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Dettaglio seduta n.280 del 24/10/79 - Legislatura n. II - Sedute dal 16 giugno 1975 al 8 giugno 1980

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SANLORENZO


Argomento: Produzione e trasformazione dei prodotti

Interrogazione presentata dal Consigliere Paganelli inerente al problema della Cantina Sociale del Comune di La Morra


PRESIDENTE

La seduta è aperta. Passiamo all'esame delle interpellanze ed interrogazioni.
Iniziamo con l'interrogazione presentata dal Consigliere Paganelli inerente al problema della Cantina Sociale del Comune di La Morra.
La parola all'Assessore Ferraris.



FERRARIS Bruno, Assessore all'agricoltura e foreste

Penso che il primo problema posto nell'interrogazione sia sorto in relazione ad una iniziativa dell'Assessorato intesa a valorizzare e ad esaltare l'attività delle enoteche. Presso l'Assessorato si è tenuta la convocazione di un gruppo delle enoteche maggiori al fine di costituire un coordinamento delle enoteche a livello regionale e comprensoriale.
Forse tale iniziativa può aver determinato nelle enoteche minori o nelle botteghe del vino la preoccupazione di essere escluse.
Assicuro il collega Paganelli, e quanti come lui avessero tratto un'impressione di quel tipo, che il coordinamento ha lo scopo di elaborare un regolamento con cui stabilire i criteri per il riconoscimento del ruolo di enoteca regionale o comprensoriale e di bottega del vino e regolamentare le norme per la fruizione di contributi pubblici coordinando le attività gli itinerari e le varie iniziative, disponendo di una cartina delle enoteche con tutti i dati utili alla valorizzazione del nostro ambiente collinare.
Per quanto riguarda il secondo punto dell'interrogazione, scarterei la proposta dell'enologo condotto, anche se è stata richiesta da un'importante associazione. Una soluzione potrebbe essere ricercata nell'ambito dell'assistenza tecnica. Si tratta di prevedere nei Cata che approviamo in zone viticole, il Monferrato, l'Astigiano, l'Albese e qualche propaggine nel Torinese e nel Novarese, un consulente con queste caratteristiche.
Nell'ambito della legge delle strutture non è previsto un servizio enologico, il che non impedisce di includere fra i funzionari degli uffici di zona, che dovrebbero sempre più corrispondere al Comprensorio, uno specializzato in viticultura e in enologia.



PRESIDENTE

La parola all'interrogante, Consigliere Paganelli.



PAGANELLI Ettore

Con questa interrogazione mi sono limitato a girare all'organo di governo alcune domande poste nel corso di un'importante inaugurazione della sagra del vino Barolo. In quell'occasione fui invitato a prendere la parola, ma non la presi perché non ero titolato a dare delle risposte.
Apprezzo sostanzialmente la risposta dell'Assessore alla domanda relativa all'inserimento della cantina comunale di La Morra nell'ambito delle enoteche e delle cantine comunali. Sarebbe un errore da parte della Regione limitare la considerazione solo alle enoteche principali. Posso avere delle pecche personali in quanto a consumo vinicolo, non ne ho in tema di avvio di iniziative promozionali e, proprio per questo motivo, ho presentato l'interrogazione.
Apprezzo la risposta dell'Assessore anche per quanto riguarda l'enologo condotto. Anch'io non ritengo opportuno la nomina di un enologo condotto comunale. Il problema va risolto a livello comprensoriale appunto con quel tipo di assistenza sulla quale si è soffermato l'Assessore. Questo comunque, non è più un problema rinviabile.
Mi ritengo sostanzialmente soddisfatto della risposta.



PRESIDENTE

L'interrogazione è discussa.


Argomento: Cooperazione

Interrogazione dei Consiglieri Besate e Graglia Artico relativa ai problemi dei MAF e CIPAA.


PRESIDENTE

Passiamo all'interrogazione dei Consiglieri Besate e Graglia Artico relativa al problemi dei MAF e CIPAA.
Risponde l'Assessore Ferraris.



FERRARIS Bruno, Assessore all'agricoltura e foreste

Purtroppo né il MAF né il CIPAA hanno provveduto ai loro adempimenti.
Poiché una risposta di questo tipo sarebbe troppo esigua, dirò anche ciò che è stato fatto dalla Regione Piemonte e dalle altre Regioni per recuperare i ritardi e per superare le ragioni delle carenze.
La Regione Piemonte approvò le osservazioni in data 21/6/1979; tutte le Regioni dovevano fare altrettanto in quel periodo. Entro 40 giorni dovevasi svolgere la riunione della Commissione degli Assessori presso il CIPAA per la successiva deliberazione del CIPAA. Né l'una né l'altra cosa sono avvenute. Le ragioni furono spiegate molto più tardi, il 25 settembre, dal Ministro Marcora. Ci furono le elezioni e noi sostenemmo che quella era un'attività puramente amministrativa e che quindi qualsiasi governo l'avrebbe potuto condurre, ma il Ministro ci disse che non era in grado di dire se sarebbe rimasto in carica. Disse che comunque aveva la volontà di raccogliere le osservazioni negative che erano state espresse dai sindacati a livello nazionale e da alcune Regioni. Il 25.9, appunto, il Ministro ci comunicò di aver presentato una serie di emendamenti, che ancora non aveva trasmesso alle Regioni e ci garantì che entro il 10 ottobre ci avrebbe convocati a Roma.
Il 10 ottobre ci sono stati consegnati gli emendamenti e giovedì scorso c'è stata un'altra riunione nel corso della quale nel confronto su quegli emendamenti ci furono alcune posizioni contrastanti. Il Ministro si è impegnato a rinviare tutto al CIPAA sollecitando la convocazione.
Di fatto è saltato l'anno 1979 perché anche se il CIPAA deciderà alla fine di questo mese, ammesso che decida, siamo ormai alla fine dell'anno quindi i 32/34 miliardi assegnati alla Regione Piemonte sarà conveniente inserirli nel bilancio del 1980.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Besate.



BESATE Piero

E' triste dover constatare che, a poco a poco, il Quadrifoglio appassisce e diventa fieno nel libro della programmazione agricola.
Cambiano i governi ma non pare che le cose vadano meglio.
Dopo il Convegno di Perugia, la televisione ha dato notizia delle critiche che l'Assessore all'agricoltura della Lombardia ha pubblicamente rivolto al Ministro Marcora. Se riportassi ora quelle critiche sarei accusato di strumentalismo, di faziosità e di altre cose.
Non le dico perché siamo in sede di interrogazione e devo limitarmi a dichiarare se sono soddisfatto o meno.
Certo che l'azione nostra e delle altre Regioni non dovrà più soltanto partire dall'Assessore all'agricoltura, ma dovrà diventare pressione della Giunta e del Consiglio.
Siamo di nuovo in presenza di residui passivi di cui si parla tanto: questi fondi per il 1979 arriveranno nel 1980.
Come potremo spenderli? Intanto, mentre si svaluta il valore della moneta, saranno sempre minori le opere che si potranno fare con la stessa quantità della medesima.
Ringrazio l'Assessore per l'ampia informazione, ma mi dichiaro rattristato e malinconico dovendo ancora una volta fare queste constatazioni per nulla propositive sull'andamento economico e produttivo dell'agricoltura italiana e piemontese.



PRESIDENTE

L'interrogazione è discussa.


Argomento: Produzione e trasformazione dei prodotti

Interpellanza dei Consiglieri Bontempi, Besate, Graglia Artico, Raschio e Ariotti e interpellanza del Consigliere Menozzi entrambe relative al mercato dell'uva


PRESIDENTE

Esaminiamo congiuntamente l'interpellanza dei Consiglieri Bontempi Besate, Graglia Artico, Raschio e Ariotti e l'interpellanza del Consigliere Menozzi entrambe relative al mercato dell'uva.
Risponde l'Assessore Ferraris.



FERRARIS Bruno, Assessore all'agricoltura e foreste

Il mercato delle uve da vino vendemmia 1979 ha risentito delle notevoli produzioni (si prevedono 7,5 milioni di q contro i 5,3 dello scorso anno).
La produzione è stata eccezionale per quanto riguarda la quantità e direi anche la qualità, anche se negli ultimi giorni di vendemmia può essere intervenuto qualche elemento di deterioramento determinato dalle piogge.
Quella di quest'anno è stata una vendemmia asciutta, determinando la speculazione al ribasso che in ogni caso si era già manifestata proprio per l'abbondanza della qualità.
Infatti col procedere delle operazioni di raccolta le quotazioni sono gradualmente diminuite con particolare riferimento all'uva barbera che è passata da un massimo di 5.000 L/Mg, ad un minimo, per le ultime partite inferiore alle 2.000 L/Mg.
Tale fenomeno è stato più accentuato nelle zone ove non operano le Cantine sociali. In tale situazione i conferimenti alle Cantine cooperative sono quasi raddoppiate rispetto al 1978 determinando un alleggerimento dell'offerta sul mercato delle uve che in parte ha contenuto la diminuzione dei prezzi.
Per quanto attiene l'azione della Regione si ritiene che gli strumenti legislativi attualmente in vigore siano sufficienti a sostenere adeguatamente l'impegno delle Cantine sociali.
Infatti l'Assessorato all'agricoltura, tenendo conto del parere della Commissione consultiva prevista dalla legge regionale 63/78, ha già determinato in L. 20.000 il prezzo massimo per quintale delle uve, sulla base del quale verrà calcolato l'importo del prestito concedibile per l'acconto ai soci conferenti alle Cantine, prevedendo inoltre la possibilità di prorogare per un periodo superiore la durata dei prestiti rispetto alle campagne precedenti, per sottrarre il mercato del vino a manovre speculative.
Non si è resa necessaria l'apertura di ammassi da parte dell'Esap.
L'Esap era comunque stato incaricato di acquisire la cantina di Costigliole e quella di Tonco. L'operazione di Costigliole non è per andata in porto e si potrebbe dire per fortuna perché è stata affittata da un privato, però, dopo tanti anni di inattività, ha avuto un danno di 2.000 q di prodotto andato disperso.
Le cantine hanno stabilito una loro normativa e prezzi minimi al di sotto dei quali non dovrebbero vendere. Hanno stabilito un organismo che segue l'andamento del mercato; hanno chiesto alla Regione di non finanziare le cantine che non rispetteranno questi prezzi.
La proposta dell'Assessorato è stata di dividere in due il periodo di anticipo. Le cantine che venderanno al di sotto dei prezzi stabiliti non godranno più dell'intervento regionale. Ci auguriamo che le cantine riescano a mantenere il loro accordo e che il sostegno previsto come acconto ai soci scoraggi ogni manovra speculativa.
Ulteriori provvedimenti saranno attuati per l'invecchiamento vini e le spese di gestione sulla base dell'andamento dei mercati.
A fide stagione, se questo settore avrà incontrato maggiori difficoltà potremo intervenire in misura maggiore. Gli interventi previsti comporteranno una spesa di un miliardo a carico del bilancio regionale.
Per i primi due interventi (anticipo soci e invecchiamento vini) sono stati previsti adeguamenti agli stanziamenti del bilancio 1980. Lo stesso bilancio prevede 1.500 milioni per i contributi sulle spese di gestione.
Si ricorda infine che l'Assessorato all'agricoltura sta predisponendo un vasto programma a favore dei vini piemontesi, con particolare riferimento al barbera, inteso a migliorarne sia l'immagine nei confronti dei consumatori tramite azioni promozionali, e sia le caratteristiche organolettiche con il finanziamento di specifiche ricerche scientifiche.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Menozzi.



MENOZZI Stanislao

Intanto debbo porgere a lei, signor Presidente, e a tutti i colleghi Consiglieri le mie scuse per essere arrivato lievemente in ritardo. Questo mi dà l'occasione per muovere una lamentela, anche se per la verità non ho presentato interrogazioni in merito, inerente ai parcheggi. Ho letto con molta attenzione la premurosa segnalazione secondo la quale le macchine dovrebbero essere contraddistinte da un particolare segno e dovrebbero trovare, limitatamente agli spazi, possibilità di posteggio nel posto preindicato. Sono arrivato al parcheggio che era tutto occupato e le auto con il distintivo erano 3. Dopo un giro per la città, sono stato costretto a lasciare l'auto in zona divieto.



PRESIDENTE

Abbiamo reperito 80 posti macchina per i Consiglieri regionali e per i dipendenti. Ci sarà una comunicazione dell'Ufficio di Presidenza che formalizzerà tutte queste questioni.



MENOZZI Stanislao

Fin quando le macchine sono degli amici collaboratori o delle collaboratrici, nulla da eccepire, perché non pretendo affatto, nei loro confronti, di essere privilegiato, ma, non vorrei però che trovassero ospitalità anche le macchine degli amici dei miei amici.
Vengo alla risposta e mi appello alla benevolenza del Consiglio regionale se le lancette dovessero superare di qualche minuto il tempo previsto visto che, volontariamente, ho rinunciato all'illustrazione dell'interpellanza.
La crisi che attanaglia, non solo il nostro Paese, ma anche altri della Comunità europea, non poteva non ripercuotersi negativamente in tutto il comparto vitivinicolo e soprattutto in quello di produzione massificata delle uve rosse e specialmente del barbera che rappresenta circa il 50 dell'intera produzione nel Piemonte e addirittura il 60% nella mia Provincia. Il vino, pur essendo per i più un prodotto piacevole, non è un consumo di stretta necessità e nelle strette finanziarie, se si deve rinunciare a qualche cosa, si rinuncia a quello che non è strettamente indispensabile.
La conferma non confortante in tal senso ci viene dalle ultime statistiche dove si rileva che da qualche anno a questa parte è in essere una certa flessione nel nostro Paese, ove il consumo pro capite è sceso dai 103/104 litri annui, ai 95 attuali.
Si aggiunga che la produzione, sotto l'aspetto quantitativo, è stata veramente eccezionale.
Sempre con riferimento alla Provincia di Asti che è la provincia del vino per antonomasia, si parla, seppure manchino i dati definitivi, di una maggior produzione di uva rispetto all'anno precedente, oscillante del 40 50%. Guai se non ci fossero state le tanto bistrattate cantine sociali le quali hanno ritirato un milione circa di q.li di prodotto nell'Astigiano e 1.800.000 q.li in tutto il Piemonte.
Ciò però non ha impedito il crollo dei prezzi e guarda caso, nel prodotto di maggior produzione, il barbera, si è partiti con quotazioni addirittura allettanti, anche se coprivano appena appena i costi di produzione; e cioè dalle 4000/4500 lire per poi finire a 2500/2000 e anche 1800, per cui addirittura al di sotto di detti costi di produzione che secondo valutazioni più benevoli, oscillano dalle 3800 alle 4500 al q.le.
C'è chi parla addirittura di 4800 lire, dato questo ricavato dall'Accademia della vite e del vino.
Che la produzione sarebbe stata quantitativamente di gran lunga superiore al passato non c'era bisogno di aspettare l'inizio vendemmiale per averne conferma. Senza voler puntare il dito accusatore nei confronti di chicchessia, penso che l'Assessore, se non voleva limitarsi a compilare un bel diario giornaliero che, anche se bello, è sempre un diario, o una prima nota dalla quale non si possono trarre conclusioni, avrebbe dovuto prendere il cosiddetto "toro per le corna" con maggiore tempestività facendo ricorso all'Esap, ente creato appositamente per intervenire in determinati momenti sul piano concreto, come dev'essere per ogni e qualsiasi ente strumentale.
Il Piemonte, nostro malgrado, offriva ampie possibilità in tal senso.
Abbiamo un'infinità di cantine sociali e di enopoli chiusi e in attesa di poter essere riutilizzati. L'Assessore ha osservato che non si è rilevata l'opportunità di fare questo. Con l'interpellanza invece mi attendevo una risposta positiva in tal senso e se lo attendevano anche parecchi produttori, Se la Regione fosse intervenuta, magari con l'ammasso volontario, avrebbe potuto conseguire 4 risultati: Innanzitutto e soprattutto dare tranquillità al produttore ed evitargli di essere preso alla gola bloccare la speculazione riutilizzare gli impianti in pauroso depauperamento, come se fosse roba di nessuno, addirittura roba del diavolo favorire, attraverso il processo ammassatorio, l'assimilazione del discorso cooperativistico vero e proprio. Ci è stata comunicata la non opportunità dell'operazione. Per noi rappresenta una grave mancanza in quanto l'ente strumentale, per manifestare buona volontà avrebbe potuto e dovuto assumere iniziative nella direzione sopra indicata, dato che sinora ne ha assunte assai poche.
Prendo atto che sono stati predisposti anticipi per un periodo maggiore quindi non limitato a 4 mesi come per il passato; prendo altresì atto dell'incontro avvenuto fra l'Assessore e le cantine sociali che già in passato avevano determinato di stabilire un prezzo minimo al di sotto del quale non cedere il prodotto e l'intenzione di un lancio pubblicitario il cui risultato lo demandiamo ai posteri, dato che l'iniziativa per ora è iniziata per i vini bianchi. La risposta dell'Assessore è stata ineccepibile sotto il profilo formale, mentre è carente sotto quello sostanziale. Il problema non è di facile soluzione, ma proprio per questo si deve maggiormente cimentare la Giunta e l'Assessore competente, che ormai sanno che un conto è fare l'opposizione, altro conto è portare avanti una efficace azione di governo, rispondente alle attese dei cittadini.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Raschio.



RASCHIO Luciano

Sono tentato di entrare in polemica con l'amico che mi ha preceduto.
Nella sostanza la risposta dell' Assessore mi ha completamente soddisfatto non tanto perché viene da una maggioranza a cui appartengo, quanto perché è difficile trovare argomenti che mettano in difficoltà l'Assessore e la Giunta sul tema delle iniziative per rendere da un lato più popolare il vino piemontese e per tutelare e difendere dall'altro i produttori.
Chiamare in causa l'Esap, secondo me, è un errore, perché l'Esap non è nato come ente economico, ma è nato come ente di programmazione al servizio del Consiglio regionale. Se ci sono stati degli errori all'inizio, secondo voi, non perseveriamo negli errori di creare gli ammassi volontari sotto l'Esap, per quanto concerne il settore vinicolo.
Comunque, proprio perché non voglio fare della polemica su questioni di poco conto, ritengo di dover dire che, in questi ultimi due anni, il vino piemontese ha avuto uno sviluppo notevole, grazie alla qualità del prodotto ed alla sua propaganda presso l'opinione pubblica nazionale ed internazionale. Merito certamente di tutti, dell'opposizione, della maggioranza, ma soprattutto dei contadini piemontesi che più di prima sanno lavorare il vino con serietà e correttezza.
Il Gruppo comunista si ritiene soddisfatto della risposta. Ritengo di dover richiamare l'Assessore affinché dopo questo primo passo fatto in comunità con le cantine sociali, si perseveri in quanto le iniziative attraverso l'associazionismo nell'ambito vitivinicolo sono decisive per lo sviluppo del prodotto.
L'anno '79 non è un'annata eccezionale, come è stato il '78, ma è comunque una buona annata vinicola, occorre perciò vigilare contro la sofisticazione che con una semplice targhetta "1979" sul prodotto viene a contrabbandare la qualità raggiungendo vertici speculativi ingenti. Stiamo attenti, quindi, perché la vigilanza della Regione potrebbe in buona parte sconfiggere coloro che vogliono il disastro nelle campagne.



PRESIDENTE

Le interpellanze sono così discusse.


Argomento: Problemi del lavoro e della occupazione

Interrogazione del Consigliere Franzi inerente al mancato insediamento della società IPRA nell'area di Vercelli


PRESIDENTE

Passiamo all' interrogazione del Consigliere Franzi inerente al mancato insediamento della società IPRA nell'area di Vercelli.
Risponde l'Assessore Alasia.



ALASIA Giovanni, Assessore all'industria e ai problemi del lavoro

Se fossi in vena di ironia, sarei tentato di rispondere al collega Franzi rileggendo qui la risposta che il 26.9 ho dato all'interrogazione dei colleghi del Gruppo del PCI e della DC, ma, poiché il collega Franzi pone espressamente il problema dell'insediamento IPRA a Vercelli, e mi compiaccio del fatto che lo ponga, mentre i colleghi di Cuneo della DC ponevano il problema di Peveragno e in subordine quello di Mondovì, devo una risposta seria e specifica.
Questa risposta integra le cose già dette, non è una variante, perch la Giunta si presenta con coerenza con una e non con dieci posizioni. Nella precedente risposta mettevo in evidenza e sottolineavo l'ovvietà della cosa, che l'unica soluzione che non sarebbe stata possibile era quella di avere l'IPRA contemporaneamente in 4 posti diversi: Peveragno, Mondovì Piasco, Vercelli. Era così ovvia che mi pare che il Consigliere Martini mi avesse detto: bravo, quasi a fare apparire una cosa ovvia come una cosa banale! Ma ovvia era solo per me. Alla mia precisazione che occorreva fare una scelta primaria e altre eventuali subordinate, fare in sostanza un atto di programmazione, mi sentivo obiettare dalla poltrona vicino a quella di Franzi, che la mia era un'esposizione didascalica e che della programmazione occorre avere (chissà quale) una visione pluralistica, quasi che programmazione non debba poi essere anche momento di sintesi.
L'IPRA è un caso emblematico, ma avremo tanti altri casi analoghi in Piemonte.
Abbiamo vagliato tutte le ipotesi, ma, come da documentazione fornita nella scorsa circostanza e come siamo in grado di fare, abbiamo anche il dovere di trarre una conclusione, non tre, quattro o dieci, perché questa non sarebbe programmazione.
Pongo ancora una volta un problema di metodo e di costume in termini estremamente chiari.
La Giunta ha il diritto di trarre delle conclusioni? Non solo ne ha il diritto, ma ne ha il dovere.
Collega Franzi, alla sua precisa domanda rispondo in modo preciso.
Abbiamo indicato l'area di Vercelli, come risulta dalle risposte che io e il collega Rivalta abbiamo dato il 26.9. Cito alcuni passi di quelle risposte: "La Giunta ha ricordato che per ragioni strutturali sue l'area di Vercelli si presenta come la più rapidamente utilizzabile, nessuno pu ignorare la drammatica situazione produttiva e occupazionale di Vercelli così duramente provata in passato, dove ora si aprono problemi assai acuti della Montedison, della Montefibre, della Lidman, ecc...". L'Assessore Rivalta, dal canto suo, diceva: "Nell'ambito dei discorsi di politica di programmazione abbiamo individuato Vercelli che ha urgenza di interventi di sostegno, tenendo conto della perdita di posti di lavoro Montefibre. La Regione sta operando con tutte le sue possibilità perché a Vercelli si localizzino le industrie..." "...Abbiamo però preso atto di una realtà che ci rende difficile pensare all'IPRA a Vercelli, dove peraltro troverebbe l'area predisposta e il metano.., e abbiamo sostenuto Mondovì". Risulta chiara la difesa che abbiamo fatto e che facciamo di Vercelli, naturalmente non con il paraocchi e, alla fine, siamo costretti anche alle subordinate.
Coerentemente con questa posizione la Giunta ha contattato l'IPRA, nel mese di luglio poi a settembre e ancora il 18 ottobre. Nella sostanza mi è stato detto che l'impegno su Peveragno è molto avanzato.
Collega Franzi, lei non può dimenticare che il Comune di Cuneo ha deciso di vendere i terreni all'IPRA. Nel frattempo, succedono cose strane.
Tutte le forze politiche vercellesi sostengono l'insediamento a Vercelli. E va bene. Nel mentre viene fuori una strana e sorprendente polemica del senatore Boggio, il quale, mentre sostiene Vercelli, scrive che se l'IPRA non si localizza a Vercelli la responsabilità è unicamente della Regione e soggiunge, con disinvoltura incredibile: "il merito è anche del Comune di Cuneo che ha saputo far valere i propri interessi" (Comune di Cuneo che vuole la soluzione esattamente opposta a quella che vuole il senatore Boggio sostenendo Vercelli).
Ecco perché, colleghi, nella precedente risposta io e Rivalta dicevamo che avevamo bisogno di capire. Ho bisogno di capire quale logica muove questa diaspora di posizioni.
La programmazione è sintesi, è scelta, è decisione, non è la perenne disputa-congresso. La dialettica ha un senso se ha una tesi e un'antitesi c'è una sintesi. Almeno questo l'abbiamo imparato da Antonio Gramsci. Torno a ripetere dunque che siamo favorevoli alla soluzione a Vercelli, per questo abbiamo operato ed opereremo nelle forme e nei modi di pressione diretti ed indiretti, che sono consentiti alla Regione. Tengano presente i Consiglieri che le decisioni dipendono anche da comportamenti e da coerenze di varie parti, non solo dai nostri. L'osservazione sulla pesante situazione generale di Vercelli, alla quale fa opportuno richiamo il collega Franzi, mi sollecita a dare informazione dell'incontro del 17 settembre con il gruppo dirigente Montedison per ciò che riguarda il settore della fibra. Non ci sono novità, se non la conferma della gravità della situazione e, fino ad ora, della mancanza assoluta di ipotesi alternative per i 504 e i 540 dipendenti.
Per la Lidman c'è un sondaggio in corso con imprenditori privati. La Giunta non pone nessuna pregiudiziale a scorpori e lavorerà per questa soluzione, come per altre eventuali che si affacciassero. Le trattative per quanto riguarda la Lidman, sono ad un punto delicato e, per il momento sono tenuto ad un certo riserbo.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Franzi.



FRANZI Piero

Non ho mai posto in dubbio l'obiettività delle risposte della Giunta e dei singoli Assessori né d'altra parte, dubito che non si debbano trarre delle conclusioni realistiche e che la Giunta si sia mossa nel senso di orientare l'IPRA a collocarsi nell'area attrezzata di Vercelli. Diamo per scontato l'obiettività, il senso pragmatico e l'impegno della Giunta nell'orientare l'IPRA in un determinato modo. Anch'io vorrei capire, ma se anche l'Assessore mi dice che deve ancora capire, allora cerchiamo di approfondire perché l'Assessore ha più elementi di me per capire certe cose...



ALASIA Giovanni, Assessore all'industria e ai problemi del lavoro

Io non sono iscritto alla DC. Ho bisogno di capire che cosa dite voi.



FRANZI Piero

Ho presentato l'interrogazione proprio per capire e se ha degli elementi la prego di darceli e di non lasciarli nel vago. E' proprio questa vaghezza che determina la polemica politica in quel di Vercelli. Il dualismo, Vercelli o Mondovì, non sta in piedi, perché le aree attrezzate dove ricollocare le industrie sono 5, quindi tutte e 5 hanno uguali diritti e parità di scelta da parte degli imprenditori. A me sta bene che vada nell'area di Mondovì, però non mi sta bene che vada a Peveragno.
Come deve intervenire la Giunta? Ecco, gli strumenti urbanistici, le modalità di sussidio e di integrazione: è tutto qui il discorso.
Ma vorrei porre una domanda più puntuale a questo riguardo: è vero o non è vero che ci sono state delle pressioni politiche particolari?



ALASIA Giovanni, Assessore all'industria e ai problemi del lavoro

Non ci sono state pressioni politiche particolari. Da quanto arguisco dai giornali, ci sono pressioni politiche della DC e puoi arguirlo anche tu. Personalmente nessuno mi ha fatto delle pressioni.



FRANZI Piero

Prendo atto che non ci sono particolari pressioni politiche, che tutto ciò che l'Assessore conosce lo ha tratto dai giornali, e che, pertanto, le cose andranno secondo la logica della rilocalizzazione nelle aree attrezzate per l'industria.



PRESIDENTE

L' interrogazione è discussa.


Argomento:

Interrogazione del Consigliere Franzi inerente al mancato insediamento della società IPRA nell'area di Vercelli

Argomento:

Risposta scritta ad interrogazione del Consigliere Marchini


PRESIDENTE

All'interrogazione del Consigliere Marchini per conoscere quali sono i motivi che hanno ritardato la nomina della Commissione dell'artigianato risponderà l'Assessore Marchesotti per iscritto.


Argomento: Norme generali sull'agricoltura

Interrogazione dei Consiglieri Graglia Artico e Dadone inerente alla regolamentazione della raccolta dei tartufi


PRESIDENTE

Passiamo all'interrogazione dei Consiglieri Graglia Artico e Dadone inerente alla regolamentazione della raccolta dei tartufi Risponde il Presidente della Giunta regionale, Viglione.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Nelle consultazioni tenutesi nell'ambito dei territori interessati alla raccolta del tartufo è risultata prevalente, da parte delle associazioni interessate, l'opinione che la raccolta dei tartufi dovesse iniziare il primo di settembre e non il 15. Anche le zone che parrebbero essere interessate all'inizio della raccolta dei tartufi il 15.9, sostanzialmente interpellate, hanno rilevato che la data dell'1.9 era la più idonea.
Tuttavia, non è tanto importante la data di inizio della raccolta del tartufo, quanto il modo di raccoglierlo che deve avvenire per mezzo del cane e non attraverso l'escavazione con piccole zappette nelle tartufaie dove si può correre il rischio di trovare il tartufo ancora in corso di maturazione, rimuoverne le radici distruggendone le ceppaie e non consentendone il rinnovo.



PRESIDENTE

La parola alla Signora Graglia Artico.



GRAGLIA Anna

Scopo dell'interrogazione era appunto quello di salvaguardare il tartufo da una raccolta non corretta ed anticipata con il rischio di distruggere le ceppaie, di rovinare la raccolta futura e lo sviluppo del tipico prodotto. Questi elementi sono stati evidenziati ad Alba nel corso della "fiera del tartufo" nella quale si è sottolineata l'opportunità di prevedere un marchio di origine controllata e garantita, così come avviene per i vini tipici, soprattutto perché il tartufo bianco albese ha delle particolarità tali da non essere confuso con i tartufi di altre zone. La questione dovrà essere attentamente valutata dalla Regione proprio in conseguenza di quanto è emerso dall'ultimo convegno sul tartufo.



PRESIDENTE

L'interrogazione è discussa.


Argomento:

Interrogazione dei Consiglieri Graglia Artico e Dadone inerente alla regolamentazione della raccolta dei tartufi

Argomento:

Richiesta di sollecita risposta ad un'interrogazione


PRESIDENTE

Chiede la parola il Consigliere Chiabrando. Ne ha facoltà.



CHIABRANDO Mauro

Sono ormai 4 o 5 sedute che aspetto la risposta a una mia interrogazione già all'ordine del giorno.



PRESIDENTE

Infatti è compresa nell'elenco, ma non è presente l'Assessore Enrietti.
Verrà discussa nella giornata di domani.


Argomento: Questioni internazionali

Dibattito in occasione dell'apertura della settimana delle Nazioni Unite sul disarmo


PRESIDENTE

Punto quarto all'ordine del giorno: "Dibattito in occasione dell'apertura della settimana delle Nazioni Unite sul disarmo".
Signori Consiglieri, con l'iscrizione all'ordine del giorno del tema che stiamo trattando, il Consiglio regionale vuole prima di tutto aderire alla settimana mondiale per il disarmo, che si apre oggi in occasione della giornata delle Nazioni Unite.
Vogliamo per questa via dare anche il nostro contributo alla necessità dello sviluppo di un movimento di opinione pubblica, di pressione, di lotta per far cessare la corsa agli armamenti nel mondo che rappresenta una continua e crescente minaccia alla pace oltre alla dispersione immane di risorse finanziarie e tecnologiche.
Il problema riguarda ogni singolo essere umano. Il problema deve impegnare tutte le forze politiche, a qualsiasi livello esse siano chiamate ad operare. Non esiste possibilità di affrontare e risolvere nessuno dei grandi problemi dell'umanità nel nostro tempo senza avviare un disarmo in tempi, in modi e in quantità diverse dall'andamento attuale caratterizzato invece da un aumento costante delle spese militari che hanno raggiunto da alcuni anni la cifra di 350 miliardi di dollari all'anno.
Questa corsa al riarmo quale ricerca sempre più sofisticata di nuove armi distruttive è insensata. Gli arsenali di armi nucleari esistenti sarebbero già sufficienti a distruggere più volte tutti i Paesi del mondo.
Secondo l'Istituto Internazionale per le ricerche sulla pace di Stoccolma Stati Uniti e Unione Sovietica possiedono assieme una potenza esplosiva equivalente a 1 milione e 300 mila bombe del tipo di quella di Hiroshima.
Ma la questione non riguarda soltanto le due super potenze, perché esse assieme a Cina, Francia, Regno Unito, Repubblica Federale Tedesca spendono complessivamente i tre quarti delle somme investite a scopi militari. Le conseguenze di questa politica complessiva sono nefaste rispetto a qualsiasi prospettiva positiva di sviluppo dell'umanità. I fondi pubblici dedicati, ad esempio, alla Sanità sono il 60% delle spese militari. Mezzo miliardo di persone in tutto il mondo vive in condizioni di denutrizione e milioni di altre vive con razioni di molto inferiori al minimo vitale.
Il 25% del personale scientifico del mondo è impiegato in attività di tipo militare. In tutto il mondo vi è quasi lo stesso numero di militari che di insegnanti. Si calcola che 22 milioni di uomini costituiscono l'ammontare degli eserciti in tutti i Paesi. Ma le spese impiegate per sostenere questo immane apparato destinato a fare la guerra, sono quelle che non vengono impiegate; ad esempio, nei 66 Paesi al mondo nei quali la malaria ancora infierisce allo stato endemico. Sono i fondi che poi non sono resi disponibili per sradicare una malattia che ci appare lontana, ma che colpisce ancora decine di milioni di uomini come il vaiolo.
Lo sradicamento di queste malattie costerebbe somme insignificanti in rapporto al costo per la corsa agli armamenti. E basterebbe destinare l'equivalente dell'1% dei bilanci militari dei Paesi industrializzati per portare a termine il programma di assistenza allo sviluppo dell'agricoltura, prevista nella Conferenza mondiale sull'alimentazione. In una situazione caratterizzata dal fatto che la produzione alimentare pro capite, nell'insieme dei Paesi in via di sviluppo, è negli ultimi anni diminuita; mentre c'è, come sottolinea il documento dell'O.N.U.
disperatamente bisogno dì un'assistenza internazionale in grado di finanziare una maggiore produzione alimentare e costituire delle riserve per i casi di necessità. Ma in tutta una serie di altri settori fondamentali per impedire l'imbarbarimento della civiltà sono urgenti investimenti necessari allo sfruttamento razionale delle risorse minerali e alimentari degli oceani, alla valorizzazione di nuove fonti di energia, al controllo dei rischi ambientali sulla salute, alla ricerca e agli studi necessari per prevenire le catastrofi naturali. La questione che si pone per risolvere questi problemi e quella di una gigantesca opera di riconversione, poiché nel mondo intero oltre 60 milioni di persone, in uniforme o no, vengono impiegati in lavori connessi all'attività di interesse militare.
E quello che è più grave è che in questo settore militare vengono impiegate categorie di persone altamente qualificate, ricercatori ingegneri, tecnici, che vengono quindi distolti all'impiego della loro intelligenza e delle loro energie agli obiettivi di pace.
Un disarmo nucleare, integrale ad esempio, renderebbe disponibili più di 20 mila ricercatori e ingegneri, che potrebbero essere impegnati in un'utilizzazione pacifica dell'energia atomica.
Di fronte a questa situazione è intanto indispensabile un'azione di informazione che tocchi tutti gli strati della società. Solo che si ha coscienza delle varie poste in gioco (e prima fra tutte la causa della pace, che non può affatto riposare sulla ininterrotta corsa agli armamenti), solo se ogni cittadino, e soprattutto le nuove generazioni, si renderanno conto di tutte le implicazioni che possono derivare dai progressi della lotta contro il riarmo, e da un effettivo disarmo controllato, solo se ci sarà questa coscienza diffusa che interessi tutti i Paesi, ci sarà un elevamento, un miglioramento della qualità stessa della vita. Occorre una coscienza nuova delle modificazioni profonde che occorre intraprendere per dare vita ad un nuovo ordine internazionale, basata sulla collaborazione fra tutti i Paesi del mondo per affrontare e risolvere i problemi sempre più grandi che miliardi di uomini hanno di fronte a sé.
Quando si oscura la dimensione dei grandi problemi, quando l'uomo è rinchiuso nel particolarismo, quando viene a mancare lo slancio ideale che deve rendere vicini e fratelli gli uomini di ogni parte del mondo, allora cessano i sentimenti di fondo della solidarietà, della collaborazione, del primato della cultura, e si affacciano prepotenti egoismi, di tutti i tipi la spinta a difendere ciò che si ha, il disprezzo per la vita umana sia propria che quella altrui, e si affermano concezioni della vita negative lasciando libero campo all'irrazionale, al misticismo e al rifiuto di tutte le conquiste progressive che la storia delle civiltà ha consegnato agli uomini di oggi e alle generazioni future.
Noi dobbiamo assumerci la nostra parte di responsabilità. Io propongo che la comunità piemontese, non soltanto in questa settimana mondiale per il disarmo, ma nei mesi che seguiranno, trovi le vie per una sensibilizzazione, una presa di coscienza, un'iniziativa costante, tesa ad ottenere concrete misure di disarmo in tutti i Paesi, tesa ad appoggiare ogni accordo parziale, ogni iniziativa che anche il nostro Paese pu assumere per favorire ogni negoziato che abbia l'obiettivo di una riduzione progressiva degli armamenti.
Propongo che il documento che ha dato origine a questa nostra seduta, e che ci è stato consegnato dalle Nazioni Unite, abbia un'ampia diffusione nelle scuole, nei luoghi di lavoro, nella comunità e che le Autonomie locali si facciano protagoniste di questa diffusione, e di una vera e propria campagna in questo senso.
Accogliamo e facciamo nostra l'iniziativa del Comitato regionale antifascista che promuoverà una serie di proiezioni di film contro gli orrori della guerra, per il disarmo e la pace, nei capoluoghi di comprensorio.
Questa iniziativa è dedicata alle nuove generazioni, le prime che nella storia del nostro Paese non hanno conosciuto la guerra, ma anche quelle che devono essere conquistate all'idea che la pace riposa sul loro impegno ideale e politico.



PRESIDENTE

La parola al Presidente della Giunta regionale.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Note a margine della giornata delle Nazioni Unite (data anniversaria della fondazione dell'organizzazione).
Allo scopo di richiamare l'attenzione dei popoli sui pericoli crescenti rappresentati dalla corsa agli armamenti nel mondo, l'ONU ha indetto una Settimana Mondiale dedicata alla promozione degli obiettivi del disarmo.
Questa decisione riflette la preoccupazione di essere lontani dall'aver raggiunto il traguardo dell'edificazione di una struttura di pace durevole e che attualmente ci si trova di fronte ad una vera corsa accelerata agli armamenti e con riserve di armi nucleari aumentate. Inoltre, la corsa agli armamenti si è rilevata difficilmente arginabile anche geograficamente e un numero sempre maggiore di nazioni stanno per venire attratte in questo vortice.
Il costo di più di 400 miliardi di dollari l'anno per gli armamenti esprime soltanto parzialmente l'insostenibile pedaggio economico, sociale e politico di questo terribile fenomeno globale. Per poter sperare nel futuro migliore dell'umanità ci dobbiamo impegnare nell'impresa del disarmo con maggior energia degli sforzi materiali ed intellettuali sin qui dedicati allo sviluppo di armi di distruzione finale. Il nostro sforzo deve essere commisurato all'ampiezza della sfida.
La volontà politica così come la debita competenza tecnica per affrontare la complessità degli armamenti sono essenziali a tale fine.
Tutti i popoli debbono unire i loro sforzi per contribuire a determinare un nuovo corso nelle relazioni internazionali al riparo degli arsenali militari, al riparo della guerra.
A questo scopo l'opinione pubblica debitamente mobilitata pu contribuire a rendere irreversibile un processo siffatto, un'opinione pubblica orientata verso obiettivi a lungo, ma anche a breve termine. Un attivo interesse dei negoziati sul disarmo soprattutto nell'ottica del suo collegamento con lo sviluppo che porta all'edificazione di un nuovo ordine economico internazionale è senza dubbio un contributo che non può essere senza risultati positivi.
Dati relativi alla corsa agli armamenti ed ai suoi effetti negativi sullo sviluppo economico e sociale.
a) I costi astronomici delle spese militari - Nel mondo si spendono a fini militari circa 350 miliardi di dollari l'anno, cioè, il settore militare assorbe nel mondo intero risorse equivalenti a circa due terzi del totale del prodotto nazionale lordo dei Paesi che insieme rappresentano la metà più povera della popolazione mondiale. Il numero di ogive trasportabili con missili in possesso delle due principali potenze nucleari Stati Uniti e Unione Sovietica - ha una potenza esplosiva equivalente a un milione e trecentomila bombe del tipo di quella di Hiroshima.
La credibilità della società odierna è stata particolarmente alterata dalla aberrante corsa agli armamenti suscitando soprattutto nei giovani un atteggiamento di rifiuto e di disillusione; il proseguimento di questa corsa contribuisce ad intensificare l'alienazione di coloro che sentendosi impotenti ed inutili abbandonano ogni progetto socialmente costruttivo.
b) La dimensione planetaria della corsa agli armamenti. La corsa agli armamenti è sempre più un fenomeno di dimensione mondiale, nessuna grande nazione ne è immune e la sua manifestazione più importante è chiaramente la rivalità che sul piano degli armamenti contrappone le maggiori potenze militari, sottraendo massicce risorse in proporzione crescenti. Questa rivalità ha un carattere qualitativo più che quantitativo.
c) I sei paesi che spendono di più in armamenti: Stati Uniti Unione Sovietica Cina Francia Regno Unito Repubblica Federale di Germania Tali paesi svolgono per di più la quasi totalità delle attività di studio e di ricerca militare e producono la quasi totalità delle armi e del materiale militare esportati nel mondo.
d) La distensione è costantemente minacciata e compromessa. La distensione ha allentato le tensioni sulla scena internazionale ed ha diminuito il rischio di vedere degenerare in guerre nucleari i conflitti che si svolgevano ai margini della corsa agli armamenti.
La distensione ha creato un terreno più favorevole agli scambi scientifici, tecnologici e culturali tra le grandi potenze ed all'istituzione di legami economici e sociali. La sua principale incrinatura è il fatto che non ha portato anche a corrispondenti misure militari tendenti al disarmo.
Se la corsa agli armamenti non viene fermata, la distensione resterà senza una base reale, continuamente minacciata di ricadere nella tensione nello scontro.
Effetti negativi della corsa agli armamenti: sperpera le risorse distoglie l'economia dai suoi obiettivi umanitari ostacola gli sforzi nazionali di sviluppo insidia il processo democratico minaccia realmente la sicurezza nazionale, regionale ed internazionale, implica il rischio costante di una guerra tra le super potenze pone un grave ostacolo all'instaurazione di un clima capace di togliere l'importanza al ruolo della forza nelle relazioni internazionali ostacola le relazioni tra i paesi influendo sul volume e l'orientamento degli scambi, riducendo il ruolo della cooperazione tra gli Stati e rendendo più difficili gli sforzi tendenti ad instaurare un nuovo ordine economico internazionale basato su una maggiore giustizia influenza i paesi rispettivi sul loro orientamento sociale, politico tecnologico ed industriale aggrava e rende più acuti i problemi dello sviluppo, squilibri economici, inflazione, inquinamento, energia e materie prime, relazioni commerciali, tecnologia.
Effetti positivi derivanti da una riduzione dei bilanci militari.
1. Contribuirebbe alla realizzazione di programmi sanitari.
2. Contribuirebbe a risolvere i problemi della fame e della malnutrizione nel mondo.
3. Contribuirebbe all'aumento delle possibilità di assistenza alle aree di sottosviluppo.
4. Potrebbe aumentare sensibilmente il livello degli investimenti permettendo l'aumento del tasso di crescita.
5. Sposterebbe le competenze e le tecniche scientifiche utilizzate a fini militari in altre, più proficue attività come: lo sfruttamento razionale delle risorse alimentari, minerali, degli oceani la valorizzazione di nuove fonti di energia il controllo dei rischi ambientali sulla salute la ricerca e le previsioni meteorologiche gli studi per prevenire le catastrofi naturali gli inventari delle risorse naturali un'azione efficace nell'ambito della tutela dell'ambiente.
Il disarmo permetterebbe: sostanziali progressi in materia di crescita del tasso dello sviluppo disponibilità maggiore di risorse interne, materiali, finanziarie ed umane, nei paesi sviluppati come pure nei paesi in via di sviluppo che potrebbero essere ridestinati a obiettivi di sviluppo di rimuovere gli ostacoli che rendono difficoltosi gli scambi internazionali in generale e la libera circolazione delle materie prime e delle tecniche d'avanguardia, in particolare aiuterebbero i paesi a scegliere liberamente la propria via di sviluppo la realizzazione di importanti economie per i paesi industrializzati e aiuto crescente ai paesi in via di sviluppo.
Effetti economici e sociali della corsa agli armamenti.
Istruzione: in tutto il mondo vi è quasi lo stesso numero di militari che di insegnanti.
Sanità: le spese pubbliche destinate a questo settore sono il 60% delle spese militari. Le risorse preposte alla ricerca medica in tutto il mondo rappresentano solo 1/5 di quelle dedicate alla ricerca-sviluppo di carattere militare.
Nutrizione: la situazione più allarmante: per colmare il disastro attuale sarebbe sufficiente l'equivalente dell'1% dei bilanci militari dei paesi industrializzati.
Scienza e tecnica: circa il 25% del personale scientifico nel mondo è impegnato in attività di tipo militare. La maggior parte delle spese è utilizzata per la realizzazione di materiale che non riveste alcun carattere di utilità civile.
La ricerca medica e biologica e la ricerca indirizzata alla difesa dell'ambiente e alla soddisfazione dei bisogni scientifici dei paesi in via di sviluppo, hanno assorbito risorse inferiori a quelle per la ricerca militare.
Mano d'opera: la corsa agli armamenti comporta una notevole sottrazione di risorse di mano d'opera. Le forze armate nel mondo contano circa 22 milioni di persone. Negli Stati Uniti ogni tre militari ci sono oltre quattro persone impiegate in settori affini. Nel mondo intero sono 60 milioni le persone che, in uniforme o no, nel settore pubblico o privato vengono impiegate in lavori connessi ad attività di interesse militare.
L'ambiente: la difesa dell'ambiente rappresenta un elemento importante del problema delle risorse. Le attività militari interferiscono in molti modi con gli sforzi per riparare i danni già causati all'ambiente e per impedire oppure limitare, per quanto possibile, ogni nuova degradazione.
Materie prime: le forze armate di tutti i paesi consumano in quantità rilevante molteplici risorse non rinnovabili. Un disarmo nucleare integrale renderebbe inoltre disponibili più di 20 mila ricercatori e ingegneri nucleari che attualmente lavorano alle applicazioni militari dell'energia nucleare e molti di loro potrebbero partecipare ai programmi nucleari iniziati a scopi pacifici e di sicurezza dai paesi sviluppati e dai paesi in via di sviluppo.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Calsolaro



CALSOLARO Corrado

L'iniziativa delle Nazioni Unite per il disarmo richiama tutti ad una riflessione sui problemi della pace, della cooperazione fra gli Stati e i popoli, della fame nel mondo, di una equilibrata distribuzione delle risorse.
La distensione e il disarmo sono stati, con la proposta di un nuovo ordine economico internazionale e con la difesa e il rafforzamento dei diritti dell'uomo i temi fondamentali del 14° Congresso dell'Internazionale socialista di Vancouver; così come i problemi mondiali di sopravvivenza della pace, degli armamenti, della fame e dell'equilibrio demografico nel mondo aprono il progetto socialista approvato dal 41° Congresso del PSI.
Siamo consapevoli che la pace resta il problema dei problemi.
L'esistenza di un enorme potenziale bellico distruttivo e la sua crescita continua, il permanere di antagonismi dettati da forti contrapposizioni ideologiche, pregiudizi e manifestazioni pericolose di varia natura rispondenti alla logica imperiale dell'egemonia di grandi potenze, il mancato sviluppo della cooperazione internazionale e quindi il ritardo e l'inefficacia delle misure dirette a ridurre le disuguaglianze nel mondo lasciano sulla carta l'aspirazione diffusa ad un nuovo ordine economico internazionale, contribuiscono nell'insieme a caratterizzare la fase di instabilità e di malessere che attraversa l'umanità e che, in vario grado si ripercuote sulla vita di ogni paese.
Il problema della pace va di pari passo con quello del disarmo. Mentre da un lato si è estesa la coscienza e la conoscenza dei grandi problemi che, a livello planetario, condizionano e condizioneranno il futuro dell'umanità, mentre si tenta la quantificazione delle risorse disponibili e si formulano previsioni preoccupate e, per talune scuole addirittura allarmanti e catastrofiche, dall'altro lato la voce "armamenti" mantiene imperterrita la sua curva ascensionale.
Siamo arrivati alla soglia di 400 miliardi di dollari spesi negli armamenti in tutto il mondo in un anno, somma che tende a superare di cinquanta volte l'intero ammontare del trasferimento di fondi dalle nazioni ricche alle nazioni povere.
Le maggiori potenze industriali figurano nella lista dei grandi produttori. Si constata un vertiginoso balzo in avanti anche nelle spese dei paesi in via di sviluppo che affollano la lista dei clienti.
In primo piano sta la responsabilità delle due maggiori potenze: gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica. Solo dai loro accordi sulla limitazione degli armamenti, sul disarmo nucleare, può derivare una svolta decisiva nella politica della distensione e della pace.
Anche in Europa il problema della sicurezza e della pace si lega alla necessità di dare conclusioni soddisfacenti e stabili alle trattative e agli incontri che negli ultimi anni si sono sviluppati fra i paesi occidentali e paesi orientali dell'Europa attorno al problema della limitazione degli armamenti e al contesto di garanzie strategiche che deve essere assicurato su di un piano di leale parità.
Un motivo di particolare preoccupazione deriva dallo sviluppo di nuovi armamenti verso i quali sfociano i progressivi sviluppi tecnologici in materia nucleare e le nuove scoperte chimiche. A questa categoria appartiene la cosiddetta "bomba al neutrone" che il Segretario della SPD Egon Bahr ebbe a definire "un simbolo della perversione del pensiero". Il crescente sviluppo delle industrie belliche, all'ovest come all'est rappresenta una crescente minaccia alla pace: deve essere urgentemente trovata una soluzione al problema di convertire l'industria bellica in attività di pace senza perdita dei posti di lavoro. Così come gli Stati devono compiere ogni sforzo per limitare le esportazioni di armi soprattutto verso il terzo mondo: è necessario giungere ad un accordo per limitare a quantità ragionevoli il trasferimento di armi e di tecnologia militare sotto controllo internazionale. Oggi, invece, decine di conflitti locali in paesi in via di sviluppo sono alimentati incessantemente di materiale bellico sempre più sofisticato, e così pure i circuiti internazionali del terrorismo sono largamente facilitati dallo sviluppo incontrollato del mercato delle armi.
Considerazioni di questa natura, ripetutamente espresse da uomini politici, da studiosi e da scienziati di ogni parte del mondo, appaiono sovente come retoriche agli occhi di una opinione pubblica occidentale superficiale e disattenta. Negli ultimi tempi si sono moltiplicati i moniti autorevoli che richiamano la realtà di un contesto internazionale in cui la pace non è affatto salvaguardata, il suo presente è instabile, il suo avvenire tutt'altro che garantito.
"Siamo arrivati alla fase - ha detto con un fondo di pessimismo moralistico Olaf Palme - in cui il controllo della tecnologia nucleare ci sta sfuggendo di mano. Il mondo si avvicina alla sua fine".
In verità la certezza della pace non è acquisita: è un obiettivo che bisogna raggiungere impiegando ogni sforzo dell'animo e della ragione.
Da questa certezza si allontanano le rigide contrapposizioni antagonistiche, la volontà di dominio e di oppressione, la visione dogmatica ed esasperata nei rapporti fra gli Stati e i sistemi diversi. Per ridurre gli antagonismi e le ragioni di conflitto nessuno può rinunciare a una visione dell'ordine mondiale fondato sui diritti dei popoli, sulla sovranità delle nazioni, sul rispetto dei diritti dell'uomo.
La politica della distensione richiede un processo permanente di rinnovati sforzi che non si sviluppa automaticamente e senza battute d'arresto. Non possiamo che auspicare, per quel poco che possono valere i nostri personali convincimenti, che prevalga il buon senso. Nella sola Europa sono dislocati potenziali distruttivi che se usati potrebbero distruggere l'intera umanità parecchie volte. In questa situazione gli sforzi per un controllo degli armamenti e per il disarmo diventano un imperativo categorico.
La stessa area del Mediterraneo appare oggi come il più grande poligono del mondo, dove si vanno provando e sperimentando le armi più sofisticate e tecnologicamente più avanzate dell'armamento convenzionale con una spirale che bisogna spezzare al più presto prima che essa trovi un punto terminale nel possesso di armi nucleari. E' all'Europa che spetta il ruolo fondamentale di mantenere una capacità di intervento autonomo suscettibile di obbligare le superpotenze a tener conto delle sue intenzioni e delle sue volontà. Le superpotenze e i grandi blocchi devono essere scoraggiati dall'impegnarsi in un confronto nel teatro europeo, confronto il cui risultato può essere soltanto la distruzione dell'Europa.
La cooperazione tra i Paesi del Terzo mondo che si affacciano sul Mediterraneo deve partire da un'iniziativa da parte dell'Europa, il cui interesse è di operare attivamente per la distensione nel Mediterraneo.
La cooperazione sul piano economico deve essere fondata su una strategia che realizzi il riequilibrio delle disparità e dei ritardi esistenti fra nord e sud, tra l'Europa e i paesi mediterranei del Terzo mondo. Si tratta di paesi che sono rimasti per troppi anni vittime dello "scambio ineguale".
Questo scambio riguarda in larga parte la vendita di armi. Rifacendoci ai principi della Conferenza di Helsinki si pone il problema di come contribuire al controllo delle armi e alla riduzione bilanciata degli armamenti. Rinunciare a stabilire un controllo su questo come su altri mercati è una scelta politica; ma non è certo una scelta valida per chi come noi, vuole dare all'Europa un ruolo nuovo, pacifico e costruttivo in un mondo insidiato da mille paure e da mille pericoli.
Il recente dibattito al Parlamento nazionale ha messo in evidenza il rapporto gravemente squilibrato che esiste fra le spese militari e quelle per gli aiuti ai paesi poveri. Si è trattato di un'importante iniziativa che non dovrà essere fine a se stessa né risolversi in una parata di buone intenzioni che lasci poi le cose esattamente come stanno.
Il nostro Paese deve operare una scelta decisa in questo campo. A tutt'oggi esso occupa gli ultimi posti nella politica di cooperazione e di solidarietà verso i paesi poveri e sottosviluppati. Avremmo dovuto destinare a questo scopo l'1 % del prodotto nazionale lordo. Nel 1978 questo impegno è stato soddisfatto nella misura dello 0,06% . Le nostre ristrettezze sono certamente molte, e dobbiamo batterci per affrontarle e per risolverle: ma non possiamo dimenticare i nostri doveri di solidarietà con coloro che lottano per sopravvivere.
In Italia ogni anno le spese militari ammontano a 6.600 miliardi di lire. Nel mondo abbiamo visto che sfiorano i 400 miliardi di dollari, una somma quasi inesprimibile in lire. A fronte di ciò solo il 10% dei bambini del Terzo mondo viene vaccinato: questo significa che le malattie come la pertosse, la tubercolosi, la poliomielite e il morbillo seminano la morte in mezzo a loro. Eppure l'UNICEF ha calcolato che per vaccinare tutti gli 80 milioni di bambini che nel 1979 saranno nati nel Terzo mondo occorrono appena 50 milioni di dollari.
I dati sulla fame nel mondo sono ormai universalmente noti: cento morti al minuto, 450 milioni di uomini in difficoltà di sopravvivenza, 50 milioni che muoiono letteralmente di fame. Sperpero di miliardi di dollari investiti in armamenti di fronte a 144 paesi del Terzo e del Quarto mondo dall'India all'Etiopia, in profonda e tragica crisi alimentare. Un quarto della popolazione del nostro pianeta ne subisce le conseguenze dirette o indirette.
Occorre dare l'avvio, nell'occasione offerta da questa settimana delle Nazioni Unite per il disarmo, ad una svolta della politica italiana verso questi problemi. Occorre un cambiamento radicale, tangibile, programmato con serietà. L'amicizia, lo spirito di cooperazione, la solidarietà umana si riducono a poca cosa quando si passa dalle parole ai fatti. Dobbiamo aumentare la partecipazione del nostro Paese e rafforzare la sua presenza negli organismi internazionali specializzati per gli aiuti al Terzo mondo.
Dobbiamo sviluppare un'iniziativa in sede comunitaria per una diversa utilizzazione dei surplus agricoli.
Dobbiamo delimitare l'area degli interventi diretti nell'ambito bilaterale concentrando gli sforzi su alcuni Paesi in modo da rendere la nostra azione più efficace e produttiva.
Penso che un gemellaggio ideale, ma concreto, della nostra Regione con una Regione del mondo "povero", pur con le difficoltà di ordine istituzionale e legislativo che esso comporta, potrebbe essere il modo migliore di celebrare questa settimana per il disarmo, perché essa non passi invano e non resti soltanto nel ricordo degli atti consiliari.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Majorino.



MAJORINO Gaetano

Signor Presidente, signori Consiglieri, ho letto attentamente la documentazione che ci è stata passata relativamente alla "settimana per il disarmo", e l'iniziativa presa, in sé e per sé e su un piano strettamente teorico, non può che essere condivisa, in quanto si inquadra perfettamente in uno degli scopi fondamentali sanciti dallo Statuto delle Nazioni Unite che è quello del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.
Ma il discorso cambia - a mio avviso - nel momento in cui valutiamo l'iniziativa in questione alla luce della realtà storica odierna, alla luce cioè dell'oggettivo comportamento degli Stati del mondo in ordine agli armamenti: ed allora - se la si disamina sotto questo profilo - deve rilevarsi che l'iniziativa pecca, quantomeno, per il suo semplicismo in quanto volutamente (o non volutamente) ignora i termini reali del problema della cosiddetta "corsa agli armamenti". Invero, se gli Stati fra di loro legati dal Patto atlantico prospettano nei loro bilanci delle cifre di una certa consistenza per le forze armate, ciò è dovuto a mio avviso (e non ce lo si deve nascondere) al fatto che i Paesi legati dal Patto di Varsavia uniti alla Cina, hanno come spesa prioritaria pubblica quella per gli armamenti e per l'efficienza delle loro forze armate. Questo è un dato di fatto incontestabile, in quanto ci risulta da pubblicazioni specializzate elaborate ad opera di non sospetti studiosi di diritto internazionale e di cose militari: talché, ben si può affermare, con tranquillante certezza che di quei 284 mila miliardi di lire che vengono additati dall'ONU come spesa mondiale complessiva per gli armamenti, la più gran parte appare nei bilanci dei Paesi legati dal Patto di Varsavia, Unione Sovietica e Cina in testa.
Ed a questo proposito, appare quantomeno strano che il Centro informazioni dell'ONU non abbia voluto ulteriormente elaborare questa cifra di 284 mila miliardi di lire: per dirci, elaborandola, quale di essa è sostenuta dai Paesi del Patto atlantico e quale di essa è sostenuta dai Paesi del Patto di Varsavia e della Cina.



PRESIDENTE

I documenti sotto i nostri occhi rispondono al quesito che lei pone.
Viene indicato che le spese militari complessive degli Stati Uniti, Unione Sovietica, Gran Bretagna, Repubblica Federale Tedesca rappresentano i 3/5 delle spese generali sostenute nel mondo.



MAJORINO Gaetano

Si vede che mi è sfuggito questo inciso.
In questa situazione, di fronte cioè alle ingenti spese che Unione Sovietica ed i suoi satelliti e Cina impiegano per gli armamenti, pare si possa affermare con una certa fondatezza che gli Stati Uniti ed i suoi alleati atlantici si trovano nello stato di necessità, inteso in senso tecnico-giuridico, di tenere presenti nei loro bilanci anche le spese per gli armamenti e per le forze armate, in base al principio enunciato dalla antica sapienza romana, in forza del quale "si vis pacem, para bellum": se vuoi la pace, prepara la guerra.



PRESIDENTE

Però, coloro che dicevano quello facevano sempre la guerra e mai la pace.



MAJORINO Gaetano

Il principio richiamato della sapienza romana è conciso e lapidario e ai tempi nostri, va intelligentemente inteso e interpretato come necessità dei Paesi che vogliono vedere realizzati i principi di pace, di giustizia e di quiete internazionale di avere pronte quelle eventuali contromisure militari da contrapporre a chi alla pace stessa voglia attentare.
Concludendo, quindi, la presa di posizione mia e della forza politica che qui rappresento, affermo che l'iniziativa dell'ONU di indire - dal 24 al 31 ottobre - la settimana per il disarmo si può condividere: ma auspicandosi che - nell'ambito di tale iniziativa - si voglia sottolineare che l'invito al disarmo va diretto a tutti indistintamente gli Stati del mondo, senza eccezione alcuna, e con particolare riguardo a quegli Stati che nella corsa agli armamenti sono i primi in classifica.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PAGANELLI



PRESIDENTE

Ha facoltà di parola il Consigliere Rossotto.



ROSSOTTO Carlo Felice

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, tutti vogliamo la pace nessuno vuole la guerra: questo è il primo luogo comune che possiamo affermare (il popolo romano non era amante della pace, per lo meno voleva preservare la pace per se stesso e faceva la guerra agli altri non rispettando, almeno nella fase gloriosa, le altrui indipendenze, autonomie e decentramenti). La mia generazione, però, dei vincitori e dei vinti uscita dalla catastrofe della seconda guerra mondiale, ha nutrito un comune desiderio di pace per le tragedie che aveva vissuto e le distruzioni che aveva subito.
Da qualche anno c'è attorno a noi un lento aumento di tensione, un ritorno a non considerare queste cose nel loro aspetto drammatico: "glorioso e caro agli dei è colui che muore giovane", "chi muore per la patria vissuto è assai" c'è un ritorno alle fanfare, alle belle divise all'eleganza, al prestigio, senza vedere la tragedia che esiste dietro questi simboli, senza considerare cosa furono i conflitti mondiali in termini di distruzione che molte nazioni ebbero a soffrire.
E' falso credere che il pericolo per l'umanità derivi dal nucleare: il problema nucleare sarebbe talmente risolutivo che non esiste.
Proprio sui banchi di scuola ci insegnavano che nel secondo conflitto mondiale, che veniva dato per ineluttabile, non sarebbe stata peculiare la guerra di trincea, ma la guerra chimica e batteriologica che in breve tempo avrebbe fatto milioni di morti nelle grandi città.
Né si può dire che il problema è limitato ai due grandi imperialismi.
In questo periodo sta girando in Europa il primo ministro di un paese sorgente, Hua Guofeng il quale non mi pare che vada in giro a parlare con serenità della guerra: sarà quello o quell'altro che la potranno determinare, quindi gli europei se vogliono la pace debbono prepararsi alla guerra. Ci stiamo rendendo conto di come la speranza del 1945/46, nata a S.
Francisco, stia diventando qualche cosa di staccato dalla realtà. La violenza va ricercata anche altrove, nei Paesi del Terzo mondo, in questo arco di trent'anni, si sono consumate le armi dei Paesi altamente industrializzati che non sanno dove collocarle e che le passano a loro quando queste sono già diventate vecchie. Il punto di riferimento è la Conferenza di Helsinki, non soltanto nel senso della pace, ma anche sotto l'aspetto dell'affermazione del diritto alla dignità dell'uomo, del diritto alla libertà dell'espressione. In questi giorni si è nuovamente consumato a Praga indipendentemente dai colori e dai collegamenti, qualche cosa che non solo è in contrasto con la Conferenza di Helsinki, ma anche con i principi di libertà e di convivenza. Ognuno di noi, con la capacità propria, con la forza che ha nei rispettivi movimenti politici e nei partiti, non può rimanere senza preoccupazione. I radicali hanno lanciato la loro iniziativa: "meno armi e più cibo per il mondo", ma non è solo questo. Credo che si debba recuperare con vera partecipazione, nei modi e nelle forme più opportune. Va lasciata cadere la sensazione di un certo lassismo nella tutela dei valori fondamentali. Possiamo scandalizzarci del concetto espresso dal collega Majorino, "si vis pacem, para bellum" per attenzione! questo concetto dopo il rapporto sui Pershing o sui Cruise e i rapporti tra est e ovest sta camminando nell'opinione pubblica. La bruciatura della tragedia che è costata la vita a oltre 70 milioni di uomini ci deve far riflettere molto di più del timore delle armi nucleari (non so quanto hanno saputo far ragionare quelle atomiche i governanti).
La partecipazione al dibattito vuole rompere schemi usuali e far rientrare tutti con la nostra realtà sociale a meditare sui pericoli concreti che esistono non tanto in funzione delle armi quanto in funzione degli uomini che forse sono già pronti non solo a prepararle ma già ad usarle.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Benzi. Ne ha facoltà



BENZI Germano

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, il dibattito sul disarmo e sulla pace, è una cosa nobilissima, però, pur associandomi alle parole del Presidente del Consiglio non farei delle grosse divagazioni sulle armi nucleari e sulle spese relative, perché sono argomenti al di sopra delle nostre possibilità di intervento e di influenza. Il tema del disarmo, che sta sviluppandosi tra i popoli, sarebbe valido se tutti la pensassero allo stesso modo. Purtroppo non è così. Molti colleghi hanno evidenziato come nei conflitti, a carattere limitato, la gente continua a morire nonostante tutte le belle parole che vengono enunciate nei consessi.
L'ONU si impegna con notevole sforzo, però non sempre la sua azione ha efficacia perché le grandi nazioni fanno la loro politica, che noi possiamo condividere o non condividere.
Il popolo italiano ama la pace, perché delle guerre è stanco, dato che in un secolo ne ha subito molte. La mia generazione ha avuto la sventura di fare delle guerre perdendo numerosi amici caduti sui campi di battaglia a causa di teorie che oggi, se Dio vuole, non ci sono più.
Approvo la proposta reale avanzata dal collega Calsolaro. Se la nostra azione fosse realmente produttiva avrebbe un significato tangibile e effettivo per il Terzo mondo, che tutti dicono di voler aiutare, ma poi nessuno ci pensa più e il Terzo mondo rimane con i suoi problemi.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Marchini. Ne ha facoltà.



MARCHINI Sergio

Non sono certo che si sia risposto puntualmente alla comunicazione 13.9.79 a firma Giorgio Ragnanelli che invitava il nostro Presidente a mettere in moto un processo di conoscenza, il più allargato possibile, del messaggio delle Nazioni Unite, perché noi abbiamo trasformato questo invito nell'opportunità di un dibattito in aula. Evidentemente dobbiamo misurare la nostra pochezza che, se non vogliamo che emerga in tutta la sua macroscopicità, richiede qualche riflessione.
In primo luogo mi paiono del tutto fuori luogo le ironie sulla pax romana: certamente alla storia dell'umanità ha insegnato molto di più che trent'anni di pace marxista, anche se proprio in quei Paesi si sono usate insieme le due parole "para bellum" per farne un ordigno di guerra.
In questa sede e anche nel messaggio delle Nazioni Unite non si fa sufficiente riferimento al fatto che non bisogna identificare la causa con gli effetti. Se è vero che gli armamenti sono causa degli effetti che sono descritti nel messaggio delle Nazioni Unite si deve dire, e non deve stupire che il messaggio delle Nazioni Unite non lo dica, che a sua volta la situazione degli armamenti è la conseguenza e l'effetto di altre cause.
Quali sono queste cause? Sono nuove rispetto al passato, sulle quali il dibattito culturale e di riflessione, anche al nostro livello, deve essere approfondito.
In primo luogo ci sembra macroscopico che una delle cause che impediscono la limitazione degli armamenti sia il ripetersi storicamente ricorrente di una vicenda che ormai è costante: i regimi autoritari, di qualunque segno, tendono a mascherare sotto una politica di potenza, e che qualche volta si traduce, magari con i risultati alle Olimpiadi o ai campionati di calcio, le insufficienze e le contraddizioni interne. Così facendo, si obbligano evidentemente anche democrazie radicate, come quella svizzera, ad essere il Paese più armato d'Europa.
Si è parlato di Paesi in via di sviluppo e si ignora, o si dimentica che ci siamo messi in una spirale diabolica tra il mondo produttore di petrolio e il mondo industriale avanzato, nel senso che questi due complessi, che ormai si alimentano l'uno degli errori dell'altro, cioè dell'inflazione, stanno determinando un distacco nei confronti dei Paesi in via di sviluppo e probabilmente la forbice tra i Paesi che si sono sviluppati e quelli che probabilmente saranno destinati a non svilupparsi mai più tenderà ad allargarsi e questa diabolica tenaglia che ha al centro l'inflazione, da una parte l'aumento dei prezzi dei paesi occidentali e dall'altra l'aumento dei prezzi dei prodotti petroliferi riduce ogni giorno di più la nostra possibilità di intervento nei confronti del Mondo in via di sviluppo.
C'è da chiedersi: le cause di questa vicenda non sono forse nella cultura occidentale? Perché il mondo arabo utilizza buona parte delle sue risorse per una guerra di tipo ideologico, così come l'Europa provoca l'armamento di un'altra parte dei contendenti per una guerra di tipo ideologico come nel Medio Oriente? Perché il Vietnam nei confronti del quale i Paesi occidentali, in particolare gli Stati Uniti, sono ampiamente debitori, utilizza i pochi crediti incassati, non per modificare la sua struttura e per curare i propri bambini, ma per fare una politica imperialistica? Perché alcuni Paesi mandano nei paesi in via di sviluppo dell'Africa solo ed esclusivamente delle armi? C'è da chiedersi, per esempio, perché in Italia un Presidente del Consiglio avesse personalmente stabilito l'embargo sull'invio di armi alla Cina (questa è una barzelletta di cui si è venuti a conoscenza nel cambio di maggioranza); uno degli effetti della grande maggioranza era l'embargo personale del Presidente del Consiglio alle armi destinate alla Cina. Il Sottosegretario che è succeduto a quello precedente finalmente, ha visto arrivare sui tavoli di certi funzionari le pratiche che avevano come clienti i cinesi e questo non avveniva da un certo numero di mesi.
Probabilmente né la nostra generazione né quella futura vedranno realizzata la pax romana, che, in definitiva, era una pace intollerante come sono tutte le paci e tutte le rivoluzioni. Ricordiamoci che disgraziatamente la storia dell'uomo è sempre la vittoria dell'intolleranza sulla tolleranza. La tolleranza deve essere allora armata. Qualcuno dice che la vittoria del cristianesimo sulla civiltà romana sia stata la vittoria della intolleranza sulla tolleranza. Questa è la storia dell'uomo e non sarà la nostra generazione a vedere improvvisamente bloccarsi questo circolo storico che è nella natura di ognuno di noi. Possiamo fare per nell'azione politica qualcosa contro le distorsioni macroscopiche che la società industriale ha determinato mettendo sul piatto da una parte l'immagazzinamento di risorse che non verranno mai utilizzate come quelle nucleari e sull'altro i 400 milioni di individui che hanno l'impossibilità a sopravvivere fisicamente. Se avessimo mantenuto il dibattito ad un appello avremmo probabilmente evitato di dire qualcosa di diverso, di introdurre degli argomenti che non sono di unità tra tutti noi.
Probabilmente l'unità è da ricercare nel perseguire questo obiettivo che esiste da quando esiste l'uomo, ma che da quando esiste l'uomo non è mai stato raggiunto.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bianchi.



BIANCHI Adriano

L'importanza di questo argomento ed i limiti delle nostre competenze creano un apparente squilibrio, che in qualche modo rischia di emergere in questa assemblea, tentata dagli altissimi voli e subito risospinta verso terra.
I documenti fornitici dalle Nazioni Unite in occasione della settimana per il disarmo sono volti a sfatare, con razionale semplicità, una serie di luoghi comuni sui quali si adagia la pigrizia intellettuale e la ottusità morale. Il mito da sfatare, ricordato efficacemente dai due Presidenti, è che alla fin fine la politica del riarmo e le spese relative contribuirebbero allo sviluppo economico, essendo recuperate in parte attraverso gli effetti di un volano che imprime velocità allo sviluppo economico, che concorre a ridurre la disoccupazione e a determinare il progresso tecnologico. In poche pagine semplici si dimostra quanto la coscienza di ciascuno di noi avrebbe dovuto intuire ed aveva in realtà intuito e cioè che queste sono fondamentali mistificazioni e menzogne.
Il discorso sul chi, sul come, da dove si debba marciare verso il disarmo è un discorso che il realismo politico e la coscienza devono altrimenti condurre. E' certo che queste citate motivazioni, queste giustificazioni, sono false. Le occasioni invece da ricuperare sono quelle indicate dalle Nazioni Unite ed infinite altre, ad alcune delle quali i colleghi hanno fatto riferimento: i programmi sanitari, i problemi della fame, la qualità dello sviluppo economico e della vita, l'esaltante avventura che l'uomo potrebbe correre nell'affrontare i grandi temi della modificazione o controllo degli andamenti meteorologici, dei deserti, dei venti, il recupero di aree immense che sono passate a condizioni desertiche mentre nell'antichità erano coperte da meravigliose foreste e colture. Sono molteplici le avventure di riassetto del nostro pianeta, divenuto piccolo che la disponibilità di mezzi immensi, quali sono fusi per gli armamenti potrebbe consentire di correre, avendo come posta finale non certamente il rischio dell'olocausto generale, ma quello della ricostituzione entro limiti dati del giardino terrestre che ci era stato in qualche modo assegnato e che per errore e colpe abbiamo perduto.
A smentire il passivo atteggiamento di chi dice: "sarebbe giusto e bello quanto ci viene suggerito, ma è impossibile", sta, a mio avviso, la recente e significativa sessione dell'assemblea delle Nazioni Unite preparata ed accompagnata dalla corale tensione e testimonianza di milioni di uomini attorno a valori tragicamente sempre contraddetti, ma mai vinti mai battuti, mai cancellati dal cuore dell'uomo, sempre presenti a percorrere la storia e a tenere viva la speranza dell'umanità.
Quest'assemblea ha consentito una riflessione ed una risonanza mondiale (ognuno di voi capisce e sa a quale evento mi riferisco) sul significato sulle conseguenze, delle politiche degli Stati miopi . Pensate - si è citato l'incontro dei combattenti di tutte le parti - a distanza di pochi decenni, un nulla rispetto al corso della storia, ciascuno di noi ha potuto vedere e toccare quanto effimere, quanto folli, quanto stupide fossero le azioni politiche già attribuite a dei geni, fasulli, che non altro che rovine e dolore hanno portato al nostro tempo. Questo i giovani devono capire. Sento con piacere che sono qui presenti dei ragazzi attenti a questo nostro dibattito, che non vuole e non può essere soltanto rituale.
Ebbene, il significato, le conseguenze che hanno avuto queste politiche, che hanno le ideologie, i programmi economici, se male orientati, se volti cioè a scopi di potenza che hanno per sbocco ineluttabile la politica degli armamenti. La qualità della politica di pace si rivela nei suoi rapporti rispetto all'uomo, i cui diritti, la cui centralità e dignità, il cui ruolo sono metro infallibile per giudicare la reale volontà di costruire la pace, di preservarla, di rimuovere le cause prime dei conflitti. La discriminante sta lì: nella condizione che è riservata all'uomo, nel rispetto che si ha per l'essere umano, come singolo e come persona collocata nella sua famiglia, nella sua comunità, nel popolo; nel rispetto dei piccoli popoli, delle culture minori. La condizione che è riservata a queste realtà umane è la base, la fonte attraverso la quale si giudica l'amore per la pace, la cui violazione crea fomiti primari e giustificazioni di conflitti e di guerre.
La riluttanza per ogni uomo responsabile ad evadere nella più sterile utopia, facendo affermazioni senza indicare i modi, i mezzi per trovare i rimedi, non legittima però l'adattamento, la rassegnazione, il pessimismo.
Questa è la motivazione, altrimenti si tratta di un rito, addirittura ridicolo, del perché un'assemblea regionale affronti il tema proposto dalle Nazioni Unite. Non è da ridere se riteniamo che ogni uomo abbia un ruolo da svolgere; anche se nella prospettiva storica di generazioni, che trascende la nostra sorte personale, l'apporto di ciascuno di noi ha un significato la testimonianza di ciascuno di noi può concorrere a mantenere viva una speranza, a preparare le soluzioni del domani.
Il problema degli armamenti, delle argomentazioni e delle cause che li motivano, della pace e della guerra tocca dunque ed investe ciascuno di noi personalmente. Questa fiducia occorre avere proprio mentre sembra che i grandi numeri, che gli immani armamenti, che la detenzione di strumenti di morte conoscano soltanto la dimensione del genocidio. La volontà dell'uomo singolo, debole, disarmato, è a mio avviso, e più che mai, una forza della storia.
Il nostro destino personale, familiare, la nostra riflessione e i nostri propositi sono impegnati su questa linea. Aderire e partecipare a questa settimana con seria coscienza, senza enfasi e senza retorica, pu assumere una portata ed una valenza, quella di concorrere a preservarci da una acritica e troppo tranquilla accettazione della corsa agli armamenti e delle resistenze sotterranee a proposte concrete di disarmo; certo con spirito avveduto, certo non confondendo la paura con la pace, le ragioni della viltà con la quiete. La viltà, invero, produce cattiva coscienza e detta cattivi comportamenti.
Ma noi non possiamo liberarci da un peso grave limitandoci a deprecare gli arsenali, le spese, le conseguenze economiche e sociali che sono state messe in evidenza, senza ricordare che lo spirito di guerra spunta e matura là dove gli inalienabili diritti degli uomini vengono violati. La causa, la genesi, la sostanza dei conflitti sta nell'ingiustizia, sta nella violazione dei diritti. Dove le strutture sono ingiuste ed oppressive quanto più gli Stati e le politiche, sono di tipo autoritario, tanto più lì è presente lo spirito di guerra, perché lì l'uomo è violato e costretto. Ma non possiamo dimenticare che vi sono anche garanzie di libertà mistificate formali. Non basta salvare le coscienze, non basta trincerarsi dietro l'esistenza di forme apparenti di rispetto e di libertà che poi in concreto siano conculcati per larghe schiere di uomini creando condizioni di odio di risentimenti, di preparazione a sommovimenti che sono strumenti per la preparazione della guerra.
Occorre quindi un idealismo invincibile che non contraddice il realismo necessario a ricercare la gradualità delle azioni per preparare, difendere la pace, per ridurre questa folle corsa alla distruzione delle limitate risorse della terra fino a crollare. Una delle sconfitte certe, sarebbe quella di un mondo che crolla, spossato, sotto un'azione sconsiderata che assorbe e distrugge le risorse disponibili, ma limitate e che non possono più essere volte ad opere di pace. Per alimentare lo spirito di pace occorre il coraggio. Qualcuno ha fatto accenno alle esperienze della nostra generazione: sembrano eventi lontani di secoli per la loro assurdità e sono di ieri; ciò vuol dire che ci possono insidiare domani con la stessa facilità e con la stessa drammaticità.
Allora lo spirito dell'appeasement della pacificazione a tutti i costi di Chamberlyne ha fatto sì che, non dal punto di vista morale, ma dal punto di vista storico, la viltà e l'incapacità politica di tanti governanti europei, ha impedito che si vedesse il pericolo, lo si bloccasse con la virile assunzione delle proprie responsabilità. Altrettanto colpevole dal punto di vista causale e storico, quanto lo è stata la follia criminale di Hitler per l'olocausto che ne è seguito in Europa. E così il borghese e pieghevole ombrello è venuto assumendo un significato macabro e può essere collocato sulla porta di Auschwitz per significare che fino a quel punto si è arrivati perché di lì, nascondendosi dietro questo paravento, affermando che si voleva la Pace, si aprivano le porte alla guerra.
A scuola abbiamo imparato e si è creduto razionalisticamente che l'umanità abbia camminato necessariamente verso la pace, passando progressivamente dalla lotta tra uomo e uomo, tribù e tribù, i confini della guerra si andavano progressivamente spostando in cerchi sempre più ampi, finché si sarebbe giunti ai confini della terra e la guerra sarebbe scomparsa come mezzo per risolvere i conflitti e le lotte tra gli uomini.
Una speranza coltivata sul piano di una razionalità che sarebbe immanente alla storia che non avrebbe neppure bisogno di un nostro apporto morale consapevole. Purtroppo questa generazione e quella dei più giovani è stata testimone di una nostalgia barbarica che ha riportato invece lo spirito di guerra negli androni delle nostre case facendoci ricordare che la guerra è incominciata davanti alla bocca della grotta in cui l'uomo ha trovato il suo primo rifugio. E così, mentre i confini della guerra sembrano spostarsi dal livello della tribù a quello del popolo, dal paese alla regione, dalla regione allo stato e da questo ai continenti ecco, dall'altra parte lo spettro rientra e ce lo ritroviamo al mattino davanti a casa a significare che è nel cuore dell'uomo che va sconfitto prima di tutto lo spirito di violenza, se si vuole che poi le strutture non concorrano ad alimentarlo.
Non sarà stata quindi inutile questa iniziativa, se noi su questi temi, con coscienza e con serietà, interrompendo il lavoro quotidiano volto a dare risposta a singoli interessi, avremo potuto collegare il nostro animo a quello di milioni di uomini che tremano, che sperano, ma che non abbandonano la fiducia nella possibilità di costruire un mondo migliore e più fraterno.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Bontempi. Ne ha facoltà.



BONTEMPI Rinaldo

Signor Presidente, signori Consiglieri, credo anch'io che dobbiamo riflettere sull'utilità delle nostre discussioni per celebrare, in maniera non rituale ma in modo adeguato l'importante ricorrenza che l'ONU ci ha sottoposto. Credo sia giusto apprestarsi a questo dibattito non con l'iperrealismo di chi sa che non si vota, che non si prendono provvedimenti concreti di competenza, ma sapendo che nella nostra funzione di forze politiche, di rappresentanti del popolo abbiamo il compito di essere presenti, di dare una testimonianza in un dibattito che va al di là delle nostre forze, delle nostre conoscenze e delle nostre competenze. Nessuna forza politica, nessun cittadino può ignorare che il quadro mondiale è reso drammatico dall'aggravamento delle relazioni internazionali. Il processo di distensione, che qualcuno purtroppo in buona fede credeva definitivamente su una strada non reversibile, ha subito un grave deterioramento che addirittura può portare al rovesciamento della situazione. E' di pochi mesi fa temporalmente, ma lontano purtroppo nella memoria e nelle coscienze, il significato positivo degli accordi Salt 2 che hanno portato a nuove speranze e a nuove attese. Purtroppo, i nuovi fatti rischiano di vanificare anche le conquiste sulla via della distensione, che pensavamo già acquisite, e a mettere addirittura in forse i punti fermi che erano stati posti. E' insorta recente mente la controversia sull'equilibrio delle forze in Europa e da tale controversia, specie se non si coglie la gravità e la complessità delle questioni ad essa collegate, rischia di partire una inarrestabile spirale al riarmo. La tragica logica di una corsa all'equilibrio degli armamenti, a livello sempre più alto, che significa più armi, più arsenali atomici, mezzi sempre più distruttivi e sempre meno controllabili, va spezzata. Già ora i discorsi e gli appelli sulla fame sul sottosviluppo, sulla sicurezza, sull'indipendenza e la libertà dei popoli, sul progresso sociale e civile e sul rinnovamento di questo mondo hanno il sapore di inganni amari. Se non si comincia a lavorare e a operare per rompere questa logica ed invertire questa tendenza, nessuna classe politica, nessuna classe dirigente può sperare di essere capita da chi oggi guarda con terrore ad un imbarbarimento progressivo delle ragioni d'essere delle relazioni internazionali e guarda con occhi spauriti al timore di quello che può capitare. Credo che abbia ragione chi nel dibattito ha ricordato la centralità dell'uomo e della sua dignità come elemento da cui partire per recuperare valori fondamentali, anche semplici ma mai alienabili per nessuna ragione.
Di fronte a questa esigenza dobbiamo corrispondere con atteggiamenti di grande serietà ed obiettività. Guai se miopia e provincialismo prevalessero! In questi giorni si sta discutendo della questione dell'equilibrio delle forze in Europa e mi pare di cogliere, negli accenni di certe forze politiche e della pubblicistica, degli atteggiamenti miopi volti ad usare anche questo argomento ai fini della polemica interna. Non è in questo modo che ci si può avvicinare al problema. Ancora una volta si deve invece affermare l'invincibile forza morale e la logica della trattativa, dell'accordo, di grandi slanci, delle grandi azioni per la pace e per la cooperazione. Oggi il dilemma è questo: o un controllo degli armamenti bilanciato oppure il rischio della riapertura di fatto, e con una spirale forse non controllabile, del riarmo. Certo, vanno considerati i fattori internazionali e i rapporti di forza. La via della trattativa e del negoziato la vogliamo perseguire tutti e, a questo proposito, riaffermiamo la necessità che tutte le forze politiche, in uno sforzo unitario, non volto a cercare strumentalità miopi e che possono pagare sul momento per una polemica politica che peraltro i cittadini non capiscono di fronte alla gravità dei problemi, portino la posizione del nostro Governo e del nostro Paese a spingere per una trattativa che verifichi lo stato reale degli armamenti e le azioni da compiere per arrivare ad un bilanciamento degli armamenti ad un livello più basso, non ad un livello più alto.
Detto questo, ci compete in questa sede oltre che dare un giudizio e delle indicazioni su quello che crediamo debba essere fatto dal Governo e dal Parlamento, di riprendere il tema di fondo per cui oggi diamo un contributo alla discussione in atto nel Paese, un apporto che significa come noi intendiamo milizia politica, impegno per la pace, lavoro delle istituzioni per i cittadini. I grandi temi ideali, negli ultimi anni, per una serie di ragioni, sono mancati. Le giovani generazioni a cui spesso ci rivolgiamo, tra le componenti profonde di malessere della società, colgono soprattutto l'assenza di credibilità dei grandi appelli. Purtroppo i fatti i comportamenti, anche quelli minuti, anche quelli che dipendono dalla nostra responsabilità e dal nostro agire quotidiano, non corrispondono a questi slanci. Troppo spesso la politica, ingiustamente, è relegata nella definizione di "conventicola", troppo spesso l'iperrealismo, addirittura il cinismo, sono dati che contrassegnano l'azione e il comportamento delle classi dirigenti e della classe politica.
Dobbiamo riprendere qui con tutta l'autonomia e la specificità delle posizioni ideali e, mi si permetta di dire, a nome del Gruppo comunista con la memoria storica, quanto sia stata significativa per grandi masse giovanili, femminili, per gli uomini, il messaggio di pace, di fratellanza che usciva dall'ideale di socialismo e di internazionalismo operai.
Dobbiamo riprendere gli argomenti che hanno al centro l'uomo ma che non possono rimanere nel puro ambito individuale.
C'è l'aspetto della grande lotta di liberazione e di emancipazione delle masse. Quando gli orientamenti ideali e i comportamenti dei governi e delle forze economiche tendono a rendere concreti i grandi valori di uguaglianza e di libertà per cui passano i successi delle lotte di liberazione delle grandi masse, solo allora si può ristabilire quel clima di fiducia, di comprensione e di adeguamento ai temi ideali che sottostanno a queste questioni. Ci si rivolge ai giovani chiedendo loro di starci a sentire, di capire anche i nostri limiti di conoscenza e di approccio, ma di comprendere che la strada per la pace e per la cooperazione internazionale passa attraverso ai comportamenti continui e quotidiani.
Gli elementi di uguaglianza di dignità dell'uomo, di dignità delle persone, di dignità delle stesse istituzioni passano attraverso un riconoscimento del protagonismo di tutti, grande elemento di democrazia, di partecipazione a cui non dobbiamo mai stancarci di richiamarci anche se dobbiamo continuare a cercare ulteriori e migliori forme di esplicazione.
A chi si chiede, un poco beffardamente: questo che cosa serve?, noi rispondiamo che solo sull'azione che nuove coscienze e intelligenze possiamo pensare di recuperare anche le grandi utopie. Le grandi utopie oggi nel mondo non ci sono, al loro posto ci sono i particolarismi, i localismi, gli egoismi che non permettono di conoscere neanche i contorni generali di interessi collettivi intorno a questioni elementari e fondamentali come quelli della sicurezza della vita dell'uomo.
A questo crediamo di dover rispondere con un appello, ma anche con l'impegno di fare politica in maniera diversa, di essere seri in questo Consiglio regionale e in tutte le altre sedi, di avere un rapporto basato sul raffronto, sulla verità cercando soprattutto di riproporre all'attenzione della gente che questa società, così come le altre società non si può assolutamente basare sulla legge del più forte.
La legge su cui ci dobbiamo basare è ancora la legge della fratellanza della lotta politica contro le componenti della violenza, della lotta unitaria contro le grandi ingiustizie nel mondo. Mi sia permesso, a questo punto, di formulare alcune proposte concrete. La petizione degli ex combattenti, che sono stati ricevuti recentemente dal Papa, ha avuto una grande risonanza. Quella petizione dovrebbe essere uno dei canali su cui indirizziamo un appello perché l'iniziativa sul disarmo venga raccolta e portata avanti.
Mi dichiaro d'accordo sulle iniziative proposte dal Presidente Sanlorenzo e dal Consigliere Calsolaro. Voglio formulare ancora una proposta. Per corrispondere correttamente all'iniziativa propostaci dall'ONU è necessario dare la più ampia diffusione a tutte le iniziative che possono sensibilizzare, far discutere, smuovere le energie e le intelligenze presenti nel Paese le quali temono la barbarie scura e buia che si prevede possa essere il disastro della corsa agli armamenti. A questo proposito, propongo che venga istituito un fondo speciale con contributi dell'Ufficio di Presidenza, della Giunta e anche dei Gruppi come testimonianza diretta di partecipazione. Mi sia permesso di chiudere dicendo che dobbiamo proporre, attraverso queste iniziative e il nostro dibattito, di fare una guerra alla fame, al sottosviluppo, alle ingiustizie, la sola unica guerra che deve essere condotta a cui la nostra parte politica che si richiama agli ideali che ricordavo prima vuol dare il suo contributo.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SANLORENZO



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Enrichens. Ne ha facoltà.



ENRICHENS Nicola

Sento il dovere di intervenire per fare delle riflessioni personali ad alta voce come uomo di scuola.
Ritengo valida la proposta del Presidente di divulgare nelle scuole l'iniziativa delle Nazioni Unite. Noi italiani, del resto, che abbiamo vissuto con altri popoli la tragedia della seconda guerra mondiale, abbiamo scritto nella nostra Costituzione repubblicana che l'Italia ripudia la guerra. Tuttavia se non si fa il disarmo negli spiriti, come diceva il Capogruppo democristiano Bianchi, a nulla serve lottare con la prospettiva di vittoria per il disarmo militare. Le Nazioni Unite, almeno fino ad oggi stanno avendo il risultato che la Società delle Nazioni, creata dopo la prima guerra mondiale, ebbe verso il riarmo tedesco. Queste settimane per il disarmo farebbero allora la fine delle grida manzoniane, per cui teoricamente saremmo tutti d'accordo per il disarmo, però prevarrà sempre la legge del più forte, prevarrà sempre la legge dell'homo homini lupus.
Come uomo di scuola direi che non c'è altra strada che l'educazione dell'uomo che porta al disarmo della violenza nell'uomo. Noi, come Consiglio regionale piemontese, dobbiamo dare il nostro piccolo contributo nel mobilitare l'opinione pubblica, non soltanto attraverso la scuola, ma anche attraverso gli organismi politici, sociali e collettivi, per sensibilizzare l'opinione pubblica al grave problema della corsa sfrenata agli armamenti e alla distruzione dell'umanità.
Purtroppo siamo stati schiavi ed eredi delle ideologie e dei fanatismi.
Certe chiese organizzate si dicevano in possesso della verità e dal possesso della verità scaturirono le crociate e le invasioni del popolo spagnolo nel sud America.
Si diceva che Allah era il vero Dio e Maometto il suo profeta e ne è venuta l'invasione araba in Europa.
Bisogna combattere le ideologie e il fanatismo, quel fanatismo che fu alla base dell'aggressione tedesca: Hitler era convinto attraverso le teorie di Rosemberg di essere il rappresentante del popolo eletto.
Il Concilio Vaticano II ha ripudiato lo spirito del Concilio di Trento e la "Pacem in terris" di Papa Giovanni ha creato una svolta anche nella politica della Chiesa, per cui i popoli che non credono nella religione cristiana non sono più stati chiamati "infedeli", ma "fratelli separati" il popolo ebreo non è più accusato di aver mandato in croce Gesu.
Ebbene, questo nuovo spirito, questa nuova concezione della persona umana e della ideologia si basa sui concetti di fraternità e di ecumenismo.
Noi, per la nostra minima parte, possiamo soltanto portare un contributo attraverso l'educazione nelle scuole.
Esiste a livello europeo l'associazione europea degli insegnanti AEDE alla quale la Regione può dare un piccolo contributo affinché attraverso le pubblicazioni per l'insegnamento nelle scuole, pongano nella storia del progresso non la storia di Napoleone, non la storia della guerra e dei conflitti bellici, ma il progresso del lavoro dell'uomo.
Faccio un appello ai giovani che ci stanno a sentire, perché si rendano conto che il Consiglio regionale del Piemonte discute questi grandi temi sotto l'aspetto dei valori ideali, anche se, dal punto di vista concreto non può dare granché rispetto all'organizzazione delle Nazioni Unite.



PRESIDENTE

Il dibattito ha avuto un aspetto positivo e legittimo nel senso che l'appello rivolto a tutti i popoli del mondo e a tutte le comunità dalle Nazioni Unite non poteva non essere accolto dalla nostra Regione, dove vivono 4 milioni e mezzo di abitanti, un numero di abitanti superiore a molti Paesi costituiti come Nazione nel mondo.
Il dibattito non è stato privo di conseguenze pratiche e concrete.
Credo che non dobbiamo mai perdere la dimensione dei nostri compiti specifici e, nello stesso tempo, mai rinchiuderci in provincialismi inutili. Non siamo abituati a fare in Consiglio regionale dibattiti che esulino dalle nostre competenze. Questo non è un Consiglio dove si perde tempo a discutere di argomenti che non hanno attinenza ai compiti delle Regioni o a quelli che la Costituzione affida a tutte le componenti dello Stato. L'argomento posto in discussione oggi merita non solo l'attenzione che i Capigruppo hanno dato, ma anche la concretezza delle indicazioni che ne sono scaturite.
E' venuta la proposta di contribuire ad una campagna di sensibilizzazione verso tutta la comunità regionale piemontese e questo è qualche cosa di più di una parola. Mi pare di aver colto dagli interventi dei Consiglieri regionali che non tutti i dati della nota dell'ONU erano presenti nella conoscenza dei Consiglieri stessi e devo confessare che seppure mi sia occupato per altri motivi di questi problemi, nemmeno io li avevo presenti così come queste note li hanno rivelati, ma ho l'impressione nettissima che non siano nella coscienza e nella conoscenza degli insegnanti delle scuole del Piemonte.
Credo allora che potremo dedicarci ad un'azione di divulgazione chiamando la comunità e le autonomie locali a contribuire a diffondere i documenti che l'ONU ci ha trasmesso nella loro semplicità e nella loro tremenda efficacia.
E' venuta la proposta di carattere finanziario amministrativo del Consigliere Bontempi per creare un fondo speciale, che nella nostra Regione esiste già, essendo stato attivato un fondo di solidarietà per aiuti a Paesi e a popoli del Terzo Mondo.
Non esiste nel nostro Paese e in altri Paesi del mondo un movimento per la pace e per il disarmo ed è proprio questo che mi spaventa di più, oltre alla drammaticità dei dati indicati. Negli ultimi 30/35 anni c'è quasi sempre stato un grande movimento ideale che ha affascinato le nuove generazioni e i popoli del mondo dietro a simboli e a momenti che hanno caratterizzato delle svolte per l'umanità. Qui ci sono rappresentanti di una generazione che ha subito e ha fatto la guerra calda e rappresentanti di una generazione che ha fatto i conti con la guerra fredda, ma c'è anche la generazione successiva, che si può identificare in quella che ha partecipato e contribuito alla grande stagione della liberazione dei popoli coloniali dall'imperialismo, scuotendo le coscienze di milioni e milioni di uomini.
La pace, bene prezioso che l'Italia e l'Europa conoscono da 35 anni, è da difendere. Il Consigliere Benzi ricordava giustamente i vari conflitti che prima di questo ultimo periodo hanno coinvolto l'Italia: abbiamo fatto la guerra a molti Paesi del mondo, piccoli, medi e intermedi e le abbiamo perse tutte, cari colleghi. C'è quindi un'educazione da condurre nei confronti delle nuove generazioni sulla storia d'Italia, che va vista in termini meno geografici di quelli con cui è presentata.
Mi permetto di caldeggiare la proposta concreta del Consigliere Calsolaro di creare un gemellaggio fra la nostra Regione, che ha la dimensione e la dignità di tanti altri Paesi sulla scena internazionale con un Paese del Terzo Mondo. Esperienze, contatti, collaborazioni già stabilite fra l'Università di Torino e il Governo iracheno hanno prodotto risultati eccezionali dando vita ad un grande museo di storia antica a Bagdad, che è stato frutto dell'opera di 22 archeologi di Torino; c'è una collaborazione in atto con la Somalia per quanto riguarda l'Università di Mogadiscio; ci sono richieste di ulteriore collaborazione in questo campo: possiamo perfezionarle ed arrivare ad una intesa concreta nell'ambito delle leggi dello Stato, non andando al di fuori della legge n. 38 sulla cooperazione dell'Italia con i Paesi in via di sviluppo che può permettere alla Regione di dare un contributo anche attraverso la formula dei gemellaggi.
Seguono poi tutte le iniziative di cui non siamo protagonisti, ma per le quali in qualche modo possiamo divenire punto di riferimento. Non si tratta di un impegno di una settimana: si tratta di acquisire la coscienza e di farla acquisire attorno alla battaglia per una qualità della vita diversa da quella che ci pare ineluttabile e che noi affrontiamo quando discutiamo dei problemi della droga, del terrorismo, del rapporto nord-sud della programmazione economica.
Penso sia opportuno riassumere tutte le proposte, piccole e grandi, che sono venute dal dibattito in una conferenza dei Capigruppo per tradurle in termini operativi in modo da concludere questa discussione non solo con parole di commento, ma con una serie di iniziative concrete, condivisibili da tutti i Gruppi e per renderle pubbliche alla comunità.


Argomento: Parchi e riserve

Esame deliberazione piano parchi e riserve naturali


PRESIDENTE

Punto quinto all'ordine del giorno: "Esame deliberazione piano parchi e riserve naturali".
La parola all'Assessore Rivalta.



RIVALTA Luigi, Assessore alla pianificazione territoriale

Chiedo che venga svolto anche l'esame del disegno di legge n. 401: "Istituzione della riserva naturale integrale del Bosco di Palanfré".
Con la deliberazione relativa al primo punto si procede al primo aggiornamento del piano dei parchi, secondo le procedure previste dalla legge del 1975. Sono passati due anni dall'approvazione del piano dei parchi. Nei mesi scorsi la Giunta ha approvato una deliberazione che per questo aggiornamento prevede l'inserimento nel piano dei parchi di 19 aree.
Da tempo si è avviato il confronto; sono emersi dissensi e consensi; si è cercato di superare le contrapposizioni e le incertezze. Ci era parso si fosse trovato un approdo, quello appunto di inserire queste aree nel piano dei parchi.
Avviate però le consultazioni da parte della II Commissione, sono riemerse posizioni di incertezza da parte di alcune comunità locali. Alcune incertezze sono da ritenersi in buona fede, altre, come al solito, sono cariche di strumentalizzazione.
Nello spirito di operare con il consenso delle comunità locali, nella certezza che il consenso è conseguibile continuando a lavorare e a dibattere i problemi per superare gli equivoci, si è deciso in Commissione di sospendere l'inserimento delle aree di: Alta Valle Borbera, Pian Castagna, Navette, Parco archeologico di Benevagienna, Parco di Castelmagno, Rocche del Roero, Alpe Devero, Lago di Candia, Valli Gimont Thuras-Argentera.
Per altre aree si è deciso di ridurre il perimetro e precisamente per le aree della Collina di Rivoli, dell'Alta Val Chisone (Troncea Germanasca). Si è deciso di procedere per le aree non escluse senza perdere ulteriormente tempo. La deliberazione propone pertanto l'inserimento di 12 aree nel piano regionale dei parchi, che viene così a comprendere 41 aree.
L'adozione di questa deliberazione non significa una disattenzione sulle aree che sono state temporaneamente sospese o su quelle in cui c'è stata la riduzione dei confini. In particolare per quanto si riferisce al Parco archeologico di Benevagienna è stato sollecitato un colloquio con l'amministratore locale al fine di dare una maggiore organicità a un provvedimento da prendersi nel prossimo futuro in ordine a tutte le zone archeologiche del Piemonte che, seppur non hanno il pregio e il valore delle zone archeologiche del centro o del sud d'Italia, costituiscono comunque dei punti importanti della storia della nostra Regione. La documentazione dei primi accertamenti sulle presenze archeologiche è ricca.
Per quanto riguarda il parco di Superga e la Collina di Rivoli si è inteso con essi dare avvio alla costituzione dei parchi delle due zone collinari.
Con questo aggiornamento continua il cammino per la salvaguardia ambientale e la valorizzazione attiva dell'ambiente.



PRESIDENTE

La parola alla professoressa Ariotti.



ARIOTTI Anna Maria

Vorrei riproporre in aula le perplessità che avevo già espresso in Commissione sull'esclusione del parco archeologico di Benevagienna dal piano di integrazione dei parchi, soprattutto dopo aver preso visione della documentazione estremamente ricca ed esauriente portata dalla Sovraintendenza alle Antichità.
Se condivido l'urgenza di portare avanti questo secondo elenco di parchi, su cui non sono sorte gravi difficoltà e quindi esiste di fatto la possibilità di procedere in tempi brevi, rimango estremamente dubbiosa sulla validità delle motivazioni addotte per sospendere l'inclusione di questo parco. Ricordo che, con altre 2 o 3 zone, Benevagienna è una delle pochissime aree di rilevante interesse archeologico esistenti in Piemonte.
Dal momento che l'atteggiamento costante di questa Giunta è stato quello di mostrare particolare attenzione ad aspetti di carattere culturale (recupero di edifici monumentali e dei centri storici), preferirei che questo atteggiamento non fosse contraddetto proprio in questa occasione e in ogni caso, di fronte a specifiche difficoltà, venisse preso l'impegno di procedere con sollecitudine a tutti quegli atti, consultazioni e approfondimenti, per poter ricomprendere nel piano dei parchi anche quello di Benevagienna, magari nella forma che è stata avanzata in Commissione cioè attraverso un'indagine su tutti i resti archeologici del Piemonte per proporre un discorso più organico. Grazie.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bono.



BONO Sereno

Mi pare giusto sottolineare il bilancio altamente positivo dell'azione svolta nella direzione dei parchi. L'attività, impostata al termine della passata legislatura e perseguita in questa, pone la Regione Piemonte all'avanguardia rispetto alle altre Regioni d'Italia non tanto nella realizzazione di parchi in modo sporadico, quanto attraverso un piano dei parchi che avvia una politica generale di costruzione, di delimitazione di aree che vanno salvaguardate.
Le dodici aree, che andiamo ad approvare questa sera, non pongono problemi, mentre le altre che ne sono state escluse meritano ulteriori verifiche. Durante le consultazioni abbiamo sentito argomentazioni su alcune aree che vanno approfondite, meditate e verificate ulteriormente con la gente, ma dobbiamo anche dire che abbiamo sentito anche argomentazioni nettamente strumentali, dettate da visioni speculative o che si collegano all'impossibilità di esercitare attività venatoria. E' chiaro che per salvaguardare le aree è necessario porre i limiti all'attività edilizia e all'attività venatoria, ma, con questo, non si è mai voluto creare dei musei naturali. Sono d'accordo con la Giunta che intende approfondire ulteriormente queste verifiche, soprattutto per ciò che riguarda l'Alta Valle Borbera, il Pian Castagna, l'Alpe Devero e il parco archeologico di Benevagienna per vincere le resistenze chiaramente strumentali. Sono d' accordo che il parco si debba creare in accordo con la popolazione e per la popolazione. Occorre condurre una battaglia politica che vinca le resistenze perché con il loro superamento si fa l'interesse generale della popolazione.
A nome del Gruppo comunista dichiaro il voto favorevole alla proposta di deliberazione con l'augurio che, prima della conclusione di questa legislatura, si possano realizzare altre leggi istitutive di parchi.



PRESIDENTE

La parola alla dottoressa Castagnone Vaccarino.



CASTAGNONE VACCARINO Aurelia

L'introduzione nel piano dei parchi del solo tronco della Valle Argentera è così limitativo da negare l'effetto della proposizione iniziale.
Il Partito repubblicano ha in quella località degli amici che non sono favorevoli al parco, mentre il Gruppo si mantiene favorevole all'istituzione del parco, e così vorremmo si comportasse la Giunta.
Nonostante queste resistenze mi auguro che, attraverso un'appropriata discussione, si riesca comunque a portare avanti il disegno della Giunta.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Menozzi.



MENOZZI Stanislao

Se è vero che non si può dare un senso al discorso ecologico e non si può concretare la politica dell'ambiente, senza toccare il discorso dei parchi e, delle riserve naturali, non posso ignorare che quando si è cercato di passare alla fase realizzativa in alcune aree si è assistito a fatti che vorrei dimenticare. Per cui colgo l'occasione per pregare l'Assessore Rivalta di volerci fornire notizie in merito e più propriamente in quale stadio si trovano gli interventi e se ci sono possibilità di procedere o se invece si deve fare marcia indietro, per non continuare a mantenere sulla carta un dato di riferimento fasullo.
Pur consapevole che "fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce" e non meravigliandomi affatto di quanto accaduto nella mia Provincia, ritengo opportuno conoscere il pensiero della Regione e ciò, tra l'altro, per evitare che col silenzio, anziché placarsi, abbiano a mantenersi aperte le strade della speculazione e strumentalizzazione, a suo tempo imboccate da ben individuate componenti.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Borando.



BORANDO Carlo

Signor Presidente, esprimo una perplessità che mi deriva da informazioni e da lagnanze che ho raccolto tra gli agricoltori dell'agro novarese attorno a Casalbeltrame. Nell'elenco delle 12 nuove aree è inclusa la palude di Casalbeltrame come riserva naturale speciale. Forse con questa dizione si intende dire che non si tratta di una palude vera e propria. E' in effetti un appezzamento di terreno, che potrebbe essere coltivato a riso, come lo è il territorio circostante e che invece è lasciato sommerso e senza seminati; in mezzo alla vegetazione si annidano uccelli di varie specie, ma in particolare anitre selvatiche che aumentano sempre più di numero in misura tale da pregiudicare le coltivazioni viciniori, come ho avuto modo di constatare dalla lettura di una relazione del Comitato provinciale caccia di Novara il quale quantificava i danni in alcune decine di milioni. Ora, torno a ripetere, non è una contrarietà quella che pongo però se oasi di questo genere sono necessarie nell'agro vercellese e nell'agro novarese, in zone tipicamente risicole, forse varrà la pena negli anni futuri, quando il fenomeno diventerà antieconomico, di creare altri casi in zone diverse in maniera da salvaguardare la moltiplicazione delle specie, però sempre entro ambiti che non siano pregiudizievoli per l'agricoltura.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Rivalta.



RIVALTA Luigi, Assessore alla pianificazione territoriale

Nell'introduzione non sono entrato nel merito dei problemi dei singoli parchi, perché la discussione in Commissione era stata esauriente. Nella regione si sono perse molte zone umide e, per un processo artificiale, per cave, per abbandono di aree coltivate, se ne sono create delle altre.
L'attenzione è volta alla loro difesa perché costituiscono oasi importanti per la fauna. Il Comune di Casalbeltrame è d'accordo di salvaguardare quell'area e ci ha chiesto di intervenire. Per quanto riguarda la presenza eccessiva delle anatre c'è la legge sugli abbattimenti tecnici che integra quella dei parchi e che consente di intervenire per regolare e gestire le presenze faunistiche.
Il Consigliere Menozzi ha sollevato una questione relativa al parco del Tanaro. Vorrei richiamare la sua attenzione sul fatto che l'inserimento nel piano dei parchi, ancorché sia impossibile l'istituzione di quel parco, ha consentito di porre qualche controllo sulla gestione delle cave. Si sta studiando il modo per uscire da quella situazione tenendo conto dell'opposizione, ma assumendo le indicazioni del Comune di Asti di costituzione di un parco del Tanaro in zona limitrofa. Sono perfettamente d'accordo sulle richieste di impiego sollevate dai Consiglieri Castagnone Vaccarino, Ariotti e Bono.



PRESIDENTE

Vi do lettura della deliberazione "Piano regionale dei parchi e delle riserve naturali - Legge regionale 4 giugno 1975, n. 43 - Integrazione".
"Il Consiglio regionale Vista la legge regionale 4 giugno 1975, n. 43, contenente 'Norme per l'istituzione dei parchi e delle riserve naturali' Visto in particolare l'art. 2, comma quinto, della legge di cui sopra che prevede che il piano regionale dei parchi e delle riserve naturali possa essere oggetto di integrazione e di revisione annuale Vista la deliberazione del Consiglio regionale n. 136 - C.R. 662, del 27 gennaio 1977, con la quale è stato il primo piano regionale dei parchi e delle riserve naturali Vista la deliberazione della Giunta regionale n. 68 - 19464, del 27 febbraio 1979, con la quale si proponeva all'approvazione del Consiglio regionale l'integrazione del piano regionale dei parchi e delle riserve naturali Tenuto conto delle consultazioni indette dalla Commissione consiliare competente Considerato che la Commissione ha evidenziato: a) che l'integrazione al piano regionale dei parchi e delle riserve naturali è stata predisposta in conformità del dettato di cui all'art. 2 comma secondo, della legge regionale 4 giugno 1975, n. 43 b) che il tipo di classificazione per ogni singola zona ha carattere di prima indicazione e potrà essere ulteriormente verificato e articolato nella fase di elaborazione delle singole leggi istitutive previste dall'art. 5 della legge regionale 4 giugno 1975, n. 43 c) che l'orientamento sulla specifica destinazione e regolamentazione di ogni singola area sarà previsto dalle singole leggi istitutive sopra citate Considerato che, in base agli elementi emersi nel corso dell'esame della proposta di integrazione al piano regionale dei parchi e delle riserve naturali, la Commissione ha ritenuto: 1) di sottoporre ad ulteriori ed immediate verifiche le seguenti aree: Alta Valle Borbera, Pian Castagna, Navette, Parco archeologico di Benevagienna, parco di Castelmagno, Rocche del Roero, Alpe Devero, Lago di Candia, Valli Gimont-Thuras- Argentera, rispettivamente individuate con i numeri 3, 33, 35, 36, 37, 38, 39, 44, 48 della proposta della Giunta regionale, al fine di valutarne l'inserimento in altra integrazione al piano regionale dei parchi e delle riserve naturali 2) di apportare modifiche di delimitazione di confini alle aree Collina di Rivoli, Alta Val Chisone (Troncea-Germanasca) per cui si propone la riduzione alla sola Valle Troncea-Rocca di Cavour, Superga, Oasi Faunistica di Cascina Bava, rispettivamente individuate con i numeri 16, 43, 45, 46 e 50 delibera 1) di approvare, ai sensi dell'art. 2 della legge regionale 4 giugno 1975, n. 43, l'integrazione al piano regionale dei parchi e delle riserve naturali, così come definiti nell'allegata tabella "A", con relative planimetrie in scala 1:25000, ove sono previsti i confini facenti parte integrante della presente deliberazione 2) di iniziare immediate verifiche in merito all'inclusione nel piano regionale dei parchi delle aree non inserite nella proposta della Giunta regionale.
La presente deliberazione viene dichiarata immediatamente esecutiva ai sensi dell'art. 49 della legge 10 febbraio 1953, n. 62".
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
La deliberazione è approvata all'unanimità dei 32 Consiglieri presenti in aula.


Argomento: Bilancio - Finanze - Credito - Patrimonio: argomenti non sopra specificati

Fondo sociale di cui al titolo III della legge 27 luglio 1978, n. 392. Modalità di erogazione dei fondi a saldo per l'anno 1978 e relativo piano di riparto. Importo L. 600.000.000 - cap. 9275 bilancio 1978


PRESIDENTE

Dobbiamo approvare la deliberazione "Fondo sociale di cui al titolo III della legge 27 luglio 1978, n. 392. Modalità di erogazione dei fondi a saldo per l'anno 1978 e relativo piano di riparto. Importo L. 600.000.000 Cap. 9275 bilancio 1978" il cui testo verrà allegato a verbale.
Chi approva è pregato di alzare la mano. La deliberazione è approvata all'unanimità. Si voti per alzata di mano l'immediata esecutività della deliberazione.
E' approvata.


Argomento: Bilancio - Finanze - Credito - Patrimonio: argomenti non sopra specificati

Fondo sociale di cui al titolo III della legge 27 luglio 1978, n. 392. Modalità di erogazione delle somme per l'anno 1979 e relativo piano di riparto. Impegno di spesa L. 2.432.393.000 - Cap. 10380 - anno 1979


PRESIDENTE

In ultimo, approviamo la deliberazione "Fondo sociale di cui al titolo III della legge 27 luglio 1978, n. 392. Modalità di erogazione delle somme per l'anno 1979 e relativo piano di riparto. Impegno di spesa L.
2.432.393.000 - Cap. 10380 - anno 1979", il cui testo verrà allegato a verbale.
Chi approva è pregato di alzare la mano. La deliberazione è approvata all'unanimità.
Si proceda alla votazione per alzata di mano per l'immediata esecutività. E' approvata.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 18,30)



(La seduta ha termine alle ore 18,30)



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