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Dettaglio seduta n.3 del 24/07/75 - Legislatura n. II - Sedute dal 16 giugno 1975 al 8 giugno 1980

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SANLORENZO


Argomento: Giunta, organizzazione e funzioni

Adempimenti di cui all'art. 32 dello Statuto per l'elezione del Presidente della Giunta e della Giunta Regionale (seguito)


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Ha chiesto per primo la parola il Consigliere Petrini, ne ha facoltà.



PETRINI Luigi

Signor Presidente, colleghi Consiglieri dopo cinque anni di esperienza amministrativa, la Regione Piemonte cambia volto, Lo fa sotto la spinta, assai netta e marcata da parte dell'elettorato, che ha ritenuto, nell'ultima consultazione amministrativa di dare massiccia fiducia soprattutto al P.C.I.
Per dovere di sincerità e di chiarezza, tuttavia, ritengo giusto sottolineare, come ha già fatto il collega Bianchi ed altri, che la soluzione alla quale si è addivenuti non corrisponde alla volontà espressa pur in maniera tanto diversa dal passato, da parte della maggioranza degli elettori e contraddice, per taluni aspetti, molti dei capisaldi sui quali una componente del nuovo orientamento aveva impostato la propria campagna elettorale.
Non intendo soffermarmi sulla disamina dei risultati del 15 giugno: tuttavia, ricordando un passato assai recente, rammentando come l'ultima coalizione di Governo regionale abbia prodotto un lavoro serio ed accurato nonostante le difficoltà di ordine generale, non si può che esprimere perplessità nei confronti dell'atteggiamento del P.S.I., stranamente impostato verso una "punizione" democristiana che in Piemonte non ha certo ragione di essere.
La "forma mentis" di un Partito che si presenta agli elettori chiedendo un rapporto preferenziale con la D.C. ed approda con l'abbandono ingeneroso degli antichi alleati a giunte di sinistra induce a dubitare della sua chiarezza di idee.
Fino ad ora, comunque il difficile gioco degli equilibri, condotto con impareggiabile spregiudicatezza dal P.S.I., ha dato ragione a quest' ultimo: mi auguro veramente che l'antico alleato sappia ritrovare la via di una collaborazione, rinnovata e "rifondata", serena e realistica, con i Partiti del centro-sinistra, in Piemonte così come altrove, dove, cioè, i numeri e la volontà politica lo consentono.
Come sempre tuttavia ritengo la polemica valida, qualunque essa sia nella misura in cui è produttiva: rinunciando ad ogni altro accenno che non sia di ulteriore richiamo ai colleghi socialisti alle responsabilità che in passato si sono assunte ed a quelle ancor più gravi che la nuova scelta comporta, intendo trasferire il discorso sulle cose, sui problemi che ci stanno di fronte.
Noi democristiani testimonieremo la nostra buona volontà nell'impegno a lavorare per la Regione Piemonte pur restando all'opposizione della Giunta Regionale di sinistra, non confondendoci quindi con la nuova maggioranza ma confrontandoci secondo la logica di una opposizione non viscerale, non aprioristica, ma intesa come confronto costruttivo e democratico, come contributo originale e autonomo di proposte alla soluzione dei problemi della comunità piemontese, come apporto positivo che una grande forza politica può e deve dare anche all'opposizione, rimanendo così, come sempre, al servizio delle nostre popolazioni. E ciò perché la D.C. ha assunto precise responsabilità verso il suo elettorato ed è decisa a non venir meno agli impegni, qualunque siano le difficoltà e gli ostacoli di una situazione estremamente complessa.
Esaminiamo dunque oggi, e discutiamo, le linee programmatiche della nuova maggioranza. L'impressione globale che mi auguro i fatti concreti cancelleranno, è che esse risentono della fretta con cui sono state redatte, dell'entusiasmo ottimistico del successo elettorale e di una strana ansia di far tutto e subito.
Perché proprio qui sta il limite globale del documento: attraverso di esso non si vede un Ente nuovo, un organismo decentrato che vuol fare le cose diversamente e meglio del tanto criticato apparato statale, Ne esce invece, un modello di stato in miniatura che si occupa di tutto e di tutti che disperde le proprie energie in una miriade di compiti, beninteso ciascuno meritevole di per se stesso, ma che presumono ben altre dimensioni di quella regionale e, soprattutto, contrastano con l'idea di fondo di Regione come ente nuovo tanto nella sostanza, quanto nelle modalità dell'operare.
Siamo alle soglie di un centralismo di stampo regionale? Sarebbe quantomeno paradossale che le mosse in questa direzione vengano proprio da coloro che si impegnarono, a fianco della D.C., nella lotta per la creazione delle Regioni.
Ma veniamo ad un'analisi specifica.
La crisi economica ed occupazionale occupa il primo posto tra i problemi a tempi brevissimi.
Già si sono raggiunti vertici negativi estremamente preoccupanti: mentre infatti nei primi sei mesi del 1975 la produzione industriale cala di oltre il 18% su tutto il territorio nazionale, si intensificano in Piemonte i ricorsi alla cassa integrazione, (circa 200.000 lavoratori) le ristrutturazioni aziendali, addirittura le cessazioni di attività, come nel caso di piccole e medie industrie tutte con conseguenze disastrose sui livelli occupazionali.
Pur sapendo della limitatezza degli strumenti direttamente operativi di cui sono dotate le Regioni per far fronte a questo tipo di situazioni, ma proprio basandomi sul 'potere di pressione' che la Regione Piemonte si è andata guadagnando in questi ultimi anni nei confronti del potere centrale ritengo sia necessario, senza indugi, definire e chiarire quali sono gli obiettivi da raggiungere in Piemonte per uscire dalla crisi, e farne oggetto di esplicita rivendicazione nei confronti delle scelte di politica economica a livello nazionale.
E' evidente che ogni iniziativa dovrà trovare spazio e integrarsi nell'ambito di un piano regionale di sviluppo, che è necessario che la Regione acquisisca a breve scadenza: sono convinto comunque che gli indirizzi da perseguire e da indicare come prioritari e sui quali la Giunta deve impegnarsi apertamente siano: una reale diversificazione produttiva, che, sulle tracce della legge regionale sulle aree industriali attrezzate, promuova in Piemonte uno sviluppo di quelle attività non direttamente legate con il settore dell'auto.
Una eliminazione degli squilibri territoriali, obiettivo connesso con il precedente perché sarà più facile collocare nelle aree periferiche nuove attività industriali nella misura in cui minori saranno le connessioni tecnico produttive che esse hanno con l'industria dell'auto e quindi con il capoluogo regionale.
Sostegno e rilancio della piccola e media industria, in quanto elemento essenziale per la ricostruzione di un solido tessuto economico laddove si presenta particolarmente cedente, come nel caso delle aree tessili.
Difesa dei livelli di occupazione, intesa non soltanto come ferma opposizione a tutti quei procedimenti di ristrutturazione aziendale, che prevedono drastiche riduzioni di personale, ma anche come creazione delle premesse per il reperimento di nuovi posti di lavoro per l'avviamento dei giovani alle varie attività e per consentire anche nelle donne un'ulteriore integrazione nell'apparato produttivo e nelle attività "terziarie".
Ho accennato al problema tessile e riprendo l'argomento non solo per amor di patria biellese ma perché è giusto rimarcare come ancora una volta secondo una progressione ciclica, il settore si trova investito da una crisi particolarmente accentuata e pesante.
I tessili, è mia opinione, costituiscono infatti, nel contesto industriale piemontese, un "problema nel problema".
Come ho già avuto modo di osservare nella seduta straordinaria del Consiglio Regionale, dedicata nello scorso mese di giugno alla drammatica situazione di molte aziende, l'impegno di tutti consiste nel dare una risposta attiva alla crisi.
Oggi, in sede di discussione di un primo schema programmatico per la prossima Giunta Regionale, pur prendendo atto, anzi proprio prendendo atto dei mutati rapporti di forze, dobbiamo chiederci in che cosa consiste una "risposta attiva" alla crisi tessile.
A questo proposito, invece, mi sembra che le idee espresse dal documento programmatico della nuova maggioranza siano piuttosto approssimative. Forse ciò è soltanto dovuto alla concisione del testo: per mi sembrano poco chiare e assai "concentrate". Comunque quattro righe e mezza sulle circa 800 del documento sono decisamente poche per la seconda industria piemontese.
Non è scontato come appare da quel testo che la crisi occupazionale dell'industria tessile possa trovare la sua soluzione "nello sviluppo dell'industria chimico-tessile", né con le sole iniziative di diversificazione industriale nelle aree a mono-economia tessile, n infine, ancora nella produzione di macchinari per l'industria tessile.
Appare avventato considerare nel breve periodo un rimedio alla crisi occupazionale tessile il potenziamento dell'industria delle costruzioni di macchinarlo, per i seguenti motivi: 1) - la crisi che investe anche il comparto meccano-tessile non è solo crisi di riflesso dell'industria tessile italiana in genere e piemontese in particolare, ma è anche e soprattutto crisi di domanda estera, poiché una forte aliquota della produzione meccano-tessile piemontese è esportatrice per cui se l'accelerazione dei processi di ristrutturazione industriale italiana nel settore tessile possono teoricamente lasciar sperare in un aumento delle: domanda interna di macchine tessili, non si vede come ci possa considerarsi con l'ottica dello sviluppo produttivo di questo comparto qualcosa che resta solo e soltanto, in presenza di una pesante diminuzione della domanda estera, un sostegno sostitutivo di domanda interna, E come si possa confidare in questa presunta espansione del meccano-tessile per riassorbire qui ciò che viene espulso dal settore tessile tradizionale, appare quanto meno contradditorio.
2) - La differenziazione nell'ambito delle aree a mono-economia tessile rappresenta senza dubbio un'alternativa reale. E la situazione vista anche dall'angolo visuale biellese ci consente di affermarlo.
Però l'alternativa non può contare solo ed esclusivamente su industrie accessorie a quella tessile, le meccano-tessile di cui abbiamo detto appena ora, o l'automobilistica, che vive una sua conclamata crisi, Nè può, così su due piedi, organizzarsi in supporto, in funzione complementare e di decentramento esterno all'industria dell'elettronica e dell'informatica: perché appare chiaro come quest'ultima non possa valersi, se non per servigi del tutto elementari e subalterni, nonché di scarsa mole, di occasioni imprenditoriali e professionali nuove o magari soltanto riconvertite, data l'elevatissima specializzazione che esige sia in impianti che in conduzione che in organizzazione e professionalità. La differenziazione può quindi, in un primo tempo solo e soltanto avvenire in connessione con l'industria dell'auto nelle zone a mono-economia come è il Biellese, mentre per alcune potrà articolarsi in quella vasta opzione della produzione di beni strumentali, in ispecie delle macchine utensili, che viene ricordato nel documento programmatico, occupa in Piemonte già 3 0.
000 addetti.
3) - In ultimo, occorre chiarire il senso dell'indicazione che considera risolutiva per le maestranze del settore tessile che ve ne sono espulse, lo sviluppo dell'industria chimico-tessile Che vuol dire? Vuol dire la produzione della fibra sintetica e artificiale? Se vuol dire questo allora sarà bene informarsi a fondo del reale rapporto investimenti-addetti, per verificare se non sia questa una "risposta" del tutto insufficiente a problemi di manodopera di vasta portata come quelli che l'industria tessile in crisi di trasformazione e riconversione presenta.
E ciò indipendentemente dalle valutazioni sulla possibilità di "scorrimento" occupazionale e di riqualificazione da un settore all'altro.
Se invece si parla di industria chimico-tessile a riguardo della trasformazione della fibra in manufatto osserverò che ciò avviene già largamente sia con la fibra artificiale e sintetica in sé che in mista con le fibre naturali. Senza contare poi, che il piano nazionale prevede una impostazione meridionalistica dello sviluppo della chimica-tessile.
Concludendo queste considerazioni sui problemi della industria tessile vorrei richiamare piuttosto a considerarli in maniera più organica ed integrati con la crisi della piccola e media industria: in questo senso sono le proposte del mio gruppo che mi auguro non verranno ignorate. Nella crisi tessile difatti confluiscono fattori settoriali (sia di struttura che di congiuntura specifici) che fattori generali (come la crisi della piccola e media impresa in un momento di trasformazioni dell'apparato "orizzontale" delle lavorazioni tessili: la macrodimensione del Lanificio, del Cotonificio, ecc, tradizionali). Gli uni e gli altri vanno simultaneamente affrontati (ad esempio, offrendo come obiettivo una consistente apertura di credito per le piccole e medie industrie); indi ulteriormente analizzati alla luce degli ultimi periodi di crisi per giungere ad una strategia coordinata degli interventi a sostegno della manodopera occupate e delle iniziative industriali e artigianali, per evitare soprattutto di confondere una crisi di funzionamento, cui si risponde con la ristrutturazione, a crisi di ordine diverso, le cui terapie risiedono in altri interventi e in diversi sistemi.
Compito della nuova Giunta sarà quindi di "fare il punto" sulla reale situazione del settore prima di passare a provvedimenti che potrebbero scaturire da ottiche, se non errate, quanto meno limitate e parziali.
Infine i lavori pubblici (o come si chiameranno nel nuovo contesto organizzativo della Giunta).
Preoccupato anche in questo caso, del critico andamento congiunturale nel settore edilizio e dei gravi riflessi che a breve scadenza potrebbero aversi sui livelli occupazionali, ritengo giusto delineare e chiarire quelle che dovranno essere le linee fondamentali della politica delle opere pubbliche nel prossimo quinquennio.
A proposito di infrastrutture pubbliche, nel documento della Giunta si legge che "è necessario migliorare i meccanismi e le entità dei contributi concessi dalla Regione, in modo da compensare i limiti dei finanziamenti di cui dispongono autonomamente i Comuni, e consentire che prendano avvio i programmi decisi già operanti, dal cui ritardo derivano consistenti residui passivi accumulati dalla Regione".
Ebbene, proprio l'approvazione della legge n. 28 del 16.5.1975 avvenuta a seguito di un ampio confronto in Commissione e in aula, sia sui temi di fondo sia sui singoli provvedimenti, ha consentito un grosso passo avanti sulla via del rilancio di una politica delle infrastrutture pubbliche in Piemonte e della razionalizzazione dei vari meccanismi del settore.
Non c'è che da constatare in dettaglio, che grazie ad una norma della legge si potranno rilanciare i programmi degli anni scorsi, bloccati dalla stretta creditizia, scongiurando tra l'altro, il pericolo di residui passivi: verranno infatti rimessi in moto i lavori finanziati nel 1973 1974, che fossero eventualmente bloccati dalla mancanza di disponibilità creditizie.
Guardando comunque con obiettività ai traguardi ancora da raggiungere siamo convinti che soltanto una politica che non smantelli, ma che nemmeno svilisca e renda inoperanti le disposizioni di quella legge possa consentire il raggiungimento degli scopi che essa si prefigge.
Credo indispensabile che la nuova amministrazione prenda precisi impegni sui seguenti punti: ristrutturazione organica del settore dei lavori pubblici soprattutto in previsione dell'entrata in funzione a breve scadenza, dei comprensori realizzazione di una gamma di interventi autonomi della Regione in aggiunta ai provvedimenti contributivi già in atto, con respiro non solo annuale ma anche pluriennale, in riferimento agli spazi che si potranno aprire con il varo del piano di emergenza da parte del Governo acquisizione di ulteriori strumenti legislativi in campi quali il pronto intervento, il consolidamento e trasferimento degli abitati chiarimento con l'ANAS, a tutti i livelli sul problema della grande viabilità in Piemonte.
Facendo i conti con la realtà effettuale del fabbisogno di infrastrutture pubbliche della nostra Regione - sulla scorta di un'indagine attualmente in fase di avvio, a livello di Comuni inferiori ai 5.000 abitanti - si riscontrerà che su questi orientamenti di fondo bisognerà giocoforza operare se si vorranno raggiungere risultati positivi.
Sembra persino superfluo, a questo punto, parlare di volontà politica come condizione per i futuri amministratori per portare avanti i loro programmi, che mi auguro unicamente recepiscano le indicazioni programmatiche espresse dalla D.C., le mie come quelle di tutti i colleghi di Partito che oggi sono intervenuti per diversi settori.
Pare superfluo, perché se c'è stata volontà di dar corpo, anche contro le indicazioni della maggioranza degli elettori e contro la chiarezza del rapporto democratico, ad una giunta non maggioritaria di sinistra,ben ferma deve essere la forza e la mobilitazione dei componenti la coalizione per portare avanti un discorso programmatico che potrebbe fermarsi al primo ostacolo imprevisto.
Ad ogni modo, nel superiore interesse della comunità piemontese, c'è la speranza che ci si renda presto conto del ruolo insostituibile al quale è ancora chiamata la D.C. per una amministrazione efficiente e moderna.
Una D.C., ricordiamolo, che oltre a rappresentare quasi un terzo dell'elettorato piemontese, è forza democratica e popolare, capace di avvertire e meditare i mutamenti sociali e le conseguenze che essi comportano sul proprio assetto interno, pronta a confermarsi nel ruolo di Partito riformatore aperto alle istanze più vive ed avanzate nella società.
Il richiamo a questa realtà vale per gli alleati di un tempo, ma anche per tutti coloro che potrebbero non resistere alla suggestione di un "potere a tutti i costi", che troverebbe in realtà ben altri luoghi le sue fonti e le sue direttive.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Zanone, ne ha facoltà.



ZANONE Valerio

Signor Presidente, signori Consiglieri intendo dedicare il mio intervento a tre ordini di osservazioni: la prima in riferimento alla struttura della nuova Giunta Regionale di cui finora mi sembra che non si sia ancora parlato la seconda in ordine ai contenuti politici ed amministrativi del documento che è stato proposto la terza in ordine ai rapporti tra le forze politiche presenti in questo Consiglio.
Per quanto riguarda le osservazioni relative alla nuova struttura della Giunta Regionale, riconosco l'opportunità di un'aggregazione più compatta delle competenze dell'esecutivo in riferimento sia, da un lato, ai criteri di riordinamento della pubblica amministrazione quali sono stati ancora recentemente definiti in Parlamento in sede di legge delega per il completamento del trasferimento delle funzioni amministrative alle Regioni sia in riferimento all'indirizzo delle deleghe regionali agli Enti locali le quali richiedono dall'esecutivo regionale funzioni di coordinamento più accentuate, sia, nel complesso, per le caratteristiche di amministrazione superiore, chiamiamola così, che distinguono la Regione come sede di Governo locale oltre che di legislazione decentrata.
Condivido quindi anzitutto il tentativo di aggregare meglio le funzioni dell'esecutivo, ma ho delle perplessità sul modo in cui la Giunta Regionale di cui si propone la formazione, ha risposto a questa esigenza, cioè sulla riunione degli Assessorati in dipartimenti. E' vero che il documento non ne parla ma le notizie che abbiamo appreso dai giornali, anche per le dichiarazioni autorevoli dei componenti della nuova maggioranza penso siano da ritenersi senz'altro fondate.
La mia prima perplessità deriva dal fatto che con la struttura dipartimentale che si darà alla nuova Giunta, inevitabilmente si finirà per riconoscere ad alcuni Assessorati o ad alcuni Assessori un ruolo di rilevanza politica superiore ad altri Assessorati e ad altri Assessori.
Noi non abbiamo come il Governo centrale, una gerarchia interna dell'esecutivo per cui ci siano dei Ministri e dei Sottosegretari, avremo in compenso degli Assessori e dei Super-Assessori; e questo pone dei problemi, presumibilmente, di organizzazione interna dell'esecutivo. Mi limito a quello che allo stato dei fatti e delle previsioni mi sembra essere il principale, Non me ne voglia il collega Viglione: ma quando la nuova maggioranza conferisce al Vicepresidente della Giunta l'incarico del coordinamento funzionale dei dipartimenti, mi chiedo come questo tipo di struttura interna dell'esecutivo si concili con la norma statutaria la quale affida al Presidente della Giunta il compito di coordinarne l'attività.
Dicevo, non me ne voglia il collega Viglione: ho letto in passato alcuni interessanti saggi giuridici sulla Regione Piemonte come modello di Regione presidenziale, adesso se ne scriveranno altri sul Piemonte come modello di Regione vice presidenziale.
Di fronte al dislivello di funzioni e di peso politico che viene attribuito ai diversi componenti della Giunta, ci chiediamo se questa aggregazione delle competenze non si poteva ottenere in un modo molto più semplice e più lineare cioè attraverso una drastica riduzione del numero degli Assessori. I colleghi che fanno parte di questo Consiglio sin dalla sua fondazione ricordano che il testo originario del nostro Statuto, per la verità, prevedeva un numero di Assessori sensibilmente inferiore a quello che è oggi concesso, e che l'elevazione al numero degli Assessori a 12, fu attuata con un'operazione piuttosto discutibile da parte dell'allora maggioranza di centro sinistra, approfittando di alcune correzioni formali di legittimità richieste dal Senato della Repubblica per pervenire alla sollecita approvazione legislativa del nostro Statuto. Ed allora io parlai contro l'estensione del numero degli Assessori, adducendo più o meno proprio queste ragioni di coordinamento e di indirizzo politico, tipiche del Governo locale, che a nostro avviso consigliavano di contenere l'esecutivo regionale nelle sue dimensioni più ridotte. E mi pare che il Gruppo comunista allora fu d'accordo con noi su questa tesi.
Ora di fatto, se consideriamo i settori principali di intervento della Regione: la programmazione e bilancio, il territorio, l'istruzione e la cultura, i servizi sociali della sanità e dell'assistenza, l'agricoltura gli interventi nei settori produttivi secondario e terziario, possiamo credo, calcolare con qualche approssimazione attendibile che si potrebbe far funzionare una Giunta Regionale efficiente riducendo gli Assessori a sette o otto.
Ma devo dire che questa organizzazione dipartimentale, se solleva dei delicati problemi di natura politica sul ruolo dei componenti della Giunta tanto da ipotizzare quasi una diversa conformazione della Giunta rispetto al modello statutario (abbiamo uno Statuto che prevede la preminenza della figura del Presidente e la collegialità e la parità fra tutti gli altri componenti della Giuntasi va, viceversa, con una certa evidenza, ad un modello di organizzazione differenziato)pone anche problemi ulteriori di raccordo fra l'ordinamento interno dell'esecutivo e il Consiglio Regionale.
Abbiamo, per regolamento, otto Commissioni legislative e occorre porsi il problema del modo in cui il lavoro di queste otto Commissioni legislative si coordinerà con il lavoro dei tre dipartimenti; perché a mio avviso sarebbe un errore differenziare sulle materie regionali, che sono le stesse sia in campo legislativo che in campo amministrativo, quello che è il procedimento e l'aggregazione di competenza del processo legislativo da quella che è l'aggregazione delle competenze ed il processo amministrativo effettuato dalla Giunta. Sicché se l'organizzazione dipartimentale dovesse sortire dei risultati positivi, (non mi pronuncio né pro né contro in questo momento), ma se dovesse dare dei risultati positivi, allora si porrebbe la necessità di modificare il regolamento del Consiglio affinch anche la struttura delle Commissioni legislative sia riorganizzata sulle medesime basi.
Vengo al secondo punto, cioè alle osservazioni sulle linee politiche ed amministrative del documento.
Stamattina, sentendo parlare i colleghi D.C., mi veniva da osservare come la logica delle minoranze, indipendentemente dalle ideologie, è più o meno sempre la stessa: quando c'è una maggioranza che presenta un documento programmatico, la prima tentazione delle minoranze è quella di coglierne le lacune, le approssimazioni, le imperfezioni e di chiedere di più o di meglio, il che è anche giusto Ma io non vorrei entrare in un tipo di osservazioni critiche di questo genere Devo dire che molte parti soprattutto per quanto riguarda gli interventi settoriali, mi sembrano davvero un primo abbozzo forse volutamente non definito e quindi mi concentrerò soltanto su un paragrafo del documento, quello che invece mi pare già disporre di un'impalcatura più solida che riguarda la difesa dell'occupazione ed il 'nuovo tipo di sviluppo'. Senza dubbio questa è la prima ed essenziale delle prove che attendono la Giunta Regionale e su di essa si metteranno a verifica, nelle prossime settimane, le dichiarazioni di intendimento che sono contenute nel documento programmatico.
Credo che la difesa dell'occupazione e l'impegno per un nuovo tipo di sviluppo, siano due obiettivi che possono senz'altro essere tra loro collegati, ma non su un piano di contemporaneità, perché se si vuol attuare un nuovo tipo di sviluppo senza ricorrere a provvedimenti coercitivi che mi auguro il PCI non voglia mettere in opera e che comunque, quand'anche lo volesse, non sarebbero di competenza della Regione, la costituzione di un nuovo tipo di sviluppo economico richiede dei tempi medi anche lunghi un'azione graduale di orientamento di tutto il sistema produttivo che potrà essere avviata, ad essere solleciti, con l'approvazione del piano di sviluppo regionale il quale da un lato dovrà indicare dei punti di convergenza che coinvolgano gli operatori pubblici, quelli privati, le forze economiche, sociali e sindacali, per utilizzare tutte le forze produttive della Regione in vista del conseguimento di determinati obiettivi; e d'altro lato, cosa a mio avviso del tutto preminente rispetto alla prima, dovrà stabilire con precisione quello che la Regione può e deve fare con i mezzi propri, intendendo per mezzi propri, sia pure in via indiretta, anche tutti quei mezzi degli Enti locali che potranno essere aggregati e coordinati attraverso il livello comprensoriale della programmazione, attraverso la redazione del bilancio consolidato degli Enti locali e gli altri strumenti che la legge sui comprensori prevede proprio per dare una unità anche all'azione amministrativa degli Enti territoriali minori.
Fra gli obiettivi di questo nuovo tipo di sviluppo (noto la finezza per cui si è corretto il termine di "modello di sviluppo" che forse aveva una connotazione ideologica troppo accentuata e si è venuti alla più realistica definizione di "nuovo tipo di sviluppo") una maggiore accentuazione a nostro avviso, deve essere data in Piemonte allo sviluppo del terziario qualificato, di cui il documento mi pare non parli molto.
Ho già detto in altra sede che gli indici statistici indicano il Piemonte, in relazione alle altre Regioni industrializzate e all'Italia nord-occidentale nel suo insieme, come una regione povera di attività terziarie qualificate sia nel comparto pubblico che in quello privato.
Viceversa uno sviluppo del terziario pubblico nei servizi sociali della sanità (pensiamo al personale paramedico di cui mi pare abbia parlato stamane il collega Rossotto),dell'assistenza (pensiamo alle forme moderne di assistenza agli anziani, agli handicappati, alla educazione prescolastica), della cultura, della tutela ambientale, l'insieme di questo terziario pubblico superiore è essenziale se si vuole migliorare in senso più civile e socialmente anche meno sperequato la qualità della vita nella Regione e quindi anteporre ai consumi privati non essenziali lo sviluppo dei consumi pubblici non parassitari, (quando parliamo dello sviluppo del terziario non ci immaginiamo - tanto per fare un riferimento - un terziario di tipo laziale, ci immaginiamo un terziario che abbia una sua validità in termini di prestazione sociale effettiva).
Al tempo stesso, anche la crescita del terziario superiore privato, nei computi che sono collegati all'attività produttiva (attività di ricerca consulenza tecnica, intermediazione finanziaria ecc.) e essenziale se si vuole impedire ciò che già oggi avviene cioè che le industrie maggiori della Regione trasferiscano ormai metodicamente verso Milano i servizi superiori dei loro uffici; e se si vogliono costituire anche le condizioni che prepareranno il terreno ambientale per lo sviluppo di nuovi settori industriali.
Ho già ricordato in altra sede che il terziario superiore privato offrirebbe se si riuscisse soltanto a portarlo sulla media degli altri centri urbani dell'Italia settentrionale anche notevoli possibilità di nuova occupazione: nel censimento del 1971 gli addetti al terziario superiore privato nella provincia di Torino erano 69.000, pari al 3% della popolazione; nella provincia di Milano erano 209.000, pari al 5,4% della popolazione, nelle altre grandi città del Nord erano più vicini alla media milanese che a quella torinese, il che significa che senza creare sacche parassitarie si possono ipotizzare alcune decine di migliaia di posti di lavoro da attribuire al settore del terziario privato qualificato.
Ma il problema più difficile è quello di raccordare gli obiettivi del nuovo tipo di sviluppo con la difesa immediata dell'occupazione, perch qualsiasi discorso sul nuovo tipo dello sviluppo richiede che per intanto lo sviluppo ci sia, mentre la previsione oggi più attendibile è che dopo i problemi della crescita selvaggia che ci hanno preoccupati in questi anni siano i pericoli della recessione selvaggia quelli che batteranno alla porta della Regione piemontese nei prossimi mesi. Si attende, come tutti sappiamo un autunno in cui la caduta della produzione industriale - i cui indici sono abbastanza chiari - il blocco degli investimenti sia pubblici che privati, anche i riflessi negativi di un'annata agricola che non sembra fra le più promettenti, rischiano di provocare una crisi gravissima nei livelli di occupazione piemontese.
Lo strumento al quale finora si è fatto principalmente ricorso, cioè la cassa integrazione, non può andare oltre certi limiti di intervento che hanno fra l'altro un'efficacia più assistenziale che promozionale. E quindi non si possono alimentare troppe illusioni sulla portata dell'azione anticongiunturale che la Regione può svolgere con i propri mezzi. Dobbiamo certamente, anche senza uscire dai termini del nostro dibattito riconoscere la forte dipendenza che il problema della produzione, e dell'occupazione in Piemonte ha rispetto alla direzione politica nazionale riconoscere prima di tutto che in un sistema economico come quello piemontese che ha un'interdipendenza fortissima con il resto del Paese ed anche con il resto del mondo attraverso gli scambi internazionali, la difesa dell'occupazione è oggi un compito terribilmente difficile, reso più difficile da alcune clamorose distorsioni del nostro sistema legislativo e amministrativo pubblico; e dal costo del lavoro che, pur non essendo le retribuzioni dei lavoratori italiani e piemontesi fra le più elevate nella CEE, tuttavia è sperequato in settori essenziali rispetto alle medie europee e quindi rende difficile la presenza sui mercati delle produzioni più importanti, Il Ministro dell'Industria recentemente, ad un convegno a cui partecipava anche il collega Libertini, ha riconosciuto la validità di questa osservazione per il settore tessile, ma anche per il settore metalmeccanico - più essenziale per le capacità esportatrici del Piemonte la competizione sui mercati internazionali e difficile in presenza di un costo del lavoro che è molto più elevato dei paesi in competizione diretta con l'Italia. Abbiamo letto in questi giorni su "La Stampa" dati per cui un'ora di lavoro di un operaio metalmeccanico costa in Italia lire 2425 lire, contro 1780 in Francia e 1820 in Germania e quindi assistiamo al paradosso tragico di un paese che storicamente, prima ancora di essere esportatore di prodotti è esportatore di manodopera e dove tuttavia l'unica imposizione fiscale davvero efficiente e spietata è in fondo, attraverso gli oneri contributivi sociali, la tassa sull'occupazione.
In una situazione del genere che cosa può fare la Regione? A me pare innanzi tutto che un punto di verifica consista nella capacità di chiamare ad una consultazione operativa e non soltanto colloquiale le forze economiche e sindacali, per varare tutte quelle politiche che servono a conciliare la difesa dei livelli di occupazione con la necessaria mobilità della forza di lavoro, una necessità che, pur fra varie oscillazioni e interpretazioni differenti, anche gli elementi più responsabili delle confederazioni sindacali oggi ammettono, si ammette, mi pare, da parte dei maggiori sindacalisti, che la rigidità della forza di lavoro non deve essere intesa in un senso tale da impedire quella flessibilità che è necessaria perché l'occupazione produca un risultato effettivo Ha detto stamane il collega Rossotto che un campo certo non esauriente, ma molto importante, per cui gli imprenditori e i sindacati dei lavoratori devono confrontarsi con la Regione e la Regione deve poi assumere delle iniziative proprie eseguendo le proprie competenze che sono in questo settore primarie, è il varo di un piano di formazione professionale e anche di riconversione professionale dei lavoratori adulti, che serva a realizzare questa possibilità di difendere l'occupazione e nello stesso tempo la mobilità della forza di lavoro.
Da un punto di vista più generale, comunque, bisogna riconoscere che per garantire i livelli di occupazione non si può prescindere dal mantenimento dei livelli produttivi nei settori tradizionali. Ecco dove il distacco dei tempi fra il nuovo tipo di sviluppo e la difesa dell'occupazione deve trovare una sua saldatura realistica. Soltanto l'espansione della base produttiva può consentire una diversificazione economica che sia una diversificazione nello sviluppo e non soltanto una politica di ripiegamento. E dò atto al documento di riconoscere questa necessità; c'è un punto in cui si dice che non si può comunque rinnovare l'apparato produttivo dimenticando l'importanza delle produzioni che sono in atto. Credo ci voglia una grande immaginazione per cogliere il riferimento implicito in questa affermazione alla più grande industria privata piemontese e italiana, cioè alla Fiat, i cui dirigenti in questi giorni hanno da parte loro dichiarato sui giornali che non diminuirà l'attività dell'auto ma cresceranno altri settori.
Ecco quindi una proposta che mi pare si possa fare alla nuova Giunta visto che l'attività del gruppo Fiat è già per conto proprio sensibilmente differenziata; la proposta di un incontro con questo grande gruppo finanziario e industriale per valutare esattamente, anche in riferimento agli impegni meridionalistici che la Regione Piemonte ha sempre ribadito in quale misura i progetti di diversificazione industriale del gruppo Fiat possono interessare la Regione Piemonte, perché un pericolo che diversamente ne conseguirebbe, è quello che in Piemonte finiscano per restare proprio gli impianti per la produzione dell'automobile e che quindi l'orientamento monoculturale piemontese, tanto lamentato, si aggravi ancora di più attraverso il processo di diversificazione del gruppo Fiat.
E vengo alle considerazioni di carattere politico.
Questa Giunta è formata da partiti che rivendicano, giustamente, la rappresentanza della base operaia e che peraltro in questo documento non fanno riferimento, se non per accenni parziali o indiretti, ad un'impostazione di classe, almeno nel senso marxistico del termine. Devo dire (non so se i proponenti lo prenderanno come un complimento o come una critica) che non ho rilevato molte tracce marxistiche in questo documento programmatico. Sappiamo d'altra parte che nel convegno dell'Istituto Gramsci, nell'elaborazione culturale che ha preceduto il varo di questo esperimento politico, si è detto ripetutamente che anche il PCI si fa oggi carico di una politica che consenta l'autofinanziamento delle imprese, cioè riconosca la logica del profitto di impresa.
L'autunno verificherà, prima di tutto, questa posizione politica; la quale, non c'è dubbio, prima del 15 giugno ha suscitato molte aspettative prima fra tutte quella anche di componenti non trascurabili dei ceti medi che nell'assunzione del potere locale da parte del PCI hanno visto non soltanto una dimostrazione di protesta contro l'inefficienza dei sistemi amministrativi tradizionali, ma anche la possibilità di un controllo sociale sulle tensioni derivanti da un periodo purtroppo prevedibile di duri sacrifici. Spero di sbagliare, ma andiamo verso un inverno in cui si imporranno dei vincoli meno deamicisiani degli anni scorsi, non basterà questa volta, passeggiare in bicicletta e andare presto a letto alla sera per risparmiare la luce, si imporranno sacrifici sociali più duri che ricadranno purtroppo, secondo la logica di tutte le cadute, sui ceti più vasti.
Al confronto con questa realtà noi verificheremo la coerenza fra l'impostazione devo dire, tutto sommato, più riformistica che marxistica che il PCI ha voluto dare a questo suo primo documento programmatico di maggioranza. Andremo a vedere se il PCI intenderà proseguire la sua funzione che oggi, fra qualche giorno, non sarà più una funzione di minoranza, ma di Governo, secondo la logica di un modello neocapitalistico o se vorrà contrapporre a questa logica quella che storicamente gli appartiene.
Noi non abbiamo dubbi, anche per la serietà che riconosciamo al PCI.
che nella prospettiva di lungo periodo la logica che il PCI intende scegliere sia la seconda e non la prima, ma la cosa più importante forse da un punto di vista di politica pragmatica è vedere che cosa si farà sugli adempimenti immediati perché è su questi che intanto incominceremo ad organizzare il rapporto tra le forze politiche all'interno della Regione.
Si tratta di salvaguardare quelle condizioni di ambiente politico economico e sindacale che possono garantire il recupero della produttività.
Tutti sono d'accordo sul recupero della produttività, ma bisogna vedere in che misura si mettono in atto le condizioni ambientali che lo rendono possibile, bisognerà vedere che cosa si otterrà in termini di efficienza del settore pubblico, cioè se si riuscirà ad arginare l'involuzione parassitaria che contraddistingue l'andamento di certi settori almeno della pubblica amministrazione, bisognerà vedere se si riuscirà a raccogliere davvero un grado di coesione sociale sufficiente per ridurre tutte le forme di assenteismo: oggi l'assenteismo del lavoro è in diminuzione, ma c'è l'assenteismo degli investimenti, e sono tutte forme di assenteismo che soltanto una forte guida politica che raggiunga un alto grado di consenso sociale riesce a conseguire; bisognerà vedere che cosa si può fare per ottenere una ripresa delle esportazioni, a nostro avviso il vero obbligo che in termini non retorici, ma concreti, la Regione deve mantenere in termini di solidarietà meridionalistica e verso tutto il paese; perché non c'è dubbio che i dislivelli territoriali e geografici non si superano senza la formazione di nuovi flussi di reddito quindi senza una ripresa dell'attività esportatrice della nostra Regione.
Signor Presidente, signori Consiglieri noi abbiamo riflettuto sulla lezione (piuttosto dura, se devo dire la verità), del 15 giugno e non intendiamo qui farne un'analisi in termini quantitativi statistici Dobbiamo riconoscere che è fallito un certo esperimento riformistico che si chiamava il centro sinistra, tanto è vero che l'opposizione comunista ha impostato e provvisoriamente vinto il confronto anch'essa non con una critica al riformismo, ma con un rilancio del riformismo; l'opposizione ha vinto queste elezioni ribadendo l'esigenza di un riformismo futuro rispetto ad un riformismo del passato, che era quello della coalizione del centro sinistra, che non aveva conseguito i suoi risultati. Quindi è questo, oggi, a mio avviso, il termine del confronto, è su questo che noi dobbiamo misurare il crollo dei vari scenari di Governo.
Non so da che cosa derivi l'ilarità del collega Bono.



BONO Sereno

E' sui riformismi.



ZANONE Valerio

Perché fanno ridere i riformismi?



BONO Sereno

Se ne parla da quindici anni, è un paradosso, Zanone.



ZANONE Valerio

Io conosco solo il paradosso di Zenone che riguardava una tartaruga, il che si può applicare bene a certe prassi del centrosinistra.



RASCHIO Luciano

Ti poni un tuo obiettivo e ti costruisci i comunisti a tuo modo di vedere.



ZANONE Valerio

Mi spiegherete poi l'interpretazione autentica.
Io voglio dire questo, lasciando naturalmente al PCI di rettificare quelle che sono le nostre impressioni; io dico qual è la mia interpretazione politica del modo in cui il PCI è pervenuto a vincere la elezione del 15 giugno, perché sono convinto che se il PCI avesse fatto un programma di marxismo rivoluzionario non avrebbe vinto le elezioni del 15 giugno.



LIBERTINI Lucio

La cosa che ci può far sorridere sono quelli che si sono detti riformisti, le riforme no.



ZANONE Valerio

Questo è un discorso che io accetto implicitamente quando dico che un certo tipo di riformismo è caduto.
Ci sono vari scenari politici che sono crollati in questi anni E' crollato il centrismo di sicuro, ma è crollato anche il centro-sinistra tradizionale, quello che fa sorridere Lucio Libertini, cioè quello degli appuntamenti mancati, della programmazione come genere letterario; questo tipo di centro-sinistra è caduto ed è caduta anche, colleghi del PSI l'ipotesi di una maggioranza di sinistra alla francese, cioè di una sinistra italiana guidata dai socialisti; perché dopo il 15 giugno è chiaro che la maggioranza di sinistra, se si farà, si farà sotto la direzione politica del PCI e non di altri.
Organizzare delle commemorazioni funebri, come diceva stamani Rossotto sopra i vedovi del centro-sinistra, a noi non sembra sia il modo più adatto per affrontare questa situazione. Devo dire sinceramente che ci interessa di più un discorso che vada oltre le formule dello schieramento del centro sinistra perché questa formula ha avuto poca efficacia al Governo e quindi ne avrebbe presumibilmente una molto inferiore ancora dall'opposizione. E qui c'entra anche l'analisi, che non ho voluto fare per brevità, dei risultati del voto del 15 giugno; non è stato solo un voto di protesta e comunque, anche nella misura in cui era un voto di protesta, era un voto di protesta contro l'inefficienza, contro il disservizio, contro un sistema amministrativo che globalmente possiamo definire, anche quello, il sistema amministrativo del centro-sinistra. Ma non è stato soltanto un voto di protesta, è stato un voto ad esempio in gran parte di giovani; sono i giovani, in fondo, quelli che hanno dato una svolta a questo risultato elettorale, manifestando una domanda politica nuova. E io credo sia un insuccesso grave che deve (come ho detto per l'elezione del Presidente del Consiglio) richiamare le forze non comuniste ad una rigorosa autocritica per il fatto che questa nuova domanda politica non sia stata trattenuta nell'ambito della democrazia come noi la intendiamo, ma sia slittata in così larga misura verso i Partiti di sinistra ed in particolare verso il Partito comunista.
A me pare che dopo il risultato elettorale del 15 giugno, con la caduta indubbia del collateralismo cattolico, sia diventato più chiaro il confronto fra due modi di organizzare politicamente e socialmente la democrazia due modi che, a mio avviso, non si conciliano tra loro; il modello di una democrazia (anche qui Raschio dirà che la faccio a modo mio che è una mia invenzione) popolare, consociativa che, come mi pare abbia detto Minucci (mi spiace di non averlo sentito stamattina, ma ho dato un'occhiata ai suoi appunti) ha questo concetto un po' nostalgico della società organica, una democrazia tendenzialmente totalizzante che si esprime, sul piano operativo, nella strategia unitaria della Giunta, in un comportamento politico che assorbe la minoranza e che quindi rende in prospettiva meno facile l'alternativa ed il ricambio. E' un altro modello di democrazia, il modello della democrazia garantista, pluralista, della democrazia fondamentale liberale in termini di tradizione culturale prima che di opzione partitica.
Io credo che fra questi due modelli un terzo modello non c'è, bisogna scegliere fra l'uno o l'altro. Ma a noi che siamo stati quasi sempre all'opposizione evidentemente il ruolo dell'opposizione non pesa e l'essenziale e che esso si possa esercitare con margini di tempo e di azione, per quel tanto o poco di spazio che gli elettori ci hanno lasciato sufficienti per esercitare il nostro ruolo e si evitino i pericoli opposti del compromesso fra tutte le vocazioni governative da un lato; (questo è un pericolo, ad un certo momento c'è una vocazione governativa di sinistra che sta crescendo, c'è una vocazione governativa D.C. che presumo tarderà un poco a spegnersi e si può realizzare un compromesso fra queste vocazioni contrapposte); e dall'altra parte il pericolo dello scontro frontale che è anch'esso un grave pericolo perché radicalizzando la lotta politica porterebbe alla frattura del paese.
La costituzione di Giunte di sinistra in Regioni fondamentali nel tessuto economico e sociale nel nostro Paese, come la Liguria e il Piemonte,è un fatto politico di rilievo nazionale, e non solo locale, credo illusoria la teoria di coloro che ritengono che l'alternanza fra un centro sinistra che difende il modello istituzionale e costituzionale a livello di centralità, e una serie di amministrazioni di sinistra che attuano una politica di correzione degli abusi D.C. e degli abusi del governo di centro sinistra a livello locale, possa ripristinare in Italia quelle forme di mobilità del sistema politico che non si possono altrimenti ottenere perch noi viviamo, come tutti sappiamo, in un regime di dipartitismo imperfetto.
Credo che questa teoria sia gravemente illusoria perché un Governo centrale non può sopravvivere se i poteri locali delle aree più forti del paese si pongono su una direzione politica contrapposta: e prima o poi l'uno sopprimerà l'altro. Noi ci troviamo quindi, in questo momento, in una situazione politica di grande instabilità, Le forze intermedie che sono state, in queste elezioni, o penalizzate duramente, o non premiate dagli elettori, hanno a mio avviso una funzione che resta essenziale e che devono esercitare con serietà ad esempio, senza regali sottobanco alla nuova maggioranza. Bobbio ha rotto le sue abitudini concedendo un'intervista ad un rotocalco dopo il 15 giugno e ha detto una cosa importante, credo che l'abbia detta rivolta alla gente come noi: "attenzione, adesso, a non cambiare soltanto padrone".
Voglio dire una parola su quel 31° voto che mi pare il collega Minucci abbia definito un gesto di fantasia, o qualcosa del genere. Io credo che in momenti di questo genere bisogna sacrificare la fantasia alla coerenza; è meglio, a costo di passare per pedanti, è meglio sacrificare la fantasia.
Noi non abbiamo messo della fantasia nel 31° voto, anche perché credo che i liberali fra i loro difetti superstiti abbiano quello di dire quello che fanno e di fare quello che dicono e io ho dichiarato in questo Consiglio che i liberali avrebbero votato scheda bianca. Rassicuro il Presidente del Consiglio Sanlorenzo (che del resto lo sa, come lo sanno altri) che questo 31° voto non è nostro.
Si può uscire dagli schemi, si può assumere in una votazione palese o segreta, in un'assemblea dove ciascuno di noi esercita un mandato senza vincolo imperativo, una posizione di responsabilità personale purché sia appunto responsabile, sia politicamente spiegata e dichiarata. Io ho trovato troppo duro un primo intervento che Minucci ha fatto subito dopo le elezioni, quando qualche giornale, raccogliendo voci che poi si sono rivelate prive di fondamento, ha ipotizzato la possibilità che nel Consiglio comunale di Torino la Giunta di centro-sinistra, che aveva 39 voti su 80, arrivasse a farne 40 o 41 raccogliendo qualche voto lungo la strada e Minucci si è scagliato contro questa ipotesi definendola, mi pare un'operazione di cani sciolti o qualcosa del genere, comunque un episodio di trasformismo deteriore. Se fosse qui vorrei chiedergli perché questa operazione, (che non si è fatta) se fosse stata fatta verso il centro sinistra, sarebbe stata un episodio di trasformismo deteriore e perché la medesima operazione fatta in senso contrario, all'interno di questo Consiglio, deve diventare un momento di fantasia, un volo di immaginazione.



LIBERTINI Lucio

Non era questo il centro della considerazione di Minucci, era un altro.



ZANONE Valerio

E qual era? LIBERTINI Era che noi non abbiamo né richiesto, nè contrattato, né richiederemo nè contratteremo, noi vogliamo rapporti con le forze politiche e non con i trasformismi. Dopo di che si è domandato a che cosa può corrispondere.



ZANONE Valerio

Quindi non era un'interpretazione elogiativa



MENOZZI Stanislao

Ha espresso sentimenti di gratitudine verso quell'amico sconosciuto!



ZANONE Valerio

Comunque se quella è l'interpretazione che il PCI. attraverso l'intervento di Minucci, ha dato al 31° voto dichiaro che sono d'accordo con questa interpretazione perché questo è stato un primo segno di cedimento verso una forma di comportamento politico che non ha neppure il pregio della chiara assunzione delle responsabilità. E penso che di tutto si possa far carico al Partito liberale e a quelli che indegnamente qui lo rappresentano, fuorché di questo tipo di deviazioni.
Noi faremo questa opposizione a cui ci stiamo preparando in primo luogo senza nostalgie per il passato (siamo fra quelli che ci rimettiamo di meno in termini non personali, ma di potere politico diretto), senza cedimenti alla paura del nuovo; andiamo verso un periodo di innovazioni profonde che non si deve affrontare strumentalizzando il senso della paura; e con la intenzione di guardare anche oltre piccolo spazio del nostro Partito alla necessità di organizzare una democrazia pluralista perché noi siamo convinti che il 15 giugno si sono, al confronto tra questi due modelli di democrazia, prodotti i risultati della maggiore organizzazione; la democrazia popolare consociativa ha prevalso sulla democrazia pluralista liberale perché è molto più organizzata, mentre l'altra è frammentaria dispersa, talvolta inquinata da presenze improprie. Noi crediamo che bisogna, da parte nostra, adoperarci in favore di questa democrazia pluralista che resta il sistema politico più adeguato alla società piemontese, alla sua articolazione economica ed alle sue tradizioni civili.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Picco.



PICCO Giovanni

Mi pare di potere rilevare che negli interventi e nei giudizi che sono stati espressi sul documento sottoposto al Consiglio Regionale, vi sia una certa debolezza, una certa acquiescenza nel giudizio su alcune proposizioni vacue e generiche contenute nel documento stesso, documento che definirei più una nuvola di pudore per coprire un accordo inconsistente che non un'effettiva proposta in termini politici, così come vorrebbe il contenuto dell'art, 32 dello Statuto.
Mi pare che (ed alcune sfumature nel dibattito lo hanno evidenziato) sia prevalsa nella stesura di questo documento, sì la preoccupazione della tempestività per fare questa immagine di efficienza, di risposta, ma anche una logica di potere ad ogni costo, al di là dei contenuti finalizzati ad una risposta effettiva delle esigenze dei problemi oggi del Piemonte.
E' già stato rilevato come la diagnosi della situazione economica e delle carenze complessive che si sono verificate nella gestione politica in questi ultimi tempi, sia quanto mai sommaria, anche se puntuale per alcuni aspetti; d'altra parte ci si sarebbe aspettati, soprattutto da una delle componenti proponenti della maggioranza nuova che viene proposta, una maggiore prudenza nella perentorietà di certi giudizi, visto che ancora questa componente politica è responsabile, anche se indirettamente a livello governativo, della gestione recentemente passata ed attuata della politica nazionale.
Il salto di qualità che si intenderebbe operare in questa fase nuova dei rapporti che vengono enunciati, con il Governo centrale, gli Enti locali e le popolazioni, mi pare di poter rilevare che non è suffragato da proposte innovative in ordine a tali rapporti, ma semmai è ostentatamente enunciato come proposizione etica, una discriminante antifascista e moralistica, quasi che tali presupposti siano esclusivo patrimonio di talune forze democratiche e non di altre. Ma io penso che questa nuvola spray di pudore che oggi viene a coprire l'incongruenza di questa nuova maggioranza non servirà domani, quando il confronto diverrà serrato sui temi, sulle soluzioni che si dovranno porre a base del buon governo; così come non servirà dopo, se si vorrà sostituire al confronto, al dibattito al preponderante apporto delle componenti sociali, il peso dell'apparato di Partito. Ciò valga sia per l'uno sia per l'altro dei Partiti proponenti, ma soprattutto per quello per cui non sono mancate e non mancano le ragioni storiche e ideologiche per una certa insofferenza al pluralismo.
Noi sappiamo bene che le preoccupazioni del PCI oggi sono essenzialmente rivolte ad un'immagine di segno diverso, soprattutto nel momento in cui sta per assumersi responsabilità e soprattutto in ordine a certe problematiche che non sono tutte solo sue; ma sappiamo anche sussistere, all'interno ed all'esterno di questo accordo tali e tante contraddizioni che la giustificazione finale di un'egemonia del PCI peraltro scontata in esperienze storiche anche recenti - noi siamo convinti finirà con il prevalere. Pertanto non sarà possibile sostituire ad una corretta modificazione del quadro istituzionale regionale che è reso necessario dall'esperienza maturata in questa prima legislatura ed anche dall'avanzato processo di decentramento in atto da parte del Governo centrale, la semplice enunciazione di assiomi o la generica enunciazione di propositi quali sono quelli contenuti nel documento sui rapporti con il Governo ad esempio, sulle deleghe agli Enti locali, soprattutto sulla partecipazione e sulla consultazione dei cittadini.
Ma la dimostrazione dell'intenzione di volere sostituire all'esistente una struttura di Governo regionale che io definirei di apparato, traspare in tutta evidenza da notizie che, come ha già detto il Consigliere Zanone il Consiglio Regionale avrebbe avuto il diritto di conoscere dal documento presentato e che invece ci sono state offerte dalla compiacente solerzia della stampa di informazione locale, quasi che ancora su questo accordo sugli Assessorati, sugli Assessori, vi fossero le opportune distanze da prendere.
L'opinione pubblica però non può non rilevare già da queste notizie che sono state date, come a fronte dei ventidue Consiglieri comunisti gli stessi non abbiano in Giunta che sette Assessori, mentre i socialisti, con otto Consiglieri, ne abbiamo sei, cioè cinque più il Presidente soprattutto non può non notare come sia stato emarginato il ruolo stesso del PSI rispetto al rilevante peso degli Assessorati PCI all'interno dei dipartimenti.
Il che, al di là delle ovvie considerazioni politiche cui è facile fare riferimento, dà peso ad un'ipotesi che cioè: primo, una soluzione del genere sostanzi di fatto (e l'ha già evidenziato il Consigliere Zanone) una sostanziale modificazione dei rapporti tra il Consiglio Regionale, le Commissioni e la Giunta, accordi che tra l'altro sono sanciti nell'art. 21 dello Statuto e rispetto ai quali noi Consiglieri Regionali intendiamo richiamarci; secondo, che vi sia un progressivo svuotamento dei poteri delle Commissioni stesse di cui all'art. 20. Anche qui il Consigliere Zanone ha già opportunamente richiamato il pericolo di questa discrasia, di questa associazione che deriverebbe anche dal fatto che non vi è un preciso riferimento dell'articolazione dei dipartimenti rispetto all'articolazione prevista dallo Statuto Regionale delle Commissioni permanenti.
E questo mi pare tanto grave nel momento in cui l'applicazione della legge sui comprensori, che è un momento fondamentale del nuovo indirizzo che si intenderebbe dare tra la Regione e gli Enti locali, dovrà vedere appunto il Consiglio Regionale direttamente impegnato alla realizzazione di questo nuovo apporto di partecipazione con tutti gli strumenti necessari a realizzarne i presupposti.
Noi lamentiamo l'esclusione della collaborazione del Consiglio Regionale alla definizione di una nuova articolazione in dipartimenti ed Assessorati ed avremmo preferito che questo argomento fosse affrontato congiuntamente e responsabilmente con i Capigruppo e con il Consiglio Regionale stesso e questo cresce in noi perplessità e dubbi di come si intenda successivamente gestire questa articolazione, ma soprattutto accresce il sospetto di una sostanziale elusione dell'apporto degli strumenti operativi per una politica di programmazione; e vi sono alcune frasi generiche nella stesura del documento, che sono piuttosto preoccupanti: a pag. 10, ad esempio, si fa riferimento alla Regione che usando tutti i poteri di cui dispone, sino a quello dei controllo della domanda pubblica, correlata allo sviluppo di grandi consumi sociali realizzerà una contrattazione volta a determinare nuovi e precisi spazi produttivi.
Io ho preso questo come uno degli aspetti più caratterizzanti della stesura del documento per evidenziare come si tenti di privilegiare una contrattazione verticistica con operatori, ma anche con operatori privati senza una metodologia per questa programmazione e semmai per questa contrattazione che è avulsa dalla partecipazione degli Enti locali. Una leadership contrattuale intesa a favorire più che le iniziative della piccola e media industria, altre iniziative politiche ad esempio cooperativistiche (questa e l'etichetta che si dà in altre Regioni d'Italia tipo quella emiliana) non può non creare in noi vivissime preoccupazioni.
Quindi il richiamo ad una precisazione nell'esplicitazione dei contenuti programmatici che verranno successivamente dati a questa contrattazione, è un impegno che la Giunta si dovrà prendere perché il Consiglio Regionale possa giudicare con quali strumenti si intende affrontare questo apporto in ordine alle decisioni fondamentali sull'assetto sullo sviluppo sociale ed economico della nostra Regione.
Ora noi abbiamo appunto il diritto di conoscere, di sapere con quali strumenti intendete programmare, per determinare un effettivo ordine di priorità sociali ed economiche sia sulle infrastrutture che sulle opere pubbliche sociali, sull'edilizia popolare sulle acquisizioni patrimoniali e come intendete porre il rapporto di programmazione dell'assetto territoriale rispetto alle esigenze di continuità e di sviluppo economico e sociale che oggi sollecita la nostra Regione.
Siamo consapevoli ad esempio per quanto attiene al capitolo relativo all'assetto del territorio, quale rilevanza abbia la tempestività e l'incisività di azione della Regione nell'approvazione degli strumenti urbanistici, come elemento condizionante di sviluppi aberranti, ma anche come elemento propulsore di investimenti che oggi, purtroppo, paurosamente languono per tutta una serie di incertezze degli indirizzi generali di guida e di controllo.
Se, per quanto riguarda gli sviluppi più propri della città di Torino e della sua stretta area metropolitana, i problemi possono avere una certa dimensione nella direzione del contenimento e dell'attenzione agli sviluppi che si vanno operando, non v'è dubbio che per quanto attiene ad altre zone del Piemonte una indiscriminata estensione di criteri rigidi di limitazione può creare delle forti contrazioni all'attività edilizia che oggi potrebbe invece avere una funzione antinflazionistica e porsi in termini positivi rispetto alle prospettive di sviluppo economico della nostra Regione.
Noi non vorremmo che tali compiti, che già oggi sono attuati (soprattutto quelli del controllo degli strumenti urbanistici) con lentezza, dovessero attendere le definizioni per l'intero processo di pianificazione e gestione urbanistica, così come è detto nel documento, per poi giungere a conclusioni dilatorie, quali la revisione generale degli strumenti urbanistici vigenti, anteposta a macroscopiche difformità che esistono fortunatamente però solo in alcuni Comuni. Cosi come non possiamo non essere preoccupati del generico riferimento allo strumento 865 come unico strumento operativo in grado di porre in essere determinati meccanismi; siamo coscienti che questo può essere valido per quanto attiene alla realizzazione delle infrastrutture pubbliche, però siamo anche molto preoccupati e vorremmo avere delle garanzie, circa la necessità di porre comunque in essere anche altri strumenti operativi in grado di dare una risposta in termini corretti ai processi di sviluppo delle attività urbanistiche ed in particolare di quelle edilizie.
Bisogna inoltre tener conto che il diritto degli Enti locali, dei Comuni ad avere degli strumenti urbanistici operanti, evita lo scoraggiamento a quell'associazione dei Comuni che noi vogliamo incentivare con i comprensori ed è un indirizzo ed un incentivo che deriva proprio dall'illusoria sperequazione di potenziali capacità insediative presenti nei loro documenti. Ma io credo che per far ciò non occorra definire aprioristicamente con tempi che possono superare anche l'anno, l'intero processo di pianificazione e di gestione urbanistica così come non occorre dare alle prime stesure dei piani territoriali di coordinamento solo contenuti di vincoli eccessivamente prudenziali e cioè eccessivamente restrittivi.
Rispetto a questa tematica ci preoccupa l'articolazione degli obiettivi non già nella loro sostanza quanto nella metodologia di successione e soprattutto non riusciamo a capire la dissociazione di competenze simili tra assessorati diversi, a meno che questo non voglia dire una surrogazione reciproca a danno dell'uno rispetto all'altro, oppure con la deresponsabilizzazione totale sull'indirizzo di questa gestione di controllo dell'attività urbanistica che riteniamo fondamentale per quanto attiene ai compiti della Regione.
Io ho accennato ad alcuni problemi del capitolo "Pianificazione e gestione del territorio" per richiamare l'esigenza di una maggiore esplicitazione degli strumenti necessari alla programmazione nella quale anche l'assetto territoriale ha parte rilevante, così come ha parte rilevante la politica dei trasporti; l'assoluta genericità di indicazioni in tema di trasporto riperpetua gli equivoci del passato e non indica nel documento alcuna prospettiva né di interventi, né di investimenti. Invece noi sappiamo quale importanza abbia la politica dei trasporti e quale danno possa derivare da affermazioni generiche riferite all'esclusiva pubblicizzazione - anche se si dice graduale - del trasporto pubblico sappiamo che si tratta di strutture carenti, di strutture già in grandissima parte pubbliche e volere indicare come unico indirizzo di intervento la graduale pubblicizzazione mi pare limitativo e comunque non certo una risposta rispetto ad esigenze fondamentali di intervento da tempo attese da parte della Regione.
Tale vacua collocazione del ruolo della Regione nella politica dei trasporti potrebbe collocare per esempio questi interventi anche in altri Assessorati o in altri dipartimenti, se intendiamo dare a questo tipo di presenza e di ruolo solo una parte che potremmo definire para-assistenziale di sovvenzioni ad una struttura complessiva carente e comunque destinata ad avere solo un determinato ruolo surrettizio e non fondamentale come gli si dovrebbe attribuire.
Questo è quindi un altro aspetto che evidenzia improvvisazioni nell'articolazione delle competenze degli Assessorati e della funzione stessa dei dipartimenti impropriamente definibili, io direi, dalla lettura che ci è stata fornita dai giornali, più un'aggregazione di controlli politici che non un'aggregazione di competenze funzionali.
Io ritengo quindi che il documento proposto dovrebbe essere rielaborato e ripresentato non solo in premessa alla stesura di un programma, ma della stessa votazione dell'elenco di Assessori che saremo chiamati a votare alla conclusione di questa discussione. Per quel che riguarda un mio giudizio personale, che credo condiviso anche dal mio Gruppo, ritengo quindi che non sia soddisfatto il dettato dello Statuto che richiede una presentazione di linee politiche ed amministrative soprattutto, e qui esplicitazioni di carattere amministrativo non ve ne sono e tutto questo avvalora sospetti e indicazioni e segnalazioni già fatte dal Consigliere Zanone e che non sto a ripetere.
Ma soprattutto non sappiamo quali autonomie voi intendiate dare al dipartimento rispetto alla struttura degli Assessorati: se vi è responsabilità collegiale sulla politica e sugli interventi programmati e quindi se vi sarà un capitolo di bilancio unico per dipartimento, oppure se soggiaceremo alla solita formula di disaggregazione particellare del potere.



BERTI Antonio

Solita di chi?



LIBERTINI Lucio

Solita vostra!



PICCO Giovanni

E' un'applicazione fatta anche in altre amministrazioni, non è solo stata fatta in quelle di centro-sinistra.
Siamo comunque impegnati al confronto su questa negazione, come ha sostenuto Minucci, della religione della formula, una formula comunque che traspare in tutta evidenza, come è già stato sottolineato in altri interventi, al di là di logiche numeriche che non vogliamo evidenziare eccessivamente ma soprattutto con riferimento alla volontà dell'elettorato il quale, fatti i dovuti confronti rispetto alle aggregazioni anche quantitative dei voti espressi, non ha certamente inteso dare come unica soluzione al Governo regionale la soluzione che qui ci viene proposta.
Ed è quindi questo confronto che ci porterà a valutare le risposte che sarete in grado di dare a tutti quei problemi che oggi premono nella realtà politica del nostro Paese e della nostra Regione in particolare e rispetto alle quali noi ci auguriamo che non vogliate anteporre le solite astrazioni, quelle dei luoghi comuni che molte volte ci avete dato rifacendovi in larga misura al potere di presenza che avete in molte redazioni di quotidiani anche locali; parlo dei luoghi comuni, dei miti di certi ruoli relativi alla strumentalizzazione della protesta; parlo del mito dell'unità sindacale come unica soluzione ad una certa istanza che proverrebbe dalla classe lavoratrice, quando sappiamo che questa unità sindacale molte volte è stata all'esclusivo servizio dell'egemonia del PCI parlo delle attribuzioni di attestazione di parassitismo solo ad alcune categorie sociali, quando sappiamo che in realtà, purtroppo questo triste fenomeno del parassitismo esiste a diversi livelli ed in diverse categorie Per non accennare ad altri problemi politici sui quali non sono legittimato ad intervenire, relativi soprattutto all'individuazione di alcuni capri espiatori che sarebbero i personaggi da colpire ad ogni costo per risolvere i problemi del nostro Paese. Noi riteniamo che vi sia esigenza di chiarezza e di risposta ai problemi della società e dell'economia piemontese e che quindi il generico appello ad un'unità democratica più larga debba essere guardato con la dovuta circospezione e il dovuto sospetto prima confrontandoci sulle soluzioni, confrontandoci sui temi disponendoci a dare quelle collaborazioni che sarà necessario dare.
Ma il documento io ritengo che vada anche respinto perch sostanzialmente, nell'atteggiamento di fondo, rivela un'autentica ispirazione di scarsa democrazia. Vi è, tutto sommato, una stereotipia di una società marxista, una società senza libertà, soffocata da apparati organizzativi di massa che traspare, in alcune proposte che vengono fatte su tematiche che sono proprie della nostra libertà individuale. Si ipotizza il Comitato regionale per il tempo libero, si vogliono interventi sulle strutture culturali, non vi è alcun accenno alla funzione della scuola privata e nessun riferimento all'autonomia dell'Università, ma si pensa solo ad un'organizzazione strutturale che è, evidentemente parte secondaria rispetto al riconoscimento di un ruolo e di un'effettiva presenza del mondo universitario nel quadro dell'istruzione e della cultura del nostro Paese Io ritengo che tutte queste indicazioni siano molto puntuali, nella misura in cui si voglia innescare, con questi esperimenti di Governo locale regionale l'anticamera ad un tipo di organizzazione della società che rifacendosi astrattamente agli interessi della classe lavoratrice, di fatto però avvalora ed accentua l'organizzazione di una società in termini di costrizioni, di limitazione della libertà condizionandoli alla sola esclusiva logica di immagine politica della lotta di classe come unico e fondamentale motivo propulsore dell'elevazione morale e civile di un popolo Ora noi intendiamo su questo assumere le dovute distanze e dissociarci da una strategia che quindi potrebbe vedere solo il PCI impegnato ad un'egemonia politica in Italia. Così come non ci stancheremo di richiamare anche il Partito socialista alle sue gravi responsabilità nella misura in cui, assumendosi certe responsabilità, asseconda determinati disegni.
Ritengo quindi di dover fare solo una precisazione finale e cioè che le considerazioni su esposte ci inducono a non cadere facilmente nell'equivoco dell'opposizione costruttiva se non vi saranno garanzie di leggi e di provvedimenti che diano spazio al pluralismo delle forze sociali, ma soprattutto che non mortifichino la matrice culturale di tradizione cristiana della società che siamo impegnati a difendere, per essere fedeli interpreti del voto e della fiducia che come D.C. abbiamo avuto dal nostro elettorato.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Beltrami



BELTRAMI Vittorio

Signor Presidente, signori Consiglieri, 5 anni fa in questa stessa aula, con profonda commozione, approdando da molteplici e impegnative esperienze nei settori della vita pubblica amministrativa - dando vita alla prima seduta del primo Consiglio della Regione Piemonte, sentivamo che qualcosa di nuovo sorgeva nella storia del nostro Paese, ed avvertivamo interpreti di un mandato che si rifaceva ai valori più autentici della carta costituzionale, ai valori umani, alla comune vocazione per un nuovo modo di essere più partecipativo, suscitatore di speranze e di attese avvertivamo ancora attraverso il dibattito statutario che stavamo dando vita assieme alla costruzione di una dimensione nuova dell'organizzazione comunitaria, articolata, policentrica, rendendo più caldo e meno anonimo il rapporto tra cittadino e la comunità, tra i centri decisionali e la base attivante gli indirizzi e le scelte.
Che questi risultati siano stati raggiunti, che la Regione sia stata costruita così come era nei voti, non è detto, certamente non viene detto il contrario né il giudizio definitivo può essere quello offerto dalla più recente consultazione elettorale. Lo stesso documento programma sul quale si incentra l'odierno dibattito, in presentazione di una proposta di Giunta Regionale, pur colle consentitili e prevedibili riserve non esprime un giudizio "tranchant" decisamente negativo.
Come tutti i grossi momenti, anche questa trasformazione del modo di gestire la vita comunitaria, sarà necessariamente, sul piano del giudizio filtrata da lunghi tempi entro un maturarsi e una crescita di esperienze di manifestazioni talvolta apparentemente contraddittorie, per valori certi e duraturi.
Per quanto attiene all'immediato, all'oggi, agli adempimenti di questa seconda seduta discorso politico necessariamente si rivolge ad un quadro d'assieme, a tracce di orientamenti, a raccordi colla realtà politico economica entro la quale il Paese e la Regione si trovano e che costituiranno certamente nel futuro la chiave di verifica di una proposta nuova, immediata per l'interpretazione delle ansie, per dare una risposta alle molte attese della popolazione ancor prima di attendere la rifondazione dei Partiti o che si riscoprano antichi equilibri, incontri un diverso modo di camminare assieme, sviluppando ogni Ente o istituto il ruolo che gli è proprio.
Lunedì abbiamo eletto la Presidenza del Consiglio Regionale nelle sue diverse componenti alla stessa - non essendo stato in grado di farlo prima rivolgo l'augurio di buon lavoro, in una coll'auspicio che questo nuovo Consiglio Regionale, ampliato nella rappresentanza - possa presto essere ospitato nella nuova sede entro la quale, il muoversi con maggior respiro consentirà agevolezza e speditezza nelle iniziative e non solo ovviamente sul piano fisico, ma nella maturazione e nella stessa produzione del lavoro legislativo che rimane e costituisce l'atto primo, il momento peculiare, di maggiore interesse della presenza regionale. Attività legislativa che dovrà necessariamente essere confortata dall'adozione di un nuovo e definitivo regolamento del Consiglio, da un perfezionamento delle attività delle Commissioni che, coll'aumento del numero dei Consiglieri affidati alla Regione Piemonte si ha l'impressione, la convinzione e la speranza che questa volta possano operare con maggior intensità e licenziare con più oculatezza ed avvedutezza i lavori e gli impegni che le vengono affidati.
Ho letto attentamente il documento che accompagna la proposta di una nuova Giunta Regionale. Noi non ci sentiamo ancora "opposizione", di dare il 'taglio' dell'opposizione, usare il frasario ricorrente nella opposizione, che conduce ai soliti giudizi di incompletezza, episodicità su quanto è all'esame, neppure quello più facile e che fa affermare che questo tipo di programma, al di fuori della proposta di dipartimento, peraltro ancora vaga, da quanto abbiamo appreso dai giornali, si identifica nel "programma tipo" che tutte le parti politiche potrebbero con tranquillità proporre all'assemblea.
Direi, invece, che rappresenta lo sforzo di "sintesi", di "meditazione" da qui una rilevata debolezza nella incisività della proposta - per consentire l'incanalarsi di due tensioni e di due esperienze maturate in campi diversi e con ruoli diversi tra due componenti politiche che oggi si propongono per la gestione del Governo regionale.
Come sempre un discorso articolato e completo potrà essere fatto in pendenza di più ampie indicazioni o su singole proposte legislative afferenti a specifici settori di intervento.
E' mia intenzione dire due parole su "sanità e sicurezza sociale", ma non senza avere affermato che proprio per la zona del Piemonte dalla quale provengo il grosso tema degli "insediamenti universitari" e quello dei problemi occupazionali mi trova d'accordo, penosamente riflessivo angosciato per i molti drammi che, con diffusa estensione, la nostra popolazione è chiamata a vivere, sulle cause dei quali sono parzialmente in disaccordo col "documento", anche se devo sottolineare che per talune zone ad esempio del Novarese e del Vercellese - le industrie si stanno allontanando o stanno entrando nella fase di obsolescenza per motivi uguali e contrari a quelli che nel passato determinarono la loro nascita, in presenza di un grosso vuoto infrastrutturale, per cui il settore delle opere pubbliche (in particolare la grande viabilità) che non trova molto spazio nel documento-programma, ha invece per noi un grosso titolo di proposta.
Ho letto con maggiore attenzione la voce IX del documento che si rifà alla Sicurezza Sociale, intendendovi conglobare in unica strategia la presenza della Regione attorno ai problemi della salute dell'uomo e della sua assistenza. La Regione Piemonte in questa direzione ha sino a ieri l'altro - e mi auguro che cogli opportuni perfezionamenti così possa essere anche per il futuro, affrontato talvolta episodicamente, talvolta organicamente una discreta mole di lavoro, intervenendo in molte direzioni talvolta sostituendosi alla competenza dello Stato.
Ci siamo posti in un'ottica che seguisse un certo filo conduttore, non altrimenti definito "filone ideologico" al quale ci siamo rifatti in sede di elaborazione dello Statuto della Regione, nei giudizi espressi sui decreti delegati sui proposti riordinamenti del Ministero interni e della Sanità, sul piano di sviluppo economico nazionale, in molti altri interventi dall'assistenza farmaceutica e integrativa ai lavoratori autonomi, all'assistenza domiciliare agli anziani, un grosso impegno questo; una buona legge quella che è stata licenziata dalla Regione Piemonte alla quale dovranno essere affidate altre fasce di interventi e attorno alla quale abbiamo visto l'animarsi di forze vitali sul piano del "Volontariato", raccolte particolarmente nel mondo giovanile sull'assistenza ai lavoratori affetti da tumori professionali, sulla dialisi a domicilio, sulla tutela sanitaria nei luoghi di lavoro e sulla legge degli asili nido In effetti la delimitazione tra servizi sociali e assistenziali sanitari, ospedalieri, scolastici, culturali e ricreativi, ha perso e lo si è affermato nei due ampi dibattiti sviluppatisi nel Consiglio Regionale, ha perso quel carattere di accentuata marcatura che aveva rappresentato sino a ier l'altro degli aspetti rilevanti e talvolta controproducenti nella difesa delle autonomie e dell'indipendenza delle singole gestioni.
L'esistenza certa di zone di interferenza, la interrelazione delle necessità, impone l'esigenza di evitare duplicazioni, sovrapposizioni.
Propone, pur nell'assenza dell'invocata legge quadro, l'adozione di un intervento globale e unitario, promozionale dell'uomo, non emarginante, non mortificante la sua dignità, contro ogni tendenza impropria alla sanitarizzazione, che investe tutta la fascia della tradizionale assistenza rivolta agli anziani, ai sub-normali, agli handicappati, agli stessi ospedali psichiatrici.
Il tema è impegnativo, invocherebbe una maggiore diffusione che torna oggi difficile sviluppare; è stato, comunque, nel passato caratterizzante di un certo tipo di confronto all'interno della Regione.
Ripeto, come allora, bisogna innovare, proponendoci degli obiettivi minimi, certi, nel rispetto di tutte le animazioni, attraverso un opportuno coordinamento delle stesse, non dimenticando che si può e si deve abbattere un'istituzione o una struttura avendo contemporaneamente prodotto quella sostitutiva ad evitare che il vuoto crei maggior disagio di quello datoci dalla struttura da eliminare o da sostituire Il quadro legislativo trova ancora operante nel settore della sicurezza sociale la Legge del 1890, complessa, minuziosa, direi completa, con prospettazioni previsionali proiettantesi per qualche decennio successivo alla sua adozione, ma non certamente più adattabile alle mutate situazioni ambientali, sociali, alla stessa maggiore sensibilità che la Comunità ha e rivolge a questi problemi e contemporaneamente alla Legge del 1890 la Regione viene chiamata a gestire nuove leggi, es. quella sugli asili nido che, ritengo, per quanto attiene il prodotto legislativo regionale del Piemonte, possa essere considerata legge d'avanguardia, comunque moderna comunque legantesi al mutato quadro sociale.
Ecco, man mano che cercavo di ordinare due idee per questo breve intervento e mi venivano alla mente i diversi problemi che sono sul tappeto, pervenivo veramente alla conclusione che nel documento-proposta è stato affidato tanto poco spazio a questo settore della "sicurezza sociale", tanto da far pensare che alla sua stesura non abbiano, quanto meno intensamente partecipato, quegli amici, quei colleghi del Consiglio che allora erano in opposizione e coi quali abbiamo vissuto una ricca esperienza di lavoro.
Non ho, ad esempio rilevato una particolare sottolineatura che suonasse, almeno, elemento di richiamo all'introduzione nel Paese del processo di riforma sanitaria. Potrà con facilità dirsi che abbiamo troppi progetti e non abbiamo la riforma.
La verità è che colla 386 dell'agosto 1974 e colla sua regolamentazione operativa regionale, la cosiddetta riforma sanitaria è di fatto introdotta nel Paese, in termini labili, forse ancora da afferrare per essere calati nella realtà della comunità (non dimentichiamo che siamo sfati la prima Regione in Italia a varare le 4 leggi di attuazione della 386): sono state poste allora le premesse chiare per l'apertura di un più ampio discorso correggibile, per cui la riforma non può che venire avanti.
Introducono alla riforma: l'assistenza ospedaliera passata col 1 gennaio alle Regioni ed estesa a tutti i cittadini (di questo grosso tema non se ne fa cenno nella relazione-programma, magari fosse solo per il risvolto economico, l'incidenza che ha sul bilancio della Regione e i suoi riflessi sulle iniziative regionali), l'assistenza INAM estesa a 360 giorni, il Commissariamento degli Enti mutualistici, la costituzione del cosiddetto Comitatone aperto alle diverse componenti sociali che ha cominciato a lavorare, che riesce anche per quanto si sa a carburare, a produrre, costituisce un grosso elemento attorno al quale va aperto con gli altri testè ricordati, decisamente un chiaro discorso politico.
Passerà questo discorso attraverso la cosiddetta "zonizzazione sanitaria", zonizzazione che nell'ultima fase di attività del precedente Consiglio, siamo riusciti a rassegnare ai 1200 Comuni del Piemonte dai quali alla Regione, attraverso la partecipazione, perverranno certamente ricchi apporti critico-costruttivi, in prefigurazione dell'azzonamento previsto dal disegno di legge di riforma sanitaria.
Investirà certamente le unità sanitarie locali e le unità locali dei servizi e non potrà ignorare tutto un sommuoversi di riorganizzazione del territorio che nei comprensori troverà la maggior carica di identificazione ed altre già ce ne sono - dalle Comunità Montane, ai Distretti scolastici e che invocano, fosse solo sotto il profilo della semplice perimetrazione di essere ricondotti ad un sufficiente grado di sopportabile omogeneità.
Abbiamo varato proprio nell'ultimo giorno di attività del Consiglio Regionale della prima legislatura, il pronto soccorso; sin dal luglio di due anni fa, la tutela sanitaria dei luoghi di lavoro, il cui richiamo ho rilevato nel documento. Sono provvedimenti che invocano una urgente traduzione operativa, in superamento di tutte le difficoltà a chiunque possano essere attribuite.
Il tema della realizzazione dei servizi ospedalieri, visto in una dimensione sanitaria degli interventi, anche alla luce del già richiamato costo economico della gestione e per quanto essa incida sul bilancio della Regione deve essere ulteriormente approfondito.
Su questi argomenti, le forze del Piemonte, già si sono confrontate civilmente, vivacemente, incisivamente, nel rispetto delle opinioni di ciascheduno degli intervenuti.
Gli interventi, è vero, talvolta avevano alle spalle anche il calcolo politico, ma erano prima d'altro espressione di un diverso modo di sentire i problemi, esternavano per l'appunto una grande sensibilità e alla fine va pur detto - riuscivamo, anche nel disaccordo degli indirizzi, a raccordarci nelle conclusioni tra organo di Consiglio e rappresentanti della Giunta e la produzione (deliberazioni e leggi) non è stata poca cosa come già ho ricordato.
Siamo chiamati a votare una nuova Giunta, sulla quale, è ovvio, non siamo d'accordo. Vorremmo comunque che qualunque sia il tipo di Giunta che il Consiglio riuscirà ad esprimere, rivolga ogni migliore attenzione al settore della Sanità e della Sicurezza sociale, ricercando nuovi spazi suscitando energie, volontariato, animazioni di ogni tipo.
Oserei dire che la Giunta, a tal fine, dovrebbe essere ancora di centro sinistra e non per motivi utilitaristici o di comodo politico, ma perch possano completarsi i precedenti interventi, con ogni correttivo, aperti ad ogni apporto.
Ci pensino i colleghi del P.S.I.. E' una costruzione che abbiamo portato avanti insieme - salvo qualche breve interruzione - e varrebbe la pena di completarla assieme.
Costerà qualche sacrificio, certo! Per il P.S.I., però, sarà certamente inferiore di quello che incontrerà colla introduzione in Giunta di così larga rappresentanza (6 tra Assessori e Presidente) che col già eletto Vicepresidente del Consiglio, porta a 7 su 8 le deleghe assunte a scapito del maggiore impegno legislativo.
Le esperienze che abbiamo vissuto come Partito, le sanzioni inflitteci il 15 giugno, ci fanno suggerire - amichevolmente, è ovvio - a questa componente politica di non sottomettersi a questo giogo così gravoso; il troppo spazio occupato nel potere (consentendo la sola libera presenza nel giogo legislativo del solo Capogruppo) farebbe apprezzare, forse, ai nuovi compagni di viaggio la sacrificale offerta di un Gruppo, ma farebbe riscoprire all'esterno, l'antica vocazione dei politici, grosso richiamo a valori più sublimanti in tempi di aridità spirituale peraltro prima d'ora immortalata su tela da valorosi artisti, Raffaello Sanzio da Urbino, per un originale tipo di devozione rivolta alla "Madonna della seggiola". E' un richiamo affascinante che, nella D.C. ha pur trovato molti seguaci, ma che ci ha scaricato di molti consensi il 15 giugno.
Chiamati oggi a costituire l'organo di Governo della Regione, noi tutti avvertiamo come le alleanze e i motivi di incontro maturano e rivestono corpo di concretezza sulla base della linea politica e dei condizionamenti programmatici.
Condizionamenti che, a loro volta, subiscono il richiamo e sono determinati da valutazioni attorno ai risultati e al quadro politico che si è prospettato in Piemonte, a seguito della consultazione del 15 giugno.
Valutazioni che il collega Capogruppo Bianchi, ha già prima d'ora fatto attraverso analisi approfondita e delicata, contestata stamani dal rappresentante del P.C. e che a noi, attraverso i dati elettorali, di un passato non molto lontano, almeno nel ricordo che ha visto grosse frane allorquando, ad esempio nel '48 si è verificato un certo incontro, la percentuale che aveva il P.S. l'indomani delle elezioni, fa pensare che anche le affermazioni di stamattina hanno titolo per essere ugualmente contestate.
E' stata una consultazione che ha costituito una grossa lezione per tutti, propone problemi e interrogativi, taluni di essi decisamente inquietanti e li propone alla parte vincente e all'altra parte che, se non soccombente, vincente non è.
E' un voltar pagina che, comunque, si impone perché deriva dalla convinzione che l'espressione del corpo elettorale non ha investito solo l'operato delle singole amministrazioni locali ai diversi livelli, ai quali era rivolto il voto ma, nel suo assieme, valori politici, tensioni umane e ideali, stanchezza legata ad una trentennale presenza, confusioni e molti errori, il rivolgersi ad una nuova moda, il dissenso, il mancato raccordo per quanto attiene alla mia parte, alle fasce che sino a ieri l'altro avevano costituito il collateralismo.
Ma le valutazioni sono già state fatte e non giova ripeterle. Certo che bisognerà cambiare. E' opportuno, anzi decisamente necessario indispensabile, ma e altrettanto indispensabile avere chiarezza di idee sul cambiare e sul fine che si intende raggiungere.
Il problema è di sostanza politica di linea politica, degli scopi da perseguire E' quello di richiedersi se i Partiti che si sono confrontati e conosciuti in una esperienza ricca di valori umani e politici, pur tra non pochi errori, non hanno ancora dei punti di incontro e soprattutto se la vocazione a gestire i beni della comunità piemontese nella libertà è ancora intatta, se e il caso di rendere testimonianza sino in fondo senza incrinature, incertezze calcoli occasionali e furbizie.
Riesaminando, per quanto attiene la parte politica alla quale appartengo il modo di essere, il modo stesso di fare politica, ricordando che o si riconosce e si fa applicare una legge umana o si va a fondo. Fatto questo, ha senso mutare uomini, presentare volti nuovi, idonei a riscuotere fiducia.
Una proposta nuova che porti alla riorganizzazione degli Enti pubblici delle ormai universali zone di intervento pubblico nel settore economico così che lo Stato, le Regioni, l'Ente pubblico non abbiano necessariamente a confondersi col Partito egemone, tentando la rimonta che nel rifiuto delle lottizzazioni riesca a far prevalere sul grigiore delle clientele la forza della competenza e della preparazione.
Ma il modificare, il cambiare non vogliono dire necessariamente passare attraverso scelte costrettamente unanimistiche quali sono state autorevolmente proposte ier l'altro in questa sede, anche nell'ultima seduta.
Certo chi ha senso di responsabilità, semplice senso realistico, non può ignorare la grossa cavalcata elettorale dei comunisti italiani e che essi gestiscono ormai una grossa parte degli Enti locali.
Non è detto però che questo che viene definito lo scontro frontale tra la D C. e il P.S.I. possa e debba essere evitato solo attraverso la forzatura di un incontro che - nell'attuale situazione politica locale e internazionale - non può essere che transitorio, occasionale, strumentale non può essere capito all'esterno, Le cosiddette soluzioni unanimistiche assembleari, aperte, svolte nel cosiddetto arco costituzionale, quale spazio consentono ancora al pluralismo delle presenze e delle deleghe ricevute con preciso indirizzo dal corpo elettorale, al confronto all'ordinato, pulito svilupparsi della verifica, degli atteggiamenti diversificanti.
Una democrazia senza la cosiddetta opposizione può ritenersi ancora tale? E quale è il ricambio? Chi coprirebbe anche in questa aula lo spazio e svolgerebbe il ruolo dell'opposizione? Cinque anni fa concludendo il messaggio di insediamento alla Presidenza del Consiglio Regionale, il primo Presidente del Consiglio della Regione Vittorelli, richiamandosi alla tradizione e ai principi che hanno informato, qui nel Piemonte, un grande processo liberatorio, così affermava: "Di questa tradizione noi dobbiamo essere sempre consapevoli. Lo dobbiamo essere anche nel corso della elaborazione dei nostri istituti delle nostre leggi, delle nostre scelte.. Ci siamo trovati divisi anche allora: il C.L.N. era una formazione unitaria, ma in esso convivevano forze profondamente diverse tra di loro, per tradizione ideologica, per rappresentanza di interessi economici, per aspirazioni ideali rispetto all'avvenire. Ebbene, davanti ai problemi che si ponevano in quell'epoca ed a quella generazione, venne realizzata l'unità di intenti per consentire scelte libere, alle quali noi non sapremo mai rinunciare. Poiché la democrazia non è fondata sulla legge dell'unanimità: l'unanimità deve prevalere in una cosa sola, nel creare le condizioni della convivenza civile per cui la legge della maggioranza venga considerata la legge democratica che impegna tutti quanti".
E' stato detto che il centro-sinistra - che è l'unica forza che dispone di una maggioranza nel Consiglio del Piemonte - è un esperimento non più praticabile in quanto qui non esisterebbero più le condizioni perché esso sia propulsivo per il futuro della nostra Regione Esso non si raccorda dialetticamente con la componente operaia che ha la maggioranza relativa nel Consiglio.
Il Partito Comunista, invece, almeno così è nelle apparenze, è assai più cauto e acuto nel valutare l'ondata di consensi che ha ottenuto il 15 giugno, nella consapevolezza della loro eterogeneità. Un Partito che per definizione è classista e si trova a gestire un elettorato largamente interclassista, ha evidentemente da affrontare problemi di non poco conto che diventano tanto più gravi quanto più, per unanime giudizio, la tradizionale base operaia e contadina (almeno così scrive la Stampa di Torino) è venuta a trovarsi fianco fianco con larghi strati di borghesia radicale e di aristocrazia salottiera.
E' forse la paura dei comunisti a bloccare le possibilità di un diverso incontro? Diciamo francamente con lealtà che gli operai e i contadini che hanno votato P.C.I. perché attirati da una promessa di rinnovamento, capace di liberare la nostra società dall'oppressione e dallo sfruttamento non ci fanno paura. Con questi uomini sono possibili e utili dialoghi e collaborazioni, perché non sono schiavi di proposte inaccettabili, ma solo figli e portatori di una protesta o di una speranza che non va disattesa.
Ci fanno invece paura i convertiti dell'ultima ora, i neocapitalisti di sinistra, quelli che non vogliono restare a terra dal nuovo corso rivendicando magari, fosse solo tra gli ascendenti almeno un nonno di idee socialiste. E' vero che si può sempre essere folgorati lungo strade assolate: è già accaduto una volta sulla via di Damasco, ma abbiamo i dubbi che possa accadere per Via Veneto, Via Montenapoleone, Calzaioli, Via Roma o alla Crocetta di Torino.
La comune dichiarazione dei Partiti comunisti italiano e spagnolo ci è stata annunciata come una carta di fondazione del comunismo occidentale e bisognerà approfondirne l'analisi. Con le sue affermazioni di principio pluraliste e occidentaliste, è il punto di arrivo di una lunga evoluzione che tuttavia propone ancora molti interrogativi.
Lo ha rilevato giorni fa il Direttore dell' Avanti. E' vero che il P.C.I. condanna il tetro comunismo portoghese di Cunhal, ma il richiamo ideologico e l'autoritarismo politico, uguali a Mosca, a Praga, a Lisbona sono frutti della stessa pianta? Si rifanno alla stessa matrice. Questo per chi crede nei valori umani è fonte di inquietudine! Ed aveva preoccupato sino al 15 giugno anche il P.S.I.! Ma al di là di queste valutazioni, permane qui in Piemonte la volontà di una forzatura che condotta con rigidità tende a fare saltare il quadro politico con risvolti di rilevanza extra regionale e minaccia di trasformarsi in una verifica di carattere più ampio.
L'invenzione della cosiddetta maggioranza partitaria, costituisce pur sempre, sotto il profilo della originalità, il felice prodotto di una mente fervida, ma non riesce a moltiplicare le persone e accrescere i numeri.
Dobbiamo convenire che il centro-sinistra sia stato solo un "momento" nella strategia del P.S.I. e credere che il cosiddetto incontro storico tra cattolici e socialisti sia stato solo una tappa occasionale, non convinta noi diciamo un pochino ipocrita, innestantesi in un più ambizioso e vasto disegno.
L'insistenza del P.S.I. in questa direzione non può che portare a queste conclusioni, perché se una linea politica è giusta, se gli obiettivi sono salvifici per una strategia di incontro tra componenti diverse, non può una - mi auguro occasionale flessione di un alleato, o meglio ancora una forte crescita dell'oppositore -- fare abbandonare la scelta, non dimostrare, diciamo "la solidarietà" nello sforzo, quella che peraltro, noi nel passato abbiamo e non poche volte dimostrato al P.S.I. nelle sue alterne fortune elettorali.
La forzatura in atto nella nostra Regione, minaccia di far saltare molte cose, di portare a dei risultati laceranti il tessuto politico italiano, vanifica e di questo penso ne sia preoccupato anche il P.C.I.
che non ho visto eccessivamente desideroso di arrivare ai banchi del potere, vanifica ogni possibilità di valutazione per un diverso modo di incontrarsi tra le forze politiche.
E' una esperimentazione che potrà avere successo e non scivolare sulla buccia delle più immediate scadenze (dal bilancio in poi) solo e in quanto qualche transfuga si trasferisca di volta in volta nella corte del vicino per restituirsi, poi, al perentorio reclamo di parte. Ma non modifica la sostanza, non altera i numeri, né li accresce, lascia solo a noi la bocca amara e un forte dubbio della validità dell'iniziativa.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bellomo.



BELLOMO Emilio

Signor Presidente, Signori Consiglieri il documento proposto dai Gruppi consiliari del Partito Comunista e del Partito Socialista, recante le linee politiche e amministrative per la formazione di una Giunta di sinistra alla Regione, costituisce un fatto, di grande rilevanza politica per il Piemonte, e risponde ad una scelta fatta dal Partito Socialista all'indomani del 15 giugno scorso.
Il voto per il rinnovo dei Consigli Comunali, Provinciali e Regionali ha dato, infatti, un'indicazione chiara sulla volontà degli elettori, di cambiare radicalmente il sistema di conduzione politica ed amministrativa negli Enti locali.
Il notevole, generalizzato spostamento a sinistra dell'elettorato piemontese, va certamente interpretato come volontà di mutamento non soltanto nelle scelte di fondo che Comuni, Province e Regioni si troveranno a dover fare, ma soprattutto come volontà di modificazione dei metodi di gestione, che non consentano più spazio all'accentramento, alla burocratizzazione, alle clientele.
Vogliamo dire che il voto del 15 giugno ha posto, con una chiarezza irreversibile ed una dimensione notevole, il problema di fondo, che da tempo le classi popolari e attive avevano posto: il problema di un modo nuovo di governare, un nuovo modo di intendere la conduzione politica e sociale dei pubblici interessi, un nuovo modo, fondato sulla partecipazione democratica di affrontare ed aggredire i nodi gordiani che hanno finora impedito il processo di sviluppo sociale ed economico del Paese.
Tale nuovo modo di governare è sicuramente rappresentato dal soddisfacimento della esigenza di garantire amministrazioni efficienti oneste ed aperte alla più vasta collaborazione democratica; ma un modo di governare non sarebbe mai "nuovo", nel senso positivo dell'affermazione, se non ha in sé stesso una caratteristica diversa che si sostanzia attraverso la sistematica ed incessante consapevolezza del ruolo fondamentale che l'Ente locale deve svolgere nel processo di sviluppo sociale ed economico del Paese e nel saper dare una risposta affermativa alla imperiosa domanda che sale dal basso, dalle classi che lavorano e sudano che producono e che consumano e che guardano, oggi, con rinnovata speranza, a traguardi sempre più alti e significativi di socialità, di rinnovamento e di avanzamento sociale.
Vorremmo, e vogliamo fortemente, che dall'alto delle nostre responsabilità di Consiglieri del Piemonte, potessimo fare in modo che il nostro Consiglio sia sempre puntuale con le attese delle nostre laboriose popolazioni, sia sempre in linea con esse a combattere la stimolante battaglia del progresso civile e sociale, la più nobile e giusta battaglia della libertà.
Il consenso espresso dai cittadini piemontesi ai Partiti della sinistra, che ha permesso di realizzare Giunte di sinistra al Comune di Torino, alla Provincia di Torino e, per quanto riguarda sempre l'area torinese, in tutti i Comuni della prima cintura, va certamente interpretato come una richiesta di maggiore partecipazione dei cittadini alle scelte di fondo inerenti il riequilibrio territoriale, ed in particolare alle scelte collegate ai settori della produzione e del lavoro, che tanta importanza assumono in questo grave momento di crisi economica.
Il Partito Socialista, nell'elaborare il programma comune, con il Partito Comunista, per la gestione della Regione Piemonte, ha creduto innanzitutto di dare una risposta organica in termini politici e amministrativi, a quanto espresso dagli elettori con il voto del 15 giugno ed alle scelte che, nella stessa direzione, si sono venute concretizzando in numerose e rilevanti amministrazioni comunali e provinciali del Piemonte.
Del resto, è sempre stata viva nel Partito Socialista, che pure nel passato ha collaborato con i Partiti del centro-sinistra dando il contributo che la situazione sociale, politica ed economica via via richiedevano, è sempre stata viva nel Partito Socialista, la consapevolezza che all'attuale condizione di grave crisi, occorresse rispondere in modo deciso e coraggioso, attraverso scelte che certamente non sono di poco rilievo.
Tali scelte nuove, dettate dall'analisi della realtà economica e sociale, e dall'esperienza maturata nella passata gestione politica di centro-sinistra, hanno certamente una grande rilevanza nel momento in cui si concretizzano in Piemonte, regione componente il triangolo industriale che ha vissuto uno dei più significativi fenomeni di immigrazione che ne ha profondamente mutato il tessuto sociale, imponendola all'attenzione in tutte le scelte, anche di carattere nazionale, inerenti il superamento della crisi in atto e un nuovo modello di sviluppo che ponga come condizione centrale la questione del Mezzogiorno.
Consapevole di tutto ciò il Partito Socialista ha voluto cercare all'indomani del 15 giugno, attraverso la stesura di linee programmatiche una convergenza di tutte le forze politiche democratiche, innanzi tutto sui contenuti, sulle proposte, sulle priorità di interventi necessari per uscire dalla crisi e dalla confusione politica e amministrativa che grava su settori determinati quali la sanità, i trasporti, l'organizzazione del territorio, l'agricoltura, l'industria, la casa.
Questa convergenza sui contenuti, sui metodi nuovi di gestione e amministrazione sul rinnovamento politico, è stata immediata con il Partito Comunista, ed ha consentito quindi un approfondimento su molti temi che ha portato alla elaborazione formale del programma presentato a questo Consiglio Regionale.
Del resto sembra opportuno qui ricordare quanto ancora recentemente affermato dal Segretario Nazionale del Partito Socialista, onorevole De Martino: "Non abbiamo atteso i risultati del voto per sostenere che interessare il P.C.I. alla costruzione di una democrazia più avanzata è un fatto positivo, che giova al consolidamento delle nostre istituzioni insidiate e minacciate dall'eversione neofascista e dalla destra e dall' inefficienza e paralisi del potere democratico. Abbiamo fin dall'inizio rifiutato l'impostazione del centrosinistra chiuso ed impenetrabile soprattutto per le amministrazioni locali, ci siamo battuti contro la delimitazione della maggioranza".
Oggi ci presentiamo, quindi, con la stessa coerenza che ha caratterizzato l'azione e gli obiettivi durante tutto il periodo della collaborazione del centro-sinistra.
L'allargamento dell'area della partecipazione delle forze politiche democratiche, alla guida della Regione Piemonte, è stato l'obiettivo perseguito nella fase delle trattative, che ha visto impegnato il Partito Socialista alla ricerca non tanto di schieramenti politici rigidi, ma di convergenze politiche che, analizzando la realtà economica sociale e amministrativa, giungessero ad una unità sui modi per uscire dalla crisi.
Tutto ciò, nonostante la correttezza politica dimostrata dai diversi partiti ed il confronto aperto e franco svoltosi nel corso delle trattative, alla presenza dei massimi organi di informazione cittadina, non si è potuto realizzare. Nonostante le positive dichiarazioni di apertura e volontà di contributo sui contenuti, il Partito Socialista ed il Partito Comunista si presentano oggi con la proposta di una Giunta che, nello schieramento politico, è una Giunta di sinistra, che vuole affermare e affrontare i problemi numerosi ed urgenti del Piemonte, esaminandoli alla radice; che vuole ricercare soluzioni rapide ed attuare efficienti e rinnovati metodi di Governo.
Riteniamo inoltre che la proposta fatta, costituisca un modo di rispondere anche nella nostra Regione, a quelle istanze sociali nuove che sono emerse nel nostro Paese, trasformando molti aspetti della vita sociale e culturale.
Pensiamo alle istanze che emergono dal mondo del lavoro, alla presenza sindacale, alla maturità che il movimento operaio è andato assumendo attraverso lotte pesantissime, che nella nostra Regione sono stati particolarmente gravi, con l'incombenza della cassa integrazione per migliaia di operai addetti alle grandi industrie, con la salvaguardia del posto di lavoro minacciato in decine di piccole e medie imprese.
Di fronte a tale drammatica situazione urgono forme di intervento incisivo, capaci di rispondere, senza incertezze, con un unico obiettivo: la difesa dell'interesse dei lavoratori, la volontà di sostenere il movimento operaio.
Se le spinte provenienti dal mondo del lavoro ci hanno indotto responsabilmente a cercare, non nuove operazioni politiche come è stato detto da esponenti della Democrazia Cristiana, ma formule di Governo che individuano nelle forze di sinistra, le forze necessarie per modificare la situazione, altri processi sociali recenti, ma di grande portata, ci hanno indotto a questa scelta politica.
Il compagno Minucci ha già ricordato questa mattina l'importanza che il referendum ha avuto, di profonda modificazione del tessuto sociale nel nostro Paese, che ha indicato quale più profonda maturità è stata assunta dai giovani, dalle donne, dalle classi sociali più deboli e più sovente strumentalizzate.
Pensiamo inoltre al voto dei diciottenni che, per la prima volta, hanno espresso la loro volontà politica; conquista questa derivante dal contributo dato nel corso delle lotte su tutti i temi di maggiore interesse sociale ed, in particolare, nel settore della scuola e nel mondo della cultura, esprimendo in esse istanze di originalità e di partecipazione.
Tutti questi dati hanno contribuito alla determinazione del Partito Socialista, di collocarsi, anche nella Regione Piemonte, come forza che rispondesse a queste profonde richieste di modificazione politica e sociale.
Come già detto, tuttavia, in occasione dell'elezione dell'attuale Presidente del Consiglio Regionale, il Partito Socialista rimane disponibile all'apertura a tutte quelle componenti democratiche che intendano, nello svolgimento dell'attività futura convergere allo studio e soluzione dei problemi da affrontare, attualmente delineati per grandi linee dal documento che tutti i Consiglieri hanno.
Il programma più dettagliato di attività della Regione Piemonte verrà elaborato nei primi mesi dell'autunno e potrà trovare contenuti più precisi soltanto dopo un'approfondita consultazione con le forze sociali, le organizzazioni sindacali , le forze del mondo del lavoro, con tutte quelle forze insomma che possono rappresentare altrettante risorse e momenti di verifica per la concreta realizzazione di interventi risolutori.
Con il documento presentato, che ha formulato linee programmatiche ed amministrative, non si e volutamente scelto di proporre analisi esaurienti sul modo di risolvere i gravi problemi che sono di fronte al Piemonte.
Le forze politiche che compongono questo Consiglio regionale non ignorano certamente quali sono i problemi e le carenze di strutture che ci stanno davanti; ciò che il Partito Socialista e Comunista hanno voluto esprimere, è la volontà inderogabile di andare alla radice degli stessi.
La formulazione delle linee programmatiche, da alcuni definite generiche non si deve pertanto interpretare come superficialità o, peggio come incapacità di individuare forme dettagliate di interventi e soluzioni tecniche dei problemi.
L'esperienza di questi anni in cui il Partito Socialista ha avuto anche responsabilità di Governo, ci ha dato la più profonda consapevolezza che le scelte di ordine tecnico, di per se, non possono risolvere i problemi del Paese, né tanto meno superare la situazione di crisi economica in cui versa la nostra Regione, che ha, fino ad oggi, basato la sua economia sulla monocultura industriale.
Deve esistere, accanto al fatto tecnico, una chiara volontà politica che deve poggiare altresì su un vasto consenso, ottenibile soltanto coinvolgendo le forze che contano a livello sociale, le forze del mondo del lavoro e le forze economiche.
Diciamo con la massima responsabilità e chiarezza di fronte ai lavoratori ed alla comunità piemontese, che esiste nel Partito Socialista una rinnovata volontà di andare alla radice dei problemi, ricercando soluzioni attuabili, sulla base del consenso e del coinvolgimento e della responsabilizzazione di tutte le forze e risorse della nostra Regione.
Crediamo che tutto ciò corrisponda all'impostazione reale di un nuovo metodo di confronto con la comunità regionale e di partecipazione democratica.
Dal documento presentato emerge che la maggior attenzione verrà posta al potenziamento dell'autonomia regionale, al completamento stesso della riforma regionale, alla massima utilizzazione degli strumenti già esistenti ed all'attuazione di alcune leggi fondamentali per un decentramento di funzioni e di compiti politici e amministrativi, cominciando con il dare piena e rapida attuazione ai comprensori.
In questo contesto si colloca la necessità di una ferma difesa del ruolo della Regione nei confronti del potere centrale, con la rivendicazione di adeguate risorse finanziarie, sia per lo svolgimento delle attività normali, sia per il finanziamento dei progetti di sviluppo resi necessari dalla situazione di emergenza in cui versa la nostra economia.
Nella logica di uno sforzo coerente per mobilitare tutte le risorse disponibili a sostegno dell'occupazione e di un rafforzamento delle nostre strutture produttive, si colloca la volontà - chiaramente espressa nel documento programmatico - di fare della Regione il momento di raccolta, di razionalizzazione e di coagulo di tutta la domanda pubblica, attraverso un'azione di coordinamento delle scelte degli enti locali che non sia di pregiudizio allo sviluppo delle autonomie, ma anzi ne esalti il ruolo l'efficienza e la capacità programmatoria.
Nella ovvia concisione di un documento programmatico, tutti questi temi sono poco più che accennati - per un quadro di insieme coerente - ma dovranno essere approfonditi nei prossimi mesi, in vista dell'impegno ribadito di varare entro il 1975 il Piano regionale di sviluppo.
La conferenza economica proposta per il mese di settembre, a cui intendiamo conferire grandissimo rilievo, consentirà di approfondire l'analisi già iniziata della situazione economica del Piemonte, delle scelte per diversificare il suo tessuto produttivo, dei mezzi reali per superare la crisi, per impostare metodi di intervento più efficaci nei settori di competenza legislativa della Regione, per attuare una l'incisiva politica di programmazione.
Il Partito Socialista si appresta con grande senso di responsabilità ad affrontare questi impegni, la cui complessità è palese, con una profonda volontà di rinnovamento sui metodi di gestione, con la consapevolezza che l'attuazione dei principi statutari della partecipazione, informazione e consultazione democratica, saranno una valida e sicura garanzia di consenso da parte della comunità regionale.
In relazione all'impegno ed alla competenza, necessari per affrontare tale situazione, il Gruppo consiliare socialista propone al Consiglio Regionale il compagno Aldo Viglione per assumere la Presidenza della Giunta Regionale.
Il compagno Viglione ha lunghi anni di milizia politica ed una profonda esperienza maturata nella vita amministrativa, quale Consigliere comunale e provinciale.
Ma certamente il più significativo contributo è stato dato dal compagno Viglione per la realizzazione di una sempre maggiore incisività del ruolo della Regione e delle autonomie, operando in questa direzione nella fase statutaria della prima legislatura, nel primo Governo di centro-sinistra alla Presidenza del Consiglio Regionale, dove ha dato notevole impulso a tutte le iniziative a celebrazione del Trentennale della Resistenza riuscendo a dare alla Regione Piemonte un ruolo di protagonista nazionale.
Per il suo passato di partigiano combattente, per la sua profonda fede antifascista, per le capacità politiche e amministrative, il compagno Viglione viene indicato dal nostro Gruppo alla guida della Regione Piemonte Il Gruppo consiliare socialista propone inoltre che le responsabilità assessoriali vengano assunte dai Consiglieri socialisti e comunisti indicati nel documento che il Consiglio conosce ritenendo che i Consiglieri individuati abbiano le necessarie capacità professionali e l'indispensabile capacità politica per assolvere i compiti che li attendono.
Ciò che vogliamo qui respingere, nel modo più reciso, è l'ipotesi formulata da alcuno nel corso del presente dibattito che si tratti, per il Partito Socialista Italiano, di una mera ricerca di potere.
La scelta della collaborazione più responsabile ad una Giunta di sinistra, risponde infatti, per il Partito Socialista, ad una profonda volontà di andare nella direzione opposta a forme di Governo basate sul clientelismo e sulla ricerca di potere personale.
Il voto del 15 giugno che ha visto accrescere i consensi intorno al Partito Socialista Italiano ed agli altri partiti della sinistra, è un voto chiarissimo.
Esprime la volontà di un rinnovato costume politico e morale, di metodi di Governo opposti a quelli ispirati dalla cupidigia di potere e alla ricerca di posti.
Il Partito Socialista, già nel passato nella Regione Piemonte, ha dato un contributo determinante a tutti i livelli di responsabilItà affinch venissero realizzate quelle scelte che hanno consentito alla Regione di qualificarsi prima di tutto di fronte alla popolazione.
Il Partito Socialista ha svolto un ruolo essenziale per l'elaborazione e l'approvazione delle leggi più qualificanti, che la precedente, immobile frenante gestione di centro-destra aveva sempre osteggiato ed impedito.
Crediamo inoltre che di ruolo fondamentale si possa parlare anche in relazione al collegamento che il Partito Socialista ha offerto al Partito Comunista nel precedente periodo di centro-sinistra, garantendo che venissero sovente accolte alcune giuste istanze e indicazioni dell' opposizione.
Con questo bagaglio proveniente dall'esperienza passata e con profondo senso di responsabilità e rispetto verso le indicazioni dell'elettorato, il Partito Socialista affronta la seconda legislatura regionale.
Non avendo colto questo aspetto,significa, a nostro avviso, non aver colto la profonda e rinnovatrice indicazione del voto del 15 giugno.
Signori Consiglieri riteniamo che il Piemonte abbia dato una chiara indicazione e riteniamo che la scelta di linee programmatiche e di impostazioni politiche formulate dal Partito Socialista e dal Partito Comunista costituiscono una proposta valida e rispondente pienamente, a quelle indicazioni.
Siamo consapevoli che si tratta di una scelta che creerà dei mutamenti profondi; sappiamo che il Piemonte sarà punto di riferimento dell'attenzione delle forze sociali, politiche e produttive, non solo a livello regionale , ma anche a livello nazionale.
Non riteniamo, del resto, sulla base di una attenta analisi, non numerica, ma politica, che le forze che hanno presentato il programma per la Giunta Regionale non debbano ritenersi la maggioranza delle forze politiche del Consiglio Regionale stesso.
Le forze che si sono dichiarate disponibili, il partito socialista e il partito comunista, costituiscono infatti le uniche forze omogenee costituiscono la maggioranza, la più larga possibile che oggi si possa realizzare all'interno di questo Consiglio Regionale; una maggioranza dunque, di fatto esiste di fronte ai gravi problemi del Piemonte: al di là di ogni divisione ideologica noi auspichiamo trovi ulteriori convergenze nei momenti decisionali della politica regionale piemontese.
Intendiamo continuare con la medesima correttezza e disponibilità, il confronto con tutte le forze dell'arco democratico presenti in questo Consiglio Regionale; auspichiamo che si realizzi, con esse la massima convergenza, per rispondere degnamente alle aspettative del Piemonte.
Vorremmo, e vogliamo fortemente, che dall'alto di questa nostra pesante responsabilità di Consiglieri del Piemonte il nostro impegno democratico e unitario possa fare in modo che al nostro Consiglio Regionale sia sempre presente e puntuale con le attese delle nostre laboriose popolazioni, sia sempre in prima linea con esse, nei momenti di grande impegno e di grande tensione, a combattere la stimolante battaglia del progresso civile e sociale, la più alta e nobile battaglia della giustizia e della libertà.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Chiabrando, ne ha facoltà



CHIABRANDO Mauro

Signor Presidente, signori Consiglieri, ho letto attentamente il documento che ci è stato distribuito e che accompagna la lista dei candidati alla formazione di una Giunta Regionale, espressione di una maggioranza, o di una presunta maggioranza.
Il documento dice tanto (e sono le cose da fare) e dice poco (e sono i tempi e i modi per farle) mentre su problemi e contenuti su cui ci hanno informato i giornali non dice niente, e mi pare troppo poco. Mi riferisco un particolare ai cosiddetti dipartimenti, in base ai quali si vorrebbero strutturare gli uffici regionali; se questi sono una cosa seria, e noi riteniamo che lo siano, così come abbiamo previsto nella legge sul personale che il passato Consiglio ha approvato, vorremmo saperne qualcosa di più. Qualcuno ha osservato che i dipartimenti sono il risultato di una spartizione politica del potere regionale. L'aspetto più grave, comunque, e che il programma non poggia su una qualificata maggioranza numerica e politica perché in ogni caso rappresenta solo una minoranza degli elettori piemontesi. Non ritengo quindi che una tale maggioranza abbia la forza, la capacita politica e il diritto di interpretare e rappresentare le esigenze di tutte le comunità piemontesi.
In particolare, poi, non ha certamente la rappresentatività ed il collegamento con il settore più delicato, più in difficoltà, e io dico anche più importante, della realtà economica e sociale piemontese che è quello agricolo, sul quale desidero soffermarmi esprimendo in merito il pensiero mio e degli amici del mio Gruppo.
Anch'io ritengo, come qualche collega ha già osservato, che nella sostanza il programma che ci viene presentato ha molto di buono e di positivo anche perché riprende, di massima, le linee di azione della precedente Giunta e limita al minimo le indicazioni innovative che vengono rinviate ad un convegno autunnale.
Nel discorso che si sta avviando per la predisposizione del programma regionale per il prossimo quinquennio, credo sia necessario innanzi tutto stabilire un nuovo modo di vedere e di affrontare i problemi dell'agricoltura. Essi vanno visti non più come problemi di categoria, ma delle intere comunità rurali Si tratta, in sostanza, di affrontare globalmente i problemi della "periferia", delle aree depresse e più povere, unitamente al settore economico più debole dell'agricoltura. Si tratta quindi di rivolgere un'attenzione prioritaria a queste aree rispetto alle zone già troppo intensamente industrializzate ed urbanizzate.
E' un problema che certamente sta alla base del piano di sviluppo regionale, il quale dovrà affrontare e superare, in termini globali, gli squilibri settoriali, territoriali e sociali che gravano sulla comunità regionale.
Riteniamo quindi che la Regione Piemonte debba fare una scelta "rurale" che dovrebbe presiedere ad un nuovo e più ordinato sviluppo della società piemontese.
La priorità per l'agricoltura e per le comunità rurali significa certamente in primo luogo progresso delle popolazioni agricole, ma significa anche sviluppo economico nel settore primario, l'agricoltura, che deve tendere a diventare autosufficiente ed economicamente produttivo nonché tendere a riequilibrare globalmente il sistema economico produttivo regionale.
La conseguenza non sarà soltanto un risultato positivo per l'agricoltura e con dei redditi sufficienti, ma anche quella di avere prodotti agricola migliori, più competitivi ed a minor prezzo per i consumatori.
Ecco l'interesse generale che noi perseguiamo partendo da questo presupposto di scelta prioritaria.
E' però indispensabile che anche l'uso del territorio sia regolato in un modo nuovo, partendo anzitutto dalle esigenze dell'agricoltura che devono in primo luogo essere tutelate e salvaguardate; dovrà essere l'agricoltura a dire la prima parola sui piani urbanistici comprensoriali e comunali, i quali dovranno salvaguardare i migliori terreni agricoli dalla espansione industriale e residenziale e tutelarli dai conseguenti inquinamenti.
Questo è il discorso nuovo che dobbiamo affrontare e portare avanti se crediamo veramente nella funzione sociale ed economica della nostra agricoltura.
Nel passato quinquennio sono già stati affrontati i problemi di questo settore, ma sotto la necessità urgente di intervenire immediatamente per la crisi che l'agricoltura stava attraversando. Notevoli e qualificanti sono stati i provvedimenti legislativi che il passato Consiglio Regionale ha adottato in favore dell'agricoltura.
Le leggi zootecniche, sulla cooperazione, per i miglioramenti fondiari ecc., hanno assolto ad un compito urgente, cioè ridare fiducia e slancio alle nostre campagne e dobbiamo dire che l'effetto è stato senz'altro positivo. Anche le somme impegnate sono state notevoli ed i risultati relativi stanno ora concretandosi.
Sono state introdotte anche notevoli innovazioni come: la scelta a favore dell'imprenditore agricolo e dell'impresa come tale, a prescindere dalla proprietà; la preferenza ai giovani e la limitazione degli interventi alle aziende veramente agricole. Inoltre tutti gli interventi sono stati condizionati al risanamento del bestiame, che sta ora procedendo a grandi passi.
Alla cooperazione e alla montagna sono stati riservati notevoli finanziamenti.
Questo è il passato, ciò che abbiamo alle spalle i presupposti da cui partire con la prossima legislatura.
Dobbiamo precisare però - ed io l'ho detto intervenendo nella discussione conclusiva prima dell'approvazione delle due leggi agricole del 29 aprile scorso - che i metodi ed i criteri di intervento adottati, pur risultando utili ed efficaci di fronte all'urgenza e alla drammatica situazione esistente non corrispondono al modo ideale e nuovo che tutti auspichiamo. Questo sarà possibile ora, con la seconda legislatura attraverso una democratica e seria programmazione.
La programmazione per l'agricoltura e per le comunità rurali deve partire dal piano di sviluppo regionale e dalla suddivisione del territorio in comprensori, ma deve trovare la sua giusta dimensione ed il suo giusto collocamento nei piani zonali di sviluppo agricolo, previsti anche dal nostro Statuto.
Dopo la suddivisione e l'individuazione delle zone omogenee dovranno essere costituiti dei comitati promotori composti essenzialmente da imprenditori agricoli, per l'impostazione di massima del piano. Questo compito, così previsto dalla legge istitutiva (cosa dimenticata nel programma) deve essere lasciato all'Ente di sviluppo agricolo che sappiamo avere già insediato un'apposita Commissione di studio.
All'Ente di sviluppo compete la zonizzazione che, partendo da una visione agricola, sia capace di collegarsi al più generale discorso del comprensorio.
Si insiste specificamente sull'interdipendenza e sul collegamento tra piano agricolo zonale, piano sub-comprensoriale e comprensoriale e, più in generale piano regionale perché si vuole superare anzitutto una concezione settoriale dell'intervento pubblico regionale a favore dell' agricoltura conseguendo, nel contempo, altri due fondamentali obiettivi: a) con la definizione della vocazione delle diverse aree territoriali della Regione, offrire un quadro preciso circa la garanzia di continuità della stragrande maggioranza delle aziende agricole (oggi soggette ad espropri e vincoli di ogni genere da parte degli enti più diversi) b) evitare interventi indiscriminati o così detti "a pioggia" valutando invece, in modo preminente, la figura dell'imprenditore nonch subordinatamente le caratteristiche oggettive dell' azienda agricola.
Tale metodo selettivo consentirà in avvenire non soltanto di escludere dagli incentivi le aziende marginali, per i cui titolari deve sussistere ampio spazio di intervento in campo sociale, bensì anche quelle le cui condizioni di partenza siano già di ampia competitività economica, così come dicono le direttive della CEE. Poiché per l'imprenditore agricolo l'azienda rappresenta in ogni caso il posto di lavoro, laddove condizioni di diversa destinazione del territorio ne pregiudichino la continuità, o comunque ne alterino in modo essenziale la configurazione, occorre intervenire con una legge regionale a completamento della legge 865 per quegli aspetti riguardanti l'espropriazione di terreni agricoli condotti da coltivatori diretti.
Le direttive comunitarie, da attuare con legge regionale dovranno opportunamente integrare i piani di sviluppo aziendale nell'ambito delle linee dei piani zonali.
In questo quadro di maggior respiro, l'agricoltura piemontese è senz'altro in grado di acquisire gli specifici caratteri di settore economico autonomo e vitale.
Il tutto deve però avvenire nel rispetto di alcuni presupposti essenziali, come la crescente valorizzazione della impresa agricola familiare diretto-coltivatrice - e qui concordiamo con il programma proposto - singola ed associata (in aderenza peraltro a quanto affermato dallo Statuto della Regione e considerato anche il fatto obiettivo che da questo tipo di impresa deriva l'88,9% della produzione lorda vendibile piemontese) e col potenziamento della cooperazione e dell'associazionismo agricolo per l'acquisizione, in una economia aperta di mercato, di un effettivo potere contrattuale da parte dei produttori Non siamo quindi assolutamente d'accordo sulla "grande esigenza di una industrializzazione dell'agricoltura" come ci propongono i 30 colleghi sottoscrittori del programma e della lista degli Assessori. il sistema agricolo-industriale è fallito sia nei paesi socialisti, sia in quelli capitalisti. Ed oggi, sulla strada dell'impresa familiare diretto coltivatrice, sono anche confluite le centrali sindacali dei lavoratori dipendenti, E questo fatto non va sottovalutato.
Questi nuovi caratteri di sviluppo della nostra agricoltura devono per essere assistiti con adeguati interventi finanziari regionali, per mettere in condizione gli operatori agricoli, singoli ed associati, di raggiungere nell'interesse loro e di tutta la collettività, miglioramenti strutturali previsti dai piani di sviluppo.
Anche in questo caso dovrà sviluppare la propria funzione istituzionale l'Ente di sviluppo agricolo per quanto riguarda l'irrigazione, le strutture di mercato, le infrastrutture, ecc.
Mi pare che queste debbano essere le linee portanti della nuova politica agricola regionale. Non pare serio e credibile il troppo lungo e monotono elenco delle cose da fare indicate nel documento proposto per la formazione della nuova Giunta. Si dice di voler fare tutto, senza indicare priorità e senza distinguere l'essenziale che deve essere perseguito subito, dalle cose marginali e non urgenti.
Non ci pare perseguibile, per esempio, la strada della delega ai Comuni in materia di agricoltura, perché contrasta con la visione globale del problema e con la programmazione organica sulla quale siamo tutti, credo d'accordo. A parte l'incapacità tecnica ed operativa della grande maggioranza delle amministrazioni comunali, si provocherebbe una frammentazione e una dispersione degli interventi.
Dall'elencazione del programma proposto pare escluso o limitato l'intervento dell'Ente di sviluppo agricolo, che invece deve presiedere a tutte le più importanti iniziative della Regione. Non è poi assolutamente accettabile il vincolo, già per gli interventi del 1975, ai piani zonali questi per ora non esistono e non possono e non devono condizionare gli interventi, ancora urgenti, che le due leggi regionali approvate il 29 aprile scorso hanno previsto.
Se vogliamo essere seri dobbiamo procedere con gli interventi ed i finanziamenti ed immediatamente dare attuazione alla programmazione generale ed agricola in particolare. Non appena le linee programmatiche saranno pronte, ovviamente tutte le leggi, e non soltanto quelle agricole dovranno esservi incanalate.
Facciamo inoltre molta attenzione ad eliminare ogni discriminazione nei confronti delle piccole aziende agricole; anche qui, se vogliamo seriamente programmare coi fatti e non soltanto con le parole, dobbiamo invece distinguere le aziende agricole valide condotte da coltivatori qualificati specialmente se giovani, da quelle che invece aziende non sono perch magari condotte a tempo perso da operatori già impegnati in altre attività.
In caso contrario torneremmo a distribuire finanziamenti "a pioggia" con risultati non produttivi né per i singoli, né per la collettività.
Dobbiamo puntare sul miglioramento della vera agricoltura e alla base di questo miglioramento c'è anzitutto l'uomo, il coltivatore diretto che dobbiamo qualificare e valorizzare portando la sua attività agricola a parità di reddito e di dignità rispetto agli altri lavoratori.
Per quanto riguarda ancora l'Ente di sviluppo, esso deve diventare nel prossimo futuro il vero e proprio centro propulsore di ogni intervento di incentivazione imprenditoriale ed in particolare di promozione di quelle iniziative proprie del settore primario che gli imprenditori agricoli anche organizzati, con le loro sole forze non sono in grado di realizzare.
Basti pensare, ad esempio, all'attuazione, nel settore zootecnico, di un centro regionale per la fecondazione artificiale, capace di coordinare gli interventi e di valutare i risultati conseguiti.
Sul piano legislativo, le scadenze più immediate che abbiamo di fronte sono: l'esame delle osservazioni del Governo alla legge triennale per lo sviluppo dell'agricoltura; le leggi di attuazione delle direttive comunitarie e della legge Bortolani-Bardelli sulla normativa del prezzo del latte; il regolamento per l'albo professionale che anche se non ricordato deve essere fatto.
Su certi settori la Regione non ha la possibilità di intervenire: così sul controllo dei prezzi dei mezzi necessari alla produzione agricola, su cui si renderà quindi opportuna una azione di pressione nei confronti del Governo nazionale, in modo tale che gli interventi regionali non abbiano ad essere vanificati da continue lievitazioni di prezzi dei concimi, mangimi anticrittogamici ed altri beni strumentali.
Anche sulla politica comunitaria abbiamo scarse possibilità di intervento per cui, concordando sulla necessità di stretti rapporti col Governo centrale, ci pare un po' drastica e demagogica la richiesta della costituenda Giunta di "una radicale revisione della politica agricola della CEE".
Resta aperto ancora un discorso, in senso lato, a carattere sociale, in forza del quale l'intervento regionale deve farsi carico delle condizioni di arretratezza in ordine ai servizi civili ed alle infrastrutture sociali in genere proprie delle comunità rurali. In questo quadro deve innestarsi un più ampio discorso di decentramento, capace di favorire il trasferimento nel modo più celere possibile degli aspetti positivi del modello di vita urbano alle campagne.
Per ultimo si riafferma la validità di una politica di redistribuzione del reddito, propria della logica programmatoria, con leggi regionali di carattere sociale a favore delle categorie agricole, tendenti alla parificazione con le altre categorie di lavoratori.
In questa luce, si giustificano interventi legislativi per la corresponsione dell'indennità di ricovero ospedaliero a favore dei coltivatori diretti e per la concessione dell'indennità per inabilità temporanea in ogni caso di infortunio sul lavoro.
Sull'esperienza di altre Regioni là dove, come per il Piemonte le forze occupate in agricoltura sono andate sempre più diminuendo e tra queste particolarmente quelle giovanili, riteniamo utile un intervento legislativo per la corresponsione di un premio di insediamento per i giovani imprenditori coltivatori.
Questo è il nostro pensiero sui problemi più importanti che assillano l'agricoltura della nostra Regione, sono quasi tutti da affrontare con urgenza per ridare slancio, fiducia e reddito adeguato ad una categoria che lavora e opera più per gli altri che per sé, offrendo a tutti, oltre il pane ed il companatico, il suolo, il verde, le vacanze e anche il materiale umano per gli altri settori produttivi. Le esigenze ed i problemi della categoria agricola e della società rurale in genere meritano quindi di essere correttamente e democraticamente interpretati e risolti: ciò che il Governo che ci viene proposto non ci pare in grado di fare.
Noi comunque non rinunceremo, in qualsiasi posizione ci verremo a trovare, ad interpretare le esigenze ed i problemi delle popolazioni rurali, offrendo il nostro valido e costruttivo contributo nelle varie sedi politiche regionali.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Curci.



CURCI Domenico

Signor Presidente, signori Consiglieri la prima considerazione che istintivamente è scaturita in noi dall'esame del documento della costituenda Giunta socialcomunista, è che un documento come questo, che ha la presunzione di stendersi come un binario sul quale fare scorrere la nuova fase della Regione Piemonte, non affronta con sufficiente chiarezza i problemi di prospettiva capaci di fare uscire nei tempi più brevi, il Piemonte dal lungo tunnel della crisi che lo attanaglia.
Il documento, infatti, si sofferma a lungo sulla rappresentazione dei diversi aspetti della crisi economica e sociale dell'Italia a del Piemonte fa una elencazione delle cause che hanno concorso a scatenare la crisi nazionale, ma evita, con molta abilità, di menzionare quelle che, a nostro giudizio, sono le cause fondamentali della situazione di totale dissesto economico e sociale nel quale ci troviamo.
Riteniamo cioè che questo documento, che rappresenta la premessa politica della nuova esperienza, non possa, per una ragione di correttezza sottrarsi al dovere di affermare che la responsabilità della crisi appartiene ai Governi di centro-sinistra e pertanto anche, e soprattutto ad una delle componenti della nuova formazione cui si vuol dare vita.
La stessa esigenza di correttezza, di coerenza e di chiarezza, impone affermazioni un po' meno nebulose di quelle contenute a pag. 2, là dove si legge che la Giunta considera i rapporti tra maggioranza ed opposizione caratterizzati dal dialogo costante e dalla volontà di ricercare i modi più validi per affrontare seriamente i problemi. Questa affermazione, a nostro avviso lascia chiaramente trasparire la volontà dei nuovi governanti di portare avanti un equivoco tra maggioranza ed opposizione. Infatti, quale funzione di stimolo, di confronto e di verifica potrebbe esprimere l'opposizione qualora accettasse l'invito rivoltole, se non quella di comoda copertura politica di avallo permanente alle iniziative del Governo regionale e agli indirizzi ed alle scelte dei partiti di maggioranza? E tale equivoco serve al partito comunista per portare avanti dalle Regioni l'attacco allo Stato. Fin dal loro sorgere le Regioni sono entrate in conflitto con lo Stato, alcuni aspetti del conflitto, alcune istanze delle Regioni sono indubbiamente validi, e falso però giustificare con le inadempienze dello Stato il fallimento delle Regioni. E' questa la tesi che i comunisti ed i partiti del centro sinistra stanno cercando da tempo di accreditare presso la pubblica opinione, a copertura di una politica nefasta.
In realtà, la mancata emanazione delle leggi quadro ha generato applicazioni difformi per le stesse materie da Regione a Regione, con soluzioni tanto contrastanti che aggravano gli squilibri e le condizioni generali del Paese.
Se poi, dalla crisi politica si passa alla crisi economica, la situazione e ancora più desolante: una espressione, diventata di moda in questi ultimi mesi, ritroviamo - e non poteva certo mancare - nel documento della Giunta, quella del "nuovo modello di sviluppo".
Comunisti e socialisti, che ora si apprestano ad esercitare il potere nella nostra Regione potrebbero finalmente darcene l'interpretazione autentica. Che cosa si vuole intendere con questa espressione? Un tipo di economia collettivista come quella dei paesi dell'Europa orientale? Noi avversiamo il marxismo e disapproviamo quelle parti politiche che si sono allontanate, come la D.C., da schemi sociali che erano loro propri compiendo con questo un vero e proprio atto di apostasia e perciò stesso sposando forse inconsapevolmente, ma sempre colpevolmente, se non il marxismo la logica del marxismo fondata sulla lotta di classe.
Non riteniamo che gli interventi pubblici possano sempre sostituire quella grande spinta verso il progresso economico e sociale che può venire solo dal moltiplicarsi delle iniziative dei singoli, dal coraggioso impiego di risparmi capitalizzati in imprese di rischio, nel quadro dell'interesse superiore della Nazione. Il capitalismo di stato registra ovunque un generale fallimento.
Muovendo da queste considerazioni, quale valore dobbiamo attribuire al documento programmatico che è stato presentato? Documento ampio, anche se logicamente generico e dal quale appare chiaro l'indirizzo che si intende seguire.
Se i programmi cui ci avevano abituati le Giunte di sinistra, erano stati sbiaditi, non altrettanto si può dire di questo: qui l'intendimento è chiaro e manifesto, la nuova Giunta intende procedere alla marxistizzazione dell'economia: tutto il documento rivela ed afferma il proposito di allargare la sfera di influenza del potere pubblico sull'economia della Regione.
A questi intendimenti, a questi propositi chiaramente manifestati nel documento, la nostra opposizione non può non essere dura ed intransigente.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare come ultimo oratore, il Consigliere Libertini, ne ha facoltà.



LIBERTINI Lucio

Signor Presidente, Consiglieri poiché, come è abbastanza naturale, il compagno Minucci stamattina ha esposto in modo compiuto il pensiero del nostro Gruppo, io prendo qui la parola unicamente per alcune repliche, non necessariamente polemiche, anzi prevalentemente politiche che si riferiscono all'andamento del dibattito ai quesiti che ci sono stati posti dai Consiglieri dei vari Gruppi. E intendo fare, da questo punto di vista, quattro rapidi ordini di osservazioni: 1) noi abbiamo sentito ancora ripetere oggi, da parecchi colleghi della D.C. (lo avevamo già sentito l'altro giorno da Bianchi) un esercizio aritmetico di somme e, devo dire, piuttosto arbitrarie, perché vede collega Bianchi, è vero che la somma dei partiti del centro-sinistra é maggiore della somma del PS e del PC. ma se vogliamo soltanto fare delle somme aritmetiche io le dirò che per esempio, la somma che noi proponevamo del PCI, del PSI e della D.C. e dei partiti minori e ancora più grande, il guaio è che la D.C. non ci sta e quella somma è aritmetica e non politica.
Lo stesso problema si pone per il centro-sinistra, lei lo somma sulla carta, ma il P.S.I., per ragioni che sono politiche, non ci sta e allora quella somma e solo aritmetica e non è politica. Ma c'è di più, perché se noi consideriamo, e non polemicamente, l'andamento del dibattito di oggi e vorrei porre questo all'attenzione dei colleghi della D.C. in un discorso costruttivo - ci accorgiamo che in verità, qui, più che di somme bisogna parlare di sottrazioni.
Qui si è fatto molto chiasso sul 31° voto e io voglio dire a Zanone che non c'era stamattina, che Minucci stamani è stato chiarissimo, noi non abbiamo chiesto e non chiediamo voti surrettizi, chiediamo rapporti politici.
Ma il fatto più importante non è il 31° voto il fatto è che in realtà di fronte ai 30 voti socialisti e comunisti, non vi sono 28 voti, non solo non si sono trovati nell'urna, ma il Consigliere Zanone ha spiegato, dal suo punto di vista che è difficile che la D.C. sommi insieme i liberali quando vuole preparare la resurrezione del centro sinistra.
Inoltre abbiamo sentito oggi accenti estremamente diversi e che credo seri, dei socialdemocratici; sarebbe molto difficile assimilare il discorso del collega Cardinali con quello, non dico di Picco, che ho l'impressione non abbia letto i giornali in questi giorni e non si sia accorto di quello che è capitato nel Consiglio nazionale della D.C., ma con gli interventi anche di altri colleghi della D.C.
Per cui la verità - ed è un punto politico che noi portiamo qui non per polemica, lo vedrete nello sviluppo del ragionamento - è che a fronte di una maggioranza di 30 (che è una maggioranza relativa e sappiamo il limite di questo) non esistono 28, non esistono 26 come blocco omogeneo capace di un'alternativa e (non lo dico con soddisfazione) a veder bene bene non ne esistono neppure venti perché la D.C. oggi è intervenuta nel dibattito con un'articolazione tale di voci che sarebbe stato difficile cogliere un comune denominatore.
E badate, questo non lo diciamo affatto per polemica o con un senso di disprezzo, ma ci rendiamo conto di ciò che capita, ci rendiamo conto che la crisi della D.C., che oggi in quest'aula è apparsa visibilmente a chi avesse orecchie per sentire, è in realtà la crisi che segna la fine di un periodo nella storia della società italiana.
In questo senso io credo che Moro abbia lucidamente colto il fondo della questione quando nel suo discorso al Consiglio nazionale della D.C.
ha detto che nella storia italiana vi sono state due fasi dopo il fascismo: il centrismo e il centro-sinistra che la seconda fase si è chiusa e che se ne inizia una terza; e la D.C., vincolata - questo è il punto - a una fase storica che si è chiusa, avendo delle difficoltà (che noi comprendiamo) a darsi un'impostazione politica corrispondente ai nuovi tempi, mostra oggi tutte le sue contraddizioni. Questa è la situazione che abbiamo qui.
La verità è che oggi il dibattito dimostra che se socialisti e comunisti non avessero preso la decisione di formare una maggioranza, la Regione Piemonte si sarebbe trascinata in una crisi lunga e senza sbocco. E voglio dire che a questa crisi della D.C., noi guardiamo, al di là degli uomini e dei comportamenti individuali, come problema di forze sociali (perché questo è il problema che c'è dietro, è quello che Minucci stamattina ricordava e che del resto Moro ricordava nel Consiglio nazionale della D.C., il mutamento della base oggettiva del Paese; qualcuno dei colleghi D.C. parlava un po' come ha parlato Fanfani alla TV, un fantasma che parlava ad un Paese che non esiste più perché l'Italia non è più quella del '48 e non è più neppure quella del '53 o del '64) noi a questa crisi guardiamo con rispetto, con interesse e ci auspichiamo che la nostra azione politica e la stessa formazione di una maggioranza di sinistra e la sua iniziativa sia un elemento che concorra a creare le condizioni perché la crisi della D.C., di una grande forza politica del nostro Paese, con grandi radici popolari, si evolva nella direzione democratica e progressista che noi auspichiamo, anche se sappiamo che questo non sarà né un processo facile, né un processo indolore.
Su questo primo punto vorrei anche aggiungere che quando alcuni colleghi si sono preoccupati (e questo è venuto fuori anche dai giornali ma mi pare che Beltrami l'abbia proprio detto) del fatto che intorno a socialisti e comunisti non solo si è raccolto il consenso della stragrande maggioranza della classe operaia, di grande parte dei ceti produttivi, ma che addirittura vi è un atteggiamento, che io non definirei di simpatia, ma per lo meno di cauta attesa, perfino dei settori industriali, la risposta alla domanda perché questo si verifica non sta affatto nella condizione che il nostro programma avrebbe realizzato una possibilità di convergenza, ma sta in un altro fatto: che anche da parte dei gruppi industriali operanti nella nostra Regione, si guarda con grande preoccupazione alla possibilità di una carenza del potere che duri per mesi e mesi, perché ogni persona che ha la testa sul collo sa che né l'Italia né il Piemonte potrebbe permettersi in questa situazione di ripetere una delle terribili esperienze delle crisi laceranti che hanno segnato la passata legislatura.
Ecco perché intorno a noi si raccoglie un vasto consenso, che è quello di coloro che ci hanno votato, si raccoglie un interesse più largo, io per esempio rilevo, nel collega Chiabrando, l'espressione non di un'opinione personale, ne ho colto anche le critiche, ma negli apprezzamenti positivi del programma rilevo l'espressione di forze sociali precise che vedono nelle nostre indicazioni un termine di riferimento.
Ecco perché noi crediamo che l'operazione che andiamo a compiere (se vi saranno i voti necessari) di costruzione di una maggioranza di sinistra sia pure maggioranza relativa, è una operazione che non va misurata col 31°, che è un modo sciocco di vedere le cose, ma va misurata nel rapporto tra ciò che accade in questo Consiglio e i grandi movimenti che sono in corso nella società e nei partiti.
Il secondo tipo di osservazioni, è stato fatto da più d'uno ed in particolare, con acutezza direi, dal Consigliere Zanone che del resto faceva per questo punto, un po' la sua parte perché quando si parla di divisione di poteri, di equilibri di esecutivo e di legislativo è chiaro che i liberali hanno storicamente una parola da dire.
Io vorrei rassicurare il Consigliere Zanone e tutti gli altri: intanto se noi avremo i voti per costruire una maggioranza questa maggioranza nascerà, dal punto di vista della Giunta, in termini rigorosamente statutari e la Giunta è fatta dal punto di vista statutario, da un Presidente e da 12 Assessori; e noi non intendiamo in nessun modo diminuire o svalutare la figura del Presidente per due ragioni: la prima, l'impegno che abbiamo ad un rigoroso rispetto del quadro legislativo e degli obblighi statutari; la seconda per la stima profonda e fraterna che tutto il gruppo comunista ha nei confronti del compagno Viglione che noi abbiamo concordemente indicato come Presidente della Giunta.
Il problema che ci siamo posti nella struttura della Giunta è un altro: io credo che altri (io sono alla prima esperienza in questo Consiglio Regionale) che hanno un'esperienza più lunga della mia, converranno che uno degli inconvenienti che del resto tende a prodursi in tutti gli esecutivi perfino negli esecutivi industriali, non quelli istituzionali, è il fatto che ogni Assessorato diventa un centro a sé; il fatto che non vi siano possibilità di scambio. Io ancora recentemente, in questi giorni in cui c'è un'aria psicologica del passaggio delle consegne, area che noi non favoriamo per ragioni di buon gusto o di scaramanzia se mi consentite, ho già raccolto molte confidenze rispetto agli Assessori che sono tuttora in carica, rispetto agli inconvenienti che si sono verificati per questa frattura, per l'isolamento in cui alcuni Assessori si sono trovati. E allora noi, partendo dal rispetto rigoroso dello Statuto, dal ruolo del Presidente che è di coordinamento politico della Giunta abbiamo cercato di prendere delle misure che hanno, lo dico subito, un carattere sperimentale e che devono essere verificate allo scopo di unificare il lavoro dei dipartimenti di andare verso una maggiore collegialità della Giunta.
Infatti, vi sono i dipartimenti, cioè vi è un lavoro-insieme di alcuni Assessori e di Assessorati secondo il nostro modo di vedere, non vi sono coordinatori degli Assessorati perché avrebbe costituito una struttura gerarchica diversa da quella indicata dallo Statuto e, per quello che riguarda il Vicepresidente, ha una funzione soltanto di coordinamento - lo sottolineo - funzionale dei dipartimenti, cioè di raccordo rispetto ad un lavoro di unificazione politica che spetterà alla Giunta nel suo insieme ed al Presidente in particolare.
Quando parlo di una soluzione sperimentale intendo riferirmi anche ad un'esigenza che il Consigliere Zanone aveva avanzato. Noi che tendiamo, in generale, in particolare noi comunisti, a ridurre gli apparati, vorremmo davvero che si applicassero nella società e nelle istituzioni le regole che abbiamo noi nel Partito, si parla tanto dell'apparato del Partito, ma per noi c'è un rapporto fisso, per esempio, tra l'apparato, la base degli iscritti e degli elettori, l'apparato non può superare certe proporzioni magari lo si applicasse a livello istituzionale. L'esigenza di ridurre l'apparato, di renderlo più snello, più agile la sentiamo e l'auspicio che il Consigliere Zanone faceva di portare gli Assessori da 12 a 7 (io penso piuttosto a 8) credo che sia uno degli obiettivi, ma a questo non si pu arrivare con un tratto autoritario di una cancellazione di penna rispetto a strutture e servizi che esistono e che non si possono sconvolgere dall'oggi al domani, ma a questo pensiamo di arrivare proprio attraverso la costruzione sperimentale dei dipartimenti, per la quale lo voglio sottolineare, noi avremo un rapporto non solo all'interno della Giunta, ma col Consiglio.
D'altro canto voglio anche sottolineare per quelli che hanno parlato di dittature presidenziali o di cose fantastiche di questo tipo, che viceversa uno dei punti qualificanti del nostro programma non è solo la ricerca in nuove forme politiche organizzative di collegialità della Giunta, ma è altrettanto un nuovo rapporto tra Giunta e Consiglio, tengo a dichiararlo con forza e questo avrà più valore fra otto giorni, se saremo eletti, per noi la Giunta è e resta, come è scritto nello Statuto, organo esecutivo del Consiglio e questo implica che le Commissioni abbiano nuovi ruoli e nuovi poteri, implica che il Consiglio non sia uno strumento di ratifica, di consenso o di dissenso, ma sia l'espressione della costruzione collegiale della politica della Regione Piemonte.
Il terzo gruppo di osservazioni, che in particolare sono state mosse da diversi Consiglieri, ma in particolare da Paganelli, richiamano una questione molto complessa sulla quale io però cercherò di essere rapido tanto più che avremo occasione di riparlarne.
In sostanza, e anche nel dibattito all'Unione Industriale cui erano presenti alcuni, questa osservazione è stata mossa per esempio dal Ministro Donat-Cattin. Si dice: in definitiva, nel programma che voi avete presentato vi è una sorta di tentativo di ridurre problemi di dimensione nazionale nell'orto piemontese. Ci si dice (lo si è detto anche oggi sulla base, e lo chiarirò, di un equivoco): voi parlate di industria elettronica parlate di nuovi mezzi di trasporto, li volete fare in Piemonte, ma allora il Mezzogiorno e il resto d'Italia? Io voglio dire subito che non è affatto di questo che si tratta, ma si tratta, tengo a chiarirlo, del contrario di questo e mi spiego molto rapidamente. Noi siamo convinti (e badate, usciva fuori anche da alcune dichiarazioni di Consiglieri della D.C. la verifica di questo) che noi oltre a una crisi di carattere congiunturale e oltre a una crisi che risente l'effetto di grandi contraddizioni strutturali dell'intera area capitalistica voglio dire il rapporto tra paesi avanzati e paesi sottosviluppati, materie prime e così via, ci troviamo di fronte ad un dato preciso che è questo e lo voglio dire in modo secco e può essere anche provocatorio, ma è bene che lo sia: ci troviamo di fronte alla obsolescenza dell'apparato industriale italiano, non delle fabbriche ma delle scelte produttive che quelle fabbriche realizzano. Questa obsolescenza, si rifà in grande misura a una tendenza che non è solo dell'Italia, perché se voi considerate la storia dell'intera area capitalistica (e con questo non voglio dire che non vi siano problemi analoghi, ma si pongono in termini diversi, non avvengono nei paesi socialisti dove vi sono problemi complessi da questo punto di vista) si assiste a questa tendenza, che è generale dello slittamento delle produzioni ad alto contenuto di lavoro e a contenuto tecnologico più basso via via verso paesi di condizioni economiche più arretrate. Badate che questo fenomeno è cominciato con la rivoluzione industriale inglese; vi accorgerete - se andate a vedere questo periodo storico - come le produzioni che segnarono la rivoluzione industriale inglese già dalla metà dell'800 erano slittate verso altri paesi: Questo comincia col tessile poi col meccanico, poi col chimico e così via.
Questo è un fenomeno che oggi si accelera in ragione del fatto che il grande movimento dei popoli dell'area del sottosviluppo contesta la vecchia struttura della divisione internazionale del lavoro e questo accelera questo processo, che però è generale; se noi consideriamo gli Stati Uniti d'America vediamo che là vi è la più grande produzione di automobili del mondo, ma è anche vero che da trent'anni l'industria automobilistica americana è rimasta sostanzialmente statica e si è espansa soprattutto in altri mercati, l'Europa, ora America Latina, domani Africa e così via. Se ci domandiamo come mai la California è diventata il primo stato industriale d'America, sorpassando gli stati della costa occidentale, una delle spiegazioni è proprio questa: che gli stati industriali tradizionali degli Stati Uniti hanno coltivato, per così dire, le industrie più tradizionali le industrie nuove sono in California e non parlo solo dell'elettronica e dello spazio, ma anche di interessanti produzioni che riguardano l'agricoltura Consigliere Chiabrando, di processi nuovi chimici, meccanici e di trasformazione dell'agricoltura.
Ebbene l'Italia oggi, per il fatto che i nostri salari si sono portati a livello europeo per il fatto che vi è una rigidità di forza lavoro anche questa vicina, perché non è vero che l'Italia è il Paese che ha la forza lavoro rigida e gli altri l'hanno flessibile (questo è un discorso tutto da fare) per il fatto che sono finite le condizioni particolari dello sviluppo economico italiano, entra ora nella fase in cui una serie di produzioni diciamo così tecnologicamente più mature, tendono a dislocarsi verso altri paesi.
L'altro giorno, nel contraddittorio all'Unione Industriale con il dr.
Agnelli, con l'ing. Debenedetti ecc, questa cosa l'abbiamo riaffermata con chiarezza, qui non si tratta della cattiveria della Fiat che porta le fabbriche all'estero, si tratta di una tendenza che ha delle basi oggettive ma il dramma italiano qual'è? Che l'Italia è posta, per così dire, in un limbo dal quale le industrie tecnologicamente mature tendono a sortire spostando il loro baricentro, e nel quale le industrie tecnologicamente nuove non tendono a crescere; e questo dipende da una divisione internazionale del lavoro che il nostro Paese ha - consentitemi il termine spesso servilmente subita. E potrei perfino fare i nomi di esponenti della D.C. (parlo di Mattei, della sua vicenda e della sua sorte) per indicare in modo, vorrei dire giornalistico perfino, i segni di che cosa vuol dire subire servilisticamente una certa divisione internazionale del lavoro.
Ora siamo arrivati alla resa dei conti, ci siamo arrivati in Italia, ma ci siamo arrivati particolarmente in Piemonte che è il cuore del sistema industriale italiano. E allora, o andiamo a rinnovare questo apparato industriale, non spiantando le industrie tradizionali certamente, ma convertendo gli spazi produttivi nuovi (ne riparleremo nella conferenza sull'occupazione degli investimenti in modo analitico). Anche la Fiat parla di rilancio dell'automobile però le sue cifre sono di un milione e 500.000 automobili all'anno, ma il potenziale produttivo della Fiat e dell'Alfa Romeo è di due milioni e mezzo di automobili; dunque la ipotesi che non viene nemmeno configurata è quella di tornare al massimo alla potenzialità produttiva che hanno, dunque fine del ruolo trainante.
E allora il problema non e di riconvertire le macchine perché macchine fatte per produrre automobili non possono produrre aeroplani, ma e di contrattare - e questa è la grande questione - e di indirizzare il flusso degli investimenti nuovi verso attività sostitutive che stiano in una fascia tecnologica diversa, tale da rinnovare l'apparato industriale italiano.
Mi scuso se sono stato, insieme sintetico e lungo ma questo è il grande problema che nel programma poniamo.
Ora può fare questo il Piemonte da solo? Basta enunciare questo Consigliere Paganelli, per capire che saremmo tutti inadatti non solo a proporci come Giunta, ma a proporci come Consiglieri, come cittadini se pensassimo che questo è qualcosa che può essere fatto dal Piemonte, nel Piemonte.
Ma c'è di più. Noi abbiamo alle spalle un'elaborazione, penso per esempio al convegno che si fece a Torino all'Istituto Gramsci, a cui tutte le forze politiche hanno partecipato, che fu il frutto già di una prima collaborazione particolare tra noi e i socialisti, ma non solo tra noi e i socialisti, in cui vi sono delle elaborazioni di settore per l'industria elettronica, per esempio, noi pensiamo che un ingresso nel settore dell'industria elettronica (che noi consideriamo tra i settori importanti d'Italia, decisivi) riguarda in Piemonte lo sviluppo, l'ammodernamento di un certo tipo di fabbrica, ma riguarda (e lo abbiamo descritto in modo analitico, in modo organico) lo sviluppo di certe produzioni del Sud.
E quando parliamo di piano autobus e di conversioni in quel senso parliamo certo di processi da avviare nella nostra area e non solo l'area metropolitana torinese, ma pensiamo al riequilibrio socio-territoriale del Piemonte, ma parliamo di Grottaminarda e parliamo di altri stabilimenti indichiamo già nel progetto l'idea di un piano ferroviario che non pu lanciare la Regione Piemonte, ma di cui la Regione Piemonte può farsi sostenitrice e potrebbe dare per dieci anni lavoro al Piemonte e al Mezzogiorno.
E' in questi termini, dunque, che noi vediamo la question. E per questo ancora, Consigliere Paganelli (non le dispiacerà se la cito, riflette solo interesse) noi non pensiamo affatto che la Regione abbia due leve: la domanda e la finanziaria, no; intanto pensiamo che la prima leva che la Regione deve impugnare è il fatto che la Regione, anziché contrapporsi allo Stato, è un momento dello stato repubblicano e non un momento passivo allora la Regione deve farsi promotrice, sostenitrice, parte di una costruzione della politica nazionale. Del resto, badate che alcune cose sono in movimento: domani l'Assessore Simonelli, come incaricato della vecchia Giunta, parteciperà a Roma ad una riunione di tutte le Regioni col Ministro La Malfa.



OBERTO Gianni

E' spostata a lunedì.



LIBERTINI Lucio

Per un certo aspetto non è male, rispetto ai problemi che ponevamo ieri.
In quella riunione si farà una cosa che io considero un'importante conquista non solo della mia parte politica, ma anche della mia parte politica: che il pacchetto dei provvedimenti di emergenza non sarà più gestito solo dallo stato centrale, ma sarà gestito in concorso con le Regioni. Ma sarebbe un errore straordinario se noi andassimo a Roma a discutere soltanto la quota del pacchetto che spetta a noi e non cogliessimo questa occasione per discutere la piattaforma di emergenza nel suo insieme.
Ecco il senso dell'azione: prima di tutto l'intervento politico, il potere di programmazione che non significa fare le barricate ai confini del Piemonte ma significa inserire il Piemonte attivamente nel contesto nazionale e se mi consentite (a me piemontese ormai da molti anni, ma di origine siciliana) anche di sprovincializzare il nostro dibattito qua, uno dei drammi del Piemonte è di essere sede delle multinazionali e sede anche di uno dei più gretti provincialismi. E per questo, prima il potere politico, poi una serie di leve che noi abbiamo detto sono: la contrattazione, il modo, anche attraverso la contrattazione, di far funzionare gli strumenti pubblici, non solo regionali, che esistono nella Regione, anche statali perché l'Enel è qui, non dipende dalla Regione, non può essere estranea la Regione se programmiamo. E così via: le Ferrovie dello Stato, una discussione di contrattazione per far funzionare gli strumenti pubblici. La contrattazione degli spazi produttivi con le grandi aziende, questo cosa significa? Qualcuno ha sollevato delle preoccupazioni ma significa una cosa chiarissima ed io la voglio rappresentare nella sua crudità perché bisogna che il Consiglio prenda coscienza dei problemi come si pongono: la Fiat sta spostando il baricentro dei suoi investimenti all'estero. Questo è uno dei problemi più gravi, Del resto lo stesso Ministro Donat-Cattin sia pure per ragioni strumentali e polemiche lo diceva al convegno con gli industriali venerdì scorso; su questo si è aperto il dibattito.
Ebbene allora cosa facciamo? Facciamo la predica ai fratelli Agnelli? Nazionalizziamo Mirafiori? Queste sono strade veramente ridicole impercorribili. La strada è quella che non solo la Regione, ma la Regione per la sua parte, usi gli strumenti io direi di incentivazione, ma non in termini di incentivi tradizionali, di allettamento e di sanzione per aprire con questi gruppi una contrattazione che non può essere limitata al Piemonte, ma nella quale il Piemonte deve fare la sua parte.
In questo senso sono d'accordo con quanto diceva Zanone: bisogna incominciare una discussione seria politica con la Fiat.
Terzo: la piccola e media industria dell'artigianato. Qui la Regione ha poteri diretti, qui bisogna costruire nuove leve, la Finanziaria, il Consorzio per la garanzia fidi, l'intervento sul credito, la promozione sui mercati internazionali (grande problema della piccola e media industria) e poi ancora, altra leva importantissima, le banche: o noi giungiamo ad una contrattazione con le grandi banche rispetto ai flussi di credito e li rapportiamo ad un piano di sviluppo, o il piano di sviluppo è destituito di ogni possibilità pratica di realizzazione. Gli stessi interventi che noi dovremmo fare nello scorcio di questi mesi, visto che quello che rimane in bilancio di liquidità manovrabile è minimo, sono interventi che o li facciamo sulla base di un orientamento del credito importante - e penso ai lavori pubblici, ma penso all'agricoltura - o ci troveremo in una condizione di impotenza; ecco un'altra questione grossa.
E ultimo, l'organizzazione della domanda che sono d'accordo con lei non può essere elemento risolutivo ma può essere un elemento che concorre se è una domanda organizzata, non a pioggia, massiccia, qualificata orientata in determinate direzioni.
Ecco ciò che noi ci proponiamo di fare. E' vero, quello che qualcuno ha rilevato, che vi è sproporzione tra l'entità della crisi come la descriviamo nei documenti e i rimedi, ma mica pretendiamo di risolvere la crisi dell'area capitalistica mondiale non pretendiamo di attrezzare l'Italia e per intanto il Piemonte a navigare nella grande tempesta che si apre e che non sarà di facile e di breve durata.
E qui (io potrei forse tagliare questa considerazione, a cui il collega Zanone però mi ha sollecitato rispetto a questioni che riguardano anche il Consiglio Regionale, ma voglio dire hanno un taglio più ideologico) qui poi si colloca la questione del riformismo. A parte il fallimento dei riformisti e il fatto che il movimento operaio si trova nelle sue mani questa bandiera delle riforme perché altri l'hanno lasciata cadere per terra storicamente, non l'hanno saputa reggere, io vorrei sottolineare perché la nostra è una linea di chiarezza e non di accorgimenti, che le riforme che noi proponiamo e per le quali ci battiamo non sono riforme che si limitano a razionalizzare il quadro economico esistente; quando parliamo di riforme di struttura, vogliamo dire che parliamo di riforme che non solo tendono ad eliminare la rendita, ad eliminare il peso del parassitismo ma tendono ad incidere sui meccanismi di accumulazione e di sviluppo. Del resto questa è la grande confrontazione su tutta l'area mondiale, perch contrapporre astrattamente un'economia di mercato sui modelli paretiani e un'economia collettivistica, come si dice, è la più grande delle astrazioni; in realtà oggi noi ci troviamo con un'economia di mercato estremamente anomala rispetto ai modelli, che ha una simbiosi stretta industria pubblica industria privata e il problema concreto di capire come possiamo mettere in moto meccanismi di accumulazione nuovi e su questo c'è un confronto di grande respiro tra le forze politiche.
Io ho introdotto appena questo tema perché il Consigliere Zanone con molta intelligenza, poneva un quesito che aveva posto l'altro giorno nei dibattito all'Unione Industriale, ma credo che avremo occasione in Consiglio di ritornare su questo tema e non in modo teorico, ma riferendoci ai problemi concreti.
Io ho sentito dire parecchie cose di questa bozza di programma tra l'altro ho sentito dire che è generico superficiale, affrettato e così via.
Intanto vorrei richiamare i colleghi allo Statuto a cui noi intendiamo attenerci: lo Statuto non parla di programma parla, molto saggiamente, di linee politico-programmatiche e questa prescrizione dello Statuto corrisponde esattamente alla nostra intenzione, noi abbiamo inteso presentare delle linee politico-programmatiche. Se voi confrontate - lo dico molto modestamente - questo documento con i documenti precedenti, vi accorgerete che non solo questo documento, che pure vuol essere solo di linee politico programmatiche è il più ampio tra quelli presentati, ma si distingue dagli altri (e ringrazio qualche Consigliere, mi pare Beltrami che l'ha colto questo elemento) perché invece di essere un riassuntino di un catalogo di rivendicazioni, tenta di esporre un progetto politico economico, magari ambizioso magari discutibile, ma un progetto politico economico. E il dibattito nel Consiglio Regionale lo suscitiamo intorno a questo progetto.
Noi raccoglieremo tutte (se la Giunta andrà in porto, ma comunque le raccoglieremo come gruppo politico in questo Consiglio) tutte le osservazioni, terremo conto di tutto quello che si è detto oggi. Ma il programma definitivo, chi lo fa? Il programma definitivo per noi, tengo a ribadirlo, è un programma che andrà fatto dalla conferenza regionale sull'occupazione, gli investimenti e lo sviluppo; cioè andrà fatto non dalla Giunta e neppure dalla maggioranza consiliare, ma da tutto il Consiglio insieme con tutte le forze economiche e sociali di questa Regione.
Questo non vuol dire - io lo voglio sottolineare - quello che qualcuno pensa: fare della Regione un antistato, l'ho già accennato, noi pensiamo che la Regione - e l'abbiamo scritto - sia un'importante articolazione dello Stato repubblicano. Crediamo che per la Regione si pongano - e questo sarà un grosso tema della conferenza di ottobre - dei problemi grossi che riguardano lo specifico della Regione Piemonte e riguardano una questione politica e teorica molto più generale: lo specifico, perché tutti i colleghi lo hanno detto oggi, noi andiamo ad un autunno che è fosco per il momento, che sarà denso di crisi, che ci porrà di fronte a grandi problemi rispetto ai quali la Regione tutto può fare, lo dico per forza, tranne che aprire le braccia dicendo che non ha competenza nell'industria e lasciare che si attacchino le bandiere sulla facciata del palazzo della Giunta perché questo non serve a niente, quelle bandiere sono un atto di accusa ogni giorno e l'abitudine che ci si fa, è a sua volta un atto d'accusa sull'accusa.
Quindi, prima di tutto c'e questa questione e poi badate che c'è una questione che riguarda l'ordinamento regionale in generale, perché le questioni sono sorte, in realtà, sulla base di momenti autonomistici sull'onda di una tradizione contadino-garantista.
Il problema nuovo che abbiamo, che cos'è? Lo abbiamo dappertutto e il fatto e che nell'Italia di oggi (la grande questione dell'industria) nessuna Regione può operare sulla base di questa vecchia concezione contadino-garantista che è perfino alla base di certe cose che sono nell'originaria costituzione delle Regioni. Allora quella conferenza dell'occupazione, che noi vediamo come un grande momento di confronto, deve affrontare i grandi problemi specifici della costituzione di un programma che non può essere fatto da dieci uomini, ma deve essere fatto con la partecipazione di tanti e deve anche porre all'attenzione del Paese e non solo del Piemonte, la questione del rapporto tra l'ordinamento regionale che stiamo costruendo e le grandi questioni dello sviluppo economico e delle industrie e della funzione stessa delle Regioni.
Noi come comunisti, ma il collega Bellomo ha parlato molto chiaramente per i socialisti, quindi come maggioranza noi facciamo una scelta che tra le altre e la più caratterizzante del lavoro della nuova maggioranza e della nuova Giunta se avrà i voti necessari e cioè la scelta davvero di un nuovo metodo di Governo e non, cari colleghi, delle facce nuove, a parte il fatto che stiamo attenti a presentare magari domani Andreotti come faccia nuova. Il problema è un altro e cioè se un Governo fatto per conto della gente e che quindi lascia spazio organicamente agli abusi ed alla corruzione, deve essere un Governo fatto con la gente, espressione della gente, a contatto continuo. Il problema è, Consigliere Chiabrando, se noi ci possiamo permettere, noi socialisti e comunisti, sapendo qual'è la realtà del Piemonte, di fare delle leggi che riguardano l'agricoltura senza avere sentito il Cuneese per esempio, per quello che è e non i comunisti o i socialisti del Cuneese, ma i D.C., coltivatori diretti.



CHIABRANDO Mauro

Lo abbiamo sempre fatto.



LIBERTINI Lucio

Ma noi vogliamo farlo con tutti, questo e il punto. Io lo dico perch questa scelta qualcuno l'ha criticata, noi non vogliamo affatto abdicare alle nostre funzioni, le nostre funzioni le abbiamole avrà la Giunta le avrà il Consiglio ma queste funzioni si esercitano in un rapporto più grande.
E questo, badate, corrisponde ad una nostra concezione più complessiva della democrazia siccome questo problema è stato sollevato anche di striscio.
Io non voglio addentrarmi nei temi mondiali interplanetari che qualcuno ha tirato fuori, però c'è un dato che per noi comunisti e di grande importanza: noi siamo convinti che un certo sistema di libertà, che è storicamente il frutto della borghesia nella sua lotta storica (la testa a Maria Antonietta l'ha tagliata la borghesia, non certo i comunisti che non c'erano) un certo sistema di libertà e di diritti che nel corso della storia la borghesia più volte ha calpestato quando è emerso il movimento operaio (è la storia dei fascismi) viene assunto; e badate, si tratta di un fatto storico che riguarda l'Italia, ma che ha riflessi internazionali e quando i colleghi D.C. parlano dei rapporti con il PCI devono avere presente che anche di questo nodo dovranno tener conto. Noi non solo assumiamo questo sistema di libertà, ce ne facciamo difensori, e non a parole perché se considerate la storia degli ultimi 50 anni vi accorgerete che non è retorica dire che per questo tipo di libertà, per questo sistema di libertà i comunisti sono pronti a dare la vita, non è retorica; però nel momento in cui diciamo questo, e con forza, aggiungiamo che questo sistema di libertà che intendiamo storicamente assumere difendere e portare avanti è insufficiente rispetto alla domanda che esce dalla società che non è più soltanto di garanzie o di espressioni di dissenso o di consenso, ma è di partecipazione, è di controllo, e di intervento. E la Regione se vuole essere non un organo di decentramento amministrativo, ma vuole essere un nuovo momento dello stato repubblicano, se non adotta questo suo metodo, se non ne fa la sua intima natura viene meno alla sua stessa funzione.
E' in questa direzione che noi intendiamo muoverci, in un rapporto profondo tra la Giunta, se si farà, e il Consiglio, tra il Consiglio e le popolazioni del Piemonte. E noi speriamo che al di là delle polemiche che anche oggi sono risuonate e al di là della differenza dei ruoli che non intendiamo davvero cancellare, su questa base si possa avere qui in Consiglio un rapporto estremamente costruttivo con tutte le parti politiche.



PRESIDENTE

Se nessun altro Consigliere chiede di parlare dichiaro chiusa la discussione.
Mi permetto soltanto, applicando il punto terzo dell'art. 4 del regolamento del nostro Consiglio, di aggiungere brevi parole per sottolineare un fatto che mi pare sia emerso di fronte a tutti i Consiglieri: e cioè che ci siamo trovati di fronte ad un dibattito elevato molto impegnato da parte di tutte le forze politiche, all'altezza della situazione del nostro Piemonte e del nostro Paese e di questo dobbiamo credo compiacerci tutti perché era la prima seduta, dopo quella della elezione del Presidente, in cui le forze politiche potevano cominciare ad approfondire il loro confronto.
Questo confronto è avvenuto. Sottolinerei alcuni dati che apparentemente burocratici, tuttavia devono insegnarci qualche cosa per il prossimo futuro: sono stati presenti quasi tutti i Consiglieri Regionali ed il Consigliere Gandolfi, che ha chiesto sia per il mattino che per il pomeriggio, congedo, è pienamente giustificato. Ma soprattutto i Consiglieri sono stati presenti a tutte le fasi del dibattito e questo non succede quasi mai al Parlamento nazionale, neanche quando c'è da eleggere un Governo.
Io so che i critici maliziosi potrebbero dire che c'era da confrontarsi in numeri di maggioranza e di minoranza; in realtà in tutti c'è la consapevolezza che in questa seduta forse non si elegge la Giunta, si tratta quindi di una partecipazione vera, all'altezza dei tempi e dei dibattiti che ci sono in tutti i partiti politici protagonisti della vita del nostro Paese.
Abbiamo lavorato finora sette ore e mezza, una giornata di lavoro, in un ambiente un po' caldo, ma ho visto che c'è della fantasia fra i Consiglieri per risolvere autonomamente, con la partecipazione, questo problema nel senso che il pluralismo delle idee non ha impedito il pluralismo degli abbigliamenti ed io sono completamente d'accordo con questo, se c'è la libertà di parola, ci mancherebbe altro che non ci fosse la liberty di vestire anche perché non siamo ancora in grado di garantire a questo Consiglio Regionale un clima che permetta a tutti di vestirsi come vogliono.
Hanno parlato quindici Consiglieri e cinque fra questi sono nuovi nuovi fra gli eletti e nuovi nel senso che hanno esordito, mi pare in modo molto interessante, dando un contributo rilevante al dibattito generale e dando la configurazione di una nuova assemblea rispetto a quella che avevamo prima.
Credo che tutti questi elementi messi assieme permettano di dire che è stato un buon inizio di questa vita della nostra seconda legislatura qualunque sia l'esito del voto che stiamo per dare.
Devo anche ringraziare il pubblico che ha voluto garantire la sua presenza corretta a tutta la fase del dibattito, e auspicare che questo modello di comportamento di questa prima seduta sia seguito in tutte le successive fasi dei cinque anni che ci attendono nella seconda legislatura.
Vi sono ancora delle dichiarazioni di voto? La parola al Consigliere Bianchi.



BIANCHI Adriano

Mi riservo di fare la dichiarazione di voto alla prossima seduta essendo oggi superflua.



PRESIDENTE

Certamente.
A norma dell'art. 32 del nostro Statuto si deve procedere alla nomina del Presidente con votazione per appello nominale, successivamente si procederà alla votazione dei componenti della Giunta.
Per la prima votazione è necessaria la maggioranza assoluta dei voti dei Consiglieri assegnati alla Regione (cioè 31 voti), per la seconda (cioè quella della Giunta) la maggioranza semplice con votazione della lista collegata a quella del Presidente.
Prego un Consigliere Segretario di procedere all'appello nominale: dicendo "si" si intende approvare il programma, il suo contenuto ed il Presidente proposto.



(Si procede alla votazione per appello nominale )



PRESIDENTE

La votazione ha avuto il seguente esito: presenti e votanti n. 58 hanno risposto si: n. 30 Consiglieri hanno risposto no:n. 28 Consiglieri Poiché non si è raggiunta la maggioranza richiesta, l'elezione, ai sensi dell'art. 32, comma 5 dello Statuto, è rinviata ad altra seduta da tenersi non prima di otto e non oltre 15 giorni.
Dichiaro pertanto chiusa la seduta e convoco immediatamente i Capigruppo.
Il Consiglio verrà convocato a domicilio.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 19)



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