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Dettaglio seduta n.276 del 11/10/79 - Legislatura n. II - Sedute dal 16 giugno 1975 al 8 giugno 1980

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SANLORENZO


Argomento: Formazione professionale

Prosecuzione esame progetti di legge nn. 119, 403 e 409 relativi alla formazione professionale


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Prosegue l'esame dei progetti di legge nn. 119, 403 e 409 relativi alla formazione professionale.
E' iscritto a parlare il Consigliere Conti. Ne ha facoltà.



CONTI Domenico

Signor Presidente, signori Consiglieri, prima di svolgere l'intervento che avevo preparato, intendo esprimere qualche breve considerazione sulla relazione della collega Marchiaro.
Ho apprezzato la serietà con cui la relazione è stata preparata. Essa presenta i lavori della Commissione con obiettività, ne esprime il clima di fervore responsabile, di reciproca apertura fra tutti i membri nel cercare di dare alla comunità regionale la migliore legge possibile.
Ringrazio la signora Marchiaro per aver apprezzato il frutto dei lavori della Commissione come un testo caratterizzato profondamente da contributi diversi delle forze politiche. Prendo atto con soddisfazione di quanto la relazione afferma a proposito del pluralismo di istituzioni formative.
L'impostazione data dalla relazione mi è sembrata efficace: prima un quadro di riferimento costruito dai fondamentali problemi della società in ordine al lavoro, all'occupazione, ai processi formativi, quindi una sintesi esplicativa del dispositivo di legge.
Purtroppo per economia del tempo a disposizione non posso entrare nel merito delle valutazioni di quanto la relazione presenta soprattutto nella sua prima parte. Vi sono punti di consenso e punti di dissenso. Ne abbiamo già discusso in Commissione, non mancherà l'occasione di riparlarne. Ho comunque apprezzato lo sforzo di cogliere qualche conseguenza positiva della legge n. 264 e delle successive modificazioni. Pur tra le sue evidenti carenze e aspetti negativi, qualche altro risultato positivo lo ha pure prodotto. Non si dimentichi che sulla base e in forza di quella legge centinaia di migliaia di giovani lavoratori hanno trovato un'occupazione non proprio dequalificata. Sono nati enti di formazione professionale per le partecipazioni statali ICIAPI nel Mezzogiorno; è stata predisposta la prima, e per ora unica, classificazione organica di tutte le professioni; è stata fatta la prima esperienza di collaborazione formativa fra il nostro Paese ed il BIT preparando le basi per la realizzazione dell'attuale Centro internazionale di formazione che ha sede in Torino. Si è formato, in rapporto a quella legge, un certo numero di esperti che oggi formano il "nerbo" di quanto esiste in Italia di persone in qualche modo competenti in materia di formazione professionale presenti nelle assemblee elettive negli apparati burocratici delle Regioni e degli Enti locali negli enti di formazione. Ne sono derivate le prime riviste e le prime ricerche sui problemi della formazione professionale e sui problemi dei rapporti tra formazione e lavoro.
Per quanto poi si riferisce al bilancio dell'attività della Giunta, in materia di formazione professionale dal 1975 ad oggi, non mancherà occasione di riparlarne anche in Consiglio.
Il compito che mi accingo ad assolvere è quello di presentare al Consiglio quale è stata la sostanza ed il senso del contributo del mio Gruppo all'elaborazione del disegno di legge che stiamo esaminando, non per vantare qualche cosa, ma per illustrare la nostra posizione e per concorrere a penetrare e ad approfondire la portata del documento che stiamo esaminando. L'argomento verrà integrato e arricchito dai contributi dei colleghi che interverranno.
Subito dopo le consultazioni, che abbiamo richieste nella forma più ampia e articolata possibile, abbiamo prontamente accettato la disponibilità che ci è stata offerta di tentare con tutta la V Commissione di elaborare un disegno di legge che, raccogliendo e armonizzando gli apporti di tutti, potesse risultare il più costruttivo possibile.
La particolare convenienza di un simile tentativo ci era suggerita dal ruolo di una legge destinata a operare in tutti i campi e settori di attività e a interessare direttamente l'intera comunità regionale: tutti i giovani, tutti i lavoratori, tutte le famiglie.
Tutti avvertivamo la particolare esigenza di offrire alla realtà regionale un punto di riferimento il più valido possibile, condizioni e strumenti i più efficaci a favorire per tutti il ruolo di protagonista di un processo formativo che, in ordine al lavoro e mediante il lavoro, è destinato a interessare l'intero arco della vita lavorativa.
La linea da noi seguita in seno alla V Commissione si è sviluppata tenendo per fermo i seguenti punti di riferimento: 1) definire un disegno, un'immagine, un progetto di professionalità che risultasse come fattore centrale e dinamico e principio di coordinamento non solo per organizzare le attività di formazione professionale, i processi specifici di formazione, ma per porli in connessione costruttiva con gli altri processi di sviluppo economico, sociale e culturale della realtà regionale, in collegamento con quella nazionale e internazionale perseguendo le esigenze formative poste dalla mobilità professionale e della formazione ricorrente in un quadro di educazione permanente 2) realizzare una reale pianificazione e programmazione della formazione professionale costruita sulla base del responsabile ed autonomo apporto delle componenti e dei movimenti sociali, produttivi, culturali e formativi e degli Enti locali 3) garantire il ruolo degli Enti locali in materia mediante la delega amministrativa e recuperare al Consiglio regionale l'esercizio di tutte le funzioni di sua competenza 4) definire le caratteristiche, le funzioni, le strutture portanti, i principali meccanismi per una formazione organizzata come sistema formativo correlato con il mondo del lavoro e con la scuola 5) garantire il pluralismo di istituzioni e organizzazioni formative come valido e necessario concorso democratico di proposte e sperimentazioni formative sia ai fini della programmazione sia per lo svolgimento delle attività formative nel quadro della programmazione 6) garantire la partecipazione di tutte le dirette componenti dell'attività formativa e il controllo sociale sulla gestione delle attività formative 7) realizzare un sistema di istituti e di norme atto a svilupparsi in successivi provvedimenti normativi e attuativi in ordine a tutta la complessità e varietà di domanda formativa attuale ed esplicita, implicita e potenziale ricavabile dallo sviluppo della realtà regionale, dalle varie forme di lavoro dipendente, autonomo e di prestazioni professionali, dalle varie funzioni e livelli lavorativi, dai vari campi o settori di attività produttive di beni e di servizi. Un quadro di norme tale da consentire altresì la corrispondente mobilitazione delle risorse formative occorrenti umane e materiali.
La linea seguita dal mio Gruppo non si è limitata nel costruire come quadro di riferimento l'insieme degli scollamenti, delle situazioni negative che condizionano e distorcono dall'esterno e dall'interno le politiche del lavoro e, segnatamente, le politiche di formazione professionale e scolastiche.
Per poter contribuire ad eliminare i fatti negativi ed a correggere le tendenze che essi sottendono, abbiamo cercato di raccogliere altresì le esigenze e le proposte, esplicite ed implicite, emergenti dalla realtà sociale e dalle sue componenti per interpretarle e organizzarle in una risposta politica, legislativa e programmatoria intesa ad eliminare correggere, superare quello che non va, in forza dello sviluppo di quello che va.
Trattandosi di una legge in materia di formazione professionale abbiamo cercato di riferirci ad un'istanza che, emergendo in particolare dall'area del lavoro e dei processi formativi, potesse essere assunta come centrale rispetto alla globalità dei problemi di oggi.
Questa istanza noi crediamo, e la Commissione con noi, d'averla individuata nella professionalità. Non c'è problema importante rispetto al quale oggi non si parli di professionalità. Se ne parla in ordine ai rinnovi contrattuali nel tentativo di stabilire, sulla base della professionalità, piattaforme retributive e normative più corrispondenti non solo alla giustizia commutativa ma anche a quella distributiva e ai loro rapporti dinamici, capaci di soddisfare alle esigenze di eguaglianza con quelle derivanti dal tipo di funzione e di ruolo. Se ne parla per rapporto al riassetto dell'apparato produttivo di beni e di servizi. Se ne parla per lo sviluppo dell'agricoltura, del commercio, dell'artigianato e della ricerca e per la stessa programmazione e controllo dei processi. Se ne parla in ordine all'evoluzione dell'organizzazione del lavoro, ad un modo più accettabile e positivo di lavorare e di produrre, a nuovi rapporti di produzione. Se ne parla in ordine al superamento del "gap" tecnologico scientifico e produttivo che ci minaccia. Se ne parla per affrontare i problemi della divisione internazionale del lavoro, per l'assistenza a paesi terzi e lo sviluppo delle reciproche relazioni. Se ne parla anche come fattore importante per la ristrutturazione e riconversione tecnologica e produttiva imposta dalla crisi energetica e dalla limitatezza delle risorse materiali. Se ne parla per la riforma della scuola secondaria superiore e dell'Università. Se ne parla per rapporto alla disoccupazione e sottoccupazione specialmente dei giovani e delle donne e dell'obsolescenza della forza-lavoro. Se ne dovrebbe parlare, con particolare approfondimento quando si è chiamati a dare un nuovo assetto alla formazione professionale.
Si può dire, mi si passi la battuta, che siamo entrati nel "boom" della professionalità.
Sulla base di questi rilevamenti e avendo davanti le attese della comunità regionale, dei giovani e delle donne, dei lavoratori, delle famiglie, ci siamo fatti carico di una proposta di professionalità non astratta, ma operante proprio perché tesa ad interpretare le istanze e i dinamismi emergenti.
Abbiamo cercato di elaborare un'"immagine", un progetto di professionalità che in primo luogo consentisse di dare una risposta all'istanza largamente diffusa e generalizzata di ritrovare e di affermare per mezzo del lavoro produttivo di beni e di servizi e del potenziamento di esso, un'identità, un ruolo di protagonista nella costruzione quotidiana della realtà dinamica, storica e sociale. Realtà la quale del resto ci comprende e ci coinvolge, pur senza esaurirci, e alla quale non possiamo non attingere nel nostro ruolo di protagonisti e di componenti di essa, nel nostro concorrere a costruirla incessantemente e nel nostro ricostruirci in quanto costruttori di essa.
A nostro avviso ciò è fondamentale se si vuol concorrere ad eliminare le scollature e le contraddizioni denunciate, conseguire la trasparenza delle cose nel loro farsi e prodursi, fare emergere ciò che è sommerso collegare l'offerta con la domanda di lavoro, la formazione con la scuola e il lavoro, lo sviluppo produttivo e la socialità.
Con la nostra proposta di professionalità ci siamo sforzati d'interpretare le esigenze, gli autentici dinamismi emergenti dall'impatto dell'uomo e delle conseguenti interazioni con la realtà economica e sociale dell'uomo che in quanto tale lavora e produce beni e servizi.
Cercando di corrispondere all'esigenza di superare le contrapposizioni tra soggettività e oggettività all'interno della prassi lavorativo produttiva e, per mezzo di essa, all'interno della società, abbiamo proposto di identificare la professionalità come dimensione dell'uomo esprimentesi come capacità di svolgere funzioni lavorativo-produttive, non come mera mansione, ma come ruolo, avvalendosi delle interrelazioni tra i vari fattori tecnologici, economici, sociali e culturali in cui esso stesso è come compreso, al fine di partecipare alla realizzazione di progetti e di programmi produttivi e sociali, affermandovi nel contempo la sua dignità e libertà.
Senza esaurire il significato della proposta, accettata dalla Commissione, possiamo dire che la professionalità è capacità di organizzare e gestire microsistemi socio-produttivi per rapporto allo svolgimento di funzioni lavorativo-produttive, microsistema che si correla dinamicamente nell'ambito e per rapporto a sistemi socio-produttivi sempre più ampi microsistema sostanziato da una globalità di informazioni e da un insieme di capacità operative e realizzatrici; professionalità è partecipazione a governare nel realizzare i processi produttivi di beni e di servizi in riferimento e mediante un sistema di informazioni operative.
I dinamismi specifici della professionalità che abbiamo cercato di individuare, li abbiamo proposti nei termini di capacità realizzativa organica e processuale, esprimentesi in capacità progettuale e programmatoria, flessibile ed articolata, come concorso e cooperazione nella libertà. La professionalità definita non in astratto, ma colta nello sforzo di concorrere a interpretare e di governare gli autentici dinamismi di cui la realtà si consustanzia, a nostro avviso deve essere assunta come informante di sé i processi formativi specifici e l'intera organizzazione di essi, dal momento programmatorio al momento attuativo. Ecco perch abbiamo proposto, e la Commissione ha accettato, di organizzare la formazione professionale come sistema dinamico, come sistema caratterizzato in tutti i suoi livelli ed articolazioni, dalle valenze che compaiono all'articolo 4 e dalle funzioni indicate nell'articolo 5 del testo di legge in esame, valenze e funzioni che sono proprie della professionalità.
Non solo, ma coerentemente abbiamo proposto all'articolo 2 di assumere la professionalità come riferimento, non unico, ma fondamentale per l'intera programmazione regionale. A questo proposito non comprendiamo come la maggioranza della Commissione abbia voluto limitarsi ad individuare nella professionalità dei lavoratori un generico "elemento" della programmazione.
Il problema non è tanto di parole, ma di sostanza. Un elemento che potrebbe essere inteso come un mattone, un ingranaggio, un ingrediente, è qualcosa che serve all'interno di una realtà, di un procedimento che semplicemente lo utilizza.
Perciò la professionalità dei lavoratori, in quanto semplice elemento sarebbe una realtà, un ingrediente meramente dipendente e subalterno, e non invece una realtà, un dinamismo che concorre nell'informare e organizzare il sistema lavorativo-produttivo.
La professionalità dei lavoratori deve essere posta nella sua intrinseca potenzialità attivisticamente costruttiva, come dinamismo capace di concorrere, informando di sé, la realizzazione ed organizzazione dei processi produttivi di beni e di servizi e allo sviluppo anche economico della società che la esprime.
La professionalità dei lavoratori deve essere posta in modo che nelle sue dimensioni qualitative e quantitative possa operare come sicuro indicatore di sviluppo economico e sociale. Altrimenti è pressoché vano il tentativo di eliminare gli scollamenti, le contraddizioni, le distorsioni a cui si vorrebbe porre rimedio, correndo invece il rischio di cambiare assai poco la realtà e di limitarsi al massimo a cambiare la struttura di potere.
L'assunzione della professionalità come punto di riferimento per la programmazione regionale non sarà, a nostro avviso, priva di importanti conseguenze per valutare quanto la Regione ha fatto o farà per tutti i vari campi di sua competenza all'interno della Regione in quanto Ente, e all'esterno nei confronti della realtà regionale. D'altra parte riteniamo che un'adeguata concezione e politica della professionalità possa costituire un punto di riferimento per riorganizzare anche i processi formativi scolastici in modo da realizzare un sistema formativo globale comprendente come parti distinte ma integranti e interagenti la scuola, la formazione professionale, il lavoro con il conseguente potenziamento del loro rispettivo concorso formativo.
Spero che tutti gli sforzi generosi ed importanti che si stanno facendo nel Paese circa la centralità della professionalità dei lavoratori diano il miglior frutto possibile.
Nutro tuttavia qualche timore che la rigidità delle posizioni precostituite e le tensioni in atto inducano a decisioni affrettate in nome di un duro realismo finendo col favorire pretese corporativistiche soluzioni tecnicistiche e persino tecnocratiche da un lato e dequalificanti dall'altro.
Ho avuto notizia, e pregherei l'Assessore competente di darmene conferma, di un'estesa ed articolata ricerca sul tema della professionalità, che sarebbe stata promossa e che verrebbe pilotata dall'ISFOL con rilevanti e qualificate partecipazioni.
In ogni caso sarebbe necessario conseguire un coordinamento tra i vari ambiti politici contrattuali produttivi, dove si tratta di professionalità nel rispetto delle legittime autonomie.
La legge quadro 845, per quanto prevede a livello di Governo e di Regioni offre un asso, a mio giudizio, per sviluppare un dialogo costruttivo tra momento governativo, momento contrattuale, momento regionale proprio per ciò che attiene la sostanza e la funzione della professionalità dei lavoratori.
Fermandomi ancora un istante sulle dimensioni o valenze da noi proposte per la professionalità e di conseguenza per l'organizzazione di tutto il sistema formativo, mi preme dire qualcosa ancora sull'omogeneità caratteristica del sistema formativo. L'esigenza di essa nasce dalla prassi lavorativo-produttiva che, ponendo in essere l'esigenza di identità e di ruolo, la pone come esigenza di relazione, di comunicazione, di interazione, di cooperazione tra i diversi operatori e i diversi livelli e settori lavorativi.
Ciò induce all'omogeneizzazione degli obiettivi formativi, non alla loro unificazione, proprio per valorizzare le diverse peculiarità dei ruoli in funzione appunto di reciprocità e di vicendevole servizio.
Ciò consentirà di organizzare la formazione conseguendo una reale possibilità di relazioni e di comunicazioni, non subordinanti, n emarginanti, né appiattenti. Con la dimensione del pluralismo abbiamo rilevato il dinamismo della prassi lavorativo-produttiva e sociale tendente all'aggregazione degli uomini e delle risorse, tentando di offrire un punto di riferimento per il superamento delle contraddizioni affinch l'aggregazione possa operarsi come fatto di libertà nel tradursi in imprenditorialità generalizzata in tutte le forme possibili e più adatte alle diverse situazioni e problematiche produttive e sociali.
La professionalità risulterebbe gravemente tradita proprio nella sua stessa potenzialità effettuale, nella sua ispirazione e nella sua speranza nei suoi esiti più profondamente umani, personali e comunitari, se essa venisse gestita con intendimenti totalizzanti intesi ad esaurire tutto l'uomo nel suo fare e nel suo costruire, impedendogli di trovare anche nello stesso suo fare e nel suo costruire, un modo di sviluppare le sue ulteriorità spirituali e morali, ulteriorità di fini di libertà, di verità di comunione, di pienezza di vita.
Un primo punto di contrasto, rispetto al testo che stiamo esaminando contrasto sinora superato con la maggioranza della Commissione, è costituito dal problema delle deleghe delle funzioni amministrative.
Ci sembra indubitabile che non si possono dare deleghe validamente operanti nell'interesse stesso degli Enti delegati e delle comunità che rappresentano se non si soddisfa a due fondamentali esigenze: di poter operare per rapporto ad un'area sufficientemente vasta un'area che consente l'emergere di una consistente realtà e varietà lavorativa, produttiva ed occupazionale in modo da consentire di cogliere in un quadro sufficientemente organico e consistente le esigenze formative e in modo da organizzare in termini soddisfacenti, quantitativi e qualitativi la corrispondente risposta formativa di rendere possibile, e rapidamente, ai soggetti delegati di operare con efficacia sia in senso programmatorio che amministrativo.
Sulla base di queste considerazioni la nostra proposta è quella di delegare le funzioni amministrative in materia di formazione professionale ai Comuni e alle Comunità montane in quanto operanti sulla base e a livello comprensoriale con la partecipazione delle Province.
Il riferimento diretto ed immediato ai Consorzi ci sembra che abbia notevoli fondamenti, intanto tutti gli studi e tutte le ricerche che sono state fatte negli anni andati appunto sul tema dell'organizzazione della programmazione, sul tema dei Comprensori. Nei Comprensori abbiamo una realtà, che forse oggi può presentare certi aspetti di inadeguatezza, ma che certamente è fondata su studi, valutazioni, ricerche e dibattiti di grande rilievo scientifico e culturale. D'altra parte i Comprensori li abbiamo voluti tutti. Se si vuole operare con un'ottica valida è necessario entrare immediatamente in questa ottica comprensoriale. I Comitati comprensoriali, peraltro, operano già per la programmazione e ci sembra logico e coerente adoperarsi per la costituzione di Consorzi comprensoriali anche per collegare più strettamente ed efficacemente la programmazione annuale con il coordinamento dei processi formativi.
La Provincia è già presente nei Comitati comprensoriali; si tratta di studiare come renderla presente ed operante per rapporto ai Consorzi comprensoriali da noi proposti.
La logica della maggioranza, a nostro giudizio, è un'altra. Si parte dai Comuni, ma in quanto consorziati a livello di Unità Locale dei Servizi per tentare di arrivare per successive aggregazioni al livello comprensoriale. Non ci sentiamo di entrare nell'ottica di tale proposta intanto perché, salvo qualche eccezione, le Unità Locali dei Servizi incidono su un ambito territoriale inadeguato (ciò comunque significherebbe partire da qualche cosa che già si sa di dovere superare) e perché in sostanza esisterebbero più gravi difficoltà che non quelle poste dalla realizzazione dei Consorzi comprensoriali. Non si dimentica a questo proposito la necessità di variare gli statuti per l'aggiunta di una nuova funzione amministrativa, il che, peraltro, ci sembra contrario alla legittimazione stessa di un Consorzio. Si tenga anche presente che i Consorzi dell'Unità Locale dei Servizi saranno duramente impegnati nell'assai problematico loro trasferimento ed esercizio delle funzioni in materia sanitaria. Si tenga ancora presente che in ogni caso bisognerebbe realizzare ulteriori aggregazioni associative consortili per cercare di attingere al livello comprensoriale.
Non possiamo entrare nell'ottica proposta dalla maggioranza perché la logica amministrativa di un servizio sanitario e assistenziale non corrisponde alla logica richiesta per l'organizzazione e il funzionamento di un servizio di formazione professionale, essendo la prima una logica di area ravvicinata volta all'erogazione nell'immediato di un servizio e la seconda una logica di area vasta operante nella prospettiva del medio e lungo termine.
Neppure concordiamo sul tipo di gradualità per il conferimento della delega prospettato dalla maggioranza e dalla Commissione perch alimenterebbe processi di squilibrio e di conflittualità tra i vari Enti delegati perché quasi certamente si finirebbe di attuare la delega delle funzioni amministrative soltanto per l'area metropolitana di Torino e per qualche altra area della Regione lasciando i rimanenti Enti delegati nella condizione di essere sostituiti nell'esercizio delle funzioni amministrative relative.
Francamente la posizione della maggioranza ci sembra quella di chi vuol costringere la realtà in uno schema ristretto precostituito.
Il pluralismo formativo che la legge n. 845 non solo riconosce, ma promuove e valorizza, è delineato da queste caratteristiche: pluralismo di proposte formative pluralismo di istituzioni formative portatrici appunto di proposte formative pluralismo di Enti formativi che siano però emanazione di movimenti di associazioni, di forze sociali, produttive e formative.
La seconda condizione essenziale è la coerenza delle proposte formative con la formazione e a concorso di essa.
Che cosa significa proposta formativa della quale la legge più volte afferma il rispetto? A nostro avviso è un complesso organico di valori, di esperienze, di metodologie, di apprendimento e di lavoro; è una disponibilità ad aiutare e a servire. Un complesso organico che viene appunto proposto perché venga sperimentato, valutato ed arricchito ai fini dell'apprendimento e dell'autoformazione.
Questo pluralismo, fatto centrale della legge, fatto nuovo nelle politiche formative del nostro Paese, è destinato a segnare una svolta e a caratterizzare profondamente il nostro sistema formativo. Esso richiede un rinnovamento, un modo nuovo di intendere anche i rapporti tra iniziativa pubblica ed iniziativa privata, la prima soprattutto rivolta a promuovere a coordinare, a organizzare, ad equilibrare, a potenziare, a controllare il sistema formativo mediante la programmazione e l'intervento formativo diretto; la seconda rivolta ad offrire, come espressione di un fatto sociale, tutto il suo concorso nell'attuare il servizio formativo e nel concorrere a programmarlo.
Il pluralismo formativo espresso dalla collega Marchiaro a nome dell'attuale maggioranza consiliare, di cui prendiamo atto con soddisfazione, mi sembra che possa essere collocato in questo ambito.
Tuttavia, perché nel concreto si possa dar luogo ad un effettivo pluralismo formativo del tipo su indicato, occorre che siano rispettate alcune essenziali condizioni: reale possibilità da parte degli Enti convenzionati di partecipare alla programmazione e alla pianificazione della formazione professionale, a livello regionale e comprensoriale, all'elaborazione degli obiettivi formativi e degli ordinamenti didattici previsti in materia di progettazione formativa regionale reale possibilità di autonoma organizzazione didattica reale possibilità di elaborazione in sede propria degli obiettivi formativi sulla base della propria proposta di formazione professionale e del proprio indirizzo formativo reale possibilità di esercitare per le assunzioni del personale senza indebite restrizioni l'istituto della richiesta nominativa del personale docente, direttivo e di concetto, dotato dei requisiti richiesti reale possibilità per i lavoratori interessati di una libera scelta occupazionale affinché il rapporto di lavoro sia nella sostanza un fatto associativo sulla base di specifiche proposte formative reale possibilità da parte degli Enti convenzionati di formare, di aggiornare e di concorrere a formare e ad aggiornare il proprio personale.
E' sulla base di questi criteri che esprimeremo durante l'esame degli emendamenti agli articoli della legge alcuni sostanziali dissensi ed alcune insoddisfazioni.
Prendiamo atto con soddisfazione che nel dispositivo di legge in esame risultano accettate le proposte di assicurare al Consiglio regionale, anche in materia di formazione professionale, il pieno esercizio delle sue competenze; infatti dall'articolato risulta che l'intervento del Consiglio è previsto per tutti i provvedimenti di strutturazione e di programmazione anche se parziali, salvo per quanto concerne l'adozione dello schema di convenzione con gli Enti associativi. Occorre infatti mettere fine al regime delle circolari troppo spesso usate con funzioni di veri e propri regolamenti e con interventi che andrebbero esplicitamente decisi in sede programmatoria.
Condivido il testo dell'articolo di legge che si esprime a favore degli apprendisti. Tuttavia, rifacendoci alla relazione della signora Marchiaro non possiamo non rilevare che a fronte dei 14 mila allievi degli attuali corsi diretti o sovvenzionati o finanziati da parte della Regione ci siano 90 mila apprendisti senza alcuna formazione organizzata. Certo occorre la riforma della legge dell'apprendistato.
I problemi sostanziali da soddisfare sono quelli relativi all'orario e alla durata del periodo formativo, al collegamento, all'organicità tra l'esperienza formativa in sede extra lavorativa e quella in sede lavorativa, al collocamento nell'ambito degli ordinamenti didattici e infine all'accertamento della qualificazione che dovrebbe essere corrispondente appunto ad un risultato effettivamente raggiunto.
Riteniamo che, nonostante le difficoltà poste dalla legge, sviluppando ulteriormente i rapporti con le categorie interessate e nel medesimo tempo facendo confluire sul bilancio della formazione professionale più cospicue risorse, sia possibile tentare di fare qualche cosa di significativo e di importante anche in termini quantitativi per gli apprendisti.
Sempre nel testo di legge si fa menzione al problema essenziale e fondamentale relativo alla formazione professionale e all'aggiornamento dei tecnici e dei quadri. Anche in questo caso si devono risolvere i problemi che riguardano i contenuti e la durata della formazione, gli orari della formazione e l'accertamento dei risultati formativi.
Un altro punto importante dell'articolato è quello che si riferisce alla Commissione paritetica, in ordine alla quale vanno maggiormente chiarite le funzioni. Occorre inoltre approfondire l'argomento della mobilità del personale della formazione professionale, tenuto conto dell'inaccettabilità di una gestione del fenomeno della mobilità che sia meccanico burocratico ed assistenziale, dell'inaccettabilità di una mobilità a giro ristretto, cioè soltanto tra le iniziative di formazione professionale.
La mobilità degli operatori della formazione professionale da che cosa può essere causata? Dalle responsabilità della Regione e degli Enti gestori che mettono in mobilità. Non si vede come un sistema formativo ben organizzato possa produrre la mobilità degli operatori, una mobilità che non sia basata sulla volontarietà o su intese, ma a scopi di perfezionamento, a scopi di promozione dell'intero sistema formativo.
Riteniamo che la mobilità professionale, e non semplicemente la mobilità del lavoro, debba essere collocata in un'area più vasta, proprio per lo stesso potenziamento del sistema formativo, che comprenda le aziende e le pubbliche amministrazioni, anzi la circolarità tra formazione professionale ed aziende è un fatto necessario.
Circa le assunzioni presso gli Enti di formazione professionale pubblici e privati convenzionati, il settore della formazione professionale non può essere considerato come un'area di collocamento della disoccupazione. Il settore della formazione professionale è un settore moltiplicativo di professionalità, suppone che gli addetti abbiano una consistente e plastica professionalità.
Farò ancora alcune considerazioni circa la gestione della legge. Dopo l'approvazione del testo di legge, questo fatto sarà certamente importante anche perché la legge prevede una serie di adempimenti, normativi e realizzativi, che richiedono, a nostro avviso, il più vasto concorso di forze, e, a questo proposito, dichiariamo tutta la nostra disponibilità per realizzare nel modo migliore il sistema formativo.
E' anche nostra convinzione che la prima legge regionale in materia di formazione professionale debba risultare come legge-quadro intesa a tradurre i principi, le competenze e le aree di interventi definiti dalla legge nazionale in una sintesi operante che ponga le basi per la realizzazione effettiva di un sistema formativo definito nei suoi principi nelle sue strutture di base, nelle sue funzioni e procedure essenziali tali da consentire la interpretazione e la corrispondenza alla domanda formativa emergente dalla realtà regionale, mediante successivi interventi normativi e realizzazioni di piano in modo articolato e tempestivo e con criteri di processualità organica.
Nel concreto l'operatività del presente dispositivo di legge dipende essenzialmente dal modo in cui verranno gestiti tutti i suoi sviluppi applicativi e la validità della gestione dipenderà essenzialmente: dalla capacità di determinazione e di strutturazione dei fabbisogni informativi dalla capacità di determinare i corrispondenti obiettivi formativi dal tipo e dalla qualità, prima ancora che dalla quantità, dei concorsi formativi delle risorse umane e strumentali che la Regione saprà predisporre e mobilitare dalla tempestività degli interventi formativi dal tipo di controlli e verifiche che si sapranno adottare soprattutto circa i risultati formativi e circa i loro esiti occupazionali e lavorativi dal tipo di interventi degli Enti, delle strutture pubbliche e di quelle private previste dalla legge-quadro e dalla legge regionale.
Su questi punti mi limito a qualche rapida considerazione.
Problema dei fabbisogni. Non è possibile che sia risolto semplicemente attraverso ricerche e rilevazioni, certamente importanti, che tuttavia permettono di cogliere delle tendenze e danno facilità di proiezione, ma non sono sufficienti a determinare il fabbisogno.
Non si tratta semplicemente di rilevarli, ma si tratta di determinarli.
Il che richiede dei rapporti politici tra la Regione, gli operatori e le categorie interessate al problema dei fabbisogni, tenendo conto che i fabbisogni vanno individuati non solo per l'immediato, ma per il medio termine.
Obiettivi. Occorre tenere presente il grande fenomeno della mobilità professionale a cui comunque conduce il problema della mobilità del lavoro.
E' necessario definire obiettivi graduali, interventi e metodologie appropriate suscettibili di sviluppi e di integrazioni successive nel medio e lungo termine.
Accertamento e controllo dei risultati. Data la natura della legge quadro e della legge regionale, osserviamo che è in atto un processo che intende porre la professionalità con accertamento pubblico dell'effettiva qualificazione come superamento del valore legale del titolo di studio.
Grazie.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Rossotto. Ne ha facoltà.



ROSSOTTO Carlo Felice

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, l'attenta relazione della collega Marchiaro aiuta a dare un giudizio positivo al testo di legge pur rimanendomi alcune preoccupazioni e richieste di miglioramento al testo.
Da parte mia permangono alcune preoccupazioni relativamente all'art. 4.
Mi lascia perplesso, in una legge che dispone e dà indicazioni e normative precise, l'uso di una serie di aggettivazioni quali: progettuale flessibile, pluralistico, aperto, programmato. Mi paiono termini giusti sì ma più adatti alla relazione al disegno di legge che non alla normativa.
Inoltre il concetto dell'art. 7 è perfetto, ma ho una preoccupazione per quanto è detto all'ultimo comma in ordine ai programmi che vengono predisposti dagli Enti delegati (su questo sono d'accordo perché la partecipazione è necessaria nei momenti più reali e più vivi della realtà sociale e produttiva) e "organizzati" dalla Giunta regionale. Credo che al termine "organizzati" sia più opportuno sostituire "disposti". Non vorremmo ritrovarci esecutori della volontà di chi non può avere la visione del generale e se ce l'ha non può essere soggetto della totale programmazione regionale.
In merito alla Commissione prevista all'art. 10, ritengo che si debba richiedere che gli esperti siano particolarmente versati nella materia. Il solo riferimento all'art. 24 dello Statuto regionale non mi soddisfa sufficientemente.
All'ultimo comma dell'art. 13 è detto: "Il trasferimento delle funzioni amministrative, dei beni e del personale si attua. con deliberazione del Consiglio regionale entro i cinque anni dall'entrata in vigore della presente legge.". Cinque anni sono la durata di una legislatura regionale e mi paiono troppi soprattutto in questo momento in cui stiamo avviando processi di grande trasformazione dello Stato e delle autonomie.
La programmazione è un processo continuo e non è qualche cosa di imposto da scadenze rigide, quindi questo articolo, per dare maggiore credibilità e dare all'esecutivo snellezza, dovrebbe avere una terminologia più semplice in ordine alle funzioni delegate e alle capacità di recepimento degli Enti a cui queste funzioni vengono delegate.
Nel complesso il giudizio al disegno di legge è positivo. Di fronte a questa grande novità ritengo sia opportuno un momento di riflessione per evitare eccessivi perfezionismi e meccanismi tali che possano diventare momenti di giustificazione della non attuazione della grande riforma e trasformazione che con questo disegno di legge possiamo fare in un settore tanto importante. Questa è la sfida della Regione Piemonte, unica Regione che ha lanciato sul terreno della programmazione un momento nuovo per uscire dalla crisi per portare distensione e per recuperare lo slancio dinamico e produttivo nel rispetto dell'iniziativa privata con l'assunzione di tutte le responsabilità politiche da parte degli organi democratici e istituzionali.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bellomo.



BELLOMO Emilio

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, non intendo fare un'analisi dettagliata di questa proposta di legge, ma desidero esprimere una serie di giudizi per sottolineare la nostra valutazione positiva.
E' opportuno in primo luogo ricordare le direttrici fondamentali lungo le quali il nostro partito ha operato in materia di formazione professionale.
Mi riferisco fondamentalmente all'iniziativa per l'approvazione di una legge quadro nazionale che riformasse fondamentalmente il settore costituendo un riferimento generale della formazione professionale al risanamento della situazione esistente, allo sviluppo di una elaborazione culturale sul ruolo della formazione professionale, nel sistema scolastico e produttivo e come strumento di programmazione e di riforma istituzionale.
Il disegno di legge che dovrà essere votato dal Consiglio mette in rilievo aspetti profondamente innovativi ed interessanti.
Sono fissati i criteri di operatività della Regione e si definisce anche la filosofia che è alla base dell'attività regionale in materia di formazione professionale, mentre quelli che sono gli obiettivi, in relazione alle mutevoli esigenze della formazione professionale stessa saranno stabiliti con l'approvazione dei piani poliennali. I programmi sono fissi ed immutabili per tutto l'arco di tempo al quale singolarmente si riferiscono; infatti saranno aggiornabili annualmente e ogni programma triennale, rispetto al programma precedente e a quello successivo, si presenta come strumento di innovamento ed, a sua volta, innovabile: i programmi sono quindi tra loro coinnestati e scorrevoli. Questo caratteristico elemento funzionale, questo rapporto tra legge e programmi di formazione professionale, conferiranno scioltezza agli interventi regionali nella materia. Si introduce, quindi, un meccanismo che conferisce elasticità al sistema formativo. Le finalità del piano sono rapportate ad una politica generale di mutamento, di promozione e di sviluppo che investono tutto l'ambito regionale, con specifico riferimento al soddisfacimento della domanda di istruzione sinora inevasa; al reperimento di nuove proposte; alla correzione di tendenze non pienamente compatibili con l'attuale situazione.
In tale prospettiva va istituito un raccordo con il sistema scolastico statale (nei limiti in cui ciò è oggi possibile nell'attesa di riforme legislative che colmino certe rilevanti carenze) e va promosso un "contatto" con il mondo aziendale del lavoro, in modo da realizzare un circuito profondo di rapporti, a vantaggio reciproco, e con piena reversibilità, onde evitare un assoggettamento rigido del sistema della formazione a gruppi di utenza, pigri o rigidi, nel loro orientamento.
Se è vero, infatti, che la formazione deve essere disponibile alle richieste provenienti dal mercato del lavoro, onde contribuire in misura significativa a risolvere i problemi dell'occupazione, è altrettanto vero che una incisiva politica di formazione, in quanto inserita in un contesto generale di politica economica, deve essere in grado di condizionare la domanda rendendola flessibile in rapporto a obiettivi di medio e lungo termine. Il che significa sostanzialmente che il piano costituisce senza dubbio uno strumento di razionalizzazione degli squilibri nella società, di fatto esistente, come capacità di fornire adeguate, efficaci e funzionali risposte alla domanda attuale di formazione. Ma non vuole, ne può chiudersi in questo compito, per altro importante, in quanto tende anche, secondo una logica di riforma e di trasformazione, a modificare le richieste sociali, a seguito di un rinnovamento del contesto socio-economico-culturale che le produce.
Va anche rilevato come il disegno di legge delinea, con chiarezza, una formazione professionale che non è alternativa alla scuola secondaria superiora né è ad essa sussidiaria, pur prevedendo la possibilità per i giovani del passaggio in piena autonomia e come libera scelta individuale dal sistema formativo a quello scolastico e viceversa. La formazione professionale, quale viene delineata dal provvedimento regionale, si avvicina al mondo del lavoro e lo assume a modello; mira ad avvicinare i giovani alla realtà aziendale perché ne possano trarre tutti i vantaggi per un più rapido e completo apprendimento e possano ancora trarre tesoro da quella inesauribile fonte di esperienze che è il mondo del lavoro. Tale finalità viene raggiunta mediante l'alternanza tra studio e lavoro.
Sarà questo un momento significativo in cui si fonderanno le due esperienze: quella di lavoro e quella di formazione professionale l'alternanza gioverà sicuramente anche agli allievi giovani e costituirà per essi il primo rapporto con il mondo del lavoro.
Avendo di mira obiettivi di formazione professionale che corrispondano alle esigenze rappresentate dal mercato del lavoro sia perché gli utenti di formazione professionale trovino sicuri sbocchi occupazionali sia perché le imprese possano reperire i lavoratori qualificati e specializzati dei quali hanno bisogno, è previsto che venga svolta all'interno della struttura regionale un'attività specificamente volta al perseguimento degli scopi suddetti operando in permanente collegamento con le forze sociali.
Altro aspetto particolarmente positivo è l'intendimento volto a superare la frammentazione delle competenze nel settore della formazione professionale riconducendo la materia ad un unico momento gestionale e di programmazione pur nell'ampio spazio che viene lasciato a momenti di consultazione e di coordinamento con gli altri settori dell'Amministrazione regionale; si razionalizza in tal modo quanto precedentemente era frammentario e polverizzato in una serie di interventi non coordinati, o addirittura in concorrenza e con risultati spesso discutibili se non addirittura negativi. Inoltre tutti gli interventi nella formazione professionale vengono in questo modo ricondotti e collegati, attraverso la programmazione, all'interno del Piano di sviluppo regionale. Di fondamentale importanza è che il disegno di legge preveda l'intervento della formazione professionale rivolto non solo ai giovani in cerca di prima occupazione o qualificazione, ma anche a tutti i lavoratori operanti a qualsiasi livello e soggetti ai progetti di riconversione o che abbiano necessità di riqualificarsi ai fini di una diversa organizzazione del lavoro. In questo modo vengono ricondotti all'interno dei piani di sviluppo regionali quei processi economici di cui oggi non è possibile controllare lo sbocco.
Infine non si concepisce più una formazione professionale esclusivamente rivolta ai settori tradizionali dell'industria dell'agricoltura e del commercio, ma anche in relazione alle nuove professionalità che il settore della pubblica Amministrazione e dei servizi richiedono oggi e forse più domani. In questo settore la domanda di riqualificazione ed aggiornamento sulle moderne tecnologie della gestione della cosa pubblica, anche alla luce delle leggi di riforma istituzionali approvate in questi anni ed alle accresciute esigenze di partecipazione, è sentita come necessità impellente e da parte dell'utenza e da parte di chi ne è al servizio.
Il Gruppo consiliare socialista dichiara dunque voto favorevole al disegno di legge e ritiene che la sua approvazione apra un vasto campo di lavoro e di iniziativa politica che coinvolgerà forze sociali, giovani, le forze culturali e le istituzioni amministrative.



PRESIDENTE

La parola alla dottoressa Castagnone Vaccarino.



CASTAGNONE VACCARINO Aurelia

Signor Presidente, signori Consiglieri, il Gruppo repubblicano aveva presentato fin dal 30 agosto 1976 una proposta di legge in materia di formazione professionale. Ci richiamiamo a quella proposta, perch riteniamo che più che un'analisi precisa e noiosa degli elementi della legge, sia opportuna la conoscenza degli intendimenti del Gruppo repubblicano nei confronti di una legge sulla formazione professionale.
La proposta che era stata presentata precedeva la legge-quadro nazionale, quindi non teneva conto delle modifiche che sono indispensabili per l'adeguamento alla legge stessa. Per chiarezza espositiva riprendo i principi fondamentali sui quali si fondava la nostra proposta di legge.
Essa diceva: "La presente proposta di legge intende ovviare alla situazione di carenza legislativa sia nel campo della formazione professionale, sia nel campo della riforma scolastica, stabilendo alcuni obiettivi che qualifichino la formazione professionale, la rendano uno strumento valido per far fronte alle esigenze dello sviluppo produttivo e alla necessita di contribuire allo sviluppo formativo dei giovani e dei lavoratori in genere".
Sono principi ispiratori della presente proposta di legge: 1) la creazione di un sistema di formazione continua che integri in maniera armonica il momento della formazione sul lavoro e quello dell'apprendimento scolastico 2) la piena utilizzazione di tutte le potenzialità e di tutti i mezzi di formazione professionale, delle strutture del sistema scolastico, onde evitare inammissibili sprechi e colmare il divario tra domanda e offerta di manodopera qualificata che in Piemonte è ancora sensibile 3) la definizione di standards che valgano ad assicurare funzionalità e serietà alle attività di formazione professionale 4) la valorizzazione in tale contesto del distretto scolastico come momento ottimale di raccordo fra le strutture formative scolastiche professionali 5) l'immediata introduzione di misure e controlli atti a garantire serietà ed efficienza 6) l'applicazione di principi di partecipazione democratica nella gestione delle attività di formazione professionale.
I criteri sopraelencati, che qualificano la posizione del PRI nei confronti del ruolo che la Regione è tenuta a svolgere in tema di formazione professionale, si sostanziano e trovano applicazione nel metodo di una programmazione che raccolga contributi validi provenienti da tutte le forze sociali.
Su questi principi dobbiamo misurare la legge che oggi ci viene presentata. Alcuni principi sono caduti con la presentazione della legge.
Il ruolo determinato dalla Regione come Ente gestore dei corsi viene a cadere in quella atomizzazione che la legge quadro nazionale consente attraverso la delega ai Comuni. Come non siamo stati favorevoli all'atomizzazione a livello nazionale, così non siamo favorevoli all'atomizzazione a livello regionale.
I problemi e le difficoltà per risolverli sono evidenti nella legge che ci viene presentata. E' una legge che si potrebbe definire "filosofica" e non vorrei che questo termine fosse ritenuto dispregiativo (vengo da quella facoltà, quindi non potrei disprezzare i filosofi). Una legge, sebbene debba fondarsi su principi, deve essere essenzialmente chiara nella forma lasciando i principi alla relazione introduttiva.
I principi, le finalità, gli obiettivi quando vengono ingranditi come in questa legge, non fanno che creare confusione e difficoltà interpretativa soprattutto in caso di contenzioso.
L'art. 4, per esempio, sembra poter affrontare il mondo universo nel campo della formazione professionale. Alcuni emendamenti che noi presentiamo sono soprattutto relativi a soppressione di commi proprio per tentare di diminuire un poco i principi. Altri emendamenti sono più specifici e sono: all'art. 4; poiché, come ha sottolineato il Consigliere Rossotto rileviamo la riduttività della Regione che si limita ad essere una guida di carattere organizzativo all'art. 14. Per non incorrere in contrasti con la legge sulle procedure regionali, riteniamo opportuno raccordare questa legge con la legge sulle procedure.
Sono emendamenti formali che in realtà vogliono significare che la Regione deve avere caratteristiche più precise nel campo della formazione professionale.
Abbiamo presentato poi un emendamento in ordine al trasferimento delle risorse finanziarie, dei beni e del personale agli Enti delegati per assicurare l'esercizio delle competenze attribuite dalla presente legge perché in realtà manca un articolo che stabilisca il passaggio dei fondi dalla Regione agli Enti, per cui non si capisce come gli Enti possano funzionare.
Potrei fare altre osservazioni di carattere generale sul modo in cui noi pensiamo debba essere, non nella filosofia ma nei fatti l'organizzazione della formazione professionale.
I livelli sono fra di loro profondamente diversi perché abbiamo un tipo di formazione professionale altamente sofisticato; una formazione professionale di tipo medio e una formazione professionale di base.
Se la formazione professionale di base può essere attribuita ai Comuni o ai consorzi dei Comuni, diverso è il discorso sulla formazione professionale di tipo medio. Nel dibattito istituzionale che si sta muovendo nel Paese, parlo di quello precedente, non del dibattito istituzionale "craxiano", i Comprensori così come il Piemonte li ha identificati, verranno a cadere e rimarranno le Province.
Non possiamo ignorare questo dibattito discutendo una legge come questa che prevede strutture che poi, in realtà, non corrisponderanno alle leggi che, se non in questa tornata legislativa, probabilmente nella prossima saranno approvate.
Il terzo momento importante è quello della formazione professionale più sofisticata che difficilmente può essere promossa e gestita da Enti diversi dalla Regione stessa. Con questa legge si è cercato qualche escamotage per far sì che la Regione gestisca in proprio alcune scuole di formazione professionale.
Riteniamo gravissima l'atomizzazione della formazione professionale.
Gli Enti che si occupano della formazione professione sono molti. Le possibilità di convenzioni sono molteplici. La formazione professionale stessa, proprio per le sue caratteristiche, ha una molteplicità di mestieri che tuttavia può aumentare con le nuove tecnologie aziendali.
Se la Regione non ha una scala di valori ben precisa rischia di avere da un lato, per ragioni di prestigio, una serie di Comuni che vorranno creare formazioni professionali altamente qualificate, dall'altro lato altri Comuni che saranno nell'incapacità di gestirla.
La programmazione spetta alla Regione e non agli Enti delegati, ma sappiamo quanto sia forte e quanto valore politico abbia la pressione dei Comuni e quanto possa scappare in fine di legislatura, tanto che l'ultimo piano annuale può essere fatto più per soddisfare ragioni di carattere clientelare che non per ragioni di carattere programmatico. Questo vale nei confronti di qualsiasi maggioranza sia al governo.
Ma, proprio perché tali pressioni non stravolgano la programmazione abbiamo chiesto che la programmazione pluriennale e annuale sia strettamente congiunta con il bilancio. Il momento dell'approvazione del bilancio, che sarà di grandissimo impegno, maggiore di quello finora profuso dal Consiglio regionale, permetterà una verifica di tutte le politiche settoriali e del quadro programmatico della Regione Piemonte quadro che, francamente, fino a questo momento non è stato attuato poich ogni settore procede a compartimenti stagni senza sapere che cosa si realizza negli altri settori. Siamo ben lontani da quella programmazione che la Giunta spesso ci presenta come essenziale.
Ci riserviamo di intervenire ancora al momento della presentazione degli emendamenti da parte dei colleghi.
Questa legge, a nostro avviso, è l'opposto di quella da noi proposta.
Quella proposta di legge forse era fin troppo schematica e illuministica com'è nel carattere del nostro partito; questa invece, mi sia consentito dire, fa dei filosofemi e si presenta specularmente opposta alla nostra. Se nel corso della discussione e dell'esame degli emendamenti questa differenza speculare non verrà modificata, la nostra riserva non potrà che concretarsi in un giudizio negativo.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Vera.



VERA Fernando

Il disegno di legge che stiamo discutendo ha avuto nel corso dell'esame in Commissione un'attenzione, un interesse, un approfondimento, diversi dagli altri disegni di legge.
Devo dare atto al Presidente della Commissione, ai membri della Commissione stessa, all'Assessore Fiorini della pazienza "erasmica" con la quale hanno cercato di trovare una mediazione tra le varie tesi.
Questo processo di lunga maturazione ha però finito col dar luogo a una sorta di macerazione della legge che si presenta in aula con caratteristiche che difficilmente possono essere definite positive. Il lungo travaglio ha finito col dar vita ad autentici mostri linguistici e concettuali, a nostro avviso, una legge dovrebbe avere interpretazioni e significati accessibili non soltanto agli addetti ai lavori ma anche ai cittadini che devono fruirne.
A parte la difficoltà di carattere interpretativo, a noi pare che la Regione Piemonte finisce col collocare accanto alla legge quadro dello Stato, che è una legge di principi, un'altra legge di principi: si realizza quindi una sorta di gioco di scatole cinesi, l'una dentro all'altra, che alla fine qualcuno dovrà riempire o attraverso una successiva legislazione regionale o attraverso delibere di Giunta. Questa è l'ipotesi che più ci preoccupa.
Rileviamo anche una scarsissima connessione di questa legge con il mondo del lavoro. Ripeto, lo scopo non è quello di creare in astratto un altro ordinamento scolastico, ma è quello di creare dei lavoratori che siano in grado di inserirsi attivamente e positivamente nel mondo del lavoro.
Tra l'altro questo sistema finirebbe per essere più rigido del sistema scolastico normale, basti pensare che non è permesso l'accesso alle prove d'esame a persone che non abbiano seguito il corso formativo.
Entrando nel merito di alcuni argomenti essenziali della legge rileviamo che per quanto si riferisce alla programmazione non si capisce qual è il soggetto della programmazione, dato che essa viene estesa a tutta una serie di soggetti con il rischio di fronte ad una eccessiva parcellizzazione di non essere più tale.
Rileviamo che la Commissione per la formazione professionale contrariamente a quanto previsto in tutte le leggi elaborate dalla Regione Piemonte, ha un carattere estremamente monolitico essendo composta da esperti nominati dal Consiglio regionale i quali, com'è noto, sono lottizzati fra i partiti politici. E' quindi esclusa la partecipazione degli operatori del mondo del lavoro e del sistema scolastico.
Tra l'altro questa Commissione compare in un solo articolo poi scompare e non si sa a che cosa serva, che cosa faccia, non essendo né sentita n consultata da nessuna parte. Finisce quindi con l'essere un ufficio della Giunta, ma non mi pare abbia senso prevedere in questa legge la costituzione di un ufficio della Giunta. Quindi o la si modifica in modo radicale, sincronizzandola con la posizione delle Commissioni regionali previste da altre leggi, o la si abolisce.
La conseguenza di questa legge sarà l'erogazione di un ammontare notevolissimo di contributi. Per evitare che questa massa notevole di contributi venga male utilizzata o non utilizzata affatto occorrerebbe un sistema di controllo, ma direi piuttosto un sistema di consulenza, perch in questo settore possono inserirsi anche persone scarsamente preparate.
Ho cercato di essere estremamente breve intanto perché altri colleghi hanno puntualizzato i lati criticabili della legge, ma soprattutto perch il mio Gruppo intende tentare di modificare il testo di legge, presentando alcuni emendamenti, anche se sono d'accordo con la collega che mi ha preceduto che si tratterebbe di riscrivere la legge completamente. Ma questo d'altra parte non è compito dei Consiglieri che fanno parte della minoranza del Consiglio.
Dalla sorte che avranno gli emendamenti, il nostro Gruppo valuterà in quale forma manifestare il proprio dissenso nei confronti della legge sulla formazione professionale.



PRESIDENTE

Ha chiesto di intervenire la dottoressa Soldano. Ne ha facoltà.



SOLDANO Albertina

Il dibattito in corso pone in evidenza la viva partecipazione delle varie forze politiche presenti in Consiglio e, nello stesso tempo, indica l'interesse per il tema in discussione da parte della ben più ampia realtà regionale.
In effetti, il problema della formazione professionale rettamente inteso, cioè collocato al di sopra di una visione meramente settoriale assume un ruolo determinante, in un momento in cui l'apporto culturale nell'attività lavorativa diventa un fatto incisivo per la qualità della vita, oltre che per la crescita e lo sviluppo socio-economico.
Il testo di legge oggi all'esame del Consiglio, dopo l'emendamento della legge statale 21/12/1978, n. 845, la cosiddetta legge-quadro, assume dunque un'importanza notevole, come risposta ad una lunga attesa della comunità regionale e soprattutto come indicazione prospettica per il futuro della realtà regionale stessa, costantemente in evoluzione nelle sue componenti umane, sociali, economiche, tecnologiche.
Dagli interventi dei colleghi, com'è logico nell'ambito di forze politiche che liberamente debbono esprimersi, sono emersi apprezzamenti o critiche, adesioni o riserve. Per quanto mi concerne, ritengo di dover svolgere ancora qualche considerazione, che prego accogliere come contributo personale all'approfondimento del tema.
Non v'è dubbio che la formazione professionale in quanto tale si è evoluta negli scorsi decenni in modo disorganico rispetto allo sviluppo economico del Paese. La nostra crescita economica ha ignorato, nella sostanza, una chiara azione di programmazione e di coordinamento accentuando così pesanti squilibri settoriali e territoriali. In tale situazione la formazione professionale si è venuta delineando con i caratteri di marginale e passivo supporto del meccanismo di sviluppo recando su di sé, amplificate e ulteriormente distorte, tutte le contraddizioni. Anziché essere, quindi, un fattore di stimolo e di cambiamento, la formazione professionale è spesso divenuta strumento di conservazione inutile, anche nei confronti di una realtà industriale in continua evoluzione.
Ciò si riflette pesantemente nei contenuti. Basterebbe pensare alla inadeguatezza con la quale taluni profili professionali, così come sono stati, a tempo debito, definiti dal Ministero del lavoro, collocati in un preciso momento storico, delineano tuttavia ancora oggi i mestieri e le professioni dei lavoratori in base a burocratiche considerazioni di ordine tecnico, spesso avulse dal mondo del lavoro stesso.
Per alcuni settori, anzi, la formazione professionale è divenuta una forma di assistenza alla disoccupazione, tanto da porre seriamente in dubbio l'affermazione del legislatore quando dichiarava, in alcuni articoli fondamentali della Costituzione, che dovere essenziale della Repubblica Italiana è la rimozione degli ostacoli frapposti dai condizionamenti socio culturali e dalle situazioni di ingiustizia sociale.
Il diritto allo studio e al lavoro sono condizioni fondamentali per attuare il pieno sviluppo individuale e sociale della personalità umana. In particolare, in un contesto di rapida evoluzione dei requisiti e degli obiettivi ai quali la formazione professionale deve rispondere, ribadisco a mia volta, che occorre riscoprire il concetto di professione e professionalità. Infatti il rapido sviluppo tecnologico, l'evoluzione della società e della cultura stessa nella società, la spinta del movimento sindacale richiedono oggi una diversa concezione della professionalità e un suo diverso ruolo nel mondo del lavoro.
Anzi, la formazione professionale deve diventare un sistema di educazione ricorrente ed operare non soltanto per l'immissione del giovane nel lavoro, ma anche sistematicamente per l'adulto, curando il suo aggiornamento e, ove è necessario, la sua riconversione. E', questa, una concezione attiva della politica dell'occupazione, in cui l'uomo è soggetto di lavoro e altresì soggetto di cultura e di vita. La professionalità è elemento indispensabile nella valutazione delle politiche in atto e di quelle che si intendono intraprendere: politiche del lavoro e formative in particolare, politiche culturali e di sviluppo anche economico, in generale.
La professionalità è punto di riferimento per la programmazione socio economica, per l'evoluzione tecnologica dell'organizzazione del lavoro, per il quadro complessivo dello sviluppo regionale, interessante la mobilità professionale e anche la scuola, specialmente ai livelli di uscita dalla scuola dell'obbligo e dalla secondaria superiore.
Il Consigliere Conti, a nome del nostro Gruppo, ha già ampiamente illustrato tale elemento fondamentale del problema che stiamo esaminando.
Mi sia consentito ribadire ancora che una normativa corretta per la formazione professionale deve assumere, sia a livello di principio sia a livello operativo, la professionalità come elemento base di un sistema regionale di formazione professionale che organicamente ristrutturi la complessa materia, in modo da porre in essere un servizio formativo che risponda in modo efficace e tempestivo alle esigenze degli utenti.
Per attuare tale sistema si è scelta giustamente, a mio avviso, la metodologia della programmazione e progettazione, che si realizza con il coinvolgimento di tutte le componenti interessate: Enti locali, categorie sociali, organizzazioni sindacali, forze produttive, Enti pubblici e privati comunque interessati alla formazione professionale.
Analogamente si vuole assicurare il collegamento con il mondo del lavoro e della produzione, con la scuola e con il territorio.
Altri aspetti qualificanti per la realizzazione del sistema sono, come già altri hanno fatto notare in questa sede, il pluralismo effettivo delle varie proposte formative e la conseguente partecipazione responsabile degli enti gestori, di cui all'art. 5 della legge 845, e la delega delle funzioni amministrative in materia agli Enti locali. Ancora una volta, noi riteniamo che tale delega debba essere conferita tenendo conto di criteri insostituibili di funzionalità ed efficienza, in stretto rapporto con una chiara visione programmatoria, in un ambito territoriale tale da consentire la migliore utilizzazione di tutte le risorse disponibili, ivi compresi i servizi e le strutture già esistenti.
Se poi, come risulta dal testo unificato approvato a maggioranza in Commissione, questo Consiglio regionale deciderà di attribuire la delega amministrativa, in carenza della riforma delle autonomie locali, ai consorzi di Comuni compresi attualmente nell'ambito territoriale delle Unità Locali dei Servizi, cioè in un ambito, a nostro avviso, troppo limitato e ristretto per assicurare in tutto il territorio regionale un servizio formativo omogeneo, adeguato ed efficiente, armonicamente correlato con un chiaro disegno di sviluppo programmato, ci sia almeno consentito evidenziare che non vi saranno comunque, in tal caso attenuanti, qualora non si realizzasse, in un ambito territorialmente identico, un corretto e convinto collegamento con la scuola.
Questa deve recuperare il suo ruolo irrinunciabile di "formazione" culturale complessiva del giovane, e tale obiettivo non può restare avulso dall'attesa riforma della scuola secondaria superiore e dall'ampliamento dell'arco della scolarità obbligatoria. Nel quadro dell'educazione permanente o ricorrente, la scuola deve altresì aprirsi alle esigenze culturali ed educative della comunità.
La formazione professionale, a sua volta, deve divenire anello di congiunzione tra scuola e mercato del lavoro, attraverso l'orientamento e il graduale sviluppo delle attitudini del singolo, ivi comprese quelle operative.
L'ambito territoriale delle attuali Unità Locali dei Servizi corrisponde a quello dei distretti scolastici. Sarebbe assurdo negare le difficoltà reali in cui oggi i consigli distrettuali scolastici sono costretti ad operare; ma sarebbe altrettanto assurdo e certamente foriero di ulteriori errori non riconoscere l'attività in corso per l'approfondimento dei problemi concernenti il distretto stesso, da parte degli operatori.
Partendo dall'art. 12 del D.P.R. 31/5/1974, n. 416, ove sono elencate ma ovviamente non illustrate, le funzioni del consiglio scolastico distrettuale, oggi si è avviato, nella comunità scolastica, un ampio dibattito, teso alla ricerca di punti fermi di riferimento proprio per l'assolvimento delle suddette funzioni.
Oggi, almeno in prospettiva, vanno evidenziandosi quattro elementi, che ritengo opportuno segnalare alla considerazione del Consiglio: 1) la flessibilità delle strutture, che devono essere in grado di adeguarsi alle differenti tipologie di utenze e che devono garantire una tessitura dialettica con il mondo produttivo (es. interscambi, congedi formativi, congedi di lavoro) 2) la ricomposizione delle competenze statali e regionali, con previsioni di "passaggi" tra le rispettive scuole. Il nodo critico sta nel superamento dell'assurda concezione che prevede la divisione tra formazione professionale e formazione generale e nella ricerca di qualificazioni chiave, intese come nuclei di obiettivi educativi che stanno alla base dei processi conoscitivi e di comportamento (vedi i progetti-pilota CEE). Il sapere così concepito non si limita a colmare le presunte "lacune", ma concerne tutti i settori dell'esistenza e si innesta nelle dimensioni antropologiche e politiche dell'educazione permanente 3) l'orientamento, che deve essere "educativo", cioè inteso come sintesi dello scolastico e del professionale e come attivo inserimento delle persone nelle dinamiche produttive, sociali, economiche, politiche.
Oggi operano separatamente lo Stato (e per esso il distretto) per l'orientamento scolastico e le Regioni, per l'orientamento professionale.
Per il futuro occorre realizzare una sintesi, nel rispetto dei singoli utenti, soprattutto giovani, il cui processo di maturazione e di sviluppo della personalità deve essere sostanzialmente unitario 4) l'autogestione, che suppone un mutamento reale delle attuali forme di partecipazione "pilotata", che rispettano soltanto formalmente le regole democratiche.
Il piano di formazione, invece che essere presentato a livello di distretto scolastico come pacchetto di proposte da parte dei formatori che chiedono ai loro interlocutori eventuali integrazioni, parte dalle reali esigenze dell'utenza, che si serve dell'istituzione per esprimere progetti propri.
Intorno a tali quattro punti è in corso un'appassionata ricerca che vede impegnati gli operatori più sensibili nell'ambito dei distretti scolastici e che, nel rispetto delle singole competenze, può, a mio avviso fornire motivi di riflessione anche per questo Consiglio regionale.
E' doveroso e possibile, a mio avviso, avviare un'azione di reciproca conoscenza tra i rappresentanti degli Enti, organizzazioni, gruppi, forze sociali e imprenditoriali e gli operatori scolastici, ivi comprese le componenti genitori e studenti, al fine di realizzare gradualmente, in spirito di collaborazione, la sintesi operativa delle iniziative concernenti la scuola e la formazione professionale, al di sopra di una dicotomia che per troppi anni ha pesato, e pesa tuttora, sulla nostra comunità nazionale e regionale.
Oggi esistono due possibili strategie: la congiunturale e la strutturale. La prima consiste nella capacità di risposta alla domanda formativa che viene presentata da specifiche utenze tramite progetti limitati nello spazio e nel tempo. La seconda, cioè quella strutturale, fa riferimento all'insieme della popolazione, dei giovani in particolare senza limiti territoriali o temporali, in risposta a bisogni permanenti. Le due strategie non soltanto non si escludono a vicenda, ma possono costituire due approcci di integrazione poiché, da un lato, la strategia congiunturale si dimostra più incisiva e produttiva in quanto più vicina a problemi reali, e, dall'altro, la strategia strutturale inquadra nel generale il particolare e si allarga nella dimensione prospettica.
E', in fondo, il tipo di rapporto che deve esistere tra il potere centrale, che ha il compito di coordinare e di promuovere le iniziative, e il potere decentrato che opera direttamente a contatto con le popolazioni.
Se la strategia congiunturale e il decentramento degenerano constatiamo la presenza di attività formative generiche e inutili che hanno come unico obiettivo l'occupazione del personale docente e trascurano, di fatto, il raggiungimento di esiti formativi a vantaggio degli utenti; se risulta assente la strategia strutturale, abbiamo la dispersione dei mezzi finanziari in tanti rivoli insignificanti, l'affermazione di "clientele" la burocratizzazione dei servizi.
Gravi responsabilità pesano su di noi. Occorre comunque saper scegliere e decidere di conseguenza, ponendo al centro dell'attenzione l'interesse vero di coloro che, fra i cittadini piemontesi, sono i più deboli, e anche i più indifesi, per età o estrazione sociale o condizioni particolari.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PAGANELLI



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Ferrero. Ne ha facoltà.



FERRERO Giovanni

E' doveroso, per chi ha presieduto la Commissione durante i lunghi lavori, ringraziare innanzitutto i Consiglieri e gli stessi funzionari dell'Assessorato all'istruzione che hanno contribuito alla discussione ma anche alla formazione di una opinione per chi, come me, di formazione professionale non aveva e continua a non avere una conoscenza completa e adeguata alla delicatezza della materia.
Il ringraziamento che rivolgo non è soltanto per la maggiore conoscenza che sono riuscito a farmi dei meccanismi specifici, delle questioni tecniche, della situazione concreta della formazione professionale, ma è per il contributo di portata generale che vede proprio nella formazione professionale uno dei terreni più interessanti e più stimolanti sui quali misurarsi. Infatti la formazione professionale non è tanto una materia a s stante o una brutta copia della scuola di Stato, ma è un insieme di politiche formative che essendo strettamente connesse alle politiche del lavoro, attraversano in modo unitario le attività di programmazione, di gestione, le attività economiche che una società è in grado di produrre. Ne conseguono conseguenze operative rilevanti nel rapporto tra formazione professionale e scuola pubblica, nel ruolo che la programmazione pubblica può giocare come parte di un generale processo in rapporto con la comunità ha anche delle conseguenze rilevanti per quello che riguarda il coordinamento interno tra le materie. L'estensione della formazione professionale al di fuori dell'ambito della vecchia scuola è una attività che probabilmente la stessa Università non può completamente compiere. In Commissione si citava la convenzione unica nazionale per la medicina generica che riconosce una funzione di formazione e di aggiornamento professionale agli Enti pubblici per persone laureate che a volte hanno addirittura conseguito una specialità dopo la laurea. L'aggiornamento della formazione professionale è finalizzato agli sbocchi lavorativi o al miglior inserimento degli sbocchi lavorativi ai diversi livelli iniziali da parte dei lavoratori interessati. Da parte di ciascuno di noi deve essere riconosciuta la strada fatta nel dibattito culturale nell'acquisire, nel comprendere e in qualche misura anche nell'omogeneizzare, nel rendere almeno confrontabile e non incompatibile il problema dell'inserimento dell'uomo nelle interrelazioni economiche e sociali, nel rifiuto di un determinismo che riconosce soltanto nella produzione di merci l'elemento decisivo del progresso di una società, nella critica positiva, costruttiva ma ferma, nei confronti degli elementi dominanti che hanno caratterizzato lo sviluppo di larghe aree dei cosiddetti paesi sviluppati. E badate che l'implicazione di queste affermazioni è di larga portata perché comporta con sé la rinuncia alle nostalgie del passato, comporta con sé la rinuncia all'invocazione di una restrizione nel campo di applicazione della cultura e delle trasformazioni economiche e sociali, porta con sé uno sforzo verso il futuro che non fa, nel permanere di alcuni elementi soprattutto indotti dalla dinamica di mercato all'interno della nostra società, degli elementi irrinunciabili e di valore assoluto. Sono state ricordate molte accezioni del termine "pluralismo" sul quale rimane ancora una differenza di opinioni, perché la parola "pluralismo" può anche essere usata da una multinazionale nel momento in cui vuole difendere il suo diritto di fare il bello e il brutto tempo (questo è stato sostenuto dal Presidente dell'International Telephone e Telegraph Company nei confronti dei paesi americani). E' chiaro che la parola "pluralismo" può essere caricata di valenze diverse, ma, certo, strada in avanti se ne è fatta. Noi abbiamo un patrimonio culturale, scientifico che intendiamo difendere, e non siamo disposti a qualunque operazione di confusione, di rifiuto di una concezione schematica e in qualche misura infantile di una contrapposizione solo tra due classi.
La concezione dell'articolarsi in classi (il discorso di Gramsci non casualmente era legato ai problemi della scolarità), il complesso di ceti di gruppi che sono portatori di interessi con una loro autonomia e con una loro dialettica, il rapporto tra la socialità e la professionalità, il socializzarsi sempre crescente del processo produttivo, l'impossibilità di considerare elemento centrale del processo produttivo un solo settore, e magari all'interno di un solo settore, un solo punto, un solo tipo di prodotto (le aziende ormai non sono rivolte al prodotto, ma al mercato) questa socializzazione sempre più alta, questa integrazione dei processi produttivi non sono nient'altro che la base strutturale su cui si manifesta un reale pluralismo di carattere economico, sociale, produttivo; pluralismo di qualità e di capacità del processo produttivo.
E' chiaro che esistono delle differenze.
Forse il mio può sembrare un discorso inutile e lontano dalla legge in discussione, ma cercherò di arrivare rapidamente anche a questa legge.
Chiunque si misuri nei problemi a questo livello e non sia convinto che il destino della qualità della formazione professionale, e in generale di un paese, si possa risolvere con espedienti, con mezzucci, con norme amministrative, con il cambiamento di una circolare, seppure sono atti doverosi, fa lo sforzo di costruire qualche cosa che sia un sistema, pu essere una parola ambigua e scivolosa come una buccia di banana, diciamo allora un insieme di proposizioni che siano tra di loro dignitosamente collegate, coerenti, che non sia la riproduzione di quello che gli umoristi dell'800 descrivevano sulla discussione della politica internazionale nel retro bottega del caffè o del farmacista di provincia.
E' chiaro che il tentare di rendere coerenti queste cose porta con s una sorta di "ambizione di egemonia". E' certo che quando si arriva a interrelare e a costruire un sistema ci si sforza con l'analisi scientifica prima ancora che con la lotta politica di far sì che l'insieme delle valutazioni sia il più rigoroso, il più esteso, il più coerente, il più compatto possibile; quindi esiste il problema di misurarci e di vedere nella concretezza, nell'operatività quali sono le formulazioni che, come dicevo prima, hanno punti in comune, ma hanno anche delle differenze.
Perché questa è l'unica sorta di verifica che discussioni di questo livello possono avere; non è soltanto una verifica logica quella che si chiede a chi si occupa della politica e dello sviluppo di una società, è anche una verifica pratica per i cambiamenti che questa introduce.
Da queste considerazioni che ho voluto fare e che per parte mia potrei anche difendere e sostanziare con argomenti di merito nell'analisi di questa società e degli attuali rapporti di forza, è nata nella Commissione l'opportunità di considerare con interesse delle formulazioni che sono sicuramente espresse con elementi di carattere linguistico e anche di scelta di vocabolario estranea a quella che può essere o la cultura di chi ha una formazione diversa dagli estensori o dall'ambiente culturale a cui ci si può riferire, ma che hanno comunque una loro dignità e una loro importanza. Queste formulazioni infatti sono state discusse, cambiate, e permangono i dissensi nel modo con cui sono state cambiate; si considera che certi cambiamenti abbiano un elemento e un aspetto come dire lesivo della dignità culturale di quella proposta. Mi sentirei di sostenere che non è così, che in entrambi i versanti si è fatta un'operazione che si riferiva a quell'ambito di problemi che non si risolve in una legge regionale, che quindi non si può pensare trovi nei primi articoli una soluzione; sarà una soluzione in qualche misura oscillante, non del tutto coerente, ma che è comunque un avvicinamento e uno sforzo di arrivare a dei risultati. Non tocca a me, in questa sede, vedere se ulteriori emendamenti in un senso o nell'altro possono migliorare o peggiorare quella parte. Ma non è una questione irrilevante. Su questo si innesta invece una polemica molto tranquilla come c'è stata in Commissione con gli interlocutori principali.
Non c'è dubbio che c'è qualche tendenza alla idealizzazione, da una parte, e alla concretezza un po' sbrigativa dall'altra. La costruzione di una tenaglia pericolosa esiste nelle cose, prima ancora che nelle formulazioni; e per stringerla sono necessari tutti e due i rami; è la presenza di questi due elementi che ha un effetto negativo. Tra una affermazione di principi molto nobili e la difesa all'osso non dinamica di tutto quello che c'è e che deve essere conservato, nasce l'elemento centrale di debolezza dello Stato.
Esiste una vecchia polemica contro i cattolici e contro i marxisti. Si potrebbe anche ritorcere contro gli stessi laici di essere nemici dello stato moderno. Esistono delle aree nel nostro paese che vengono organizzate per fare la lotta contro la convivenza civile: sono molti i modi, non c'è soltanto quello attuale del terrorismo, ma ci sono delle tradizioni, delle storie e delle culture. Ma non è questa la polemica di cui noi discutiamo.
Questa tenaglia alla realizzazione e alla concretezza, all'alternarsi quindi di grandi speranze, grandi affermazioni, il permanere di cose non accettabili sono l'elemento centrale che caratterizza questa legge. Ebbene questo tipo di cose sono uno strumento che ha efficacia di riorganizzazione, di programmazione, di cambiamento? Questo è il problema ed è su questo problema che probabilmente vi sono delle differenze.
Ma ci sono altre differenze sulle quali insisterò di più perché in Commissione abbiamo avuto meno occasioni per discuterne.
Non vorremmo che tutta questa concezione dinamica, questa idea del pluralismo, questo sforzo fosse una riproposizione di una sorta di nuova ontologia. Siccome un essere lo abbiamo definito perfetto, siccome l'esistenza è un attributo della perfezione, allora è chiaro che deve esistere. Non vorremmo che ci si chiedesse, in nome del pluralismo, di non usare degli argomenti di polemica e di discussione culturale perché in questo caso saremmo lesivi dell'autonomia e della dignità dell'interlocutore; ma, nello stesso tempo, ci si venisse a dire che siccome l'interlocutore ha una ambizione e una volontà di totalità perch il destino dell'uomo è unitario e totale, noi non possiamo fare altro che fare dei passi indietro continuamente - passatemi il termine figurato cioè considerare che qualunque cosa, da qualsiasi parte venga, abbia già al suo interno un elemento non discutibile.
Esiste un rischio che frenerebbe sul discorso del pluralismo; esiste il rischio che si chieda in sostanza di applicare una teoria non simmetrica che vale in un senso per definizione e che non vale nell'altro perché suona brutalità.
Ma non è questo il punto. L'ho solo voluto enunciare per dire che di strada se n'è fatta tanta e non vorrei che sembrasse che si facciano chissà quali accordi o quali intese semplici. Il punto centrale è: come garantisce questa legge una operatività al sistema della formazione professionale produttiva e propulsiva? Alla fine della legislatura passata i Comprensori sono stati uno degli elementi di grande convergenza e di elaborazione comune da parte delle forze politiche. Non rinneghiamo il significato che hanno i Comitati comprensoriali, seminai non siamo d'accordo su un insieme di provvedimenti che vengono avanti da altre forze politiche a livello nazionale, le quali decidono che tutta questa esperienza deve essere in qualche misura ignorata. Noi li difendiamo, però, detto in modo scherzoso siamo anche i difensori del pasto quotidiano, condizione fisiologica indispensabile, ma non si può sostenere che il moltiplicarsi dei pasti quotidiani migliori l'attività di formazione professionale! Allora una maggiore e più accentuata difesa dei Comitati comprensoriali nel meccanismo istituzionale della legge non produrrebbe di per sé un miglioramento dell'attività di formazione professionale; questo punto molto delicato va dimostrato dalle attuali difficoltà dei Comitati comprensoriali. Ho qualche dubbio che si possa sviluppare la difesa dei Comitati comprensoriali attraverso l'affiancarsi, il coincidere, l'intrecciarsi a livello comprensoriale di organi gestionali, di amministrazione. E' una vecchia polemica. Sono andato a rivedermi il problema sui Circondari, le Province e i Comprensori e su un certo disegno sul quale ci sono ancora oggi delle differenze di opinione, ma non credo che il problema possa essere risolto dicendo semplicemente che se nell'ambito dei Comitati comprensoriali si creassero organismi di controllo degli Enti locali avremmo sviluppato l'accordo politico sostanziale sulla costituzione dei Comprensori. A mio avviso, avremmo realizzato un Ente intermedio amministrativo autorevole, ma anche autoritario, capace di essere nei confronti dei Comuni e della Regione il rilancio delle strutture decentrate dello Stato, quindi dell'impostazione sostanzialmente di decentramento amministrativo che è stato uno dei pilastri dell'organizzazione di interi settori del Ministero degli interni, del Ministero della sanità che la stessa costituzione delle Regioni ha già rotto. Non vorrei che per questo potenziamento ci trovassimo ad aver compiuto un cerchio che porta parecchio più indietro e non è detto che non si richiuda alle spalle di dove è partito. I Consorzi saranno così impegnati nella gestione delle Unità Locali dei Servizi sulle materie della legge 833 e del D.P.R. 616 (911 miliardi per la sanità oltre l'assistenza oltre le IPAB) che difficilmente potranno occuparsi di altro. Allora mi chiedo chi si occuperà della formazione professionale? Nessuno.
Il problema sostanziale è che la forza politica e amministrativa di un Ente non è sufficiente per confrontarsi con una pluralità di problemi. O noi diciamo che nel settore della sanità e dell'assistenza devono essere impegnate energie politiche capaci, e questo sarà un problema dei partiti con le elezioni del 1980, o impegniamo gente in qualche misura marginale.
Ma se mettiamo della gente capace, voglio sapere qual è la fabbrica che troverà la gente capace per la formazione professionale.
Non credo che un Consiglio regionale per il solo fatto di avere persone che hanno competenze, formazioni e rapporti sociali diversi non possa essere nel suo complesso soggetto di legislazione di molte materie differenti, che si debba fare un Consiglio regionale per la sanità, uno per l'assistenza, uno per la formazione professionale. Siamo anche un pochino umili: non è detto che per il fatto di sedere qui si è sicuramente migliori di certi Sindaci, di certi Assessori, di certi dirigenti di forze sociali sindacali, di partito ecc.
Ma c'è un'altra obiezione a cui bisogna rispondere non tanto nei confronti dei giornali quanto di fronte a questa assemblea: non bastano alcune decine di membri nelle Unità locali. Però, nel caso delle Province basta mezza persona! Facciamo un ragionamento tecnico in termini di anni-uomo come si usa nell'industria. Non credo che ci siano più di sei mesi all'anno di un Assessore provinciale alla cultura e all'istruzione visto che dovrà costruire le scuole, che dovrà occuparsi della manutenzione ecc. Rimane una mezza persona. Allora mezza persona è eccezionale! Va bene. Un altro Ente ad hoc va bene, mentre quell'Ente lì non va bene.
Ho colto dai discorsi fatti elementi molto positivi che credo si mantengano anche nella discussione delle prossime leggi. Ho sentito dire che la sanità e l'assistenza sono sostanzialmente una materia che ha interesse e rilevanza locale. Vorrà dire che non avremo più discussioni da fare come abbiamo fatto negli anni passati sulla destinazione delle IPAB degli ospedali, delle strutture maggiori e che quindi per la Regione Piemonte il problema della necessità di introdurre degli ambiti, dei territori tra di loro non coerenti sarà effettivamente fugato. Di questo non si può che prendere atto in senso positivo.
E' stata svolta una terza considerazione. Cercherò poi di illustrare il senso della legge. La programmazione è compito della Regione. Se dovessimo porre mano alla revisione dei meccanismi e delle procedure della programmazione ripeterei e ridirei le cose che sono state dette in quest'aula dal partito di maggioranza che ha lavorato su quella legge. Non vorrei che da una parte si dica che la programmazione è una materia che vive nell'empireo, che non ha attinenza con gli atti amministrativi concreti che avvengono sulla base delle materie, delle funzioni, dei territori ecc. La programmazione è un insieme di documenti, è una volontà politica. Secondo me la differenza tra una struttura programmata e una struttura non programmata è che si possa a priori e a posteriori, sulla base di criteri espliciti e chiari, rilevare come il complesso degli atti di qualunque natura che l'Ente compie sono, nella misura del possibile e con la gradualità possibile, uniformemente volti al conseguimento delle finalità e sono documentabili sulla base di quelle finalità.
Quindi è molto difficile che la programmazione possa essere una funzione della Regione. La programmazione è un modo di governare la cosa pubblica, dovrebbe far finire le polemiche fra gli Enti, non dovrebbe fare sorgere questioni di competenza, muri invalicabili, dovrebbe costituire quindi un sistema delle autonomie locali. L'idea della programmazione era legata a una sostanziale e profonda revisione nelle procedure interne di rapportarsi allo Stato.
La Regione in questo processo ha delle funzioni essenziali, una legislativa e una di alta amministrazione. Dice il Sandulli che le funzioni centrali della Regione sono quelle legislative. Vi sono delle funzioni di alta amministrazione sulla quale la distinzione di competenze tra organi interni della Regione è complessa ed è lasciata agli Statuti. E' comunque una funzione di prassi interpretativa; esistono nella Regione funzioni amministrative che, secondo quanto dice la Costituzione, sono esercitate attraverso la delega.
Si dice che gli ambiti sono troppo piccoli, e che le funzioni sono della Regione. Sulla base di questa considerazione si può dire: le funzioni sono del Consiglio regionale il quale sarà in grado con una materia legislativa di creare le condizioni perché la programmazione vada avanti.
Si risponde immediatamente: no, signori, perché non potete disciplinare i consorzi o le associazioni con una materia legislativa perché si invadono le autonomie degli altri Enti.
Ci si risponde: gli elementi di mobilità del personale sono cose che non attengono alla Regione. In certe materie la Regione non può legiferare perché manca la legge sull'Ente intermedio. In sostanza la Regione con le leggi può fare molto poco, può soltanto chiamare alla cooperazione attiva una serie di altri soggetti. Questa è la strada su cui si muove la legge.
Se non ci fosse stata già una serie di bisticci storici con il Governo, se a livello nazionale tutti i partiti avessero sostenuto una posizione analoga a quella che abbiamo sostenuto noi, per dirla "apertis verbis", non saremmo in questo fondo di imbuto un po' strettino. D'altra parte non si può dire a questa maggioranza o al Partito comunista di esserne il responsabile o il promotore o il costruttore. Non interessa sapere di chi è la colpa, però non si può ritorcere questo argomento contro chi ha sempre detto che si sarebbe finiti in queste condizioni.
La cooperazione dei soggetti è dunque la strategia che si è scelta. E si dice no. In fondo l'esecutivo ha un suo peso. E va bene. Ma poi si dice: l'esecutivo non va nemmeno tanto bene per fare la programmazione. E qui ho capito molto bene. C'è l'idea di dire che il Consiglio fa poche leggi e che possibilmente farà in futuro. La Giunta fa le circolari, ma non va bene.
Allora si fa una consulta: quella sì è la sede della programmazione perch li emergono tutte le forze sociali, le rappresentanze sindacali, le categorie che pesano e quella può davvero essere la sede in cui si realizza il dialogo con la comunità regionale.
Questo porta con sé una serie di altre conseguenze che non vorrei che venissero considerate come ritorsioni polemiche. Sono riflessioni ad alta voce. La comunità locale non può, così la Regione, così la Giunta, così la Commissione e si ricomincia da capo. Mi chiedo allora se è necessario tutto questo slancio vitale per continuare a fare questi giri. In sede di Commissione ci si mette d'accordo, possibilmente affermando che non esiste nessuna struttura pubblica decentrata in grado di dire alcunché, e che la Giunta stia bene attenta perché è l'espressione di una maggioranza, che nascono problemi delicati di pluralismo nei confronti della maggioranza.
Però, nel momento in cui la Giunta ha preso atto delle opinioni di una ipotetica consulta, altro non può fare, altrimenti viene meno la maggioranza che la sostiene, di andare in Consiglio e dire che la maggioranza vota quelle decisioni; il Consiglio altro non può fare che ignorando l'opposizione e la discussione, tradurre quella cosa in legge. Se quelle leggi sono interessanti per chi ha promosso la cosa, sono leggi operative, se non sono interessanti, sono leggi quadro.
Le leggi quadro hanno la caratteristica di essere generiche, confuse fumose, non operanti. Le leggi concrete, invece, sono quattrini. Quella è la cosa concreta.
Mi rifaccio a polemiche che ci sono state in questo Consiglio, quando si parlava di beni culturali.



CONTI Domenico

Non riesco più a seguire il discorso.



FERRERO Giovanni

Dopo tre mesi in Commissione capita che si diventa difensori della pazzia (e tornerò su Erasmo da Rotterdam che ha scritto appunto l'elogio della pazzia).



OBERTO Gianni

Non esiste più la pazzia.



FERRERO Giovanni

Sono questioni che ci dividono, Oberto, tu dici che non esiste più la pazzia.



OBERTO Gianni

Lo dice Basaglia. Non lo dico io.



FERRERO Giovanni

Certamente esiste la legge 180, che ha mandato i matti in giro ed esistono anche i carri armati russi che sicuramente arriveranno qui e saranno lo strumento di cui l'Assessore Fiorini si avvarrà per imporre nei confronti delle strutture religiose il totalitarismo leninista! Queste cose le sa dire anche un bambino ormai.
Queste sono delle prese in giro alle quali rispondo anche un pochino divertendomi. Visto che in tre mesi di Commissione non ci si è divertiti nello sforzo di arrivare ad un risultato, non perché si ritenessero noiosi i discorsi dell'interlocutore, ma perché ci si è resi conto che si giocavano delle questioni che potevano essere strumentalizzate e girate da entrambe le parti per scopi che non erano quelli di migliorare la formazione professionale, quindi ho deciso di passare tre mesi in Commissione per cercare di capire gli interventi. E' una summa teologica che ha alcuni connotati che non sono così irrilevanti per il risultato perché se tutto questo non ha un filo logico, mi si deve spiegare come mai esistono le posizioni che dicevo prima. Mi si può dire di essere confuso ma non mi si può dire di avere travisato gli argomenti che sono stati portati.
La legge 41 del '76 stabiliva che le strutture di base erano da riunificarsi in un unico ambito territoriale. Visto che il Consiglio regionale ha deciso all'unanimità che i distretti scolastici, che pur contengono le scuole medie superiori, venissero uniformati a quell'ambito territoriale, visto che si è caricato su un certo numero di Commissari costituendo la V Commissione, la materia dei servizi, visto che la formazione professionale non è solo politica dei servizi, ma è politica di carattere economico generale, visto che sulla sostanza della legge n. 39 dell'8/8/77 non ci fu un dissenso ma ci fu detto che si riteneva pericolosa per una questione di opportunità votare una legge di quel genere prima del D.P.R. 616 (che poi ha largamente riconfermata quella legge), visto che il processo dei consorzi è durato quattro anni, con gli avanti e indietro, i patimenti, le riunioni con i Comitati comprensoriali, gli sforzi, le discussioni con la Giunta, adesso mi si viene a dire che c'è qualche ragione sottile in base alla quale non è applicabile. Allora si ricominci a rovescio tutto il discorso e si dica che questo processo è una follia, e che gli Enti locali non devono avere voce in queste cose.
Quali sono le questioni politiche fondamentali da cui una qualunque maggioranza responsabile non può demordere? I consorzi sono quasi tutti costituiti tranne 12, di questi due o tre hanno problemi politici rilevanti che dovremo affrontare, gli altri hanno questioni di interpretazione e di valutazione, ma non di grande rilievo.
Allora questa cosa esiste, è piccola, è brutta, è zoppa, ma c'è.
Il resto non c'è e mancano sei mesi alla fine della legislatura.
Quali strumenti nuovi e operanti occorrono? Se esiste chi si assume di fronte alla comunità la responsabilità di costruire questi nuovi strumenti dopo che mi ha risposto alle obiezioni che facevo, sarà un piacere per me riconoscere che chi ha lavorato sulle altre cose era confuso e che invece chi si occupa di queste cose riuscirà in due mesi a realizzarle. Ma io voglio sapere chi ne risponde. In politica la prima cosa che interessa sapere è chi decide.



CONTI Domenico

Non ci sono. Voi stessi parlate di aggregazioni di consorzi.



FERRERO Giovanni

No, ma arriviamo anche a quello, Conti. Voglio arrivare alla sostanza delle cose, non sono un avvocato e non ne so di diritto. Esiste un'intesa tra tutte le forze politiche secondo la quale tutto il processo dei consorzi è stato fatto; si tratta, in consorzi già definiti, di integrare lo Statuto. Secondo me è semplicissimo; basta che ogni forza politica responsabilmente decida che si va in quel senso, si riuniscono le assemblee consortili, si fa una deliberazione, la Regione da una copertura. Ma invece l'altra strada non è identica. Bisogna riconvocare i Comitati comprensoriali, dirgli che bisogna fare queste cose, mandare le lettere ai Comuni, affrontare il problema dei piccoli Comuni che hanno il Segretario a scavalco.



ROSSI Luciano

Non sanno neppure come fare i bilanci.



FERRERO Giovanni

Appunto. Dal punto di vista pratico la nostra proposta è concretissima perché presuppone la trasformazione dell'esistente con il consenso attivo degli Enti locali interessati.



CONTI Domenico

Sono nuovi consorzi.



FERRERO Giovanni

Non ho detto nuovi consorzi. Allora voglio capire e mi aspetto i nuovi consorzi per gli ospedali, i nuovi consorzi per le mutue. Badate che su questa cosa esiste davvero una distinzione politica, irrinunciabile; è la tenaglia di cui parlavo prima: tanta dinamica, tanta dialettica, tanti progressi e tanto pluralismo, però quando si va a toccare la questione delle mutue, lì non si tocca niente. Sono questioni di potere, sono questioni di direttori, di correnti della D.C., sono soldi, sono uffici tributi, sono organizzazioni sindacali, lì non si tocca più. Credo che questo sia un problema di cui discuteremo quando si parlerà di sanità. Io voglio solo capire se il personale dalle amministrazioni mutualistiche passa o non passa alle Unità Locali dei Servizi; se si fa l'INAM unica e tutto il processo di riforma torna in una concezione verticistica oppure se i Comuni ci mettono le mani. Io voglio sapere queste cose. E la stessa cosa voglio sapere sulla formazione professionale. E' una cosa sconvolgentemente miserabile, e io quella cosa, che nessuno enuncia mai, non la voglio proprio. Quelle sono questioni che non toccano il pluralismo e la formazione professionale, quelle sono cose che riguardano la possibilità o meno della gente quando vota di far sì che i suoi rappresentanti abbiano o non abbiano potere nei confronti dello Stato.
Si dice che qui si divaga. Ma certo che si divaga. Voglio capire perch nei convegni dei giuristi si dice che ai dipendenti normali degli Enti locali e dello Stato si applica la contrattazione fino ai livelli dirigenziali e che ai livelli dirigenziali non si applica più la contrattazione sindacale. Voglio capire se tutto questo lo dirigono gli Enti locali, o l'elezione della gente o un sistema parallelo e incontrollato.
La soluzione nostra richiede una piccola modifica di statuto, che pu essere deliberata a tempi rapidissimi e che nascerebbe in forza di una legge regionale, mentre le altre soluzioni richiedono di ricominciare la strada da capo.
La nostra soluzione prevede che per le materie nelle quali si ritiene che l'ambito delle Unità Locali sia troppo piccolo, ci siano delle integrazioni. Riteniamo questo ragionevole. Non vogliamo imporre agli altri in modo ideologico una certa convinzione. Se nella pratica si verificherà che gli ambiti devono essere più ampi, si facciano gli ambiti più ampi finché la concretezza del problema richiederà di farli.
L'articolato contiene questi due elementi: il riconoscimento della trasformazione di quanto esiste in termini, prima ancora che giuridici sostanziali e politici; la trasformazione in ambiti più ampi sulla base della volontà delle comunità locali, su problemi concreti e non su questioni ideologiche; ma contiene anche che il meccanismo di delega avviene gradualmente (e forse questa parte bisognerà specificarla meglio) avviene entro cinque anni e sulla base di una serie di atti che la Regione continua a fare per rendere delegabili queste cose. Una situazione del genere potrebbe essere criticata dicendo che non delega niente.



ROSSI Luciano

I cinque anni mi rendono infatti perplesso.



FERRERO Giovanni

Appunto. Il meccanismo è fatto in un modo tale che si salvano i principi. C'è una gradualità, c'è tutto il ruolo della Regione, c'è la possibilità di definire ambiti diversi, quindi riconosce all'argomentazione qui condotta una sua validità. Quello che non si accetta è di imboccare un'altra strada. Il D.P.R. 616, gli accordi tra le forze politiche e tutto il lavoro che è stato fatto vanno nella direzione di affrontare la situazione di generale insufficienza degli Enti locali, nella situazione di grave fallimento degli apparati centrali dello Stato, nel garantire le condizioni di funzionamento dei servizi, come discorso di rivitalizzazione delle autonomie locali e dei Comuni in particolar modo, attraverso forme associate che avranno per intanto il significato di responsabilizzare e di rendere più concreta la nostra stessa politica, che avranno la funzione di rendere più ricca e più forte l'articolazione istituzionale e politica dello Stato. Riteniamo che questa strada debba ancora essere percorsa.
Tutto questo si applica anche al personale della formazione professionale. Forse in altre assemblee elettive si sarà più espliciti di quanto non si è stati in questa sede da parte di altri partiti. Le posizioni non possono essere confuse con l'accettazione in altre sedi di soluzioni che noi non condividiamo. Mi riferisco ai problemi complessi della definizione dei ruoli, del meccanismo dei ruoli regionali, degli elenchi, delle integrazioni, del riconoscimento delle funzioni svolte da persone che magari non hanno l'inquadramento corretto, dei problemi che sono ereditati dei quali la collega Marchiaro nella relazione ha ampiamente parlato. Non sarà una strada facile quella delle norme transitorie di primo inquadramento.
In coerenza con quanto ho detto, deve essere affermato il principio che da parte degli Enti esiste la piena e autonoma possibilità di decidere in merito ai personale che da essi dipende. Non è possibile, quindi, invadere o costringere Enti che hanno una loro autonomia a inserire, a modificare, a togliere, a discriminare. Esiste una dissimmetria del pluralismo. Si dà per scontato che un Ente privato possa e debba scegliere chi vuole; un En te pubblico, neppure attraverso le procedure proprie del regolamento, pu esercitare una discrezionalità pubblica palese e motivata, non un altro tipo di discrezionalità interna, arbitraria, ricattatoria. In sostanza si chiede di tenere in grande considerazione l'importanza che il personale ha nel caratterizzare la qualità didattica e organizzativa di un Ente, ma nello stesso tempo si chiede di non applicare lo stesso principio per quello che riguarda le questioni pubbliche.
Questa è una norma sulla quale bisognerebbe riflettere con attenzione.
Posso documentare con nomi e fatti, anche se, mi pare esiste una norma che permette ai Consiglieri di esprimere liberamente in un'assemblea legislativa, al di là di ciò che può essere giudizialmente provato.
Potrebbero aprirsi discussioni davvero delicate. La polemica non è rivolta all'intervento del Consigliere Conti, seminai ad una interpretazione mia sbagliata, di un emendamento scritto che avevo letto.
A mio avviso, l'articolato e le proposte che hanno preceduto la discussione non vanno interpretati come tentativo per far sì che in questa sede, impropriamente, si decida qualcosa per altri Enti.
Questo è il punto fondamentale.
L'applicazione della legge è un altro discorso. Si tratta di vedere se quell'articolo è addirittura applicabile. Pareri di giuristi dicono che la legge regionale di delega non è applicabile in toto, ma ora non sono in grado di scendere su questo terreno con argomentazioni sufficientemente motivate.
Esiste un problema che attiene non tanto alle questioni sindacali, ai diritti acquisiti dal personale, alla sua migliore utilizzazione, argomenti sui quali questa maggioranza è sempre disposta a discutere, ma che attengono al peso che le preesistenze possono e debbono avere, nel caso specifico il Comune di Torino e altri Enti. In questo senso non c'era nessun intento polemico da parte mia. Mi pare però che ci sia una lettura diversa dal testo presentato in Commissione e che si intenda diversamente lo stesso italiano. Tutto il discorso istituzionale che ho fatto e la preminenza che ho dato alla delega e alle funzioni degli Enti locali secondo me, dovrebbero escludere interpretazioni che vedano delle invasioni da parte della Regione nell'autonomia degli Enti.
In ultimo, preferirei non dover riscrivere la legge, come è stato chiesto. Non vorrei che l'elogio che mi è stato fatto di essere paziente come Erasmo da Rotterdam sia inteso nel senso che io e qualche altro commissario abbiamo fatto con la nostra attività l'elogio della pazzia. Si potrebbe anche essere su quella strada dopo mesi di lavoro su cose che non hanno peso e che non hanno rilevanza.
Vorrei aggiungere che è difficile concordare, discutere e accogliere emendamenti da parte di chi fisicamente non è presente perché su certe questioni si discute oggi anche perché a luglio, a settembre e a ottobre non siamo riusciti concretamente a prendere atto di queste cose. Quindi non vorrei che si potesse dare per scontato che nei confronti di chi ha fatto quel lavoro si possa usare un tono sprezzante che garantisce il voto negativo. Se si deve discutere per arrivare ad un accordo e se i portavoce degli interlocutori non sono nemmeno in grado di assicurare la presenza, è meglio discutere direttamente con gli interlocutori.



PRESIDENTE

Data l'ora tarda, il dibattito viene rinviato al pomeriggio.
I lavori sono sospesi e riprenderanno alle ore 15. La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 13.00)



(La seduta ha termine alle ore 13.00)



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