legislatura che nello scorso mese di luglio, intervenendo a proposito del programma della Giunta, avevo invitato l'Amministrazione regionale a prendere contatti con la Commissione CEE, perché ritenevo che la presenza regionale presso gli organismi comunitari fosse un fatto essenziale. Debbo dire che non era la prima volta che a nome del mio Gruppo avanzavo questa richiesta: già precedentemente, essendo Presidente della Giunta il Consigliere Oberto avevo chiesto che questi contatti fossero stabiliti, non evidentemente a livello di ambasceria ma certamente a livello di conoscenza.
Questo perché, avendo avuto la fortuna, un anno fa, di recarmi a Bruxelles per conto del mio Partito - ebbi già occasione di dirlo -, mi ero reso conto delta importanza enorme, fondamentale, forse più per il nostro Partito che per altri che si sono scoperti europeisti un poco recentemente che ha l'Europa per un futuro che noi configuriamo evidentemente basato su una grande azione riformatrice, rinnovatrice dell'Europa, nella quale possa in qualche maniera riconoscersi non soltanto l'Europa attuale ma anche l'Europa che sta al di là dell'Elba. L'intendimento - lo dissi anche nel mio Partito - per noi era maggiormente impegnativo in quanto in Europa abbiamo molti più amici, anche sul piano numerico, di quanti ne abbiamo in Italia, e c'era il problema, evidentemente, di spostare i termini del dibattito su un piano più ampio, dato che è in quella sede che si risolverà il futuro non solo italiano ma anche del nostro Continente. Ebbene, il fatto che una rappresentanza della Regione Piemonte sia ora stata a Bruxelles ed al Lussemburgo ha coronato l'aspettativa del mio Gruppo.
Abbiamo purtroppo verificato che le circostanze virtualmente non sono mutate rispetto ad un anno fa, per lo meno per quanto riguarda l'incapacità italiana in senso generale di vedere il problema europeo come un problema di inserimento che ci aiuti a risolvere difficoltà di ordine economico e di ordine sociale, ma anche per la carenza di qualsiasi azione di tipo regionale, che proponesse i termini di un rapporto corretto con la Comunità europea.
Gli incontri che abbiamo avuto, sui quali ha riferito il Presidente del Consiglio, ci hanno permesso di avere un quadro delle possibilità, un quadro delle carenze, e ci hanno dato indicazioni, scaturite dalle proposte degli stessi funzionari, per effettuare quei passi che realmente possono portare a risultati concreti.
Io credo che uno dei passi principali che la nostra Regione deve compiere, rimanendo nell' ambito di quella modestia che il Presidente del Consiglio, del resto, ha dichiarato anticipatamente, dicendo che non andavamo come sostituti della politica estera nazionale, sia quello di avere un gruppo di funzionari che siano permanentemente al corrente di tutto ciò che si verifica nella Comunità europea e in grado di investire la nostra Regione dei vari problemi che là vengono elaborati per metterci in grado di valutarne la portata sia sul piano nazionale che su quello strettamente regionale. Credo che sia questa la cosa che possiamo fare immediatamente. Abbiamo lasciato là alcune conoscenze, non diciamo amicizie, che potranno essere utili sotto questo profilo. Credo che la conoscenza precisa dei problemi che maturano a livello europeo ci permetterà, con le altre Regioni italiane, nell'ambito dei canali attraverso i quali, tutto sommato, siamo obbligati a passare, di esercitare una spinta che porti l'Italia ad essere realmente una compartecipe della realtà europea e non soltanto un Paese che protesta, o che si fa sentire nel momento in cui scoppia il problema del pomodoro, o del pompelmo israeliano, o dei vini, francesi.
La realtà italiana deve avere obiettivi e ambizioni ben maggiori. Anche perché, ovviamente, l'atmosfera che abbiamo avvertito, nel corso del dibattito che si svolgeva nel Parlamento e di cui abbiamo in parte sentito la escussione, cioè quello relativo alla relazione Tindemans, lasciava sì intendere che probabilmente non sarà tutto automatico nelle proposte ai singoli Paesi europei, ma che quel corso più o meno accelerato dipenderà in grandissima parte dalla volontà e dalla decisione dei singoli partners. Noi respingiamo ovviamente questa prospettiva, ma non possiamo comunque non ritenere che l'Italia abbia possibilità notevoli tuttora di procedere a passo accelerato o a passo almeno pari a quello delle altre Nazioni europee.
Abbiamo avuto indubbiamente una serie di incontri interessanti, che ci hanno rivelato come, al di là della nostra stessa volontà e possibilità di conoscere, certi rapporti avvengano e passino sulla nostra testa anche in una realtà regionale che non sia tenuta sotto debito controllo.
Ci siamo poi fatti portatori di una serie di problemi. Abbiamo sollevato il problema delle multinazionali, in quanto scottati dalla situazione che viviamo in Piemonte. Ma io credo che il problema dell'Europa debba essere visto in là. E vorrei sottolineare un fatto che ha forse del paradossale: io credo che le due multinazionali più pericolose e comunque più preoccupanti per l'Europa siano quelle costituite dalle quindici o venti divisioni americane di stanza in Germania e dalle quaranta o cinquanta divisioni che premono costantemente lungo l'Elba. Quelle sono le multinazionali che realmente possono preoccupare e impedire quel rilancio europeo verso il quale noi tendiamo. Sono lieto di avere ascoltato, nei rapporti, per esempio, con il Gruppo consiliare al Parlamento europeo del Partito comunista italiano, una disponibilità, anche in contrasto con le posizioni assunte dal Partito comunista francese, non in merito a problemi di piccolo momento ma in merito a problemi fondamentali, come quello di una prospettiva di democratizzazione dell'Europa che è in sostanza il più concreto atto di fede nell'Europa stessa.
Questo viaggio ha costituito una esperienza validissima, che la nostra Regione deve fare propria, su quelle indicazioni che sono state date. Il mio Gruppo aderisce a tutte le proposte che sono state avanzate nella relazione del Presidente del Consiglio, a quelle che ha fatto testè il collega Calsolaro, perché tutti gli sforzi che faremo in questa direzione saranno certamente utili ed interessanti. Vogliamo arrivare al più presto alla elezione di un Parlamento europeo: La metodologia, il meccanismo elettorale, probabilmente, almeno nella prima votazione, non sarà certamente unico, perché la resistenza di Paesi come l'Inghilterra e la Francia prevarrà certamente sulla buona volontà di tutti gli altri, ma noi vogliamo che comunque a queste elezioni si addivenga, perché la dilatazione dei nostri problemi in un contesto europeo certamente allarga la visione e ci tranquillizza per il futuro.
Per quanto riguarda la nostra Regione, siamo convinti di essere stati ambasciatori di tesi valide e soprattutto portatori di una realtà che dobbiamo in questo momento elaborare in termini concreti per renderla sempre più efficace, sempre più stretta in rapporti che collochino la nostra Regione non in una ambiziosa posizione di prima della classe ma in quella di promotrice di iniziative che trasferiscano la realtà europea in Italia, ove purtroppo questa realtà tarda ancora a manifestarsi.



PRESIDENTE

Chiede di parlare il Consigliere Chiabrando. Ne ha facoltà.



CHIABRANDO Mauro

Desidero esprimere, a nome anche del mio Gruppo, la piena soddisfazione per il viaggio che è stato compiuto, e sottolineare come lo scopo informativo culturale che ci eravamo prefisso sia stato pienamente raggiunto per la dovizia, la qualità, la freschezza, vorrei anche dire delle notizie che abbiamo potuto acquisire.
Farei in proposito due osservazioni di diverso tipo.
La prima riguarda problemi che stanno al di sopra di noi, al di sopra della Regione: problemi internazionali, politici,ad alto livello. Questi problemi, già citati, su cui abbiamo attinto anche informazioni, ma sui quali la Regione non può direttamente intervenire, fatta salva ovviamente l'azione politica che ognuno di noi deve svolgere nelle varie sedi politiche in cui opera, sono molti e grossi: sono i problemi delle multinazionali. Interessandoci di queste questioni mossi dalle difficoltà economiche in cui si dibattono le industrie della nostra Regione, abbiamo dovuto renderci conto di come siano scarse le possibilità di intervento anche da parte della Comunità europea: non si va oltre le solite indagini.
E quindi ci siamo spiegati come queste cose avvengano purtroppo anche da noi.
Abbiamo avuto notizie interessanti anche - e su alcune situazioni sarà poi il caso, di fare un attento esame - sui difficili rapporti che esistono talvolta fra diplomazia italiana e i nostri emigrati.
Abbiamo ottenuto informazioni sul sistema di votazione verso il quale ci si sta orientando per la prossima elezione del Parlamento europeo, per il quale ci siamo pronunciati singolarmente (credo che qui tutti siamo concordi nell'affermare come sia da sostenere il sistema di elezione italiano, con la speranza che anche gli altri Stati si adeguino il più possibile a questo tipo di impostazione e di elezioni).
Abbiamo anche potuto notare come oggi, presso gli uffici della Comunità europea, ci sia una prevalenza di potere da parte della burocrazia rispetto al potere politico e democratico, che è quello più importante.
Il Fondo sociale, sul quale abbiamo anche appreso dati interessanti di intervento, ci è parso in effetti inadeguato rispetto alle esigenze specialmente alle esigenze nostre, italiane e piemontesi.
Questi sono i problemi grossi, che io ho colto, che sono veramente di importanza di carattere politico. E' chiaro, comunque, che ognuno dei membri della delegazione, come dicevo prima, si deve far carico di questi problemi e deve portarli avanti e dibatterli nelle sedi politiche ove opera, al fine di accelerarne il più possibile la soluzione. Non credo quindi sia fuori luogo che anche in questa sede di Consiglio regionale questi problemi vengano posti in luce e vengano quindi anche additati alla pubblica opinione perché se ne faccia carico in modo più giusto e più democratico, e non possiamo fare a meno di auspicare, aggiungo, che l'elezione del Parlamento europeo avvenga con urgenza, nel rispetto dei termini che abbiamo conosciuto, perché la sua entrata in funzione è urgente per il rilancio della unità politica ed economica comunitaria, di auspicare che siano posti in atto strumenti più validi per il controllo delle multinazionali, che ogni Stato membro adegui il più possibile la propria politica economica, monetaria e fiscale - questo è il nocciolo di tutto ai principi comunitari, perché senza questa uniformazione difficilmente si risolveranno problemi come quello delle multinazionali ed altri ancora che sono sul tappeto.
Questo è il primo gruppo dei problemi che sono in evidenza e di cui noi ci siamo fatti carico.
Il secondo gruppo è costituito dai problemi concreti, spiccioli, sui quali però noi possiamo intervenire molto e fare qualcosa. Riguarda in particolare la capacità - che è assolutamente inadeguata, come è stato dichiarato e sottolineato da tutti i nostri interlocutori - di utilizzare i fondi che già oggi la Comunità europea mette a disposizione, e la lentezza delle procedure caratteristiche italiane per l'attuazione dei programmi previsti. La relazione che è stata distribuita, e che contiene una sintesi di tutti gli incontri, reca molte frasi sottolineate: sono le frasi che richiamano il potere, la presenza della Regione, la possibilità della Regione di fare qualcosa. Si tratta, in sostanza di accelerare le procedure, di abbreviare il più possibile i tempi tecnici e burocratici per i vari finanziamenti, che riguardano in particolare l'agricoltura, con il FEOGA, l'Industria e l'occupazione, con il Fondo sociale.
E' chiaro che in questi meccanismi che non funzionano la Regione costituisce un ingranaggio importante, e pertanto è urgente porre allo studio le soluzioni idonee da attuare come Regione e da prospettare anche ai Ministeri competenti. Innanzitutto, è necessario conoscere - l'abbiamo detto e ce lo siamo detto - per poter operare. E' indubbio che le disposizioni comunitarie sono oggi scarsamente conosciute; non soltanto da noi politici ma anche dai nostri tecnici, dalle persone che presso i nostri uffici sono incaricate di attuarle. Un ufficio regionale - è già stato accennato -, seppure molto ridotto, di poche persone, che si occupino di questi problemi sarebbe senz'altro utile, perché potrebbe informarci tempestivamente e dettagliatamente sui provvedimenti comunitari. Abbiamo appreso - è un dato che non ho sentito citare da alcuno - che le Comunità europee sfornano ben dieci provvedimenti al giorno, tremila all'anno (ce ne saranno anche di quelli di modesta portata, ma alcuni sono grossi), e noi non abbiamo finora avuto modo di conoscerli per poterli applicare con tempestività. Nel contempo, questa equipe di persone potrebbe permettere anche alla Regione di svolgere non soltanto un'azione di recepimento per l'attuazione dei provvedimenti ma anche una funzione attiva, di proposta per migliori e più.adeguati provvedimenti. E questo in collegamento con i nostri parlamentari che siedono al Parlamento europeo, che abbiamo conosciuto e che abbiamo forse scoperto, e la constatazione ci ha fatto veramente piacere, essere più preparati e più qualificati di quel che pensassimo.
Abbiamo saputo che la Comunità europea ha a Roma degli uffici qualificati, e pertanto il nostro eventuale ufficio regionale, senza pretendere di avere rapporti diretti con Bruxelles o con il Lussemburgo che ci sono stati sconsigliati, potrebbe fare indubbiamente un buon lavoro anche mediante un collegamento diretto con questi uffici di Roma della CEE e con i Ministeri competenti, che, abbiamo appreso oggi, operano anche in modo non coordinato. Un convegno di studi, già proposto, per approfondire questi problemi potrebbe senz'altro essere utile. Sul piano legislativo è stato sollecitato (questo è un altro argomento) dai nostri emigrati in Lussemburgo di attuare anche noi, come Regione Piemonte, a somiglianza di quanto hanno già fatto varie Regioni, una legge per l'assistenza agli emigrati che rientrano. Abbiamo anche comunicato che la Regione Piemonte sta provvedendo a ciò con una proposta di legge che è già stata presentata.
Sul piano legislativo, poi, abbiamo dovuto umilmente subire il richiamo che anche la nostra Regione, tra le altre, non ha ancora provveduto alla legge per il recepimento delle direttive comunitarie 159-160-161 sull'agricoltura. Mi permetto soltanto - ma l'ho già fatto questa mattina nella interrogazione che, casualmente, è stata discussa proprio in questa giornata - di sollecitare la Giunta perché vi provveda.
Concludendo: nonostante le difficoltà di cui ci siamo anche resi conto e le riserve di alcune forze politiche, già ricordate dal collega Cardinali il Partito comunista francese, per esempio, non si può certo dire che dia una spinta molto positiva all'avanzamento della Comunità europea, con il porre notevoli riserve sulle elezioni -, noi continuiamo, come Democrazia Cristiana, ad essere comunque ed ancora di più convinti europeisti, e desideriamo collaborare in ogni sede perché l'unità europea proceda. Le prossime elezioni dirette costituiranno un passo determinante verso il suo consolidamento, specialmente dal punto di vista politico e democratico, di cui abbiamo appreso in questi giorni che la Comunità ha assolutamente bisogno.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Berti. Ne ha facoltà.



BERTI Antonio

In effetti, è vero che noi non siamo andati a fare della politica estera a Bruxelles, e neanche a fare delle contrattazioni per ottenere stanziamenti per il Piemonte. Tuttavia, almeno per quanto mi riguarda abbiamo fatto questo viaggio con un obiettivo preciso: capire che cosa è questa Comunità europea, se ci serve, e vedere come sia possibile ottenere dalla politica comunitaria dei contributi efficaci anche per la situazione piemontese. Quindi, siamo stati interessati, io per primo, a conoscere i meccanismi politici, i meccanismi tecnici di questa Comunità, per un approfondimento, che, per quanto mi riguarda, è di carattere politico, di carattere culturale e di carattere tecnico.
Devo dire che da questo punto di vista condivido i giudizi positivi sul viaggio che è stato compiuto: un viaggio che ci ha tenuto molto impegnati come ha sottolineato Sanlorenzo (anche se pure i viaggi precedenti, non molti per la verità, effettuati da rappresentanti della Regione Piemonte non avevano certo avuto carattere turistico ma sempre carattere conoscitivo), del che noi non ci lagniamo davvero.
Evitando di ripetere i giudizi qui espressi e nell'introduzione di Sanlorenzo e negli interventi già svolti, e, direi, contenuti sinteticamente nel testo che è stato allegato e che fornisce ad ogni Consigliere documenti sulla natura e sui contenuti di ogni incontro, vorrei ora porre a fuoco alcune questioni che soprattutto tendono a dimostrare l'interesse che noi comunisti oggi abbiamo per questa Comunità che per molto tempo abbiamo non solo non considerato ma in certi momenti anche osteggiato.
Per questo mi avvarrò di alcuni degli elementi che sono emersi da questo incontro, che, tra l'altro, non è stato del tutto nuovo per la Regione Piemonte, se è vero, come è vero, che noi lì abbiamo confermato, e abbiamo ricevuto, l'invito a continuare una serie di rapporti che la Giunta regionale ha già con la Comunità europea, in particolare già iniziati dall'altra Giunta, per la verità, per quanto riguarda il settore agricolo e da questa Giunta per quanto riguarda il settore dell'istruzione, in specie in relazione alla formazione professionale. Sono in corso contatti e l'invito che ci è stato rivolto è a proseguire in questa direzione perché le politiche attive che la Comunità europea sta perseguendo possano conseguire dei risultati effettivamente utili.
Per cogliere uno, degli elementi di fondo da cui noi comunisti partiamo per esprimere un giudizio e per esporre considerazioni positive su questo nostro atteggiamento odierno, muoverò proprio dalle non molte, ma pur significative, affermazioni che si sono avute sul rapporto Tindemans, di cui, del resto, conoscevamo,-per averne letto sui giornali, alcuni punti.
Questo argomento è stato oggetto soprattutto dell'incontro con il Vice Presidente della Commissione, Scarascia-Mugnozza. Credo che tutti sappiamo che, a livello di Comunità europea, il rapporto non è come nel Parlamento italiano, o in questo Consiglio regionale, dove l'assemblea è sovrana: il Parlamento è organo puramente consultivo, e gli organi sono il Consiglio dei Ministri, che è quello che ha effettivamente il potere, e la Commissione, che fa delle proposte al Parlamento, e quindi al Consiglio dei Ministri; in pratica è la Commissione che, divisa per settori, ha la effettiva direzione delle varie branche di lavoro. In tale incontro abbiamo sentito considerazioni di carattere politico sul rapporto Tindemans, che richiama alcuni elementi fondamentali su cui oggi si basa la politica della Comunità europea e che costituiscono appunto per noi comunisti motivo di interesse in questa direzione.
C'é, in effetti, già enunciato da alcuni Consiglieri, il problema delle due velocità, nel senso che alcuni Stati vanno avanti, altri non riescono a tenere il loro passo e li seguono come possono, per dire le cose in parole molto povere; oppure c'é un problema di sviluppo di rapporti politici non accompagnato da un contemporaneo sviluppo della integrazione economica. Il problema delle due velocità è cioè un problema di fondo, è un nodo. Poich mi pare di poter affermare che fondamento dell'idea comunitaria, così come si concretezza, o dovrebbe concretizzarsi, a livello di suffragio universale a proposito di elezione di un Parlamento che abbia poteri e che abbia anche una partecipazione diversa delle popolazioni europee, è indubbiamente l'integrazione economica. Se c'é integrazione economica fra i vari Stati della Comunità, l'idea comunitaria prende valore, importanza concretezza; altrimenti, il semplice conseguimento di un obiettivo politico pure importante è poca cosa.
Da questo punto di vista credo si possano fare delle affermazioni sullo stato reale di crisi della Comunità europea. Nella realtà, anche per affermazioni autorevoli che sono state fatte, non mi pare che si vada verso una visione della Comunità costruita su una integrazione economica che possa voler dire che determinate Nazioni più ricche rinunciano, o si muovono, per favorire lo sviluppo economico di altre Nazioni, più povere.
Tutto tende invece a dimostrare che si va all'affermazione nei fatti di nazionalismi, cioè che le Nazioni tendono piuttosto a perseguire interessi nazionali più che a spogliarsi di questi per andare alla effettiva idea comunitaria. E questo è uno dei problemi politici di fondo da cui partire se vogliamo dare una considerazione politicamente giusta dell'attuale stato della Comunità europea, affrontando la quale si può arrivare alla elezione del Parlamento, che del resto è già stata fissata nel corso soprattutto degli incontri con i Gruppi parlamentari, molto interessanti. Devo dire che uno degli incontri più interessanti è stato per me quello con il Gruppo della Democrazia Cristiana, i cui commissari mi hanno fornito una serie di elementi che mi hanno consentito di formarmi anche i giudizi che sto formulando. (Con ciò non intendo affatto dire che gli incontri con gli altri Gruppi non siano stati positivi). Il bagaglio di conoscenze che personalmente mi è venuto, anche di carattere tecnico, mi permette di valutare, seppure ancora molto superficialmente, certamente meglio di ieri il problema della Comunità europea.
Nel corso di questi incontri ci è stato detto che siamo già in campagna elettorale. Su questo mi permetto di dissentire, e in effetti l'ho contestato: nella realtà, si potrà parlare di inizio di campagna elettorale (anche se in campo politico non escludo che qualche forza politica nel proprio interno già stia svolgendo una attività, alla ricerca addirittura di formazioni di liste; tra l'altro, è del tutto aperto il problema e del sistema elettorale e addirittura del tipo di formazione di liste: liste nazionali o per circoscrizioni regionali? ) solo quando saranno stati risolti i due problemi di fondo.
Anzitutto, il problema del meccanismo elettorale, che è tuttora in sospeso per opposizioni da parte di alcune Nazioni, e anche per differenze tra partiti (è certo che tra il Partito comunista italiano e quello francese ci sono valutazioni diverse sul meccanismo della proporzionale: noi siamo per questo meccanismo, non lo sono invece i comunisti, francesi e devo dire, non soltanto loro, perché mi pare che le forze politiche francesi in genere, per il loro meccanismo attuale, fanno grosse difficoltà. E sono nodi non facile da superare, sia quello della Francia che quello dell'Inghilterra). Solo allora si potrà parlare più concretamente, anche se il Trattato di Roma stabilisce una scadenza: il '77. Non so cosa avverrà.
Probabilmente, incontri di questi tipo servono anche - non sono d'accordo con Picco in questo - per fare quanto meno discutere di una questione che fino ad oggi è rimasta pressoché ignorata, credo perfino all'interno del nostro Consiglio. Personalmente; posso infatti dichiarare che questo viaggio mi è servito per approfondire una conoscenza fino a ieri abbastanza vaga. Il parlarne, secondo me, non è tempo perso ma tempo guadagnato. Ammesso che stiamo lavorando, e vogliamo lavorare, per arrivare ad un Parlamento europeo che sia espressione di tutte le forze politiche proporzionalmente espresse, e che questa è una idea indubbiamente molto valida ed interessante, il problema che noi comunisti ci poniamo, e su cui siamo impegnati a lavorare, é: chi dirige il processo di integrazione economica che è fondamento essenziale per realizzare l'idea comunitaria? Questo è un nodo di fondo, attorno al quale è ovvio che possono esserci opinioni diverse, c'é uno scontro reale. Per quanto ci riguarda, noi consideriamo l'idea comunitaria come un processo di unificazione delle lotte della classe operaia esistente in ogni Paese, dei movimenti democratici, per una direzione europea che non sia espressione degli interessi, per parlarci chiaro, delle multinazionali, dei Gruppi economici più potenti, ma sia una sintesi europea, risultato dell'azione o comunque della partecipazione delle masse operaie europee. In modo che l'idea comunitaria rappresenti un momento di evoluzione democratica delle masse lavoratrici, non un momento di ulteriore sfruttamento, sia pure a livello superiore, sia pure a livello di integrazione più ampia delle masse lavoratrici delle singole Nazioni.
A questo punto noi non possiamo non prendere atto - e ritorna qui calzante la dichiarazione del commissario Spinelli - che si nota piuttosto un ritorno alle nazionalità piuttosto che un avvio ad una presa del cemento comunitario, perché a dirigere i progressi oggi sono le multinazionali. Per quanto ci riguarda, il ruolo di queste multinazionali emerge anche dalla situazione di cui abbiamo discusso questa mattina: l'attuale crisi in Piemonte dipende per molti versi dal comportamento delle multinazionali nel senso che esse vengono ad insediarsi, sviluppando attività produttive ma si ritirano quando i loro interessi consigliano loro di ritirarsi, a prescindere dalla situazione del Paese in cui essi sono venuti a collocarsi.
Abbiamo posto, nel corso credo di ogni incontro, a tutti i nostri cortesi, e, per la verità, preparati interlocutori, il quesito di quali poteri abbia la Comunità europea nei confronti delle multinazionali, al che eravamo fortemente interessati. Abbiamo purtroppo dovuto prender atto della impotenza reale della Comunità rispetto alle iniziative economiche e politiche delle multinazionali. L'unica indicazione che ci è venuta è quella della Corte di Giustizia, che ha sede al Lussemburgo, ma pu intervenire nelle sedi di controllo di applicazione degli accordi che si fanno, per esempio. A domande specifiche da noi rivolte, ci è stato risposto però che in effetti è impossibile, per esempio, per la Corte di Giustizia ed ai vari organi della Comunità, andare a controllare il lecito o meno, il condannabile oppure no, che la Leyland inglese, esca dalla situazione del nostro Paese, così come accade per la Singer. Perché a questo punto intervengono valutazioni le più disparate, che valgono a giustificare le decisioni della Leyland e di altre multinazionali. Questo a conferma che oggi il processo di integrazione economica, o le intenzioni di avviare tale processo, comunque, divengono all'insegna predominante delle multinazionali.
Questo richiama, quindi, tutte le forze politiche ad un problema che oltre che politico, è anche economico, e ad un certo punto, una lotta di schieramenti di classe. Occorre che tutte le forze sinceramente impegnate in un processo di sviluppo democratico delle singole Nazioni, anche dal punto di vista economico, si rendano conto che l'idea comunitaria si pu realizzare nella misura in cui in ogni singolo Paese si trovano forme coerenti di lotta contro lo strapotere delle multinazionali. E questo è un problema, credo, da cui non si può prescindere, e che ci impegna fortemente.
Del resto, nel corso di questi incontri è emerso il fatto, ricordato nel documento fornitoci dall'Ufficio di Presidenza, che, per esempio contatti sono già avvenuti, decisioni sono già state assunte, sulla testa però, degli organismi pubblici: per esempio, sono stati stanziati 32 miliardi per una autostrada che interessa la Liguria ed il Piemonte, circa 3 miliardi per case di abitazione per i lavoratori, circa 6 miliardi per la ristrutturazione di acciaierie, ed altri investimenti. Non metto in discussione, in questo momento, il carattere dell'investimento: dico che a godere di questo è stata fino ad oggi probabilmente soprattutto la Fiat.
Abbiamo chiesto degli elementi di chiarimento: speriamo di ottenerli presto, anche per renderci conto di come funzionano queste.
Devo dire, da ultimo - e in questo senso e in questa direzione va l'interesse che noi comunisti portiamo alla questione - che oggi, vuoi per le mutate condizioni politiche dell'Europa, e in cui il nostro Parlamento si colloca nel modo che voi conoscete, vuoi per processi reali che stanno andando avanti e da cui non si può prescindere, per lo meno non pu prescindere qualsiasi forza che voglia essere protagonista di quel che avviene nei singoli Paesi e nell'Europa, siamo interessati alle politiche attive della Comunità. E da questo punto di vista quanto abbiamo appreso circa il Fondo sociale europeo, circa il Fondo regionale, circa la politica del Feoga, di cui abbiamo parlato più volte per gli interventi in agricoltura, è la dimostrazione di una politica attiva, nonostante i suoi limiti (e ne ha molti) dal punto di vista degli stanziamenti nonché dal punto di vista delle capacità operative, dal punto di vista dei meccanismi che regolano questi fondi, e dei ritardi che, secondo le dichiarazioni dei rappresentanti dei vari funzionari ecc, ecc, toccherebbero soprattutto il nostro Paese, lo ha detto anche Chiabrando nel suo intervento, che dimostrerebbero la sua inidoneità a collocarsi in modo positivo rispetto al pur limitati stanziamenti e ai meccanismi che i vari Fondi prevedono.
Penso che sarà poi interessante per i Colleghi, come lo è stato per me conoscere i meccanismi di intervento e del Fondo sociale e del Fondo regionale per i settori in cui essi operano. Questi interventi, per quanto limitati, per quanto, mi pare di poter affermare, non corrispondenti ai fondamenti di una politica comunitaria peraltro affermati e nel Trattato di Roma e in vari documenti successivi, cioè quello di operare (arti 5 del Fondo sociale europeo) per una politica di riconversione (e quindi sarebbe auspicabile che anche gli interventi del Fondo sociale, anche gli interventi del Fondo regionale fossero finalizzati ad una politica di riconversione. Ma a questo proposito il discorso si amplia: abbiamo chiesto, per esempio, che rapporto c'é tra la enunciata politica a medio termine del nostro Paese, che punta per buona parte sulla riconversione, e la enunciata politica di riconversione della Comunità europea, e dovrebbe costituirsi un rapporto organico per consentire al nostro piano a medio termine di usufruire, oltre che dei fondi nazionali, anche degli eventuali fondi comunitari; rapporto che mi pare non sia emerso, anche perché una effettiva politica di riconversione ancora non ha preso corpo hanno pur sempre un contenuto anti-multinazionale, e in questo senso vanno accolti, e noi li accogliamo, come una politica attiva, che contiene un minimo di integrazione economica, fondamento di una idea comunitaria.
Questi sono i nodi fondamentali che stanno di fronte a noi, che collegano la situazione europea e la politica della Comunità europea alla politica del nostro Paese e del Piemonte, che abbiamo colto, che io ho colto ed ho voluto portare in questo dibattito, questioni suscettibili di approfondimento, questioni che vanno indubbiamente viste meno superficialmente, anche per affrontare in termini positivi, per vedere cos'è possibile avere e cosa occorre fare per procedere in questa direzione.
Sono quindi d'accordo sulle proposte che qui sono state fatte di avere rapporti politici, ma anche sul piano esecutivo: politici dal punto di vista del Consiglio regionale, esecutivi attraverso contatti della Giunta con le varie Commissioni della Comunità; e mi dichiaro favorevole anche a quella iniziativa, sulla quale si è impegnato il Vice Presidente della Commissione, Scarascia Mugnozza, che dovrebbe svolgersi qui a Torino e avere un carattere non puramente propagandistico ma atto a produrre effetti concreti per dar vigore a questa lotta per la Comunità così come l'abbiamo concepita



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Oberto. Ne ha facoltà.



OBERTO Gianni

Signor Presidente, mi sono domandato, mentre parlavano i colleghi Calsolaro prima, Cardinali poi, Chiabrando e da ultimo Berti, se davvero dovessi ancora prendere la parola, ed ho concluso che è opportuno che anch'io intervenga, sia pure molto brevemente.
Anche perché le sono debitore di un vivo ringraziamento: lei mi ha tolto dalle spalle, provocando questo dibattito, trent'anni di attività politica. Ha fatto cioè riaffiorare nella mia mente vivo un ricordo che risale al 1946, quando, in Via delle Orfane 6, uno sparuto gruppo di convinti federalisti europeisti si incontravano settimanalmente. Ne facevano parte Peretti Griva, Antonicelli, il prof. Greco, Badini Confalonieri, il socialista Cabella. Qualche volta si affacciavano timidi ragazzetti, fra i quali mi pare di poter distinguere nel ricordo le fisionomia del collega Calsolaro. Intervenivano talvolta anche Rossi e Spinelli, ad illustrarci il significato del loro manifesto da Ventotene.
Questa realtà federalista comunitaria europea trae dunque le sue origini dalla sofferenza, dalla meditazione di questi uomini che, in questi momenti in cui attorno a loro, e non soltanto attorno a loro, tutto sembrava poter crollare, avevano visto anche l'esigenza di dare unità all'Europa, una unità che deve essere innanzitutto di civiltà europea, di tradizione europea, di conservazione di tutto il patrimonio ideologico di cultura europea, prima ancora di quella, che da essa deriva, di una realtà economica che deve inserirsi ormai con una urgenza del tutto particolare tra due blocchi che economicamente tendono ad egemonizzare la loro presenza nell'Europa, che deve essere invece padrona di se stessa (intendo riferirmi all'Unione delle Repubbliche sovietiche da una parte, all'Unione degli Stati Uniti d'America dall'altra).
Qualcuno dei colleghi potrebbe trarre una logica deduzione: se sono occorsi trent'anni per arrivare all'approdo di un dibattito in Consiglio regionale, quando mai la faremo, questa Europa unita e comunitaria? Ci sono delle situazioni che hanno bisogno di un lungo periodo di maturazione per poter poi procedere speditamente. Ora questo periodo di maturazione si è perfezionato, e, come è stato dichiarato con estrema onestà e lealtà dal Capogruppo comunista Berti, anche forze che avevano resistito e contrastato, attraverso mutazione di tempi, creazione di situazioni nuove si sono avvicinati a questa concezione (mi lascia ancora un po' dubbioso Consigliere Berti, il fatto che lei affermi l'unità delle forze proletarie sostanzialmente delle classi lavoratrici, a meno che a questo concetto di classe lavoratrice si voglia dare una significazione estremamente larga piena, che comprenda non soltanto l'operaio, il lavoratore del braccio, non soltanto l'agricoltore, che avrà bisogno di una particolare attenzione, ma tutta quella forza del lavoro che ha costruito una realtà europea e che vuole ricostruire questa unità europea).
Lei mi ha dato la gioia di tornare indietro di questi trent'anni signor Presidente, ma ha determinato in me anche amarezze e delusioni. Fra coloro che partecipavano agli incontri settimanali in Via delle Orfane europeista convinto anch'egli, era Amedeo Peyron, che fu poi sindaco della Città di Torino, Presidente dell'Associazione delle piccole Comunità italiane, scomparso dieci anni addietro. Se Amedeo Peyron, che sognava l'Europa tenendo i piedi per terra, e non andando nella stratosfera, avesse trovato degli uomini che l'avessero accompagnato e sostenuto nella sua proposta di realizzazione, Torino, la capitale della Regione piemontese probabilmente sarebbe oggi sede di questa realtà europea Ma proprio i torinesi ed i piemontesi - diciamolo, sia pur sottovoce, a mortificazione nostra - irrisero a questa proposta di lungimiranza che Amedeo Peyron portava innanzi, indicando a questo fine, come primo momento operativo delle costruzioni che si erano erette a celebrazione del centenario dell'unità italiana del 1861 e che avrebbero potuto, nel 1961, aver una destinazione diversa da quella che, ahimè, purtroppo hanno, di diventare rapidamente fatiscenti e di perdere ogni significazione o quasi di una loro occupazione.
Ecco perché bisogna avere ferma fiducia nelle idee, nelle grandi idee che sono le conduttrici degli uomini che credono in una realtà.
Mi consenta, signor Presidente del Consiglio, di dirle grazie anche per il riassunto che ha fatto, ma di dirle che soprattutto bisogna che il dibattito di oggi non si chiuda così: esso deve riprendere con calma, con la ponderazione dovuta, con l'acclaramento dei dati che sono indispensabili perché il dibattito sia serio e preciso, dopo che un gruppo di funzionari e forse non soltanto di funzionari - io le propongo questa considerazione forse anche di alcuni rappresentanti dei vari Gruppi dei Consiglieri abbia modo di conoscere tutta questa dinamica, E' stato detto: molte cose forse si sarebbero potute avere e non si sono avute perché non si conosceva. Ecco, pertanto, l'esigenza di conoscere a livello burocratico di costruirci, a livello di quelle forme dipartimentali che avete creduto opportuno dare a questa Giunta, un qualche cosa che apra il cammino a quello che dobbiamo conquistare.
Lasci che io citi una grande figura di piemontese, di canavesano, quel Giovanni Cena che solitamente è ricordato come poeta e letterato - è il poeta di "Madre", della sofferenza, del dolore, l'autore di quel romanzo che raccontava la storia e la vicenda del proletariato torinese, che è stato ripreso opportunamente dalla Televisione una di queste ultime sere ma che forse fu più grande come sociologo che non come poeta e come letterato -. Egli ha spiegato perché questo nostro Piemonte è stato prima ancora europeo che italiano: perché nella sua gente vi fu sempre una forte spinta all'emigrazione, si avvertì l'esigenza di andare in Francia, di andare in Svizzera, di andare in Austria, di sradicarsi dal proprio territorio per andare a procacciarsi pane e companatico per sé e per la propria famiglia, dando così inizio a quel fenomeno del quale oggi ci dobbiamo occupare.
Fra le diverse cose molto importanti che lei ha ricordato fatte dalla delegazione regionale nel recente viaggio io avrei inserito una piccola evasione: proprio io, che per la mia età posso sembrare tutto compostezza.
Sarei andato su quella piazzetta dove c'é quel tale bambinello in quel tale atteggiamento, anche per vedere se vi era una espressione di continuità in una gestione che avrebbe posto a monte la possibilità di esaminare anche il problema del vino, di cui qui oggi noi non abbiamo parlato ma che è un problema fondamentale, del quale dovremmo occuparci particolarmente a fondo.
Lei, signor Presidente, ha ricordato il problema della emigrazione, e a me ha fatto un grande piacere avere due mesi fa intrapreso una relazione prendendo una iniziativa che è stata poi assecondata largamente da un gruppo di Consiglieri della Democrazia Cristiana, quella di presentare in termini concreti una proposta di legge relativa alla emigrazione, e soprattutto alla assistenza agli emigrati che rientrano in Piemonte, così come si è fatto in altre Regioni. Prendo pertanto questa occasione per sollecitare l'esame di quella proposta di legge, eventualmente arricchita: lo faccio anche se, per la verità, lei, signor Presidente, non ha bisogno di essere stimolato a pungolare le Commissioni perché lavorino con celerità. Noi quella legge l'abbiamo approntata attenendoci ad una estrema prudenza di valutazione di impegno economico: probabilmente, dopo quanto lei ha detto oggi, vi sarà la possibilità di ampliare il quantum di intervento. Il suggerimento venuto dal Consiglieri Calsolaro e Berti, di una attività per al recupero e la rieducazione, la riformazione professionale di quanti ritornano dall'estero, perché trovino possibilità di inserimento pur in un momento di grossa difficoltà come l'attuale, in cui la disoccupazione già preme nei confronti di quanti abitano nel nostro Paese, dovrà essere considerato, approfondito ed applicato il più rapidamente possibile.
Lasciate che vi dica, commettendo un piccolo peccato di superbia, che sono contento di essere arrivato in tempo a farmi promotore della presentazione di questa proposta di legge per mandare innanzi il nostro discorso.
Mi avvio alla conclusione, rimandando ad altra occasione un discorso più completo, più organico, come quello, estremamente meditato, dell'amico Calsolaro, socialista, europeista fra i più convinti ed esperti. A lui però, avvalendomi della confidenza che mi consente la nostra amicizia vorrei far notare che per due volte i socialisti francesi hanno fatto naufragare la realtà europeistica. Sono verità storiche, queste, che non dobbiamo tacere, specie nel momento in cui tutti gli altri Paesi di Europa tendono a questa unità europea. I socialisti francesi hanno tuttora delle esitazioni che non si possono sottovalutare, dato il loro peso e la loro prestanza: non può non crearci vive preoccupazioni il pensiero di Mitterand, per esempio, che assume una certa linea indicativa di azione.
Occorre istituire queste Commissioni, fare presto qualcosa in termini concreti, dar conto, attraverso un comunicato, se in aula non vi sono più giornalisti presenti, non dell'intervento di Tizio, di Calo e di Sempronio ma della manifestazione veramente totale ed unitaria, confluente nei termini delle risoluzioni principali, che il Consiglio regionale del Piemonte ha voluto quest'oggi puntualizzare. Tenendo presente che quando si parla di Europa delle Regioni non si intendono le venti Regioni italiane, o le venti Regioni amministrative francesi; ma Regioni in termini diversi etnici, di organicità industriale, di organicità commerciale, di organicità agricola. Perché allora, caro Chiabrando, quei contributi ai quali tu hai fatto riferimento non andranno miseramente a partecipare ad una piccola soluzione per una piccola, anche se importante, Regione, ma daranno veramente respiro europeistico per cui potremo chiamare l'Europa veramente Europa delle Regioni.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Carazzoni, ne ha facoltà.



CARAZZONI Nino

Signor Presidente, colleghi, tra le molte e significative esperienze acquisite con la visita a Lussemburgo ed a Bruxelles, noi collochiamo anche quella relativa alla concreta concisione di interventi che abbiamo udito fare al Parlamento Europeo.
Se ricordiamo bene, nello spazio di un'ora siamo stati messi in grado di ascoltare, su un problema di fondamentale importanza quali erano le dichiarazioni di presentazione del nuovo Presidente del Consiglio dei Ministri, ben sette interventi. E' facendo tesoro di quella lezione - che ci pare d'altra parte sia stata recepita anche da altri colleghi - che noi ci limiteremo a brevissime considerazioni, più che altro esprimendo quelle che sono state e che rimangono ancora oggi le impressioni per così dire "a pelle" riportate in occasione - di quel viaggio.
E anche se non potranno e non dovranno essere taciute affermazioni di principio, pensiamo innanzi tutto di dovere sfuggire alla tentazione di un dibattito sull'Europa e sulla politica europea dell'Italia, per stare invece a quello che ci sembra essere il tema più pertinente di questa discussione, vale a dire ai risultati che la Commissione del Consiglio regionale piemontese ha conseguito e sulle prospettive che si sono oggi aperte.
Lei, signor Presidente, ci ha collocati male in questa sede di interventi perché dopo quanto detto con indubbia alta qualità e dal collega Berti e dal collega Oberto, noi saremo adesso costretti a riportare il discorso più "terra terra" per dirvi qual è stata la nostra impressione conclusiva, per significarvi quale può essere in oggi il giudizio che la Destra Nazionale ritiene di dovere dare di questa iniziativa; a fronte della quale, vogliamo dirlo subito - noi ci siamo collocati con dichiarata attenzione e con molte perplessità.
Perché con dichiarata attenzione? E' una considerazione che riteniamo di dovere fare in questo Consiglio per memoria di noi stessi e forse anche di qualche altro gruppo politico: noi stiamo guardando con estremo interesse e con molta cautela alla sperimentazione che è in atto alla Regione Piemonte. Nella Regione di Libertini (quale ormai viene comunemente definita, con buona pace del Presidente Viglione) noi riteniamo che nulla capiti a caso, ma che tutto, dalla fredda strategia comunista sia scientificamente programmato. Ed allora ecco che questo viaggio pu diventare, noi crediamo che debba diventare, un fatto estremamente importante; noi pensiamo che in questo campo, così come in altri campi - e pensiamo a quella indagine conoscitiva sulla droga di cui avremo modo di parlare in altra occasione - il "Piemonte rosso" intende collocarsi per così dire all'avanguardia di una certa strategia. Questo lo dovevamo dire e volevamo dirlo per ricordarlo a noi stessi, ma anche agli altri gruppi.
Stiamo attenti, qui il Partito comunista con questa mossa ha dato l'avvio ad un certo tipo di strategia. Non per fare della politica estera si è detto. Il Presidente Sanlorenzo lo ha più volte ripetuto nel corso del viaggio, lo ha riconfermato qui stamani. Ed è vero, nella forma non si è fatta della politica estera, così come non si è fatto del turismo politico è un riconoscimento che dobbiamo immediatamente dare; non si è fatta della politica estera nel modo rozzo in cui altre Regioni di recente hanno voluto farla - pensiamo alla Regione Lombardia che è andata a stipulare accordi commerciali in Somalia scoprendo le sue intenzioni in modo tale che al Presidente Golfari è giunto, come poteva e doveva giungere, un richiamo dallo stesso Sottosegretario Granelli.
Da questo punto di vista (ecco la pericolosità che ritorna) la Regione Piemonte è stata molto più abile, molto più intelligente, il viaggio è stato magnificamente organizzato grazie alla collaborazione anche dei funzionari italiani, vorremmo dire che è stato magnificamente e scientificamente programmato grazie soprattutto alla collaborazione dei funzionari comunisti del Parlamento europeo: ci pare che debba essere ricordato anche questo, e non lo diciamo solo perché è presente in tribuna il dr. Ferraro che è stato un ospitante squisitamente gentile da questo punto di vista. Ma guardavano anche con perplessità alla iniziativa perch ci domandavamo dove volesse andare a parare questa mossa della Regione.
Quali sono allora le impressioni che ne abbiamo riportato? Ve lo diciamo con molta onestà, stiamo improvvisando questo intervento,, non abbiamo avuto il tempo (e ce ne scusiamo) di meditarlo in modo più approfondito.
La prima impressione che abbiamo riportato è stata l'assoluta inadeguatezza culturale che in Italia esiste nei confronti della costruzione europea. Ci siamo resi conto - e questo può essere, e senz'altro è, un obiettivo limite della nostra preparazione culturale, ma crediamo che rifletta anche in parte il vecchio male del provincialismo italiano - ci siamo resi conto che in Italia, questa Europa, gli organismi comunitari, questa costruzione mastodontica che pure è stata messa in piedi, sono poco e male conosciuti.
Ci siamo trovati di fronte ad una macchina complessa, gigantesca, alla macchina degli "eurocrati" (così come vengono chiamati) che funziona proprio in tanto in quanto sono i funzionari che la fanno camminare.
Mi pare che il Consigliere Chiabrando abbia ricordato che la produzione legislativa del Parlamento europeo assomma giornalmente a dieci regolamenti o leggi. E' evidente che in questo stato quella che si è andata costruendo finora è l'Europa dei funzionari, è l'Europa dei burocrati. Non esiste ancora un'Europa dei politici e soprattutto non esiste, in Italia, la consapevolezza che a questo risultato bisogna e si deve tendere.
Ed allora ecco una prima conclusione concreta: quando il Presidente Sanlorenzo ci propone di sensibilizzare nel nostro ambito, con le nostre forze, secondo le nostre capacità, l'opinione pubblica sul tema dell'Europa, noi diciamo di essere perfettamente consenzienti; è un' esigenza che abbiamo toccato con mano, è un riconoscimento quindi che dobbiamo dare, su questo siamo d'accordo.
La seconda impressione che abbiamo riportato è stata, invece - e lo annotiamo con amarezza - la critica, più o meno velata, più o meno esplicita che da più parti abbiamo sentito rivolgere nei confronti dello Stato italiano. Se noi volessimo fare adesso (ma non ci sembra sia il caso) un discorso polemico, dovremmo dire che siamo andati a Lussemburgo e a Bruxelles per ricevere conferma di quanto più volte qui abbiamo affermato: in Italia dopo trent'anni non esiste più uno Stato, lo Stato si è sfasciato, si è dissolto, è stato sconsacrato, dissacrato nei suoi più alti valori e oggi, soprattutto nei rapporti con gli organismi comunitari questa situazione di scollamento, questo vuoto che esiste, viene avvertito con grande, drammaticità.
E allora, di fronte a questa impressione, qualcuno potrebbe obiettare che lo spazio deve essere coperto da altri organismi, da nuovi organismi dalle Regioni per esempio. In effetti, dobbiamo dirlo anche qui, in più di un'occasione la delegazione si è sentita dire dai funzionari italiani: siamo favorevoli a queste prese di contatto da parte delle Regioni perch noi che viviamo qui a Bruxelles oggi riconosciamo di non avere più interlocutori a Roma, oggi i Ministeri romani viaggiano ciascuno per proprio conto ed allora, se non esiste più la realtà statuale con la quale confrontarci e dalla quale essere coordinati, ben vengano le realtà nuove che sono le Regioni. Questo è un grosso problema, un problema, Signor Presidente, colleghi Consiglieri, che ha inciso anche sui nostri convincimenti. Noi, anche se questo non è il nostro Stato, anche se prendiamo atto o denunciamo lo scollamento statuale, siamo pur sempre in linea di principio, favorevoli alla salvaguardia dello Stato unitario. Ma quando ci sentiamo rivolgere questo tipo di critica, quando siamo chiamati a prendere conoscenza di questo stato di cose, ci domandiamo se veramente non dobbiamo anche noi, anche la nostra parte politica (questo è un discorso forse di autocritica entro certilimiti) riconsiderare certi nostri principi. Certo è che però questi principi non possono e non debbono essere riconsiderati attribuendo quel ruolo nuovo alle Regioni che pure c'è, ma che il Partito comunista, le forze di sinistra vogliono strumentare in un'altra direzione, sino a trasformare le Regioni, organo di decentramento amministrativo, in organo politico in concorrenza con lo Stato. Ecco questo noi non lo possiamo accettare, ma riteniamo invece che sia opportuno, sia necessario che le Regioni, all'interno dello Stato italiano svolgano, nei confronti dell'opinione pubblica, non solo un'opera di sensibilizzazione sui problemi europei, ma anche un'opera di richiamo nei confronti del vertice statuale perché questo Stato italiano che abbiamo sentito denunciare inadempiente, ritardatario, cattivo istruttore di pratiche, questo Stato italiano espresso attraverso i governi di questi trent'anni, di cui certo noi non abbiamo responsabilità alcuna, si faccia carico e si renda conto che esiste la realtà nuova dell'Europa.
E allora ecco che, così come siamo stati d'accordo su una prima proposta del Presidente Sanlorenzo, non riteniamo di dover essere invece d'accordo su un'altra proposta, quella che prevede l'istituzione di organi di collegamento permanenti tra Regione e CEE. A parte il fatto - e lo ha ricordato, ci pare proprio il collega Oberto - che qui bisogna anche sciogliere un nodo equivoco e cioè che quando la Comunità parla di Regioni non intende le Regioni politiche così come intese dal Partito comunista, ma intende invece delle realtà amministrative diverse; a parte questo, noi riteniamo che le Regioni possano, attraverso istituendi uffici di rappresentanza, intrattenere o colloquiare direttamente con la Comunità.
Anche se è vero che occorre una maggiore conoscenza della realtà europea perché abbiamo visto e abbiamo sentito (lo ricordava Berti) che finora molti provvedimenti comunitari sono passati al di sopra delle nostre teste il che non e assolutamente accettabile o tollerabile.
Noi non siamo d'accordo su questo tipo di rapporto che si vuole instaurare, perché ricordiamo che la Comunità ha già in oggi, a Roma, un suo ufficio informativo, collegato via telex con le Comunità europee, ricco di decine di funzionari, in grado di assolvere a qualunque domanda che dalle Regioni legittimamente può essere posta.
E allora diciamo che i collegamenti vanno tenuti, sì, con gli organismi comunitari, ma tramite questo canale; non creando quelli che vengono chiamati uffici di rappresentanza, ma che nella sostanza pratica dovrebbero poi diventare vere e proprie ambasciate.
Questo ci sembra di dovere dire. Il collegamento può avvenire in questa via, secondo questa strada.
Siamo d'accordo, invece, che occorra una più specifica preparazione dei funzionari, ai problemi europei, quindi ci sta bene tutta quella parte di proposte che si riferisce a conferenze, a dibattiti da organizzarsi qui per una maggiore preparazione specifica dei nostri funzionari. Siamo d'accordo sull'invio di funzionari agli organi comunitari perché abbiano a comprendere meglio quello che è il grosso, il complesso meccanismo della legislazione comunitaria, ma in questi termini, in questo solco, con questa visione, fatte salve cioè quelle che sono e che debbono restare le prerogative che nessuno ha messo ufficialmente in discussione, né in questo viaggio né nella relazione del Presidente Sanlorenzo, ma che nella sostanza si stanno invece discutendo, attaccando, minando alla base.
E allora ecco che noi abbiamo ritenuto doveroso dire queste cose e crediamo di averle dette così, magari un poco confusamente nella forma, ma crediamo anche di averle dette con esplicita chiarezza quanto alla sostanza. Sono le osservazioni che fa una parte politica che nell' Europa ha sempre creduto.
Se altre forze politiche oggi hanno ritenuto di dovere rivedere le loro precedenti posizioni, noi vogliamo ricordare a noi stessi e all'assemblea che la Destra da molti anni si è schierata in favore di una costruzione europea; certo è che questa Europa non potrà nascere solo dall'integrazione economica: nascerà, se nascerà, dall'integrazione politica e quindi condividiamo l'elezione entro il 1978 del Parlamento Europeo, a suffragio universale, con elezioni possibilmente - come diceva il Presidente - da tenersi in un solo giorno in tutta Europa. Ma dobbiamo anche dire che questo è un auspicio che noi facciamo, perché se dovessimo essere sinceri fino in fondo dovremmo anche aggiungere che sulla possibilità concreta che tra 20 o 22 mesi si passi a questo tipo di elezioni, allora dovremmo dirci un poco scettici e un poco diffidenti, non soltanto per tutte le difficoltà che qui sono state già ricordate dai colleghi, in ordine ai diversi tipi di elezione che debbono essere pur decisi e che debbono pur ottenere poi il visto della Comunità, ma anche perché riteniamo che, almeno in qualche Paese (non è il caso dell'Italia) permangano perplessità di fondo nei confronti dell'Europa.
Per concludere, anche se manteniamo le nostre diffidenze in ordine ai principi reconditi che hanno ispirato l'iniziativa stessa, diamo un giudizio sostanzialmente favorevole nei confronti della missione inviata dal Consiglio regionale del Piemonte a Lussemburgo e a Bruxelles. Noi pensiamo - infine che talune delle proposte concrete che qui sono state fatte possano essere accettate e condivise anche dalla nostra parte dobbiamo invece dire che su altre proposte, quelle che a nostro avviso intaccano la vera sostanza del problema, che è quella di un corretto rapporto Regioni-Stato-Comunità, non possiamo altro che esprimere il nostro dissenso.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Gandolfi.



GANDOLFI Aldo

Signor Presidente, signori Consiglieri, il Gruppo repubblicano non ha potuto inviare un suo rappresentante a questo viaggio di contatto e conoscenza di studio presso la Comunità Europea e si rammarica quindi dell'occasione che ha perduto perché, da quello che si è ascoltato, questi contatti sono apparsi interessanti e stimolanti, mentre si compiace del fervore e dell'interesse che tutti i Gruppi hanno riportato e direi soprattutto dell'interesse e dell'entusiasmo europeista che hanno riportato Gruppi che in passato questo interesse e questo entusiasmo non hanno avuto.
Da questo punto di vista credo che le argomentazioni che ha portato il collega Carazzoni su quelli che possono essere stati gli obiettivi che il Partito comunista si è dato con questo viaggio non siano e non possano essere considerate molto valide e appropriate. Qua non ci troviamo certamente di fronte all'aggiornamento in chiave tattica di una vecchia strategia del Partito comunista, ma di un cambiamento, da qualche anno a questa parte, degli atteggiamenti di fondo di questo Partito nei confronti del problema europeo e in definitiva di una grossa vittoria di chi già 30 anni fa vedeva la vocazione europea dell'Italia e la possibilità di costruire un ordine democratico nuovo attraverso una federazione europea sulle macerie che il nazismo ed il fascismo avevano lasciato in Europa. Ed è quindi anche una grossa speranza quella che noi abbiamo oggi, perché c'è una obiettiva convergenza, ci sembra, nel nostro Paese, nelle grandi formazioni politiche per la costruzione di un'Europa unita su basi federative Però dobbiamo dire alcune cose precise, tralasciando le molte che avremmo voluto dire ma che sono già state dette da altri oratori.
Le istituzioni europee si stanno costruendo, si sono andate anzi costruendo in questi anni su una realtà, che è quella del Mercato Comune realtà che è anzitutto di carattere economico. E noi sbaglieremmo molto se pensassimo di poter risolvere i nostri problemi in chiave europea e se non ci rendessimo conto che la condizione perché l'Italia possa partecipare alla costruzione, o alla fase, che ci auguriamo conclusiva, della costruzione di istituzioni sovranazionali, è che l'economia italiana si metta al pari delle economie europee; non ci può essere possibilità di costruzione europea se il sistema produttivo italiano non ritrova condizioni di eguaglianza, sul piano dell'efficienza e della produttività a quella europea, altrimenti le tentazioni di carattere autarchico all'interno del nostro paese, ma direi le tentazioni anche degli altri Paesi di costruire su un terreno solido e non su un terreno fragile l'unità europea, saranno troppo forti e noi rischieremo di essere emarginati dall'Europa.
Questo lo diciamo con riferimento non tanto alle forze politiche che di questo problema ci sembra vadano prendendo lentamente coscienza, ma a certi settori della classe dirigente, a certi quadri del mondo sindacale che questi problemi sembrano voler tranquillamente trascurare. Certi viaggi sono utili e ci augureremmo che li facessero certi sindacalisti che in Italia trattano i problemi della produttività e della concorrenzialità del nostro sistema produttivo in maniera troppo superficiale e non collegata a una dimensione di carattere europeo.
Il secondo elemento che vorremmo sottolineare e che è molto evidente nella relazione che ci è stata fatta, è la lentezza, le inadempienze che tutto il sistema pubblico italiano ha fatto registrare nella realizzazione di obiettivi di carattere comunitario. Lo Stato italiano, il governo, la burocrazia ministeriale ha dimostrato non solo delle inadempienze, ma quello che sta alle spalle e a monte delle inadempienze, cioè un'inadeguatezza culturale, un'incapacità di cogliere a fondo certe opportunità che ci potevano venire, sia pure da queste embrionali realtà europee; sono però inadempienti, in molti settori, anche le Regioni, (ne potremo discutere più a fondo in altre sedi, probabilmente quando si discuterà del programma e del bilancio regionale) ma in particolare sul piano dell'istruzione professionale, per quanto riguarda le possibilità di utilizzare appieno i finanziamenti della CEE per il fondo sociale europeo le Regioni italiane stanno lasciando inutilizzati decine e decine di miliardi all'anno perché la struttura dell'istruzione professionale nel nostro Paese non è in grado di recepire queste possibilità di finanziamenti, collegamento tra la struttura dell'istruzione professionale ed il sistema produttivo è labile, frammentario e troppo debole perché ci sia una piena e completa possibilità di utilizzazione. Ma siamo, ripeto ancora ben lontani da una piena possibilità di utilizzazione del fondo sociale europeo che credo sia dell'ordine del 5/10%, o forse anche meno.
Questi sono problemi gravi con i quali ci dobbiamo assolutamente misurare nei prossimi anni perché la possibilità di fare dei passi in avanti nella costruzione di realtà di carattere sovranazionale e di una dimensione quindi politica piena della CEE, richiedono una piena disponibilità e capacità di tutte le strutture dello Stato italiano di partecipare a questa costruzione e di utilizzare appieno quello che il cammino comune tra gli Stati dell'Europa ci può mettere a disposizione.
Con queste notazioni noi diamo il nostro consenso alle indicazioni che ci sono state prospettate dal Presidente del Consiglio, che andranno un pochino più in concreto analizzate fra i vari organi della Regione, ma con la nostra ovvia disponibilità a partecipare a questo tentativo di adeguamento della realtà istituzionale e degli interventi amministrativi della Regione ai problemi che l'integrazione europea va ponendo.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Rossotto, ne ha facoltà.



ROSSOTTO Carlo Felice

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, ringrazio i colleghi che hanno partecipato a questo impegnatissimo e faticossissimo viaggio di lavoro per conoscere da vicino i problemi della CEE e le possibilità che la stessa apre a livello di attività regionale e ringrazio il Presidente per il resoconto che consente, indipendentemente da quanto già acquisito a seguito del dibattito in corso, di rendersi conto di molte questioni importanti e della necessità di un salto culturale, a livello di classe politica regionale, su alcuni problemi.
Io vorrei limitare il mio intervento, per rispetto a quello che è stato il richiamo del collega Carazzoni al modo di lavorare del Parlamento Europeo (spero di mantenere questa dichiarazione di principio), al rapporto dell' idea-forza Europa e dell'unità cui dobbiamo fare riferimento anche per misurare i ritardi, oppure quanto le idee-forza richiedono di tempo per diventare vere e non imposte in un discorso di democrazia partecipata dall'incontro di Messina del '55 al trattato di Europa istitutivo della CEE con tutte quante le conseguenze, gli scontri, le delusioni, i giochi contrari a questo tipo di disegno sorgenti dalla cugina Francia, una volta giocati dal gollismo, altre volte giocati dalle forze socialiste, altre volte, forse oggi, giocati dal Partito comunista francese; e in quella che è la tradizione ognuno si orpella nel suo discorso politico di tradizioni e di fatti che si ricollegano ad altri uomini che avevano le stesse idealità a quella che è la tradizione, che noi liberali democratici riconosciamo in pieno ancora nostra, come patrimonio nostro della funzione che il Ministro degli Esteri Gaetano Martino svolse e come il discorso a livello italiano fu difettoso, per lungo tempo, dell'appoggio di una forza politica nei confronti della quale si possono dare tutti i giudizi che si vogliono, ma che nel momento in cui ha riconosciuto un discorso europeo come positivo con le necessarie trasformazioni che questo apporto può portare, sia per la più facile affermazione di un'unità europea, sia per la più seria partecipazione di forze lavoratrici italiane che devono e possono rappresentare nel collegamento con le altre forze esistenti socialiste socialdemocratiche a livello europeo, sia per l'attenzione che ripropone ed impone a noi altri di fronte ai fatti.
Vent'anni fa e vent'anni dopo (un libro che leggevamo da giovani) ha un significato profondo di fronte a certe piccole discussioni che non afferrano il significato di un discorso che prima è partito come elite intellettuale, come elite economica che aveva intuito la necessità di allargare le frontiere e che oggi ha coinvolto la generalità delle forze politiche operanti nazionalmente. E questo, con tutte le possibilità, torno a ripetere, lasciando un certo provincialismo e senso di ristretto gioco partitico, ma in funzione degli interessi che come classe politica ognuno deve rappresentare, anche per riflesso alla politica nazionale, impone un più attento esame di questi atti che dal discorso europeo ridiscendono poi come soluzione politica nostra.
Su queste posizioni che sono state assunte e che non vediamo, è anche troppo facile, a volte, parlare o di tatticismo o di posizioni che possono rappresentare un diverso tipo di politica da parte del Partito comunista.
Noi notiamo - in un discorso che facilita questa affermazione di unita europea non soltanto come accordo di giochi economici avulsi dalla realtà politica soltanto come affermazioni di principio politico, non correlati col discorso economico (come il Capogruppo del PCI qui richiamava) dell'esigenza di una netta e continua interdipendenza, interazione - quanto giocano poi certe frasi allarmistiche di altre componenti che, pur avendo a livello intercontinentale riconosciuto la funzione di un'Europa unita come momento importante per la difesa della cultura occidentale, hanno poi forse il timore di quello che può essere domani, a livello di leadership, un sistema economico che ha necessariamente l'opportunità e il dovere di adeguarsi e di ristrutturarsi a livello di rapporti sociali più giusti, ma che ha fatto suoi alcuni elementi di fondo di democrazia e di pluralismo.
In un discorso di Europa unita questi elementi che anche il dibattito di oggi ha enunciato, possono essere una perdita per qualcuno che la leadership occidentale l'ha, avuta e ne ha anche usato, ed è inutile ritornare nella logica negativa del discorso sulle multinazionali se quando si parla di mercati aperti e quindi della possibilità che costoro operino, non c'é una forza politica che sappia porre condizioni di diverso rapporto in quello che negativamente abbiamo osservato realizzarsi a livello di Regione Piemonte.
E' indubbio che questo dibattito si pone in un momento in cui si è modificato il discorso delle forze politiche, perché l'importante è individuare l'idea-forza Europa unita che non è sorta soltanto come una necessità di evitare inutili massacri, non è quell'Europa che si univa soltanto nei cimiteri di guerra, ma quella che sa invece unirsi negli uomini liberi e che ha saputo oggi, dopo vent'anni di queste istituzioni rilanciare un discorso che si può fare partendo dal rapporto democratico e partecipativo.
Questa è la posizione che tutti abbiamo assunto, che è stata ribadita qui e che ci impegniamo a ribadire sempre in un discorso che possa portare nel Parlamento europeo la diretta rappresentanza delle nostre genti secondo quelle che saranno le regole del gioco, forse uguali per tutti quanti gli Stati partecipanti, oppure secondo quelle che sono le conformazioni.
Questo è il dato positivo di una visione che non ha soltanto dei riflessi economici, ma che va attentamente studiata da un punto di vista provinciale e anche per quello che può essere il momento di un'ulteriore verifica delle possibilità creative di nuovi tipi di rapporto, di confronto e di scontro fra le forze politiche quando si sono chiariti certi obiettivi così importanti, così impegnati a cui tutti possono partecipare e che non abbiano quell'effetto negativo che purtroppo l'unità italiana ha determinato in un momento in cui soltanto un'elite andò al confronto, non più seguita dal popolo e questo può dire tutti i problemi dell'arretratezza che il Meridione ha conosciuto, regioni ricche nel 1861, regioni tremendamente immiserite nel 1975.
A questi processi storici di cui noi abbiamo pagato e ne paghiamo oggi drammaticamente le conseguenze, è possibile oggi, a livello europeo, porre almeno dei tentativi di evitare le conseguenze negative nel momento in cui tutte le forze, storiche e politiche, operanti nel paese, si sono poste questo obiettivo con ovviamente gli interessi che ognuno deve rappresentare e con la chiara volontà di tutelarli fino ai limiti di quello che il discorso democratico consente.
Oltre questo quadro prospettico positivo ce n'è un altro, ed è il lato negativo che sorge, senza polemiche, è un momento di riflessione per gli uomini politici, portatori all'estero ed all'interno, di un'azione.
Il Consigliere Berti, Capogruppo del PCI, osservava che gli interventi di denaro europeo che questa Comunità ha messo a disposizione della Regione Piemonte, sono andati per 32 milioni di unità di conto (625 lire ognuno) per l'autostrada, 0,3 per abitazioni lavoratori, 5,4 per acciaierie, e soltanto 5,5 per l'agricoltura. Noi sappiamo quanto di negativo il discorso comunitario a livello dei problemi agricoli ha creato, e questo attento resoconto del Presidente lo pone in evidenza per il fatto che si è premiato più il fenomeno garanzia e meno quello di orientamento che era quello di maggiore evoluzione sociale e questo significa carenza, nonostante che per lungo tempo si sia parlato di programmazione europea nazionale e regionale da sfruttare a pieno.
D'altra parte anche in questo Consiglio regionale, per quattro anni sono state portate avanti nella passata legislatura delle problematiche da parte del sottoscritto con l'interrogazione alla Giunta sulla mancata attuazione delle disposizioni comunitarie 159/160/161, per il profondo significato che queste avevano; ma quello che è ancora più importante è che l'Italia, e quindi ovviamente anche la nostra Regione, ha goduto in misura assolutamente inadeguata di quelle che erano le possibilità di interventi nel settore dell'agricoltura per tutte le carenze che indubbiamente esistono, per l'incapacità di entrare molte volte nel vivo dei problemi giocando su una facile parola di socialità, senza mai volersi misurare nel concreto per le proprie carenze intellettuali, culturali e di estrazione.
Questi sono i problemi che emergono e ciò che è ancora più grave (questo voglio ribadirlo come posizione) è che sia al momento dell'elezione della Giunta, sia nei momenti successivi, sempre sollecitai l'attuazione di un'istruzione professionale che assuma una funzione diversa, che possa ottenere diversi tipi di finanziamento, che sappia diversificare realmente l'apparato produttivo piemontese preparando gli uomini al momento essenziale, modificando situazioni che ormai sono condannate alla chiusura.
E quando notiamo che proprio sul fondo sociale , per quello che riguarda una mobilità delle forze di lavoro settoriali non territoriali esistevano ed esistono fondi cui ancora oggi la Regione potrebbe attingere per incrementare quanto è a disposizione per l'istruzione professionale, ci rendiamo conto delle gravi inadempienze del passato e possiamo trarre motivo di diverso impegno per il nostro lavoro futuro. Noi dobbiamo gareggiare, dobbiamo diventare amici di Paesi con culture che hanno indubbiamente un qualche cosa di più della nostra e che hanno avuto una classe dirigente unita nazionalmente per lunghi secoli, conoscono meglio i problemi collettivi nazionali. Diceva giustamente il collega Berti che bisogna andare contro questo tipo di logica, ma contro questo tipo di logica si può andare difendendo gli elementi di fondo delle nostre necessità e delle nostre tradizioni.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Presidente della Giunta, ne ha facoltà.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Signori Consiglieri, la Giunta esprime il proprio apprezzamento per l'iniziativa del Consiglio Regionale, per l'impegno e l'attenzione che il Consiglio ha posto a problemi così importanti e spesso trascurati, come quelli dei rapporti con la CEE e con il Parlamento Europeo.
Sono stati ricordati qui i rapporti che la Giunta, anche in precedenza aveva avuto con parecchi uffici della CEE, sia pure settorialmente e singolarmente; d'altronde questo incontro, a cui noi annettiamo grande importanza, precede di poco quello che l'esecutivo regionale piemontese avrà in sede con gli organismi della CEE, programmato per il mese di febbraio.
L'incontro, che vede già sgombrato il terreno, (e questo è un dato significativo, forse fra i più importanti dell'iniziativa assunta dal Consiglio Regionale) riguarda l'esame dell'elezione del Parlamento Europeo.
Il tema è ormai da parecchi anni oggetto di un dibattito che si è svolto all'interno dei Paesi partecipanti e che riguarda specificamente, come già è stato ricordato da molti intervenuti, il problema dell'elezione politica del Parlamento Europeo e quindi dell'iniziativa che in tal senso dovrà essere assunta dai movimenti democratici e soprattutto dai movimenti dei lavoratori all'interno dei singoli Stati. La Giunta ricorda in questa iniziativa la vocazione europea, di cui ha già parlato anche il Presidente Oberto, - che si inserisce in una, lunga tradizione della comunità regionale piemontese, ma che non è sufficiente di per sé, se non viene riempita di contenuti ed i contenuti sono appunto quelli di cui si parlava all'interno del Parlamento Europeo e della sua direzione politica. Questa iniziativa si colloca su un vasto terreno culturale, sociale ed economico perché viene ad essere assunta all'interno di una vastità di nazioni dell'Europa e genera pertanto dei fermenti e dei movimenti culturali assai interessanti, da un punto di vista sociale ed economico.
Non ricorderò, adesso, tutti gli interventi possibili, da un punto di vista economico, riportati, del resto, in molti documenti: quello del FEOGA, i cui dati sono veramente interessanti, (i fondi del FEOGA, fra l'altro, non sono stati mai sfruttati appieno); il fondo sociale europeo per il finanziamento anche di autostrade; il fondo europeo di sviluppo regionale; infine i problemi di politica del territorio delle regioni frontaliere, degli enti locali e delle istituzioni europee nel loro insieme.
In questo vasto terreno si colloca anche il tema dell'informazione sulle esperienze che le Regioni conducono all'interno della CEE.
Già è stato accennato alla carenza assoluta di informazioni esistente anche all'interno degli organismi più responsabili delle Regioni, e su questo terreno va respinta la tesi governativa, che è stata fatta propria dal Consigliere Carazzoni, circa l'iniziativa di Golfari verso la Somalia.
Già in occasione, mi pare di un'interpellanza, circa un'iniziativa che ebbe la Regione Emilia-Romagna nel suo rapporto con la CEE, parlai col suo Presidente Fanti; il discorso vale per la Somalia, ma vale tanto di più per l'inserimento nella CEE chE prevede specificamente un rapporto con le Regioni. E' pertanto inutile respingere questa tesi, poiché non si pu parlare di un tessuto culturale sociale ed economico senza un rapporto diretto, con un rapporto mediato, invece attraverso l'intervento dello Stato.
La Giunta intende seguire l'orientamento manifestato dal Presidente del Consiglio e da tutti gli intervenuti, perché è molto importante che il rapporto sia diretto, non per sostituire il Ministero degli Affari Esteri ma per colmare i vuoti che esistono e che sono di danno alle Regioni.
Il rapporto deve essere diretto, perché, come è stato ricordato, spesso gli interventi delle istituzioni e degli organismi all'interno della Comunità non sono sufficienti, ci riferiamo al fondi della Banca europea e a tutta una serie di altre iniziative che non coincidono affatto né con le linee di programmazione nazionale o di intervento economico nazionale, n tanto meno con le linee di intervento di programmazione regionale.
E' per questo che respingiamo l'ipotesi che non veda presente, se non in modo immediato, le Regioni e diciamo che la linea che è stata seguita a Lussemburgo e a Bruxelles dalla delegazione del Consiglio Regionale del Piemonte è una linea assolutamente giusta che anche la Giunta intende seguire, per la sua parte, sempre nella sua autonomia, perché la Commissione dovrà essere duplice sia per quanto riguarda l'istituzione con il Parlamento sia per quanto riguarda gli organismi più propri economici ed esecutivi della Comunità, come è già stato ricordato anche dal Consigliere Calsolaro.
In questa ottica la Giunta esprime ulteriore apprezzamento per l'opera svolta dal Consiglio.



PRESIDENTE

Egregi Consiglieri, mi pare che siamo in grado di dare una conclusione a questo dibattito. Non ho alcun titolo politico per trarre una conclusione dal dibattito ampiamente convergente. Il mio dovere era di fare una sintesi, il più possibile obiettiva, di ciò che era stata la missione esplorativa e culturale del Consiglio Regionale, ho cercato di farlo, mi è parso che i consensi che sono venuti rendano possibile una decisione politica.
La mia proposta è quindi non di concludere adesso, ma di avvertire la necessità di una conclusione ampiamente unitaria, e quindi di affidare ai Capigruppo ed alla delegazione che ha partecipato al viaggio il compito di predisporre un documento impegnativo, elaborato, preciso sia nei suoi termini generali che nelle sue proposte operative; documento da sottoporre ad una prossima riunione del Consiglio (potrebbe benissimo essere la prossima perché ci sono tutte le condizioni per stilare un documento serio).
Se questa proposta avesse il consenso del Consiglio la questione si potrebbe risolvere così.
Mi permetterei soltanto di esprimere un parere sul dibattito. E mi riferisco a una risposta che ha dato il Vice Presidente Scarascia Mugnozza a un giornalista, che avvertiva come nella situazione attuale ci sia bisogno più di interesse che di entusiasmo nei confronti della complessa realtà europea. Credo di poter condividere il parere espresso a noi ed alla stampa. Mi pare di poter dire che non si tratta soltanto di percorrere la stessa strada che è stata percorsa sinora, magari con qualche forza in più si tratta da una parte di evitare incidenti di percorso, e dall'altra di imboccare una strada nuova perché non ci troviamo di fronte ad una florida unità europea, ma di fronte a una crisi dell'Europa, a una crisi delle istituzioni europee; ci troviamo di fronte all'ipotesi di un fallimento di ciò che è stato finora, quindi si tratta di una rigenerazione, di un rivolgimento profondo a cui dobbiamo dare mano, dare il nostro contributo.
Adesso siamo tutti quanti d'accordo nel volere un'Europa dei popoli, ma non dobbiamo minimamente nasconderci il fatto che per il momento abbiamo il pericolo di una Europa delle multinazionali, dei banchieri, dei finanzieri ed il pericolo incombente di un'Europa dei sei contro una Europa dei tre di un'Europa dei forti contro un'Europa dei deboli. Questa é, lucidamente la questione che abbiamo di fronte oggi e pertanto ci vuole come al solito molto ottimismo della volontà e molto pessimismo dell'intelligenza l'importanza di questo dibattito nel nostro Consiglio Regionale sta nel fatto che per quanto noi contiamo, per quanto noi pensiamo, per quanto possiamo rappresentare, si è qui manifestata una ampissima convergenza di volontà che rende possibile imboccare una strada concreta, operativa e anche di rinnovato entusiasmo se volete, ma certo con un ripensamento profondo, che, mi pare di poter dire, interessa tutto l'arco delle forze politiche del nostro Paese e anche della nostra Regione.
Ma certo che, come sempre succede in Piemonte, anche quando un salto di qualità sul piano culturale si compie, allora ci mettiamo forse qualche minuto in più, qualche ora in più, ma poi, normalmente, si cerca di fare le cose che si dicono e per quanto è venuto dall'incoraggiamento delle forze politiche, vi posso garantire che per la dichiarazione del Presidente della Giunta e, per la dichiarazione del Presidente del Consiglio, le cose che abbiamo detto di voler fare le faremo e le faremo nei tempi che sono stati qui proposti. Se questo è un impegno di tutte le forze che sono qui rappresentate (e così è stato espresso da tutti i Capigruppo e da tutti gli intervenuti) penso che possiamo affidare a questo documento, da votare nella prossima seduta del Consiglio, la conclusione operativa dei nostri lavori.
Vi sono obiezioni a questa procedura? No, pertanto la proposta è accolta.


Argomento: Urbanistica (piani territoriali, piani di recupero, centri storici

Dibattito sulla situazione urbanistica regionale e sugli strumenti urbanistici in istruttoria


PRESIDENTE

Passiamo allora all'ultimo punto all'ordine del giorno sul quale vi è una breve relazione del Presidente della Giunta: la questione dell'urbanistica.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Ogni dibattito sui metodi e sugli strumenti della pianificazione territoriale va ricondotto al quadro di finalità che, nella ferma volontà di dare piena attuazione al dettato costituzionale, ispira l'azione amministrativa e normativa regionale in materia: uso sociale e gestione pubblica del territorio e delle risorse che esso esprime; finalità, queste espresse con chiarezza nei documenti programmatici della Giunta.
1 - Uso sociale del territorio.
Il dibattito e lo scontro apertisi sul piano a medio termine hanno chiarito al Paese come si renda necessario e urgente modificare il vecchio modello di sviluppo: socializzazione delle perdite e privatizzazione dei profitti; contenimento dei salari e disoccupazione programmata; e ciò alla luce di una malintesa ideologia dell'imprenditorialità e dell'accumulazione, diffusasi anche tra forze tradizionalmente estranee a tali tematiche.
A tale tendenza si contrappone la difesa dell'occupazione, l'uso sociale delle energie giovanili, il rafforzamento degli strumenti del pubblico intervento, una politica della spesa pubblica orientata alla soddisfazione dei bisogni collettivi e sociali in primo luogo; il pieno utilizzo delle risorse disponibili, insomma, eliminando gli sprechi intollerabili che hanno accompagnato la cosiddetta "fase espansiva" dell'economia italiana.
Il territorio regionale, così profondamente segnato dall'uso aziendale e privatistico verificatosi, sarà il quadro di riferimento sul quale confrontare molte delle scelte economiche e sociali.
Il riequilibrio regionale richiede l'arresto dei fenomeni di polarizzazione, promovendo, tra l'altro, il miglioramento della qualità della vita nelle molteplici aree di esodo; e ciò attraverso l'attento recupero del patrimonio sociale fisso abitativo ed infrastrutturale diffuso nella regione e il pieno impiego dei suoi margini, spesso ampi, di sottoutilizzo, quale maglia su cui fondare azioni dirette al consolidamento e potenziamento del tessuto produttivo industriale minore e dell'agricoltura.
Azioni, dunque, coerenti con una politica dell'uso del suolo non garantista, non fondata sulla falsa spontaneità della domanda ed inesauribilità delle risorse, bensì sul pieno riconoscimento dei bisogni delle collettività locali e su una programmata offerta di servizi pubblici: non disegni avveniristici, né interventi megalomani nei diversi settori residenziali, produttivi, direzionali, turistici e dei trasporti, ma programmi territoriali realizzabili, cui riferire interventi pubblici e privati.
In questa prospettiva occorre promuovere energiche azioni rivendicative sul potere centrale, per la piena attuazione delle deleghe e per la formazione di idonei strumenti legislativi.
La delega per le competenze per l'agricoltura consentirà l'avvio di una reale pianificazione del territorio agricolo, emancipandolo dal ruolo di polmone per l'espansione della rendita urbana; alle Regioni va attribuito il controllo delle fonti e degli impianti di produzione dell'energia, in modo da ricondurli nell'alveo della pianificazione e programmazione regionale.
Occorre ribadire con forza la necessità di una nuova regolamentazione del diritto d'uso del suolo, che subordini il diritto di edificare al raggiungimento di pubbliche utilità e all'eliminazione di acquisizione di rendite; occorre ancora rivendicare il potenziamento della legge per la casa, soprattutto finalizzato alla riqualificazione crei tessuti edilizi esistenti, ed orientare quindi in tal senso l'attività degli istituti autonomi per le case popolari; è altresì indispensabile il potenziamento della capacità operativa e di spesa degli Enti locali 2 - La gestione pubblica L'uso sociale del territorio richiede, come corollario, la gestione pubblica del territorio e delle risorse; occorre fondare la politica di programmazione e di pianificazione su strumenti di intervento diretto che riconducano agli organi elettivi la gestione, e non solo il controllo, dei processi di trasformazione del territorio, provvedendo al potenziamento degli strumenti dell'azione pubblica: occorre cioè sostituire alla pianificazione vincolistica una pianificazione operativa, capace di tradurre rapidamente in interventi ed in fatti concreti gli enunciati e le previsioni della programmazione regionale; tale salto qualitativo nella strumentazione della pianificazione sarà oggetto dei contenuti da discutere nell'ambito della legge urbanistica regionale.
Alla Regione spetta il ruolo di pianificazione programmatico strategica che si realizza attraverso la pianificazione economico-sociale e la pianificazione territoriale, articolata a livello di comprensorio, di quei comprensori di cui è prossima la fase costituente. Questa azione di pianificazione e di programmazione strategica e fondamentale sarà quindi attuata attraverso l'apporto propositivo e collaborativo irrinunciabile dei comprensori, che saranno la struttura portante della partecipazione attiva e non solo consultiva, degli Enti locali alla programmazione regionale; ci nello spirito e nel rispetto della legge regionale n. 41.
In questo quadro, gli Enti locali comunali, cui compete come attività primaria la pianificazione, resa più incisiva dalla delega alla spesa pubblica, hanno compito di provvedere alla pianificazione operativa, alla gestione del territorio, degli interventi e delle attrezzature, in coerenza con l'indirizzo espresso di uso sociale del territorio.
Tale enunciato, che resta un dato sostanziale della politica regionale perfettamente collocato nella linea delle autonomie locali, va però reso attuabile secondo linee operative valutate sulla scorta di un esame della struttura amministrativa presente nella Regione.
Su 1209 Comuni, 1904 hanno popolazione fino a 5.000 abitanti, 86 hanno popolazione compresa tra 5000 e 20.000 abitanti, 12 compresa tra i 20 e i 30 mila, 14 tra i 30 e i 100 mila, 3 oltre i 100.000.
La struttura dell'Amministrazione pubblica locale si presenta quindi estremamente debole e tale da vanificare, in una carenza di operatività, i contenuti del decentramento amministrativo e appare complessivamente non in grado di provvedere alla pianificazione operativa e alla gestione del territorio. La Regione ha il dovere di postulare il deciso rafforzamento delle capacità operative e gestionali dei Comuni, favorendo la loro aggregazione in aree intercomunali, omogenee per problematiche di gestione che, nel quadro delle linee strategiche della pianificazione territoriale articolata a livello comprensoriale, si propongono quali livello e dimensioni ottimali di coordinamento e gestione delle molteplici iniziative settoriali che vanno ricondotte ad unità funzionali (distretti scolastici U.S.L., Unità locali dei servizi, Consorzi per le infrastrutture tecniche e sociali, ecc.), promotrici e referenti della partecipazione popolare ad una reale gestione urbana.
Il connotato della pianificazione operativa, se è fondata sulla organizzazione e funzionalità dei servizi (tecnologici, scolastici sanitari ecc.) necessariamente, per grande parte del territorio regionale è dunque da affrontare in una prospettiva intercomunale, ed in tale prospettiva la Regione tende ad operare già per l'immediato, mediante una politica selezionata della spesa, a sostegno dell'attività di pianificazione e di revisione degli strumenti urbanistici cui gli Enti locali hanno posto mano, e promovendo, dove possibile, la costituzione di forme associative volontarie e favorendo iniziative che tendano a dotarle anche di efficienti attrezzature tecnico- amministrative.
Una volta costituiti i Comitati comprensoriali, ad essi spetterà l'individuazione, secondo criteri fissati dalla Regione, delle aree sub comprensoriali, a norma dell'art. 5 della L.R. 41, in cui riconoscere e dare piena efficacia alle iniziative spontanee nel frattempo avviatesi.
La prassi di confronto tra amministratori locali ed una maggiore capacità tecnico-amministrativa consentiranno di ricomporre lo scollamento pressoché totale esistente tra previsioni d'uso del suolo e risorse disponibili; si pongono cioè le premesse alla politica del riequilibrio regionale, al contenimento del degrado fisico e sociale del territorio all'avvio del superamento di elementi di crisi economica attraverso il contenimento dei consumi privati o superflui, l'eliminazione degli sprechi l'espansione degli investimenti sociali.
Queste sono le linee generali che la Giunta si permette di sottoporre all'attenzione del Consiglio; più specificamente, però, è l'Assessore all'Urbanistica, sulla gestione del territorio e degli strumenti urbanistici, Assessore Astengo, che esporrà le linee più precise rispetto a questi obiettivi.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Astengo.



ASTENGO Giovanni, Assessore agli strumenti urbanistici comunali ed intercomunali

Signori Consiglieri Penso che non occorrano molte parole per esporre la situazione piuttosto grave in cui versa l'urbanistica nella nostra Regione. D'altra parte più che parole io esporrò alcune cifre, alcuni dati obiettivi, da cui si possono trarre varie conclusioni, alcune delle quali saranno da me esposte, ma molte altre saranno certamente oggetto di riflessione da parte dei vari Gruppi consiliari.
Mi sembra che il presente discorso possa legarsi anche al lungo dibattito che ha trovato oggi impegnate le forze politiche per la promozione dell'idea europea e per delle strutture di gestione a livello europeo. Mi pare infatti che un'Europa dei popoli, fondata anzitutto sul soddisfacimento dei bisogni elementari per tutti, sulla diffusa dotazione dei servizi sociali, cioè su una linea di civiltà comune, può diventare una realtà se si parte da fatti e problemi concreti, come quelli della gestione del territorio.
Il Piemonte è una regione in cui è fortemente accentuata la disseminazione degli insediamenti urbani e di carattere agricolo rurale disseminazione già evidenziata in alcune cifre esposte dal Presidente, cui mi ricollego.
In sostanza, su una popolazione di 4.450.000 abitanti quale quella attuale, abbiamo una concentrazione assai accentuata di popolazione in pochi Comuni: il 5% dei Comuni ospita il 60% della popolazione; questo fatto, per riflesso, comporta che il 95% dei Comuni ospita il restante 40 della popolazione e cioè 1.757.000 abitanti che vive nei 1158 Comuni al di sotto dei 10.000 abitanti; in quest'ampia classe di Comuni si ha così una media di 1.500 abitanti, che rappresenta l'insediamento-tipo piemontese diffuso, su cui si innestano le maggiori agglomerazioni dei 51 Comuni dai.
10.000 abitanti in su, fino alla metropoli torinese.
La situazione urbanistica della Regione si basa precisamente su queste due realtà geografiche: insediamenti diffusi ed alcuni poli di accentramento. Queste due realtà si comportano con logiche differenti e pongono differenti problemi ai quali occorre fornire risposta adeguata.
E' chiaro che ai 51 Comuni maggiori corrispondono 51 piani, 51 uffici tecnici e gestionali;, per essi la situazione è controllabile, mentre per i 1158 Comuni di piccola taglia la situazione urbanistica sfugge così com'è oggi ad una seria possibilità di controllo.
Vediamo da ora qual è stata la dinamica nei passati vent'anni.
Nella regione, in complesso, c'è stata una crescita, tra il 1951 ed il 1971, di circa un milione di abitanti, con una percentuale di crescita media del 23%. Immaginiamo che per i prossimi vent'anni si verifichi un ribaltamento nel futuro di identica crescita, tra l'altro scarsamente probabile per una serie di considerazioni, anzitutto perché l'onda di accelerazione dell'immigrazione, conseguenza dei massicci processi di industrializzazione è cessata, e poi perché la crescita naturale demografica sta diminuendo nel Paese; supponiamo tuttavia che si verifichi questa proiezione di un 20% complessivo per i prossimi vent'anni, in tal caso, si tratterebbe di un altro milione o poco più di abitanti che verrebbero ad aggiungersi agli attuali e per i quali debbono essere predisposti i relativi insediamenti sul territorio, unitamente alla sistemazioni dei 4 milioni e mezzo di abitanti che oggi compongono la popolazione piemontese. E' dunque al massimo una dimensione siffatta che dobbiamo considerare per il futuro ed a questa dimensione probabile ci dobbiamo riferire quando dobbiamo esaminare quali sono i modi insediativi le distribuzioni territoriali, le caratteristiche di crescita degli insediamenti esistenti e tutti i problemi connessi ai posti di lavoro aggiuntivi e alle dotazioni di servizi, sia per portare il livello ad uno standard medio rispetto alla presente situazione di carenza sia per garantire la dotazione dei servizi aggiuntivi richiesta da questa crescita.
Questa è dunque la probabile dimensione complessiva. Noi constatiamo però che nei vent' anni passati la crescita è avvenuta in modo non omogeneo sul territorio; su questo milione di abitanti, circa il 60% si è attestato nei sei capoluoghi di provincia, con una forte accentuazione, come tutti sanno, in Torino e con una più debole crescita nella fascia dei Comuni di piccola taglia, con situazioni anche di stagnazione e di spopolamento.
Questo fatto avvenuto nel passato comporta, ovviamente, per il futuro delle provvidenze, se come obiettivo ci si prefigge una crescita equilibrata, non più dei capoluoghi, che hanno rappresentato elemento di aggregazione e di attrazione. Tuttavia, anche immaginando di mettere in moto adatti disincentivi e di avviare un processo di riorganizzazione e di riequilibrio del territorio, attraverso la pianificazione territoriale, e chiaro che una maggiore capacità attrattiva resterà pur sempre caratteristica degli insediamenti maggiori; se questa crescita sarà guidata e controllata, non dovrà più toccare il massimo del 55% come è avvenuto nei vent'anni passati, ma potrà essere contenuta in valori intermedi tra il 10 ed il 50%.
Entro questi termini devono essere collocate le prospettive e le ipotesi di sviluppo per il prossimo futuro.
Verifichiamo ora quali sono gli elementi obiettivi che emergono dalla somma delle previsioni dei piani dei singoli Comuni. Abbiamo questi dati desunti dagli strumenti urbanistici esaminati in questi ultimi mesi: su 150 Comuni (che peraltro rappresentano una popolazione molto modesta; in totale 114.000 abitanti, cioè il 2% della popolazione complessiva del Piemonte) i piani presentavano una crescita che se realizzata porterebbe la popolazione oltre a 351.000 abitanti, con un incremento del 206%, ossia circa il decuplo di quella che è stata la crescita reale media nella regione nel passato ventennio. Ecco quindi che anche in questa stessa fascia di Comuni di modeste dimensioni che abbiamo analizzati (130 rispetto ai 1150, e cioè il 12% circa dei Comuni di questa taglia) abbiamo un'indicazione di previsione abnorme.
Questa previsione abnorme è stata pure registrata (e non faccio che riportare un dato già noto) nella fascia intorno a Torino, cioè nei piani dell'area metropolitana torinese dove la crescita prevista dei piani è del 119%.
Bastano questi pochi dati per porre all'evidenza la necessità di una revisione profonda di questi strumenti urbanistici; la revisione è in corso, facendo attenzione alle specifiche caratteristiche di ciascun Comune, ma anche cercando di collocare il piano di ciascun Comune esaminato dentro al suo contesto generale.
Qual è oggi la situazione di questa revisione? Dando risposta a questa domanda rispondo anche in parte all'interrogazione del Consigliere Benzi.
Sui 1209 Comuni del Piemonte ne abbiamo 567 che o sono sprovvisti di piano (84), o hanno soltanto la perimetrazione (320), oppure sono dotati di piani che, essendo stati redatti prima della legge ponte, non comportano una dotazione di servizi sociali adeguati ai decreti ministeriali o sono da rifare (163). I restanti 642 Comuni sono così suddivisi: 281 sono i piani redatti dopo la legge ponte, approvati e vigenti, per i quali, perlomeno la dotazione dei servizi è stata rispettata; in essi, quasi senza eccezione, le previsioni di crescita sono purtroppo ampie, ma nell'ambito di questi Comuni è tuttavia possibile, con la formazione di programma di attuazione, prevedere un contenimento delle previsioni di sviluppo e quindi programmare la crescita urbana in modo sufficientemente ragionevole. Sono dunque 281 i Comuni dotati di strumenti che possono essere programmati nella loro attuazione.
Gli altri 361 Comuni sono quelli i cui piani erano, all'inizio di agosto, giacenti per l'esame (quando fornii i dati la volta passata in Consiglio erano state conteggiate anche le varianti di piano, per cui il numero complessivo di pratiche giacenti era ovviamente superiore al numero dei Comuni cui esse si riferiscono).
Per questi 361 Comuni, che rappresentavano un grosso problema per l'entità numerica delle operazioni di esame dei relativi piani, si è proceduto in questo modo. Nell'intervallo fra il 2 agosto e il 5 dicembre sono stati esaminati 42 piani, e di questi diedi notizia rispondendo alla interrogazione fatta dai Consiglieri Picco, Oberto e Cerchio.
Nell'intervallo fra il 5 dicembre e il 13 gennaio, attraverso una ristrutturazione degli uffici ed una riorganizzazione del lavoro, pur con la stessa forza-lavoro dei mesi precedenti, siamo riusciti a portare il numero di piani esaminati a 125, in poco più di un mese. Si è proceduto in modo più spedito sia perché si è conseguito un maggior affiatamento nell'ambito dei gruppi di lavoro, sia perché si è rilevato un benefico effetto dal trasferimento in corso Bolzano, dove, sia pure ancora in una sistemazione parziale e non definitiva, i gruppi di lavoro hanno fruito di maggior spazio, e sia, anche e soprattutto, perché sono stati sintetizzati gli elementi essenziali da mettere in evidenza previo accordo sulla impostazione generale e concettuale delle istruttorie. Fatto sta che in totale noi abbiamo potuto, in questo intervallo, da agosto ad oggi esaminare 167 piani, Questi 167 rappresentano quindi il 45% dei Comuni con pratiche urbanistiche in giacenza. Sulla base di questi risultati, tenendo conto soprattutto del ritmo di lavoro di quest'ultimo mese, ritengo che in altri due o tre mesi al massimo, tutti i Comuni dotati di piani in giacenza dovrebbero poter conoscere l'esito delle istruttorie ed il voto espresso dal Comitato d'esame che provvisoriamente ho costituito e presieduto; il comitato, per ora; formato da quattro funzionari dotati di esperienza, è stato da me seguito personalmente nei suoi lavori perché ho voluto rendermi conto di ogni singolo piano, di ogni singola istruttoria e di ogni singolo voto, al fine di conoscere sul vivo quella che era la realtà in cui si andava ad operare.
I risultati sono purtroppo questi. Dei 167 piani esaminati ve ne sono soltanto 29 che sono o già approvati o in fase di approvazione; gli altri 138, invece, si trovano in varie classi di restituzione: alcuni con richiesta di qualche semplice emendamento, apportando i quali mediante votazione di Consiglio comunale, il piano - si fa per sapere - può essere approvato; per altri la restituzione è accompagnata da suggerimenti di maggiori modifiche, che però possono ancora trovare un supporto nel documento precedente; in alcuni casi, infine, con un'esplicita dichiarazione che il piano è da impostare in modo completamente ex novo.
Ora, da questo quadro, abbastanza demoralizzante, di piani che obbiettivamente non possono essere approvati, si possono trarre varie considerazioni. Però, prima di entrare in queste, io mi permetterei di chiedere che nell'ambito della II^ Commissione consiliare, mi si consente eventualmente di illustrare, a campione, alcuni di questi documenti, perch ci si renda conto di quali sono gli errori concettuali, metodologici operativi che sono stati compiuti e di fronte al quali il Comitato di esame ha dovuto prendere questa decisione.
Abbiamo così constatato che molti di questi piani relativi a piccoli Comuni, e redatti spesso da uno stesso progettista, coprivano praticamente aree abbastanza ampie e contigue. E' il caso, ad esempio, della Val Chiusella, i cui Comuni avrebbero potuto benissimo costituire dalla loro somma un piano intercomunale. Mentre sono stati, se pur progettati dallo stesso progettista, considerati tutti separatamente l'uno dall'altro come tante monadi; come tante cittadelle, con una visione evidentemente distorta. Si sono per contro avuti, in altre zone, tentativi di aggregazione, con studi preliminari comuni di carattere ambientale, anche se poi nella redazione dei piani non si è giunti ad una organica visione d'insieme. In definitiva, il quadro reale è molto diversificato in varie situazioni, conoscendo le quali, ritengo che oggi sia possibile, da parte degli uffici, e anche da parte mia, capire meglio quali sono i problemi reali e quindi anche, in un colloquio con le Amministrazioni, dare delle indicazioni di maggior aderenza a quelle che sono le realtà di fatto. Per la verità, questi piani non ci offrono grandi possibilità di esame di interpretazione e di studio, perché da una analisi compiuta su 225 Comuni soltanto 75 forniscono dei dati quantitativi che consentano di poter trarre qualche conclusione, intendendo con ciò i dati relativi essenzialmente ai servizi sociali ed alle varie classi di intervento. Da ciò deriva una delle prime considerazioni, e cioè che sarà necessario tentare di omogeneizzare i dati di informazione di base, attraverso le definizioni di questi e la compilazione di schede unificate di dati quantitativi, la cui conoscenza possa consentire di poter rapidamente confrontare i piani e collegare in un mosaico tutte queste varie situazioni e trarne indicazioni utili ai fini anche della gestione del territorio, partendo dall'elemento fondamentale che è la programmazione delle opere infrastrutturali.
E' chiaro però che altri risultati sono conseguibili se alla base vi sarà essenzialmente la volontà politica di dare un assetto più organizzato al territorio. In effetti queste indicazioni ci sono già nella realtà: oltre 200 Comuni hanno già segnalato la loro intenzione di accedere ai contributi regionali, previsti dalla legge regionale n. 34, per agevolare la formazione dei piani; ed è appunto l'estensione di questi contributi prevista dall'emendamento da me presentato alla legge 34 in istruttoria presso la II^ Commissione che potrà sopperire alla domanda. Ma c'é di più: alcune associazioni di Comuni si stanno formando, alcuni consorzi già formati - quello di Biella, quello del basso Toce, ed altri - hanno già espresso la loro volontà di sviluppare questo discorso intercomunale in termini operativi. Si sono costituite associazioni spontanee di Comuni che hanno dato già luogo a degli incontri, per sviluppare un discorso coordinato. Questo è importante, perché se noi riusciremo a seguire nei loro problemi urbanistici i 51 Comuni al sopra dei 10.000 abitanti è chiaramente evidente, in modo che non ha bisogno di dimostrazione, che i 1158 Comuni se considerati frammentati e presi isolatamente, e non riuniti nel contesto territoriale che pure li lega, non possono essere ne seguiti né valutati, né possono essere aiutate le Amministrazioni per rendere operative le scelte di interesse sociale.
In realtà invece esistono dei problemi di aree geografiche, ad esempio esistono aree in cui i problemi di carattere paesistico sono l'elemento essenziale, l'alta Valle del Po, l'alta Val Sesia, la Valle di Stura e così via, aree in cui è estremamente evidente la compattezza dei problemi. In essi studi iniziati singolarmente, se saldati fra loro, potranno sfociare in un discorso unitario, in cui ad esempio, lo sviluppo turistico può anche essere ammesso, ma non nel senso che ogni più piccola frazione abbia una superficie quadruplicata, decuplicata a fini di insediamento turistico, e che questi singoli insediamenti turistici siano quindi tutti disseminati sul territorio, così come in alcuni casi dei piani presi in esame si è verificato nel senso che, là dove esistono gli insediamenti frazionali distribuiti a rosario lungo un asse stradale o di fondo valle non facciano altro che prevedere una lunga fascia continua di sviluppo turistico. Sono queste situazioni purtroppo incontrate nell'esame dei piani e che non possono certo essere accettate, la cui soluzione può essere invece trovata con uno studio attento delle caratteristiche paesistiche che riguardino precisamente territori più ampi di quelli comunali. Colsi come certe situazioni di insediamento industriale che ricadono in Comuni contigui alle città capoluogo e che recepiscono l'intera quantità di sviluppo industriale, non possono essere esaminate fuori dal contesto. Caresanablot per esempio, rispetto a Vercelli, non può essere esaminata come un fatto a sé. In questi casi si pone l'esigenza di unificare il discorso. Dipende dunque da fattori naturali e paesistici e da fattori derivanti dalla forza aggregativa dei poli urbani, la presenza dei processi integrativi; quelli naturali, particolarmente evidenti là dove il territorio costituisce il legamento e il supporto primario in cui gli insediamenti si sono anticamente sviluppati e in cui possono ragionevolmente ritrovare le loro ragioni di vita: per rivivere anche, perché molte sono oggi le situazioni di spopolamento.
Un quadro così articolato comporta necessariamente una reimpostazione del discorso che dovrà costituire, direi, la terza tappa di questo periodo di Assessorato. La prima lunga tappa è stata quella di una ricognizione sul territorio, compiuta attraverso undici assemblee; di quelle che erano le situazioni più evidenti, di maggiore emergenza; la seconda tappa è stata quella di una riflessione sui documenti di piano che abbiamo esaminato ritengo ora che avendo nella mente un filmato così complesso di situazioni si possa adesso procedere ad una terza fase, che dovrà essere necessariamente di nuovo una ripresa di discorso sul posto per entrare in contatto con le amministrazioni, per aprire una stretta corresponsabilizzazione degli Enti locali in questo processo che dovrà far crescere la capacità di autogestione delle proprie risorse. Ritengo che a questa terza tappa bisognerà prepararsi attraverso documenti, attraverso materiale informativo e insieme mi auguro che a quella data anche quegli elementi di supporto e di aiuto, che possono essere forniti con la assunzione delle spese da parte della Regione; siano diventati concrete realtà.
Ecco quindi che mentre dal quadro, su cui il giudizio non può che essere pesantemente pessimistico, si potrebbe solo concludere che dobbiamo riportare il Piemonte all'anno 0 dell' urbanistica, e in questo quadro non va dimenticata anche Torino, per l'esigenza primaria di un riassetto generale tanto del Comune che della sua area metropolitana, per contro si può già cogliere l'inizio, sia pure in sordina, ma tangibile se si tiene conto degli stimoli che emergono dalle iniziative di ripresa in termini nuovi, di una inversione di tendenza, che apre un processo nuovo di autoregolazione della pianificazione locale. In questo quadro chiedere che il rinnovamento della pianificazione locale abbia ad attendere, per essere promossa, aiutata, stimolata, fatta crescere, fino al momento in cui i Consigli comprensoriali saranno costituiti, in cui le linee generali per lo sviluppo comprensoriale saranno fissate, mi sembra del tutto inopportuno perché questa attesa si risolverebbe certamente a tutto danno delle capacità di riassetto e di presa di consapevolezza dei problemi urbanistici da parte degli Enti locali. Mi pare che l'attesa voluta e imposta si risolverebbe in una grossa mortificazione proprio per le autonomie locali questo sì che sarebbe un soffocare le autonomie locali, comprimendo in essa gli stimoli di rinnovamento e facendo loro attendere la formazione preliminare dei lineamenti di carattere generale e strategico; questi certamente verranno, anzi, sta già iniziando, con le iniziative dell'Assessorato del collega Rivalta il processo della loro formazione, ma non possiamo certo ottenere che decolli tutto questo processo di rinnovamento se nel frattempo si congela alla base il processo di revisione urbanistica locale che va in questa stessa direzione.
Mi pare che più sensata sia la proposta che questi due livelli di pianificazione partano contemporaneamente: uno di carattere programmatico l'altro di carattere più strettamente operativo. E d'altra parte non mi sembra nemmeno possibile che le linee strategiche possano essere enunciate senza elementi di informazione di base, i quali possono venire soltanto da una nuova impostazione degli studi, tale che da essi possano trarsi elementi quantitativi di conoscenza per singoli Comuni relativi alle situazioni specifiche, che non sono solo quelle della globalità della crescita, non sono solo quelle della complessiva dotazione di servizi, ma sono anche, ad esempio, quelle della situazione attuale delle infrastrutture esistenti, su cui si imposteranno in futuro tutti i programmi di opere infrastrutturali locali e, soprattutto, se non si ha anche un quadro complessivo di tutte le iniziative locali che si sovrappongono sul territorio di ogni Comune, alcune promosse direttamente dal Comune, altre che discendono dalle varie leggi regionali e statali erogatrici di contributi, cioè se non si imposta un discorso di carattere programmatorio relativo all'Ente locale, singolo o associato in raggruppamenti geografici.
Elementi conoscitivi, questi, che non possono essere individuati o immaginati dall'atto. Vi è uno stato di compromissione del territorio che va conosciuto; uno stato di compromissione che in alcune aree raggiunge punte molto alte, per effetto di un processo di disseminazione che trova la sua origine in quella che è stata una, direi inizialmente opportuna riduzione della densità insediativa, ma che è quindi degenerata per eccessivo abbassamento di indici in una troppo bassa intensità insediativa causa di una rarefatta disseminazione di insediamenti sul territorio, che ha creato quindi le premesse di maggiori costi infrastrutturali per il collegamento di tutti questi frammenti sparsi sul territorio.
Vi è dunque uno stato di compromissione che esige un processo di recupero generale della capacità insediativa sul territorio regionale; ed io ritengo che gli insediamenti esistenti - fra cui i centri storici grandi e piccoli - con le aree di recente espansione, che ancora possono assorbire ulteriore edificazione di completamento, soprattutto per quanto concerne la dotazione di servizi, possano, in un primo tempo, far fronte ampiamente alle esigenze di aree urbane senza dover immaginare necessariamente o per lo meno solo eccezionalmente l'aggiunta di altre aree di nuova espansione; questa ipotesi dovrebbe essere verificata nei Comuni grandi e piccoli, nei Comuni capoluogo di comprensorio e nei piccoli centri abitati sparsi sul territorio agricolo, sul territorio collinare e su quello montano.
Vi è dunque tutto questo processo di recupero da innescare, e questo processo di recupero ritengo che possa essere avviato e realizzato precisamente attraverso quegli strumenti urbanistici di maggiore efficacia che sono il piano regolatore e il piano intercomunale inteso come piano pluriennale, attraverso la programmazione pluriennale degli interventi attraverso quindi delle adatte normative che non si presentino più come normative di carattere regolamentare edilizio, che abbiamo constatato essere troppo ampiamente diffuse (spesso sono, purtroppo, delle povere normative stampate, in edizioni a stampa, alle quali vengono sovrapposte con striscioline di carta delle variazioni, diventando così lo statuto edilizio per i Comuni!). Senza contare che esistono tali attrezzature anche di impostazione culturale, per cui non pochi Comuni che in questi anni hanno inviato i loro programmi di fabbricazione alla Regione dopo il '72 programmi adottati nel '74 (ne abbiamo trovato persino di adottati nel '75) che ancora affermano, nella normativa, che il piano sarà approvato a mezzo di un decreto del Provveditore regionale alle opere pubbliche! Un grosso aggiornamento deve essere compiuto per conseguire una normativa operante, volta non tanto e non solo a stabilire gli aspetti tecnici delle volumetrie degli edifici, ma che sia tale da abbreviare i tempi di attuazione risolvendo i problemi della localizzazione degli interventi e delle relative urbanizzazioni senza ad esempio passare sempre attraverso successivi strumenti urbanistici preventivi, come i piani particolareggiati o i piani di lottizzazione, secondo l'uso ormai generalizzato in Piemonte anche per aree di minime dimensioni, con effetti che ritardano o comprimono le iniziative di attuazione.
Questi obiettivi comportano che il processo di revisione sul vivo della strumentazione urbanistica, deve essere compiuta anche attraverso un parallelo processo di elaborazione della legge regionale urbanistica costituita in settembre, con delibera della Giunta regionale, ha presentato in questi giorni, un documento conclusivo della prima parte dei lavori, che sarà esaminato in sede di Giunta e, appena possibile, fornito, come elemento preliminare di conoscenza e di discussione alla II^ Commissione, e quindi al Consiglio. La Commissione, integrata anche con membri di formazione giuridica, e con un'alta consulenza, è stata officiata con recente delibera per lo sviluppo in termini articolati di questo documento lo studio si presenta di estrema importanza proprio come elemento di innovazione e di omogeneizzazione del processo di pianificazione urbanistica sul nostro territorio.
I due livelli, quello della pianificazione regionale comprensoriale e quello comunale e intercomunale sono chiaramente indicati, e credo che questi due livelli debbano partire anche operativamente assieme e che si debba sviluppare un processo di successive approssimazioni, lento, faticoso ma costruttivo, senza il quale il nostro Piemonte non riuscirebbe a darsi quel volto civile che io ritengo sia non soltanto nelle aspirazioni della Giunta ma di tutti i Gruppi democratici.



PRESIDENTE

Abbiamo così esaurito gli argomenti che nella riunione dei Capigruppo si era deciso di trattare oggi.
Credo che tutti i Consiglieri avranno piacere di ricevere sollecitamente il testo sia delle dichiarazioni del Presidente della Giunta sia dell'illustrazione fatta dall'Assessore Astengo, per potersi preparare per il dibattito di cui fisseremo la data domani, nella riunione dei Capigruppo.
Non vi sono richieste particolari in merito? Allora, dò la parola alla Signora Fabbris per l'ultimo adempimento della giornata: l'annuncio della presentazione di interpellanze e interrogazioni.


Argomento:

Interrogazioni (annuncio)


FABBRIS Pierina, Consigliere Segretario

Interrogazione del Consigliere Rossotto sull'opportunità di appurare la realtà dei fatti apparsi in dichiarazioni di stampa sul Centro tumori di Via Cavour e di insediare una Commissione consiliare di inchiesta.
Interrogazione dei Consiglieri Oberto e Colombino sull'opportunità di un intervento per consentire una normale attività del Museo Nazionale della Montagna.
Interrogazione dei Consiglieri Paganelli, Soldano, Lombardi, Martini sulle intenzioni della Giunta regionale in ordine ai tempi ed ai finanziamenti necessari per il completamento dell'acquedotto generale delle Langhe.
Interrogazione dei Consiglieri Robaldo e Gandolfi sull'intendimento della Giunta regionale circa il completamento dell'acquedotto generale delle Langhe.
Interrogazione dei Consiglieri Vietti, Soldano e Alberton in merito al riparto dei fondi della legge n. 27/1974.
Interrogazione del Consigliere Cerchio affinché la Giunta regionale intervenga per una rapida soluzione della vertenza al Conservatorio Musicale di Torino.



PRESIDENTE

Il Consiglio sarà convocato a domicilio per la data che verrà decisa nella riunione dei Capigruppo di domani.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 19)



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