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Dettaglio seduta n.295 del 12/12/79 - Legislatura n. II - Sedute dal 16 giugno 1975 al 8 giugno 1980

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SANLORENZO


Argomento: Problemi generali - Problemi istituzionali - Rapporti con lo Stato:argomenti non sopra specificati - Enti Locali - Forme associative - Deleghe: argomenti non sopra specificati

12 dicembre 1969 - 12 dicembre 1979: il contributo delle autonomie locali piemontesi alla lotta contro il terrorismo


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
L'unico punto all'ordine del giorno della seduta odierna reca: "12 dicembre 1969 - 12 dicembre 1979: il contributo delle autonomie locali piemontesi alla lotta contro il terrorismo".
Signori Consiglieri, signori invitati, sta scritto nei primi articoli della Costituzione che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo.
Sta scritto che la libertà personale è inviolabile; che il domicilio è inviolabile; che ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale. Sta scritto che i cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senza armi. Tutto questo e altro sta scritto nella Costituzione delle Repubblica italiana.
Ecco ciò che è in discussione non da oggi nel nostro Paese, ma da quel 12 dicembre 1969 a Milano, quando, con la strage di Piazza Fontana, nasce il terrorismo nero in Italia. Ecco ciò che ci viene riproposto dalla gravità di ciò che è successo ieri a Torino. Se il passato ci invita a riflettere, il presente ci impone di analizzare per capire e per agire dato che non siamo qui solo per fare opera di storia o per rinfrescare la memoria di fatti che abbiamo vissuto assieme.
Noi abbiamo il dovere prima di tutto di capire che cosa si prefiggono di raggiungere, quale linea seguono in questa fase i gruppi che sono collegati alle b.r., e più specificamente i gruppi che sono comunque collegati ai capi storici delle b.r., quelli che hanno emesso i comunicati 20 e 21 nell'ultimo processo che si è celebrato a Torino.
Dobbiamo guardare con attenzione a quello che in questi documenti è scritto, perché possiamo in questo modo capire più concretamente quale sia la loro strategia, in quella che loro chiamano una congiuntura di transizione, che non prevede più solo la "propaganda armata" e non è ancora la "guerra civile" dispiegata.
Prima di tutto quello che noi abbiamo visto effettuarsi ieri è un atto di guerra civile. La stessa parola "guerriglia" richiama alla memoria altri e diversi episodi e altre tattiche, che sono state attuate in Sud America in altri periodi storici. Per fare la guerriglia ci vogliono intanto due formazioni armate che si confrontino e si misurino, e qui non è il caso. Ma qui non abbiamo nulla di ciò che è già stato fatto che venga copiato meccanicamente.
Nel caso specifico, il messaggio che viene indirizzato attraverso questa azione è diretto al proletariato metropolitano, che viene considerato, nel comunicato n. 21, l'ultimo emesso poco prima della sentenza delle b.r., il soggetto protagonista del salto definitivo di qualità verso "la guerra civile e dispiegata".
In secondo luogo l'azione di ieri risponde a quel punto, che si potrebbe definire n. 7, delle direttrici di azione che le b.r. hanno indicato in questo documento. E cioè la direttiva contro "lo Stato in fabbrica", contro quella che loro chiamano la gerarchia del comando e del controllo aziendale. Quella scuola è stata identificata come scuola di formazione di quadri che avranno una funzione dirigente nell'azienda. I colpiti sono dirigenti della Fiat, della Olivetti e allievi che studiavano per diventare dirigenti. E c'é qui una corrispondenza fra ciò che è stato indicato dal documento delle b.r. e ciò che è stato effettuato dal commando di "Prima linea". Bisogna prendere atto delle conseguenze e delle concatenazioni che ci sono fra le parole dette e gli atti succedutisi e anche ciò che è stato preannunciato da Curcio: "Avrete nei prossimi giorni i titoli a nove colonne in prima pagina". E i titoli a nove colonne sono venuti.
Terza considerazione: è che il numero di uomini impegnati per condurre questa azione è stato certamente fra i più rilevanti sinora impiegati in tutta la storia del terrorismo italiano, almeno degli ultimi cinque anni.
Forse 15 - 20. Si può ricordare come episodio ancora più impegnativo, dal punto di vista della quantità di terroristi impegnati, solo l'assassinio di Moro, mentre altri episodi analoghi possono essere equiparati soltanto se si ricorda l'assalto a Piazza Nicosia e forse lo stesso agguato teso a Torino alla polizia dopo la morte di Caggegi e Barbara Azzaroni e anche allora si trattò di un atto di guerra civile.
La quarta considerazione è che questa azione di guerra civile viene dopo un'altra azione compiuta a Leinì, che ha avuto meno feriti, ma con un numero di partecipanti rilevante, non meno di 10, contro il proprietario di una piccola azienda. Il che lascia intendere, e porta alla prima conclusione, che malgrado i colpi ricevuti recentemente dall'organizzazione terroristica nel nostro Paese, proprio questi salti di qualità di mostrano una capacità, sostanzialmente intatta, di movimento, di rifugio, e l'esistenza di santuari dai quali partono e nei quali possono ritornare.
Inoltre dimostra una continuata capacità di reclutamento, oltre a sedi e luoghi di addestramento militare. Quelli che hanno agito ieri erano tutti armati, erano tutti giovani, alcuni giovanissimi. Alcuni sapevano anche sparare bene, perché l'obiettivo era di gambizzare ed hanno gambizzato.
Ciò che indica la presenza di nuovi reclutati a Prima linea è la segnalazione fatta dagli stessi giovani studenti della scuola, i quali hanno notato tranquillità e sicurezza nella maggioranza di coloro che operavano e nervosismo, persino angoscia, in qualcuno di quelli che radunavano i ragazzi nelle aule della scuola, come se fossero alla loro prima esperienza.
Ma altre conseguenze dobbiamo trarre dal complesso della linea che viene questa volta abbastanza chiaramente indicata nei documenti ultimi delle b.r. Essi si propongono di scatenare, o sognano di poter scatenare la lotta in tutta una serie di direzioni, contro lo Stato in tutte le sue articolazioni, contro l'esecutivo di questo Stato, contro gli alti funzionari dei Ministeri, contro le consorterie delle multinazionali contro l'apparato giudiziario, carcerario, dei mass-media e anche contro i giunti di trasmissione di questo apparato, contro le forze di P.S., i carabinieri, contro lo Stato in fabbrica, contro la D.C., partito di regime, contro i comunisti revisionisti che si affannerebbero a costruire il consenso alla politica dell'esecutivo, organizzando la delazione contro chiunque dissenta.
Come dovrebbe essere portata avanti questa linea di azione? Secondo quanto è esplicitamente dichiarato, con campagne di offensive a ondate successive. E in che modo? La guerra di classe operaia proletaria è guerra senza quartiere e va portata su tutto l'arco delle 24 ore, senza la tregua del week end, ovunque sia il nemico, in fabbrica o a casa, in caserma o a passeggio, egli deve sentirsi braccato, spiato, esposto alle più fantastiche e irreversibili trappole ed imboscate. La giungla metropolitana deve diventare un territorio infido e impraticabile per ogni controrivoluzionario e il potere legale dello Stato deve trovare nel potere legittimo del proletariato il suo implacabile affossatore. Questa è la piattaforma di azione e la metodologia per attuarla.
Ora, è piuttosto evidente: primo, che il proletariato a cui costoro si riferiscono è un proletariato che nella quasi totalità condanna in modo sempre più netto questa strategia e questa politica. Secondo: che è chiaramente identificabile come folle e criminale il disegno che si prefigge. Se facciamo l'elenco di tutti gli uomini che stanno dietro alla classificazione che ho indicato e che anche le b.r. indicano, questo vorrebbe dire attaccare militarmente, ammazzare, ferire milioni e milioni di uomini in Italia, perché sono milioni e milioni gli uomini in Italia che servono lo Stato, che seguono la linea comunista, o di sinistra o la D.C.
gli uomini che servono la Magistratura, le forze di P.S., la stampa e anche i loro addentellati.
Quello che costoro si prefiggono, quindi, se ne avessero la possibilità, è di compiere non solo una guerra civile, ma una specie di genocidio. Costoro sognano un gigantesco bagno di sangue da cui poi emergerebbe (per la prima volta, viene qui definito) un Paese che dovrebbe avere come prospettiva quella di un Paese del terzo mondo e come collocazione politica quella dei Paesi non allineati. E' la prima volta che compare in questi documenti un'indicazione politica del dopo ed un accenno ad una collocazione internazionale del nostro Paese qualora questi disegni venissero attuati.
Questo è ciò che costoro si prefiggono di fare. E se non gli viene impedito, essi potranno portare avanti non certo questo loro disegno, per il quale non esistono oggi né le condizioni obiettive, né le condizioni soggettive, ma si realizzerebbe invece un risultato esattamente opposto alle loro farneticazioni: un ordine reazionario, liberticida, oppressivo e sanguinario; questo sarebbe il risultato cui la loro azione concorrerebbe.
Ora, questo viene respinto dalla coscienza, dalla volontà politica, da tutti i principi su cui si fonda la nostra democrazia e la nostra convivenza civile. Ma bastano questa mancanza soggettiva ed oggettiva basta la ripulsa morale a rendere meno grave il pericolo? No, se non viene impedito, essi potranno portare ancora altri lutti, colpire ancora e a seconda dello sviluppo della crisi economica e politica del nostro Paese potranno anche avere dei margini più ampi di quelli che hanno avuto sinora.
Bisogna essere coscienti della gravità generale della crisi del nostro Paese e anche del nostro Stato, per avvertire che siamo di fronte ad una situazione non solo grave, ma di emergenza, di cui il terrorismo non è che una faccia, quella più scoperta, quella che viene alla ribalta. C'è in questa situazione qualcosa che potrebbe progressivamente configurarsi con un attacco generalizzato allo Stato, alla Repubblica apportato da più parti, per la sua distruzione e per una involuzione apertamente reazionaria che è il punto sicuro, questo sì, di approdo del terrorismo delle b.r.
Bisogna tener conto dell'esistenza di un movimento che pone esplicitamente l'obiettivo di una seconda Repubblica e bisogna avere coscienza che importanti forze che oggi sono indistintamente in azione (il partito dell'inflazione) sono pronte ad assumere anche un loro ruolo politico e aperto qualora si trattasse di dare un ordine che non sarebbe certamente nuovo, ma che noi già conosciamo. Almeno l'Italia lo ha conosciuto e lo ha subito per venti anni, ed è stato conosciuto da tanti altri Paesi europei e in altre parti del mondo in questo ultimo trentennio di storia politica.
Ma vi sono altre conseguenze da trarre. Da questo documento delle b.r.
dal precedente documento e dai comportamenti concreti che ha avuto il terrorismo nella nostra città in questi anni.
Noi facciamo il bilancio di dieci anni, dal 12 dicembre di Piazza Fontana. Dobbiamo saper trarre delle indicazioni, condurre delle analisi concrete e specifiche di quello che è successo qui, che è, deve essere inquadrato in una strategia o in una linea o in una convergenza di diverse strategie e di movimenti che non hanno un loro punto unificatore o ne hanno più di uno, ma che qui a Torino si configura come un tentativo di dare vita ad un terrorismo metropolitano, quindi delle grandi città, con dei collegamenti che vengono cercati con le fabbriche, con i settori di classe operaia e con la dinamica aspra delle lotte rese più evidenti e in qualche misura ineluttabili dalla crisi economica in atto, questa linea, questa strategia può essere condotta solo nelle grandi città. Non nel senso che gli attacchi terroristici non possono essere portati anche là dove non ci sono grandi aziende, o semplicemente mancano le aziende, tanto è vero che l'attacco è stato portato apertamente anche in città diverse, come Padova e come Roma, dal partito armato e da formazioni anche dialettiche rispetto ai capi storici delle b.r. Gli apparati dello Stato, infatti, sono disseminati ovunque. Ma la concentrazione dei loro attacchi è avvenuta sinora sempre là dove maggiore è l'apparato dello Stato, o dove vi sono le grandi concentrazioni industriali e operaie. Di qui la centralità delle città come Torino, Genova, Milano, oltre che di Roma.
Quello che ci preme considerare tuttavia è che anche questi ultimi fatti di guerra civile indicano la necessità per le forze dell'ordine, per il Governo di avere un piano di intervento specifico basato sull'analisi concreta delle forze del terrorismo agenti in queste città, della loro strategia concreta e della loro tattica e dell'analisi precisa condotta su ciò che è già stato fatto. Occorre un piano che sia adeguato, che sia diretto ed orientato a prevenire. In questo senso se si conosce la loro strategia, si può anche prevenire e reprimere quelle che saranno le prossime azioni di guerriglia urbana. Ciò che sarà tentato in una città che, dopo il secondo processo alle b.r., attende altri grandi processi come quello che si farà per l'assassinio del giudice Alessandrini e altri ancora, concentrati, non si sa con quale logica, nella nostra città, quasi fosse una località periferica, tranquilla, "la Catanzaro della situazione".
Per questo, per questa analisi, per questa valutazione noi rinnoviamo da questa assemblea la richiesta di un piano di intervento per la nostra città (solo in parte compresa nel piano particolare, specifico) di cui si è già discusso e di cui abbiamo dato più volte elementi e connotati al Governo della Repubblica. Occorre un nuovo incontro per decisioni più coerenti con il Governo e con le autonomie locali del Piemonte. Questo piano deve essere attuato non soltanto per garantire l'ordine pubblico in occasione e attorno alla Caserma dove si celebrano i processi, ma deve essere in grado di coordinare tutte le iniziative. A nostro avviso ancora oggi non c'è tutto questo, non c'è il coordinamento, non c'è questo piano c'è qualche volta l'intervento esterno per far fronte a qualche situazione particolare ma una visione della peculiarità della situazione e di ciò che è necessario fare non c'è; ci sono ritardi e responsabilità che vanno riconosciute e superate. Questo significa l'esatto opposto della tesi sinora vincente di considerare il terrorismo italiano come diffuso su tutto il territorio nazionale in eguale misura. Significa l'esatto opposto di spostare quantitativi di forze di P.S., per periodi limitati, credendo che la strategia delle b.r. possa comunque applicarsi in qualsiasi parte d'Italia, questo significa in parte fare qualche cosa di profondamente diverso da quello che è stato fatto sinora.
La guerriglia metropolitana si può fare dove ci sono i centri metropolitani. Tentativi di aggancio con la dinamica della lotta operaia si possono fare dove ci sono le concentrazioni di classe operaia. Questa strategia non può essere attuata nel Molise, in Lucania, a Termini Imerese ad Ascoli Piceno, a Macerata, a Spoleto, ad Asti, a Cuneo, a Urbino, o sulla laguna di Venezia. Se questo è vero, allora occorre trarre delle conclusioni precise e rapide. Si è già perso troppo tempo. Ma naturalmente i fatti successi ieri impongono un aggiornamento, un bilancio di quella che è stata l'ispirazione e la pratica concreta del Comitato regionale unitario antifascista, delle autonomie locali, delle forze politiche piemontesi, in un rapporto di nuova unità, di intenti, di valutazioni e di comportamenti.
Occorre un impegno coerente per realizzare il tipo di risposta necessario nelle fabbriche, nelle scuole, nelle campagne, negli uffici, per rendere impraticabile la strategia descritta dalle b.r. Non c'è ancora, cioè, terra bruciata attorno ai terroristi.
Non dobbiamo pensare di aver già realizzato questo obiettivo che è ancora da raggiungere e che in qualche misura si accompagna alla gravità della crisi del nostro Paese, aprendo così spiragli, terreni su cui il terrorismo può operare. Che cosa di nuovo bisogna fare? Bisogna riflettere su ciò che abbiamo già fatto e persino sui risultati che si sono ottenuti.
Ad esempio, ieri abbiamo assistito per la prima volta ad un'assemblea di giovani studenti dello stesso Istituto dove poco prima era successo il fatto, i quali hanno subito collaborato con le forze dell'ordine, dando indicazioni e testimonianze precise, che verranno utilizzate e raccolte dalle forze di P.S. E' un fatto assolutamente nuovo: i ragazzi erano un centinaio, nessuno è scappato dopo quello che è successo, anche se avevano subito l'umiliazione di stare lì con la testa chinata fra le gambe, in attesa che gli altri sparassero ai loro colleghi o ai loro insegnanti hanno testimoniato e detto cose precise, nessuno si è tirato indietro e questo è un fatto positivo. Però occorre anche una banca dei dati! Vorrei capire come si possano condurre delle indagini sistematiche su questa materia raccogliendo la singola testimonianza e sperando che poi un confronto con qualche altra provincia permetta di capire se quello che è venuto qui ad agire ieri è lo stesso che ha agito a Firenze o a Roma una settimana fa. Occorrono cioè quelle misure di aggiornamento e di tecnica dell'attività di indagine antiterroristica che sono in realtà applicate in tutti i Paesi del mondo e che qui tardano enormemente ad essere assunte dalle forze giudiziarie, della Magistratura e da quelle di Pubblica Sicurezza.
Inoltre, c'era nei giovani che avevano vissuto questa esperienza tremenda e in quelli che erano stati colpiti e che abbiamo salutato nelle corsie, una serenità derivante dal fatto che erano stati sì colpiti feriti, ma non avevano nessuna volontà di cambiare opinione, cioè di accettare le proposte che erano state loro fatte, nel dialogo assurdo che è avvenuto in quelle ore, in cui si proponeva al giovane meridionale che aveva fatto 1.000 km per venire a studiare a Torino di non impegnarsi, di fare altri mestieri, di rubare, che era molto meglio, oppure gli si proponeva di non continuare gli studi verso i quali si era orientato. Vi era la determinazione non solo di condannare ciò che era successo, ma anche di opporvisi individualmente e in modo collettivo e credo che questo impegno sia stato rinnovato nell'assemblea di oggi, come in quella di stamani al cinema Massimo, alla quale partecipavano 1.500 giovani. Credo di non sbagliare in ottimismo nel valutare la reazione di questi giovani di oggi diversa da quella che abbiamo avuto nelle tante assemblee condotte anche soltanto un anno o due fa: c'era maturità, consapevolezza, serietà.
Il loro modo di comportarsi era coerente come ragazzi, giovani che vogliono capire per poi impegnarsi ad agire.
Bisogna che prevalga e si affermi la cultura della collaborazione e della denuncia civile e precisa del cittadino che sa nei confronti di questi criminali che vogliono portare il nostro Paese alla rovina. Bisogna che sia sconfitta l'opposta cultura dell'omertà mafiosa, che non è soltanto confinata o retaggio di alcune zone del nostro Paese, ma che alberga mistificata e coperta anche in chi, e sono molti, avrebbero il dovere di insegnare alle nuove generazioni il coraggio, la lealtà, la dignità di comportamento in luogo del giustificazionismo e della caricatura della sociologia, a volte gabellate per scienza per nascondere l'incapacità di assumere una netta posizione morale e politica coerente, da parte di chi più di altri dovrebbe sentire questo come un dovere.
Ma a questo si deve giungere con una offensiva ideale, che deriva anch'essa da un'analisi dei comportamenti concreti del terrorismo.
Dopo aver preso in esame che cosa hanno scritto, che cosa intendono guardiamo che cosa hanno fatto, perché gli uomini sono sempre ciò che fanno, non ciò che credono di essere o dicono di dover essere. E quello che hanno fatto ieri i cosiddetti "combattenti di Prima linea", è qualcosa che noi conosciamo già. Erano in 12, 15 armati. Ma contro chi? Contro 100 ragazzi che avevano in mano dei libri, li hanno radunati nelle sale della scuola, legato un gruppetto di loro e poi hanno sparato, quando erano ben sicuri che non potevano far più niente per opporsi. Ma noi questi metodi li conosciamo! Erano quelli che usavano i nazisti quando capitavano nei paesi e dovevano dare una lezione, armati fino ai denti, facevano un rastrellamento contro i contadini quando non incontravano i partigiani.
Tre giorni or sono hanno assassinato il Maresciallo Romiti: gli hanno sparato 12 colpi alla schiena: erano in 4. A Torino hanno ammazzato un vecchio di 76 anni, l'avv. Croce: erano in 4. A Torino hanno bruciato vivo un ragazzo di 20 anni che prendeva un caffè, scaraventandogli contro, senza guardare se c'era qualcuno, decine di bottiglie molotov. Alla Lancia di Chivasso hanno incendiato un capannone. In Borgo San Paolo hanno sparato nel mucchio e hanno ammazzato un ragazzo armato soltanto di una cartella di libri. In Borgo Vittoria in 4 hanno sparato contro un uomo che portava un vassoio con dei bicchieri per servire i clienti. Tutte queste cose non ci sono ignote. E come si chiamano coloro che ammazzano vigliaccamente? Si chiamano fascisti. Come si chiamano coloro che sparano sugli innocenti, che non si preoccupano nemmeno di stabilire una gerarchia di responsabilità? Chi ha inventato le ritorsioni di 50 contro 1? Sono i nazisti.
Quelli di "Prima linea" avevano scritto " Vogliamo vendicare Barbara Azzaroni e Caggegi", una terrorista che aveva già partecipato ad altri assassinii e un giovane che si preparava ad assassinare un altro giovane che invece di fare il terrorista faceva il Presidente del Comitato di quartiere. Ma da allora sono già stati ammazzati da "Prima linea" altri uomini e feriti decine di altri. E quando si sentiranno "vendicati" costoro che vogliono creare una nuova società? Quando ne saranno stati ammazzati 200? Quale logica presiede, quale ideale, quale umanesimo c'è in questa pratica? E allora, nei confronti di costoro che si dicono rossi, sia che si chiamino Prima linea o brigatisti rossi, ma che usano i metodi dei fascisti e dei nazisti, bisogna tenere l'atteggiamento che si aveva con i fascisti e con i nazisti. Bisogna trattarli da fascisti e da nazisti nelle fabbriche nelle scuole, nei Comuni, dovunque. Certo, tocca allo Stato e alla P.S.
arrestarli e individuarli e metterli in condizioni di non nuocere, ma tocca a ciascuno di noi contribuire ad individuarli per metterli in condizione di non nuocere. Senza una nuova tensione morale nessuna società può salvarsi quando un pericolo così grave la minaccia. Costoro non sono portatori di nessuna umanità nuova. Costoro sono i portatori di tutto ciò che di più antioperaio, antipopolare, antidemocratico esiste, la sottocultura l'irrazionalismo, il misticismo e il fanatismo hanno prodotto in una società in crisi. Essi sono figli di questa società in crisi e lungi dal rappresentarne la soluzione con il loro comportamento, con i loro assassinii, con i loro ferimenti, con i loro agguati, fanno di tutto per mantenerla in piedi con tutte le sue ingiustizie, non per cambiarla.
A tutti i familiari di questi caduti, che sono qui presenti, rinnoviamo il fraterno cordoglio di tutta l'assemblea, a nome di tutta la comunità piemontese. Ma vogliamo dire loro che non ci fermammo mai solo a essere vicini al loro dolore e a seguire le bare dei loro cari.
No. Rivendichiamo alla nostra Regione di aver capito che una minaccia terribile pesava su di noi nel 1973. In quell'assemblea, tenutasi a Palazzo Madama, presieduta dall'avv. Oberto, nacque il Comitato regionale antifascista, che ci ha consentito di far scomparire le componenti ideali oggettive e politiche della minaccia fascista e i gruppi "La Fenice" e "Ordine Nuovo", che avevano operato negli anni dal 1969 al 1975.
Riaffermiamo, quindi, la legalità della legge che ha istituito e reso permanente l'attività di questo Comitato. Riconosciamo di aver cercato di fare oltre che di dire. Sì, siamo stati noi a volere tenacemente che il processo ai teorici degli assassinii, rinviato due volte, si tenesse nella nostra città. Siamo stati noi a non volere la sconfitta dello Stato. Noi abbiamo promosso la raccolta di 300 mila firme per superare la paura dei giudici popolari e le incertezze di altri. Noi abbiamo promosso le modifiche di legge necessarie per far celebrare il processo. E la città ha resistito, anche se nel periodo del processo le b.r. ferirono assassinarono, minacciarono.
Noi abbiamo chiamato la città a rispondere dopo il delitto Casalegno (che segnò un momento di oscuramento nell'ampiezza della risposta democratica della città) a rispondere all'orrendo assassinio del giovane Roberto Crescenzio, bruciato vivo, con una partecipazione ai suoi funerali che coinvolse anche moralmente coloro che fino a quel punto erano rimasti nella posizione di chi pensava di potersi schierare "né con lo Stato, n con le b.r.". Ma non ci siamo limitati a lanciare messaggi. In un arco di tempo che va dal processo alle b.r. al marzo del '79, sono state tenute 323 assemblee di fabbrica, 60 assemblee di scuola, e altre 590 iniziative delle autonomie locali.
Importante è stato il fatto che sindacati, forze politiche e imprenditori dentro le fabbriche abbiano discusso con i lavoratori del problema del terrorismo in sedi e in forme che non si ripetevano da decenni. Così è stato fatto anche nelle scuole.
E' stato un fatto positivo. Siamo andati nelle fabbriche ad affrontare un dibattito difficile per molte ragioni. A coloro, pochi, ma presenti in molte aziende, che sostenevano di non poter essere né con lo Stato né con le brigate rosse, e a quegli altri, dell'area dell'autonomia, che non mancavano di far sentire che la loro posizione non era nemmeno di equidistanza, siamo andati a dire che chi si isola dalla classe operaia lavora per la sua sconfitta, chi consegna tutta la Magistratura nelle mani della destra non fa fare un solo passo in avanti alla giustizia repubblicana, chi dice meno soldi ai bottegai e più soldi agli operai non colpisce i responsabili veri del caro vita e non colpisce affatto quelle multinazionali che a parole dice di voler combattere, chi si scaglia contro i singoli poliziotti non soltanto non fa politica, ma non è nemmeno in grado di capire il prezzo di sangue pagato da uomini colpevoli solo di fare il loro dovere. E chi pensava di capire i brigatisti perché a loro non interessa l'uomo, ma colpire l'immagine dello Stato, abbiamo opposto la denuncia dell'inumanità e l'abdicazione dell'intelligenza. Costoro non capivano nemmeno che per la prima volta nella storia del nostro Paese esisteva la possibilità di saldare una frattura psicologica e politica che per tanti anni era stata nefasta per il nostro Paese. Quando questa saldatura è avvenuta, ha portato una maggiore efficienza della pubblica amministrazione, delle forze di P.S. che qui ringraziamo per il contributo di sangue versato e per l'impegno che individualmente ciascuno di loro mette nello svolgere il proprio dovere, rischiando in ogni momento la vita.
Oh, questo impegno non è stato certo un idillio. Vi sono stati anche errori, nostri e di altri, calcoli meschini, incertezze, titubanze di singoli e di gruppi della nostra comunità. Ognuno faccia, del suo comportamento concreto in questo decennio, il suo esame di coscienza.
Faccia i conti con se stesso, con la sua esperienza. Facciano questo le forze politiche e sociali. Lo facciano il Governo e il Parlamento. In una parola: lo Stato.
Uno Stato che non si sbarazza dei corrotti, in alto o in basso che siano, uno Stato che non punisce in modo esemplare le speculazioni illecite, le evasioni fiscali, l'ingordigia e la neghittosità dei suoi boiardi pubblici, l'arroganza e la viltà di taluni dei suoi dipendenti, uno Stato che non piega il corporativismo tenace di certi gruppi, è uno Stato disarmato di fronte all'assalto del terrorismo.
E le grandi forze imprenditoriali che vogliono schierarsi contro la violenza e considerarsi pienamente coinvolte nella difesa dello Stato democratico non possono pensare di ottenere tutto questo solo dicendo di volerlo e poi comportarsi come forze autonome dalle leggi della Repubblica.
Anche il movimento operaio deve farlo, questo esame, pur avendo portato il più grande contributo al sostegno e alla difesa di questa democrazia attaccata. Ma certo, nei partiti della sinistra non sempre fu lucida l'analisi del terrorismo. Sicuramente sottovalutata la portata, la gravità dell'attacco del partito armato. E non sempre le reazioni alle azioni cosiddette esemplari delle b.r. ebbero la risposta che bisognava dare sempre. Ma tutte le analisi e le prospettive che tutti dobbiamo fare devono avere un fine: quello di ritrovare la convergenza nell'impegno individuale e collettivo. Per rispondere colpo su colpo con le armi della democrazia ad ogni attentato; per non cedere, non rifugiarsi in assurdi ripari ritenuti al di fuori della bufera. La lotta va continuata ancora e prima di tutto sul piano ideale, culturale e politico.
Signori Consiglieri, signori invitati, in questi dieci anni il terrorismo di diversa ispirazione e colore hanno compiuto a Torino e in Piemonte almeno 901 atti di violenza, delitti, ferimenti, aggressioni distruzione, provocazioni; 358 atti sono stati censiti dal 1969 al 1975 e portano una matrice neofascista o neonazista, 543 dal 1972 ad oggi portano il segno delle brigate rosse o dei gruppi ad esse collegate.
Negli ultimi due anni gli atti terroristici sono passati da 66 nel 1978 a 169 nel 1979. Quest'anno dunque siamo arrivati ad un atto di violenza politica ogni due giorni. In questi dieci anni 14 sono state le persone assassinate e 37 i feriti.
Queste le cifre più significative di cosa è stato finora il terrorismo in Piemonte. E la minaccia continua, malgrado i successi conseguiti dalle forze dell'ordine.
E' vero, costoro che oggi parlano con i comunicati ultimi delle b.r.
nel processo di Torino sono uomini pericolosi e micidiali, ma sono isolati dalla grande massa dei lavoratori italiani, dei cittadini, sono isolati da una coscienza indignata del Paese, che non solo non si avvicina loro per dare consensi, ma esasperata a volte chiede misure, condanne, pene che siano adeguate agli eccidi e ai delitti di cui sono responsabili.
L'obiettivo dei terroristi è dunque di mettere in moto un meccanismo di regressione autoritaria, di fare pesare un ricatto: o rassegnarsi all'impotenza o rinunciare alla democrazia.
Ebbene, dopo tutti i delitti e le minacce, noi ripetiamo quello che abbiamo sin dal primo giorno detto: non ci rassegneremo mai all'impotenza e non intendiamo davvero rinunciare alla democrazia.
E non accetteremo neanche di convivere con il terrorismo.
Avvertiamo quello che avvertì in un'altra situazione storica Thomas Mann, e cioè che c'è in corso un "disfacimento delle fibre tipiche di una società". Ma sappiamo anche che vi sono enormi energie non solo per sanare questa malattia, ma per rinnovare il tessuto di un albero che vogliamo che viva e cresca per noi e per le nuove generazioni.
Per questo guardiamo a questi dieci anni trascorsi con severa e tranquilla coscienza. Per questo il nostro impegno di oggi e di domani non subirà né soste, né incertezze. Questo diciamo ancora oggi, credo insieme per intendere quale ammonimento ci viene ancora da quel 12 dicembre 1969, a Milano.
E' iscritto a parlare il Consigliere Cardinali. Ne ha facoltà.



CARDINALI Giulio

Questo dibattito che segue alle tese parole del Presidente del Consiglio acquista un significato particolare, proprio per l'eccezionale presenza di quelle persone che sono state testimoni, attraverso le ferite e la morte dei loro congiunti, della drammatica fase che ormai da dieci anni colpisce la nostra Nazione. Questo dibattito assume quindi una particolare solennità, anche se non ci esime dal pesare le parole che devono essere espresse, perché credo che sprecarsi in rinnovati accenti di carattere retorico e commemorativo significa sminuire la gravità che attribuiamo al momento difficile che vive il nostro Paese. Anche se abitiamo in una località del Piemonte lontana da Torino, che non ha avuto nessuna traumatica azione da lamentare, ogni volta che la televisione, i giornali o la notizia diretta ci mette a contatto con una realtà che il Paese vive quotidianamente, sentiamo in noi un senso di ribellione, di impotenza, di frustrazione di fronte ad avvenimenti che la nostra coscienza respinge e su cui purtroppo la nostra azione incide in minima parte. Il problema che dobbiamo affrontare - e sto a quello che diceva l'ordine del giorno di oggi è lo stabilire, come rappresentanti del Paese e come espressione delle autonomie locali (in particolare di quella regionale), che ci siamo comportati in maniera giusta e valida. Non abbiamo nulla da rimproverarci: dal Presidente del Consiglio, all'Ufficio di Presidenza; dal Presidente della Giunta, alla Giunta; anche se su altri argomenti non sempre eravamo concordi, questa vicenda ci ha trovati uniti. Il nostro comportamento e il modo con cui abbiamo preteso funzionassero rigorosamente le istituzioni ci assicurano che abbiamo dato il maggior contributo possibile alla lotta contro il terrorismo, fenomeno che ci colpisce giorno dopo giorno e a caso per cui credo che non sia possibile piantonare ogni scuola, ogni ufficio ogni negozio e quindi prevenire con facilità l'avvenimento che pu accadere.
Ricordo che tanti anni fa, in un cinema marchigiano, un esaltato, che aveva rivendicazioni proprie da portare, gettò una bomba: morirono alcuni cittadini riuniti per assistere ad uno spettacolo. Ho citato questo fatto per dare un'idea di che cosa vuol dire colpire a caso. Oggi siamo di fronte ad avvenimenti che sistematicamente ripropongono questo tipo di situazione ebbene, di fronte a tali fatti dobbiamo non soltanto analizzare precisamente ciò che questo rappresenta, ma metterci nelle condizioni di individuare i rimedi per risolvere questo problema che non può durare all'infinito.
Mi domando: ma costoro che agiscono in questi termini, soprattutto quelli che la giustizia, grazie alla capacità delle nostre forze dell'ordine, ha assicurato ai tribunali e che oggi scontano condanne, che non sono da poco, venti, trenta, quarant'anni e che anche nel carcere mantengono la loro spavalderia, su che cosa contano? Ricordo, anche se il paragone non ha né significato di carattere morale né indicativo, che quando combattevamo nel periodo della Resistenza, quando lottavamo l'impulso che ci spingeva era quello di reagire contro il nemico l'invasore, l'oppressore, il tedesco, il fascismo. Non c'è nessun dubbio che la nostra azione si identificava in un grande disegno che era in corso e nel momento in cui operavamo contro questo nemico non potevamo dimenticare che eserciti importanti, quelli degli alleati nel sud d'Italia dell'armata rossa nell'est d'Europa avanzavano e serravano il mostro nazista, che presto o tardi sarebbe stato eliminato. Costoro possono contare su questo? Mi pare di no. Allora, su che cosa contano? Penso che contino esclusivamente sul grado di destabilizzazione che il nostro Paese può raggiungere e sul quale può inserirsi ogni tipo di apertura.
Oggi è stato detto dal Presidente del Consiglio che il dibattito deve vertere sulle nuove proposte di carattere legislativo. Non so se è tempo di assumere misure eccezionali: personalmente, come democratico e come rappresentante del partito socialdemocratico, non ho mai fatto di queste prospettive una roccaforte, sono molto cauto nell'invocare misure eccezionali, ma è vero che alcune misure possono essere valorizzate. Il primo problema (non penso di dare delle indicazioni che non siano già state date) da risolvere è quello delle armi che circolano in Italia. Mi pare impossibile che in una democrazia come la nostra non sia possibile riuscire ad individuare i canali attraverso cui passano armamenti massicci importanti e cospicui. Credo che questo sia uno dei punti su cui non solo le forze dell'ordine debbono avanzare richieste di misure legislative affinché sia la vendita delle armi, sia il possesso delle armi non sia una cosa facile per chicchessia in Italia.
Altro provvedimento sul quale credo dobbiamo insistere è quello della rapidità di attuazione della giustizia; nel momento in cui sono arrestate persone coinvolte in avvenimenti del genere, penso sia indispensabile procedere con giustizia rapida. Da qualche anno non si fugge più con tanta facilità dalle carceri italiane, ma è altrettanto vero che se ne può uscire attraverso le facilitazioni delle procedure stabilite dal Codice Penale. In questo momento, a dieci anni da una strage che ci aveva tutti quanti profondamente colpiti e alla quale abbiamo dato significati diversi, a seconda della collocazione politica, si impone un filo conduttore, che tragicamente insanguina tutto il Paese. L'invocazione che possiamo fare è quella che le forze politiche si esprimano nella massima chiarezza, perch è soltanto con questo mezzo che si eliminano le zone di ambiguità, si tolgono le possibilità di qualsiasi omertà per il presente e per il futuro.
E' evidente che chi punta sulla destabilizzazione del Paese non può non contare su forze politiche che magari domani saranno eredi della destabilizzazione, ammesso che possa andare avanti. Un altro elemento sul quale credo si debba esprimere un'invocazione accorata (questo è un fatto al quale possiamo contribuire) è l'attuazione di quanto, in termini estremamente nobili, lo scrittore Galante Garrone scriveva stamattina su "La Stampa".
Il primo presupposto per essere fiduciosi in una democrazia come la nostra consiste nell'aver un esecutivo che governi, un Parlamento che esprima delle leggi rapide e immediate e che porti a conclusione problemi che non possono essere affidati alle diatribe spicciole fra i partiti e che si occupi anche di quei problemi che finiscono con lo snaturare la situazione politica italiana, attribuendo la possibilità di risoluzione soltanto a coalizioni di un certo tipo, se non si verificano le quali, non è possibile apportare alcuna soluzione. Occorre un governo che governi autorevole, un governo in cui ciascuno si possa riconoscere. Pertanto occorre un'azione agile, rapida e che dia ai cittadini la sensazione che i loro grossi problemi - e non li sto a citare - sono presenti nella coscienza di tutti e saranno rapidamente risolti. Quello che è certo è che non subiremo nessuna assuefazione dal terrorismo. E' una battaglia lunga ma sono certo che non ci troverà mai consenzienti al punto tale da ritenere che il terrorismo rappresenti il compagno di strada per tutta la nostra vita politica futura. Quindi, lo sforzo che deve essere fatto richiede l'impegno di tutti i cittadini democratici e ad esso noi intendiamo come partito dare il contributo massimo per ottenere i migliori risultati.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Bianchi. Ne ha facoltà.



BIANCHI Adriano

Signor Presidente, colleghi, cittadini, che per nobilissime ragioni assistete a questa nostra assemblea, in un momento la cui gravità il Presidente ha ancora una volta illustrato, con grande tensione umana e con uno sforzo meritevole di aggiornamento critico e comprensione di qualificazione di atti che ci umiliano ancor prima di indignarci. In questo momento avvertendo tutto il disagio del parlare, mentre ogni fatto sollecita all'azione, ci limitiamo a discrete riflessioni personali. Amiamo questa città ancora insanguinata e violentata per la sua tenace aspirazione a costruire, a preservare una convivenza civile e solidale, per la sua scelta di pervenirvi con il lavoro, con lo studio, con lo spirito creativo e anche con la volontà di riforma, di trasformazione o di redenzione dai mali che l'affliggono e che toccano tutto il Paese. Agli atti di questo Consiglio, agli atti del Comitato per i valori della Resistenza, agli atti di questa città, delle sue piazze e dei suoi luoghi di lavoro stanno le analisi sulle cause obiettive e culturali, sulle connivenze e sulle debolezze, sulle superficialità politico - ideologiche che hanno motivato sorretto, tollerato la violenza e il terrorismo, sulle condizioni obiettive che hanno reso e rendono difficile la lotta per isolarle, noi avvertiamo che è isolato nella coscienza dei cittadini, ma non lo è in senso fisico in senso operativo per estirparlo. In questi atti troviamo sì momenti affidanti e costruttivi delle nostre convergenze, dell'unità, della sintonia che vi è fra la gente e le istituzioni, pur incapaci di esprimere tutta l'iniziativa e l'azione che da esse si attende. Riconosciamo solenne e semplice , l'avvenuta quotidiana rinnovazione del patto costituzionale di democrazia che ci lega e che vorremmo pur nella diversità, nella dialettica e nella ricerca della identità di ciascuno veder consolidato e reso più efficace. Il riprendere queste analisi, il ripetere, il deplorare abbiamo l'impressione che consumi ancor di più le parole che sono già usurate, addirittura i nostri sentimenti e le nostre volontà e la determinazione che invece deve alimentarle. Diciamo semplicemente che non dimentichiamo nessuna delle vittime, nessun poliziotto, nessun carabiniere nessun ragazzo, nessun insegnante, nessun giornalista, non dimentichiamo Aldo Moro, non dimentichiamo i Consiglieri regionali o comunali feriti, non dimentichiamo coloro che hanno testimoniato con straordinario coraggio quanto più in certi momenti pare grande la generale indifferenza o prudenza. E' stato detto bene che non c'é e non ci sarà, non ci concediamo assuefazione a fatti disumani che disonorano il nostro Paese, la natura umana, la civiltà, incomprensibili sul piano logico, immotivati sul piano politico e sotto culturali, espressione di una superficialità che alimenta la ferocia, non vi è cedimento, crediamo, nel nostro popolo, mancano ancora le capacità di coordinare le volontà comuni, manca la capacità di identificare esattamente i punti, le radici, i momenti che vanno colpiti con durezza, con continuità, con sicurezza di coscienza di agire in nome di una grande democrazia che è potentemente legittimata nelle sue premesse storiche e nella sua continuità. Si parla giustamente di garanzie democratiche e in questi momenti dobbiamo avere il coraggio di ribadire che la forza di una democrazia sta nel credere nei propri metodi ripudiando i metodi che le vengono proposti e offerti da chi la attacca. Ma non dobbiamo prestarci per questo a dei discorsi equivoci, a dei discorsi ipocriti, poi sentiamo che attorno a noi ci sono ancora dei discorsi falsi sul garantismo dettati dalla pochezza, dalla viltà, dalla paura o dalla cattiva coscienza dei cattivi precedenti. Ci sono poi i garantismi pretestuosi, sottoli insinuanti di chi non più è abilitato e legittimato a fiancheggiare, a tollerare, a giustificare, tenta ancora in questo modo di offrire uno spazio all'eversione. Ebbene confermiamo le nostre posizioni e mentre leggiamo che si vanno manifestando nuove disponibilità, per nuove misure più severe, più adeguate, meglio capaci di rispondere all'attacco, alla sfida che ci viene portata, ebbene, noi diciamo che continua ancora un equivoco, ogni giorno con ritardo di fronte a nuovi e più efferati fatti si è disposti a concedere e a proporre o ad indicare qualche misura ulteriore di più del giorno precedente, ma, ahimè, ogni giorno si propone qualche misura che è ancora al di sotto di ciò che la situazione richiede. Questa è la via attraverso la quale si perdono le Repubbliche e si perdono i regni (si diceva una volta) e per noi si perdono le nostre libertà personali l'avvenire dei nostri figli, il patrimonio di civiltà riconquistato anche attraverso la Resistenza e che vogliamo costituisca il patrimonio comune sul quale si innestano le legittime lotte, i dibattiti, i confronti politici e le differenziazioni. Ebbene, noi vogliamo operare perch rapidamente si faccia piazza pulita di questi equivoci, si riducano questi spazi. Vogliamo dare l'impressione alla gente che non attende queste nostre parole, ma deliberazioni, atti, decisioni, interventi, testimonianze autentiche sul piano dei problemi, sul piano dell'efficacia delle istituzioni, sul piano della forza dello Stato, sul piano della moralità delle sue azioni, che noi intendiamo fare la nostra parte. Nessuno è esonerato, nessuno, ahimè, rappresentante democraticamente eletto o semplice cittadino può delegare ad altri o può chiedere ad altri ciò che spetta anche a lui di fare; è un tipo di lotta e per questo è difficile per vincerla non basta delegare qualcuno, anche il più potente apparato statuale che possa essere messo in campo sempreché non si voglia sacrificare ciò che invece vogliamo difendere, cioè il patrimonio delle nostre libertà e delle ragioni della nostra convivenza civile. Ciascuno deve dare l'apporto del proprio contributo morale, di denuncia, di testimonianza, di impegno. Queste sono le convinzioni, di fronte ad atti così gratuiti, così facili, questo è stato denunciato dal Presidente questo ha detto tanto bene, atti così facili da compiere, così vili, così disonoranti, tanto da conferire a quei giovani colpiti ieri la grande fierezza di essere stati per caso scelti per un'azione infame ma trovando non per caso una dignità che condanna, si oppone e dà esempio e coraggio agli altri. Abbiamo un compito modesto da realizzare, ebbene se da un'istituzione può venire una parola per noi e per gli altri, credo possa essere questa: innanzitutto si combatte il terrorismo facendo ciascuno bene il proprio dovere là dove ci si colloca e non evadendo dai propri doveri cercando di surrogarsi agli altri o demandando ad altri ciò che deve essere fatto da noi. Per quanto ci riguarda, con la coerenza che abbiamo cercato di esprimere con le parole e i comportamenti, proseguiremo sereni tranquilli, indifferenti alla nostra sorte personale, ma sensibilissimi alla sorte collettiva, la lotta contro questi mostri che sono come stati liberati dalle caverne e che occorrerà un po' di tempo perché vi rientrino.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Bellomo. Ne ha facoltà.



BELLOMO Emilio

Nell'aprile del 1969, dopo una serie di incidenti più o meno gravi accaduti in alcune città italiane, la strategia della tensione appare sulla scena politica italiana nella sua forma più eloquente della violenza: a Milano esplodono due bombe, una alla fiera campionaria, una alla stazione centrale; a Palermo esplodono tre bombe, a Roma altre due bombe. Sono ordigni ad alto potenziale che in quella circostanza non fanno vittime, ma sono anche i primi inequivocabili segni di una strategia precisa, che alcune frange violente stanno chiaramente scegliendo come metodo di lotta contro lo Stato. Nel mese di agosto di quello stesso anno altre dieci bombe esplodono contro treni, pubblici edifici, provocando feriti, contusi tra gente innocente e ignara e confermando così la violenza come scelta di campo nella lotta politica. Il 12 dicembre scoppia la bomba di Piazza Fontana, sedici morti e un centinaio di feriti sono il gravissimo bilancio di questo orrendo, assurdo atto criminoso. Il Paese esplode in una vibrante protesta che coinvolge tutte le forze democratiche impegnate nella salvaguardia delle istituzioni repubblicane. Sono i giorni in cui si parla di piste rosse, mentre altrove un Valerio Borghese tenta il golpe con il fronte nazionale e a Reggio Calabria scoppia la rivolta che mette a soqquadro le istituzioni locali, l'intera città. Il clima nel Paese si fa denso di preoccupazione e di paura ed episodi agghiaccianti, misteriosi (Feltrinelli, Serantini, Calabresi, Franceschi e altri) caratterizzano la sanguinosa Via Crucis della violenza al suo nascere. Nuovi e più violenti attentati vengono organizzati nel Paese, in quello scenario di terrore e di morte passano la strage di Brescia, dell'Italicus, decine di morti centinaia di feriti in tutto il Paese, nella nostra città che è costantemente nel mirino del terrorismo e in questo Consiglio regionale. Si cerca di far precipitare il Paese nella disperazione, nel caos (come ricordava il Presidente), mentre seppur terrorizzato e talora anche annichilito davanti alla dimensione agghiacciante di certi delitti risponde stringendosi attorno alle sue istituzioni per difenderle, per salvaguardarle dall'ondata di terrore che insanguina le strade. Il partito armato prosegue la sua strategia di destabilizzazione affidandosi a fatti criminosi e violenti, ma contando sull'indifferenza della gente, sul suo agnosticismo, su una sorta di neutralità grigia, opaca, distaccata equivoca e talora anche su una sorta di rassegnazione fatalistica che porta la gente a subire la violenza politica alla stessa stregua dell'ingiustizia sociale. Sono molti coloro che affermano convintamente che il terrorismo e la lotta armata sono frutto e conseguenza di una determinata società, che esplodono drammaticamente quando si verificano alcune condizioni di fondo come la grave crisi dei valori individuali e di quelli socio-economici che creano disfunzioni nel sistema. Un'altra causa che ha contribuito al diffondersi del fenomeno è rappresentata dall'elaborazione ideologica di un modello di società alternativa, chiaramente già evidenziata nelle lotte giovanili nel '68, quando vennero abbattuti i modelli tradizionali di sostegno del sistema medesimo, ma che non venne mai attuata. Ci sono persone che fanno risalire a quella delusione non ben repressa il sorgere di gruppi, gruppetti e gruppuscoli che in parte sono poi confluiti nei partiti, nei sindacati e nelle organizzazioni politiche tradizionali e in parte invece hanno scelto di lavorare dentro la crisi della società stessa e dentro il malessere sociale ed economico abbastanza diffuso, proprio allo scopo di dare una base di massa ad una strategia di violenza che il movimento operaio nella sua espressione aveva da tempo con fermezza respinto decisamente.
A chi sostiene che non si può non partire da questa analisi per cercare di capire il travaglio che può aver subito una generazione passata in breve tempo da una infiammata stagione e speranza rivoluzionaria a una cocente e disperata delusione, si deve dire che altre analisi portano a conclusioni diverse, ma ad ogni modo nessuna considerazione può esimerci dall'esprimere la più ferma e dura condanna a chi ha scelto la violenza come metodo di lotta politica. Chi spara nel mucchio deve sapere che la sua implicita richiesta di alzare le braccia rassegnati davanti alla violenza è una richiesta di resa che nessun democratico può accettare, è una abdicazione che nessuno mai potrebbe definire e proporre in termini di concretezza come giustamente osservava Giorgio Bocca in una delle sue analisi sul terrorismo. La situazione dell'ordine pubblico è diventata gravissima e insopportabile, non passa giorno - l'hanno ricordato i colleghi Cardinali e Bianchi - senza che si registri un nuovo episodio di criminalità politica e comune e senza che nuovo sangue innocente venga versato. Le forze dell'ordine sono tra le prime a cadere. Il tipo di lotta armata che si è sviluppato in Italia sta dimostrandosi sempre più un fenomeno con caratteristiche nuove, specifiche, è un terrorismo che si disinteressa in modo pressoché totale di raccogliere il consenso, di promuovere l'adesione contrariamente ai primi fatti criminosi, per i quali venivano tempestivamente emessi comunicati e documenti intesi a dare un suggello politico e sociale al fatto stesso. E' un terrorismo che non cerca il consenso, ma mantiene e cerca di sviluppare le sue aree di reclutamento, e che pare galvanizzato dalla convinzione di essere diventato un fenomeno endemico a struttura sociale. Non si può negare che pure attraverso contraddizioni il fenomeno del terrorismo ha dovuto attutire la sua carica eversiva fino al punto che una Corte d'Assise ha potuto erogare tre ergastoli, gettando le basi per un'analisi critica e approfondita di alcune trascorse vicende. Forse oggi il fenomeno è più isolato di ieri e non vi è dubbio che gli apparati dello Stato sono riusciti a realizzare risultati positivi e fra questi l'individuazione - come ha osservato un acuto Magistrato torinese - di una chiave di lettura tecnica dell'organizzazione con l'acquisizione di materiali e documenti capaci di fornire uno spaccato preciso e nitido della medesima.
Il terrorismo sa che nella situazione odierna del Paese esistono sacche di rabbia e di emarginazione che sono potenziali serbatoi di reclutamento.
Oppure, per usare un'immagine molto efficace e sfruttata: sono l'acqua dentro la quale nuota il pesce terrorista, alzando il tiro, con azioni feroci, disumane e obiettivi clamorosamente ambiziosi e rappresentativi dello Stato, contro il quale aveva dichiarato guerra il Procuratore Coco ucciso con la sua scorta, l'on. Aldo Moro, ucciso con la sua scorta. Sono fatti e momenti di questa nuova strategia che per altri versi coinvolge obiettivi intermedi: giornalisti, direttori di fabbrica, di reparto guardie carcerarie, poliziotti, magistrati. Mentre il movimento eversivo si perfeziona nella sua azione criminosa, su di esso non si è fatta luce completa, né tanto meno si è elaborata una mappa consistente, concreta di legami, compresi quelli transnazionali e nemmeno un'efficace strategia di contenimento della sua azione oggi non basta più, come non sono mai bastate peraltro le dichiarazioni solenni, cui non corrispondono impegni seri e strumenti operativi che qui sono stati efficacemente richiamati dai miei colleghi. Come socialisti abbiamo sempre ribadito l'urgenza che nel pieno rispetto della legge e secondo le norme di comportamento di un Paese civile e moderno venga ampliata, intensificata una energica azione contro ogni forma di criminalità. E' necessaria la mobilitazione permanente dell'opinione pubblica ed occorre un impegno decisivo e concreto del Governo, del Parlamento, delle forze politiche, delle forze sindacali, di quelle sociali, per garantire e consolidare il futuro della democrazia nel nostro Paese. E' del tutto improponibile e inadeguato qualsiasi tipo di provvedimento tampone, se manca a monte un discorso organico e complessivo sulla sicurezza dei cittadini e delle forze dell'ordine. Non possiamo, come socialisti, non sottolineare l'errore e la responsabilità di chi o di coloro che hanno sostanzialmente ritardato le riforme nei settori della polizia e della giustizia. Dobbiamo anche sottolineare la responsabilità di chi o di coloro che non hanno concretamente provveduto, trovandosi nella possibilità di farlo, ad un ancoraggio concreto sulla certezza socio economica del Paese. Questo fenomeno lo si combatte prima sul terreno politico e sociale, promuovendo iniziative ed azioni tendenti a rendere più giusta, fin dove è possibile, l'espressione della società della quale facciamo parte. L'isolamento del terrorismo non è un risultato scontato, se l'azione dello Stato non è appoggiata su un programma politico, serio e concreto che dia risposte valide alle domande angosciose, lancinanti che salgono dalla società reale.
Se saremo capaci di rompere gli indugi che sono una nota caratteristica negativa e non una misura di saggezza né politica né culturale, se saremo capaci di vincere incertezze e ambiguità per la costruzione di una società nuova, moderna e partecipata, allora vinceremo anche la battaglia contro il terrorismo che punta ad attizzare risposte di tipo eversivo che non dobbiamo dare, per cui la regola democratica non può avere il metodo e la deroga, altrimenti sarebbe una vittoria scontata del terrorismo. Questa battaglia la vinceremo con i mezzi, gli strumenti della democrazia. Siamo consapevoli che la democrazia si conquista, si difende, si consolida con i suoi mezzi, quali quelli che ci siamo dati con la Costituzione repubblicana.
Abbiamo la profonda convinzione che le garanzie riconosciute ai cittadini dalla Costituzione e dalle leggi che esistono non si allargano o restringono a seconda della difficile situazione dell'ordine pubblico in questo o quel momento della vita nazionale. Abbiamo la profonda convinzione che le ragioni e le azioni della violenza non si estirpano con leggi draconiane, ma con l'uso energico, convinto di una politica capace di accrescere sistematicamente e continuamente il consenso delle masse intorno alle istituzioni e la loro reale partecipazione alla direzione politica del Paese.
Dieci anni dopo Piazza Fontana ci chiediamo se non era possibile fare di più per debellare il terrorismo e ce lo chiediamo oggi davanti all'ennesimo spaventoso e per certi versi incredibile episodio criminoso consumato ieri nella Scuola di Amministrazione Aziendale a danno di insegnanti e di allievi impegnati ad affinare gli strumenti della conoscenza tecnica e scientifica per diventare combattenti domani di battaglie civili, sociali, d'avanguardia, di progresso per il Paese. La risposta è estremamente ardua. Ma, al di là di questa, resta il nostro impegno di sempre, impegno politico e morale che ci fa riconfermare la fiducia piena, totale nelle istituzioni democratiche dello Stato, anche se talora bisogna rivitalizzarne qualcuna; resta la nostra fiducia immensa incontrollabile, irreversibile nella volontà democratica, pacifista, non violenta del popolo italiano.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Marchini. Ne ha facoltà.



MARCHINI Sergio

Signor Presidente e colleghi, 12 dicembre 1969 - 12 dicembre 1979: dieci anni importanti della vita di tutti noi, qualcuno da ragazzo si è fatto uomo, da uomo si è fatto maturo, qualcuno è arrivato alla fine della sua esperienza; tutti quanti riflettiamo su questa vicenda, su dieci anni importanti della storia del nostro Paese e della storia della nostra Repubblica. Nel dicembre del '69 una bomba è gettata alla Banca dell'Agricoltura, dove opera e agisce la laboriosa borghesia della campagna milanese. L'11 dicembre del '79 una bomba è gettata dove si preparano i ragazzi venuti dal Sud in assoluta dignità, a gestire questa società industriale avanzata.
Sono passati dieci anni, certamente è tempo di bilanci, di riflessioni di critiche e di impegni. E allora se un bilancio preventivo lo faceva il fondo della "Stampa" di questa mattina, con una frase tradotta dal Veneto diceva "non passeranno", probabilmente era "non pasaran", ritengo che si debba dire ormai in termini di bilancio "non sono passati". Penso che nella logica del nostro ragionamento questo salto lo si debba fare, a mio avviso perdiamo troppo del nostro tempo e delle nostre energie a discutere se il terrorismo è in grado di superare il sistema democratico in cui viviamo. A me pare invece che si debba passare ad individuare quali guasti provoca il terrorismo alla nostra collettività: ho detto, a mio avviso, non sono passati, cosa ci testimonia che non sono passati? Ce lo testimonia questo Paese, questa nostra Nazione, che ha rivelato certamente un'antica saggezza e un'antica umiltà, un'antica pazienza e quindi un'antica forza, che è riuscita ad andare oltre una congiuntura così drammatica, rivelando forse più energie di altre democrazie che siamo adusi a metterci davanti quali modelli ideali e che certamente in queste situazioni non avrebbero conservato quel livello di libertà degli individui e della collettività che noi abbiamo mantenuto. Ce lo testimoniano la solidarietà dei partiti democratici che, indubbiamente, attraverso le loro riflessioni, le loro diatribe, nei loro confronti sono arrivati a concordare sulla solidarietà nazionale, che per qualcuno significa anche un modo di governo, per qualcun altro significa un obiettivo per seguire tutti insieme gli obiettivi obbligatori che ci pone la Carta Costituzionale, ma certamente esiste la solidarietà delle forze democratiche.
C'é questo Paese che vive e che lavora e che riesce ad andare oltre una congiuntura economica quale il nostro Paese, la nostra Repubblica, queste nostre strutture non avevano mai dovuto affrontare e, allora, se il terrorismo non passerà, perché siamo qui? Siamo qui, perché a noi sembra che una democrazia e non solo una democrazia ma il consorzio umano - forse La Malfa potrebbe disquisire di questo - sia nato come un patto per garantire agli uomini allo stato di natura un minimo di beni, cioè la vita la serenità, la possibilità di attendere al proprio lavoro, alle proprie occupazioni, ai propri ideali, ora quello che questa società non garantisce, quello che il terrorismo mette in dubbio, non sono gli istituti democratici, a mio avviso, che sono consolidati, sono nella nostra coscienza, sono nei nostri costumi, sono nella nostra legge, sono nella fedeltà delle forze armate, sono nella dedizione dei servitori dello Stato i pericoli e i limiti sono nell'incapacità di questo Stato di rendere questi servizi minimali, la difesa della vita, la difesa della possibilità di ognuno di noi di attendere ai bisogni primari della vita, e allora è certo che dobbiamo capire, riflettere, indagare per sapere in primo luogo quale guasto può essere avvenuto in questa nostra collettività, perch questo Paese non riesca più a garantire il minimo vitale per cui è nato un consorzio umano e, contestualmente, è necessario chiederci quali obiettivi bisogna perseguire, soprattutto quale categoria mentale bisogna recuperare per trovare all'interno delle stesse istituzioni gli strumenti, i provvedimenti e le iniziative concrete.
Orbene, non è certo il caso di fare polemica, però, occorre tener presente, signor Presidente, che non è momento di celebrazione e di lavoro noi siamo rappresentanti del popolo, ci siamo fatti carico in qualche caso di decidere per loro, di riflettere anche per loro, insieme e quindi di parlare anche per loro. Allora, diciamo che il terrorismo non è passato nonostante le aberranti e distorte strategie politiche che c'erano dietro e a fianco e all'assoluta miopia di alcuni Ministri degli Interni ricordiamo la politica degli opposti estremismi - l'amico Bellomo faceva un'indagine di tipo sociologico sul fenomeno.
Caro Bellomo, penso che i giovani abbiano certamente più risorse che rivolgersi al terrorismo, hanno certamente ideali e voglia sufficiente di vivere, di essere e di realizzarsi che non di affidare al terrorismo la risposta alle loro difficoltà. Certamente, questo fenomeno ha una radice culturale precisa, sono culture d'accatto che alcuni libri mal tradotti hanno portato nei giovani l'odio di classe seminato a piene mani per alcuni anni. Queste sono le matrici, ma certamente la disattenzione verso il fenomeno è stata la culla in cui è cresciuto questo mostro che adesso ci troviamo nelle città. Ebbene, dicevo, se dobbiamo recuperare le categorie mentali e politiche attraverso le quali riflettere, ai liberali pare che la nostra società debba recuperare due valori essenziali, per l'istituzione il senso dello Stato, per l'individuo, il senso della responsabilità personale. Dello Stato si parla molto, ogni tanto però ho l'impressione precisa che questo Stato per alcuni sia quello che rimane delle termiti dopo che, entrate all'interno, l'hanno divorato, hanno lasciato soltanto un involucro vuoto e incapace. Queste termiti sono di diverso colore, è una realtà, mi pare che le forze politiche debbano riempire di nuovo questa forma vuota di contenuti e per riempirla, a mio avviso, bisogna procedere attraverso il recupero di quelle categorie fondamentali nei confronti delle quali si misurano e si confrontano le iniziative, i provvedimenti che il Presidente ci suggerisce e che altri colleghi hanno ritenuto di individuare. E' difficile dire in una circostanza come questa cosa sia il senso dello Stato, cosa sia la responsabilità personale. E' certo che sappiamo cosa non è il senso dello Stato, non è senso dello Stato trattare dei Servizi segreti come di un fatto personale in una congiura di palazzo fra cugini di una stessa famiglia. Non è senso dello Stato fare fughe in avanti sui delicati problemi della riorganizzazione delle forze di polizia e della Pubblica Sicurezza, con spirito di avanspettacolo. Non è certo senso dello Stato, anziché riflettere sulle dichiarazioni del comandante dell'arma che oggi più di ieri è benemerita, fare diatribe di tipo garantista, di tipo sociologico, di tipo culturale e non fermarsi un momento a riflettere, a ponderare su un messaggio di tale gravità, che certamente deve essere costato molto a questo servitore dello Stato.
La gravità di questo messaggio doveva farci riflettere e non farci di nuovo ripartire in avanti, utilizzando le nostre reminiscenze culturali, le nostre reminiscenze di liceo per nascondere la nostra incapacità di affrontare politicamente il problema. A noi sembra che il senso dello Stato sia, per esempio, affrontare le riforme come se ne stanno affrontando alcune nel nostro Paese, anche da parte di chi non le condivide, non le ha condivise nel voto, ma che adesso, ricordandosi che Ministro in francese vuol dire servo dello Stato, cerca di portare a compimento quanto è possibile. Non è stato certamente senso dello Stato avere trasformato volutamente, a freddo, non a caso, non per ignoranza, per un preciso calcolo politico, la nostra scuola, là dove si forma la nostra collettività, in un parcheggio per i disoccupati.
Se tutto questo non è senso dello Stato, invece mi pare di sapere, di aver visto in questi anni il senso della responsabilità personale, ce lo hanno testimoniato i cittadini che ieri si sono messi a disposizione delle forze dell'ordine, degli inquirenti per collaborare immediatamente, a caldo, dopo lo shock.
Testimonianza di responsabilità personale l'hanno data in questi dieci anni tutte le vittime del terrorismo, ma direi segnatamente qualcuno perché delle vittime del terrorismo qualcuno ha affrontato il sacrificio sapendo che sarebbe arrivato. Certamente testimonianze di responsabilità personali le danno tutti quanti sono impegnati in questa vicenda.
Ritengo di dover rispettare l'invito che ci aveva fatto il Presidente di ridurre questo dibattito a 60 minuti, il che significava 8 minuti per partito e 12 minuti per il Presidente. I tempi da qualcuno non sono stati rispettati, non voglio polemizzare, ma ritengo che il contributo che poteva essere apportato dalla mia forza politica a questo dibattito, con questa riflessione, con questa meditazione possa finire qui, con un omaggio che non è neanche doveroso e che sembrerebbe la conseguenza di un tipo di imperio, sia esso psicologico, sia esso emotivo, ma direi che è una conseguenza necessaria, l'omaggio a quanti di queste vicende più di noi hanno sofferto.
Questa nostra società - lo si leggeva sulla "Stampa" di oggi - non è neanche riuscita a rendere giustizia ai morti di Piazza Fontana. Non abbiamo grandi strumenti, Presidenti e colleghi, per muoverci in questa realtà, certamente l'attivismo che la collettività piemontese, direi non in situazione di privilegio e di diversità, ma certamente più impegnata su questa problematica, ha manifestato in questi anni pure con atteggiamenti qualche volta non completamente condivisibili, almeno da parte nostra, ci hanno attrezzato psicologicamente e politicamente, per essere sensibili in questo momento tanto da sapere che la gente che ci ascolta, ma soprattutto la collettività e la nostra coscienza di cittadini e di politici, ci impongono di non utilizzare il nostro tempo e la nostra capacità di individuazione delle situazioni per celebrazioni, ma per riassumere un impegno preciso a che nell'ambito delle categorie mentali che secondo noi vanno recuperate, come individui e come collettività, i provvedimenti vengano presi non per difendere questa democrazia che c'è, solida e radicata, ma per far sì che la democrazia possa dare ai cittadini quelle cose per cui i cittadini si sono battuti.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Enrichens. Ne ha facoltà.



ENRICHENS Nicola

Signor Presidente, signori Consiglieri, dal 12 dicembre 1969 al 12 dicembre 1979 c'é stata una continuità nelle azioni di violenza del terrorismo. Non sta a noi andare ad indagare le motivazioni, i mandanti; a chi giova, a chi è giovato, a chi gioverà ancora, perché continuerà questa violenza, questa azione inconsulta, questo sparare nel mucchio.
Ieri, quando il Presidente Sanlorenzo ci ha portato la notizia, eravamo riuniti nella Commissione di informazione, mi è venuto in mente quando ha parlato di irruzione in una scuola, l'episodio della scuola di Terrazzano successa molti anni fa, quando un esaltato prese in ostaggio i bambini della scuola chiedendo non ricordo bene chissà che cosa. Questo non è il momento di fare polemiche, di indagare le origini, le motivazioni, ma mi limito a dire, soltanto come constatazione, che a questa continuità della violenza ha corrisposto quella del funzionamento delle nostre istituzioni democratiche.
Riaffermiamo come rappresentanti della Regione Piemonte la nostra ferma volontà di assicurare ai cittadini l'esercizio delle libertà democratiche sancito dai principi della Costituzione, la quale è sorta dalla lotta di Resistenza europea ed italiana.
Dobbiamo far tacere l'emozione, rinserrare le fila, non indulgere a manifestazioni di retorica e di accademia, perché mi metto dalla parte dei cittadini, non solo del Piemonte, ma di tutte le parti d'Italia, quando vedono al TG1 e al TG2 dopo queste azioni sanguinose la presenza delle autorità: qui corre Sanlorenzo, corre Viglione, è il loro dovere, bisogna dare la solidarietà a dei rappresentanti delle istituzioni democratiche però di fronte alle persone, ai cittadini, queste stanno assumendo dei riti che si possono benissimo prefigurare.
Ebbene, colleghi, dobbiamo cementare in tutte le forze politiche il senso della responsabilità e mai, come in questo momento, dobbiamo rinserrare le fila come forze politiche per dare al Paese un governo stabile che raccolga il più ampio consenso dal nostro Parlamento e che assicuri più giustizia e più ordine sociale, che combatta l'inflazione, la quale inflazione - come diceva e prevedeva l'on. La Malfa -, quando in certe Nazioni, in certe Regioni, tocca il 35/40%, le istituzioni democratiche sono in pericolo e si apre la porta alle dittature.
L'auspicio del nostro partito è proprio questo: che tutte le forze politiche dimentichino la polemica, le loro origini, discordie ideologiche e assicurino al Paese un governo giusto e ben ordinato socialmente.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Bontempi. Ne ha facoltà.



BONTEMPI Rinaldo

Signor Presidente, mi riconosco totalmente in quello che lei ha detto nella sua introduzione, per cui credo che sia mio compito oggi affrettare i tempi della fine di questa seduta di Consiglio, perché ci attende un appuntamento importante come la manifestazione promossa dalle forze democratiche e che deve essere un grande momento di partecipazione vista la portata dell'attacco che ieri ha avuto uno dei suoi punti culminanti e che richiede questa risposta. Quindi aggiungerò solo alcuni concetti o meglio alcuni ordini di considerazioni: la prima rivolgendomi alle famiglie delle vittime, alle forze dell'ordine, ai cittadini, per dire loro che certo noi abbiamo un compito rituale spesso da compiere, quasi spesso tra noi c'è tra noi forze politiche, in noi come uomini, il dramma di dover ripetere delle cose che suonano anche per noi come un rito. Ebbene, però, sappiano i parenti delle vittime e sappiano le forze dell'ordine e sappiano i cittadini anche a livello personale che per noi questo non è un rito questa non è una memoria, ogni volta sdegno, condanna, commozione anche umana e partecipazione sono alla base stessa del nostro fare questo mestiere, a volte ingrato, che è anche rappresentanza dei comuni sensi della gente.
Secondo punto. Lei, signor Presidente, ha parlato di aspetti molto concreti. Vorrei che si insistesse su questi aspetti e se c'è stato un merito del Comitato antifascista da sempre e se c'è stato uno sforzo a cui sempre abbiamo teso, era ogni volta di individuare, certo sapendo anche quali erano i limiti generali, purtroppo, di fronte ad un mostro del genere che è stato descritto da tutti, però che c'era da fare un passo in avanti anche sull'operare, anche sulle proposte, anche sul fare, importante quindi l'analisi, anzi, considero fondamentali gli elementi nuovi di analisi che la sua relazione ha portato, credo che questo renda necessario adeguare le risposte e i comportamenti. Vorrei ribadire tre elementi di questi dati operativi, di questi impegni che dobbiamo prendere: la collaborazione tra cittadini, lavoratori e forze dell'ordine e Magistratura per individuare e colpire i terroristi. La memoria va alle polemiche che troppo facilmente sono state fatte sui tentativi, magari imperfetti, ma sui tentativi che vennero proposti anche da parte di quartieri in passato. Non dobbiamo ripercorrere le stesse esperienze, però ricordiamoci che occorre fare qualcosa in quel senso e il senso della collaborazione lo stabiliamo anche compiendo atti concreti di collaborazione.
L'area metropolitana di questa città che amiamo tutti e che vogliamo assolutamente difendere nelle sue fibre più fondamentali e allora lo chiediamo, il piano per Torino, ed è troppo tempo, credo, che perorazioni e richieste cadono nel vuoto. Non so se vi siano dietro colpe, incapacità ritardi, obiettive difficoltà, può essere tutto, però credo che il nostro dovere come rappresentanti della popolazione piemontese sia di chiedere e mi permettano i signori Consiglieri - in una forma anche nuova queste misure. Propongo in concreto, se tutti concordiamo, ed io me lo auguro, se è necessario che l'intero Consiglio regionale, i 60 Consiglieri regionali chiedano di essere ricevuti a Roma, a Palazzo Chigi, al Parlamento, perch questo piano venga elaborato, perché questo piano e le condizioni materiali di attuazione di questo piano vengano messe in opera. Non è possibile ogni volta chiederlo negli incontri separati e poi non ottenere nulla. Credo che la specifica realtà di Torino, Torino soprattutto, insieme alle altre grandi aree metropolitane, necessiti di questa misura.
Si ha bisogno - e lo si dice da più parti - di un governo efficiente di una capacità complessiva della compagine dell'esecutivo di rispondere ad un attacco armato alla guerriglia, che combatte con armi nuove e inusitate.
Mi sia permesso di riprendere qui con molta chiarezza un tema che è stato uno dei temi della discussione politica in questi anni e che ha avuto alterne vicende e tanti equivoci e tante furberie, c'è bisogno oggi, ce lo vogliamo dire, crediamo a quello che affermiamo, c'è bisogno nel Paese del massimo di unità e di forza da parte del governo, quindi di coesione da parte del Paese. Interroghiamoci anche sull'esperienza passata del governo di solidarietà democratica, interroghiamoci su cosa lo ha minato, se non era la mancanza propria di questa volontà superiore, al di là degli elementi di formula o delle concrete formulazioni che si sono trovate sul piano del diritto costituzionale. Credo che oggi dobbiamo rimarcare fortemente, che non può essere questo governo debole, contraddittorio e incerto a rispondere all'attacco che viene dal terrorismo. C'è bisogno d'altro. C'è bisogno complessivamente nel Paese, da parte di tutte le forze politiche, di fare un grosso esame di coscienza e noi comunisti chiediamo a tutti di compiere un grande sforzo: il Paese è sull'orlo del baratro, è sulla cima di un vulcano, lo diciamo tutti, lo sentiamo vivendo e parlando con la gente, lo sentiamo nella nostra stessa quasi difficoltà di fare le leggi, fare i provvedimenti, lavorare in Commissione di fronte ad un processo che va avanti e che ci taglia in qualche misura fuori, perch sentiamo che si va a fondo; questo è l'interrogativo di base per cui i giochi di palazzo, i giochi di bottega, gli episodi di cannibalismo e quelli di lotta interna in questo momento non sono legittimi di fronte agli interessi superiori del Paese. Innanzitutto con questa forte e grande risposta al terrorismo, possiamo forse, tra forze politiche, riprendere i termini veri di un grande patto di solidarietà e di fiducia che dia anche fiducia al Paese, ma non certo solo nel suo involucro formale, non solo nello stabilire una coalizione, ma nella volontà, negli obiettivi nell'operare, e allora mi sia permesso di dire che il Paese ha bisogno di una forza incorrotta come il nostro partito per contribuire a salvare il salvabile, per cambiare tutto quello che si può cambiare, perché, sappiate e lo dico qui a tutte le forze politiche, noi comunisti abbiamo ancora tanta voglia di lottare, tanta voglia di batterci per questa democrazia per contribuire a salvarla, per contribuire anche a cambiarla. Dentro questa voglia c'è anche tanta rabbia di chi ha dato il suo contributo fondamentale, determinante, non unico ed esclusivo, a tenerla in piedi questa democrazia, anche in questi dieci anni: tutti gli sforzi di mobilitazione, di fantasia, di proposta di iniziativa, di pressione, di lotta ideale e morale vogliamo compierli, vogliamo farli assieme, abbiamo dentro nel cervello, nel cuore, l'utopia di un Paese più uguale, più giusto, più morale, un Paese in cui, per un momento, gli egoismi stiano un po' rinunciando e riprende certo forte, alta la lotta politica, ma dentro quel quadro, non come elemento di disfacimento del Paese. Guai alle sordità, guai ai piccoli uomini, guai ai meschini, questo, secondo me, è il messaggio che noi rivolgiamo, che è anche però una concreta formulazione politica. A tutti la risposta, ma credo nello stesso tempo che la forza e la verità di questa proposta non sfugga, perché di fronte al terrorismo si deve rispondere davvero e non solo con parole di circostanza.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Majorino. Ne ha facoltà.



MAJORINO Gaetano

Signori Consiglieri, molto rapidamente desidero rilevare che la strage di Piazza Fontana che è richiamata nell'odierno ordine del giorno rappresenta indubbiamente il primo anello della spirale del terrorismo che si è andato snodando in Italia da dieci anni a questa parte, e che ha ormai condotto ad una situazione permanente di vero e proprio pericolo pubblico anzi di guerra civile, come i sanguinosi fatti avvenuti ieri a Torino ancora una volta dimostrano: tant'è che le parole della rabbia o della protesta e le iniziative che singoli o associazioni, partiti, istituzioni od autonomia possano avere preso o possano prendere costituiscono, a mio avviso, pie illusioni ed hanno l'effimero valore di esprimere meramente un simbolico "no" al terrorismo, "no" che, in quanto simbolico, è inidoneo e si è dimostrato finora idoneo a produrre effetti stimolanti nei confronti del potere esecutivo che è l'unico responsabile dell'ordine pubblico in Italia. In Piemonte, il terrorismo in quanto seminatore di omicidi e di lesioni personali, ha avuto in questo ultimo decennio una sola matrice ed un solo marchio, che è quello dell'estremismo incarnatosi nelle brigate rosse, od in quelle sue organizzazioni parallele che si autodefiniscono Ronde proletarie o Prima linea, o Combattenti per il comunismo e che si vantano di essere gli unici, veri e reali depositari del verbo marxista leninista i cui componenti o cosiddetti capi storici...



PRESIDENTE

Consigliere Majorino, la richiamo alla verità storica che deve essere presente anche in lei. Il giorno dopo il 12 dicembre 1969, per le vie di Torino, per le vie di Novara, per le vie di Biella e di Cuneo circolava un volantino con la fotografia di Valpreda con il pugno alzato e c'era scritto "Comunisti assassini". Valpreda era un anarchico, è risultato poi non essere un assassino; i comunisti sono risultati del tutto estranei, ciò che è risultato sicuro è che Freda, Ventura e Giannettini sono stati condannati all'ergastolo e Freda e Ventura appartenevano all'area politica a cui appartiene il suo partito. Allora, lei deve tener conto dei fatti, delle conclusioni della Magistratura ed anche della storia, che non è consentito modificare in quest'aula, in qualsiasi modo, neanche con le sue parole.



MAJORINO Gaetano

Presidente, mi consenta di rispondere rapidamente, ma non mi sono assolutamente permesso di dire...



PRESIDENTE

Ha detto che da dieci anni a questa parte..



MAJORINO Gaetano

Parlavo del Piemonte.



PRESIDENTE

In Piemonte sono accaduti 357 atti di matrice accertata fascista neofascista e nazista con uomini, cifre e sigle ed anche queste sono state censite e consegnate alla Magistratura con 88 nomi in gran parte spariti dalla circolazione in Piemonte, mentre altri fanno ancora parte del partito in cui lei milita.



MAJORINO Gaetano

Questo don è assolutamente vero.



PRESIDENTE

Il signor Roggero è uno di quelli.



MAJORINO Gaetano

E' passato a Democrazia Nazionale. Ad ogni modo, Presidente, mi consenta con tutto il rispetto che ho sempre avuto per lei: ho parlato di terrorismo in Piemonte, seminatore di omicidi e di lesioni personali e ho affermato che queste brigate rosse, Ronde proletarie, Prima linea Combattenti per il comunismo si autodefiniscono gli unici, veri, depositari del verbo marxista. Che cosa ci posso fare se si autodefiniscono così? Ho parlato di terrorismo seminatore di omicidi, di lesioni personali, in Piemonte, non di altro terrorismo che si concretò in una tenda in Val di Susa, con due cani neri che facevano la guardia agli occupanti.



PRESIDENTE

No, Consigliere Majorino, in centinaia di pestaggi davanti alle scuole Liceo Alfieri, Liceo Cavour, Liceo Segrè, prenda i risultati della Commissione di indagine presieduta dal Consigliere Bianchi, la legga tutta troverà nomi che lei conosce molto bene, situazioni, dati, cifre documenti, sentenze della Magistratura e tutto questo fa parte del bagaglio dell'area di Democrazia Nazionale e del Movimento Sociale Italiano.



MAJORINO Gaetano

Non è esatto, comunque non credo che siano i personaggi autori di quegli episodi che oggi terrorizzano: coloro che costituiscono un pericolo sono quelli che uccidono e che provocano lesioni personali, gli altri mi pare che passino in seconda o terza linea, di fronte al pericolo attuale.
Ad ogni modo, se mi consente di concludere, stavo rilevando che i cosiddetti "capi storici" di queste organizzazioni criminali, allorquando finiscono alla sbarra davanti alle Corti di Assise trovano ancora purtroppo, la benevolenza del potere giudiziario, il quale in base ad un mal concepito diritto di difesa consente loro di pubblicamente dilungarsi a leggere proclami, il cui contenuto sostanziale significa apologia di reato e istigazione di delinquere. L'istigazione a delinquere di pochi giorni fa in Corte d'Assise d'Appello, pubblicamente enunciata in un documento letto dagli imputati, è stata puntualmente raccolta dai criminali che ieri hanno commesso l'azione di sangue di cui siamo a conoscenza.
Avviandomi verso la conclusione, voglio ancora osservare che al punto in cui siamo le parole della rabbia non servono più, provengano esse dalle autonomie locali del Piemonte oppure, in prima persona, da chi ha subito le violenze ed i lutti del terrorismo: è il potere esecutivo, a mio avviso (il cui dovere è di reintegrare l'ordine pubblico e con esso lo stato di diritto), che deve muoversi per combattere il terrorismo non attraverso leggi speciali, ma sui binari tracciati dalla legislazione vigente e, più in concreto, dalla normativa di cui agli artt. 214 e seguenti della legge di Pubblica Sicurezza. Si tratta di una normativa che ha già passato il vaglio della Corte Costituzionale, che è stata ritenuta compatibile con la Costituzione repubblicana e con lo Stato democratico, e in forza della quale l'esecutivo può dichiarare lo stato di pericolo pubblico su tutto il territorio nazionale, o su parte di esso, e può di conseguenza prendere le opportune e decise provvidenze verso chi si vanta di avere dichiarato guerra allo Stato, di avere cioè dichiarato guerra a tutti noi e a tutte le componenti umane della Nazione. Altre soluzioni, a mio avviso, non paiono in concreto idonee a frenare il fenomeno del terrorismo, e proprio oggi gli speacker dei telegiornali e della televisione, alle 13,30, hanno accennato ad un vertice tenutosi a Roma fra il Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio, il Presidente della Camera, il Presidente del Senato, nel corso del quale si sono congegnate le misure da adottare dal prossimo Consiglio dei Ministri, e sono state definite testualmente (sempre dagli speacker televisivi) che saranno misure di carattere straordinario.
Ora, a mio avviso, queste misure di carattere straordinario dovrebbero essere quelle che ho citato e non misure contenute in eventuali leggi speciali. Auspicando quindi questa energica ma necessaria presa di posizione del potere esecutivo, termino così l'esposizione del mio punto di vista e della forza politica che rappresento in questo Consiglio sull'argomento all'ordine del giorno dell'odierna seduta; mentre, e pur senza voler cadere nella retorica, mi sia consentito di esprimere la mia sincera, commossa solidarietà a chi, presente fra il pubblico o presente in quest'aula consiliare, è stato vittima del terrorismo od ha avuto i congiunti caduti per mano terrorista.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Rossotto. Ne ha facoltà.



ROSSOTTO Carlo Felice

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, la comunicazione che la Presidenza del Consiglio regionale ha effettuato costituisce ormai il rosario degli atti che, per fortuna, non rappresentano la volontà criminale che voleva porli in essere. Credo che l'episodio di ieri determini in ognuno di noi la convinzione che un passo ulteriore veramente preoccupante e drammatico è stato compiuto. Ciò che è racchiuso nel documento redatto è cronaca ed è già storia. Credo che l'impegno, la necessità, la validità di questa riunione del Consiglio regionale, da lei convocata oggi come l'istituzione che rappresenta lo Stato nell'autonomia e come il momento politico maggiore della vita democratica, ha un significato se cogliamo e diamo l'indicazione politica quale ci compete, se come cittadini nell'ambito delle nostre attività compiremo il nostro dovere, ma qui il nostro dovere è quello di dare indicazioni e non soltanto suggerimenti ad altre indicazioni politiche. Credo sia estremamente preoccupante il dire soltanto "non passeranno" e prendere il "non passeranno" come un'azione non passeranno è un impegno per il domani e la validità come componenti come esponenti democratici, che hanno creduto nella democrazia e che la vogliono difendere ed attuare, è poter dire che non sono passati. Ma chi non passeranno? Coloro che sparano, che ieri hanno compiuto questo atto di chiara guerriglia con tutta l'implicazione di organizzazione che ci presuppone, dal killer isolato siamo arrivati ad un'azione di mezzo plotone che agisce in tenuta di combattimento e che raggiunge un risultato che indubbiamente, ci deve far riflettere sul risultato negativo che porta nella realtà nazionale, nella realtà regionale e in quella cittadina, un momento di sgomento profondo. Passeranno, possono passare altri che si assumono, in un momento di vacanza, di intervallo delle istituzioni, il compito di riportare le cose in ordine. Credo che questo sarà compito di coloro che potranno scrivere in tempi futuri la storia di questi drammatici anni e degli anni, dei mesi che ancora ci aspettano.
Il problema non è quello di andare a vedere l'eccesso di garantismo nell'attuazione della Carta Costituzionale, noi abbiamo lasciato passare e se questo garantismo dia spazio a coloro che vogliono colpire al cuore la vita democratica, che ha dato anche la libertà al garantismo, né credo sia sensibilità politica attenta il lasciar passare la richiesta continua che sorge dalla Nazione di interventi che vogliono significare riduzione di libertà in funzione della speranza di soffocare un qualche cosa che dallo stato latente può esplodere in maniera estremamente drammatica.
Credo che in termini politici, e qui mi riallaccio direttamente concordando in pieno in tutto ciò che esse rappresentano, con le espressioni del rappresentante del Partito comunista italiano indipendentemente dalla necessità di alcuni interventi straordinari anche in campo legislativo, perché la situazione che si è determinata è arrivata a questo punto, nel Paese, in termini democratici, a causa del senso del pericolo, si sta chiedendo ordine, c'è una richiesta ed una domanda di ordine che se non viene dato in termini chiari, democratici, verrà ricercato e richiesto al di fuori di quello che rappresentiamo noi, con il nostro bagaglio di eredi di coloro che ci hanno ridato la libertà attraverso le lotte della Liberazione. Ebbene, credo sia arrivato il momento di fare l'adunata di coloro che credono in queste cose, che hanno dimostrato negli anni, attraverso i contrasti ideologici e le lotte, il rispetto profondo per la Carta Costituzionale, realizzata e creata nel 1947 quale risultato di un dibattito culturale che aveva ancora i piedi affossati e profondamente legati al retroterra culturale di lotte per la libertà stessa. In questo senso, in questo significato, avremo la possibilità di dare una risposta anche attraverso momenti ulteriormente drammatici, ma attraverso un'unità nazionale che sa raggiungere, sa esprimersi in interventi adeguati nel campo esecutivo, nel campo legislativo, in un coordinamento di coloro che una volta ancora sono chiamati. Queste parole trovano oggi spazio in un articolo di fondo scritto da persona a cui indubbiamente si possono riconoscere gli attributi e le caratteristiche di amante della nostra democrazia, il direttore di "Repubblica", il quale dice: se emergenza non è questa, che cos'è? Che cosa si aspetta per riconoscere questo stato di emergenza? Le grandi democrazie di fronte ad un nemico che voleva colpirle al cuore o nella loro libertà individuale, come Nazione o all'interno volendo distruggere il sistema ebbene, hanno saputo trovare nei governi di unità nazionale la possibilità di resistere. Credo che l'Inghilterra negli anni drammatici del '39-'40 in questo senso seppe rispondere e penso che il Paese debba rendersi conto almeno questo è il mio chiaro convincimento, che oggi siamo veramente alla vigilia di compiere, in termini politici, quel salto di qualità della collettività, dai tutori dell'ordine, alle forze armate, dai cittadini agli operai, ai Magistrati, e non raccolgo le parole del collega Majorino di colpa delle istituzioni giudiziarie che avrebbero dimostrato debolezza.
Credo che un corpo democratico, nella sua attività, deve saper rispettare la libertà di coloro che lo vogliono colpire, avendo la forza di poter dimostrare quanto tutto ciò sia assurdo. E' chiaro che a questo punto la criminalità è politica, i fatti che abbiamo di fronte sono fatti politici a cui, in termini politici, noi dobbiamo dare una risposta. Credo che le indicazioni chiare esposte dal collega Bontempi possano rappresentare una risposta in termini positivi; sarà molto più facile, stabilita una piattaforma d'intesa precisa, poter operare dando veramente quella tutela generale, se no finiremo nelle singole rivendicazioni e nelle difese di piccoli interessi e si sa che attraverso le piccole cose crollano le grandi idee.



PRESIDENTE

La parola al Presidente della Giunta regionale.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Colleghi Consiglieri, credo di essere fra quanti in questi anni hanno visto più da vicino e vissuto appieno il fenomeno del terrorismo e fra quanti, sin dal lontano 1969, hanno dato un giudizio esatto di come le cose si sarebbero svolte.
La sera del 12 dicembre 1969 stilai un manifesto, che è diventato un fatto storico e che diceva: "I lavoratori non uccidono".
Presi spunto dal servizio apparso alla televisione, in cui un funzionario aveva detto che gli autori andavano ricercati in tutte le direzioni, lasciando intendere però che potevano essere collocati in una certa parte del Paese, quando invece, come voi ben sapete, si è appreso dal processo di Catanzaro la verità su chi aveva messo le bombe e su chi aveva fatto fuggire i responsabili. In anni più recenti sono stato accusato di catastrofismo, perché ho detto in più occasioni che bisognava impedire che il terrorismo diventasse una componente costante della nostra società civile e democratica. Personalmente penso che, nonostante tutta la lotta che le istituzioni e le forze democratiche hanno condotto, siamo abbastanza vicini ad averla come componente; dobbiamo dirlo con franchezza, perché in caso contrario le strategie non vengono elaborate e si continua a pensare che sia una parte criminale.
Telefonando ad amici in alcune occasioni, recentemente, non più tardi di alcuni mesi fa, essi mi dicevano che io sono spesso soggetto alla passionalità e che questo fenomeno è storico e come tutti i fenomeni storici ha avuto un inizio, ma avrà anche una fine. Ritengo che non sia affatto così, al di là poi delle analisi che possono essere condotte:, c'è chi ritiene che il terrorismo nasce dalla profonda ingiustizia di una società da cui sgorgano emarginati e da certe fasce nascano motivi insurrezionali; altri parlano del colpo di Stato, altri della collocazione italiana in un contesto generale che non è quello che sarebbe voluto da altre forze, altri ancora accennano a legamenti con organizzazioni nazionali eversive.
L'ultimo fatto, i lancia missili di Pifano, lascerebbero credere che navi medio-orientali imbarchino e portino qui armi con un obiettivo.
Possiamo prendere ciascuna di queste teorie e portarle avanti: fatto sta che ci troviamo di fronte a questo fenomeno.
Ho voluto rendermi conto di persona di tutti i fatti accaduti, non soltanto perché ho la responsabilità dell'istituzione regionale, quindi di 5 milioni di cittadini piemontesi, ma per analizzare il fenomeno e poterlo combattere. Sono infiniti gli incontri con il Ministro della giustizia, il Ministro agli interni, il Presidente del Consiglio dei Ministri; credo che non ci sia nessuno che come noi ha conosciuto gli uomini di governo, sono stato l'autore in prima persona del disegno di legge per l'estrazione dei giurati e mi meravigliavo che un governo, di fronte all'impossibilità di svolgere processi a causa del meccanismo dell'estrazione dei giurati, non procedesse neanche a far quello; ricordo a questo proposito l'on.
Andreotti, che permise lo svolgimento del processo alle brigate rosse.
Fummo autori del progetto, il Comune fece la sua parte per quanto riguarda la struttura edilizia e credo che sotto questo aspetto il Piemonte, le istituzioni, la Regione, il Consiglio, tutte le forze politiche abbiano dato una prova altissima. Ma ci si chiede: perché a Torino? Non voglio Sanlorenzo, discutere la tesi che hai avanzato della guerriglia urbana perché questa si può fare a Roma, a Padova, nelle grandi aree urbane; ma a Torino si è incentrato tutto il terrorismo mondiale che si munisce ogni giorno di una sigla diversa che è solo confondente.
L'altro giorno in fabbrica pareva che fossero responsabili le ronde proletarie, poi le unità combattenti, dei fatti accaduti ieri sembrava che Prima linea avesse accusato le brigate rosse, ma è la stessa matrice di Piazza Fontana. Piazza Fontana è il vero salto, si passa alla strategia armata, determina una linea di demarcazione dallo scontro fisico, che qualche uomo politico oggi immemore non ricorda e che veniva proclamato davanti all'Università di Roma dando luogo a delle manifestazioni di piazza, si passa invece alla clandestinità, alla forma armata, cioè alla guerriglia. Ma perché Torino? Perché su Torino è incentrato il terrorismo mondiale, che trova in essa un terreno particolarmente fertile per motivi ben precisi: perché esiste la più forte industria, unità all'insieme, che poi, attraverso le ramificazioni esterne collegate, diventa un'unitarietà produttiva e cioè la Fiat; e perché le istituzioni del Piemonte sono fra le forze politiche quelle che hanno le maggiori tradizioni, maggiore capacità di essere tali e tali riconoscersi.
Siamo dell'opinione - e lo scrisse anche Amendola - che ogni segno nel Paese nasce da Torino e ritorna a Torino. Lo scrive Amendola nel saggio su "Rinascita", ma noi eravamo già consci di questo da lunghissimo tempo perché alle nostre spalle ci sono Gobetti, Gramsci, Togliatti, Einaudi e altri uomini politici che rendono il Piemonte agli occhi, all'immagine del Paese e del mondo intero, come una regione che ha saputo darsi una struttura, portandola avanti, e si governa, in sostanza è forte. Ha ragione Amendola quando dice che da Torino parte il segno e a Torino ritorna perché se passa a Torino può passare altrove con tranquillità. Non concordo sul fatto che il terrorismo non può trovare terreno fertile in Basilicata può benissimo, perché il terrorista con i mezzi della fulminea azione dell'intervento alle spalle, della non facile catturabilità, può farlo in ogni parte del Paese, ma si sofferma su Torino perché trova delle facili condizioni.
Ci siamo chiesti più volte tutti, Consiglieri e invitati, avendo individuato questo fenomeno che si collocava contro la più forte industria che abbia l'Europa nel suo disegno unitario e le più forti istituzioni che esistono nel Paese, perché non si è data una risposta adeguata a Torino? Non sono fra quanti desiderano una maggior quantità delle forze dell'ordine e delle altre istituzioni, ma sono per la qualità contro il disegno eversore; qui non è stato dato il segno né della quantità né della qualità.
Gli organici della Polizia e dei Carabinieri, fino ad alcuni giorni fa mancavano del 40% della normale dotazione. Tutto sommato, dopo lunga lotta qualche macchina fu mandata dal Ministero, non certo molte, per il disegno eversore che si agita nella nostra città. Nella Magistratura non sono stati coperti nemmeno gli organici normali, né quelli dei giudici, né dei segretari, né dei cancellieri, né degli uscieri. Non abbiamo nessun timore a dire che abbiamo dato un aiuto abbastanza nutrito noi come Regione in quella direzione. Non facciamo una questione per essere intervenuti su questo né facciamo una questione sul fatto che le istituzioni locali vogliono dimostrare la loro capacità di incidere in questo processo.
Vorremmo porre al Presidente del Consiglio questa domanda: se il disegno eversivo è concentrato su Torino in tale misura gigantesca e presenta una serie di sigle che non ritroviamo in nessuna altra parte del nostro Paese, perché non si dà un segno complessivo per rendere più forti le istituzioni preposte perché il fenomeno possa essere combattuto? Personalmente non sono né passionale né emotivo e nemmeno mi do alla disperazione; penso che il fenomeno sia grave ma che possa essere combattuto, abbiamo l'esempio di Schmidt in Germania, sia pure con dei limiti, perché il processo è duplice, l'uno salvaguardare la democrazia, e quindi il processo storico che la società deve compiere, concordando insieme invece la lotta al terrorismo, perché spesso vi sono delle forze che confondono le due cose, accomunandole in un unico processo. Il punto di riferimento è la Costituzione, ma non come momento di difesa, semmai come momento di realizzazione. Nei momenti di maggiore gravità di un Paese questo è il momento in cui si deve cogliere l'occasione, come lo hanno dimostrato gli U.S.A. nel 1933, quando la crisi aveva portato a condizioni tragiche, per fare le riforme che incidano per lungo tempo nel processo del Paese. Non mi riferisco alla Polizia o alla Magistratura, per dire che affidiamo loro il processo di liquidazione dell'eversione, questo mi pare che sia già un patrimonio acquisito in lunghi anni, siamo stati presenti sempre, ogni giorno, ogni momento, non vi è stato mai uno spazio che non sia stato coperto, siamo anche corsi laddove questo processo poteva diventare eccezionalmente grave, per esempio, quando le vedove volevano compiere atti disperati, eravamo accanto a loro con i carabinieri, con la polizia, con il cappellano delle carceri, per evitare cose tragiche, perch nella disperazione del momento potevano accadere cose spiacevoli. E' un fatto acquisito che le istituzioni e le forze locali si sono mosse, non è necessario dare anche questo fardello alle forze di Polizia, ai Carabinieri e alla Magistratura e dire "vedetevela voi". Sappiamo perfettamente che non è così, sappiamo che c'è un recupero generale enorme, un'immagine che il Paese deve dare, una situazione tutta diversa che si deve comporre, ci sono delle forze emergenti che devono essere colte e portate innanzi.
Ma la domanda che oggi dobbiamo porci tutti è se questo lo sappiamo, se possiamo dare i giudizi che numerosi scrittori, in una ventina di pubblicazioni, hanno dato analizzando il fenomeno, o invece possiamo analizzarlo in modo diverso e diversamente anche discuterne. Sappiamo che il terrorismo si è incentrato nella nostra città per questi motivi fondamentali, ai quali forse bisogna aggiungere la guerriglia urbana, ma d'altronde questo è un disegno che non ha soltanto agitato la parte urbana del nostro Paese, ma anche i Paesi sudamericani. Torino non è soltanto l'area metropolitana che si presta a questa specie di guerra, ma ha anche due altre componenti: quella della grande industria, a Torino se colpisci in quella direzione colpisci il cuore, tutto il Piemonte e quella delle istituzioni, che hanno dato al Paese un'alta dimostrazione. Ritengo che in tutti questi anni non vi sia stata nel Paese una dimostrazione di così grande dignità, fermezza, grande capacità di lavoro, di elaborazione da parte delle forze politiche, evidentemente se incomincia da Torino il processo ci si chiede perché, da parte del Governo e dei parlamentari, non si comprenda, non per fare delle leggi speciali, rifiuto questo termine, ma per fare applicare delle leggi che sono ampiamente esistenti e che possono essere poste alla base di convivenza civile, affinché possiamo vincere questo terribile fenomeno. Il problema è che dobbiamo avere, di fronte a fatti di tale eccezionale gravità, nessuna emotività, per cui si veda con esattezza il problema.
Il terrorismo non è ancora una componente della nostra vita, per potrebbe diventarlo nella misura in cui non lo affrontassimo in modo degno di un Paese libero e che voglia mantenere il suo stato democratico. Per quanto riguarda i mezzi, abbiamo discusso sul fatto che tutte le istituzioni devono muoversi e tutto il Paese deve muoversi e se una guerra deve essere fatta (parliamo di guerra in termine nuovo) non la si può fare con le pistole ad acqua senza mutare rapidamente il bilancio dello Stato senza tagliare alcune spese; le istituzioni locali sarebbero disposte a dare una parte del loro bilancio, purché andasse effettivamente per combattere il terrorismo attraverso i mezzi che la Polizia deve avere, la Magistratura deve avere, munendo e dotando di tutti gli strumenti più moderni, perché dobbiamo puntare alla qualità, non alla quantità, non disseminando, non avrebbe nessun senso mettere tre poliziotti di fronte ad ogni scuola, non ha senso un'azione simile nella nostra società, non possiamo trasformarla in questo modo, ma dotarla di tutti gli strumenti che possono essere posti alla base di un salto di qualità. E' necessario aver coscienza di questo, ancora ieri ne parlavo con un Sottosegretario alla Giustizia, ma pur vivendo in Piemonte non mi sembrava che avesse piena coscienza della gravità del momento. A questo punto cito la frase che Churchill disse, quando ci fu veramente pericolo, che offriva solo lacrime e sangue, ma allora offriamo sangue e lacrime per salvare la democrazia e la libertà nel nostro Paese. Non credo che esista un'istituzione che non rinunci ad una parte del suo bilancio, perché questo vada effettivamente in quella direzione, queste sono le misure vere da prendere, perché le pene ci sono. L'altra sera, in un dibattito, si diceva che le pene per il sequestro di persona vanno oltre l'omicidio, tu, Presidente Oberto, lo sai benissimo 21 anni per l'omicidio, 30 anni per il sequestro di persona, le pene esistono, salvo per la banda armata, che non è stata trattata dal Parlamento adeguatamente, per cui in sei mesi sono tutti fuori di galera per decorrenza dei termini, perché se entro sei mesi non si svolge il processo, che spesso non si può svolgere, per decorrenza dei termini vengono rimessi in liberta e si rifugiano nella clandestinità come è capitato a quelli di Prima linea, che i carabinieri arrestarono mesi e mesi addietro e di questi molti uscirono per decorrenza dei termini. Ma tolto questo, vi sono già delle pene adeguate, quindi non credo che occorrano leggi speciali, penso debbano funzionare quelle esistenti, ma se non si capisce la gravità di questo fenomeno - non vorrei essere accusato di catastrofismo - evidentemente non si può neanche combattere e ci si dà alla disperazione.
Questo è quanto ritengo di proporre nell'incontro con il Presidente del Consiglio dei Ministri, per puntualizzare la situazione di questa città, da dove partono e ritornano le cose.



PRESIDENTE

Il dibattito è concluso. Vorrei proporre che la definizione operativa delle varie iniziative che sono state suggerite possa essere vagliata nella prossima riunione dei Capigruppo. Domani e dopodomani ci sarà seduta di Consiglio: avremo quindi un arco di tempo sufficiente per far seguire a questo dibattito delle decisioni coerenti.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 18)



(La seduta ha termine alle ore 18)



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