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Dettaglio seduta n.245 del 26/02/79 - Legislatura n. II - Sedute dal 16 giugno 1975 al 8 giugno 1980

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SANLORENZO



PRESIDENTE

La seduta è aperta.


Argomento:

Comunicazioni del Presidente


PRESIDENTE

a) Congedi



PRESIDENTE

Sono in congedo i Consiglieri: Bellomo, Beltrami, Fonio, Oberto, Picco e Chiabrando.



PRESIDENTE

b) Presentazione progetti di legge



PRESIDENTE

Sono stati presentati i seguenti progetti di legge: N. 389: "Disciplina del trattamento domiciliare dei pazienti emofilici", presentato dalla Giunta regionale in data 20 febbraio 1979.
N. 390: "Incentivazione all'adozione di tecnologie destinate all'utilizzazione di energie rinnovabili ed alla più razionale utilizzazione delle energie tradizionali", presentato dal Consigliere Marchini.
N. 391: "Disciplina delle attività di formazione professionale" presentato dalla Giunta regionale in data 22 febbraio 1979.



PRESIDENTE

c) Trasmissione ai Consiglieri regionali di un elenco di consulenze ed incarichi



PRESIDENTE

In attuazione dell'art. 7 primo comma, della legge regionale 6.11.1978 n. 65, il Presidente della Giunta ha fatto pervenire l'elenco delle deliberazioni adottate dalla Giunta regionale nelle sedute del 30/1 8/2 e 13/2/79 concernenti il conferimento delle consulenze e degli incarichi.
Tale elenco verrà al più presto trasmesso ai Consiglieri regionali.
Le comunicazioni del Presidente sono così esaurite.


Argomento: Assestamento di bilancio

Esame progetto di legge n. 371 "Bilancio di previsione per l'esercizio 1979"


PRESIDENTE

Esame progetto di legge n. 371: "Bilancio di previsione per l'esercizio 1979".
Relazione il Presidente della I Commissione, Consigliere Rossotto.



ROSSOTTO Carlo Felice, relatore

Signor Presidente, Colleghi Consiglieri, la relazione che è stata distribuita nella mattinata di venerdì ai Gruppi è molto sintetica.
Esistono presso la I Commissione due testi con gli elementi di valutazione sull'iter delle consultazioni, predisposti dal funzionario, i quali sono a disposizione di tutta la realtà regionale.
Il presente bilancio va valutato con attenta conoscenza dei problemi del nostro Piemonte, senza alcuna emozione, per le tensioni internazionali e nazionali, in cui cogliamo con animo sofferto ogni implicazione di gravissima pericolosità venga a distogliere il nostro impegno intellettuale, etico e operativo per rispondere meglio di quanto sapemmo e potemmo fare nel passato alle puntuali, attente valutazioni critiche, ai suggerimenti che attraverso la complessa, dinamica, non rituale consultazione che la I Commissione ha avuto con i Comitati comprensoriali le Associazioni socio-economiche, gli Istituti di eredito e l'Associazione dei Comuni sono state recepite.
Il ritmo di lavoro della Commissione, l'impegno dei suoi membri, la dedizione dei suoi funzionari, l'ampiezza del rapporto avuto (oltre 130 ore di consultazione effettiva), il modo stesso dell'articolazione degli incontri hanno dimostrato come, per uomini liberi che vogliono convivere con regole democratiche, sia possibile fare coincidere pluralismo democrazia e partecipazione con l'efficienza.
Il bilancio di previsione '79, attualmente al nostro esame, è la prima traduzione operativa della legge di contabilità regionale, con conseguenti diverse caratterizzazioni sia sotto l'aspetto contabile, finanziario ed economico e può, in stretta lettura con la "Relazione sullo stato di attuazione del programma pluriennale di attività e spesa 1977/ 1978", quale prevista dall'art. 20 della legge 19/8/77 n. 43, essere anche la prima verifica di quel processo dinamico che ha voluto essere ed è il nostro Piano di sviluppo.
Credo sia opportuno, per una più attenta conoscenza, sia nostra, sia dei soggetti operanti nella realtà regionale, richiamare succintamente le novità insite da un bilancio così costruito: 1) La previsione di cassa deve essere determinata, per ogni capitolo di bilancio, in misura non superiore al totale delle somme di cui, sia per i residui passivi, sia per la competenza, è previsto il reale pagamento.
2) L'impegno di spesa è determinato dalle somme dovute per legge contratto od altro titolo, sempreché la relativa obbligazione venga a scadenza entro il termine dell'esercizio stesso.
3) Il principio, sancito dall'art. 65 della legge di contabilità regionale, per cui le somme iscritte nel conto dei residui passivi possono esservi conservate per un periodo non superiore a due anni successivi a quello in cui venne perfezionato il relativo impegno.
Ne consegue che il bilancio 1979 presenta una previsione di cassa determinata, oltre che dagli stanziamenti di competenza e dal relativo residuo passivo, da un adeguamento di tale somma matematica alle reali capacità di spesa nell'esercizio.
Dire che tale obiettivo sia stato conseguito con lo strumento ora in approvazione sarebbe grave mistificazione: mancano conoscenze, preparazione onde ciò si realizzi, anche perché, come tutte le novità, il funzionamento a regime di un tale processo può avvenire solo per gradi. E' doveroso per affermare che la Giunta, nella sua articolata collegialità assessorile, ha già operato con complesse elaborazioni onde stabilire le somme che dovranno essere pagate nel corso dell'esercizio, cercando di tenere conto, per quanto riguarda la competenza, quanta parte effettiva degli stanziamenti può tradursi in impegni di spesa che possano così trasformarsi in opere e servizi e, con riguardo alla gestione dei residui passivi formatisi nei due esercizi precedenti, quanti di loro possano in concreto essere pagati.
E' una previsione non facile, che coinvolge anche conoscenze di capacità e di volontà altrui, cioè dei reali soggetti degli interventi, ma che, specie con il concorso partecipativo più ampio possibile, può trovare un più efficace e ulteriore adeguamento alla realtà, nella fase di assestamento del bilancio da effettuarsi per legge entro il 30 giugno di ogni esercizio.
Per desiderio comune di tutti i consultati e dei Consiglieri operanti nella I Commissione si sottolinea qui l'importanza che tale opera sia avviata in concreto dall'Assessorato al bilancio in tempi compatibili con la necessaria successiva discussione, critica e ricerca di conoscenze che deve essere consentita al Consiglio regionale ed alla comunità regionale nel suo complesso per colmare anche alcune carenze informative e partecipative in oggi ancora esistenti.
Vorrei che il Presidente della Giunta assumesse a suo carico le implicazioni politiche di questo elemento, perché non abbiano a verificarsi, nell'ambito della consultazione sulla legge di assestamento ritmi ristretti che impediscano di trasformare in atti positivi il complesso meccanismo che abbiamo avviato ed in cui crediamo.
Con questo bilancio si è data soluzione al problema relativo a quei residui passivi, prodottisi su finanziamenti prodotti da risorse regionali che si sono formati negli esercizi dal 1972 al 1976 compreso, e che sono ormai relativi ad effettivi impegni di spesa, non adempiuti per una serie molteplice di fattori tra cui è difficile rilevare responsabilità dirette della macchina regionale.
Questi residui, per non essere mandati in economia, sono stati riciclati o rivitalizzati con atto legislativo pregresso, non già riunendoli in un unico capitolo, che in sostanza avrebbe stravolto la natura stessa del bilancio: risultano ora invece reimpostati in appositi capitoli della competenza 1979/1980, a seconda della previsione dell'epoca dell'effettiva relativa spesa.
Identica soluzione hanno avuto i residui, corrispondenti a somme iscritte nei bilanci dei cinque anni sopra considerati, quale utilizzo di fondi statali con vincoli di destinazione; essi sono stati reimpostati in appositi capitoli della competenza 1979 ai sensi dell'art. 65, terzo comma della legge di contabilità regionale, che subordina l'eliminazione di questo tipo di residui passivi alla loro iscrizione nel bilancio del successivo anno finanziario. L'inserimento dei due suddetti tipi di residui, che trovano finanziamento nelle risorse regionali o in apposite assegnazioni statali, ha comportato l'iscrizione a bilancio di somme rispettivamente dell' ammontare di 74 miliardi, circa e di 36 miliardi circa. Infine si è incrementato con oltre 2 miliardi il capitolo "Spese per i residui perenti agli effetti amministrativi reclamali dai creditori" allo scopo di consentire anche il recupero di quei residui passivi non interessati dai due meccanismi contabili citati.
Tutto ciò evidentemente altera la portata del bilancio di previsione dell'esercizio 1979, trattandosi dell'iscrizione di stanziamenti già interamente impegnati, e non di nuove risorse disponibili per la realizzazione del programma pluriennale di attività e di spesa.
Per avere un'esatta cognizione della portata del bilancio di previsione dell'esercizio 1979, e per poter giudicare sulla maggiore o minore disponibilità, da parte della Regione, di risorse da destinare all'attuazione del suddetto programma, occorrerebbe esaminare più dettagliatamente le entrate regionali nelle loro diverse componenti, ma il disaggregato modo di agire del Governo centrale, con cui vengono trasferite risorse, renderebbe ciò forse superato, così come le successive variazioni effettuate dalla Giunta dimostrano.
Non si possono inoltre dimenticare le conseguenze sul bilancio regionale della legge finanziaria 842/78 che all'articolo 2 prevede che entro 30 giorni dalla sua entrata in vigore "sarà provveduto alla determinazione ed alla ripartizione delle somme da destinare al finanziamento delle funzioni già di competenza regionale, e attribuite ai Comuni dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 616/77": questa ripartizione deve avvenire sulla base del trasferimento dalla Regione ai Comuni dei fondi impegnati nell'esercizio 1978, per le funzioni di assistenza sociale e scolastica. Essa comporta automaticamente una riduzione della quota di partecipazione della Regione al Fondo comune di 24 miliardi circa, con un ulteriore riduzione delle risorse disponibili a 487 miliardi circa.
E' questo un provvedimento che sarebbe errore considerare come ulteriore dimostrazione della tendenza del Governo centrale volta a limitare l'autonomia finanziaria delle Regioni, ma che non può creare preoccupazione per il rischio in essa insito di compromettere lo sforzo di programmazione del loro stesso sviluppo e che la nostra Regione, proprio ai fini nell'attuazione di una politica di programmazione, aveva utilizzato con integrazione dei fondi di assegnazione statale con vincolo di destinazione, con risorse di cui la Regione poteva disporre a propria discrezione.
E' evidente che, in questi settori, gli obiettivi posti dal Piano regionale di sviluppo saranno raggiungibili con maggiori difficoltà, data la carenza finanziaria e strutturale dei Comuni destinati a svolgere queste funzioni. In un'ottica secondo la quale la politica regionale deve crescere, come momento essenzialmente legislativo e di supporto programmatorio, assicurando ai Comuni ogni possibile aiuto per la razionalizzazione dei loro servizi, nel superamento di ostacoli legati a logiche di campanile, occorre cogliere l'aspetto positivo e lottare contro quello negativo.
Si deve su questa materia, grosso nodo politico, effettuare un chiaro richiamo al senso di responsabilità di tutte le forze politiche che hanno dato vita all'attività di questa Regione e cercare insieme di costruire il rapporto più corretto.
Tutto ciò appare tanto più necessario nel momento in cui il sistema delle autonomie si appresta a dover gestire una realtà sempre più impegnativa che lo deve vedere sempre più protagonista, pur nell'interno di rilevanti difficoltà che non possono risolversi solo con un atto di fede o di speranza.
Pare al riguardo opportuno riproporre qui il problema del rapporto tra Stato, Regione e Comuni, in una realtà che tende per alcune scelte attuali (382 - 616, riforma sanitaria, ecc.) a ribadire la centralità del Comune ed a ricreare diretti rapporti tra Stato e Comuni. Questa situazione da valutare realisticamente e senza sterili polemiche, che portino a considerare punitiva per le Regioni la valorizzazione del livello comunale pone l'esigenza di una ripresa da parte regionale del proprio ruolo quale organo autonomo, decentrato e rappresentativo, nell'ambito della propria potestà legislativa, in una visione ampia del sistema delle autonomie. Il recupero del ruolo centrale del momento regionale appare indispensabile per quanto detto ed anche quale elemento di garanzia democratica e di forte saldatura o cerniera nel sistema delle stesse autonomie locali.
Ciò comporta ad esempio essenzialmente un diverso atteggiamento delle Regioni nei confronti del piano triennale, per superare quella contrapposizione che si va delineando tra Regioni da una parte, Comuni Province e Governo centrale dall'altra ed ottenere invece dallo Stato il finanziamento autonomo dei Piani regionali di sviluppo e non attraverso quegli interventi settoriali finora tanto deprecati: di ciò credo che il dibattito darà ulteriori arricchimenti, così come in Commissione già i colleghi Rossi, Alberton e Paganelli hanno chiaramente posto i termini di un costruttivo confronto.
Svolgimento ed analisi delle consultazioni. La Commissione ha voluto dare alle consultazioni, accogliendo gli inviti più volte fatti nel passato dai consultandi, un carattere meno burocratico puntando alla conoscenza dei problemi e poi non solo alla loro catalogazione, impostando già un lavoro di dialogo che, nell'arco di tempo che va dall'approvazione del bilancio di previsione a quello della legge di assestamento, dovrebbe dare i suoi frutti. Inoltre la Commissione ha cercato di rendere effettivo perno di tutti i rapporti periferici gli organi comprensoriali, procedendo a rapporti organici ed in loco con i colleghi che negli stessi assolvono con entusiasmo e molto zelo il loro ruolo e cercando, specie con le varie organizzazioni ed Associazioni socio-economiche consultate a livello regionale, di invitarle ad articolarsi a loro volta a livello comprensoriale e sollecitare i loro associati periferici a riconoscersi come livello diretto di programmazione nel Comprensorio di loro competenza.
Con assiduo impegno e serio lavoro, il processo di programmazione pluralistica, democratica che nasce del basso, già affermata come volontà politica, potrà, nella coerenza e nei fatti, diventare così concretezza.
Il livello di consultazioni ha dimostrato un'ulteriore validità ed apprendimento delle linee forza del Piano di sviluppo ed un indubbio apporto migliorativo in qualità dei soggetti consultati.
Infine la consultazione con il Comune di Torino e del Comprensorio omonimo hanno chiaramente indicato come per questo organismo regionale s'imponga, per la sua ampiezza e varietà, una più approfondita applicazione della legge 41/75, onde consentire la nascita delle subaree già legislativamente previste e che tale realtà per essere governata ormai postula.
Alle note di consenso all'opera svolta dalla Giunta pervenute da più parti, si affianca, anche se con notevole retaggio di cariche polemiche, la riaffermata disponibilità delle Camere di commercio a collaborare con la Regione: in merito e con riferimento al loro documento scritto, sta alla Giunta regionale sciogliere, con chiare chiamate a fattive proposte di collaborazioni, la riprova della loro reale disponibilità.
Novità necessaria, ma utile e fruttuosa di più interessanti conoscenze è stata la consultazione con le tre Banche che hanno dato vita alla Tesoreria regionale. Al di fuori di note comuni e di scarse novità, si è constatato la viva attenzione delle stesse verso una Regione meno burocratica e più programmatrice, con disponibilità concrete di mettere serietà e competenze indiscusse a disposizione di una più duttile decentrata e fattiva erogazione della spesa pubblica ove, con uno sforzo anche d'inventiva da parte istituzionale, si sappia contemperare la certezza e la giustezza dell'intervento con l'efficienza dell'erogazione.
La revisione delle leggi di spesa potrà rappresentare un valido banco di prova e di ricerca sul come utilizzare, anche già nella fase legislativa tale affermata disponibilità.
Problemi: 1) Costante denuncia monocorde, premessa quasi rituale a tutti gli interventi, è stato il problema dei residui passivi. Ribadita in questa sede l'indubbia capacità dimostrata dalla Giunta nel tentare di controperare a tale patologica tendenza della spesa pubblica, con una notevole accelerazione della spesa, che nel 1978 ha raggiunto la consistente somma di 934 miliardi, occorre precisare che una tale accelerazione, nei limiti dell'attuale struttura burocratica regionale, pu trovare ulteriori e cospicui incrementi solo attraverso un globale processo di meccanizzazione informatica: risultato questo che si attende dalla convenzione stipulata dalla Regione con la spa Olivetti.
E' ovvio che le forze d'opposizione, in specie, vedano il fenomeno patologico "residui passivi" come conseguenza di inefficienza dell' esecutivo: sarebbe ridicola risposta della maggioranza opporre le effettive inefficienze di altre Regioni, ove i residui passivi esistono in modo talmente forte da porre in dubbio la stessa credibilità dell'Ente Regione e che sono governate da forze che in Piemonte sono all'opposizione.
Il problema dei residui passivi visto con l'occhio più distaccato possibile, per quanto essere maggioranza già indica una parte, è più complesso, articolato e con diverse cause originarie.
Esiste un'incapacità quasi culturale a pensare di realizzare leggi e congegni di erogazione di spesa diversi da quelli abituali, in gran parte frutto e rispondenza di una società agricola, che oggi si è trasformata essenzialmente in industriale con altre esigenze e che presuppone strumenti idonei.
La revisione delle leggi deve essere atto essenziale di questo scorcio di legislatura ed in questo senso va dato atto all'Assessore Bajardi del suo impegno erogato per una sostanziale revisione della legge 28 ed alla sua confermata volontà di rimettere in tempi brevissimi il testo definitivo all'esame del Consiglio.
Le novità previste in questo nuovo testo, quali già esposte sei mesi fa in Commissione, possono realmente facilitare la rapidità dell'esecuzione dell'opera e la certezza dell'impegno, contribuendo in modo determinante alla soluzione dei problemi che originano oggi, non per inefficienza dell'esecutivo, ma per complicati meccanismi, quei ritardi delle opere pubbliche fortemente stigmatizzati anche dall'Associazione dei costruttori edili.
Esistono invece residui che sono segno di efficienza e che spiace non siano stati sufficientemente lodati per gli effetti positivi che determinano. Tali sono tutti quei residui formali e rituali, sul tipo della legge 412 che prevede stanziamenti erogati dallo Stato in un triennio, che hanno consentito l'appalto di tutte le opere già nel '78 con l'iscrizione dell'impegno di spesa triennale nel bilancio '78.
Altro tipo di residuo non ignominioso è quello che si forma quando la legge di spesa viene in sostanza approvata dal Consiglio nel periodo post feriale: tipiche quelle dell'agricoltura, artigianato, sport, ecc.
Vi è poi il ritardo burocratico e strali infiniti sono caduti sugli Ispettorati provinciali dell'agricoltura. Alla Giunta la risposta in merito è doverosa, specie perché dal settore dell'agricoltura di fronte ad una concreta accelerazione della spesa, per la prima volta sono emerse quelle reali contraddizioni che il settore manifesta e sulle quali per lungo tempo si è voluto stendere un pietoso velo di non conoscenze. Voglio accennare al rapporto tra agricoltura ricca, non bisognosa di contributi spiccioli, ma di certezze ed all'opposto pronta a recepirli per poi investirli in BOT ed agricoltura povera, quella verso cui si rivolge la legge 63, attività realmente bisognosa d'interventi ed incapace ad attivarli.
Riaffiora ancora un'altra causa della creazione dei residui passivi: la carenza di disponibilità finanziaria dei percettori degli interventi regionali, siano essi Enti locali o singoli operatori. In parte a tale causa, con il nuovo atteggiamento della Cassa depositi e prestiti, pare possa porsi un rimedio per quanto attiene ai Comuni; per i singoli operatori starà nella capacità del sistema del credito di tentare di adeguare la sua funzione di sostegno dell'economia con costante riferimento alle linee della programmazione regionale, cosa che nel passato mai fu fatta.
Residui passivi possono infine essere originati dalla costante mancata risposta dei destinatari delle erogazioni nominalmente intenzionati ad accedere agli incentivi proposti.
In merito, fermo il principio che senza un'idonea funzione di sostegno da parte del sistema del credito ogni politica di rilocalizzazione industriale non può realizzarsi, la Regione oltre a creare le aree industriali attrezzate, formalizzare con la convenzione quadro le procedure di certezza per l'abbandono di aree inadeguate, non può poi ancora essere fatta oggetto di responsabilità altrui.
Compiuta la propria funzione istituzionale i processi di rilocalizzazione sono problemi degli imprenditori e delle banche: se è necessario un intervento ulteriore, questo non può più essere n istituzionale né puramente rivendicativo, ma politico! Le banche sono guidate da uomini espressione del mondo politico che rivive nelle istituzioni ed è per quel canale e non attraverso la Regione che gli ulteriori problemi devono trovare soluzione. Al massimo, come fatto per il "leasing immobiliare finalizzato delle aree industriali" attraverso la Finpiemonte, l'Ente Regione può essere il promotore: il rapporto, quale risultante di azione politica e imprenditoriale, deve scaturire però dalle banche.
Ciò si ritiene opportuno precisare, perché ognuno assuma le proprie responsabilità, frutto delle specifiche competenze che una società pluralistica presuppone a sua sostanziale esistenza.
Comprensori e bilanci consolidati. Occorre una particolare attenzione alle "necessità" che nell'assunzione delle loro integrali funzioni i Comprensori manifestano. La costante richiesta di strutture può essere controbattuta dal rischio di eccessive burocratizzazioni. La strada da percorrere è un'altra, più adeguata alla funzione stessa che gli stessi devono svolgere.
Il problema essenziale dei bilanci consolidati e quello dei piani territoriali impongono strutture agili e capaci ed il pieno sfruttamento del Centro di calcolo regionale. E' un problema urgente a cui la Giunta entro breve tempo, se già non fatto, deve dare risposta.
Enti strumentali. Una particolare attenzione deve essere rivolta a che tra gli Enti strumentali per la programmazione non si creino classi di qualificazione che vedano al primo posto quello più sofisticato ed all'ultimo,quello di problemi usuali come l'agricoltura.
Esiste, specie nell'Esap, uno stato di preoccupante sensazione che tutto sia per tale Ente difficile. E' indubbio che non facilita la sua operatività l'atteggiamento delle forze rappresentanti i contadini, primi fornitori dell'attività dell'Ente, che hanno riprodotto nel Consiglio dell'Ente, declinando di essere presenti nell'esecutivo, la logica aberrante per un Ente di sviluppo, di maggioranza ed opposizione; ma è anche certo che questi problemi ed il grave significato che sta dietro a questi atteggiamenti non può e non deve essere ignorato da nessuno, così come occorre, specie per una razionale politica di programmazione che pone l'agricoltura quale momento centrale, aiutare maggiormente l'Ente nei suoi ruoli esecutivi istituzionali.
La Giunta ed il Consiglio, nel reciproco ruolo statutario, hanno il dovere di rendere i collegamenti e la funzionalità dei vari Enti più stretta e più finalizzata al conseguimento degli obiettivi di programmazione per cui furono creati.
In questo senso la Commissione, in forza dei doveri e poteri che le derivano dall'art. 22 dello Statuto ha già incominciato a svolgere le proprie funzioni: nell'arco di tempo intercorrente per approvare la legge sull'assestamento occorrerà riaffrontare i vari problemi già emersi (Ires Centro di calcolo; Promark-Esap) e valutare le soluzioni ottimali.
Conclusioni. L'attento esame della relazione sullo stato di attuazione della spesa 77/80 dimostra chiaramente come il bilancio '79, con le imperfezioni delle cose nuove e che in ogni caso potranno essere rese più perfettibili entro il 30/6/1979, è strumento in perfetta aderenza con gli obiettivi del Piano di sviluppo e con le politiche che si rendono coerenti per consegnarli. Deriva da questi elementi chiaramente espressi da tutte le forze economiche consultate la sua validità politica e della maggioranza che lo approverà.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Paganelli.



PAGANELLI Ettore

Signor Presidente, signori Consiglieri, nella preparazione e preliminare discussione di questo bilancio è stato abbondantemente ripetuto che l'importanza dello stesso derivava non soltanto dall'entità della dimensione economica raggiunta, ma anche dal fatto che trattasi dell'ultimo bilancio completamente gestibile dalla Giunta in carica e quindi praticamente suggello dell'attività di un'intera legislatura, un bilancio sul quale si va praticamente all'esame elettorale del 1980.
Il bilancio del 1980 risentirà infatti nella preparazione e nella gestione degli inevitabili tempi di stasi pre e post elettorali e non sarà certamente il documento più utile per il confronto tra le forze politiche.
Anche se il principio non può avere di per sé un valore assoluto (ho già sostenuto in altra occasione che il bilancio non è più un fatto annuale e statico, ma è lo specchio di una realtà finanziaria ed operativa in continuo movimento ed ho visto che il concetto è stato, con cortese citazione, autorevolmente confermato dall'Assessore Simonelli su di una rivista del suo partito), tuttavia manifesta un sostanziale modo di valutare ed intendere che non può essere disatteso.
Ma allora se questo, a fini elettorali, è il bilancio più immediato e più importante, ne deriva che ad esso le forze politiche devono applicarsi con rigore maggiore ancora del passato e che vi deve essere grande trasparenza di azioni e di comportamenti.
A queste considerazioni si aggiunga con valutazione prevalente quanto opportunamente rileva il Consigliere Rossotto nell'avvio della sua relazione,e cioè che le tensioni internazionali e nazionali di questi giorni, di cui tutti avvertiamo peraltro il peso e la gravità, non devono distogliere il nostro impegno in senso lato per il Piemonte per rispondere al nostro compito meglio di quanto non abbiamo saputo sino ad ora fare.
Alla luce di queste premesse non serve ad un'opposizione collocarsi in un'ottica solo contestativa (e non intendiamo affatto battere questa strada), come non serve ad una maggioranza collocarsi in una posizione solo elogiativa del suo operato, scaricando su altri (nel caso nostro soprattutto lo Stato) ritardi ed inefficienza.
Nella chiarezza deve svolgersi il confronto, nella chiarezza che è forma e sostanza in una materia che per difficoltà intrinseche di lettura o per abbondanza di materiale anche solo discorsivo finisce di essere riservata a pochi.
Dobbiamo tenere il discorso nelle linee essenziali che debbono essere comprese da tutti, dobbiamo tenere il discorso nella più assoluta linearità.
Quando questo bilancio è stato reso noto nella stesura iniziale (oggi con le note di variazione successive, con il raddoppio della spesa nella sanità a seguito della riforma sanitaria, le cifre sono profondamente modificate) si è detto: 1.079 miliardi in termini di competenza, 1.971 miliardi in termini di cassa e sull'avvio di queste cifre la maggioranza si è proiettata a spiegare con grande eco sulla stampa che vi erano 2 mila miliardi da spendere per il Piemonte.
Sull'onda dell'entusiasmo si è affermato: "Il Piano di sviluppo è ormai in fase di attuazione, la macchina amministrativa funziona a pieno ritmo la capacità di spesa si è notevolmente migliorata come evidenziano da un lato la riduzione del livello dei residui passivi, dall'altro il notevole incremento della spesa erogata che ha portato a prevedere per il '79 un bilancio di cassa che si avvicina ai 2 mila miliardi".
Il lettore del bilancio si è detto a questo punto: lasciamo per un momento da parte la solita distinzione sulla spesa ospedaliera, non introduciamo delle considerazioni in termini percentuali necessari in una materia in cui i riferimenti in assoluto a volte dicono poco, e vediamo di chiarire la questione dei 2 mila miliardi.
L'articolo 3 della legge 19 maggio 1976 n. 335 (principi fondamentali in materia di bilancio e contabilità) prevede l'iscrizione nella cassa delle spese che si ipotizzano necessarie per far fronte alla competenza ed ai residui.
Posto che la competenza era di 1.079 miliardi 241 milioni ed i residui erano di 370 miliardi e 829 milioni, la cassa necessaria in una felice e totale attuazione di bilancio (cosa purtroppo irrealizzabile!) era di 1.450 miliardi e 70 milioni.
La domanda spontanea a questo punto è: come mai una cassa superiore di oltre 500 miliardi delle totali possibilità di spesa? Per rispondere si deve notare che vi è un capitolo nel bilancio, il 12870 della spesa con riferimento al 2790 dell'entrata "deposito di somme presso la Tesoreria centrale", che quest'anno presenta una cassa di 700 miliardi che sono poi le somme di cui si prevede nell'anno il versamento da parte dello Stato alla Regione, somme già considerate ed utilizzate nella specifica compilazione del bilancio per la spesa.
Una duplicazione, dunque! Non contestiamo che la stessa sia tecnicamente necessaria per il meccanismo dell'introito e del pagamento, ma la realtà è che la cassa va considerata con 700 miliardi in meno che diventano poi 722 miliardi, stante il fatto che lo stesso discorso si prospetta per i 22 miliardi del rimborso delle anticipazioni passive (tra l'altro non si comprende il permanere di questa possibile anticipazione prevista anni addietro per i ritardi dello Stato nei versamenti della spesa ospedaliera ed oggi non più necessaria stante il puntuale meccanismo di versamenti nel settore da parte dell'amministrazione centrale).
Contestiamo invece con vigore il risvolto politico segnalando come un fatto tecnico finisca di sfalsare una realtà e come su di un equivoco possano circolare dati inesatti.
I 2 mila miliardi di cassa al momento della presentazione del bilancio erano in realtà meno di 1300 così come i 2.450 di oggi sono in effetti 1.728. Il richiamo alla chiarezza ci pare quindi in questo caso quanto mai opportuno.
Ma se su questa questione accanto ad un severo giudizio politico ci pu essere una comprensione sotto il profilo tecnico, eguale comprensione non vi può essere per un altro aspetto rilevante.
L'estensore della relazione al bilancio 1979 (sulla quale per l'aspetto politico ritorneremo) ci ammonisce (pag. 23-24) sulla "complessità che la gestione finanziaria regionale sta assumendo; complessità che giustifica l'avvertimento già formulato circa il rischio di cadere in errate conclusioni oppure in valutazioni superficiali, esaminando separatamente i diversi aggregati del bilancio, al di fuori cioè di un attento giudizio complessivo".
Ammonizione esatta che richiede però rigore e rispetto di legge da parte di chi opera sul bilancio, lo gestisce e lo presenta alla comunità regionale.
So di dare forse un piccolo dispiacere al Presidente della Giunta che in Commissione pochi giorni fa si è compiaciuto che nessun rilievo tecnico fosse stato avanzato all'impostazione generale del bilancio, ma da modesto lettore del documento contabile debbo fare una critica che, se esatta, è destinata ad incidere proprio nell'impianto del bilancio.
Sempre nella già accennata relazione (pag. 24) è stato scritto: "nel bilancio 1978 le entrate provenienti da mutui già autorizzati da specifiche leggi regionali ammontano a 191.232 milioni e tale somma costituisce una parte dei residui attivi applicati al bilancio 1979, poiché detti mutui possono essere contratti entro il 31 gennaio 1979 data che rappresenta l'effettivo termine dell'esercizio finanziario 1978".
Ed in effetti il titolo V delle entrate cat. 14 accensione di mutui e prestiti, porta nella colonna "ammontare presunto dei residui attivi alla chiusura dell'esercizio 1978" la somma di lire 191.232.000.000.
Nutro seri dubbi che la corretta interpretazione degli articoli 62 e 19 della legge di contabilità regionale (legge regionale 14 marzo 1978 n. 12) consenta nel mese di gennaio successivo all'esercizio finanziario anche la possibilità di stipulare mutui. Si possono incassare le somme derivanti da mutui, ma non stipulare mutui. Ma anche ammessa la possibilità temporale sino al 31 gennaio 1979, dobbiamo chiedere alla Giunta: quanti dei mutui autorizzati ed iscritti al titolo V delle entrate sono stati stipulati entro il 31 gennaio 1979? Abbiamo avuto notizia, tramite i giornali, di un mutuo stipulato a Roma con il Medio Consorzio, ci pare, per 24 miliardi 800 milioni (e in ordine a questo mutuo nella consultazione delle banche piemontesi vi sono state doglianze per la preferenza fatta all'Istituto romano); vi potrà essere stata ancora la stipula per qualche altro miliardo, ma pensiamo di non essere lontani dal vero nell'affermare che 150/160 miliardi di mutui autorizzati non sono stati stipulati.
Ed allora poiché approviamo il bilancio a fine febbraio (e quindi dopo il 31 gennaio), poiché l'art. 62 della legge di contabilità regionale parla chiaro: "costituiscono residui attivi le entrate accertate e non riscosse e le entrate riscosse e non versate entro il termine dell'esercizio finanziario, nonché le entrate derivanti da mutui stipulati entro tale termine e non riscosse" la conseguenza non può che essere una.
Quei residui attivi non più consentiti dalla legge (ripetiamo forse 150/160 miliardi), devono sparire e l'operazione avrebbe dovuto essere compiuta con le note di variazione. Ma la cancellazione di quei residui come ipotizzato anche nella relazione della Giunta, si riverbera nell'avanzo finanziario e lo riduce sostanzialmente di pari importo.
I 216 miliardi ipotizzati come "avanzo presunto" e pilastro nelle previsioni in termini di competenza devono essere ridotti. Il bilancio va quindi impostato diversamente sin d'ora e non con l'assestamento e se non si vogliono diminuire le spese previste il mutuo a pareggio di cui al capitolo 2700 dovrà assumere altre proporzioni.
Ma posto che l'art. 47 della legge di contabilità regionale precisa: "i mutui ed i prestiti possono essere autorizzati solo per provvedere alle spese di cui all'art. 10 primo comma della legge 16 maggio 1970 n. 281" occorrerà verificare il rispetto di tale principio e cioè se i mutui siano contratti esclusivamente per provvedere a spese di investimento.
E poiché il discorso è venuto sull'avanzo finanziario presunto devo dire che mentre è chiaro che lo stesso per 112 miliardi è formato da somme derivanti dalla gestione finanziaria degli anni decorsi inserite nel bilancio 1979, per gli altri 100 miliardi circa mancano più dettagliate spiegazioni ed indicazioni sulla previsione. L'entità della cifra avrebbe richiesto una più puntuale chiarificazione.
E ritorniamo ora sulla relazione che accompagna il bilancio 1979 e che è certamente un utile strumento per comprendere e compenetrare il bilancio (assai più utile della relazione sullo stato di attuazione del programma pluriennale di attività e di spesa 1977/1980, opportuna anche sul piano informativo generale oltreché richiesta dalla legge, ma priva di quei riferimenti e di quelle valutazioni che consentono di ragionare e di proiettare conclusioni sul futuro.
D'altra parte la relazione specifica con precisi riferimenti "ai costi e risultati conseguiti per ciascun programma di settore e progetto in relazione alle previsioni di intervento del programma pluriennale di attività e di spesa" va presentata solo col conto consuntivo e non ci resta che attendere tale scadenza prevista dall' art. 23 della legge sulle procedure della programmazione (legge regionale 19 agosto 1977, n. 43).
Anche per quanto riguarda la programmazione (così come per la materia finanziaria) il momento del rendiconto finisce di diventare il vero momento di verifica. Quello che non possiamo condividere di tale relazione, e lo diciamo con molta chiarezza, è il taglio della premessa.
La polemica, il continuo lamento con lo Stato fanno parte di uno schema vecchio. E' inutile come Regione fare parte della Commissione mista di Regioni e Governo (cosa certamente positiva) se poi non ci si sa elevare ad un ragionamento complessivo. E' inutile ingigantire certe difficoltà (che ci sono) se non si è in grado di comprenderne altre e se non si opera tenacemente per superare le une e le altre.
Certo è pericoloso il disegno pure affiorante di contrapporre Comuni e Province a Regioni (le Regioni però devono fare attenzione a non favorire esse stesse con politiche neo-centralistiche la presa di distanza dall'Ente locale dall'Amministrazione regionale), ma è altrettanto pericolosa la continua e sottile contrapposizione di Regioni a Stato, contrapposizione che poi a parole si dice di non coltivare.
Non si può dimenticare quanto è stato sottolineato nel piano triennale 1979/1981.
Dopo il rilievo sull'incapacità di spesa che ha purtroppo negativamente caratterizzato l' amministrazione dello Stato, si aggiunge: "oggi la situazione si è aggravata. La responsabilità di molta parte della spesa specie per gli investimenti si è spostata agli Enti decentrati del settore pubblico. L'incapacità di rispettare i programmi è rimasta, ma ne sono peggiorati gli effetti. Lo Stato mette a disposizione delle autorità decentrate somme che poi rifluiscono in depositi bancari per giacervi inutilizzate. Si è prodotta così un'indebita formazione di liquidità aggiuntiva".
E serie preoccupazioni sono anche espresse sul ruolo della finanza pubblica destinata a "contribuire direttamente od indirettamente all'inflazione, meno alla creazione di domanda e pochissimo alla formazione di nuova capacità produttiva".
Se si ignorano queste considerazioni si può benissimo continuare a polemizzare con lo Stato con dati percentuali sui trasferimenti di risorse.
Se invece almeno in una certa misura si vuole entrare nella logica delle considerazioni esposte, allora più che polemizzare bisogna impegnarsi sull'efficienza della spesa: la dimostrata capacità di spesa può dare allora titolo a nuove richieste mentre, come è stato notato nella consultazione, è da tenere sempre aperto il discorso relativo al recupero di autonomia impositiva da parte delle Regioni e degli Enti locali.
E credo che a questo punto due considerazioni si impongano senza enfatizzare né l'una né l'altra, ma come motivi di meditazione per una realistica disamina della situazione.
Le entrate della Regione: il quadro generale riassuntivo del bilancio allegato al Piano di sviluppo portava le seguenti cifre: totale entrate 2.728 miliardi 689 milioni totale spese previste 3.294 miliardi 214 milioni differenza in meno: 565 miliardi 525 milioni Le entrate accertate sono state: nel 1977 815 miliardi 543 milioni nel 1978 908 miliardi 21 milioni nel 1979 1.079 miliardi 241 milioni nella previsione (Faccio il calcolo sulla primitiva stesura del bilancio, perch l'ultima, col dato complessivo dei 911 miliardi del fondo sanitario nazionale, introduce troppi elementi nuovi: non si ripeterà mai a sufficienza che ieri la spesa ospedaliera ed oggi il fondo nazionale sanitario inseriti nel bilancio finiscono di sfalsare ogni ragionamento ed ogni calcolo percentuale).
Le entrate del triennio 1977/79 sono già maggiori dunque di quelle previste per il quadriennio 1977/80 (2.802 miliardi a fronte di 2.728 miliardi a suo tempo previsti e mancano quelli del 1980 certamente superiori alle entrate 1979). Non è quindi che manchino i mezzi finanziari per la realizzazione del piano.
So bene quale non infondata argomentazione può introdurre a questo punto l'Assessore Simonelli: molti finanziamenti sono a carattere vincolato e non possono quindi essere tutti liberamente utilizzati per i programmi e progetti previsti dal piano.
L'argomentazione è valida e anche della stessa si deve tener conto nello studio o riflessione che io propongo per una seria verifica sull'attuazione del piano. Ed a proposito di fondi a destinazione vincolata, posto che nella relazione al bilancio a pag. 7 con un'elaborata tabella si cerca di dimostrare che la spesa a destinazione vincolata è passata dal 58,1% al 64% e che le risorse libere sono scese dal 29,7% al 25,8% senza voler introdurre polemiche sui dati, faccio una considerazione molto semplice ché non vuole avere un peso stravolgente, ma che quanto meno è destinata a far meditare.
Le assegnazioni di fondi a destinazione vincolata (ricavabili dal titolo II cat. IV delle entrate indicate nella primitiva stesura del bilancio al netto delle assegnazioni ex art. 9 della legge 281/70 che non si possono considerare propriamente a destinazione vincolata essendo volte a finanziare i programmi regionali di sviluppo) segnano nel 1979 un decremento del 3,4%rispetto al 1978.
La flessione è ancora più marcata ed apprezzabile se da queste assegnazioni scomputiamo quelle relative all'assistenza ospedaliera ora fondo sanitario: in tal caso nel 1979 le assegnazioni a destinazione vincolata sono circa il 70% di quelle del 1978.
Per contro le assegnazioni per l'esercizio di funzioni delegate segnano un incremento del 51% (e molti capitoli sono richiamati solo per memoria e l'aumento in sede di assestamento del bilancio potrà anche essere superiore).
Le entrate poi derivanti dall'art. 8 e dall' art. 9 della legge 281/1970 sono in aumento complessivamente dell'11,2%, un aumento che pu anche essere "insufficiente" come è scritto nella relazione.
Ma la "meditazione" che mi pare consegua dai riferimenti sopra esposti è questa: quando si discorre sulla manovra finanziaria della Regione e si dice che è "compressa" quando si parla di rigidità del bilancio, bisogna avere come riferimento non solo l'organizzazione delle entrate, ma anche quella delle spese.
Seconda considerazione: residui passivi.
E' un discorso che va fatto sempre con molta chiarezza e lo ricordava opportunamente il collega Rossi in Commissione proprio mercoledì in occasione dell'ultima consultazione con la Federpiemonte e col Collegio dei costruttori. Già lo scorso anno dicevo testualmente "il problema va esattamente inquadrato: non possiamo anche nella nostra responsabilità lasciare alimentare equivoci". Lo ripetiamo anche quest'anno.
Ogni qualvolta ci è dato di intervenire nella materia finanziaria sempre più complessa e vasta che se da un lato affascina per la sua continua novità, dall'altro intimorisce per la sua straripante ampiezza cerchiamo di rivedere quanto in precedenza è stato affermato perché vi sia nelle cose dette la logica delle continuità pur con le obiettive valutazioni retrospettive. E credo che la rilettura di ormai numerosi interventi svolti da questi banchi dal 1975 ad oggi sia la riprova del modo responsabile col quale il Gruppo della D.C. si è collocato anche su questi problemi.
Sui residui passivi si è intrattenuto ampiamente il relatore Consigliere Rossotto, proprio perché nella consultazione il problema non è sfuggito a nessuno.
E' una relazione, quella di Rossotto, indubbiamente suggestiva. Non si stupirà il collega se gli diciamo che, accanto a considerazioni condivisibili ed all'apprezzamento per la puntuale messa a fuoco di problemi esistenti ed emersi nella consultazione, vi sono passaggi in cui netto e marcato è il nostro dissenso.
E credo che consensi e dissensi emergeranno chiaramente dai nostri interventi.
Quello che va riconosciuto a Rossotto comunque il tono garbato e non tranciante del suo dire. Ebbene, con la stessa cortesia con cui Rossotto quasi fuggevolmente ci ricorda che il problema dei residui passivi esiste in modo tanto forte in Regioni governate da forze che in Piemonte sono all'opposizione, rammentiamo, per eventuale lettura e senza che il fatto n nel positivo, né nel negativo possa influire più di tanto nel nostro atteggiamento, le argomentazioni sostenute in quelle Regioni dalle forze politiche che in Piemonte sono in maggioranza.
Chiusa la breve parentesi esprimiamo il nostro parere in merito.
Quella dei residui passivi è stata una frontiera su cui la Giunta ha combattuto. Sospinta dal nostro incessante pungolo, favorita da un sempre maggiore affinamento della macchina regionale in senso ampio, sorretta da una migliore legislazione nazionale e regionale e da una maggiore erogazione da parte dello Stato (basti pensare al versamento nel 1978 dei miliardi che rappresentavano l'arretrato della spesa ospedaliera), la Giunta ha cercato di affrontare il problema della accelerazione della spesa e della conseguente eliminazione dei residui passivi.
E' una battaglia che ha visto impegnati non solo la Giunta, ma il Presidente Viglione in prima persona. E l'Assessore Simonelli è anche intervenuto, poco tempo fa con un lungo articolo sul quotidiano della sera per cercare di illustrare tutti i termini della questione.
Ma se nonostante l'impegno i risultati non sono ancora soddisfacenti se il problema rimane pressante e grave, occorre allora continuare ad affrontarlo col dovuto realismo. E' in quest'ottica che si collocano le nostre osservazioni.
I residui passivi presunti indicati in bilancio ammontano a 370 miliardi 829 milioni. Ma sappiamo tutti che solo con manovre legislative e contabili, per altro corrette, si è evitato che finissero nel totale dei residui 112 miliardi oggi inseriti come spese nel bilancio 1979 e come già ricordato derivanti dalla gestione finanziaria degli anni passati.
Se a queste cifre si aggiungono i 3 miliardi del cap. 12750 dei residui perenti e la riproposizione in alcuni capitoli di previsioni già iscritte nel 1978 e per le quali non sono stati assunti impegni di spesa, se si aggiungono gli scorrimenti per 13 miliardi al 1980, la massa non spesa è di circa 500 miliardi.
E' altresì vero che i residui passivi non sono solo soldi fermi nei forzieri della Regione, ma come scrive Simonelli, sono in parte "risorse non ancora materialmente erogate dallo Stato e che la Regione ha già cominciato a spendere, spesso anticipando di tasca sua propria per avviare ed accelerare la realizzazione dell'opera".
E se è vero che nell'area di intervento del territorio 85 miliardi riguardano fondi statali non interamente erogati alla Regione, ma già iscritti a bilancio per poter avviare le relative procedure di spesa (45 miliardi riguardano l'edilizia scolastica e 40 miliardi circa rappresentano i vari fondi per il ripristino dei danni alluvionali), è altrettanto vero che il 70% dei residui passivi coinvolgono due settori primari dell'intervento regionale quali l'agricoltura e il territorio.
L'Assessore Simonelli ci consentirà ancora di osservare, sempre nello spirito della più completa conoscenza della materia, che il raffronto 1972/1978 è assolutamente improponibile (tanto sono diversi e non solo percentualmente i termini di paragoni) e che l'81% di spesa sull'impegnato di cui parla per il 1978 (non abbiamo dati precisi e ci riferiamo alla sua indicazione nell'articolo) è risultato possibile praticamente col totale pagamento della spesa ospedaliera.
Al di fuori della spesa ospedaliera i nostri calcoli ci portano a dire che la percentuale di pagamento non dovrebbe superare il 60%. Ed ecco allora le considerazioni che offriamo alla Giunta.
I dati finali del bilancio presentano una competenza di 1.558 miliardi residui per 370 miliardi, una cassa di 2.450 miliardi. Togliendo dalla cassa i 722 miliardi che abbiamo dimostrato essere sostanzialmente una duplicazione abbiamo una cassa effettiva di 1.728 miliardi.
Una cassa che dovrebbe eliminare, col pagamento, i 370 miliardi dei residui ed il 90% della competenza. Diciamo con tranquillità che è una previsione sovradimensionata che può rappresentare una volontà, un impegno e non una reale possibilità di spesa.
Per quanto riguarda la competenza, prendendo ovviamente come riferimento le previsioni della Giunta (più rispondenti alla legge di contabilità certo dello scorso anno, ma non ancora sufficientemente meditate sulla spendibilità in alcuni settori) il nostro ragionamento si basa su queste ipotesi, non certamente restrittive, che hanno una collaudata esperimentazione nei bilanci degli ultimi anni (fino al 1978).
Eliminazione, con pagamento nell'esercizio finanziario, del 95% del fondo sanitario nazionale assegnato alla Regione nella misura di 911 miliardi. Eliminazione con pagamento del 60% della competenza escluso il detto fondo sanitario nazionale, competenza prevista in 647 miliardi.
Eliminazione, con pagamento del 40%dei residui passivi previsti in 370 miliardi.
Ecco i calcoli: 911 miliardi 95% 865 miliardi 647 miliardi 60% 388 miliardi 370 miliardi 40% 148 miliardi Totale 1.401 miliardi Con una previsione di spesa di 1.401 miliardi su 1.928 (competenza più residui al 31 dicembre 1978) vi è una previsione di residui al 31/12/1979 di 527 miliardi, sostanzialmente 150 miliardi in più degli attuali risultanti ufficialmente nell'apposita colonna.
Sono questi i dati, le previsioni che occorre avere presenti, più che soffermarsi sul dato complessivo di 934 miliardi spesi nel 1978, cifra che dice molto e poco nello stesso tempo.
Si pensi già sin d'ora a quella che sarà la cifra in assoluto nel 1979 dato che saranno spesi, e sono facilmente spendibili, quasi tutti i 911 miliardi del fondo sanitario. E' contro questa previsione di aumento dei residui passivi che occorre realmente combattere e non solo pensando a nuove formule, tipo leggi di scorrimento.
Giustamente il Presidente della Giunta nell'incontro in Commissione ha detto di essere alieno dall'adottare iniziative come quelle assunte da altre Regioni che aggirano l'ostacolo, ma non risolvono il problema facendo uscire le somme dalle casse regionali e depositandole in banche a favore dei beneficiari Enti locali.
Noi prospettiamo il pericolo cui andiamo incontro non per atteggiarci a funeste Cassandre, non per poter dire un giorno che avevamo visto giusto ma per poter essere smentiti il giorno del consuntivo 1979. Perché se saremo smentiti quel giorno vorrà dire che si sono fatti passi avanti e ci sarà merito allora per chi il bilancio gestisce dal Governo, per chi lo gestisce dall'opposizione.
L'esame del bilancio deve avere il riferimento al piano e al programma pluriennale di attività e di spesa.
Abbiamo già detto del valore prevalentemente conoscitivo che assume la relazione sullo stato di attuazione del programma pluriennale di attività e di spesa 1977/1980 e della non molta incidenza che le notizie riportate assumono per i ragionamenti che si devono fare sul piano e sul bilancio non senza notare che la qualità delle informazioni è assai diversa da taluni Assessorati ad altri che si sono sforzati di fornire non acritiche notizie statistiche, ma dati ragionati, impegni e liquidazioni.
Nel complesso il riferimento al piano è corretto perché, anche se diverse sono ancora le leggi da varare, i progetti tranne due sono finanziati, ma il riferimento generico non è sufficiente.
Quando diciamo che la differenza tra le previsioni di piano nel bilancio pluriennale e la previsione del bilancio 1979 è data dalle seguenti cifre (la prima si riferisce al piano, la seconda al bilancio in discussione): area di attività da 41.262 milioni a 59.858 milioni area di intervento I da 60.662 milioni a 176.717 milioni area di intervento II da 65.659 milioni a 90.863 milioni area di intervento III da 119.791 milioni a 127.092 milioni area di intervento IV da 540.077 milioni a 978.185 milioni area di intervento V da 29.099 milioni a 52.697 milioni complessivamente quindi da 856.550 milioni a 1.485.697 milioni diciamo in buona sostanza (e sempre con l'avvertenza di esclusione per il fondo sanitario nell'area IV) che per lo più nei singoli progetti sono intervenute delle notevoli variazioni. E poiché programmazione vuol dire rispettare non soltanto scelte ed indirizzi assunti, ma anche l'entità economica di queste scelte, ecco che la verifica approfondita si impone: progetto per progetto, con precise notazioni, con constatazione ove il rispetto è pieno, con chiare spiegazioni ove l'entità economica è notevolmente variata.
L'imminente occasione del conto consuntivo richiede anche la relazione illustrativa di programma: ci auguriamo che la Giunta colga il momento di questa verifica.
Qualche breve considerazione ora in riferimento ad alcune aree.
L'area di attività nella prima stesura del bilancio presentava una competenza complessiva di 49 miliardi 297 milioni con una notevole riduzione sulla competenza 1978 che era stata complessivamente di 54 miliardi 131 milioni.
La riduzione è stata sottolineata positivamente nelle consultazioni come prova di rigore della Giunta regionale ed anche il nostro Gruppo che in questi anni non ha mancato di criticare vari aspetti della spesa gestionale, aveva visto con favore la scelta fatta.
Ma, ahimè! Sono bastate due variazioni di bilancio intervenute nei primi due mesi dell'anno per portare la competenza di questa area a 59 miliardi 858 milioni.
Vedremo cosa succederà con l'assestamento e le successive variazioni.
Seguiremo con attenzione i capitoli della gestione pura, senza dimenticare, e lo diciamo per obiettività, che anche in questa area vi sono capitoli riferiti non strettamente alla gestione, come ad esempio quello dei fondi alle Comunità montane per l'attuazione di programmi di sviluppo o come quello per l'acquisto di immobili.
Nell'area di attività sono previste le spese per l'Ires (cap. 1300 - L.
905 milioni) e per studi, indagini, consulenze (cap. 2250 - L. 775 milioni). Questi due capitoli suggeriscono una considerazione.
Dalla lettura del libro verde, relazione sullo stato di attuazione del programma pluriennale, da pag. 42 a pag. 59 emergono questi dati: su 94 (dico 94) ricerche effettuate o in corso o in programma, risulterebbe che solo l'Assessorato ai trasporti si avvale per alcune dell'Ires in collaborazione peraltro con altra Società.
E' vero che per alcune ricerche, ed in specie per quelle dell'Assessorato al commercio, non viene indicato l'Istituto o il singolo cui lo studio è demandato (e questo riprova quanto già abbiamo sostenuto, e cioè la diversità e non l'uniformità informativa che proviene dai vari settori), ma il dato è ugualmente impressionante e pone in tutta la sua urgenza e gravità la questione Ires, nella sua attività e finalità, nei suoi rapporti con la Regione e con gli Enti strumentali.
Esattamente il problema è già stato sottolineato l'altro giorno dal collega Petrini nel suo intervento sulla 902, quando rilevava l'assenza dell'apporto dell'Istituto di ricerche regionali nelle grandi scelte interessanti il Piemonte.
Sulle aree agricoltura e gestione e assetto del territorio ho già fatto alcune considerazioni nel corso dell'intervento specie per quanto riguarda il rapporto tra queste aree ed il formarsi dei residui passivi.
Più specifiche argomentazioni verranno svolte da colleghi del mio Gruppo. Voglio solo sottolineare e positivamente il passo della relazione Rossotto in cui si ricorda l'impegno dell'Assessore Bajardi per una sollecita revisione della legge 28/1975, con l'introduzione di quelle novità accelerative che l'attuazione di questa per altro buona legge oggi suggerisce e voglio richiamare, a chi non le ha volute sentire qualche mese fa, le cose interessanti dette da colleghi del mio Gruppo discutendo la legge 63 sull'agricoltura, destinata a portare tanta acqua nel mare limaccioso dei residui passivi.
Un particolare riferimento deve doverosamente essere fatto all'area dei servizi sanitari e sociali, cui più volte ho fatto cenno nel corso dell'intervento.
911 miliardi in entrata (cap. 830 dell'entrata) cui corrispondono per eguale cifra 6 capitoli di uscita (10670 - 10675 - 10685 - 10695 - 10705 10720) non possono passare né essere gestiti quasi come un fatto marginale in un bilancio nel quale peraltro ci soffermiamo su aspetti che rapportati a questo finiscono di essere assai meno importanti.
Novecentoundicimiliardi sono il 58,4% del bilancio regionale in competenza e mi rafforzano sempre più nella convinzione che ho ripetutamente espresso in quest'aula,che questa materia dovrebbe costituire oggetto di una gestione extra bilancio, sia per la mole ingente di risorse che affluiscono nel settore, sia per l'aspetto sostanzialmente distorcente che la gestione in questione finisce di svolgere nella comprensione valutazione ed analisi del bilancio regionale.
Ma posto che oggi il fondo sanitario nel bilancio deve comparire, non resta che prendere atto della situazione con la consapevolezza che giustamente esprimeva pochi giorni fa in Commissione il Vice Presidente Bajardi che con l'istituzione del servizio sanitario nazionale (legge 23 dicembre 1978 n. 833) finiamo di trovarci per il settore sanitario di fronte ad una nuova fase costituente regionale.
L'impegno di questo Consiglio deve pertanto essere quello di approfondire, conoscere e controllare questa parte rilevante del bilancio regionale.
Sotto questo profilo deve essere valutata positivamente la parte dell'ordine del giorno votato al termine del dibattito sui servizi sanitari e socio-assistenziali nell'ultima seduta del Consiglio, ove si afferma "impegna in particolare la Giunta a fornire mensilmente al Consiglio regionale le informazioni disponibili in ordine alla gestione della spesa".
Signor Presidente, signori Consiglieri, in un intervento di carattere generale su di un bilancio di oltre 1.500 miliardi di competenza, gli argomenti da trattare sono molteplici e vasti e molti sarebbero i punti ancora da toccare pur inseriti in un quadro d'assieme.
Ma un intervento non è una relazione e deve necessariamente essere contenuto. Ed io per primo avverto tutti i limiti di una simile impostazione.
D'altra parte viene qui ancora a profitto il discorso di apertura di questo intervento sul continuo aggiornamento della materia finanziaria e quindi sulla possibilità di completare discorsi appena accennati o di discutere temi non ancora trattati.
Spero tuttavia di essere riuscito quanto meno ad enunciare con sufficiente chiarezza la linea del Gruppo, che sarà esplicitata ancora da altri colleghi ed a far trasparire come ci siamo mossi su di una questione di tanta importanza. A far trasparire l'impegno che abbiamo posto anche su questo bilancio.
L'impegno di noi Consiglieri regionali, ma anche di tanti amici di partito che negli Enti, nelle Associazioni, nei Comprensori hanno portato un appassionato contributo.
Parlando delle consultazioni nei Comprensori, il relatore Rossotto ha sottolineato come nella maggior parte dei casi vi sia stato "un indubbio apporto migliorativo in qualità dei soggetti consultati". Concordiamo con la considerazione, ma raccomandiamo alla maggioranza di non penalizzare forse sotto la spinta di stagioni elettorali imminenti la grande forza partecipativa e programmatoria che i Comprensori rappresentano.
Quando si fanno consultazioni quasi improvvise, quando si convocano in un Comune, senza una logica ragione, amministratori che fanno parte di Comprensori diversi ed anche di Comunità montane diverse, per discutere di interventi e contributi, quando si distribuiscono fondi senza il parere dei Comprensori, tutto si fa men che una corretta programmazione e partecipazione. A far trasparire le nostre osservazioni critiche. La forza della democrazia sta nel dibattito tra chi governa e chi è all'opposizione.
In questa Regione il dibattito c'é stato e c'é senza confusioni di ruoli e chi pensava ad una Democrazia Cristiana solo come ad un partito di governo, ha dovuto in questi anni ricredersi.
Anche in questa occasione abbiamo portato avanti critiche ed osservazioni che non ci consentono di collocarci positivamente sulla legge di bilancio: crediamo di averlo fatto con fermezza, ma anche con serenità di giudizio, nel rispetto delle posizioni politiche, ma anche dell'obiettività.
A far trasparire il nostro apporto.
Il modo di collocarci su ogni questione e tanto più su di un bilancio preventivo non ci porta mai ad emarginarci, ma a partecipare ed in questo modo la critica diventa apporto, l'osservazione dell'opposizione diventa meditazione per la maggioranza e la vicenda complessiva di questa legislatura registrerà quanto (e non sarà certamente poco) delle nostre idee, delle nostre tesi, del nostro ragionare, ha avuto influenza nelle azioni di governo di questa Regione.
Anche questo bilancio per noi ancora insoddisfacente, recepisce almeno parzialmente le linee di impostazione sulle quali nel 1978 richiamammo la maggioranza ed oggi vediamo quelle linee ricordate puntualmente nella prima parte della relazione Rossotto.
Lo scorso anno, concludendo il mio intervento sul bilancio, ricordai con un'immagine, che si era ormai imboccato il lungo rettilineo d'arrivo per la volata elettorale del 1980.
Una rilevante parte del rettilineo è ora già stata percorsa e voglio sperare che questa volata non debba essere preceduta da altra corsa elettorale che potrebbe essere richiesta dalla difficile situazione nazionale.
Mentre il traguardo dell'80 si intravede più vicino, ricordiamo innanzitutto a noi stessi che al confronto elettorale si deve andare con rigore sulle idee espresse, sulle dichiarazioni fatte, sulle scelte e sugli indirizzi operati, sulle proposte per il futuro, sulla correttezza della gestione, sull'imparzialità dell'informazione, sull'effettivo pluralismo interno della struttura regionale.
Su queste linee il Gruppo democristiano intensificherà la sua presenza e la vigilanza da quel ruolo di opposizione in cui la vicenda elettorale di un ormai lontano 1975 lo ha collocato e nel quale con impegno e responsabilità costantemente opera.



PAGANELLI ETTORE



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PAGANELLI

E' iscritto a parlare il Consigliere Rossi. Ne ha facoltà.



ROSSI Luciano

Signori Consiglieri, ancora una volta ci troviamo di fronte alle scadenze del bilancio, scadenze importanti tanto per il significato che tale documento assume da sempre nella vita delle assemblee elettive, quanto per quello che esso realmente rappresenta nella vita della collettività regionale. In fondo bisogna prendere atto che le innovazioni procedurali e legislative in tema di programmazione e contabilità regionale hanno portato ad una rivitalizzazione politica della discussione di tale documento. Ci troviamo cioè di fronte non tanto ad una discussione che serve a verificare lo stato dei rapporti tra maggioranza e minoranza in base a già definite ipotesi di schieramento politico, quanto ad una discussione che si fonda sui risultati e sulle previsioni inerenti la programmazione regionale.
Certamente ciò non è indifferente nei confronti delle scelte delle varie forze politiche, ma credo che l'ancoraggio a questa grande scelta di metodo sia un fatto rilevante nella vita politica regionale.
Del resto il clima politico che si respira da due anni a questa parte ha senz'altro favorito questo miglioramento qualitativo del dibattito tra una maggioranza che fa governo ed una minoranza che non si chiude nelle sacche del minoritarismo ma che fa il suo mestiere di vera opposizione, il che vuol dire sempre un'indiretta partecipazione al governo.
Dicevo del clima politico degli ultimi anni (al di là della situazione nazionale attuale) che ha creato l'effetto di facilitare alcune modifiche istituzionali che, anche se perfezionate sul piano teorico e tecnico nell'ultimo ventennio, non si erano mai tradotte in pratica proprio perch le trasformazioni istituzionali erano inevitabilmente condizionate dalla logica degli schieramenti politici che, come è noto, era fondata sulla pretesa della non legittimazione democratica del P.C.I.
Non è quindi un caso, venendo ai temi specifici, che nel corso degli ultimi due anni ci sia stato un flusso di innovazioni di rilevante portata per quello che riguarda la rivitalizzazione del ruolo delle assemblee elettive: basti pensare alla legge 468/78 che in una certa qual misura ha affrontato il problema principale dei rapporti tra esecutivi ed assemblee qual è quello della gestione del bilancio. La linea che mi sembra stia emergendo è quella dello sviluppo di una maggiore capacità di controllo da parte delle assemblee sugli esecutivi, controllo che non si può certo limitare alla scelta degli stanziamenti, o alla verifica dei consuntivi, ma che deve essere sempre possibile anche in fase di gestione e di politica di cassa.
Oggi tra l'altro non è più necessario andare a ricercare i dati all'interno degli uffici, ma è possibile avere una situazione aggiornata della gestione del bilancio attraverso gli strumenti di calcolo del Consorzio piemontese per il trattamento automatico dell'informazione: certamente le macchine sono limitate dalle informazioni che l'uomo loro dà ma nonostante i limiti dovuti ai criteri di lettura dei dati, favoriscono l'emergere di alcuni indicatori che rappresentano degli utili strumenti di controllo (registro dei beneficiari, andamento dei pagamenti, ecc).
Questo discorso porterebbe lontano e non è il caso di affrontarlo qui tra l'altro non va sottovalutato che l'emergere di questi fenomeni positivi è a volte controbilanciato negativamente da un progressivo venir meno di un corretto rapporto Stato-Regioni, in termini di autonomia e programmazione (e la stessa legge 468/78 non è immune da queste pecche).
Un secondo aspetto positivo che deriva dalla discussione del bilancio di questi giorni, in paragone al passato, è il fatto che indubbiamente si è consolidato un rapporto organico tra programmazione e bilancio, se non altro in termini di trasparenza delle cifre rispetto agli obiettivi programmatici cui esse sono sottese: non è un caso che nei riguardi della relazione sullo stato di attuazione del programma si siano avute in genere delle valutazioni positive, specie sul piano del metodo a testimonianza delle esigenze di conoscenza e di partecipazione alla politica di piano delle forze sociali presenti nella Regione, nonché dei ritardi che si stanno gradualmente recuperando su questo versante. Direi che questi sono i due grandi temi che, possiamo dire, sono acquisiti a livello politico e di massa, e che costituiscono momenti irreversibili, proprio perché hanno raggiunto un'acquisizione di massa, nella politica generale dell'Ente Regione, qualsiasi maggioranza si venga a formare, e cioè: la trasparenza di bilancio in termini di un diverso rapporto Giunta-Consiglio, il metodo della programmazione come acquisizione politico-culturale generalizzata al livello delle forze sociali e soprattutto degli amministratori pubblici locali effettivi. Io credo di poter dire che siamo ad un punto di non ritorno, e che questo risultato lo abbiamo raggiunto grazie al fatto che non abbiamo mai interrotto un legame con la collettività che ci sta intorno.
Ed allora, egregi colleghi, è proprio per questi motivi che preoccupa grandemente un certo tipo di impostazione di politica economica che emerge dal piano triennale presentato dal Governo, nel quale la tematica istituzionale viene considerata nello stesso tempo un vincolo ed un problema da affrontare in una fase successiva all'attuale. Io credo allora che quando si fa ancora una volta saltare il nesso, secondo noi ineliminabile, tra nuova politica economica e nuova politica delle istituzioni, i rischi siano davvero grandi: siamo cioè di fronte ad un'impostazione aggiornata della vecchia politica dei due tempi con la sola differenza che là si parlava prima di sviluppo spontaneo e poi di riforme adesso, in pratica, a me sembra si parli solo di sviluppo spontaneo. Ne deriva inevitabilmente un'impostazione che ragiona solo in termini di contenimento del costo del lavoro e del deficit del settore pubblico allargato, complessivamente, senza scendere sui temi della politica degli investimenti, di come e di quando e da chi sono attuati: addirittura c' chi assume l'incapacità di spendere da parte dello Stato ed in genere delle Regioni come il prodotto dell'inefficienza connaturata allo Stato delle autonomie disegnato dalla Costituzione.
Io credo che oggi bisogna scegliere:, o si sta dalla parte di una prospettiva di riforma dello Stato, si crede cioè in una prospettiva di sviluppo che sia collegata ad un allargamento della democrazia, o ci si affida alla logica delle "concessioni", delle "agenzie", dello Stato in appalto nei confronti di quelli che vengono reputati gli unici soggetti "efficienti" nel sistema.
Purtroppo l'attuale legislazione statale sulle Regioni e sulle altre autonomie locali non contribuisce certo ad uno sviluppo della politica di piano a livello locale: valga l'esempio, giustamente sottolineato nell'apertura della relazione di Giunta al bilancio, del trasferimento dei fondi per funzioni già delle Regioni ed ora attribuite direttamente ai Comuni. In un colpo solo si è inserito un elemento di divisione tra Regioni e Comuni e si è eliminato uno strumento di programmazione da parte delle Regioni stesse quale poteva essere la gestione di tali fondi coerentemente agli indirizzi della legge regionale 39/77 e del piano socio-sanitario.
Tralasciamo poi di ricordare la settorializzazione sempre più massiccia dei fondi trasferiti da parte dello Stato alle Regioni, metodo da tempo da noi evidenziato come uno strumento per affossare in una qualche maniera le funzioni di programmazione delle Regioni sancite in tutti gli Statuti. Tra l'altro questa è una maniera per accusare la finanza derivata di colpe che non ha necessariamente, in quanto ben diverso sarebbe l'assetto di una finanza regionale fondata esclusivamente su trasferimenti generali incondizionati, quali potevano essere quelli previsti dagli art. 8 e 9 della ben nota legge 281/70, e finalizzati a un'ottica di riequilibrio tra le Regioni, ma non ancora di programmazione.
Anche sul piano dei rapporti tra Regioni ed Enti locali non si pu sottacere come gran parte delle difficoltà derivino da una realtà normativa ormai inquinata, che le Regioni possono innovare solo in termini culturali cioè con quello sforzo, di cui dicevo all'inizio, di diffusione di una mentalità programmatoria, di superamento a livello politico dei rischi del municipalismo. Certo che se queste iniziative non vengono corroborate da scelte razionali conseguenti, l'insuccesso è scontato e non si risolverebbero certo i problemi dei Comuni erogando più celermente gli stanziamenti regionali inondando solo il nostro territorio di 1000 miliardi di lire circa (quando invece i soli bilanci preventivi dei Comuni del Comprensorio di Torino toccavano nel 1978 i 1518 miliardi).
Questa è un'impostazione non solo errata, ma anche scorretta, per toccare i problemi nodali della finanza regionale, viziata direi da una moda di carattere "giornalistico" se si pensa che oggi il concetto corrente e mistificatore a cui è associato il termine Regione è non tanto quello di Ente politico autonomo che deve promuovere la partecipazione dei cittadini ma quello, negativo, di generatore di "residui passivi".
Io credo, signori Consiglieri, che al di là del discorso tecnico sui residui passivi, sul quale torneremo in seguito, debba essere oggi ribadito il ruolo che noi crediamo che debbano assumere le Regioni nel nostro ordinamento istituzionale, e che è anche stato ben sottolineato nella relazione di Giunta là dove si afferma che "le Regioni sono Stato anche perché concorrono a determinare le linee della politica complessiva del settore pubblico allargato". Se si parte da questa idea, se non si chiude l'iniziativa politica regionale nei confronti dello Stato né in un rivendicazionismo spicciolo né in un esasperato autonomismo che non tenga conto delle scelte del Parlamento, io credo che molti dei problemi in cui si dibattono le Regioni potranno essere superati.
Certamente però la volontà di partecipazione della Regione all'elaborazione delle linee di politica economica e finanziaria nazionale non può limitarsi ad un comitato tecnico o ad una pura e semplice consultazione ai documenti (piani e bilanci) già predisposti ed alla cui impostazione generale le Regioni non hanno in alcun modo partecipato.
Il discorso da qui si irradia ai rapporti Regioni-Enti locali, rapporti inquinati da iniziative scorrette che rischiano di offuscare per sempre il ruolo programmatico delle Regioni. La formazione di canali finanziari diretti Stato-Enti locali da un lato, la separazione della Regione da qualsiasi funzione di coordinamento dei flussi creditizi all'interno della Regione, la dispersione degli interventi regionali in una miriade di provvedimenti di sostegno finanziario degli Enti locali, sono tutti vincoli che snaturano il rapporto Regione-Enti locali.
In questa situazione resta ben difficile uno svolgimento di funzioni da parte della Regione essenzialmente tramite la delega: certamente ci sono ritardi anche da parte regionale, ma bisogna anche tener presente come una attuazione piena dell'articolo 118 della Costituzione debba poter basarsi su un tessuto istituzionale adeguato, quale quello che si può sperare dai lavori del Comitato ristretto per l'elaborazione di un testo di legge unificato sulla riforma della legge comunale e provinciale. A questo proposito c'é stato recentemente un incontro tra i parlamentari dei vari partiti e l'Ufficio di Presidenza della Regione Piemonte. La discussione svolta è stata interessante, tuttavia bisogna trovare il modo per rendere più partecipi gli eletti degli Enti locali al fine di sviluppare un dibattito più ampio e compiuto.
Signori Consiglieri, questa situazione del quadro istituzionale, così come abbiamo sinora esposto, non va disgiunta da un esame della situazione economica che investe anche la nostra Regione. Esame che certamente svilupperemo a giugno in occasione della relazione economica che la Giunta dovrà predisporre in legame alla revisione del Piano di sviluppo. Tuttavia sarebbe errato non parlarne, seppure brevemente, già in questo dibattito specie dopo le consultazioni avvenute.
L'attuale fase congiunturale, specie nella nostra Regione, presenta sintomi di miglioramento, che indubbiamente sono correlati al miglioramento generale dell'economia del Paese, ma che hanno anche e soprattutto una loro specificità legata alla meccanica auto e indotto, rappresentato dal saldo positivo dei nostri conti con l'estero e dalla diminuzione del tasso di inflazione. Tuttavia non dimentichiamo che permangono situazioni di estrema difficoltà, sia zonali che di settore, ed ancora non si può non rilevare che i guasti strutturali dell'economia italiana permangono, ed in particolare sono aggravati dall'apparire di sintomi sempre più gravi di una ingovernabilità dei processi economici e sociali: ci riferiamo al discorso comune sulla cosiddetta economia sommersa, che viene contrabbandato come una risposta oggettiva del sistema economico alle pastoie ed ai vincoli della programmazione.
Un amico carissimo della D.C. mi diceva che la programmazione è come la lucertola figlia del coccodrillo: dove c'é programmazione non c'é più sviluppo economico. Facciamo attenzione a dare giudizi sulla situazione economica perché potremmo andare molto distante o tornare allo sviluppo spontaneo.
In realtà questi sintomi non sono da valutare positivamente perch rappresentano il riapparire di processi spontanei di sviluppo, ma devono invece essere analizzati con molta cautela in quanto rappresentano un fattore di instabilità strutturale del sistema; in termini politici tra l'altro dimostrano l'incongruenza di alcuni discorsi di parte confindustriale sul costo del lavoro.
Il discorso dell'ingovernabilità dello sviluppo si riallaccia ai limiti della parte istituzionale del piano triennale del Governo, nella quale come ho affermato in precedenza, il discorso sugli apparati amministrativi dello Stato è alquanto fumoso, limitandosi a richiedere una riaggregazione dei compiti da parte del CIPE nei confronti degli altri Comitati interministeriali, ed a proporre un più ampio ricorso allo strumento della "concessione" nel settore degli investimenti infrastrutturali.
Ora non saremo certo noi ad opporci a nuove forme giuridiche di intervento dell'operatore pubblico che ne incrementino l'efficienza, ed a questo proposito vi sono alcune elaborazioni della Giunta interessanti purché si provveda ad una trasformazione parallela degli apparati pubblici.
In altre parole, nuovi strumenti implicano nuovi manovratori e, per scendere nel concreto, nuovi interventi nel settore dei lavori pubblici implicano un nuovo tipo di Ministero dei lavori pubblici, profondamente riformato e che tenga conto dell'esistenza delle Regioni. L'esempio vale per tutti gli apparati settoriali dello Stato, vista l'attuale lentezza con cui si mettono in moto le procedure delle nuove leggi di programmazione con particolare riguardo per la legge di riconversione industriale. Ripeto questi temi li riprenderemo a giugno, e pertanto avremo occasione di esprimere più compiutamente le nostre valutazioni.
Signori Consiglieri, se scendiamo più in dettaglio nei contenuti del bilancio emerge un dato di notevole rilevanza, già implicitamente sottolineato all'inizio e cioè che noi stiamo attuando un piano regolarmente deliberato dal Consiglio regionale ed abbiamo sempre quindi presente un quadro di riferimento programmatico per giudicare la coerenza delle nostre scelte, e mi sembra che nel corso delle consultazioni questo quadro sia stato utile per garantire prese di posizione coerenti e sempre inserite in un contesto generale. Indubbiamente il metodo della programmazione ha fatto passi in avanti.
Credo, a questo proposito, che il piano lo si attua solo con entrate certe ed in una certa qual misura manovrabili discrezionalmente, cosa che al contrario, esaminando le previsioni di entrata; non si riscontra, anche se passano a 1.500 circa miliardi con l'ultima variazione. Quando il 74 circa delle entrate regionali sono vincolate nella destinazione è chiaro che i margini di manovra nell'elaborazione dei programmi e dei progetti sono limitati, e non sto a richiamare i temi presenti nella relazione della Giunta e del collega Rossotto che condivido. I dati di bilancio rispecchiano la situazione della finanza regionale che abbiamo delineato in precedenza, per cui bisogna porsi per tempo i problemi che derivano dall'ormai non tanto lontana scadenza della legge 356 del 1976 e delle iniziative politiche di cui ci dovremo fare portatori.
Sul fronte della spesa credo che innanzitutto si debba sottolineare la coerenza generale delle scelte finanziarie rispetto a quelle del Piano di sviluppo, che sarà aggiornato a giugno; in particolare credo che vada sottolineata l'ormai indubbia attualità (specie se posta in relazione con le carenze che abbiamo individuato nel piano triennale), di quello che era il programma obiettivo di organizzazione ed informazione compreso nell' area di attività, organizzazione istituzionale e decentramento, e soprattutto le realizzazioni raggiunte in questi due anni di piano. Così possiamo ricordare la definizione della legge sull'ordinamento degli uffici da un lato e che secondo termini stabiliti dovrà completarsi con l'altra legge che inquadra il personale sul piano funzionale e dell'applicazione del contratto sindacale; il consolidamento degli strumenti della programmazione (Consorzio per il trattamento automatico dell'informazione Ires, Esap e Finpiemonte) dall'altro. Sul fronte del decentramento va sottolineato il ruolo assunto dai Comprensori nella programmazione regionale attraverso l'elaborazione delle delibere programmatiche, oltre che negli interventi nei confronti degli Enti locali, a testimonianza della produttività di questo "investimento istituzionale".
Già la relazione del collega Rossotto ha illustrato le questioni scaturite nelle consultazioni con gli Enti. Solo una considerazione desideriamo fare: per passare ad una fase più efficace della programmazione ci pare sia necessario potenziare ed utilizzare sempre meglio gli strumenti come il Centro di calcolo ed andare ad un affinamento della capacità di elaborazione scientifica e metodologica da parte dell'Ires. Così dicasi dei Comprensori, i quali non devono essere delle isole separate dagli Enti locali, ed in tal senso assume grande significato, dopo le deliberazioni programmatiche, la formulazione dei piani socio-economici comprensoriali.
Questa formulazione è decisiva per andare anche ad una applicazione più organica di certe leggi come quelle sui trasporti e dell'uso del suolo, ma anche perché i futuri bilanci della Regione siano finalizzati agli stessi piani comprensoriali se si vuole rendere più efficaci le scelte di investimento nel contesto di un coordinamento serio della finanza regionale e di quella degli Enti locali. Su questo punto credo si debba impegnare ancora di più la volontà e la capacità della Giunta e del Consiglio nei prossimi mesi, proprio per il fatto che ci avviamo al termine della legislatura regionale.
In merito alle altre previsioni di spesa indicate nelle aree d'intervento mi limiterò ad alcune sottolineature e considerazioni per quanto concerne la I, II, III e V area. Tralascio quella della sanità e assistenza per ovvi motivi, anche perché recentemente il Consiglio ha dibattuto lungamente questa materia; così dicasi per le contabilità speciali e le partite di giro in quanto non necessarie per valutare la politica degli investimenti.
Ritornando alle quattro aree citate risulta che nel bilancio di competenza del 1978, assestato a giugno, erano previsti stanziamenti per 309 miliardi e 429 milioni circa; ora tale somma, secondo l'ultima nota di variazione del bilancio 1979, passa a 447 miliardi e 370 milioni circa quindi un aumento di spesa di 116 miliardi. Su tale aumento incidono secondo i dati forniti dalla relazione della Giunta, il recupero di residui perenti negli anni 1972/1976 pari a 110 miliardi. Se si fa la differenza fra le due somme, l'aumento delle spese delle quattro aree per il 1979 sarà di circa 6 miliardi.
Certo a questi dati occorre tenere presente l'inflazione avuta; di conseguenza la spesa reale che è possibile fare nelle quattro aree I, II III e V è quasi pari se non inferiore a quella dello scorso anno. Tale fatto dimostra quanto sia ormai acuta la rigidità del bilancio.
Stando al bilancio del 1979,su 1500 miliardi si possono accendere mutui pari a 12 miliardi. Ciò dimostra che sono evidenti da una parte i pericoli del settorialismo e dall'altra parte l'impossibilità di manovra nella politica di investimenti per completare il settorialismo nelle varie aree.
Al fine di non ripetermi, sottolineo per l'agricoltura solo questi aspetti: la spesa per l'acquisizione e la gestione dell'Istituto piante da legno; i contributi annuali negli interessi per favorire l'accesso al credito agrario di conduzione per 7 miliardi e la spesa di 2 miliardi circa per premi di insediamento e permanenza dei giovani agricoltori.
Interventi questi che qualificano maggiormente l'azione verso il settore agricolo sia sotto l'aspetto scientifico che sociale.
Nel settore dei trasporti ricordo l'incremento della spesa del 152 rispetto al 1978, pari ad una somma di 14.600 milioni per contributi in capitale destinati all'acquisizione di autobus e di materiale rotabile. Di grande valore politico e scientifico è l'intervento per gli studi connessi alla formazione dei piani comprensoriali di trasporto, che comporta una spesa di 300 milioni. Per quanto concerne i 17 miliardi circa, stanziati per la viabilità provinciale e comunale, invitiamo la Giunta ad esaminare la possibilità che i contributi siano dati in interesse anziché in capitale, al fine, se possibile, di realizzare maggiori opere dato l'intervento della Cassa Depositi e Prestiti verso gli Enti locali.
Sottolineo ancora la spesa di 2.850 milioni per la realizzazione del laboratorio cartografico regionale e quella di 1.400 milioni in più rispetto al 1978, per contributi ai Comuni destinati alla redazione degli strumenti urbanistici.
Dai documenti della Giunta si sottolinea che la spesa per gli acquedotti, le fognature e gli impianti di depurazione si sta finalmente sviluppando dopo la costituzione dei Consorzi. L'ulteriore spesa per contributi di 14 miliardi circa in capitale e in interesse, non solo è giusta, ma va attentamente approfondita nel senso che occorreranno ulteriori stanziamenti per soddisfare le maggiori spese dovute a lievitazione dei prezzi delle opere già in parte attuate.
In merito agli stanziamenti per l'artigianato, dato che la nuova legge riscontra una dinamica notevole, ci pare opportuno sottolineare che in sede di assestamento si ricerchino ulteriori fondi, anche a scapito di altre attività meno produttive. La legge per le aree attrezzate per insediamenti artigiani sarà un nuovo passo in avanti in questo importante settore produttivo.
In questo bilancio anche il settore dello sport trova finanziamenti ammontanti a 4 miliardi e mezzo circa. Vogliamo soltanto ricordare la necessità di seguire attentamente la dinamica della spesa in questo campo onde non accumulare residui.
Ultimo aspetto che intendiamo sottolineare è quello della formazione professionale. Il salto qualitativo fatto con gli investimenti per il centro professionale di Biella, di Orbassano e di Vercelli è assai importante. La legge per l'istruzione professionale dovrà permetterci di acquisire altri significativi risultati. La consultazione fatta ci ha permesso di acquisire nuovi elementi di valutazione che dovranno essere tenuti in considerazione. In materia di istruzione professionale invito il Consiglio regionale e le forze politiche ad operare nei confronti della CEE perché sia possibile disporre anche del fondo sociale che, purtroppo, trova seri motivi di discriminazione nei confronti della nostra Regione. Nel documento della Giunta vengono specificati a livello comprensoriale gli investimenti che si intendono realizzare. Queste brevi valutazioni ed osservazioni fatte e che interessano alcuni capitoli di spesa ci fanno ricordare il documento della Giunta regionale dove vengono specificati a livello comprensoriale gli investimenti che si intendono fare. Tale documento è stato giudicato interessante dai Comprensori, tuttavia è opportuno completarlo in quanto sono assenti alcuni settori. E' anche opportuno che tutti gli Assessori investano i Comprensori al fine di finalizzare gli interventi. Attendiamo dalla Giunta una risposta in merito.
Per concludere, signori Consiglieri, vorrei fare alcune considerazioni sui residui passivi; intanto i dati che emergono manifestano indubbiamente un andamento oscillante della capacità di spesa della Regione valutandola in termini percentuali sulla massa spendibile sia come percentuale dei pagamenti di competenza sia sugli stanziamenti di competenza. Però il dato di ogni anno non è omogeneo rispetto al precedente in quanto si sono progressivamente accresciuti i fondi settoriali a destinazione vincolata che come è noto sono attribuiti alla fine dell'anno di competenza, e che quasi mai sono stati trasferiti all'anno in cui è probabile che verranno impegnati, come è accaduto quest'anno nel caso dell'agricoltura.
Ugualmente, qui non se ne parla mai, io mi chiedo se la politica di tesoreria dello Stato sia un variabile dipendente dalla nostra politica di cassa o viceversa, cosa secondo me più probabile e testimoniata da alcune parti del piano triennale, non sia tutto sommato la nostra politica di cassa una variabile dipendente dalla politica di tesoreria dello Stato. (I dati sui nostri residui attivi possono essere letti con quest'ottica).
Inoltre occorre tenere presente che ci sono dei limiti (certamente non sempre raggiunti) per la stessa capacità di innovazione legislativa concorrente delle Regioni. La carenza di una legislazione quadro nazionale fondata sui principi coerenti con la Costituzione (ed il recente convegno dei Consigli regionali a Napoli ne è stata una chiara dimostrazione), rende spesso impossibili ardite innovazioni procedurali. E' però soprattutto la carenza di coordinamento delle iniziative regionali con le iniziative di altri operatori pubblici sul territorio regionale a rendere lente le procedure di spesa; ed è altresì l'estrema verticalizzazione dell'apparato amministrativo dello Stato, (al di là della proliferazione dei Comitati interministeriali), che stimola inevitabilmente una parallela verticalizzazione dell'Amministrazione regionale impedendo la programmazione degli interventi, ed amplificando le fasi dei procedimenti amministrativi, con gli inevitabili allungamenti dei tempi di spesa.
Comunque non si possono sempre considerare i residui passivi indicatori assoluti di incapacità di spesa perché, da un lato, essi corrispondono ad opere già attuate o in via di attuazione, e, dall'altro, spesso le stesse promesse di pagamento (gli impegni in senso contabile) attivano processi economici. Si pensi solo che un decreto della Regione che approva il progetto di un Ente locale può dar luogo ad un appalto senza che la Regione abbia ancora speso una lira. Se si innesca poi il meccanismo della Cassa Depositi e Prestiti passano anche 3 anni prima che la Regione inizi a versare i contributi.
Su questo mi sento di fare delle proposte, sollecitando tutti quelli che nel corso delle consultazioni hanno fatto delle osservazioni al bilancio ad offrire elementi propositivi funzionali all'eliminazione di quelle "strozzature" e "pastoie burocratiche" di cui tutti parlano, ma intorno alle quali non si riesce a superare il momento della pura denuncia e mi rivolgo in particolare alle Camere di commercio, con l'unica eccezione di alcune proposte interessanti per l'agricoltura.
La lotta ai residui passivi passa comunque anche attraverso una revisione delle leggi di spesa regionali, che tenga conto attentamente degli atteggiamenti delle forze politiche e sociali interessate, perch solo attraverso un loro diretto coinvolgimento gli "intoppi procedurali" potranno essere risolti. Tanto per essere chiari noi riteniamo che la preannunciata legge quadro sui lavori pubblici regionali debba passare attraverso il vaglio di un ampio processo di consultazione con l'Anci l'Urpp, i Comprensori, le forze imprenditoriali che potranno dare un grande contributo a tale riforma. Ciò vale anche per alcuni ritocchi da fare alla 63/78, in quanto anche su questa vale il discorso generale che i residui passivi sono spesso generati da incrostazioni di carattere politico-sociale da superare, oltre che da rapporti istituzionali da rinnovare quali quelli con gli istituti di credito.
E' una sfida che come Consiglio regionale dobbiamo quindi affrontare chiedendo la partecipazione ed il contributo di tutta la collettività regionale entro la scadenza della legislatura, e possibilmente già in fase di revisione del Piano regionale, del bilancio pluriennale e di assestamento del bilancio annuale.
Signori Consiglieri, tutti i temi di cui abbiamo parlato sono direttamente collegati ai problemi della nostra società, ai problemi del governo dell'economia, e su tali temi lo sforzo politico e culturale deve essere intenso. Il mio partito va ad un congresso nazionale con tesi in cui uno dei temi principali è quello di come saldare insieme sviluppo economico e sviluppo della democrazia, di come controllare socialmente l'evoluzione del sistema economico: una risposta a questi quesiti non può non comprendere una riconsiderazione profonda del ruolo delle istituzioni pubbliche elettive nel governo dello sviluppo, del ruolo della partecipazione, dell'esigenza "di far contare di più" i singoli membri della nostra collettività.
Al di là dei limiti sempre presenti ci sembra che in questi ultimi anni tale ruolo si sia notevolmente accresciuto - ed anche il Consigliere Paganelli lo ha riconosciuto - contribuendo alla definizione dei grandi obiettivi socio-economici della nostra Regione ed al loro raggiungimento attraverso vari strumenti tra i quali emergono i bilanci che stiamo discutendo: è anche per questi motivi che il mio Gruppo vota a favore ed invita le altre forze politiche a fare altrettanto perché la Regione ha oggi bisogno di un atto politico di forza, ma non è solo per questi motivi che rivolgo questo invito perché grande è la preoccupazione che il momento delicato in cui si trova il Paese porti ad uno scadimento della capacità politico-operativa regionale in un momento in cui viceversa occorre sempre più dimostrare la saldezza e l'autorevolezza delle istituzioni. E che ci sia necessario lo dimostra ancora quanto riportano alcuni giornali interessati e più specificatamente alcune forze economiche. Si afferma infatti che esisterebbe una ripresa della Borsa perché il Governo è in crisi. Se passasse tale logica, che per motivi di carattere generale si blocca anche l'attività delle istituzioni periferiche, ne verrebbe un grave danno alla democrazia, in senso più generale. Anche per questo è necessaria una presa di posizione coerente del nostro Consiglio.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SANLORENZO



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Petrini.



PETRINI Luigi

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, un'occhiata al calendario ci dice che è questo l'ultimo bilancio effettivo, organico della II legislatura, in quanto la gestione e l'applicazione del prossimo, quello del 1980, sarà inframmezzato dalla naturale scadenza del Consiglio regionale. E' una occasione, forse fra le ultime, di affrontare con serenità i temi essenziali della vita regionale sotto il profilo del documento più importante che la caratterizza. Dico subito - e con ciò mi collego a quanto già osservavo lo scorso anno, - che esistono due angolazioni, l'una tecnico-contabile, l'altra politico-programmatica attraverso le quali guardare al bilancio regionale. Entrambe formano le componenti del giudizio che di esso ci si forma: ma mentre il collega Paganelli ha sviluppato tutta la tematica del bilancio in senso ampio, è mio desiderio scendere nel merito di talune osservazioni specifiche riferite ad alcune aree di intervento. Con una avvertenza, però,di tutta evidenza: l'aspetto tecnico del bilancio non si scinde da quello politico in quanto l'uno è il mezzo operativo attraverso il quale si esprime il secondo. Tutti i discorsi che andremo a fare devono tenerne conto qualunque sia il settore cui si riferiscono: un bilancio, per essere valido, deve essere credibile, deve cioè istituire strette interazioni tra ciò che si dice di spendere e ciò che si può effettivamente spendere. Ma proprio a questo punto sul bilancio 1979 cominciano alcune perplessità.
Comunque prima ancora di formulare critiche, mi preme dire che la coscienza dei nostri mezzi e la consapevolezza del poco tempo che resta disponibile impongono di incamminarci su due direttrici. La scelta innanzitutto di alcuni obiettivi ben definiti, abbandonando disegni troppo vasti, troppo ambiziosi rispetto alle attuali potenzialità della Regione Piemonte. Il Piano di sviluppo, vecchio di soli 18 mesi, è veramente superato da molte realtà di oggi, prima fra tutte proprio quella finanziaria (avremo ben di più di quanto ritenevamo di ottenere), per cui ne viene resa per lo meno inattuale l'impostazione rivendicativa verso il Governo che ne costituiva la premessa. Ma è superato anche proprio per la sua onnicomprensività, per il suo differire gli indirizzi sempre a momenti successivi. Oggi si impone visto anche il sostanziale fallimento della legge sulle procedure della programmazione - sotto il piano del profilo temporale - di invertire la rotta, cercando di identificare obiettivi qualificanti, secondo criteri non riduttivi ma di puro realismo. Sanità, politica industriale, agricoltura opere pubbliche.., ecco delle indicazioni, per ora generiche, dei settori in cui si sente maggiormente il bisogno.
Per fare questo - ed è il secondo punto conseguenza del primo - occorre scendere nel merito di alcune scelte concrete, studiare sì dei progetti, ma poi confrontarci su di essi, andare alla loro applicazione, non subire in ogni campo di attività l'iniziativa programmatica altrui, sia essa locale o nazionale. Se non abbiamo grossi esempi alle spalle, confidiamo che il bilancio per il 1979, ultimo anno pieno di questa Amministrazione regionale, ci riservi sotto questo profilo qualcosa di meglio. Molta della conflittualità chiamiamola così che si potrà determinare attorno al bilancio del 1979 verterà attorno ancora alla questione dei residui passivi. Senza soffermarmi su di una disamina tecnicamente rigorosa sulla reale entità degli stessi, mi preme sottolineare come essi purtroppo ci siano, non manifestino tendenza promettente alla diminuzione, in sostanza inficino la reale capacità operativa della Regione in settori chiave come quello dell'assetto del territorio e della realizzazione di infrastrutture pubbliche. Dico subito che mi rendo conto che l'evenienza del residuo passivo, conseguenza di accrediti statali o di leggi da noi approvate nel corso dell'anno può avere ripercussioni sul bilancio regionale, anche se molte obiezioni di carattere tecnico organizzativo potrebbero essere fatte.
Tuttavia ciò non sposta i termini del problema in quanto le maggiori disfunzioni, in termini di capacità di spesa, si registrano proprio là dove è la Regione ad intervenire in prima persona in termini finanziari.
Diciamolo francamente per impegni di spesa inferiori al 10% nel corso di tutto un anno (programma smaltimento dei rifiuti ed altri interventi nel settore inquinamento) risultano del tutto inaccettabili in quanto sono invece di una sostanziale inoperatività della norma regionale. Allo stesso modo quando noi abbiamo una globalità di impegno, pari cioè al 100% dello stanziamento, diventa parimenti inaccettabile che i pagamenti (caso delle opere igieniche acquedotti e fognature) siano praticamente nulli nell'arco di tutto il 1978.
Dalla rilevazione critica occorre tuttavia trarre l'indicazione per ovviare alla situazione. Si è parlato, e si parla tuttora, della revisione delle leggi regionali di spesa, al punto che, allegato al bilancio dello scorso anno, vi era un documento organico che prevedeva tempi e modalità della revisione stessa. Non abbiamo oggi un riscontro di quanto sia successo per cui è legittimo sostenere che l'azione regionale debba indirizzarsi ad un duplice traguardo nel campo dell'assetto del territorio e delle infrastrutture pubbliche.
Innanzitutto effettiva revisione della legge 28 del '75 sulle opere pubbliche, alla luce della normativa statale già emanata in materia di acceleramento delle procedure, ma anche, se possibile, introducendo meccanismi nuovi a livello regionale, capaci di snellire ulteriormente il cammino del contributo regionale dalla fase della concessione a quella della realizzazione dell'opera. Non posso qui fare a meno di richiamare l'ordine del giorno votato all'unanimità dal Consiglio regionale nel maggio dello scorso anno, con cui si invitava la Giunta a presentare una nuova proposta di legge ... "entro luglio 1978 al fine di adeguare la legislazione regionale a quanto previsto dalla legge statale n. 1/1988 relativa alla semplificazione delle procedure delle opere pubbliche cogliendo l'occasione per procedere ad una verifica più generale delle procedure contenute nelle varie leggi regionali in materia" Se questa è la situazione ufficiale, mi permetto di considerare un infortunio, peraltro veniale, quanto riportato nella relazione del Consigliere Rossotto di accompagnamento al bilancio circa il riconoscimento dato alla Giunta sull'impegno a dar corso alla revisione della legge 28. E dalla consapevolezza dei gravi problemi dello scorso anno che il richiamo ad un atto ufficiale e unanime del Consiglio regionale non è da parte mia perentorio, ma piuttosto stimolante ad affrontare al più presto la questione. Tuttavia mi sembra un po' troppo dare atto della tempestività di un'iniziativa di legge che è già in ritardo di otto mesi. A mio avviso comunque, sarebbe riduttivo affidarsi ad una revisione dei testi legislativi come panacea del grave problema dei residui passivi. Tale revisione infatti non potrà recare i frutti desiderati se non sarà accompagnata da una parallela azione di miglioramento della funzionalità dell'apparato regionale. Se è vero infatti che molti ritardi sono imputabili a difetti di normativa, è altrettanto vero - e lo dimostrano taluni settori (la sistemazione idrogeologica) in cui la Regione è prevalente Ente programmatore e gestore - che molte remore vanno addebitate ad un'imperfetta organizzazione strutturale della Regione, che determina tempi morti ed attese che, oltretutto, costano pesantemente all'amministrazione, anche se ultimamente nel settore il Presidente Viglione ha tentato di sopperire a queste carenze. Quante volte, con riferimento al problema del pronto intervento e delle pubbliche calamità mi è capitato di richiamare l'opportunità di un unico Assessorato, o, se vogliamo, di un unico centro operativo che si occupasse della materia? La tragedia dell'Ossola ha costretto sul campo ad una verifica della quale si sarebbe volentieri fatto a meno, ma che in sede di esame del bilancio obbliga ad un vigoroso richiamo. Quale senso può avere una ripartizione tra tre Assessorati di competenze che attengono alla medesima materia? E la non sintonia che si sta creando oggi tra viabilità e trasporti e l'urbanistica non finirà per riproporre altrove lo stesso problema? Sono interrogativi che pesano, quando si dice che in Piemonte, nel 1979, si vogliono realizzare opere pubbliche per parecchie decine di miliardi. Esiste d'altro canto un secondo rilievo, non solo formale, ma anche sostanziale, in ordine alla politica regionale quale essa traspare dall'impostazione di bilancio e dalla linea sin qui seguita dalla Giunta regionale. Tale rilievo permette altresì di sottolineare come la stessa capacità di spesa della Regione possa essere influenzata all'inizio del processo che porta all'intervento finanziario dell'Ente. Mi riferisco, evidentemente, alla questione relativa ai criteri per l'assegnazione dei contributi regionali in materia di opere pubbliche. Non è superfluo ricordare che la legge 28 del 1975 impone con l'articolo 5 alla Giunta regionale ... "in occasione della presentazione del bilancio preventivo di sottoporre al Consiglio per l'approvazione i criteri generali per la formazione dei programmi di intervento in materia di opere pubbliche".
Ora, guardiamo come stanno le cose. Non mi risulta che in quattro anni ciò sia stato fatto, ma questo sarebbe il meno - ed ogni contestazione cadrebbe - se si fossero realizzate due condizioni: dibattito annuale, in sede consiliare o di Commissione sui criteri stessi e sull'opportunità di un loro costante aggiornamento e revisione alla luce di quanto progressivamente veniva ad evolversi la situazione normativa regionale e statale uniformità di comportamento, da parte della Giunta regionale, circa la ripartizione dei fondi per tutte le infrastrutture, eliminando quelle diversità di atteggiamento che disorientano l'Ente locale e soprattutto cagionano scarso coordinamento e poca omogeneità di intervento. Se non vado errato, da che i Comitati comprensoriali avevano preso a funzionare,era invalsa la prassi, che da parte mia pienamente condivido, per tutta una serie di motivazioni, di usufruire dell'appoggio di questi organismi creati dalla Regione per impostare, delineare ed alla fine approvare i piani annuali di ripartizione. Appena tale impostazione è stata abbozzata, subito dopo lo scorso arino, è stata parzialmente abbandonata, dato che, mentre la parte viaria è ancora stata affidata alla periferia, per le opere igieniche si è seguita una metodologia di riparto dal centro, della quale né il Consiglio né la Commissione competente hanno potuto conoscere le modalità.
Credo veramente sia doveroso ricondurci, come Regione, ad una prassi di chiarezza e di omogeneità in un settore così importante come quello delle opere pubbliche: ed a mio avviso questa chiarezza, questa omogeneità si conseguono solo a condizione che i Comprensori siano direttamente coinvolti in un'operazione che non è solo di riparto, ma che è di indagine, di ricerca ed infine di scelta. Per questo motivo accolgo dal Bollettino Ufficiale con sorpresa e con preoccupazione la notizia della deliberazione del 19/12/1978 della Giunta regionale che, sotto la dizione "indagine regionale sulla consistenza delle opere infrastrutturali: acquedotti e fognature", stanzia quasi 300 milioni per un gruppo di consulenti e di ditte specializzate per svolgere tale ricerca. C'è da restare veramente perplessi! Ma che staranno facendo mai circa l'assetto del territorio, i 15 Comitati comprensoriali che entro qualche mese avranno elaborato i loro piani di sviluppo? Questa duplicazione di iniziative, che a me pare una vera e propria espropriazione di competenza della Regione a danno dei Comprensori, è secondo me indice di quella poca chiarezza ed omogeneità che la Giunta mostra a livello di azione concreta. Se ragioniamo sulle cifre osserviamo questi elementi: 1) l'indagine regionale richiederà 12 mesi di tempo: nell'intervallo quali criteri ritiene di adottare la Giunta per l'assegnazione dei fondi del 1979, in un settore che ha visto pagate nel 1978 lo 0,1% delle somme stanziate ed impegnate? 2) anche se l'annotazione può sembrare demagogica, dobbiamo pensare che con 300 milioni di finanziamento regionale possono attivarsi lavori in conto interessi per la realizzazione di opere pubbliche per un importo di 5 miliardi, pari per rendere l'idea ad oltre 1/3 dell'importo complessivo di opere stradali finanziate in Piemonte nel 1978. Faccio questa osservazione non per polemica velleitaria, ma per domandarmi e domandare al Consiglio regionale se non ritiene dannosa un'iniziativa che si sovrappone alle analisi territoriali che i Comprensori stanno in questo momento conducendo per arrivare alla redazione dei rispettivi piani di sviluppo. Secondo il mio avviso, non solo i criteri per i finanziamenti di opere pubbliche, ma l'intera politica programmatoria del settore deve tenere come punto ben fermo l'entità Comprensorio come organismo di programmazione, quale che sia il destino istituzionale dei medesimi, in quanto le funzioni da essi esercitate troveranno comunque un soggetto che se ne farà carico. Non deve esserci surroga del centro regionale verso queste entità locali, bensì coordinamento, integrazione, completamento del loro operato, senza tentazioni o suggestioni di tipo illuministico.
Il bilancio non palesa se i futuri intendimenti della Giunta sono quelli di ricondurre tutta la politica delle infrastrutture alla programmazione urbanistica comunale ovvero continueranno - come riterrei più logico e più funzionale - a fare riferimento alla pianificazione territoriale a livello comprensoriale. Il legame con la programmazione urbanistica comunale infatti è da intendersi correttamente: non può esso stesso costituire l'unico elemento di priorità per l'assegnazione del contributo regionale, bensì può rappresentare uno dei criteri preferenziali per accedere ai contributi. Non il criterio, quindi, ma uno dei criteri che è compito del piano territoriale comprensoriale identificare nel loro complesso, in piena collaborazione con gli Enti locali, che nella loro autonomia, devono poter sempre essere entità attive nella programmazione in maniera dinamica e non automatica o centralistica. Proprio l'ultimo riferimento agli Enti locali mi conduce ad una riflessione conclusiva sempre con l'attenzione al problema del finanziamento regionale di opere pubbliche. Noi sappiamo che la mole delle richieste annuali dei Comuni è posta comunemente in rapporto da 1 a 8 - 1 a 10 con le disponibilità regionali, motivo per cui la formulazione di ipotesi di investimento in questo campo da parte dell'entità comunale è sempre piuttosto aleatoria soprattutto per coloro che nel breve o nel medio termine non hanno possibilità di sopperire alla necessità di infrastrutture con propri mezzi di bilancio. Ebbene, proprio in considerazione di ciò, non sarebbe stato inopportuno offrire tempestivamente una visione di bilancio a dimensione pluriennale, che coprisse l'arco del periodo 1978/1981, così da fornire lumi anche in relazione alle future possibilità di intervento regionale. In termini di infrastrutture pubbliche ciò avrebbe consentito unitamente alla formulazione dei criteri prioritari di quantificare in concreto l'impegno regionale proprio nel momento in cui si hanno positive notizie sul fronte creditizio, per quanto concerne la Cassa Depositi e Prestiti. In altre parole, sarebbe stato necessario istituire in anticipo un rapporto meditato ed appropriato, tra l'azione della Regione Piemonte ed i 450 miliardi (150 per 3 anni) che la Cassa ha reso disponibili per il Piemonte.
Rammentiamo anche i vecchi discorsi. Sovente lamentavamo il fatto che al finanziamento regionale non facesse seguito un'adeguata possibilità dei Comuni di accesso alle fonti creditizie ed attribuivamo a questo fenomeno la causa dei molti residui passivi. Oggi si tratta di evitare che la situazione si ribalti a tutto nostro detrimento, che cioè un potenziale creditizio venga poco produttivamente utilizzato per carenze a livello di programmazione, di legislazione e di operatività concreta della Regione Piemonte. Un richiamo, dunque, nel contesto di tutti gli altri rilievi a un respiro più ampio del bilancio, soprattutto per ciò che concerne le infrastrutture pubbliche e l'invito alla Giunta a scendere al più presto nel merito dei singoli problemi sul tappeto e discuterli in Commissione mantenendo così un impegno sottoscritto in quest'aula.
Dicevo nell'introduzione dei pochi ma concreti obiettivi da perseguire nei 12 mesi di amministrazione che ancora ci attendono. Sicuramente tra di essi - che accomunerei all'agricoltura, alla politica industriale ed a quella socio-sanitaria - mi pare giusto inserire una nuova "quadratura" della politica regionale per le infrastrutture pubbliche, visto tra l'altro che esse non sono più soltanto quelle tradizionali, pur importantissime, ma coinvolgono settori quali la difesa del suolo, la lotta agli inquinamenti la depurazione delle acque, l'edilizia sociale (centri di incontro strutture commerciali, sedi di quartiere) e non solo quella abitativa.
L'impatto di questa realtà con il testo del bilancio è sicuramente difficile, perché accanto ad alcuni spunti e ad alcune impostazioni che potrebbero far ben sperare, emergono gravi contraddizioni che ho cercato di far mettere in rilievo, sempre ad esse affiancando, con spirito costruttivo, una proposta in positivo.
Tuttavia, sul piano generale, queste contraddizioni rischiano di farci perdere in credibilità, almeno a giudicare dall'esito delle consultazioni sul bilancio regionale, soprattutto in relazione a ciò che è avvenuto nei Comprensori. E' spiaciuto a tutti constatare, almeno nella mia Provincia una certa diserzione, un certo assenteismo degli amministratori locali che se per ora è forse stanchezza o sfiducia a poter concretamente incidere sulle scelte regionali, domani potrebbe essere disinteresse e ripiego su di una dimensione esclusivamente locale dei problemi. E questo sarebbe un insuccesso cui difficilmente sarà possibile rimediare nel breve periodo.
Una volta di più si impone alla Giunta di dire una parola chiara sul destino che si intende riservare ai Comprensori, pur sapendo e prendendo atto del grosso dibattito in corso sul problema dell'Ente intermedio. C' una sola alternativa: o sono messi in condizione di svolgere, a tutti gli effetti, i compiti di istituto e questo implica un grosso sforzo operativo ed un salto di qualità rispetto alla routine dei rapporti Regione Comprensorio, oppure diciamo e io non sono d'accordo che per tutta una serie di motivi essi non rispondono più alle esigenze per cui sono stati creati, od ancora che ne vanno modificati ruolo e funzioni nel contesto della dinamica delle autonomie locali: guai tuttavia a lasciarli nell'attuale stato. Invece a me pare che i Comprensori siano stati e possano ancora essere utili, a patto che non si prevarichi a loro danno con tentazioni neocentralistiche anche se c'è la consapevolezza che qualcosa in essi dovrà cambiare. Per intanto, affidiamo loro i compiti che la normativa regionale impone e chiamiamoli, come precisa linea politica, a collaborare a tutte le scelte per le quali si reputa importante ed utile il loro supporto. Nulla è inutile se è esperienza che mira a coinvolgere altre forze, altri patrimoni di capacità e competenza nelle scelte che si debbono fare, non dimenticando che essi dovranno comunque dotarsi di un proprio strumento di pianificazione.
Certo, occorre indirizzarli, coordinare l'operato e le impostazioni in omaggio ad una visione regionale complessiva dei problemi: ma con ciò non faremo altro che aiutarli a crescere, ad agevolare la creazione di una mentalità sovracomunale negli amministratori, a far prendere loro coscienza di una dimensione non solo di campanile delle singole questioni. E' questa la strada che porta all'acquisizione di un patrimonio umano e civile, che quale che sia la riforma degli Enti locali, non ci pentiremo di aver contribuito a creare.



PRESIDENTE

La parola alla signora Castagnone Vaccarino.



CASTAGNONE VACCARINO Aurelia

Signor Presidente, signori Consiglieri, la discussione sul bilancio regionale avviene in un momento politico difficile sia nazionale che internazionale e la gravità del momento rende necessaria un'azione costruttiva, anche se critica, e non invece demolitrice o di sapore preelettorale nella presunzione che a tempi ravvicinati saremo chiamati alle urne.
Partendo da questo punto di vista faremo il nostro intervento. Poich da parecchi anni abbiamo insistito sul problema dei residui passivi, ci sembra di dover dare un taglio diverso al nostro intervento proprio per non dover ripetere costantemente questo tema che peraltro è all'attenzione anche della maggioranza. Il bilancio politico e programmatorio ha per noi un significato estremamente importante, in quanto dà l'indicazione della quantificazione delle scelte che condizionano lo sviluppo dell'attività regionale. Come ha giustamente sottolineato il Consigliere Paganelli, che ringraziamo per il suo intervento puntuale, è importante far coincidere il momento della previsione con quello della gestione, quindi confondere il momento programmatorio delle scelte con quello del controllo sulla loro validità. La Regione diventa sempre più un Ente di programmazione e di legislazione piuttosto che di gestione, di qui l'importanza del bilancio previsionale.
Dobbiamo denunciare il nostro imbarazzo di fronte alla struttura del bilancio che anziché essere chiara e trasparente, tale da consentire un'immediata lettura, è difficile tanto più per quei Consiglieri che non sono membri della I Commissione. La mescolanza degli effetti della legge di slittamento, delle annualità di spesa derivanti da leggi regionali e statali con le spese previste nel '79 per programmi e progetti deforma in realtà la natura del bilancio, non qualifica la spesa, non rende chiara l'impostazione politica delle scelte della Giunta. A questo si aggiunge la scarsa sensibilità politica circa i tempi ed i modi di presentazione del bilancio al Consiglio, costituendo altro elemento di confusione. Del bilancio triennale, che ci è stato consegnato la scorsa settimana, in realtà finiremo di non tenerne conto, data la difficoltà di acquisire all'ultimo momento nuove cognizioni. La discussione del bilancio deve essere in realtà il momento fondamentale del confronto politico fra le forze presenti in Consiglio.
Passando alla parte strettamente tecnica, probabilmente più noiosa, ma estremamente necessaria, rileviamo che c'é una carenza di indirizzo nella politica finanziaria e di cassa. A questo proposito dobbiamo ricordare che non sono state mai fornite dalla Giunta informazioni esaurienti circa i depositi bancari della Regione, tenuto conto che l'indicazione a preventivo ed a consuntivo degli interessi attivi non è sufficiente, perché in essa sono compresi gli interessi relativi alle giacenze di cassa, ai fondi economali ed alle aperture di credito presso gli uffici periferici che come si sa, rappresentano oltre il 30% della spesa di investimento della Regione.
Inoltre, nell'anno 1972 furono depositati 32 miliardi che nel bilancio risultano nelle partite che si compensano con la spesa; di questi sono stati attinti 7,5 miliardi nel '76; nel '75 si attinsero 6,5 miliardi dai depositi relativi al '74. C'era una ragione da rendere più conveniente attingere ad un anno piuttosto che ad un altro? Quest'anno con la seconda nota di variazione sono stati inseriti nelle partite che si compensano con la spesa 25 miliardi. Questi 25 miliardi vaganti che cosa significano? Sarebbe interessante conoscerne la provenienza e la destinazione.
I mutui contraibili nel 1979 raggiungono i 13,3 miliardi; i mutui autorizzati ma non stipulati raggiungono i 191,2 miliardi mentre abbiamo come previsione in termini di cassa 77,6 miliardi di mutui di cui si prevede la stipulazione nel 1979. Nella relazione al bilancio non è detto nulla sulle condizioni alle quali i mutui vengono contratti, sui tassi sulla durata, sugli istituti di credito con i quali vengono stipulati. E' possibile che la Regione non abbia già avviato questo genere di trattative? Questa carenza di informazione lascia il Consiglio nell' incertezza circa la politica finanziaria che la Giunta sta conducendo, né il Consiglio pu capire quanto è spendibile ed in quali termini. Se avessimo avuto la possibilità di leggere il rendiconto di cassa saremmo stati facilitati nella lettura di quando spende realmente la Regione trimestralmente lettura che invece in un bilancio generale non è possibile fare. La scarsa chiarezza dei dati ha creato anche delle discrepanze tra ciò che risulta dai tabulati riassuntivi e ciò che ho potuto ricavare personalmente. Anche nei tabulati forniti ufficialmente dalla Giunta risultano delle discrepanze; ciò dimostra che le difficoltà esistono per i Consiglieri, ma anche per gli uffici a questo preposti.
Gli interventi si sono incentrati soprattutto sulla differenza tra la spesa che chiameremo "libera" e la spesa a destinazione vincolata.
Nell'area di attività 55 miliardi di spesa erano previsti nel bilancio nella seconda nota di variazione erano diventati 59, nel bilancio pluriennale 66, quindi l'aumento che era stato evidenziato dal Consigliere Paganelli in realtà è superato nelle previsioni del bilancio pluriennale.
Nell'area dell'agricoltura abbiamo 168 miliardi in bilancio, 177 con la seconda nota di variazione e 176 nel bilancio pluriennale: la divaricazione è lieve. Tuttavia, questi miliardi, depurati dei residui perenti e degli slittamenti, diventano in realtà 134, dei quali 99 sono a destinazione vincolata e 35 sono a scelta dello Stato.
Nella seconda area di attività c'erano in bilancio 91 miliardi; i quali, depurati dai residui perenti, diventano 76 e di questi 6,6 sono a destinazione vincolata e 84 sono a scelta regionale.
Nella terza area, gestione del territorio, le previsioni erano di 123 miliardi, 127 nella nota di variazione, 130 nel bilancio pluriennale depurati sono 87 miliardi; abbiamo in questo caso 12,8 miliardi vincolati e 65 miliardi di libera scelta. La depurazione l'ho potuta fare soltanto sul bilancio e non sulle note di variazione.
Non sono riuscita a fare con altrettanta facilità il calcolo nell'area della sanità per cui può darsi che sia incorsa in qualche errore. Esiste una forte divaricazione fra il bilancio e la seconda nota di variazione, la quale include il fondo nazionale: 549 miliardi, i quali depurati del residui perenti, diventano 525; nella seconda nota di variazione e nel pluriennale sono invece 978. Sono 499 miliardi a destinazione vincolata e 26 miliardi di libera scelta? Di questi 26 miliardi, 12 dovrebbero riguardare l'assistenza e 13 la sanità, se i miei calcoli non sono errati.
Nell'area V della formazione professionale e cultura in bilancio ci sono 55 miliardi; non ci sono residui perenti, per cui i 55 miliardi restano effettivi; nella seconda nota di variazione sono 53, quindi non ci sono grossi spostamenti; di questi, 7 miliardi sono a destinazione vincolata e 48 a libera scelta della Regione. In definitiva solo attraverso questo discorso preciso è possibile stabilire dove la Regione incide realmente con le sue scelte. Il Gruppo repubblicano condivide sulla scelta politica della Regione fatta nell'area della formazione e cultura, invece non è totalmente d'accordo sulle scelte riguardanti l'area secondaria e l'area terziaria ossia sugli 84 miliardi. Dobbiamo confessare che ci sembrano troppi i 35 miliardi dell'area dell'agricoltura, considerato che l'intervento dello Stato è così elevato che, a parte il capitolo della sanità, può essere considerato quello a destinazione vincolata più alta.
Farò ancora alcune osservazioni relativamente agli altri interventi ed alle altre spese che nel bilancio precedente erano molto elevate e che si sono ridotte in questo. Questo significa che da parte della Giunta c'é il tentativo di proseguire nella programmazione e di intervenire soltanto nelle attività programmate.
Mentre sono praticamente scomparsi gli interventi dell'agricoltura restano alti quelli dell'area formazione cultura e non ci stupiamo perch la legge quadro sulla formazione professionale è recente. La maggioranza non ha mai voluto accettare, con una logica che il Gruppo repubblicano non capisce, di varare la legge sulla formazione professionale regionale prima della legge quadro, quando invece nel campo della sanità ha voluto assolutamente varare le leggi regionali in assenza della legge quadro.
Vorremmo capire le ragioni politiche che hanno indotto la maggioranza ad assumere atteggiamenti diversi nell'uno e nell'altro campo. Secondo il nostro parere il criterio doveva essere medesimo. Apprendiamo con soddisfazione dalle comunicazioni del Presidente che è stato presentato un disegno di legge a tale proposito. Lo confronteremo con quello presentato dal nostro Gruppo.
Nel corso dell'ampio dibattito sulla sanità non abbiamo parlato del problema della spesa ospedaliera. Va detto che i parametri che usa la Regione nei confronti degli ospedali sono vecchi, in quanto si fondano essenzialmente sul numero dei letti e sulla durata delle degenze. La durata della degenza in Piemonte,secondo il nostro parere e secondo quanto dice anche la Giunta, è troppo alta. La Giunta si è preoccupata di ricercarne le cause? Quindi da un lato usiamo dei parametri che invitano gli ospedali ad inflazionare il numero dei letti e delle degenze, dall'altro lato abbiamo una scarsa continuità dell'attività dei reparti di analisi che non funzionano nemmeno 12 ore su 24,costringendo l'ammalato a giacere in ospedale molti giorni in attesa dei risultati delle analisi.
L'Assessorato alla sanità ha inviato agli ospedali una circolare nella quale sottolineava correttamente alcuni punti fondamentali e precisava che la spesa ospedaliera, a seconda dei vari comparti, può lievitare su certe percentuali e non su altre. Tuttavia è assolutamente necessario riesaminare la parametratura, diversamente la Regione non riuscirà a ridurre la spesa.
Sappiamo che esiste un tetto di spesa oltre al quale non si può andare, ma è anche interessante avere la certezza che ai costi corrispondono i benefici e che i benefici diventino superiori agli attuali. In realtà, in taluni ospedali, l'assistenza al cittadino sta degenerando.
Altro tema di cui possiamo discutere solo in sede di bilancio è quello che riguarda i piani pluriennali di attuazione che rappresentano un preimpegno di spesa a carico della Regione. I piani pluriennali di attuazione, fatte salve alcune osservazioni di carattere tecnico-formale sono stati tutti approvati dalla Giunta così com'erano. Che cosa intende la Giunta con il preimpegno? Qualche cosa che va al di là di quanto stanziato in bilancio o un cahier de doléances ? Quale certezza la Regione dà agli Enti locali dal momento che non ha rinviato i piani pluriennali osservando che c'é l'impossibilità di accettarli così come erano stati fatti? Il disegno programmatorio previsto dalla legge 57 viene a cadere e sta per tornare - scusate il riferimento - il mercato delle vacche? Un'ultima osservazione vorrei fare in ordine alla legge n. 28. Il Vice Presidente Bajardi sin dal mese di settembre ha dichiarato in Commissione che avrebbe presentato un nuovo testo.
Il Gruppo repubblicano segue con particolare interesse questo problema infatti l'ha portato avanti con estrema energia negli anni passati, ha sollecitato alla Giunta quell'inchiesta che ha definito i difetti insorti nell'applicazione della legge 28, difetti che, senza dubbio, possono consentire se non l'eliminazione dei residui passivi, quanto meno l'accelerazione del la spesa con benefici notevoli alla comunità piemontese.
Sappiamo quanti e quali compiti incombono sulla Giunta, sappiamo che non sarà possibile provvedere a tutto nel corso di un anno, tuttavia manca un anno e mezzo alla fine della legislatura e la Giunta ha ancora il tempo di dimostrare di voler adempiere ai suoi programmi. Attendiamo precise risposte in ordine alla politica finanziaria, discorso più volte sollecitato, ma che non è mai stato trattato a fondo in tutti i documenti forniti come allegati al bilancio.



PRESIDENTE

Sospendiamo la seduta a questo punto, con invito ai Signori Consiglieri di essere puntuali alle ore 15 per la prosecuzione dei lavori.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 13)



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