Sei qui: Home > Leggi e banche dati > Resoconti consiliari > Archivio



Dettaglio seduta n.293 del 06/12/79 - Legislatura n. II - Sedute dal 16 giugno 1975 al 8 giugno 1980

Scarica PDF completo

Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SANLORENZO


Argomento: Trasporti su ferro

Interrogazione del Consigliere Cerchio, inerente alla situazione critica del Comune di Moncalieri per il quadruplicamento della linea ferroviaria


PRESIDENTE

La seduta è aperta Iniziamo i nostri lavori con l'interrogazione del Consigliere Cerchio inerente alla situazione critica del Comune di Moncalieri per il quadruplicamento della linea ferroviaria.
Risponde il Vice Presidente della Giunta regionale, Bajardi.



BAJARDI Sante, Vice Presidente della Giunta regionale

Il collega Consigliere Cerchio ha interrogato il Presidente della Giunta e l'Assessore competente per conoscere se si sia a conoscenza della grave situazione verificatasi a Moncalieri in seguito a lavori che si stanno effettuando in occasione del quadruplicamento delle vie ferrate di corsa sulla direttrice Troino-Trofarello.
Il suddetto Consigliere rileva che tali lavori hanno di fatto ostruito buona parte dell'alveo del fiume Po con conseguenze gravi nel caso di piene, possibili in questo periodo autunnale, in particolare per le abitazioni e le strutture industriali ubicate in Borgo Vittoria ed in Borgo Mercato nel Comune di Moncalieri. In riferimento a quanto precede, il Consigliere Cerchio richiede l'intervento della Regione nei confronti degli Enti interessati per concordare i provvedimenti che il caso richiede.
Nel merito si fa presente che, a mente le norme vigenti in materia l'autorità istituzionalmente competente a vigilare e comunque intervenire o disciplinare interventi su tale tratta dell'asta del fiume Po, le cui opere idrauliche ricadono nella 3^ categoria, è il Ministero dei LL.PP. per il tramite del Magistrato per il Po di Parma, Ufficio Operativo di Alessandria, Sezione di Torino, con sede in Moncalieri, via Pastrengo 2 bis.
Per un esame congiunto della situazione il giorno 16 ottobre 1979 si sono ritrovati sul luogo dei lavori rappresentanti delle FF.SS., del Comune di Moncalieri, dell'impresa Carena, appaltatrice dei lavori per conto delle FF.SS., del Comitato antialluvionale di zona e del Magistrato per il Po concordando, come meglio specificato nel relativo verbale, idonee misure e modalità di intervento atte a scongiurare il temuto esondamento, nel caso di piene, dando altresì atto che non esiste situazione di pericolo al presente.
Dal dettaglio del verbale della riunione emergono questi elementi: L'impresa si impegna ad ultimare la campata n. 5 (primo lato Moncalieri) entro e non oltre il 15 novembre 1979, rendendo libero in tale arcata l'alveo, ripristinando il primitivo fondale.
L'impresa si impegna inoltre a liberare dai detriti il pennello esistente entro la terza arcata, entro il 22 di ottobre p.v. La prima arcata (lato Torino) dovrà essere occupata solo a completa ultimazione e liberazione della quinta, come da primo comma della presente (salvo la formazione del magrone di base).
L'impresa si impegna entro il 22 ottobre a ridurre la rampa in corrispondenza della prima arcata onde liberare completamente la seconda arcata.
Le rimanenti arcate (seconda, terza e quarta) potranno essere occupate solo nei periodi di magra stagionale, persistente e comunque non prima del 1 giugno 1980.
Si attesta che allo stato attuale dei luoghi e della portata del fiume non esiste alcuno stato di pericolo.
Il rappresentante del Magistrato per il Po ritiene opportuno suggerire in via conclusiva di prendere in considerazione l'opportunità di adottare per il manufatto travate rettilinee che ridurrebbero notevolmente le opere provvisionali in alveo.
A tale proposito il rappresentante F.S. esprime riserva sull'attuabilità in tempi brevi della nuova soluzione, comportando variante al progetto.
L'esecuzione dei lavori comporta la temporanea occupazione dell'alveo e, secondo una valutazione consensuale concordata dalle popolazioni locali non vi sono elementi di pericolosità.



BELLOMO EMILIO



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE BELLOMO

La parola al Consigliere Cerchio.



CERCHIO Giuseppe

Prendo atto delle informazioni. Il problema era stato sollevato dagli abitanti e dagli operatori commerciali e industriali della zona. Analoga situazione si era verificata a causa di precedenti alluvioni.
I tempi indicati dall'Assessore non sono stati rispettati tanto è vero che attualmente sono ancora in fase di realizzazione i lavori.
Prego l'Assessore di intervenire nei confronti dell'Amministrazione comunale la quale, tra l'altro, si era impegnata a realizzare un argine per impedire riflussi nella rete fognaria contigua al fiume.
Questo problema interessa in modo diretto gli insediamenti industriali della zona di borgo Vittoria.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE BELLOMO

L'interrogazione è discussa.


Argomento: Assistenza sanitaria (prevenzione - cura - riabilitazione)

Interrogazione dei Consiglieri Oberto, Soldano e Beltrami, relativa all'applicazione della legge 194


PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE BELLOMO

Interrogazione dei Consiglieri Oberto, Soldano e Beltrami, relativa all' applicazione della legge 194.
Risponde l'Assessore Enrietti.



ENRIETTI Ezio, Assessore alla sanità e sicurezza sociale

Con riferimento all'interrogazione con la quale i Consiglieri Oberto Soldano e Beltrami hanno chiesto di conoscere quante siano state fin qui le donne che in Piemonte hanno fruito, in base all'art. 10 della legge 22 maggio 1978 n. 194, in quanto prive dell'assistenza mutualistica, del ricovero a totale carico della Regione - tale espressamente previsto anche senza il pagamento della quota capitaria - nei vari ospedali per accertamenti, cure, degenza e assistenza necessarie per il compimento della gravidanza e quindi del parto compreso nonché se risulti che vi siano stati rifiuti all'accoglimento, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
Al proposito va precisato che con circolare 26.6.1978/XAS erano stati forniti i primi indirizzi applicativi dell'intera legge sottolineando la portata innovativa dell'art. 10 della stessa.
Da un'indagine successivamente effettuata risulta che su un totale di n. 50 ospedali presso cui funziona un reparto ostetrico-ginecologico, n. 9 ospedali non hanno ricevuto alcuna istanza di ricovero per accertamenti cure 5 degenze necessarie per il compimento della gravidanza nonché per il parto da parte di donne che, al momento considerato, erano sprovviste di assistenza mutualistica.
Istanze del genere ricordate sono state invece inoltrate agli altri n.
41 ospedali, dando luogo a complessivi n. 285 ricoveri gratuiti in applicazione del citato articolo 10 della citata legge n. 194.
Non risulta che gli ospedali abbiano mai rifiutato l'accoglimento di donne, non assistite da enti mutualistici, che abbiano chiesto il ricovero accertamento e cure per il compimento della gravidanza e per il parto.
Ad ogni buon conto, anche in relazione ad alcune perplessità sollevate dagli ospedali circa l'ortodossa e completa applicazione della normativa citata, con circolare 14.11.1979 n. 22000 si è ritenuto di richiamare gli Enti stessi alla rigorosa e corretta applicazione della norma invitandoli a comunicare, per un accertamento complessivo, sotto quale regime amministrativo siano state accolte le donne nell'ospedale per il compimento della gravidanza, al fine di ricondurre eventuali errori all'ortodosso e corretto disposto dell'art. 10 della legge 194 citata.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE BELLOMO

La parola al Consigliere Oberto.



OBERTO Gianni

Prendo atto soprattutto della seconda parte della risposta e cioè della assicurazione che, attraverso circolari, questo argomento è stato richiamato all'attenzione degli ospedali.
E' uno dei punti più delicati che è sfuggito all'esame anche di attenti cultori e studiosi di norme legislative di questa materia. Pochissimi infatti, avevano rilevato che tra i diversi provvedimenti che hanno finalità diverse e che raggiungono finalità diverse, ce n'era uno costruttivo, fondamentale che voleva proprio andare in aiuto delle donne oltretutto sprovviste di un trattamento di assistenza mutualistica, che si trovassero in condizioni di gravidanza fino al puerperio e al parto regolare.
Con i colleghi Martini e Soldano ho ritenuto di sottolineare con una interrogazione alla sensibilità dell'Assessore questo problema per ricavarne dei dati, e per questo chiedo di avere il testo della risposta scritta, ma soprattutto per sottolineare che tra i compiti dell'importantissimo Assessorato della sanità, vi sia anche quello della divulgazione di queste notizie, in maniera che le fruitrici del servizio possano esserne informate.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE BELLOMO

L'interrogazione è discussa.


Argomento: Personale del servizio sanitario

Interrogazione dei Consiglieri Martini, Lombardi, Paganelli e Soldano inerente all'organico dell'Ospedale di Demonte


PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE BELLOMO

Passiamo all'interrogazione dei Consiglieri Martini, Lombardi Paganelli e Soldano, inerente all'organico dell'Ospedale di Demonte.
Risponde l'Assessore Enrietti.



ENRIETTI Ezio, Assessore alla sanità e sicurezza sociale

Con riferimento all'interrogazione dei Consiglieri Martini, Lombardi Paganelli e Soldano, concernente la situazione del personale dipendente dell'Ente ospedaliero di Demonte, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
Con deliberazione in data 31.10.1979 n. 151, il Commissario straordinario dell'Ente ospedaliero di Demonte ha provveduto ad istituire in pianta organica i posti relativi al personale al fine di garantire quei dipendenti che prestano la propria opera presso il presidio stesso al di fuori dell'organico.
In attuazione agli impegni assunti e per corrispondere alle esigenze dei suddetti lavoratori, il sottoscritto ha immediatamente provveduto a sottoporre la deliberazione suddetta, pervenuta in data 16.11.1979 all'esame dell'apposito Comitato previsto dall'art. 2 della legge regionale 30.12.1974 n. 39, che l'ha esaminata nella seduta del 23.11.1979 e ha già provveduto a trasmetterla, ai fini della conseguente prescritta autorizzazione ai sensi della citata legge n. 39, alla Giunta regionale.
Si ritiene pertanto che, il problema del personale del presidio sia oramai avviato alla auspicata soluzione. E' all'ordine del giorno, del pomeriggio.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE BELLOMO

La parola al Consigliere Martini.



MARTINI Mario

Ringraziamo l'Assessore per l'informazione.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE BELLOMO

L'interrogazione è discussa.


Argomento: Bilancio - Finanze - Credito - Patrimonio: argomenti non sopra specificati - Protezione della natura (fauna, flora, minerali, vigilanza, ecc.)

Interrogazione del Consigliere Lombardi per conoscere quante multe sono state elevate ai ricercatori di funghi


PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE BELLOMO

Passiamo all'interrogazione del Consigliere Lombardi per conoscere quante multe sono state elevate ai ricercatori di funghi.
Risponde l'Assessore Fonio.



FONIO Mario, Assessore alla tutela dell'ambiente

Giustamente il Consigliere Lombardi si preoccupa dell'attuazione della legge 68 dal momento che nel nostro Paese l'importante non è tanto fare delle leggi quanto la loro effettiva e pratica applicazione.
In particolare la legge regionale contenente norme per la conservazione del patrimonio naturale e dell'assetto ambientale, interviene in settori così delicati e di difficile regolamentazione, come quello della raccolta dei funghi, che siamo tutti legittimati a chiederci e a sapere quali sviluppi e quali esiti pratici ha avuto tale normativa.
Tutti ci ricordiamo infatti con quanto impegno abbiamo discusso per varare norme così nuove e destinate ad incidere anche nei rapporti tra città e campagna della nostra Regione e come fossimo ansiosi di vedere quale sarebbe stato l'intervento integrativo dei Comuni, in materia.
Ciò premesso il Consigliere Lombardi ricorderà certamente l'art. 36, il quale prescrive che le somme riscosse a seguito di infrazioni alla legge vengono introitate dai Comuni, i quali ne "danno notizia annualmente alla Regione".
Essendo la legge del novembre 1978 ed essendo pertanto quello in corso il primo anno di applicazione, è chiaro che bisognerà attendere i primi mesi del 1980 per avere dai Comuni le relazioni previste dall'art. 36 e conoscere quindi quante infrazioni sono state rilevate e quante le multe elevate a raccoglitori di funghi in forza dell'art. 20.
Da parte nostra l'ansia di avere informazioni immediate, a parte l'art.
36, almeno sugli sviluppi della legge ci ha spinto a compiere subito una indagine verso i Comuni per sapere quali di essi fossero intervenuti con proprie determinazioni e propri regolamenti.
A tutt'oggi hanno risposto su 1209 Comuni in numero di 457, dei quali soltanto 18 comunicano di aver adottato dei regolamenti.
Oltre a tale azione presso i Comuni, l'Assessorato ha svolto e sta svolgendo la dovuta opera di diffusione delle norme contenute nella legge 68 e delle procedure per la sua applicazione, convinti come siamo che il miglior risultato della legge è legato alla formazione di una coscienza ecologica dei cittadini.
Per quanto riguarda l'altro aspetto fondamentale: la vigilanza e il controllo, si sta facendo ogni sforzo in considerazione del fatto che gli organi previsti dall'art. 33 (forestali, guardia-caccia, polizia locale ecc.) sono ovviamente in numero insufficiente e già oberati da altri compiti.
Di conseguenza sono stati sollecitati e finanziati corsi per guardie giurate volontarie presso le Amministrazioni provinciali, le Comunità Montane e Associazioni varie.
Tutto ciò - per attenerci al problema della vigilanza cui si riferisce l'interrogazione - dovrebbe portarci al di là di questo primo anno di rodaggio, nel 1980 ad una gestione già più soddisfacente della legge sperando anche in una sempre maggiore partecipazione degli Enti locali.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE BELLOMO

La parola all'interrogante, Consigliere Lombardi.



LOMBARDI Emilio

Ringrazio l'Assessore per la risposta che è soddisfacente. Ritengo di dover sottolineare le motivazioni che mi hanno spinto a presentare l'interrogazione.
Dopo anni di mancanza di una regolamentazione nel settore, finalmente il Consiglio regionale ha approvato all'unanimità una legge che affronta in maniera soddisfacente il problema, purtroppo però la vigilanza e tutti i problemi ad essa connessi non si possono affrontare e risolvere in tempi brevi e anche quest'anno vi sono stati dei fatti spiacevoli di presenze di cittadini non corretti, tanto che le popolazioni montane si sono sentite non tutelate nei loro interessi.
E' un problema di notevole importanza, specialmente per le zone montane di media valle, ed è quindi necessario che l'Assessorato competente faccia tutto il possibile affinché nel corso del prossimo anno la legge venga rispettata con un adeguata vigilanza.
E' vero che è problema di educazione e di coscienza dei cittadini, ma è anche necessario creare questa coscienza con una vigilanza corretta e opportuna.
Vorrei infine sottolineare l'esigenza di promuovere corsi di formazione di guardie giurate, come ha già fatto l'Amministrazione provinciale di Cuneo, possibilmente a livello di Comunità montane.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE BELLOMO

L'interrogazione è discussa.


Argomento: Lavoro - Movimenti migratori: argomenti non sopra specificati

Interrogazione del Consigliere Calsolaro, relativa alla delegazione che si è recata a San Paolo in Brasile


PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE BELLOMO

Interrogazione del Consigliere Calsolaro, relativa alla delegazione che si è recata a San Paolo in Brasile.
Risponde l'Assessore Alasia.



ALASIA Giovanni, Assessore ai problemi del lavoro

In riferimento all'interrogazione in discussione, va in primo luogo osservato che la Giunta regionale, in considerazione della particolare rilevanza del Convegno di San Paolo che avrebbe visto riuniti i rappresentanti di tutte le collettività italiane in America latina, con sua propria valutazione ritenne di estendere l'invito a partecipare al Convegno promosso dal Governo anche al Consiglio regionale, mentre al contrario molte altre Regioni sono state rappresentate a San Paolo solo dagli Assessori e dai funzionari competenti per materia.
I criteri e le procedure seguite per l'individuazione della delegazione sono stati rigorosamente oggettivi: la Giunta regionale ha individuato i propri rappresentanti secondo gli esclusivi criteri di competenza in riferimento alla natura del Convegno e agli argomenti che in esso si sarebbero affrontati, così come risultavano dai documenti preparatori del Convegno stesso. Sono stati infatti designati a partecipare l'Assessore competente per i problemi del lavoro e dell'immigrazione, nonché Presidente della Consulta regionale per i movimenti migratori, l'Assessore all'assistenza in considerazione del particolare rilievo che questo tema avrebbe assunto nel Convegno nonché i due funzionari regionali che seguono i problemi del lavoro e dell'emigrazione.
Per quanto riguarda il Consiglio, la Giunta ha ovviamente rimesso l'individuazione dei due suoi rappresentanti all'Ufficio di Presidenza del Consiglio stesso con propria lettera di richiesta del 22/10/79 prot.
1583/L.
Con lettera del 26/10/79 prot. n. CR/6867 la Presidenza del Consiglio ha comunicato che i rappresentanti del Consiglio stesso sarebbero stati i Consiglieri Picco e Martini.
La Giunta ha ritenuto allora e ritiene ancora oggi di non potere n dovere in alcun modo interferire rispetto ai criteri e alle procedure adottate dal Consiglio per l'individuazione dei propri rappresentanti trattandosi di questione di competenza esclusiva del Consiglio stesso e del suo Ufficio di Presidenza.
Non ha peraltro alcun motivo di ritenere che in questa occasione si sia operato con procedure e criteri diversi rispetto a quelli abitualmente seguiti per la determinazione della composizione delle delegazioni in Italia e all'estero.
La delegazione era così composta: gli Assessori: Alasia Giovanni Vecchione Mario; i Consiglieri: Martini Michele, Picco Giovanni; i funzionari: dott. Benedetti (Segretario Consulta dell'Emigrazione); dott.
Ponzetto (responsabile Servizio Lavoro).
Non aggiungo a questi nomi nessuna considerazione di appartenenza politica.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE BELLOMO

La parola al Consigliere Calsolaro.



CALSOLARO Corrado

Non contesto il fatto che la Giunta o il Consiglio regionale partecipino a viaggi e convegni: quello in discussione, tra l'altro, era molto importante, quindi era opportuno partecipare. Contesto il fatto che il Gruppo socialista non ne era stato informato né dalla Giunta né dal Consiglio regionale. Il Gruppo socialista ha appreso dai giornali che una delegazione rappresentata dalla Giunta e dai colleghi del Gruppo della D.C.
era andata in Brasile per partecipare al Convegno sull'emigrazione.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE BELLOMO

L'interrogazione è discussa.



PAGANELLI ETTORE


Argomento: Programmazione e organizzazione sanitaria e ospedaliera

Interrogazione del Consigliere Cerchio, inerente all'Ospedale di Chivasso


PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PAGANELLI

Interrogazione del Consigliere Cerchio, inerente all'Ospedale di Chivasso.
Risponde l'Assessore Enrietti.



ENRIETTI Ezio, Assessore alla sanità e sicurezza sociale

Con riferimento all'interrogazione del Consigliere Cerchio con la quale si chiede di conoscere notizie in ordine allo stato di disagio in cui versano le popolazioni interessate a causa delle carenze strutturali dell'Ospedale di Chivasso, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
Il presidio di Chivasso verrà inserito nella rete degli Ospedali prevista dal Piano regionale e le sue dimensioni devono essere necessariamente commisurate alle necessità dell' U.L.S. n. 39 alla quale appartiene, tenendo conto che alcune UU.LL.SS. limitrofe sono sguarnite di Ospedali e che pertanto lo stesso presidio dovrà sopperire alle loro necessità.
In proposito va peraltro precisato che il Piano Sanitario Nazionale vieta espressamente qualsiasi destinazione di fondi per la costruzione di nuovi Ospedali in tutto il Centro-Nord e che tale impostazione è ribadita nelle linee programmatorie in corso di elaborazione e in fase oramai pressoché definita.
Considerata tuttavia la situazione delle UU.LL.SS. interessate e le carenze strutturali del presidio ospedaliero di Chivasso, il sottoscritto ha più volte invitato l'Amministrazione ospedaliera interessata e da ultimo con nota 29/10/79, a far pervenire un progetto di razionalizzazione strutturale dei servizi, idoneo a risolvere le carenze del presidio stesso e la condizione di superaffollamento nella quale opera.
Conseguentemente, mentre non è accoglibile la richiesta a suo tempo avanzata di costruzione di un nuovo Ospedale per i motivi sopra indicati non appena perverranno le proposte concrete che evidenzino le soluzioni tecnico strutturali che consentano la corretta risposta alle esigenze del territorio di competenza, si provvederà al relativo finanziamento, anche in base alle definitive indicazioni del Piano Sanitario Regionale da approvarsi ai sensi della legge 23/12/78 n. 833.
All'interrogazione del Consigliere Marchini sullo stesso argomento verrà data risposta scritta.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PAGANELLI

La parola al Consigliere Cerchio.



CERCHIO Giuseppe

Ringrazio per l'informazione e prego l'Assessore, nel momento in cui si realizzassero incontri operativi su questo problema di informarmi, anche in considerazione delle sollecitazioni rivoltemi da amministratori e operatori della zona e del settore.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PAGANELLI

L'interrogazione è discussa. Al Consigliere Marchini, che ha presentato un' interrogazione sullo stesso argomento, verrà inviata risposta scritta.


Argomento: Problemi energetici

Interrogazione urgente del Consigliere Bontempi sui finanziamenti CEE all'Azienda annessa all'Istituto Bonafous


PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PAGANELLI

Passiamo all'interrogazione urgente del Consigliere Bontempi sui finanziamenti CEE all'Azienda annessa all'Istituto Bonafous.
Ha la parola l'Assessore Rivalta.



RIVALTA Luigi, Assessore alla pianificazione territoriale

Ieri, si è tenuta una riunione, con i rappresentanti della Fiat e con il direttore del Bonafous, da me convocata per avere informazioni sulla questione comunicata dal Bonafous, con lettera giunta il 20 novembre: la lettera individuava la possibilità di utilizzare fondi della CEE per la sperimentazione e l'utilizzo di energia alternativa in un'azienda agricola.
Su questa questione, da domenica, alcuni giornali riportano la notizia con toni di provocazione nei confronti della Regione. Un titolo diceva: "Il Piemonte perde un'altra occasione".
Il progetto è nato presso il centro di ricerche FIAT di Orbassano, in riferimento alla legge della CEE sul risparmio energetico, in particolare per quel settore di sperimentazione e applicazione che riguarda l'utilizzo di energia rinnovabile per l'agricoltura. La Fiat chiese alla CEE il finanziamento per realizzare un progetto con riferimento ad un'azienda agricola modenese.
Il progetto è stato finanziato dalla CEE per il 40% della spesa. La FIAT trattori quest'anno ha riconsiderato l'operazione e ha deciso di non portarla avanti per una serie di ragioni aziendali. Mi è stato comunicato che di questa questione la FIAT ha dato comunicazione all'ENI, al Ministero dell'industria, alla Regione Toscana, in ragione di un rapporto che ha con l'Università di Pisa, e all'Università di Pisa. Non è stata data mai comunicazione alcuna alla Regione Piemonte, pur essendoci stati tra la Regione e la FIAT molti incontri sui problemi energetici.
Quindi la Regione è stata informata da quella lettera del Bonafous.
Alla Regione interessa verificare la fattibilità di questa sperimentazione, nello spirito che ha portato all'approvazione della legge per interventi in direzione del risparmio energetico e in direzione della sperimentazione nell'uso di fonti alternative. Questo atteggiamento non è pertanto personale, ma nasce dai fatti e dagli impegni formali assunti dalla Regione. Ho sollecitato la FIAT a considerare prioritariamente il rapporto con la Regione Piemonte rispetto ad altri.
Ci sono dei problemi. Il progetto è stato fatto per un'azienda del Modenese, quindi c'è un problema di adattabilità del progetto al tipo di organizzazione aziendale agricola presente nella nostra Regione, e c'è un problema di adattabilità alla particolare situazione del Bonafous che ha dimensioni limitate per una sperimentazione di questo genere. Ho dichiarato la disponibilità della Regione a verificare la possibilità di condurre questa sperimentazione con riferimento ad altre aziende pubbliche e private.
E' stata dichiarata dalla FIAT la disponibilità a rivedere il progetto a studiarlo con la Regione, che in questo caso diventerebbe partner in questa operazione, con l'apporto di capitali.
Verificheremo se vi sono altri partners in questa operazione. Sono stati citati la Cassa di Risparmio e l'Istituto San Paolo che fanno parte del Consiglio di amministrazione del Bonafous.
L'operazione dovrà essere compiuta entro il 15 dicembre; dopo quel termine la CEE potrà ridestinare il finanziamento. A partire da lunedì, con il Bonafous, verificheremo, dal punto di vista anche giuridico amministrativo, la possibilità di un intervento della Regione in questa direzione.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SANLORENZO



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bontempi.



BONTEMPI Rinaldo

Mi dichiaro soddisfatto della risposta dell'Assessore. Ero stupito della improvvisa uscita sui giornali dell'emergenza dell'iniziativa conoscendo l'attenzione che la Regione ha sempre posto in questa materia.
Anch'io auspico che venga data tutta l'attenzione e vengano messe in opera, attraverso uno studio della fattibilità del progetto, le iniziative per portarle anche a buon fine.



PRESIDENTE

Ha chiesto di intervenire il Consigliere Enrichens. Ne ha facoltà.



ENRICHENS Nicola

Devo fare una precisazione su quanto è stato pubblicato in merito a quest'argomento. Contrariamente a quanto è stato scritto sulla "Gazzetta del popolo" questo progetto non è ancora arrivato alla III Commissione Agricoltura.



PRESIDENTE

Le interrogazioni sono concluse.


Argomento:

Interrogazione urgente del Consigliere Bontempi sui finanziamenti CEE all'Azienda annessa all'Istituto Bonafous

Argomento:

Comunicazioni del Presidente

Argomento:

a) Congedi


PRESIDENTE

Comunico che hanno chiesto congedo i Consiglieri Ariotti, Benzi Chiabrando, Debenedetti, Ferraris, Fiorini, Majorino, Minucci, Moretti e Viglione.


Argomento:

a) Congedi

Argomento:

b) Presentazione progetto di legge


PRESIDENTE

E' stato presentato dalla Giunta Regionale in data 28 novembre 1979 ed assegnato alla V Commissione consiliare il progetto di legge n. 483: "Norme per l'assistenza familiare e per la tutela psico-affettiva dei minori nei presidi sanitari pubblici e privati ".


Argomento:

b) Presentazione progetto di legge

Argomento:

c) Apposizione visto Commissario del Governo


PRESIDENTE

Il Commissario del Governo ha apposto il visto: alla legge regionale del 31/10/79: "Istituzione della riserva naturale del bosco e dei laghi di Palanfrè" alla legge regionale del 31/10/1979: "Interventi straordinari a favore dei cittadini con redditi insufficienti per sostenere prioritariamente il rincaro del costo di riscaldamento per l'inverno 1979-80".


Argomento:

c) Apposizione visto Commissario del Governo

Argomento:

d) Mancata apposizione visto Commissario del Governo


PRESIDENTE

Il Commissario del Governo non ha apposto il visto: alla legge regionale del 25/10/1979: "Disciplina delle attività di formazione professionale" alla legge regionale del 31/10/1979: "Disciplina delle tasse sulle concessioni regionali".
Le comunicazioni del Presidente sono così terminate.


Argomento:

d) Mancata apposizione visto Commissario del Governo

Argomento:

Sulla questione delle risposte alle interrogazioni urgenti


PRESIDENTE

Chiede la parola il Consigliere Cerchio. Ne ha facoltà.



CERCHIO Giuseppe

Chiedo di intervenire in ordine alla interrogazione urgente presentata dal collega Bontempi. Mi pare poco corretto che ad ogni notizia di organo di informazione, che possa essere poco simpatica all'esecutivo o al Consiglio, si utilizzi lo strumento dell'interrogazione urgente (questa è datata 5/12 e la risposta avviene il 6/12). Se dovessimo usare questo criterio sarebbero legittimate tante interrogazioni e tante repliche urgenti, cosa che non sempre si verifica stante il fatto che colleghi del nostro Gruppo da mesi hanno giacenti presso l'Ufficio di Presidenza interrogazioni urgenti anche importanti, come quella del collega Picco sugli oneri di urbanizzazione e altre. Vorrei richiamare la corretta applicazione del regolamento, richiedere che le risposte siano tempestive se non vogliamo falsare il corretto utilizzo dello strumento della partecipazione e del dibattito all'interno del Consiglio regionale.



PRESIDENTE

Con l'elenco delle risposte alle interrogazioni la Giunta ha dichiarato di essere disposta a rispondere anche a questa interrogazione urgente. Si dovrebbe, in effetti, attuare rapidamente quella ipotesi suggerita dal Consigliere Picco, e che propongo di attuare entro la prossima seduta di Consiglio, ossia un piano di smaltimento delle interrogazioni dando precedenza a quelle che vengono ritenute urgenti.


Argomento: Delega di funzioni regionali agli enti locali

Dibattito sulla riforma del sistema delle autonomie e sulla finanza locale


PRESIDENTE

Possiamo passare al "Dibattito sulla riforma del sistema delle autonomie e sulla finanza locale".
La decisione dei Capigruppo di dedicare un apposito dibattito consiliare ai problemi della riforma delle autonomie e della finanza locale risponde a un impegno assunto dalle Regioni italiane, durante un incontro tenutosi recentemente a Milano alla presenza dell'ANCl, dell' UPI e dell'UNCEM.
Nel documento approvato al termine di tale incontro si raccomandava infatti alle Regioni di discutere in apposite sedute i problemi della riforma del sistema delle autonomie e quelli della finanza locale e regionale anche al fine di sensibilizzare le forze politiche e la stessa opinione pubblica su un argomento di fondamentale rilievo per il completamento del quadro istituzionale tracciato dalla Costituzione.
L'aspetto più urgente indubbiamente è in questo momento quello dell'assoluta necessità di un'immediata approvazione di provvedimenti legislativi sul riordino delle autonomie locali e sul sistema della finanza locale e regionale in tempo utile per la consultazione elettorale amministrativa prevista per la prossima primavera.
Il Presidente dell'ANCI, Ripamonti rilevava a Viareggio: "Se infatti nell'arco dei prossimi mesi non si giungerà alla conclusione legislativa di tali riforme, v'è il pericolò reale che l'appuntamento elettorale del prossimo anno si possa compiere in un clima di gravissima incertezza e di ulteriore e più generale deterioramento della situazione politica con una conseguente accelerazione della crisi delle istituzioni democratiche." Ed a questo proposito decisivo è l'impulso che l'azione comune di Regioni e Enti locali può esercitare su Parlamento e Governo per verificare ed accelerare l'iter legislativo di una normativa di riforma che affronti in un unico contesto l'aspetto istituzionale e quello finanziario che non possono essere disgiunti.
Perché riteniamo non più procrastinabile la riforma delle autonomie? Non solo perché fra pochi mesi ci attende una consultazione elettorale amministrativa e non è pensabile votare ancora per Enti su cui pesa l'ipoteca di una radicale trasformazione in un clima di incertezza istituzionale non ulteriormente accettabile e non solo perché il mancato riordino comporterebbe di fatto in alcune Regioni, e nella nostra in particolare, il perpetuarsi di una situazione di fatto che per molti aspetti contrasta con un ordinamento giuridico vecchio e ormai incapace di dare risposte adeguate ad una realtà in divenire. Avremmo infatti quattro livelli di governo locale: comunale, comprensoriale, provinciale e regionale con l'accavallarsi di competenze e di funzioni. Ma perché siano profondamente convinti che se vogliamo che la riforma regionale sia completa è necessario giungere, a ben trentadue anni da quando fu votato alla completa attuazione di quello Stato delle autonomie disegnato nelle sue linee fondamentali della Costituzione che è stato attuato in ritardo per quanto riguarda le Regioni ed è stato eluso finora per l'ordinamento locale.
E' questa una condizione indispensabile perché si realizzi la riforma dello Stato. Infatti, o la riforma dello Stato si farà con il rilancio di tutto il sistema delle autonomie, oppure non ci sarà quella superiore efficienza e quella capacità di governo oggi necessari per uscire dalla crisi secondo vie nuove ed inesplorate. O si avanza con decisione nell'attuazione dello Stato delle autonomie o tutta la costruzione dello Stato democratico rifluirà esponendoci anche per questa via all'esasperazione delle spinte corporative, disgregatrici, autarchiche.
Il problema da risolvere è sempre lo stesso: occorre un rinnovamento dello Stato di cui siano protagoniste le grandi masse popolari e le organizzazioni che le rappresentano. E bisogna che siano attuate le riforme di decentramento dei centri decisionali, a livello politico amministrativo, burocratico in modo da realizzare in concreto la partecipazione, che deve finire di essere un concetto astratto di cui tutti parlano per diventare un modo concreto di operare con la gente, di decidere con la gente. E' evidente che solo una rete vitale di autonomie locali pu realizzare questi principi con soluzioni aderenti alle esigenze della collettività. Questa esigenza si ricollega a quella della programmazione che, insieme al decentramento e alla partecipazione, è stata l'idea-guida il cardine dell'iniziativa autonomista di tutte le forze democratiche in questi anni. Questi (programmazione, decentramento, partecipazione) sono stati i fili conduttori che hanno ispirato gli Statuti regionali, la 382 e i relativi decreti di attuazione. Solo facendo leva su di essi potremo riuscire a superare il pericolo di involuzione che si può paventare nell'esperienza autonomistica, sia con l'esasperazione dei localismi sia con la riduzione delle Regioni a cinghie di trasmissione di apparato statale inefficiente.
D'altra parte non si vede perché la riforma non si debba varare: i punti su cui tutte le forze politiche sono d'accordo sono certo ben più numerosi e qualificanti di quelli su cui permangono ancora elementi di contrasto o di disaccordo, almeno a giudicare dai progetti di legge fin qui presentati al Parlamento. Manca - è vero - quello governativo, non più ripresentato in questa legislatura, ma dagli altri possiamo rilevare alcune impostazioni comuni.
Siamo tutti d'accordo che capisaldi dell'ordinamento devono essere le Regioni ed il Comune, e che ci deve essere un ente intermedio.
Siamo anche tutti d'accordo sul ruolo e la collocazione dei tre livelli di governo locale.
Il Comune, inteso come esponente degli interessi della collettività locale è titolare della rappresentatività e responsabilità generale nei confronti della comunità e sede diretta dell' esercizio delle funzioni amministrative in un rapporto ravvicinato con la popolazione.
All'Ente intermedio - si chiami esso Provincia o Comprensorio verranno assegnati compiti di programmazione infraregionale al fine di assicurare una programmazione che non si arresti al livello regionale ma si articoli in ambiti infraregionali attraverso un collegamento tra Regione e Comuni.
Alla Regione restano compiti di legislazione nonché di programmazione e di coordinamento dello sviluppo di tutto il sistema autonomistico. E questo in presenza di una situazione di fatto e una tendenza prevalente anche a livello governativo che considera le Regioni non come Enti autonomi di legislazione e di programmazione ma come Enti amministrativi, erogatori di somme di denaro decise dal centro.
Basta per un momento pensare alle recenti vicissitudini di alcune leggi regionali nostre, e alla tenace persistenza di atteggiamenti che risultano frenanti rispetto alla necessaria fantasia legislativa che deve essere invece la particolarità e in definitiva la ragion d'essere delle Regioni.
Siamo anche tutti d'accordo sul fatto che la legge statale di riforma dovrà essere una legge di principi, che lasci spazio alle soluzioni di dettaglio più confacenti alle situazioni locali; siamo tutti d'accordo sul riconoscimento della autonomia statutaria ai Comuni. Siamo ancora tutti d'accordo sulla necessità di una gestione aggregata dei servizi di un unico ambito territoriale attraverso forme associative fra Comuni.
Proprio queste impostazioni comuni su alcuni contenuti fondamentali dovrebbero porre le condizioni per utili convergenze che facciano superare i momenti di contrasto ancora esistenti, quali la necessità o meno di procedere ad una modifica costituzionale o le modalità di elezione dell'Ente intermedio (elezione diretta o di secondo grado).
Anche per la riforma finanziaria, per la quale per ora siamo solo di fronte a indicazioni di massima e non ancora a un progetto di legge organico, non si può più aspettare. E la vicenda di questi giorni della legge finanziaria lo conferma: i provvedimenti transitori non bastano più.
E per il 1980 mancano anche i provvedimenti transitori. Ma anche qui su alcuni punti credo siano tutti d'accordo. Innanzitutto che per realizzare una vera riforma della finanza locale bisogna attribuire alle autonomie un ruolo positivo nel reperimento delle risorse nazionali, bisogna distribuire tali risorse in modo da superare gli squilibri esistenti tra Nord e Sud tra Comuni piccoli e grandi.
Siamo tutti d'accordo che per uscire dalla crisi occorre dare ai Comuni mezzi per farlo, occorre accogliere la loro richiesta di maggiori e non minori risorse rispetto al tasso di inflazione. Perché il Comune resta l'Ente erogatore della spesa pubblica più rapido, più efficiente e più equo e quindi quello che può più efficacemente incidere positivamente su certe situazioni di crisi.
I problemi che attendono con pressante urgenza di essere affrontati e risolti sono numerosi e gravi: basti pensare all'attuazione della riforma sanitaria, ai problemi energetici, alla casa, ai prezzi, alla droga, ecc.
Se vogliamo che questi problemi siano avviati a soluzione dobbiamo far sì che il sistema delle autonomie locali funzioni con efficienza, che non si sovrappongano iniziative ma si agisca in un contesto organico e con una visione coordinata dei rispettivi ruoli. Per non parlare del terrorismo e dell'ordine pubblico, argomenti sui quali abbiamo tutti ben presente l'importanza e l'influenza che ha rivestito l'azione svolta dalle Assemblee locali per la difesa della democrazia contro gli attacchi eversivi.
Mi paiono queste ragioni più che sufficienti per chiedere con fermezza al Parlamento e al Governo di fare il loro dovere, di farlo presto, di mantenere l'impegno già solennemente assunto di dar vita alla riforma delle autonomie in tempo utile perché diventi operante con le elezioni del prossimo anno. Invitiamo tutte le autonomie locali del Piemonte ad avviare una immediata specifica iniziativa per ottenere lo stesso risultato.
La discussione è aperta.
La parola al Consigliere Calsolaro.



CALSOLARO Corrado

Questo dibattito accelerato, all'europea - come fu quello sul disarmo di qualche settimana fa, che voglio ancora una volta indicare come esempio assai valido di un metodo di lavoro realmente produttivo da parte del nostro Consiglio - ci consente di confermare la nostra ferma convinzione sull'urgenza della riforma istituzionale, dello Stato e della pubblica amministrazione.
Una riforma che, almeno per quanto riguarda la nostra Regione, è già stata avviata da tempo, nei limiti consentiti dal rispetto della norma costituzionale e delle leggi dello Stato che regolano la materia, e che ha portato alla istituzione dei Comprensori - ed alla previsione legislativa della loro concreta partecipazione quali soggetti attivi della politica regionale di programmazione di sviluppo, di organizzazione e di gestione del territorio - e a quella delle Unità locali dei servizi, anticipando le stesse riforme nazionali dell'assistenza e della sanità. Così come la promozione dei Consorzi dei Comuni ed il costante riferimento ad essi nella legislazione regionale sono stati intesi soprattutto come fattore decisivo per il superamento delle diffuse situazioni di polverizzazione comunale esistente nel nostro territorio, nell'esigenza di dare soluzione alla ricerca delle dimensioni ottimali per l'esercizio delle attività relative ai servizi pubblici e sociali. Ci troviamo, a pochi mesi dalle elezioni per il rinnovo dei Consigli comunali, provinciali e regionali, e non è stato ancora risolto il nodo centrale della riforma che è senza dubbio quello della Provincia. Ci sono varie proposte: quella socialista prevede la soppressione della Provincia. Questa soluzione è condivisa dalle forze politiche che concordano anche sull'esigenza di costituire un Ente intermedio fra il Comune e la Regione, e che chiamiamo Comprensorio.
A questo proposito riteniamo che debbano essere evitate le polemiche pretestuose e le mistificazioni incombenti. Il problema non evidentemente, quello della denominazione; ma della sostanza, dei poteri del ruolo, della capacità innovativa. Anche la polemica sulle funzioni (solo programmatorie o anche gestionali, come noi sosteniamo) dell'Ente intermedio rischia di essere una polemica artificiosa o strumentale.
Occorre precisare che nessuno dei progetti presentati prevede solo funzioni programmatorie per l'Ente intermedio, per cui la questione è di vedere quante e quali siano le funzioni di amministrazione attiva che gli debbono essere attribuite. A nostro avviso, si tratta essenzialmente di quei compiti che sono strettamente connessi all'attività di programmazione e che per la loro natura, per la dimensione dell'area interessata, per la volontà stessa dei Comuni, non possono essere gestiti a livello di Comune o di associazione intercomunale.
In questi casi si tratta di compiti che se non fossero attribuiti ai Comprensori rimarrebbero alla Regione, con il pericolo di accentuare alcuni rischi di accentramento regionale che a tratti affiorano. Attribuire ai Comprensorio anche compiti di gestione, precisati e circoscritti è del resto una soluzione che consegua alle riflessioni critiche compiute sull'essenza della programmazione negli anni '60. Il programmare non significa soltanto elaborare studi e predisporre documenti, è indispensabile collegare l'attività di piano con i momenti organizzativi gestionali e procedurali che garantiscono l'attuazione concreta della programmazione. Per questo giudichiamo essenziale l'attribuzione di alcuni precisi compiti gestionali al comprensorio, configurato essenzialmente come Ente di programmazione. Ci sembra invece irrilevante e formale l'osservazione che non chiamandolo Provincia si sarebbe costretti a modificare la Costituzione. E' vero che si manifestano dissensi anche a proposito della dimensione territoriale del Comprensorio e di conseguenza sul numero degli Enti intermedi da prevedere. Ma condizionare la dimensione territoriale dell'Ente intermedio al numero prefissato di Enti da costituire è un errore grossolano. La dimensione ottimale corrisponde ad un'area nella quale siano finalmente riscontrabili caratteristiche economiche, sociologiche, demografiche. La nostra proposta è coerente con i principi della diffusione dei centri di potere, del pluralismo istituzionale, ma vuole anche assicurare l'efficienza dei servizi e degli interventi.
Razionalizzare le procedure, organizzare il sistema, sono obiettivi che vogliamo perseguire mai dimenticando che ogni proposta deve essere finalizzata ad umanizzare gli interventi e a creare un rapporto corretto e democratico con il cittadino. Il disegno di legge del Governo sull'ordinamento dei poteri locali è arretrato rispetto alle proposte dei partiti, è ancorato ad una concezione burocratica tesa ad evitare sostanziali innovazioni, riproponendo in vesti appena aggiornate l'assetto esistente. La provincia del progetto governativo è, così, il prodotto di una mera riverniciatura della Provincia attuale; l'autonomia statutaria ha bisogno dell'approvazione del Ministero dell'interno; gli strumenti di partecipazione democratica riproducono quelli previsti dalle leggi in vigore; e la nuova legislazione non abroga la precedente, ma vi si somma per formare un nuovo testo unico. Noi chiediamo che, insieme a questo, il Governo ritiri anche il progetto di riforma della finanza locale. Pensiamo che il ritiro dei progetti governativi potrà accelerare l'iter parlamentare e consentire tra le forze politiche che hanno presentato proprie proposte di legge un confronto politico e conclusivo. Se avessimo una maggiore fiducia nelle istituzioni oseremmo chiedere che il nuovo ordinamento entri in vigore prima della data di convocazione dei comizi elettorali della prossima primavera. Non dimentichiamo che negli ultimi tre anni la ricerca l'approfondimento, il dibattito politico culturale sono stati ampi e produttivi. E che ulteriori rinvii non dovrebbero essere accettabili. Noi respingiamo la tesi, che trova larga udienza presso alcuni settori della dirigenza politica del nostro Paese, secondo cui i temi della riforma dello Stato, e particolarmente di uno Stato autonomista, debbano essere risolti dopo e non prima della crisi economica. La crisi economica e sociale è anche crisi politica e istituzionale. L'incapacità dello Stato a dare risposta ai problemi del Paese è causata anche dalla inefficienza del suo apparato, accentrato e burocratico. L'organizzazione della pubblica amministrazione non risponde alle esigenze di una società moderna, di una società democratica. La riforma è una realtà che condiziona lo sviluppo economico e sociale del Paese e che può porre le premesse per iniziare una inversione di tendenza nel processo di disgregazione in atto; ma che per queste ragioni non può essere una semplice operazione di ingegneria istituzionale o una mera razionalizzazione dei processi amministrativi. Il problema fondamentale è quello di trasferire i poteri, di decentrarli in funzione dell'autogoverno locale. Solo l'affidare la gestione della cosa pubblica ai cittadini, il coinvolgerli nei processi decisionali e di controllo, consentirà anche in termini di produttività di ottenere risultati diversamente irraggiungibili.
Al centro deve essere riservata la funzione di programmazione e di determinazione del quadro di riferimento per scelte che non vengano calate dall'alto, ma nascano dalla partecipazione dei cittadini ai processi di elaborazione e di decisione.
Il ruolo delle Regioni e dei poteri locali viene così definito non solo nella gestione dei servizi pubblici e nella erogazione di prestazioni, ma anche nella mediazione tra il centro e la popolazione per quanto si riferisce alla domanda di interventi e di servizi, di scelte e di priorità di sviluppo. Un ruolo quindi contemporaneamente di organizzazione della partecipazione, di registrazione del consenso e del dissenso, di sollecitazione di rapporti dialettici fra cittadini, istituzioni rappresentanze di ceti e di interessi diversi.
Le rinunce e i sacrifici, necessari per utilizzare le risorse in funzione dello sviluppo economico e sociale, saranno sorrette dal consenso dei cittadini che avranno assunto le decisioni in modo responsabile e democratico, nella consapevolezza delle motivazioni che le hanno determinate. L'Ente locale, compartecipe in questo modo della programmazione nazionale, avrà dunque anche un ruolo di elaborazione della programmazione economica e territoriale a livello regionale e locale.
L'ormai storico accordo programmatico fra i sei partiti prevedeva oltre all'attuazione della 382, l'avvio della riforma delle autonomie locali, con riferimento specifico al problema della Provincia, con un allegato dedicato alla riforma della finanza locale. Su quest'ultima questione introduceva il tema della situazione deficitaria dei Comuni e delle Province derivante dall'insufficienza dei mezzi finanziari necessari per la copertura delle spese individuando fra le cause prime quelle dell'abolizione della potestà impositiva e della inadeguata corresponsione di "entrate sostitutive". Si concludeva il paragrafo dichiarando "assolutamente indispensabile e urgente" la riforma della finanza locale.
Ad esso seguiva una serie di proposte, fra le quali la garanzia di un flusso di entrate di finanza diretta, al fine di garantire l'autonomia finanziaria dei Comuni. E poi ancora - parlo sempre dell'accordo programmatico - un'appendice "I problemi degli Enti locali" successivo alla diffusione del testo sull'accordo. Sembrava quindi che tanti buoni propositi fossero finalmente destinati ad una sollecita realizzazione.
Abbiamo sostenuto in questo Consiglio, in occasione dei dibattiti sulla 382 e sulla sua attuazione, lo stretto collegamento esistente fra il trasferimento dei poteri alle Regioni ed una nuova legge sulle autonomie accompagnata dalla riforma sulla finanza locale - che potesse dare finalmente corpo a quella Repubblica regionale delle autonomie che è configurata nel quadro costituzionale e che si è venuta progressivamente delineando con precisi contorni in questi trent' anni di vita democratica.
Nonostante tutto continuiamo ad avere fiducia nel senso di responsabilità delle forze democratiche che sia pure da versanti diversi ma non necessariamente contrapposti, rappresentano la comunità nazionale e che insieme devono concorrere per dare al Paese un nuovo ordinamento dei poteri locali che sia l'effettiva espressione di uno Stato moderno civile e democratico.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bianchi.



BIANCHI Adriano

Il tempo corre veloce verso la scadenza elettorale del 1980 e la nostra sensibilità politica avverte che la somma gravosa di problemi economici sociali e civili che incombono sul Paese, le difficoltà che vi sono a governarli, la stessa insicurezza personale e collettiva, per la violenza diffusa come una pestilenza e la stessa precarietà della pace mondiale non ci esonerano dal ricercare un momento che sappia fondere la riflessione che sappia collegare alla volontà la capacità di decidere, di concludere un passo di consolidamento, di avanzamento del nuovo stato delle autonomie, di approdo della riforma degli Enti locali nella convinzione che la certezza l'efficienza e la partecipazione comunitaria, che può derivarne contribuiranno a dare risposte positive alle angosce esistenziali e sociali che ci turbano.
Del resto, la storia ci ha insegnato che le riforme più significative e più durature sono state compiute in condizioni precarie, in tempi ristretti e di fronte all'incombere di problemi e di situazioni di grande emergenza.
I grandi mutamenti economici, culturali, di costume, di aggregazione è di dislocazione, di mobilità fisica, professionale persino psicologica delle popolazioni di questi decenni di democrazia (decenni che coi loro frutti amari sono però da ascrivere al progresso e all'ascesa del nostro Paese) hanno creato una enorme domanda di servizi, di prestazioni, di interventi hanno mutato i connotati qualitativi e quantitativi della tradizionale area di intervento pubblico, hanno sottoposto le strutture pubbliche, lo Stato e gli Enti locali a pressioni o a decompressioni, si pensi alle aree metropolitane, alle aree montane, e di spopolamento, che sono divenute intollerabili per le istituzioni che non riescono a fronteggiarle e per i cittadini che vi vivono che non riescono ad ottenere efficienza di servizio e non sono tramite per esprimere le proprie esigenze.
La riforma regionale, che pure ha costituito la risposta centrale e dominante sia alle sollecitazioni costituzionali derivanti dalla ricerca di una più adeguata identità tra la storia e la cultura politica del Paese e le sue istituzioni, sia alla infrenabile perché positiva domanda emergente concorse a scatenare un processo di modificazione che vede lo svuotamento di istituti, come la Provincia, e la ricerca affannosa, che rischia di divenire caotica, di strumenti nuovi per dare risposta alle questioni incalzanti delle pletoriche aree metropolitane e delle esangui aree periferiche. Comunità montane, distretti scolastici, Unità Sanitarie Locali, Unità Locali dei Servizi, consorzi settoriali di tutti i tipi ed infine la valida ed importante acquisizione, almeno per la nostra esperienza, dei Comprensori, ma diversamente concepiti e disegnati nelle altre regioni fino a verificarne il significato, hanno costituito una esplosione vitale e fantasiosa, che rischia però di approdare, se lasciata procedere così, nella confusione ingovernabile o nella burocratizzazione onerosa e paralizzante fine a se stessa.
Noi avvertiamo l'esigenza non comprimibile di uno sbocco, di un assestamento, di un disegno di certezza giuridica, di competenze, di poteri, di autentica democraticità e partecipazione responsabile, di agilità e di semplificazione, di possibilità di orientamento per il cittadino e le forze sociali, di chiarezza di procedure. Occorre rendere meno vaganti ed inafferrabili le sedi delle competenze e delle responsabilità decisionali ed operative del potere pubblico, proprio perch è democratico.
Tutto questo è possibile e doveroso. Questo è certamente uno dei banchi di prova, non mistificabili né strumentalizzabili di una solidarietà di fondo e di una volontà che è esprimibile, quali che siano le collocazioni che nel tempo contingente le forze politiche assumono, di una solidarietà di fondo e di una volontà costruttiva e di salvezza che le forze politiche e sociali del Paese devono saper tempestivamente esprimere.
Le elezioni del 1980 non devono soffrire, oltre a tutte le altre cariche di significati che si scateneranno nell'occasione di una consultazione elettorale, della frustrazione che sarebbe generata dal conferire rappresentanza democratica ad Enti che sono palesemente in stato di stallo, incerti sul proprio avvenire o sulla propria funzione, o ad Enti, pur vitali e fondamentali quali i Comuni e le Regioni, ma che sono in parte bloccati, spesso per opposti motivi, nelle prospettive della propria azione ed incidenza e che soffrono di crisi di identità, perché non riescono a raggiungere un assestamento nella loro collocazione nel quadro istituzionale del Paese. Per la Regione Piemonte è un rischio specifico che ha dedicato da decenni una lunga elaborazione alla identificazione della realtà comprensoriale e alla loro funzionalità rispetto ad una politica delle autonomie fondata sulla programmazione partecipata, basata sulla conoscenza dei problemi, sulle reali dimensioni socio-economiche territoriali dei medesimi, vi è il rischio gravissimo di vedere in uno stato di mora, quali sono necessariamente collocati, deperire anche queste vitali intuizioni e quindi vanificare un contributo che è stato importante.
Non si tratta, in pochi mesi, di attuare una riforma completa, minuziosa che ritagli i nuovi abiti per tutte le nostre istituzioni, ma di compiere quel necessario atto di avvio non reversibile che nella nuova concezione dinamica delle autonomie, da costruirsi per Statuti, aprono un varco alla costruzione creativa del nuovo ed insieme alla richiamata prospettiva esigenza che io sento vivamente espressa a tutti i livelli nella nostra comunità, di certezza e di stabilità di approdo che non è riflusso, non è aspirazione alla conservazione ma che deve essere colto quanto più le forze democratiche sono proiettate verso il futuro perché questo non venga strumentalizzato da forze conservatrici o addirittura reazionarie divergendo legittime aspirazioni che sono nel popolo e nel Paese, di avere degli approdi di certezza, di stabilità del diritto, del modo di esprimere la propria attività politica e di esercitare il controllo su ciò che si fa.
Non siamo del resto all'anno zero, alla astrattezza di aspirazioni e di disegni vaghi; siamo in un Paese che ha strutture statuali ed amministrative fragili, spesso fragilissime, ma forse anche per questo e per gli stimoli che ne derivano, siamo un Paese che ha una tradizione di scienza giuridico-amministrativa tra le più prestigiose del mondo. Il dibattito a tutti i livelli di partito, di istituzioni politiche ed accademiche, negli Enti locali e nelle loro associazioni dura serrato su questa materia almeno da dieci anni con orientamento specifico alle soluzioni. In Parlamento sono presenti disegni di legge presentati dalle principali forze politiche, disegni che hanno subìto modifiche ed aggiornamenti sotto la spinta del confronto fra le parti e nelle verifiche con la realtà. Le posizioni si sono fortemente avvicinate e su alcuni punti appaiono differenziate più sul piano nominalistico che su quello sostanziale. Vi faceva cenno poc'anzi il Consigliere Calsolaro. Il Presidente del Consiglio ha già rilevato molti punti di convergenza tra i vari progetti, quale prova di maturazione ai fini decisionali della questione. Queste nostre prese di posizione, più che una comoda sollecitazione ad altri, fuori da noi, è una assunzione di impegno. Vuole essere la prova della coscienza che le forze politiche, gli Enti ad un certo livello hanno dell'urgenza di una decisione che va resa compatibile però con i comportamenti politici di tutti e di ciascuno, perché non si produca il solito processo di chiedere perentoriamente le cose facendo poi venir meno le condizioni perché si realizzino. Questo non è detto particolarmente a nessuno, ma è detto a ciascuno di noi, è motivo di meditazione.
La Democrazia Cristiana è impegnata con la sua tradizione. Il pensiero dei suoi fondatori, l'indirizzo storico del movimento democratico cattolico in questa direzione, il suo apporto in questa materia in sede costituzionale é, almeno in questa sede, ampiamente nuovo.
Ricordo alcuni punti nei quali si esprime la coerenza nel tempo e lo sbocco per le soluzioni oggi proposte al di là della ingegneria costituzionale specifica e del nominalismo, settori nei quali vi sono ampie disponibilità e non vi sono sicuramente rigidezze. Innanzitutto il principio del pluralismo istituzionale attraverso il quale realizzare lo stato delle autonomie (Comuni, Ente intermedio e Regione), flessibilità delle forme di governo delle autonomie anche per i contenuti e per le competenze ai ruoli che sono loro assegnati e quindi la differenza che pu esservi tra i ruoli delle Comunità montane e di Enti intermedi di questo livello e ruoli, i compiti e le funzioni delle autonomie che si esprimono nelle aree metropolitane. Il concetto della continuità nel senso di rifiutare una distinzione netta tra Enti di programmazione ed Enti di gestione, noi riteniamo che sarebbe veramente esiziale ai fini delle autonomie il distinguere nettamente tra Enti di programmazione ed Enti di gestione; ogni momento di autentica autonomia politica, di autonomia funzionale è un momento di partecipazione a ciascuno di questi processi per cui è Ente di programmazione il Comune, è Ente di programmazione l'Ente intermedio, è Ente supremo di programmazione la Regione, così come non è Ente soltanto di gestione il Comune e non lo è soltanto la Provincia e lo è pochissimo, ma può esserlo per i giusti livelli, anche la Regione. Questa continuità nell'esercizio della pienezza dell'azione politica nel quadro di una programmazione che non è accentuata solo sotto gli aspetti economistici, ma che investe l'intero assetto sociale, culturale, politico umano nei rapporti con il territorio consente di definire il diverso grado con dimensioni qualitative dei vari momenti di gestione. Teniamo presente che il momento della gestione dei servizi per alcuni sarà più accentuato a livello comunale o intercomunale che non a livello regionale, mentre per altri sarà più accentuato a livello dell' Ente intermedio.
Infine il principio della elezione diretta per ciascun livello.
Sappiamo quanto, ad esempio, sul problema delle deleghe sia stata incerta incensurata, tribolata la vita delle Regioni; ad una volontà sincera nel complesso di andare verso l'istituto delle deleghe, si è contrapposta una difficoltà alla quale ci sono state delle risposte che se, protratte nel tempo, comporteranno delle gravi conseguenze, creando degli interlocutori dei soggetti per la delega, quali certe forme di Consorzi che diventano di fatto espropriativi delle autonomie, delle libertà minori che diventano elementi di burocratizzazione e che diventano elementi di tentazione di un centralismo surrettizio e strisciante che finisce per colpire al cuore la stessa natura autonomistica dell'Ente delegante.
L'elezione diretta dovrebbe risolvere il problema che è stato posto dalla nostra esperienza comprensoriale. Cosa ci proponevamo attraverso il Comprensorio dopo avere identificata la giusta dimensione per la soluzione di una serie di problemi, se non di trasferire verso la periferia, verso nuovi livelli di autonomia parte delle competenze regionali e nello stesso tempo di chiamare a partecipare all'attività di programmazione le realtà dei Comuni? Questa intuizione, questa impostazione di principio resta valida, ma va trasfusa in Enti aventi personalità diretta che consenta il controllo e l'autonomia e anche un rapporto, un dialogo fra pari a diversi livelli di competenza, affinché l'attività primaria della Regione di legislazione, di indirizzo e di programmazione si compia senza essere ad espropriazione delle autonomie e delle rappresentanze o senza indurre estraniazione delle stesse. Reclamiamo o proponiamo alla meditazione ulteriore delle altre forze politiche l'esigenza di un assetto istituzionale proprio per la montagna; la specificità dei problemi di questo mondo si accentua attraverso l'evoluzione socio-economica indotta dallo sviluppo industriale e dalle trasformazioni. Certo le dimensioni dell'istituzione, i contenuti, i modi di raccordo hanno da essere ulteriormente definiti. E così per le aree metropolitane; trascurare questa specificità delle aree metropolitane in un momento di riforma potrebbe essere esiziale. Per le deleghe ho già detto che queste non possono avere che soggetti a piena capacità di diritto, a piena capacità di rappresentanza politica. Una legge quindi di principi e di garanzie di omogeneità. In deferimento secondo principi chiari che non consentano di fare del Paese un arlecchino politico, ma di valorizzare i diversi apporti culturali e di tradizione e di cultura realizzabile attraverso gli Statuti che ogni Ente o ogni livello di ente potrà costruire. Il problema dell'Ente intermedio è virtualmente superato nella drammaticità della sua esposizione ad un certo punto del dibattito politico. Si chiamerà Provincia per non dover affrontare una riforma costituzionale, quella che pare sia comune patrimonio culturale di tutti noi, sarà l'Ente che per dimensione, per definizione, per contenuti di competenza ha identificato questa Regione prima ancora della sua costituzione nel corso dei suoi lavori nel Comprensorio. La Provincia- Comprensorio o Comprensorio-Provincia ad elezione diretta. Riteniamo che se nella instabilità generale vi sarà sufficiente stabilità politica, se ci sarà pazienza e gradualità nel proporre anche le proprie e insopprimibili esigenze da parte delle forze politiche e il riconoscimento che attraverso momenti di grande concretezza e di convergenza istituzionale si possono preparare anche le soluzioni future di corretti rapporti istituzionali, di corretti rapporti fra le forze politiche, c'è lo spazio per una decisione che consenta agli elettori di andare a votare nel 1980 non solo per fare in modo surrettizio una verifica di forza e una conta sugli schieramenti politici, ma anche la prospettiva costruttiva creativa ottimistica che ci fa entrare negli anni '80 con strumenti nuovi da costruire, attraverso i quali dare risposte nuove ed efficaci a problemi vecchi.
Credo che anche la qualità elettorale ne sarebbe fortemente influenzata e questo che con tutta serenità rivolgo per la mia parte alla mia parte politica e a quanti la rappresentano ed esprimono ai vari livelli, questo nostro appello che è accorato, così come ciascuno di noi fa la propria parte senza strumentalizzazioni. C'é stata la giornata indetta per sollecitazione delle Regioni, dell'ANCI, dell'UPI e delle varie organizzazioni degli Enti locali avendo riferimento anche ai problemi finanziari. Non sono un esperto - lo sapete - mi pare però di poter constatare e ricordare alcune cose salvo le precisazioni che potremo fare in un secondo momento, e cioè che esiste a livello pubblico un drammatico problema di contenimento della spesa. Sono d'accordo e in disaccordo nello stesso tempo con l'affermazione del Presidente del Consiglio che bisogna aumentare gli stanziamenti, il deferimento di risorse ai Comuni ben al di là di quanto lo richieda la svalutazione monetaria per consentire loro di adempiere ai compiti di istituto.
Nel quadro degli automatismi in atto, che hanno sanato in certa misura la drammaticità della situazione finanziaria dei Comuni (sappiamo che ci sono anche ampie disponibilità di residui passivi presso i Comuni) bisogna invece contenere fortemente questo intervento al di sotto del tasso di inflazione monetaria. Bisogna poi pensare in sede di riforma semmai a dislocazione di risorse molto più ampie corrispondenti a nuovi compiti, a nuovi interventi, a trasferimento di attività dal centro alla periferia dallo Stato ai Comuni, dalla Regione all' Ente intermedio e così via.
Dobbiamo intenderci bene, perché non può esserci un gioco di scarica-barile per cui ciascuno, e avviene poi a livello di forze sociali, tende a scaricare sugli altri le misure al fine di risanare la situazione economico finanziaria del Paese. Entro questo quadro, entro la constatazione della sdrammatizzazione in termini ordinari della situazione finanziaria degli Enti locali, stanno dei problemi serissimi che riguardano ad esempio i termini per il ripiano dei bilanci e cioè la necessità di cassa dei Comuni che creano (leggevo sul giornale "24 ore" di ieri articoli a questo riguardo) forti motivi di apprensione, ma, ritengo, possono trovare tempestiva risposta. Così come è presente a tutti l'esigenza più ampia della riforma della finanza locale sì da fare degli Enti della autonomia dei momenti anche di esercizio attivo della facoltà di identificare le risorse presenti nel Paese e di compiere i prelievi al fine di destinarli al bene comune. Non vi è autonomia significativa senza un minimo di partecipazione, senza un ruolo significativo nella ricerca delle risorse nell'assunzione di responsabilità nell'effettuare i prelievi perché questo comporta la responsabilità di dimostrare ai cittadini che se n'è fatto buon uso. E' un momento significativo questo. Spesso siamo sballottati tra la tentazione di sentirci protagonisti rispetto a problemi importanti e la frustrazione di cogliere il significato quasi conclusivo in affermazioni verbali. Credo invece che se questa mobilitazione della opinione pubblica nazionale attorno a questi problemi sarà compiuta in modo corretto contribuiremo efficacemente a far fare un passo avanti alle nostre istituzioni e con questo un passo verso la soluzione dei problemi che ci preoccupano.



PRESIDENTE

La parola alla dott.ssa Castagnone Vaccarino.



CASTAGNONE VACCARINO Aurelia

Signor Presidente, signori Consiglieri, non vi è amministratore o cittadino in quanto utente che subisce le conseguenze delle leggi varate che non avverta le difficoltà di questi ultimi anni nate da una serie di leggi che hanno profondamente riformato la struttura delle autonomie locali senza tuttavia dare né la certezza né un quadro di riferimento.
La legge 382 e il decreto presidenziale n. 616 hanno dato un alto numero di attribuzioni autonome ai Comuni, ma hanno anche dato dei compiti che non sempre le strutture comunali sono in grado di soddisfare. Questa situazione è molto sentita in Piemonte che conta ben 1209 Comuni, alcuni dei quali con un numero di abitanti che non potrebbe essere compatibile nemmeno con una frazione di Comune. Altre leggi poi continuano a dare attribuzioni e compiti ai Comuni. La legge di riforma sanitaria n. 833 aumenta la confusione e l'incertezza istituzionale quando, per esempio nomina "di striscio" l'istituto dei comuni associati, che in realtà nessuno sa che cosa siano. Si aggiunga il continuo sovrapporsi di istituzioni.
Abbiamo avuto l'istituzione delle Comunità montane, delle circoscrizioni comunemente conosciute da tutti come quartiere, la creazione dei Comprensori che è diversamente articolata da Regione a Regione, dei distretti scolastici e abbiamo invece vecchi istituti, come i Comuni e in parte le Province che hanno visto aumentare i loro poteri, malgrado le loro strutture non fossero in grado di far fronte ai nuovi poteri loro attribuiti. Il partito repubblicano da dieci anni chiede l'abolizione della Provincia proprio per avviare la discussione sulla riforma istituzionale e sui rapporti fra lo Stato e gli Enti territoriali, e locali. Dal momento in cui i repubblicani proposero l'abolizione della Provincia ad oggi, il discorso è andato molto avanti; i repubblicani non chiedono più quello che chiedevano un tempo. I Comprensori che inizialmente erano visti come momento esclusivamente programmatorio dai repubblicani sono visti oggi anche come momento gestionale.
Particolare attenzione è stata posta alla nascita dei Comuni metropolitani, al problema dell'elezione diretta del Sindaco delle aree metropolitane e al problema della elezione diretta o all'elezione di secondo grado dei Comprensori. Questi problemi possono essere discussi con le altre forze politiche per trovare una soluzione, che deve essere urgente, perché non si può accettare che il Parlamento continui a votare leggi che creano nuovi istituti, però non inquadrati nella riforma generale. Le Regioni oggi sono costrette ad un tipo di legislazione che, a seconda del Governo in carica, può essere considerata in contrasto o meno con le indicazioni nazionali.
Tutte le riforme di carattere istituzionale non dovrebbero essere fatte a maggioranza. Ci auguriamo che il dibattito in corso veda l'accordo di tutte le forze politiche; nello stesso tempo, questo accordo però deve essere rapido perché se esso dovesse spostarsi nell'arco di venti anni e nel frattempo dovessero essere fatte nuove leggi che prevedono nuovi istituti o nuovi compiti per gli istituti vecchi senza un adeguamento legislativo vedremmo il fallimento e il disfacimento delle autonomie che tutti vogliamo difendere, ma che possono essere "ammazzate" per carico di lavoro e non soltanto per carenza di potere decisionale.
Ci preoccupano un eccessivo divisionismo, il disperdersi delle strutture del Paese, una tomizzazione che non ha raccordi a nessun livello né di carattere programmatorio né di carattere gestionale.
Questi problemi si riflettono anche sulle leggi finanziarie e non possono essere l'altra faccia di una medaglia che vede andare e venire dei contributi che il cittadino versa allo Stato e che da questo vengono devoluti.
Si legifera in una condizione di non certezza, si rischia di dover continuamente mutare le nuove strutture che le Regioni creano, si ripercuote a tutti i livelli di autonomie, a livello di provincia che non sa fino a che punto resterà tale e ai Comuni oberati di compiti esorbitanti per le loro possibilità.
Le elezioni sono ormai troppo vicine perché i partiti dell'arco costituzionale possano arrivare ad un accordo su una legge quadro nazionale. Possiamo invitare il Parlamento ad affrontare, possibilmente prima delle elezioni, questo argomento. Andremmo tutti a votare con un altro stato d'animo e in altre condizioni e i nuovi legislatori regionali avrebbero altre premesse per la prossima legislatura, se questo quadro nazionale potesse essere chiaro e se la legislazione regionale potesse rispondere con chiarezza alla crisi nazionale.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Bontempi. Ne ha facoltà.



BONTEMPI Rinaldo

Signor Presidente, un dibattito di questo tipo richiama la suggestione pressoché immediata di una trattazione molto ampia. Elementi di fondo della crisi della nostra società e del nostro Paese sono strettamente interrelati con le questioni dell'assetto istituzionale. Mi rendo peraltro conto che la volontà che abbiamo messo tutti nel programmare un dibattito che avesse un respiro adeguato ma anche un durata limitata, deve far scegliere qualche punto d'approccio per limitare l'intervento nei dieci minuti per poi svolgere gli altri punti all'ordine del giorno.
Vedrò di affrontare tre questioni distinte. La prima è la necessità che oggi si pone di riprendere con la dovuta energia e direi con la dovuta convinzione il dibattito e, io spero anche lo sbocco del dibattito, sulla riforma delle autonomie, per due ordini di motivi: il primo è che se guardiamo al passato anche a questi ultimi due anni, io credo di non dire niente di troppo nell'affermare che la governabilità del Paese, nonostante tutto, è stata soprattutto assicurata dalla presenza delle assemblee elettive. Io ricorderei per tutte, e ha fatto bene il Presidente a ricordarlo, qual è stato l'impegno, per esempio, delle autonomie locali in Piemonte su una questione addirittura cruciale, preliminare rispetto a tutte, quella della violenza e del terrorismo; e non è stata una presenza solamente di bandiera, di parata. Per esempio, mercoledì prossimo abbiamo un appuntamento importante in cui andrà ricordato che anche su questo tema una funzione di governabilità, un contributo alla governabilità del Paese le assemblee elettive l'hanno assicurato.
Ma potrei fare molti altri esempi. Soprattutto potrei ricordare quello che amici francesi mi dicevano non molto tempo fa: ci interroghiamo, mi dicevano, sul vostro Paese che è indubbiamente, per tanti versi, vicino allo sfascio, in una situazione di non governo, di instabilità continua comunque, rispetto alla Francia, che ha tutta una sua tradizione e anche forme istituzionali molto più certe, è in qualche misura e per certi aspetti tuttora governato bene. Mi sono stupito di questa affermazione ma credo che fossero convinti che la presenza della rete delle assemblee elettive, come perno centrale del sistema delle decisioni e di riferimento dei cittadini, fosse un elemento importante. Certo, ci sono dei limiti, ci sono dei problemi in questa fase in cui la definizione non è ancora avvenuta per molti Enti, per le varie aggregazioni, per i consorzi, per i rapporti tra momento di decisione consortile e momento di democrazia. Per credo che il vero significato della governabilità stia nel principio ispiratore della riforma che è venuto avanti con le lotte, con le iniziative di questi anni. E' un dato nuovo e peculiare al nostro paese la centralità delle assemblee elettive, la centralità delle magistrature elettive rispetto alle burocrazie, rispetto ai corpi separati, rispetto alle tecnocrazie. Non è una battaglia vinta intendiamoci; è però un livello del dibattito a cui si è giunti, con ampia convergenza delle forze politiche, che ha portato nel nostro paese una peculiarità di riferimento per tutte le classi sociali emarginate. Mi sembra che non ci sia una coscienza sufficientemente diffusa dell'emergenza nazionale e della necessità di dare delle risposte. Di fronte a questi momenti ci può essere il rischio di dire una cosa per farne un'altra, di intendere cioè la riforma del sistema delle autonomie come un possibile tentativo di ripristinare delle soluzioni che noi diciamo centraliste, tecnocratiche che portino a una minore dispersione ma soprattutto ad una fondamentale separatezza rispetto a quel punto focale della riforma che è stato uno degli elementi di acquisizione di questi anni.
L'avvio dei comprensori e dei consorzi socio-sanitari ha prodotto su una serie di questioni risultati di efficienza. In un momento in cui è gravemente in crisi il comando legislativo a causa di una logorata fiducia del cittadino verso lo Stato, alla nostra scelta coraggiosa di affidare a livelli istituzionali decentrati, in modo di rafforzare la loro presenza e la loro consistenza come organi politici di programmazione è venuta una risposta di grande interesse nella nostra Regione. Non dico che la riforma nazionale debba ricalcare totalmente la nostra esperienza. I disegni di legge attualmente in discussione tra i vari partiti si discostano dalla nostra esperienza, però vorrei che ne rimanesse il nucleo che ha dimostrato di saper funzionare e che qui soprattutto, coi fatti, con le leggi e con i comportamenti si sono anticipate delle questioni che a livello nazionale sono state poi recepite e suggerite (mi riferisco per esempio, al documento Giannini sulla pubblica amministrazione). Il nodo ritorna alla programmazione che noi abbiamo avviato in modo sperimentale. Forse sarebbe utile se il Vicepresidente Bajardi, Simonelli, Martini e Rossi riferissero, magari in seduta di Commissione, sull'incontro a Roma con la Commissione del Senato per gli affari costituzionali sui rapporti Regione Stato in ordine alla programmazione.
Le nostre esperienze sono spesso snobbate all'interno dei vari partiti e questo è un grave errore di prospettiva, perché la programmazione continua ad essere elemento fondamentale attorno cui aggregare compiti e funzioni delle assemblee elettive in ordine alle grandi questioni anche del governo dell'economia e della società.
Gli elementi che questo Governo sta introducendo nel dibattito politico e attraverso i suoi atti e i suoi comportamenti sono nettamente in contrasto con questi orientamenti. Sono fortemente preoccupato che la debolezza produca oltre all'inazione un tentativo di smontaggio di un sistema che va definito e precisato. Il Comune è Ente generale, è Ente di programmazione; l'Ente intermedio ha "prevalentemente" funzioni di programmazione e così la Regione.
Dobbiamo intendere la programmazione soprattutto come messa in campo attraverso un rapporto corretto tra i vari livelli, delle forze e anche delle autonomie in ordine ai problemi della nostra economia. Allora, tutti gli interventi che cerchiamo di avviare in questo senso, vanno considerati non solo come patrimonio culturale di una esperienza a metà, ma come acquisizioni positive per le stesse conclusioni legislative del Parlamento.
Concordo pienamente con l'introduzione e con i concetti espressi dai colleghi, auspicando e premendo politicamente perché la legge di riforma venga approvata prima delle elezioni.
Propongo, con tutta la preparazione necessaria e con il respiro opportuno, un dibattito ampio sulla esperienza istituzionale dei Comprensori. E' una verifica che dobbiamo alla comunità, agli amministratori che hanno operato nei Comprensori.
In altri termini, propongo che a gennaio vengano congiunte nella discussione l'attuazione del Piano di sviluppo, una prima discussione sulle risultanze della programmazione comprensoriale e un'analisi globale dell'attività dei Comprensori.
Vengo alle questioni finanziarie. Abbiamo presentato una proposta di ordine del giorno che parte dalle preoccupazioni dei Comuni, delle Province, delle loro associazioni, causa il mancato versamento nei tempi di legge del contributo loro spettante per il pareggio dei bilanci, tenendo conto soprattutto che l'attuale disciplina provvisoria della finanza locale è scaduta. La legge finanziaria su cui siamo fortemente critici nei confronti del Governo, visto le sorti che sta subendo in Parlamento recepiva anche queste norme per i Comuni. Contrari nel metodo e nel merito proponemmo uno stralcio delle norme per i Comuni. Se non si arriva ad una soluzione del genere avremo, dei grossi problemi proprio perché dal 1 gennaio 1980 può essere messo in pericolo il versamento ai Comuni del contributo spettante per il pareggio dei bilanci, ma anche la mancanza di riferimento per la formazione dei loro bilanci. Chiedo la votazione dell'ordine del giorno e che questo dibattito si concluda con una presa di posizione su questo argomento.



BELLOMO EMILIO



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE BELLOMO

La parola al Consigliere Marchini.



MARCHINI Sergio

Il Presidente della Giunta, se fosse presente, direbbe che l'intervento dei colleghi e l'introduzione del Presidente ci hanno dato un affresco della collettività nazionale, regionale e locale, diverso da quello che siamo abituati a leggere e a vedere negli schermi televisivi.
Le forze politiche, e i colleghi che sono intervenuti a nome loro hanno in sostanza fatto una notazione di fondo: siamo di fronte a una collettività che chiede l'accesso a quantità e qualità di servizi e una partecipazione più responsabile e diretta all'attività politica, quindi l'accesso alla democrazia.
Siamo di fronte a due parametri positivi che non sono indicatori di una società in crisi, ma di una società che lavora pur nei contrasti, che vuole crescere, che vuole partecipare, che vuole migliorare. Se la volontà di maggiore partecipazione è un dato riconosciuto, la volontà di essere destinatari di più qualificati servizi esiste, significa che il nostro Paese, pur nelle difficoltà, nelle lotte, nelle miserie, in questi trent'anni non ha prodotto soltanto mal costume e scandali, ma ha fatto fare un salto di qualità di vita tale che i cittadini sono nei confronti della società dei richiedenti e non dei lamentanti. Questo ci fa dire che dobbiamo porci di fronte a questi problemi con fiducia e ottimismo e dobbiamo riconoscere le qualità dei nostri concittadini, a prescindere da elementi di crisi gravi e preoccupanti, ma che sono probabilmente elementi di crisi di crescita e elementi di crisi di un momento di reazione.
Questo è il punto che divide il sottoscritto da alcuni colleghi.
E' chiaro che da parte della collettività e delle forze politiche si ritiene che questa domanda di servizi più puntuale e più qualificata e di momenti di partecipazione alla vita del Paese, al colloquio politico, alla democrazia significhi anche una diversa collocazione dei poteri istituzionali sul territorio.
Come liberale non posso che convenire sulla necessità di arrivare a una riforma delle autonomie che punti soprattutto sul concetto di autonomia. La mia non è una affermazione retorica e non chiama a testimoni gli atti parlamentari, ma chiama a testimone la realtà anglosassone che viene riconosciuta come il modello più compiuto di una democrazia moderna anche quando, come rimproverava il Presidente Sanlorenzo, fa sì che sei milioni di liberali abbiano solo 4 deputati! Questo non significa assolutamente niente.
In quel tipo di democrazia, la partecipazione alla vita politica del cittadino è massima proprio dove si aspetta risposta in termini di servizi in altri termini, è massima laddove, per esempio, si tratta di nominare gli organismi comunali, ed è minima, o comunque minore, laddove si tratta di una tematica di tipo politico generalizzato. Se andate a vedere le differenze di percentuale degli elettori statunitensi per le elezioni degli organi comunali e le elezioni del Presidente della Repubblica, vedrete come questa è una realtà, quindi non si scandalizzano gli statunitensi quando il nuovo Presidente viene eletto da un numero di elettori che non va oltre il 60-65% del corpo elettorale. Se questo avvenisse in Italia grideremmo al partito delle schede bianche e dell'astensione. Quello è un paese che ha saputo dare al cittadino i suoi momenti di impegno e di partecipazione e soprattutto ha imposto alla struttura dello Stato dei momenti precisi di verifica e di responsabilità nella prestazione di precisi servizi ai cittadini.
Certamente puntiamo sulla autonomia comunale, riconosciamo la necessità di un riequilibrio è di una ridefinizione dell'Ente locale intermedio.
Riconosciamo anche che, in un momento in cui sembrano prevalenti i motivi di ordine economico e di ordine pubblico, cure maggiori dovrebbero esserci che non quelle istituzionali; diciamo invece, come diceva giustamente il Consigliere Calsolaro e lo sottolineiamo concordando, che proprio in momenti di questa gravità la ristrutturazione della società in termini più funzionali rispetto alle domande evidentemente è la condizione sine qua non per pervenire al soddisfacimento delle stesse esigenze in termini più puntuali.
Non si può non avvertire il rischio che questa volontà di rifondazione istituzionale molte volte nasconda l'incapacità di affrontare problemi di tipo immediato e che soprattutto tenda a porre, in termini successivi nel tempo, il momento di approfondimento dei temi stesso. La polemica a livello nazionale sul Presidente della Repubblica mi pare che abbia fatto scuola su questo. Non è certamente questa la sede, anche se probabilmente il tema del dibattito odierno avrebbe trovato una sua più puntuale anche se più ridotta e contenuta specificazione sulla battaglia che si è fatta dall'opposizione non dalla mia parte privilegiata ma dalla Democrazia Cristiana, sulla funzione dei Comuni nell'ambito della formazione professionale. Forse lì si deve andare a vedere veramente dove la volontà autonomistica del riconoscimento delle funzioni degli Enti locali è un impegno di partiti e una volontà politica e dove è soltanto occasione di strumentalizzazione.
Non si può poi barattare e trasformare tutta la problematica dello Stato nel problema delle strutture dello Stato. Pensare che lo Stato cresca attraverso la ristrutturazione delle autonomie significa anche continuare a conservare e a creare, per chi non ce l'ha a sufficienza, il senso dello Stato. Certamente non mi sembra che sia in questa linea l'affermazione alla pagina tre della relazione introduttiva, firmata dal Presidente del Consiglio regionale (non dal Consigliere Sanlorenzo), laddove, dice che quello che occorre è "il rinnovamento dello Stato di cui siano protagoniste le grandi masse popolari e le organizzazioni che le rappresentano". Orbene questo, a mio avviso, urta con il senso dello Stato perché il rappresentante di un'assemblea può fare un'affermazione sua o di partito ma questa non è l'opinione del Consiglio regionale. Noi, che abbiamo un po' di rispetto per la lingua italiana, sappiamo che il termine 'protagonista' non sopporta, per esempio, gli aggettivi "più, migliore, principale": protagonista è un sostantivo che tende a essere pronunciato da solo, a fronte del protagonista c'è il coprimario, non c'è un altro protagonista.
Questa visione della società ideale, una nuova città di Dio in terra, di cui sarebbero protagoniste le grandi masse popolari e le organizzazioni che le rappresentano, sapendo che in questa società non sono tutti presenti non tutti hanno partecipazione politica e forza decisionale. Queste organizzazioni, quali protagoniste, che riducono a comprimarie tutte le altre componenti della società che non si uniformino a masse popolari o a organizzazioni che le rappresentino, mi sembra una visione di società estremamente manichea, poco pluralista, poco liberale, che la mia e altre forze politiche respingono in questa sede perché toglie al dibattito quella serenità e quel taglio di asciuttezza ai quali veniamo sempre richiamati.
Come forza politica impegnata su questi temi in punti precisi a livello parlamentare, non a livello di Governo perché non c'è scritto nella relazione del Presidente il Governo non ha un proprio progetto in materia (non capisco le frecciate contro il Governo dell'unico partito di opposizione qui presente, il Partito Comunista) ribadisco l'impegno del mio partito a continuare la battaglia che insieme ad altri partiti ha affrontato a livello parlamentare per la riforma delle autonomie e per la riforma della finanza locale.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE BELLOMO

Rappresenterò al Presidente, momentaneamente assente, l'opinione che lei ha espresso.
E' iscritto a parlare il Consigliere Vera. Ne ha facoltà.



VERA Fernando

Confesso di essere profondamente scettico sull'utilità di questo dibattito anche se ho letto l'introduzione del Presidente e udito gli interventi estremamente interessanti di molti Consiglieri. Il ristretto tempo di un paio d'ore per un dibattito di questo genere non può lasciarci perplessi in mancanza di due condizioni che lo avrebbero reso invece positivo: una lunga preparazione attraverso un dibattito a tutti i livelli di comunità locali con l'esame delle esperienze e dei risultati di questi anni, come dibattito introduttivo per fornire al Parlamento, che deve affrontare l'esame delle molte proposte di legge su questo argomento, un contributo valido da parte della comunità piemontese.
In carenza di una di queste due condizioni, questo dibattito non pu che essere un fatto estemporaneo anche se ha prodotto degli interventi interessanti: è come un fuoco d'artificio senza un utile e valido sbocco.
Mi riservo di richiedere al Consiglio regionale perché questo dibattito rappresenti una introduzione ad un vasto esame nell'ambito della comunità regionale e diventi una utile testimonianza al Parlamento nella elaborazione della legge sul sistema delle autonomie locali.
Il punto nodale, dal punto di vista strutturale, è rappresentato dall'Ente intermedio. Un esame del binomio Provincia-Comprensorio, che non è soltanto un binomio ma che, in realtà, è un doppione, perché da una parte abbiamo la Provincia, ricca di esperienze e di personale qualificato, ma svuotato di compiti col passare del tempo, dall'altra parte il Comprensorio che, al di là della buona volontà dei Consiglieri,del Presidente e delle Giunte, è però privo di strumenti necessari per svolgere un proprio compito.
Auspichiamo che venga eliminato questo doppione: facendo perno sulla Provincia, per ragioni di carattere costituzionale e funzionale sia pure rimodellata e per quanto riguarda l'estensione geografica e per quanto riguarda le sue funzioni. E' indubbio che si pongono dei problemi anche in ordine ai Comuni che vanno distinti tra Comuni grandi e Comuni piccoli: i Comuni grandi hanno problemi di spazio allargatosi eccessivamente rispetto alla centralità dell'Ente. Il Comune di Torino non riesce a far fronte in modo capillare e partecipato ai problemi enormi di una grande città.
L'esperienza dei quartieri concretata attraverso la nomina dall'alto ha fornito qualche elemento interessante che può e deve essere sviluppato in futuro poiché attraverso il quartiere si può realizzare il decentramento della grande città con maggiore partecipazione e maggiore democrazia.
Dall'altra parte abbiamo Comuni talmente piccoli che finiscono con svolgere compiti estremamente limitati; è evidente che Comuni con bilanci di pochi milioni non possono dare una risposta ai temi dell'edilizia popolare o dell'assistenza sanitaria, tanto per citarne alcuni. Si pone quindi il problema di aggregazione di Comuni. Ho però molti dubbi che possa trattarsi della fusione di piccoli Comuni in una sorta di grande supercomune. Sappiamo quanto sia difficile spegnere una certa mentalità campanilistica che è quella che ha portato, immediatamente dopo la caduta del fascismo, a sciogliere le aggregazioni di Comuni che il fascismo aveva formato e a riformare i piccoli Comuni che poi erano delle frazioni. Un momento di aggregazione potrà essere diverso da quello della fusione che soffoca gli istinti comunalistici ma dovrà fare tesoro di quello che sono le Comunità montane.
Il terzo polo in questo schema di strutture di autonomie locali è la Regione, il cui ruolo agli inizi appariva estremamente labile e sbiadito e che non si è configurato in modo pieno, non soltanto per colpa degli amministratori, regionali ma anche per le reticenze del potere centrale nell'effettuare un reale decentramento dei compiti, soprattutto da parte della burocrazia statale che è la reale responsabile del centralismo.
E' sentito il bisogno di profonde riforme nella struttura del paese e correlativamente, il mantenimento delle funzioni pubbliche che hanno portato alla costituzione di poteri pubblici nei secoli scorsi. Lo Stato è incapace a rispondere ai bisogni elementari che hanno presieduto alla costituzione dello Stato moderno sia pure in misura minore: anche i poteri locali rispondono con sempre maggiore affanno alla esigenza di servizi pubblici da parte dei cittadini, basti pensare al problema dei trasporti nelle grandi città.
Quindi auspichiamo una riforma che porti al decentramento e alla costituzione di uno Stato delle autonomie superando quei timori di qualcuno che questo porti all'affermazione di esigenze corporative. Proprio l'esperienza delle società anglosassoni dimostra che la vera democrazia nasce proprio sulle autonomie locali, efficienti, partecipate democratiche. Credo che dobbiamo dimostrare alla popolazione che democrazia equivale ad efficienza e non è vero il contrario.
Da questo dibattito possono nascere conseguenze utili valide se non rimarrà a sé stante ma se sarà considerato come introduzione ad un dibattito più ampio da svolgersi a livello di Province, di Comprensori, di Comuni, anche con un esame autocritico delle esperienze compiute e se quelle testimonianze saranno raccolte, come proposte da portare all'attenzione del Parlamento.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SANLORENZO



PRESIDENTE

La parola al Vice Presidente della Giunta regionale. Bajardi.



BAJARDI Sante, Vice Presidente della Giunta regionale

L'intervento della Giunta esprime anche sollecitazioni varie che sono giunte alla stessa, da parte dell'ANCI, che in queste settimane ha assunto provvedimenti e votato ordini del giorno. L'associazione regionale delle Province ha fatto pervenire un copioso documento che farò distribuire ai Consiglieri, nel quale in 18 punti propositivi esprime la propria posizione sulla tematica prendendo lo spunto dalla legge finanziaria per avanzare una serie di proposte per la soluzione dei problemi istituzionali ed organizzativi riferendosi anche al personale delle Province.
Colgo l'invito del Consigliere Bontempi di riferire sull'incontro avuto dai rappresentanti del Consiglio e della Giunta con la Commissione parlamentare per i rapporti con le Regioni.
Nel rispondere ai quesiti postici non possiamo prescindere dalla nostra esperienza regionale. Da questo punto di vista è stata sostenuta l'esigenza di una crescita del ruolo delle Regioni nel complesso della vita del Paese considerando le parti del complessivo tessuto istituzionale sul quale bisognerà operare con coraggio ai fini di una riorganizzazione essendo improponibile a tempi brevi un processo di semplificazione dell'assetto istituzionale che è fondato su 8000 Comuni: esso non potrà durare in eterno né potrà essere modificato a tempi brevi. Il ruolo della Regione diventa decisivo per il suo ruolo di programmazione che è poi un modo concreto di rispondere alle esigenze delle comunità, dando potere al nucleo di base che è il Comune. La linea che noi abbiamo perseguito nel corso di questi anni che prendeva atto di una proliferazione di Enti istituzionali, i 1209 Comuni, ma anche di una analoga proliferazione e polverizzazione si potrebbe anche dire di organismo associativi settoriali, in effetti il numero dei consorzi è ben più numeroso nel nostro Piemonte dello stesso numero degli Enti locali esistenti.
La linea che abbiamo seguito unitariamente (su queste questioni il nostro Consiglio regionale ha votato sempre all'unanimità) della ricostruzione attorno all'idea della programmazione di un assetto fondato sui 15 Comprensori, della costruzione di un momento di aggregazione attorno alla politica socio-sanitaria, attorno a 53 Unità Sanitarie Locali, ed ancora tramite altre leggi, particolarmente quella dei trasporti con la creazione di 20 consorzi dei bacini di traffico, Unità Sanitarie Locali e Bacini di Traffico organizzato come proiezioni del potere degli Enti locali, organizzati (e lo dimostrano molti degli statuti di questi Consorzi) non solo per assolvere alle finalità specifiche delle due leggi che li hanno costituiti, ma in molti casi anche con finalità e possibilità plurime che si stanno già utilizzando, dà l'idea di un processo di riaggregazione all'interno della nostra Regione che è nello stesso tempo improntato ad una larga partecipazione democratica, utilizzando il nucleo fondamentale della nostra struttura democratica che è il Comune e nello stesso tempo cercando di calibrare ciò sul merito dei problemi, cercando di rispondere contemporaneamente in termini di efficienza democratica e di efficienza nella soluzione degli stessi problemi.
Vorrei dire esemplificando su alcuni casi che l'esperienza recente di costituzione del Consorzio dei Comuni per il trasporto nell'area del bacino di Vercelli, che la comunità locale ha deciso essere coincidente con il Consorzio dell'area industriale attrezzata, coincidente ancora con il Consorzio per gli impianti di depurazione derivanti da leggi regionali che fa sì che anziché avere tre Consorzi per la stessa dimensione territoriale su più problemi si arrivi ad un unico Consorzio che affronterà più materie ci dà l'idea di una strada che può permetterci di organizzare sia i Consorzi per bacini di traffico che corrispondono all'esterno dell'area di Torino alla stessa dimensione dei Comprensori, e i Consorzi per le Unità Locali dei Servizi (e Unità Sanitarie Locali prendendo la terminologia della legge); vediamo come stia verificandosi nella realtà un processo democratico di riaggregazione degli Enti locali in modo da farli contare sui problemi non tanto e non solo in termini di decisione, ma di creazione di quelle sedi nelle quali le decisioni vengono prese in termini di programmazione, di gestione e poi di controllo.
E' una linea questa quindi che tende più in generale ad una riorganizzazione dei rapporti tra i vari livelli istituzionali sulla strada del decentramento. Io non ho nessun imbarazzo a dire che anche dopo la 616 si pone ancora il problema di riorganizzazione non certamente tramite la legge 616 ma tramite ulteriori provvedimenti statali in modo che il Governo si avvalga anch'esso delle Regioni per tutta una serie di attività non gestibili né programmaticamente e tanto meno sul piano operativo a livello centrale e nemmeno dalle strutture periferiche dello Stato, con un processo che rafforzi il ruolo programmatorio statale ma che rafforzi nello stesso tempo la linea del decentramento.
Io non ho nessun imbarazzo nell'esprimere alcune opinioni anche molto personali, cioè che in questa direzione la preziosa esperienza della Regione Piemonte di rafforzamento del ruolo del Consiglio, della prevalenza che deriva anche dal modo concreto di svolgere i nostri lavori sia peculiare nel rapporto Governo e Parlamento e credo che da questa constatazione possa emergere anche una linea operativa che debba riflettere sulla nostra concreta esperienza e sulle difficoltà oggettive che esistono per il funzionamento del nostro Consiglio, in particolare delle Commissioni, e credo che non sia astratto porsi una tematica quale quella della riduzione dei membri dei consessi nazionali del Parlamento (Camera e Senato) e di una crescita del numero dei Consiglieri regionali come elemento essenziale per una reale capacità legislativa e programmatoria da parte dei nostri Consigli.
In secondo luogo un discorso ancora che parte dalla nostra esperienza regionale di programmazione per verificare a quale livello, in quale modo si sia esplicato concretamente sul tema della programmazione il rapporto Stato- Regioni nella sua duplice articolazione: Parlamento-Consiglio Governo e Giunte. Personalmente esprimo il profondo rammarico che su qualsiasi atto nel nostro Consiglio regionale in termini di programmazione noi non abbiamo avuto il benché minimo confronto di merito con corrispondenti livelli centrali. Noi abbiamo adottato tre anni fa il nostro Piano regionale di sviluppo, nulla è stato obiettato sul nostro Piano regionale di sviluppo, potrebbe essere ciò considerato come una approvazione di strada libera a tutte quelle opinioni, a quelle indicazioni che in esse erano contenute.
Se noi interpretassimo quel silenzio in questo modo, credo erreremmo.
Non c'è stata valutazione e noi abbiamo il diritto-dovere di pretendere un confronto, una verifica di compatibilità delle scelte che noi andiamo ad assumere con le compatibilità più generali del nostro Paese, ed allora sì che si arriva al nodo dell'uso delle risorse, ad un rapporto serio tra Regioni e Stato, non fondato su una accettazione di decisioni e di proposte che provengono dalle Regioni che mancano poi della forza delle risorse che permette di attuare quella politica, ma invece su un confronto che si faccia carico della pluralità delle esigenze del nostro Paese. In primo luogo di quelle di fondo che noi abbiamo assunto nella nostra proposta di piano regionale, i problemi storici del nostro Paese ma anche i problemi reali esistenti nelle grandi aree quali il Piemonte con le sue peculiarità con i suoi difetti ma anche con i suoi pregi e le sue proprie possibilità di contribuire alla soluzione di questi problemi.
Il tema particolare dell'Ente intermedio è uno degli anelli essenziali di tutto il nostro discorso regionale che la Giunta non può che sottolineare e esprimere la propria adesione a tutte quelle iniziative che tendono ad una rapida soluzione del problema prima delle prossime elezioni perché altrimenti tutta la nostra esperienza, tutta la nostra politica di programmazione generale e settoriale e la riorganizzazione del tessuto istituzionale certo come ho ricordato, come proiezione del potere degli Enti locali senza voler precostituire situazioni ma avanzando una proposta di lavoro su cui a livello nazionale si può lavorare in mancanza di decisioni in questo senso, certamente noi ci scontreremo con problemi e con difficoltà: ad esempio, quella che è stata una contraddizione evidenziata da più di uno, cioè il fatto che noi operiamo su un assetto Comprensori e riorganizzazione a livello settoriale in termini di sottomultipli e di attribuzione di ruoli peculiari anche alle Comunità montante e il loro processo di riaggregazione tende ad individuare una dimensione possibilmente coincidente in prospettiva con quella delle Unità Sanitarie Locali, in modo da attribuire alle stesse queste competenze. La mancata soluzione di questi problemi certamente ci creerà in tutto quanto il nostro assetto istituzionale nuove esigenze, problemi certamente complessi da risolvere e di qua la piena disponibilità della Giunta regionale qualora i Capigruppo raccoglieranno la proposta avanzata dal collega Bontempi di avviare in gennaio o in febbraio quando lo si riterrà opportuno, un dibattito ampio sull'esperienza nostra istituzionale dei Comprensori che da quanto mi sono permesso sommariamente di ricordare investe però una pluralità di altre questioni, il ruolo stesso delle Regioni in questo processo di riorganizzazione più generale del tessuto istituzionale del nostro Paese.



PRESIDENTE

Il dibattito è concluso. Mi pare che dal dibattito siano emerse alcune proposte che meritano di essere considerate. Ad esempio, il Consigliere Vera ha proposto di approfondire l'argomento ai vari livelli, facendo in modo che la discussione sull'assetto istituzionale dello Stato, al di là dell'occasione contingente, diventi un tema che impegni tutti i Comuni tutte le articolazioni delle autonomie locali del Piemonte. Ritengo sia una proposta particolarmente utile, potremo così, alla fine di due legislature regionali, trarre un bilancio, di come si è modificato, con quali aspetti positivi, con quali limiti, ed anche con quali aspetti negativi, il sistema generale delle autonomie locali in Piemonte.
Il Consigliere Bontempi ha proposto un approfondimento particolare delle esperienze dei Comprensori, sulla qual proposta anch'io convengo.
Infatti, seppure ci sia un giudizio genericamente positivo su tutto quello che l'esperienza comprensoriale ha rappresentato (anche perché ci pare che le modifiche della legge nazionale facciano in gran parte riferimento all'esperienza piemontese), tuttavia sono necessari elementi di scientificità per dare un giudizio articolato, puntuale, preciso sull'attività comprensoriale.
Credo che questi argomenti, questi temi, queste suggestioni possano essere portate avanti, compresa l'ultima proposta avanzata dal Vicepresidente della Giunta, di un'idea, di un suggerimento che riguarda l'assetto istituzionale del nostro Paese e di cui noi avvertiamo alcuni elementi di immediata verità, perché mi pare chiaro che l'assetto attuale del nostro Consiglio regionale vede una sproporzione fra il numero dei suoi membri e i compiti via via crescenti che stanno emergendo e non sto parlando di compiti che concernono la gestione amministrativa, quanto propriamente dei compiti istituzionali di programmazione e di legislazione entrando quindi nel merito del più ampio dibattito sulla riforma istituzionale che pure è aperto fra tutte le forze politiche.
Assumo l'impegno di sollevare la questione, alla prossima Conferenza di Capigruppo, per far sì che questo dibattito continui. Volevo però rilevare come l'occasione del dibattito di questa mattina avesse un obiettivo più limitato, ma politicamente molto significativo, deriva intanto da una decisione comune a tutte le Regioni italiane di tenere in questa settimana in tutti i Consigli regionali d'Italia dibattiti su tale argomento.
Dico questo, perché il rilievo delle decisioni che potranno scaturire da questa assemblea, ci saranno forse dei documenti da approvare in merito è strettamente collegato a una decisione unitaria di tutte le Regioni, di premere non solo sul Governo ma su tutte le forze politiche, sui due rami del Parlamento, perché si arrivi alle prossime elezioni amministrative con una decisione in materia, cioè con un quadro istituzionale più certo di quanto non sia quello attuale. Su questo punto non ci dovrebbero essere differenze di valutazione e se così fosse potremmo passare all'esame sia dell' ordine del giorno che è stato presentato dal Partito comunista in materia finanziaria, sia di un progetto di ordine del giorno che mi permetto di far circolare fra i Capigruppo, sia di altri eventuali ordini del giorno che diano a questo dibattito una conclusione politica coerente con il valore dell'impegno assunto da tutte le Regioni rispetto a, questa problematica e a questi temi.
La parola al Consigliere Oberto.



OBERTO Gianni

Chiedo la parola per una dichiarazione di voto. Ho appreso questa mattina dal Vicepresidente Bajardi la notizia che l'Unione regionale delle Province piemontesi ha presentato un documento composto di 18 punti articolati. Noi vogliamo esprimere dei pareri e dei giudizi su di essi? Chiedo di poter fare adesso la mia dichiarazione di voto, dovendomi assentare e consiste in questo. Non partecipo alla votazione perché non intendo creare con il voto sui vari documenti proposti a me e agli elettori un alibi o una sorta di rifugio. Il discorso che si ripropone qui oggi in termini apparentemente ultimativi, è in fortissimo, generale, colpevole ritardo ed ancora non è del tutto preciso e chiaro; non vi sono assolutamente i tempi tecnici parlamentari e molto probabilmente anche quelli richiesti costituzionali (se in ipotesi la Provincia dovesse essere soppressa e sostituita) per provvedere legislativamente. Quelle nostre di oggi, lo dico con infinito rispetto per tutti, sono, a mio avviso, sterili tardive parole improduttive di effetti positivi. Questo io ritengo ragionatamente, augurandomi peraltro vivissimamente di essere clamorosamente smentito e di sbagliare clamorosamente. Personalmente non ho dei rimorsi perché questo discorso l'ho aperto con gli uomini della mia parte oltre due anni fa ed ebbi allora una chiarissima, cristallina risposta da parte del caro amico Capogruppo avv. Bianchi, cristallino come è stato questa mattina, ma non da altri, e arrivare al 6 dicembre, assumere delle responsabilità, far credere alla gente che a maggio voteremo con le riforme di tanta importanza come quelle che non sono ancora neanche costituite: consentitemi di dire, è una sorta di inganno. Siccome sono un giovane invecchiato del Partito. Popolare Italiano 1919-20/21, credo di avere le carte in regola come accettazione di un programma che ha come fondamento la difesa delle democrazie popolari e la difesa delle autonomie locali.
Che cosa possiamo condurre alla fine? Possiamo condurre forse un giudizio negativo, però non è l'idea che è fallita, l'idea non fallisce semmai a fallire sono stati gli uomini e bisogna che gli uomini smettano di essere sulla strada del fallimento.


Argomento:

Dibattito sulla riforma del sistema delle autonomie e sulla finanza locale

Argomento:

Sul programma dei lavori


PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bontempi.



BONTEMPI Rinaldo

Propongo di sospendere i lavori adesso con la votazione degli ordini del giorno e di riprendere la seduta oggi pomeriggio per proseguire sugli altri punti.



PRESIDENTE

Se il Consiglio è d'accordo, per me va bene, perché questo ci consente di svolgere gli altri punti previsti per il pomeriggio con più calma e di meditare sugli ordini del giorno.



OBERTO Gianni

Allora si dovrebbe conoscere il documento dell'URPP.



PRESIDENTE

Il Consiglio regionale ha una sua autonomia nel votare su un tema di cui, tra l'altro, si è discusso molte volte.
La parola al Consigliere Ferrero.



FERRERO Giovanni

In Italia c'è il modo per fare le riforme; non c'è bisogno delle leggi: basta leggere sul giornale che il tasso di sconto sale di tre punti. Credo che una delle cose per discutere è anche dire che cosa si pensa e che cosa si fa e come si interpretano le leggi esistenti.



OBERTO Gianni

Se si vuole fare la rivoluzione, non c'è bisogno che il Parlamento voti!



FERRERO Giovanni

No, i documenti approvati dal Governo predispongono delle interpretazioni assai differenti da quelle consolidate dalla prassi.



PRESIDENTE

Dal punto di vista dell'utilità dei lavori è certamente meglio sospendere i lavori.
Vi sono obiezioni a questa procedura?



CASTAGNONE VACCARINO Aurelia

E' anche convocato l'Ufficio di Presidenza: occorre decidere contestualmente se si sposta la riunione in giornata, oppure se la si rimanda.



PRESIDENTE

Non c'è dubbio. Credo però che prevalga la decisione che riguarda i lavori del Consiglio.
La parola al Consigliere Martini.



MARTINI Mario

Per iniziare i lavori alle 15 e finirli alle 16,30, tanto valeva proseguire fino alle 14.



VERA Fernando

Accetto la proposta del collega Bontempi di riprendere i lavori nel pomeriggio, sarebbe però opportuno un incontro dei Capigruppo per esaminare gli ordini del giorno, in modo da presentarne all'assemblea uno unificato sul problema delle autonomie locali.



PRESIDENTE

Siccome gli ordini del giorno sono complessi, avverto il pericolo che riducano alquanto il tempo. In ogni caso i Capigruppo devono riunirsi per esaminare la proposta che lei ha avanzato e propongo che si riuniscano prima delle ore 15.
Se non vi sono obiezioni la seduta del Consiglio è aggiornata per quell'ora.
La seduta è tolta



(La seduta ha termine alle ore 12,40)



< torna indietro