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Dettaglio seduta n.230 del 20/12/78 - Legislatura n. II - Sedute dal 16 giugno 1975 al 8 giugno 1980

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SANLORENZO


Argomento:

Interpellanza ed interrogazioni


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Per decisione dei Capigruppo le interrogazioni rivolte all'Assessore Vecchione inerenti alla questione IPAB saranno trattate nella seduta di domani mattina. All'interrogazione presentata dal Consigliere Cerchio sull'apertura dei corsi serali presso l'Istituto tecnico di Chieri dovrebbe rispondere l'Assessore Fiorini. Mi giunge però ora la notizia che l'Assessore si trova a Bruxelles e di questo l'Ufficio di Presidenza non era stato informato tempestivamente.
Chiede la parola il Consigliere Cerchio. Ne ha facoltà.



CERCHIO Giuseppe

Desidero informare che gli corsi presso l'Istituto tecnico di Chieri sono aperti ormai da due mesi. Prego l'Ufficio di Presidenza di tener conto che l'interrogazione è decaduta per decorsi termini, con soluzione per fortuna in modo positivo.



PRESIDENTE

Ne prendiamo atto con piacere.


Argomento: Pianificazione territoriale - Urbanistica: argomenti non sopra specificati

Interrogazione dei Consiglieri Martini e Lombardi atta a conoscere se è possibile l'eventuale rimborso degli oneri di urbanizzazione versati al Comune, nel caso in cui il richiedente non utilizzi la concessione


PRESIDENTE

Passiamo all'interrogazione dei Consiglieri Martini e Lombardi atta a conoscere se è possibile l'eventuale rimborso degli oneri di urbanizzazione versati al Comune, nel caso in cui il richiedente non utilizzi la concessione.
Risponde l'Assessore Astengo.



ASTENGO Giovanni, Assessore all'urbanistica

La questione non è stata risolta finora, ma ritengo che non possa essere risolta nella formulazione dei richiedenti. Premetto che sulle interpretazioni e sugli eventuali correttivi alla legge n. 10 sono in corso incontri a livello centrale tra il Ministro e le Regioni; l'ultimo è avvenuto la settimana scorsa. Gli uffici su questo argomento rispondono in questi termini: "...nell'introdurre la concessione per ogni attività comportante trasformazione urbanistica e edilizia, ha fissato alcune caratteristiche del nuovo regime giuridico, tra queste la più innovativa è rappresentata dalla onerosità nei casi previsti dalla legge della concessione stessa.
L'onere da corrispondere all'Amministrazione comunale è composto, come è noto, da due parti commisurate, la prima (art. 5 della legge 10) all'incidenza delle spese di urbanizzazione primaria e secondaria e la seconda (art. 6 della legge 10) al costo della costruzione per la quale è stata rilasciata la concessione".
L'onere così individuato è qualificabile come un corrispettivo una tantum per la concessione al privato del diritto, avocato con la legge 10 al potere pubblico, di procedere all' edificabilità del suolo (quindi non più l'esercizio del diritto del proprietario del suolo come avveniva precedentemente). Ne consegue quindi che in questo nuovo regime, essendo l'onere di urbanizzazione un corrispettivo dato dal concessionario per ottenere con la concessione la facoltà di usare di un bene pubblico l'estinzione o la decadenza della concessione avvenuti senza che l'opera per cui è stata rilasciata venga realizzata, non fa sorgere in capo al concessionario il diritto di richiedere la restituzione del corrispettivo versato in quanto l'onere di urbanizzazione non è un corrispettivo pagato come contro-prestazione per una prestazione non data.
Pertanto, se il concessionario dopo aver ottenuto la concessione e pagato il corrispettivo non usa la concessione, non può richiedere la ripetizione di una somma che ha versato per ottenere la facoltà di usare di un bene pubblico. E' da ritenere inoltre che non sia neppure lecito al concessionario invocare il sopravvenire di una causa di forza maggiore che gli abbia impedito l'uso della concessione in quanto la legge in tal caso all'art. 4, gli consente la facoltà di richiedere la proroga della concessione.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Martini.



MARTINI Mario

Pregherei l'Assessore di comunicare quanto ha detto al Comune di Borgo S. Dalmazzo, che ha posto il quesito in data 18 gennaio 1978. Si tratta dell'applicazione di una legge nazionale e le Regioni si sono preoccupate del problema e lo hanno sollevato nella dovuta sede. Mi auguro che venga esaminato con la dovuta attenzione e che si arrivi ad una soluzione più equa. Le motivazioni addotte sono ineccepibili dal punto di vista giuridico, tuttavia l'applicazione della legge urta con la realtà e non risolve il problema di coloro che si sono fatti i conti per realizzare una piccola casa e che hanno versato 3 4 milioni di contributi che però sono rapportati alla cubatura della casa. E' vero che è un diritto legato alla concessione, che è legato al terreno da edificare, però la somma da pagare è rapportata alla cubatura; se l'interessato si trova ad un certo momento nell'impossibilità di far fronte alla spesa globale prevista, dovendo ridimensionare il proprio programma, dovrebbe veder ridimensionati gli oneri da pagare all'imprenditore, ma anche il contributo che ha dovuto pagare. La risposta è esauriente nei termini in cui la può dare un Assessore regionale, non è esauriente se rapportata ai tempi perché ritengo che, dopo un anno, sia giusto dare una risposta puntuale all'Amministrazione comunale.



PRESIDENTE

L'interrogazione è discussa.


Argomento: Opere pubbliche

Interpellanza presentata dai Consiglieri Picco, Bianchi, Genovese, Oberto e Petrini relativa all'applicazione della legge n. 56


PRESIDENTE

Interpellanza presentata dai Consiglieri Picco, Bianchi, Genovese Oberto e Petrini relativa all'applicazione della legge n. 56.
Risponde l'Assessore Astengo.



ASTENGO Giovanni, Assessore all'urbanistica

Siamo in fase di sperimentazione e quindi di individuazione dei confini entro gli quali muoverci. Tuttavia posso dare alcune riposte alle dieci domande poste. La prima riguarda il taglio che possono dare i Comitati comprensoriali nell'esprimere il parere sul programma poliennale di attuazione e se esistono delle metodologie e dei criteri. Alcuni Comitati comprensoriali se la sono cavata con termini estremamente rapidi dando parere favorevole come, per esempio, nel caso del complesso programma di attuazione del Comune di Asti. In altri casi invece i Comitati comprensoriali sono entrati nel merito dei programmi di attuazione e qui entriamo nel secondo quesito che chiede come si verifica la congruità delle previsioni del programma di attuazione con gli indirizzi programmatici della Regione e del Comprensorio. E' evidente che fino a quando questi indirizzi programmatici sono quelli generici indicati nel Piano di sviluppo, fino a quando restano nelle dichiarazioni programmatiche dei Comitati comprensoriali, anch'esse necessariamente generiche, i Comitati comprensoriali non hanno un elemento di riferimento preciso. Si dovrà attendere la seconda tornata dei programmi di attuazione che avverrà in concomitanza con gli piani territoriali. Il Comitato comprensoriale ha un quadro di riferimento, ma siamo in fase di approccio. In alcuni casi i Comitati comprensoriali hanno fatto un'analisi approfondita e possono aver fornito pareri sulla congruità della spesa e relativi alla scelta di aree da inserire nel programma di attuazione. Nella circolare che l'Assessorato sta predisponendo e che dovrebbe arrivare a compimento entro la fine dell'anno, si cercherà di dare qualche indirizzo anche se sarà ancora necessariamente generico. Si cercherà di convogliare i pareri sulla quantità dei contributi richiesti alla Regione in rapporto alla massa globale delle risorse che sono state attribuite al Comprensorio in prima approssimazione con parametri estremamente generici. D'altra parte i programmi di attuazione non servono tanto per far sì che le opere previste dai Comuni si adeguino alle risorse regionali, ma servono per fare emergere i fabbisogni reali dei Comuni in modo da poter valutare il divario esistente fra la massa dei fabbisogni e le risorse e per poter convogliare maggiori risorse regionali per coprire i settori deficitari. Compito dei Comitati comprensoriali è quello di fare emergere la necessità che le risorse loro attribuite siano maggiori ai fini di poter sopperire a dei fabbisogni accertati attraverso questo esame di congruità che sarebbe un esame di congruità dell'effettiva richiesta di fabbisogno nella trancia poliennale del programma di attuazione.
La terza domanda è se i Comuni hanno la possibilità di controdedurre alle eventuali distorsioni di interpretazione risultante dai pareri espressi dai Comitati comprensoriali. Questa fase procedurale non è stata prevista nella formazione della legge 56 e, ove emergesse tale opportunità potremmo prevedere tale facoltà in modo informale. Il Comune, in modo non ritualmente fissato, può formulare le proprie osservazioni. Il Comitato Urbanistico Regionale di fronte ai primi programmi di attuazione ha dovuto stabilire una certa prassi e quando esistono pareri contrastanti invita nella propria sede il Comitato comprensoriale e il Comune a discutere del programma di attuazione; in quella fase è possibile controdedurre.
Il quarto punto riguarda le farraginose procedure per il rispetto dei tempi di esame e di approvazione previsti dall'art. 83. Non si tratta tanto di situazioni farraginose, quanto di ristrettezza di tempi. Il fatto che le deliberazioni dei programmi poliennali vengano inviate alla Regione entro 5 giorni fa sì che arrivino, per esempio, prima del visto di approvazione del Co.Re.Co; dopodiché succedono effettivamente dei fatti che possono creare una situazione farraginosa perché il Comune dovrebbe comunicare l'avvenuta approvazione della deliberazione, ma spesso ciò non avviene, per cui si forma un carteggio, necessario per poter ottenere le indicazioni del visto.
Questo fatto ritarda la procedura. Nell'Assessorato cui sono preposto è stato composto un ufficio di 4 funzionari, che però sono pochi rispetto alla massa di lavoro che loro compete. E' inoltre richiesto il parere dell'Assessorato al bilancio e alla programmazione e della I Commissione il parere dell'Assessorato al bilancio è inevitabile, anzi indispensabile laddove sono richiesti alla Regione dei contributi in relazione al Piano di sviluppo e al bilancio poliennale. Il parere della I Commissione (nella legge è detto "ove occorra") è dato quando ci sono richieste di contributi regionali, mentre nei casi di Comuni che dimostrano un pareggio tra le entrate e le uscite la I Commissione si limita a prendere atto. Tutto questo comporta tempi tecnici che per ora sono stati contenuti in 120 giorni; i piani esaminati sono 10/12 su 41 pervenuti. I tempi sono stati rispettati.
Per migliorare questa procedura si dovrebbe modificare il termine dei 5 giorni, stabilendo l'invio della deliberazione dopo l'approvazione da parte del Co.Re.Co.
Misure di salvaguardia. Durano fino all'approvazione del p.p.a..
D'altra parte sono state introdotte misure di salvaguardia relativamente ai piani e ai programmi e la gestione nel frattempo è lasciata alla discrezionalità del sindaco, il quale non dovrebbe rilasciare concessioni difformi. Non è prevista una definizione in termini giuridici e il Comitato Urbanistico Regionale deve esprimere un parere nel concreto quando gli programmi poliennali sono contemporanei ad una variante (almeno 10 casi su 41). Quando invece non esiste una variante, si tratta di dare unicamente un parere riassuntivo dei vari pareri, dati in sede istruttoria dall'ufficio gestione urbanistica, dall'ufficio programmazione e bilancio, dalla I Commissione e di proporre il tutto in una deliberazione della Giunta. La Giunta avrà la responsabilità dell'approvazione.
Si chiede inoltre quali sono le variazioni proponibili agli strumenti urbanistici. La legge è molto chiara in quanto finalizza la variante.
Questa variante è estremamente importante perché diventa uno strumento utile per risolvere molti problemi reali. Per alcuni Comuni come Fossano Borgomanero, Gattinara che non hanno ancora afferrato fino in fondo l'importanza di questa istituzione ei cui piani non erano sufficientemente meditati, la variante può essere impostata sul programma di fabbricazione precedente con varianti specifiche relative ai servizi. L'indicazione "essenzialmente" significa che possono essere introdotte altre varianti che siano in funzione della gestione delle aree per residenza o per opere infrastrutturali che sono contenute nel programma di attuazione.
Nell'interpellanza si chiede quale coerenza vi sia fra bilancio regionale e previsione di p.p.a.. Siamo nel campo congetturale, perché se gli p.p.a fossero partiti contemporaneamente come era nell'intenzione del legislatore, avremmo avuto celermente un quadro complessivo, non è soltanto un problema nostro perché tutte le Regioni sono in queste condizioni, anzi la Regione Piemonte ha già 40 programmi presentati e parecchi sono in arrivo, mentre le altre Regioni hanno una situazione peggiore. Quando ci sarà un quadro più ampio la Giunta potrà trarre le conseguenze e individuare eventuali ritocchi al Piano di sviluppo e al bilancio poliennale.
Le relazioni tra gli impegni richiesti ai Comuni per l'edilizia popolare e le risorse regionali e nazionali rientrano nel quadro del piano che sta preparando il collega Rivalta.
In ultimo si chiede se la Giunta ritiene riproponibile il diniego dei finanziamenti regionali ai Comuni privi di p.p.a.
Abbiamo detto che si tratta di nuovi finanziamenti e, soprattutto quelli consistenti, dovrebbero essere programmati altrimenti il programma di attuazione non avrebbe significato. Qui nasce certamente un nodo che potrà essere oggetto di una modifica o di un chiarimento della legge 56.
Esistono infatti dei Comuni che sono tenuti alla formazione del p.p.a., e Comuni che non sono tenuti, quindi si tratterà di chiarire meglio la legge 56 su questo punto. La Giunta sta studiando una proposta di emendamento che si riserva di presentare entro breve tempo.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Picco.



PICCO Giovanni

La problematicità dei problemi prospettati e la problematicità delle risposte date indicano che la nostra interrogazione non solo era pertinente e necessaria, ma era anche urgente. Mi spiace che l'Assessore, anche pressato dalle coercizioni del Presidente del Consiglio, non sia stato indotto a fare delle considerazioni politiche sul complesso delle domande.
Le considerazioni politiche sono quelle che abbiamo evidenziato al momento dell'approvazione della legge n. 56 e che ora emergono con evidenza nella vicenda dei piani poliennali di attuazione, che purtroppo sono solo una parte della complessa vicenda della gestione della legge.
Al di là della positività del fatto che l'Assessore ha manifestato disponibilità ad entrare nel merito con delle variazioni alla legge n. 56 esiste un problema di fondo che era accennato nelle conclusioni dell'interpellanza e cioè che rispetto al contenuto e allo spirito del piano poliennale di attuazione dovrebbe essere rivisto il rapporto tra Regione e Comuni prefigurando un tipo di strumento quale quello previsto dalla legge nazionale n. 10.
L'Assessore in risposta alla seconda domanda dice che gli programmi poliennali di attuazione servono per fare emergere i fabbisogni reali. A questo punto, utilizziamo questo strumento ai fini programmatori? Non so fino a che punto la legge 10 con uno strumento molto preciso e molto rigido nell'impostazione per quanto attiene alle conseguenze che questo determina sulle espropriazioni delle aree, prefigurasse una utilizzazione di questo tipo; tale utilizzazione può essere un fatto positivo, però che la legge 56 l'abbia di fatto configurata in termini strumentali è un aspetto sul quale dovremo ritornare. Rivendico quindi l'esigenza che ci sia il più ampio riconoscimento all'autonomia dei Comuni e soprattutto che non vi siano sovrapposizioni e contrapposizioni in sede di espressione di pareri da parte dei Comitati comprensoriali i quali, se si arrogassero il merito o il compito di dinieghi, compirebbero un'operazione che non è rispondente allo spirito della legge.
Ci dichiariamo soddisfatti delle risposte ai punti 7 e 10 dell'interpellanza per quanto riguarda le variazioni degli strumenti urbanistici per quanto riguarda i contributi ai Comuni per le opere pubbliche.
Rimangono dei nodi di fondo soprattutto per quanto riguarda il rapporto sulle autonomie e per quanto riguarda l'obbligatorietà a tutti i Comuni della predisposizione dei piani, sui quali le nostre riserve sono già state ampiamente manifestate. Vedo che l'Assessore addirittura non ritorna sull'argomento non volendo affrontare il confronto, tuttavia riteniamo che in sede di variazione della legge 56 il problema debba essere riproposto e rivalutato in tutta la sua gravità perché oggi ci troviamo di fronte a dieci programmi pluriennali di Comuni che hanno dimensione e titolarità per affrontare compiutamente questo strumento e per porlo nei confronti del bilancio regionale o dei contributi reali; ci troveremo di fronte a centinaia di altri programmi pluriennali rispetto ai quali questo tipo di confronto non solo sarà possibile, ma sarà controproducente ai fini stessi della linearità e coerenza di gestione della strumentazione urbanistica da parte della Regione.
Riteniamo che le difficoltà debbano ancora venire, quindi sarà in quel momento che dovremo valutare compiutamente quali sono gli atteggiamenti da assumere in sede legislativa per poter modificare la situazione.



PRESIDENTE

L'interpellanza è stata svolta.


Argomento: Bilanci preventivi

Rinvio della discussione di un'interrogazione


PRESIDENTE

Interrogazione dei Consiglieri Rossi, Bontempi, Dadone, Raschio relativa ai ritardi della Giunta nella presentazione del bilancio preventivo '79 e pluriennale '79/'81 alla competente Commissione consiliare e problemi connessi.
In assenza dell'Assessore Simonelli, risponde il Presidente della Giunta.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

L'Assessore Simonelli non è presente in questo momento ma lo sarà al momento in cui sarà discussa la legge per l'esercizio provvisorio.
Si è convenuto che a questa interrogazione si darà risposta domani nel corso della discussione della legge per l'esercizio provvisorio.



BONTEMPI Rinaldo

Mi dichiaro soddisfatto e d'accordo.


Argomento: Urbanistica (piani territoriali, piani di recupero, centri storici

Interrogazione presentata dai Consiglieri Bertorello, Chiabrando, Franzi Lombardi e Menozzi per conoscere i motivi per cui la Giunta non ha provveduto agli adempimenti previsti dalla legge 3/1/1978, n. 1


PRESIDENTE

Passiamo all'interrogazione presentata dai Consiglieri Bertorello Chiabrando, Franzi, Lombardi e Menozzi per conoscere i motivi per cui la Giunta non ha provveduto agli adempimenti previsti dalla legge 3/1/1978 n l Risponde l'Assessore Astengo.



ASTENGO Giovanni, Assessore all'urbanistica

In realtà, l'adempimento richiesto all'art. 35 era già stato soddisfatto dal titolo VIII della legge 56, artt. 71 e 72. Un'accelerazione sostanziale delle procedure è avvenuta con la delega delle funzioni espropriative ai Comuni superiori ai diecimila abitanti, ai Presidenti della Comunità montane e ai Presidenti dei Consorzi. Oggi uscirà il decreto Pandolfi, convertito in legge, con la norma sull'accelerazione delle procedure di formazione e approvazione dei piani regolatori. La Regione Piemonte ha già provveduto a tali adempimenti con la legge 56.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Chiabrando.



CHIABRANDO Mauro

L'art. 35 si riferisce a leggi regionali da predisporre per esemplificare le procedure. La legge 56 è precedente.



ASTENGO Giovanni, Assessore all'urbanistica

D'accordo. La Regione Piemonte ha già adempiuto a questo compito. La II Commissione da tempo sta esaminando le proposte di adeguamento di alcuni articoli in ordine alle osservazioni fatte dal Governo. La non presentazione in aula delle proposte forse è stata opportuna in quanto si potranno introdurre ulteriori elementi, come quello a cui ho fatto riferimento. Riteniamo ormai che la maggior parte dei provvedimenti relativi ai Comuni superiori ai 10.000 abitanti, siano pervenuti; per gli altri si attende la costituzione e il funzionamento dei consorzi. Per i Comuni inferiori ai 10.000 abitanti, consorziati, la norma potrà essere applicata e si potrà passare ad una accelerata applicazione delle procedure espropriative.



PRESIDENTE

L'interrogazione è discussa.


Argomento: Parchi e riserve

Interrogazione presentata dal Consigliere Cerchio per sapere se la Giunta è a conoscenza delle ripetute proteste sollevate dalla popolazione di Borgo Mercato di Moncalieri per la situazione di disagio provocata dagli scarichi e dai rumori della centrale AEM


PRESIDENTE

Interrogazione presentata dal Consigliere Cerchio per sapere se la Giunta è a conoscenza delle ripetute proteste sollevate dalla popolazione di Borgo Mercato di Moncalieri per la situazione di disagio provocata dagli scarichi e dai rumori della centrale AEM.
Risponde l'Assessore Fonio.



FONIO Mario, Assessore alla tutela dell'ambiente

Anche se non sono pervenute all'Assessorato da me diretto le proteste della popolazione di Borgo Mercato per la situazione di estremo disagio in cui la stessa si trova a causa delle emissioni della centrale AEM di Moncalieri, la centrale termoelettrica AEM di Moncalieri è oggetto di esame da parte del C.R.I.A.P sin dal giugno 1974, quando il Comitato emise una prescrizione nei confronti dell'azienda al fine di ottenere con l'utilizzo di metano nell'impianto la riduzione delle emissioni, in quanto dai valori calcolati dal C.R.I.A.P, si evidenziava la possibilità di superamento dei limiti per le emissioni di SO2.
Tuttavia, l'ordinanza del Sindaco di Moncalieri, con la quale è stato notificato il parere del C.R.I.A.P, è stata in seguito sospesa dal Tar.
Come si sa il C.R.I.A.P, dà il parere al Sindaco che lo trasforma in ordinanza in quanto non può agire direttamente.
Contemporaneamente, L'A.E.M dimostrò con una campagna di rilevamento effettuata nei dintorni della centrale, che esisteva una divergenza fra gli valori calcolati e quelli misurati, in quanto questi ultimi erano contenuti entro i limiti di legge, salvo sporadiche e poco frequenti punte di concentrazione nei periodi invernali.
E' stato quindi richiesto all'A.E.M di misurare e fornire costantemente gli dati meteorologici in centrale, al fine di poter valutare l'incidenza dei venti dominanti ed individuare le zone maggiormente influenzate dalle emissioni della centrale.
In seguito, L'A.E.M, installò 5 stazioni per il rilevamento della SO2 nei dintorni della centrale, a distanze comprese fra i 200 e 2200 m dalla stessa e orientate grosso modo in corrispondenza dei punti cardinali.
Quindi, anche in accoglimento di quanto richiesto dal Consigliere Cerchio, richiederò al Comitato regionale contro l'inquinamento atmosferico per il Piemonte di procedere ad una verifica dei dati raccolti nelle stazioni di rilevamento ed al Servizio di rilevamento dell'inquinamento atmosferico della Provincia di Torino un controllo delle immissioni nella zona di Borgo Mercato, affinché, se del caso, possa essere emessa una nuova prescrizione nei confronti della centrale per ottenere la riduzione delle emissioni inquinanti.
Per quanto attiene invece al problema della rumorosità, è allo studio dell'Assessorato un disegno di legge regionale per la prevenzione, il controllo e la repressione dell'inquinamento acustico, come già previsto all'art. 9 nella legge regionale n. 52 del 21 agosto 1978 (interventi per il controllo e la prevenzione dell'inquinamento atmosferico ed acustico) per la stesura della quale verranno effettuate campagne di rilevamento dei livelli di rumorosità esistenti in una serie di zone campione che verranno individuate sul territorio piemontese.
La zona circostante la centrale di Moncalieri potrà quindi essere inserita fra queste zone, e sulla base dei rilevamenti effettuati potrà essere richiesto al Sindaco di Moncalieri di emettere un'ordinanza affinch L'A.E.M, adotti le misure necessarie alla riduzione della rumorosità, in quanto le centrali termoelettriche sono classificate fra le industrie insalubri di prima classe (voce 83 dell'elenco approvato con D.M. 23 dicembre 1976), e attualmente i problemi di inquinamento da rumore possono essere risolti esclusivamente a livello locale, sia sulla base delle competenze del Sindaco in materia sanitaria sia attraverso la stesura di regolamenti per l'esercizio delle attività rumorose.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Cerchio.



CERCHIO Giuseppe

Ringrazio l'Assessore per la dettagliata e articolata risposta.
Il problema ha avuto nella comunità di Moncalieri un rilievo non indifferente anche di fronte alle pressioni nei confronti dell'Amministrazione comunale da parte della popolazione e di alcune forze ecologiche e politiche. Il Comune si è sempre trincerato di fronte alle rilevazioni tecniche che, fra l'altro, sono contraddittorie perché a volte affermano che l'inquinamento è appena al di sotto del minimo, a volte al di sopra; dietro questo pretesto non si giunge ad una soluzione organica del problema che non è solo locale perché riguarda anche il Comune di La Loggia, data la localizzazione della centrale elettrica, ai confini del suo territorio.
E' particolarmente grave il fatto che un' azienda municipalizzata sia oggetto di interventi da parte di altri Enti pubblici, dal momento che l'Ente pubblico normalmente si rivolge al privato per ottenere correttezza di comportamento. Esiste un problema di inquinamento delle acque, esiste un problema di inquinamento acustico ed esiste un problema di inquinamento dell'aria per effetto del fumo.
Grazie.



PRESIDENTE

Sono così concluse le interrogazioni.


Argomento: Varie

Auguri di pronta guarigione al Consigliere Oberto e all'Assessore Rivalta


PRESIDENTE

Devo comunicare che il Consigliere Oberto è stato nuovamente colpito da malore. Gli rivolgiamo i nostri più vivi auguri perché possa al più presto riprendere il suo posto fra noi. Anche l'Assessore Rivalta ha accusato un lieve malore che, speriamo, possa risolversi in giornata. Anche a lui vanno gli nostri auguri di ristabilimento completo.


Argomento:

Sul programma dei lavori della seduta odierna e delle prossime sedute consiliari


PRESIDENTE

Sospendo la seduta per qualche minuto e convoco i Capigruppo, al fine di stabilire l'ordine dei lavori dell'odierna e delle prossime sedute di Consiglio.



(La seduta, sospesa alle ore 10,45, riprende alle ore 11)



PRESIDENTE

La conferenza dei Capigruppo è giunta alle seguenti conclusioni : in mattinata si svolgeranno i seguenti punti: comunicazioni del Presidente stato di attuazione delle leggi n. 396, 349 e 180 in riferimento alla legge 39/77 sul piano socio-sanitario con le relazioni degli Assessori Vecchione ed Enrietti.
Oggi pomeriggio: prosecuzione del dibattito sulla viabilità Frejus e Sempione esame del disegno di legge n. 361 relativo alla modifica della legge sui piani zonali di sviluppo agricolo esame del disegno di legge n. 360 relativo alla modifica della legge sull'albo professionale degli imprenditori agricoli disegno di legge n. 200: "Adeguamento dell'indennità di residenza fissata dalla legge statale 8.3.1968 in favore dei farmacisti titolari di farmacie rurali" (se la I Commissione sarà in grado di dare l'ultimo parere).
Per la giornata di domani si prevede la trattazione di: interrogazioni e interpellanze esame del disegno di legge rinviato dal Governo relativo al patrimonio linguistico e culturale del Piemonte, già licenziato dalla V Commissione e sul quale la I Commissione deve dare parere autorizzazione all'esercizio provvisorio del bilancio dell'anno finanziario '79 inizio del dibattito sulle relazioni degli Assessori Vecchione ed Enrietti esame del disegno di legge sulla procedura per lo stemma della Regione Piemonte modifica al regolamento del Comprensorio di Casale Monferrato nomine.
Si potrebbe, infine, prendere in esame la legge sulle strutture, la cui votazione, secondo le intese, avverrà nella seduta del giorno 11 gennaio 1979.
Ci sarà, infine, la rapida presentazione delle linee del nuovo regolamento del Consiglio regionale, già approvato dalla Commissione competente. La discussione avverrà nel mese di gennaio.
Vi sono obiezioni a questa procedura?



FERRERO Giovanni

Propongo, se è possibile, di includere all'ordine del giorno alcuni pareri sulle costituzioni di Consorzi delle Unità Locali dei Servizi. La Commissione V li ha licenziati all'unanimità.



PRESIDENTE

E' importante che tutto il materiale della V Commissione sia distribuito immediatamente ai Consiglieri, in modo che nel corso delle due giornate si possa provvedere all'approvazione dei provvedimenti.



BELLOMO EMILIO


Argomento: Programmazione e organizzazione sanitaria e ospedaliera

Relazioni sullo stato di attuazione della legge n. 396, 349, 180 etc, in riferimento alla legge regionale 39/77 e al piano socio-sanitario


PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE BELLOMO

Secondo le intese passiamo alle relazioni degli Assessori Vecchione ed Enrietti sul piano socio-sanitario La parola all'Assessore Vecchione.



VECCHIONE Mario, Assessore all'assistenza

Il dibattito di oggi, sulle proposte di piano socio-sanitario regionale, viene a cadere a poco meno di un anno e mezzo di distanza dalla seduta del Consiglio regionale del 27 luglio 1977 nel corso della quale vennero approvati il Piano regionale dr sviluppo ed il programma pluriennale di attività e di spesa 1977/1980.
Non è superfluo oggi ricordare sia gli obiettivi che in quella sede vennero individuati, sia gli impegni al cui adempimento la Giunta regionale venne chiamata dal Consiglio Ciò al fine anche di verificare come coerentemente su quella strada sino ad oggi si sia proceduto, nel rispetto di una logica di organicità e continuità del processo di programmazione regionale.
Dalla constatazione delle profonde inadeguatezze del sistema dei servizi inadeguatezza che si esprimeva soprattutto in carenze quantitative qualitative e di disomogenea dislocazione territoriale, rispetto alla domanda della popolazione si sono elaborate alcune proposte di primo riordino dei servizi, articolandole secondo progetti-obiettivo.
Con questo si sono fissati alcuni punti fermi della politica regionale nonché gli obiettivi strategici a cui tendere entro il 1980.
In primo luogo si è affermata la necessità di riqualificare e riconvertire la spesa del settore, ben sapendo qual e l'entità raggiunta da tale spesa, che per altro tende, per un processo che non si sa fino a qual punto sia da considerarsi fisiologico, a dilatarsi progressivamente ed ulteriormente.
Riqualificazione e riconversione della spesa ha significato e significa in concreto rendere più produttiva la spesa stessa, e cioè far sì che vengano garantiti servizi più efficienti ed accessibili, senza per altro aumentarne i costi in termini compatibili con le risorse.
Il che ha voluto dire agire sia secondo una logica di compensazione per cui ad ogni ampliamento di attività in un settore ha corrisposto una riduzione di attività in altri settori, sia procedendo ad una attenta ricognizione dei centri di finanziamento e di quelli le cui decisioni producono spesa, sottoponendone a verifica la convenienza e la possibilità di indirizzo e/o di riduzione.
In questo senso il Piemonte è fra le poche Regioni che in attuazione di quanto disposto dall'art. 7 della legge 4 agosto 1978 n. 461 ha compiuto non solo la rilevazione della spesa sanitaria effettuata a qualsiasi titolo, negli anni 1976 e 1977, dagli Enti che erogano assistenza sanitaria a carico della finanza pubblica, ma a questa indagine ha accompagnato anche la rilevazione della spesa assistenziale erogata dagli Enti locali nello stesso periodo.
Questi dati ormai definitivamente raccolti dall'Assessorato, verranno sollecitamente trasmessi al Consiglio regionale.
Dall'indagine sull'entità e la distribuzione delle risorse si sta già comunque passando alla fase di costruzione degli strumenti necessari per garantire la finalizzazione delle risorse agli obiettivi di riordino dei servizi.
Questo strumento è in primo luogo un bilancio di zona che costituisca la rappresentazione del programma zonale ed espliciti, sotto il profilo finanziario e contabile, i presupposti, i contenuti e gli effetti della gestione delle risorse in ciascuna Unità Locale dei Servizi.
In questo senso il bilancio zonale è onnicomprensivo di tutte le risorse effettivamente impiegate nella zona e determina nel contempo i collegamenti e le interrelazioni tra la contabilità (e quindi l'attività) degli Enti locali e la contabilità (e perciò anche l'attività) di tutti gli altri soggetti che, nell'ambito della zona, operano nel settore socio sanitario e quindi sono, di conseguenza coinvolti nella gestione e nel riordino dei servizi.
Ed è rispondendo ad una precisa esigenza in tal senso ampiamente evidenziata dagli Enti locali che il Dipartimento sta provvedendo ad elaborare di concerto con i Comprensori e le zone una proposta di schema di bilancio da proporre poi, per l'adozione, alle zone stesse.
In ogni caso è evidente che, pur disponendo anche di tale strumento un'effettiva possibilità di contenimento e riconversione della spesa è perseguibile solo a condizione di ridurre l'incidenza di quegli elementi che maggiormente concorrono alla formazione della spesa stessa, su livelli sproporzionatamente elevati rispetto ai benefici.
Questi elementi, oltre alla farmaceutica, sono l'assistenza ospedaliera, per il numero delle prestazioni improprie e dei ricoveri immotivati o immotivamente protratti, e l'assistenza in Istituti, con l'alto numero di ricoveri, in strutture quali le Case di riposo.
L'entità che tale fenomeno ha raggiunto nella nostra Regione è veramente notevole e potranno gli stessi Consiglieri prenderne atto consultando il materiale che è stato loro fornito. Mi riferisco al documento sulla spesa ospedaliera e preciso che viene fornita oggi la prima monografia comprensoriale relativa al Comprensorio di Ivrea con l'elaborazione dei dati rilevati sui servizi ospedalieri (e questo è il modello sul quale opereremo sugli altri comprensori). Sia le schede ospedaliere sia le schede di rilevazione dei ricoveri forniscono un quadro per alcuni aspetti anche allarmante sia delle dimensioni quantitative dei ricoveri, sia di quanto rilevanti siano gli sprechi che derivano da un eccessivo ed ingiustificato sovradimensionamento di alcuni reparti ospedalieri, e sia ancora di quanto disomogenea sia la distribuzione territoriale dei servizi.
La possibilità di correzione di tale situazione già nel Piano regionale di sviluppo veniva individuata nello sviluppo dei servizi alternativi al ricovero e nelle attività preventive. Per questo con i progetti-obiettivo si sono fissate le direttrici di intervento verso un assetto dei servizi riformato e rinnovato, e giustamente si è fissata la priorità dello sviluppo di quelle attività realmente disincentivanti la pratica dei ricoveri ospedalieri o in istituto.
D'altra parte, anche per gli limiti che la legislazione nazionale allora presentava, nel luglio dell'anno passato non si è potuto andare oltre una determinazione di principi ed indirizzi di carattere generale.
E' questa la ragione per cui lo stesso Consiglio regionale nell'approvare il piano, impegnava tra l'altro la Giunta a procedere alla "necessaria revisione degli interventi non programmati da ricondurre in adeguati programmi dì settore e progetti", effettuando quindi anche "la definizione esatta degli interventi del programma pluriennale di attività e di spesa da intraprendere nel periodo di durata del bilancio regionale in base ai disegni di legge regionali e statali già presentati ed a quelli ancora da presentare".
In questo passo si legge chiaro il riferimento al D.P.R. 616, alla riforma sanitaria ed alla legge di riforma dell'assistenza.
L'impegno a completare, quindi, l'elaborazione del piano regionale alla luce anche dei profondi mutamenti intercorsi sul piano della legislazione nazionale, è stato mantenuto con la trasmissione al Consiglio regionale nel luglio di quest'anno dei documenti di piano socio-sanitario sui quali oggi deve svilupparsi il dibattito.
Ma quel che ora è più importante rimarcare è come questi due elementi completamento dell'elaborazione regionale e concreto avvio del processo di riordino dei servizi, si siano sviluppati contestualmente, modificandosi arricchendosi e completandosi a vicenda.
In altre parole si è costruita una proposta di piano che intimamente è legata alla specifica realtà regionale e quindi nelle sue ipotesi tiene conto tanto di ciò che esiste, quanto di cosa la riorganizzazione della rete dei servizi sta producendo come effetti concreti.
D'altra parte il riordino e la riorganizzazione gradualmente si sono attivati sul territorio regionale man mano che è cresciuta la conoscenza dei fenomeni e delle loro cause, in forza delle funzioni e dei poteri che progressivamente sono stati trasferiti agli Enti locali.
Questa complementarietà fra i due momenti ha potuto svilupparsi in forza di tre elementi fondamentali ed a questi elementi ha dato la forza ed il respiro di una precisa scelta di governo.
Questo tre elementi dunque sono: 1) verificando nel concreto gli effetti prodotti dalla prima riorganizzazione delle attività e dei servizi si è provveduto a modificare ed arricchire la proposta di piano regionale, costruendo così "un modello reale" dei servizi stessi 2) modificandosi il quadro legislativo nazionale, progressivamente si sono ampliati gli ambiti di intervento della Regione e degli Enti locali.
Man mano che questi spazi si sono aperti la Regione li ha occupati garantendo con ciò la continuità dei servizi nell'ottica di un graduale, ma costante processo di riforma.
E' questa la strada che si è seguita rispetto alla legge 405, dalla 180, alla 194, e soprattutto alla 349, per arrivare poi alla recentissima 641 relativa allo scioglimento degli Enti nazionali compresi nella tabella B del D.P.R. 616.
E' questo un elemento che assolutamente non va sottovalutato se si considera come sia soprattutto la capacità di gestire questi aspetti anche settoriali di riforma che rende credibili le possibilità e la capacità della Regione e degli Enti locali rispetto alla gestione delle due e definitive riforme di settore.
3) L'iniziativa politica che la Regione ha così assunto e soprattutto le risultanze dell'attività concreta di governo che essa ha sviluppato non si sono esaurite in un'ottica rigidamente localistica. Ma in larga parte hanno contribuito ad arricchire ed a rendere più rispondenti alle esigenze delle autonomie gli stessi provvedimenti di revisione legislativa che il Parlamento poneva ed ha posto in cantiere.
Fra tutti vorrei ricordare due punti rispetto ai quali il concorso delle Regioni e della nostra Regione, si è rivelato determinante nel costruire atti legislativi di fondamentale portata innovativa. Sia il decreto 616, che le direttive emanate dal Comitato centrale per la liquidazione degli Enti mutualistici sono stati in larga parte elaborati con il contributo della nostra Regione ed alla luce delle esperienze di amministrazione che nella nostra Regione si stavano facendo.
Ho voluto ricordare questi tre elementi, decisamente fondamentali nell'attività di governo di questa amministrazione, anche perché ritengo giusto rilevare come essi discendono da altrettanto precise e radicate convinzioni.
In primo luogo vi è la convinzione che le Regioni ed il complesso delle autonomie locali devono essere partecipi del processo di riforma dello Stato e soggetti attivi nella definizione degli obiettivi della programmazione nazionale. A tal fine vorrei solo ricordare come questo ruolo delle Regioni sia ribadito ed esplicitamente sollecitato dallo stesso Governo il quale, anche recentemente, in relazione al programma triennale ha ricordato che "nella programmazione economica e nella presente esperienza di elaborazione del piano triennale le Regioni vengono in rilievo sotto tre aspetti contestuali: a) come dimensione territoriale nella quale verificare gli effetti complessivi delle azioni di competenza sia statale e degli Enti collegati sia delle Regioni, nonché degli altri Enti locali b) come dimensione istituzionale, divenuta particolarmente rilevante della politica economica a seguito del completamento con la 382 dell'ordinamento regionale che ha affidato alle Regioni la vasta e nota serie di competenze, con la legge sulla contabilità regionale che le ha attrezzate per un'azione programmata di medio periodo, ed infine con una legge finanziaria non a caso durata sino al 1981, che ha garantito loro un determinato trasferimento di risorse del bilancio statale c) come dimensione di corresponsabile partecipazione con il Governo centrale da una parte e di necessario coordinamento con gli altri Enti infraregionali anche se dotati, come gli Comuni e le Province, di una loro autonomia secondo l'art. 11 della legge di attuazione della 382".
Ora senza dubbio è rimarchevole il modo in cui viene ribadito il ruolo centrale che le Regioni sono chiamate a svolgere. Non di meno occorre ribadire che le Regioni debbono essere poste nelle condizioni di poter effettivamente svolgere la funzione che loro è propria.
In questo senso si deve rimarcare come l'atteggiamento del Governo non sia esente da critiche su questioni che sono certamente fondamentali. Lo stesso D.P.R. 616, al momento della sua concreta attuazione, pare oggi segnare il passo. E non certo per la volontà degli Enti locali. Il modo in cui la Commissione, istituita ai sensi dell'art. 25 per valutare l'eventuale carattere educativo religioso delle Ipab, ha operato escludendo completamente nella formulazione dei propri pareri tanto le Regioni che gli Enti locali, limitandosi quindi ad un rapporto diretto con gli organi delle Istituzioni interessate, ne è un esempio lampante, Ma di ciò avremo modo di occuparci in sede di discussione sulle interpellanze.
Ciò, comunque, ha costretto la nostra Regione ad impugnare i decreti emanati dal Governo a seguito dei lavori di detta Commissione.
Il fatto che ad oggi ancora non si sia provveduto a definire il testo di riforma dell' assistenza, né a chiarire i tempi entro gli quali lo stesso potrà essere approvato dal Parlamento rappresenta un'ulteriore difficoltà tecnica e politica nello svolgimento del lavoro della Regione.
Ciò ha costretto la Giunta regionale a presentare un proprio disegno di legge che regolamenta il trasferimento di beni, funzioni e personale delle Ipab ai Comuni; questo al fine anche di garantire la continuità dei servizi e la sicurezza dei posti di lavoro anche dopo il 1 gennaio 1979, oltre ad adempiere ad un preciso obbligo di legge e nel più generale rispetto del quadro legislativo nazionale e, quindi, dell'ordinamento tutto dello Stato.
Non sono immuni da critiche questi ritardi e queste omissioni, ma vogliamo augurarci che ad essi sollecitamente si ponga rimedio considerando con attenzione anche il fatto che riforme della portata di quelle che ci avviamo a gestire non possono non essere sorrette da un'adeguata copertura finanziaria.
E' questo il caso soprattutto della riforma dell'assistenza che necessariamente deve prevedere un fondo specifico che sia la risultante delle somme previste nei capitoli del bilancio dello Stato che devono essere soppressi, e che in ogni caso copra anche le passività accumulate dalle Ipab che verranno sciolte. Non è infatti assolutamente ipotizzabile che gli effettivi deficit accumulati da queste istituzioni vengano scaricati sulle finanze degli Enti locali.
Se è questo il rapporto che rivendichiamo debba esserci tra Regione e Stato, è evidente che agli stessi principi deve uniformarsi il rapporto tra Regione ed Enti locali.
Questa è la seconda fondamentale convinzione che ha informato la nostra attività di governo.
Gli Enti locali, Comuni e Province, debbono partecipare sia direttamente che attraverso il coordinamento della Regione al processo di riforma dello Stato, ma soprattutto e in primo luogo devono essere soggetti attivi nel processo di elaborazione del modello di programmazione regionale, nonché contribuire all'individuazione degli obiettivi ed alla costruzione delle politiche di intervento.
Posso affermare che la massima attenzione è stata posta, sia pur con la scarsità dell'organico del Dipartimento e dell'Assessorato in particolare al contatto con gli Enti locali, all'informazione, allo studio ed alla ricerca. E' fermo convincimento che ove non cambi lo stesso metodo di lavoro all'interno della pubblica amministrazione e fra amministrazioni, il disegno generale della riforma, di qualsiasi riforma, tende ad incepparsi o ad essere relegato sul piano delle manifestazioni volontaristiche che, qui non possono, né devono interessare. Ma proprio da questa ricerca, da questa verifica, vorrei dire giornaliera, è emerso come si segnalino ritardi negli Enti locali a collocarsi nel loro lavoro in una dimensione di piano.
Ciò non scoraggia certamente la Giunta, ma ne rappresenta stimolo per realizzare quell'attività di promozione, indirizzo e programmazione che rientra nei suoi fini istituzionali.
Di qui, quindi, occorre intendere e mi ricollego all'intervento del Consigliere Rossi in sede di variazione di bilancio come sia indispensabile a questo punto del guado sviluppare la conoscenza, l'informazione, la formazione, lo studio e la preparazione dei soggetti istituzionali e delle componenti sociali del nostro Piemonte.
Il recente seminario di studio sulla spesa per il 1978 nelle materie di competenza dei Comuni è stato un momento di tale scelta.
Richiedendo, comunque, ai Comuni questa partecipazione occorre anche essere rispettosi della loro autonomia, ma attenti soprattutto delle loro difficoltà e dei loro diritti.
Come dunque le Regioni, ai tempi della 382, avevano rivendicato che trasferimenti e deleghe dello Stato fossero contestuali e che soprattutto avvenissero per settori organici di materie, analogamente oggi dobbiamo procedere nel delegare le funzioni amministrative della Regione e ai Comuni e alle Comunità montane.
Sarebbe una grave violazione dell'autonomia politica dei Comuni delegare o sub-delegare loro funzioni settoriali.
La scelta altro non può essere che quella di effettuare le deleghe dell'intero settore socio-sanitario contestualmente al trasferimento di funzioni dallo Stato ai Comuni che avverrà con la riforma sanitaria.
Questa gradualità che è al tempo stesso anche organicità discende poi da un'ulteriore precisa convinzione. E cioè che nei processi di riforma non esistono fasi di "prima" e "dopo". Ma le riforme devono essere costruite con il concorso di tutti i soggetti chiamati poi a gestirle, creando anche localmente le condizioni perché esse siano concretamente praticabili e realizzabili nei loro obiettivi di fondo. Il che vuol dire; in primo luogo operare per costruire la "cultura" delle riforme. Cultura che vuol dire tanto capacità tecnico-politica di gestione quanto consapevolezza collettiva della complessità degli impegni che si debbono assolvere, della ricchezza e vastità degli obiettivi che si debbono perseguire, delle difficoltà insite, in ogni processo di trasformazione.
Perciò, se queste sono le premesse, anche il dibattito di oggi assume un preciso significato. Significato prima di riflessione su quanto si è sino ad oggi costruito come realizzazioni concrete e come proposta di intervento, e poi di verifica del modo in cui si è operato, ragionando soprattutto sulla validità del metodo che si è seguito.
Ritengo che il metodo lo si debba considerare positivo in relazione proprio ai concreti risultati che si sono ottenuti.
La conoscenza infatti condizione prima ed indispensabile per avviare qualsiasi processo di cambiamento è enormemente cresciuta. E questa conoscenza non resta limitata alla sola Regione, ma è nostro preciso impegno renderla dominio dell'intera collettività regionale.
Già ho detto di alcuni tra i più significativi dati che potrete ritrovare sulle schede che vi sono state consegnate.
La ricerca, comunque, non si è limitata agli elementi che già ho ricordato, ma si è estesa a tutte quelle informazioni relative all'assetto attuale dei servizi, alle strutture ed alla dinamica della popolazione agli insediamenti produttivi, allo stato del parco abitazioni, alle caratteristiche orografiche e geografiche prevalenti, che si è ritenuto fossero indispensabili per consentire una corretta lettura dei principi e degli indirizzi di piano. Tutti questi elementi, più molti altri ancora che non ho menzionato, e che oggi vi vengono forniti ordinati per zone e per comprensori, sono la sintesi, non ancora definitiva, di una vasta, e lunga nel tempo, opera di lettura ed interpretazione della realtà regionale che la Giunta sta conducendo da oltre due anni.
Due esempi valgono per tutti rispetto al modo in cui si è operato.
Le schede dei dimessi dagli ospedali rappresentano un enorme patrimonio di conoscenza rispetto alla nosografia prevalente nelle diverse zone, al funzionamento delle diverse specialità, ai tassi di spedalizzazione ed alla durata media delle degenze sia per fasce di età, sia per reparti di ricoveri. Il complesso di questi elementi essenziali nel fornire una radiografia esatta sullo stato e sul funzionamento dei presidi ospedalieri è stato analizzato ed interpretato dai tecnici, ed ora possiamo avere, e rendere di pubblica conoscenza, il quadro più esauriente, che sino ad oggi sia stato fatto, sui meccanismi di spedalizzazione in una Regione.
Non meno rilevante è il censimento delle Ipab, del quale abbiamo ora i primi dati elaborati dal Consorzio per il trattamento automatico dell'informazione.
Anche in questo caso la Regione già oggi è in grado di dire quanti anziani, quanti minori, quanti handicappati sono ricoverati in istituto, in ogni Unità Locale dei Servizi; e si è in grado di indicare anche quanti di questi provengono da fuori zona. Entro breve potremo sapere, zona per zona quanti sono complessivamente gli utenti di ciascun Comune ricoverati in tutti gli Istituti della Regione. Avremo inoltre il quadro completo del personale diviso per qualifiche. Tutto ciò oltre, naturalmente, a tutti i dati relativi allo stato giuridico, alla situazione patrimoniale ed alla situazione finanziaria.
Procedendo, con lo stesso metodo si sono costituite inoltre due Commissioni di lavoro a cui partecipano rappresentanti degli Enti locali dell'ONPI e dell'ENAOLI, le quali hanno ricevuto l'incarico di fotografare con la massima esattezza il complesso delle attività svolte da questi due Enti nella nostra Regione, ipotizzando nel contempo le modalità con le quali, dopo il 1° aprile 1979; può essere garantita la continuità nell'erogazione dei servizi.
A tal fine e in considerazione anche della particolare rilevanza che le attività svolte dall' ENAOLI assumono nella nostra Regione si è già provveduto a stipulare un protocollo di intesa tra l'Amministrazione regionale e la direzione regionale dell'ENAOLI (il cui verbale è allegato nel materiale a disposizione) in ordine ad alcuni precisi accordi concernenti: i problemi del personale l'organizzazione della fase transitoria le strutture di lavoro comune a livello regionale il passaggio dei dati conoscitivi.
E proprio in forza di questo costante sforzo, volto a conoscere sempre meglio, ed in modo più approfondito, la realtà regionale, che è stato possibile come già ho avuto modo di dire ridurre gli sprechi, canalizzando le risorse finanziarie verso programmi, redatti dagli Enti locali, che coordinassero ed indirizzassero, verso gli obiettivi di piano il complesso delle attività globalmente svolte nelle singole zone.
Questo è quanto si è fatto soprattutto con la circolare 5000, che senza dubbio deve essere considerata il primo ed organico sforzo compiuto dalla Regione, dai Comitati comprensoriali e dai Comuni e Comunità montane, per riportare ad unità, in ambito zonale, un complesso di attività oggettivamente interdipendenti, ma tradizionamente scoordinate impermeabili e parallele tra di loro.
Il che ha voluto dire indirizzare le risorse su precisi obiettivi, e conseguentemente ridurre lo spreco di risorse pubbliche. Ma anche, ha voluto dire, rendere più efficiente la macchina regionale, semplificare le procedure, accorciare e razionalizzare i tempi e le modalità di erogazione.
Questo sforzo di rendere più efficiente la macchina regionale non va assolutamente sottovalutato se si pensa agli effetti concreti che ha prodotto nella finanza pubblica regionale.
Non dico, ed è sin troppo noto, quali risultati abbia comportato il nuovo modo in cui si è proceduto alla ripartizione del Fondo regionale ospedaliero. Basti comunque pensare a come ciò anche solo riducendo le esposizioni bancarie degli Enti ospedalieri sicuramente abbia rappresentato un notevole risparmio di risorse pubbliche.
Ma qui, parlando del settore di mia competenza, voglio ricordare al Consiglio l'impulso che è stato dato alla realizzazione dei piani di costruzione degli asili nido, secondo quanto previsto dalla legge 1044.
Rimetto ai Consiglieri una breve nota con la quale viene dato lo stato di attuazione dei piani di costruzione e di gestione dei nidi.
Rilevo solo che la nostra Regione, oltre ad aver pienamente rispettato gli propri impegni dotandosi per il 1979 di 185 nuove strutture per complessivi 9.818 posti/bambino sta operando in modo tale da divenire proprietaria dei progetti presentati dalle ditte che hanno partecipato agli appalti-concorso per la costruzione diretta regionale. Ciò significa poter costruire la prima "banca dei progetti", a disposizione di tutti i Comuni che vorranno attingervi; realizzando cosi un concreto risparmio sulle spese di progettazione e quindi di realizzazione delle future opere.
L'aver reso più efficiente la macchina regionale assume un maggior significato, però, se si considera anche come in questo modo si sia garantito un più ampio ed ordinato sviluppo dei servizi.
Oltre all'attivazione dei DEA e del piano prevenzione cura e riabilitazione dell'uricemia cronica, dei quali certamente parlerà l'Assessore Enrietti, voglio ora fornire solo alcuni elementi di conoscenza sull'impulso che hanno ricevuto le attività di base nel settore assistenziale.
L'assistenza domiciliare ha raggiunto 20.327 utenti; i servizi consultoriali (presenti ed operanti comunque in tutte le ULS) hanno erogato, in 40 zone su 76, n. 24.403 prestazioni oltre al Comune di Torino che da solo ha effettuato 11.500 prestazioni; 30.934 minori hanno usufruito dei servizi di soggiorno di vacanza, ed infine sono stati erogati dai Comuni 8.687 contributi economici alternativi al ricovero.
Questi risultati è stato possibile raggiungerli solo grazie ad un metodo di governo che ha visto il complesso della collettività regionale dalle istituzioni alle forze sociali contribuire ad elaborare, costruire e realizzare le concrete scelte di intervento. Fondamentale in tal senso è stato il lavoro svolto da alcune Commissioni di studio che hanno lavorato sul problema degli anziani, dei minori, degli handicappati.
Ma occorre qui richiamare la valenza politica che hanno assunto alcuni progetti ed alcuni programmi. Il progetto anziani, rimesso nel novembre 1977 al Consiglio regionale, ha rappresentato per la Giunta regionale un momento di analisi della domanda e di ricerca della risposta correlata al bisogno, mirando e qui è una scelta di rigore della spesa in proiezione a ridurre la spedalizzazione ed individuando quel le strutture sociali (case di riposo da riconvertire in case protette) che rappresentano l'individuazione corretta di un servizio che risponda alla domanda della popolazione anziana non autosufficiente. Nel progetto sono state fissate anche le linee di fondo che rappresentano le scelte politiche della Giunta e che si possono riassumere: a) nel privilegiare la famiglia ed il contesto sociale di vita dell'anziano, indirizzando le risorse affinché la singola persona possa continuare a vivere là dove ha sempre vissuto b) nel ricercare forme alternative al ricovero (abitazioni, comunità alloggio, assistenza domiciliare considerata in chiave di ulteriore analisi critica ed approfondimento, centri sociali) c) nel qualificare gli enti ospedalieri in chiave di interventi riabilitativi, finalizzati a consentire all'anziano di non essere cronicizzato all'atto del ricovero, ma curato, riabilitato e restituito alla vita sociale d) nell' indicare le linee di riconversione delle strutture sociali.
Ed è significativo che questo lavoro sullo specifico sia entrato nel piano socio-sanitario affermando, come linee di indirizzo, un principio ed una compiuta elaborazione, studio e valutazione della materia che non potrà non produrre in futuro una sensibile trasformazione della domanda e di giusta individuazione del servizio.
Ma certamente sappiamo che è questo un processo non breve, ma già si marcano sensibili avanzamenti. La convenzione fra L'IRV e l'Ordine Mauriziano rappresenta un primo punto dell'opera volta a ricondurre l'attività dei due Enti allo svolgimento dei loro fini istituzionali. La convenzione ed il protocollo sono a disposizione del Consiglio fra gli documenti che vi sono stati rimessi.
Lo stesso progetto handicappati C.E.E., che vede il lavoro congiunto di più dipartimenti, rappresenta anch'esso una traduzione coerente di indirizzi e scelte che la Giunta ha assunto nel Piano regionale di sviluppo e negli stessi indirizzi per la spesa del 1978. Tale progetto ha trovato l'accoglimento politico nella deliberazione del Consiglio regionale e ci dà la fiducia che anche il vero e proprio progetto handicappati, di taglio più strettamente dipartimentale, e che sarà prossimamente assunto dalla Giunta regionale, venga a collocarsi anch'esso sul piano di quelle linee di indirizzo della spesa che consentano la riorganizzazione dei servizi sociali.
Un breve accenno vorrei fare al programma materno-infantile, del quale è necessario rilevare soprattutto il carattere di supporto ed indirizzo metodologico all'attività amministrativa della Giunta.
E', infatti, sulla base di tali indirizzi che la nostra Regione ha gestito le leggi n. 405 (sulla istituzione dei servizi consultoriali) e n.
194 (sulla tutela della maternità e sull'interruzione della gravidanza) non secondo il principio della costruzione di nuove strutture, ma soprattutto secondo la logica del coordinamento, dell'integrazione e dello sviluppo delle attività già in atto presso gli servizi esistenti. E quindi è stata questa un'occasione per consentire che, limitando al massimo gli costi aggiuntivi, si avviasse una concreta riorganizzazione dell'attività dei servizi di base.
Ma oltre a ciò è necessario ricordare che la politica della Regione ha ricevuto notevoli contributi di merito e di metodo anche da iniziative pubbliche quali il convegno organizzato sui soggiorni di vacanza per minori.
In ogni caso ciò che è stato determinante nel consentire uno sviluppo dei servizi di tal genere è soprattutto il rapporto costante che si è instaurato con gli Enti locali, nel verificare congiuntamente l'efficacia degli interventi svolti, correggendone postazione ove necessario adattandone l'impostazione alla flessibilità delle diverse realtà territoriali.
Dovendo qui, se pur succintamente, fare un quadro dell'attività svolta e del modo in cui si è operato ad oggi, non posso non ricordare anche l'attività che il Dipartimento ha svolto e sta svolgendo a supporto della V Commissione consiliare per l'attivazione e la costituzione dei Consorzi di Comuni.
Credo di non dire nulla di nuovo ai Consiglieri ricordando loro quanta importanza assuma oggi il processo di aggregazione consortile dei Comuni sia al fine di gestire già nell'immediato il riordino dei servizi, sia soprattutto al fine di gestire compiutamente le ormai prossime riforme della sanità e dell' assistenza, con tutti gli nuovi compiti e funzioni che queste assegneranno ai Comuni.
Per questa consapevolezza, e per la convinzione anche che senza la costituzione delle ULS, da un lato la Regione rischierebbe di aumentare ulteriormente le funzioni amministrative che già oggi svolge (anzich spogliarsene come il D.P.R. 616 postula), e dall'altro si dovrebbe rimandare ulteriormente la possibilità di delega ai Comuni (pena il rischio di renderli ingestibili ed ingovernabili); per tutto ciò, dicevo, si rende oggi necessario compiere il massimo sforzo per completare la costituzione dei Consorzi e far sì che vengano costituiti gli idonei strumenti di gestione.
Comunque la proposta di piano, sulla quale oggi il Consiglio regionale è chiamato a pronunciarsi, sicuramente rappresenta sia sul piano del metodo che sul piano del merito, il tentativo di sintesi, al livello più alto, di tutti gli elementi che ho sin qui ricordato.
Quindi, in quanto tale, è una precisa proposta di strumenti metodologie e procedure attraverso le quali raggiungere e rendere praticabili gli obiettivi che le riforme ci indicano e che la Regione, da parte sua, ha provveduto ad esplicitare nel documento "Principi di riordino dei servizi sanitari e socio-assistenziali della Regione Piemonte".
Rispetto a questo vorrei solo rilevare come le priorità di intervento siano state definite in base ad un principio che riteniamo fondamentale ed irrinunciabile: la centralità dell'Ente locale e la piena titolarità delle assemblee elettive nella gestione e riorganizzazione dei servizi, e di conseguenza, la "validità assoluta del riferimento territoriale al fine di individuare i veri organi di direzione politica ed amministrativa e di realizzare le istanze partecipative, garantendo tanto l'individuazione della domanda di servizi, quanto l'organizzazione della risposta".
E' questa la condizione fondamentale di un processo di riordino che si ponga come obiettivi prioritari: la riduzione degli sprechi e la riconversione della spesa il riassetto dei servizi, garantendone l'accessibilità e riequilibrando la loro distribuzione e dimensione l'eliminazione della parcellizzazione degli interventi riunificandoli in termini di globalità complementarietà dei momenti preventivi, curativi e riabilitativi, avendo come unico referente il soggetto umano attuazione di specifici progetti mirati ed articolati secondo fasce di età.
Questi obiettivi debbono comunque essere praticati nel rispetto di tre condizioni fondamentali. E cioè: 1) garantire che il riordino avvenga senza pregiudicare minimamente la continuità dei servizi e delle prestazioni. Ciò vale in special modo, e come già ho ricordato, per quegli Enti nazionali quali L'ONPI e L'ENAOLI che saranno sciolti al 1 aprile 1979.
2) Utilizzare pienamente il patrimonio oggi esistente di esperienze e di risorse umane, finanziarie, strutturali o strumentali. Questo patrimonio è particolarmente ricco nella nostra Regione, e non a caso ho voluto precedentemente, ricordarvi sia il censimento delle Ipab, sia il disegno di legge, recentemente presentato dalla Giunta sul trasferimento di beni personale e funzioni ai Comuni in forza dello scioglimento delle Ipab stesse. E' infatti un preciso impegno di questa amministrazione far si che nel pieno rispetto della legge e dove ne esistano le condizioni, nulla di questo enorme patrimonio risulti inutilizzato o indebitamente distratto dal controllo degli Enti locali.
3) Occorre poi non disperdere le energie in una rigida, quanto sterile contrapposizione tra pubblico e privato.
Respingendo eventuali tendenze parassitarie od aggressive del settore privato nei confronti di quello pubblico, occorre pur tuttavia riconfermare la libertà e talora anche la validità delle iniziative private, le quali coerentemente possono, qualora ne abbiano i requisiti, essere inserite nel quadro della programmazione regionale. In ogni caso resta fermo quanto affermato già nella "proposta di intesa con le Confessioni religiose" del luglio '77. E cioè che "é necessario riconoscere come unico quadro di riferimento la programmazione ed il potere di indirizzo della Regione", e che inoltre è necessario "individuare tutte le esperienze positive presenti sul territorio regionale collegandole e rapportandole a quelle in atto o programmate dagli Enti locali, con destinazione delle risorse per l'avvio della realizzazione della politica delle Unità locali dei Servizi".
L'affermazione di tali principi riconferma la necessità di considerare il processo di piano che ci avviamo a compiere, nella sua complessità e globalità e per la cui concreta realizzazione è necessario avere il concorso di tutti i soggetti istituzionali e sociali.
Non è infatti superfluo ricordare che oggi noi siamo la prima Regione che si accinge al non facile compito di realizzare un piano socio-sanitario (e quindi non solo sociale, o sanitario, od ospedaliero). Ma ciò non basta.
E' questo il primo caso in cui un piano socio-sanitario organicamente si correla e rapporta con il complesso della programmazione socio-economica e territoriale.
La strada che abbiamo così inteso seguire discende dalla consapevolezza, e dall'esperienza particolarmente viva nella nostra Regione, che una politica di sviluppo economico, non sorretta da un'adeguata politica dei servizi, comporta sempre guasti profondi ed irreversibili nel tessuto sociale, favorendo, la disgregazione e l' emarginazione delle categorie più deboli.
Allo stesso modo nutriamo la precisa consapevolezza che una politica dei servizi, che prescinda da scelte di fondo nel settore produttivo e dell'occupazione, del riequilibrio territoriale, degli insediamenti produttivi ed urbani, è una politica votata alla costruzione delle "cattedrali nel deserto", degli sprechi e dei profondi guasti finanziari e sociali.
D'altra parte sono le stesse leggi votate dal Consiglio regionale che impongono queste scelte. Dalla legge 56 alla legge 44 sui trasporti, con la stessa legge 39, esiste un preciso quadro di normative regionali che per quanto attiene le procedure della programmazione trovano la loro sistematizzazione nella legge 43. Questa legge fissa, in modo preciso ed inequivocabile, tempi, modalità e procedure alle quali occorre attenersi.
Ed alle quali si deve attenere anche la programmazione socio-sanitaria.
Nel rispetto della legge 43, ed in armonia con quanto disposto dal documento sulle "linee programmatiche ed organizzative per i Comitati comprensoriali, ritengo che ad oggi la Regione abbia assolto già in larga parte ai suoi compiti.
Con i documenti di piano, che contengono i criteri, gli indirizzi ed gli vincoli per la riorganizzazione dei servizi, vi sono state infatti oggi consegnate per il Comprensorio di Ivrea, le schede che sono parte rilevante del materiale e delle informazioni che la Regione intende mettere a disposizione dei Comitati comprensoriali.
Ai Comprensori infatti deve essere gradualmente fornito uno schema contenente un quadro di informazioni di base, relative alla struttura socio economica, alla struttura e dinamica demografica, alla nosografia prevalente, al carico di utenza storica dei servizi, all'insieme delle risorse disponibili, ai criteri per determinare l'organizzazione, la localizzazione dei servizi di base, integrativi e zonali, ai criteri per fissare le proposte di intervento, ecc.; tutto quanto cioè troverete indicato negli schemi di scheda.
L'insieme di queste informazioni (che debbono poi essere verificate e controllate localmente) consente ai Comprensori di fissare le priorità di intervento, rispetto alla loro scala territoriale, e nel contempo di iniziare la costruzione del loro primo schema di piano socio-sanitario che conseguentemente, entro i tempi del giugno 1979, dovrà andare a comporre parte del piano comprensoriale.
Questo esplicito riferimento al ruolo del Comprensorio, in questa fase diviene indispensabile se si pensa alla centralità che questo livello istituzionale occupa, rispetto ad un processo di enorme portata, e che vede nel Comprensorio il momento propulsivo: della crescita della partecipazione, attraverso il coinvolgimento delle forze economiche, sociali, sindacali di affermazione del ruolo delle istituzioni, esaltandone la capacità progettuale di crescita della cultura politica regionale, attraverso un processo unificante delle culture locali e disincentivante delle tendenze municipalistiche di sviluppo e crescita del decentramento regionale, di attuazione delle deleghe di esaltazione delle autonomie locali di stimolo, infine, al riordino dell'apparato regionale, con l'affermazione della programmazione come metodo e cultura di governo.
Ma è evidente che se questo è il ruolo che i Comprensori sono chiamati a svolgere (e che hanno dimostrato di sapere e potere svolgere con le loro delibere programmatiche), altrettanto evidente è che essi debbono essere posti nelle condizioni di poter svolgere pienamente e compiutamente il loro ruolo.
Perciò fornendo le informazioni di cui ho detto, la Regione deve essere anche in grado di garantire ai Comprensori i necessari strumenti e supporti tecnici.
Questi infatti, dopo aver fissato sulla base degli indirizzi regionali e delle loro deliberazioni programmatiche le priorità di intervento debbono approfondire la conoscenza dei fenomeni che determinano l'attuale domanda di servizi, indagandone le cause e costruendo così sistemi oggettivi di rilevazione dei fenomeni più rilevanti. Così si può avviare la costruzione di una prima "mappa dei rischi" comprensoriale.
E' necessario inoltre che si stabiliscano le interrelazioni tra la politica di settore e gli altri elementi caratterizzanti il piano socio economico territoriale (scelte urbanistiche, piano dei trasporti, aree attrezzate, insediamenti produttivi, piani agricoli, ecc.).
Evidentemente, però, tali approfondimenti devono essere effettuati dalle strutture comprensoriali e zonali in stretto collegamento con le strutture della Regione, alla quale spetta il compito di fornire il necessario contributo metodologico e di ricerca.
Il che quindi comporta che tali strutture tecniche possano esprimersi ad un adeguato livello quantitativo-qualitativo, riqualificandosi al loro interno ed avvalendosi anche di tutte le competenze scientifiche reperibili nelle strutture pubbliche del territorio.
L'insieme degli elementi di conoscenza e di analisi filtrati attraverso la "griglia" dei criteri proposti dalla Regione, rappresenta il materiale non più grezzo sul quale i Comitati comprensoriali possono operare per sviluppare la loro autonomia politica nella determinazione dello schema di piano.
Questi stessi elementi si trasformano quindi in patrimonio di conoscenza tecnico-teorica di base, dalla quale gli organi di governo delle ULS partono, per "inverare" concretamente le proposte di piano regionale con la formazione dei programmi zonali, mirati alla realizzazione degli obiettivi fissati come prioritari dai Comitati comprensoriali e dei quali essi quindi forniscono un'ulteriore specificazione ed arricchimento.
Nell'ambito di questi programmi zonali devono trovare sistematizzazione naturalmente le attività proposte dagli Enti locali. Ma non solo queste. La stessa attività e le linee di sviluppo di Enti quali gli ospedali e delle stesse Ipab, anche in previsione dei trasferimenti previsti dalle leggi statali di riforma, debbono organicamente coordinarsi nei programmi unitari ed integrati di gestione dei servizi. Questi divengono pertanto il quadro di riferimento di tutte le attività che si svolgono in ambito zonale e quindi, alla loro formazione debbono essere chiamati a concorrere tutti gli soggetti istituzionali e zonali della zona stessa.
Tali programmi, completati delle previsioni di spesa, sia sul versante della gestione, che su quello degli investimenti, verranno trasmessi ai Comitati comprensoriali.
Comitati comprensoriali ai quali spetterà quindi il compito di effettuare la sintesi politica e programmatica fra la domanda espressa dalle popolazioni, gli indirizzi di riordino determinati dalla Regione, le risorse finanziarie, strutturali ed umane disponibili, ed i programmi infine, predisposti dagli Enti locali.
Così si formano definitivamente i piani comprensoriali sui quali sarà chiamato poi a pronunciarsi il Consiglio regionale, per l'approvazione e la definitiva formazione del piano socio-sanitario regionale.
Con questo atto si salda quindi, attraverso i Comitati comprensoriali la cerniera tra le proposte di piano regionale ed i programmi attuativi zonali e si effettua la necessaria sintesi tra le necessità di organicità del processo di programmazione (che richiede quindi indirizzi univoci per l'intero territorio regionale) e l'esigenza di costruzione partecipata di modelli ancorati alle singole realtà zonali (che richiede il concorso ed il contributo autonomo delle diverse realtà istituzionali e sociali territoriali).
Con ciò soprattutto si instaura un metodo di governo basato sulla programmazione che esclude sia le forme di "anarchia programmatoria" basata sulla ricerca di modelli esasperatamente originali ed autonomi (che nascondono in ultima analisi sostanzialmente spinte a logiche localistiche), sia soprattutto ed in modo definitivo, il tradizionale spontaneismo ed occasionalità nello sviluppo dei servizi. Il che, è bene ricordarlo, a lungo ha rappresentato una sorta di proliferazione tumorale di attività ed iniziative contraddittorie e senza principi, non rispondenti ad alcun disegno organico ed equilibrato di sviluppo dei servizi sul territorio.
Ciò, comunque, deve avvenire entro tempi che consentano alla Regione di provvedere, sulla base dei 15 piani comprensoriali, alla stesura degli elementi di piano di sua competenza (e cioè la superspecialità ed i servizi che operano su rete regionale). Tutto ciò deve consentire, secondo quanto disposto dalla legge di riforma sanitaria, di procedere all'approvazione del piano socio-sanitario regionale per il triennio 1980/1982, entro il 30 ottobre 1979.
Con questo mi avvio rapidamente alla conclusione affermando che non riteniamo sicuramente di aver chiuso il nostro lavoro, gli indirizzi ed i principi che sono stati elaborati rappresentano, però, sicuramente una base di partenza ed un preciso quadro di riferimento entro il quale tutti dobbiamo operare.
Il dibattito quindi non si chiude oggi, ma qui viene aperto per essere riportato nei Comitati comprensoriali, nelle zone, nell'intera collettività regionale.
Con il contributo ed il concorso di questi soggetti, la proposta regionale deve arricchirsi, meglio specificarsi, forse anche modificarsi in ogni caso deve trasformarsi in una concreta proposta di attività e di intervento.
Spetta ai Comprensori, ai Comuni ed alle Comunità montane costruire le proposte per la formazione del piano regionale.
La Regione fornirà loro un costante ed attento supporto nonché gli opportuni indirizzi.
La definitiva verifica di merito sul piano regionale si avrà quindi nel momento in cui il Consiglio regionale aprirà il dibattito per l'approvazione dei primi schemi di piano comprensoriale.
Il loro insieme, la loro sintesi tecnica e politica rappresenterà allora il nostro piano sanitario e socio-assistenziale regionale.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE BELLOMO

La parola all'Assessore Enrietti.



ENRIETTI Ezio, Assessore alla sanità e sicurezza sociale

L'odierno dibattito sulla sanità regionale cade in un momento storico del tutto peculiare nelle vicende di politica sanitaria del nostro Paese.
Se l'imminente promulgazione della legge istituitiva del Servizio sanitario nazionale caratterizza tale momento, è ben vero che la legge di riforma si innesta e colloca in un contesto istituzionale preparato da una serie di avvenimenti storico-politici caratterizzati da un decentramento amministrativo che deve essere inteso come momento di valorizzazione ed esaltazione delle autonomie locali e come espressione di pluralismo istituzionale.
In tal senso vanno lette ed interpretate politicamente le leggi nazionali in materia sanitaria emanate dopo il 1970, dopo la costituzione dell'Ente Regione, dei decreti del 1972 con cui venivano trasferiti alle Regioni parte delle competenze statali fino alla legge 382/75 ed al relativo D.P.R. 616/77 mediante il quale la Regione assumeva la pienezza delle funzioni amministrative nelle materie previste dal dettato costituzionale, ancorché, per quanto attiene la sanità, completamento ed integrazione debbano essere tratti dalla legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale.
E proprio nel senso della valorizzazione del sistema delle autonomie locali si collocano la legge 386/74 con cui si trasferiscono alle Regioni le competenze amministrative in materia di assistenza ospedaliera e la legge 349/77 sulla liquidazione degli Enti mutualistici, e la legge 180/78 sull'assistenza psichiatrica.
La legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale, unitamente all'auspicata legge di riforma assistenziale, in altri termini riforma sanitaria e assistenziale costituiscono momenti di riforma dello Stato nelle sue varie articolazioni e non avrebbe senso, se non in chiave di razionalizzazione dei servizi, parlare di riforma sanitaria, se contemporaneamente, in parallelo, contestualmente le autonomie locali non fossero in grado per capacità politica, per attribuzioni istituzionali e per dotazioni finanziarie di appropriarsi della gestione della tutela della salute fisica e mentale e del benessere sociale dei cittadini.
Riforma quindi non può essere considerato un intervento meramente organizzativo finalizzato in senso efficientistico e tecnico quanto la individuazione e la realizzazione di una struttura adatta ad un modello di sviluppo basato su principi e valori nettamente diversi e cioè sull'universalità dell'intervento che assicuri e coinvolga tutti i cittadini nei processi di tutela della salute, nella globalità dell'intervento, sull'integrazione e funzionalità dei servizi, sulla democraticità della programmazione e gestione.
La relazione, che come Assessore regionale alla sicurezza sociale e sanità ho l'onore di esporre al Consiglio regionale riguarda le attività che la Giunta ha programmato, promosso e realizzato nel campo della sanità: ovviamente non indulgeremo in un'arida elencazione di provvedimenti, molti dei quali già politicamente valutati da quest'Assemblea, né ad un'esposizione tecnicistica di problemi sanitari e delle correlative soluzioni.
Riteniamo che il discorso da tenere ad un'assemblea elettiva debba essere politico, di verifica in chiave politica dei programmi e delle realizzazioni che in questi quattro anni di mandato la Giunta e l'Assessorato hanno promosso ed attuato nel campo della sanità.
E tale excursus di esposizione di fatti, tendenze, aspettative e prospettive nell'ambito della sicurezza sociale e sanità non potrà che essere sintetico, concentrato ed essenziale, pregando la cortesia dei signori Consiglieri di fare opera di integrazione informativa a mezzo dei documenti allegati.
Nello spirito e col metodo con cui ci accingiamo a svolgere la relazione sullo stato della sanità in Piemonte avremo lo sguardo fisso a due riferimenti politici e cioè al Piano di sviluppo regionale per gli anni dal 1977 al 1980 approvato da questa assemblea il 27.7.77 ed il disegno di legge istitutivo del Servizio sanitario nazionale che attende l'ultima lettura alla Camera dei Deputati prima di diventare legge operante dello Stato.
Né si potrà omettere quanto abbiano influito nello svolgere dei vari programmi di attuazione e nei processi di intervento di alcune leggi fondamentali, dalla legge 405/75 sui consultori familiari alla legge 194/78 sulla interruzione volontaria della gravidanza e tutela della maternità dalla legge 386/74, sull'assistenza ospedaliera alla legge 180/78 sull'assistenza psichiatrica, alla legge 349 sullo scioglimento delle mutue.
Già la semplice enumerazione delle leggi statali che hanno investito il campo sanitario da contezza della mole di sollecitazioni e di interventi che si sono riversati sull'Assessorato le cui strutture tecnico amministrative ereditarie della precedente amministrazione erano calibrate secondo la modestia dei compiti e delle funzioni che alla sanità regionale si erano voluti riservare.
Giunta e Assessorato hanno dovuto fare un notevole recupero in questo campo e sia per quanto riguarda la strutturazione degli Assessorati competenti nell'area del sociale e sia per quanto riguarda la presenza della Regione Piemonte nel campo sanitario nel consesso delle altre Regioni e presso il Governo centrale.
L'aver operato in stretta cooperazione e sintonia con gli Assessorati all'assistenza ed alla istruzione e gli risultati raggiunti danno validità alla decisione della Giunta di individuare nel Dipartimento servizi sociali uno strumento di costruzione e realizzazione di linee politiche nel campo sociale, basato sull'integrazione delle competenze e sull'interdisciplinarietà ed interconnessione degli interventi.
Dal 1975 ad oggi, nel volgere di quattro anni il ruolo della Regione Piemonte a livello nazionale ed interregionale nel campo della sanità è radicalmente mutato: dall'assenza ingiustificata si è passati attraverso una costante, pressante e attenta partecipazione alle riunioni interregionali sia a livello tecnico che politico e, nel seno del comitato centrale di liquidazione delle mutue, ad una posizione di spicco, ad una funzione trainante e di guida: ciò sia detto non per iattanza ma per amore di verità e per ribadire a noi stessi la responsabilità politica che la Regione Piemonte ha nella formazione delle scelte in campo sanitario a livello interregionale e nazionale.
L'adeguamento delle strutture assessorili ai nuovi compiti che la legislazione nazionale imponeva (si pensi che nell'arco di due mesi maggio e giugno 1978 si è dovuto programmare e promuovere gli interventi per l'assistenza psichiatrica e per l'interruzione volontaria della gravidanza ex legge 180 e 194) ha registrato per vero lentezza ed incompletezza e ci per due ordini di fattori: da una parte vi è stata la necessità derivante da applicazione di legge, di gestire in chiave esecutiva alcuni compiti impropri (quali, ad esempio determinazione dei ruoli regionali per l'assistenza ospedaliera, operazioni di rivalsa delle spese ospedaliere) non legati cioè ai compiti specifici dell'istituto regionale: ciò ha comportato l'assorbimento di unita lavorative.
D'altro canto vanno registrate difficoltà non lievi ad ottenere, specie dagli Enti mutualistici, comandi di personale sia a norma della legge 386/74 (su un contingente richiesto di 90 elementi, ne sono stati comandati solo 58) e sia a norma della legge 349/77.
Comunque appare evidente che rispetto all'entità di finanziamenti attuali e ancor più rispetto a quelli futuri del servizio sanitario nazionale e rispetto alle funzioni proprie, le strutture dell'Assessorato non sono certamente pletoriche di personale.
La Giunta e l'Assessorato si sono trovati all'atto dell'insediamento ad affrontare tutte le problematiche connesse con l'attuazione della legge 386/74 per la quale l'assistenza ospedaliera veniva trasferita dagli Enti mutualistici alle Regioni.
Tralascio di sottolineare il valore politico di tale legge, valore ormai noto e acquisito: preme tuttavia qui rilevare una connotazione sempre di ordine politico, con cui l'Assessorato ha riguardato gli problemi ospedalieri, connotazione specifica contenuta e consacrata nel Piano di sviluppo regionale, connotazione per la quale l'ospedale non può esser considerato l'ombelico del mondo sanitario, né il centro motore di tutte le attività sanitarie, ne la cassa di compensazione, né la struttura di surrogazione di funzioni proprie di altri livelli.
L'ospedale quindi è stato considerato come struttura integrata ed integrabile con il servizio sanitario del territorio, con compiti specifici di supporto, ma non surrogatori dei servizi di base e integrativi di base con conseguente carattere "generale", non specializzato in settori specifici di intervento.
L'attuazione della legge 386 ha posto l'Assessorato di fronte ai gravi problemi connessi alla gestione della quota di riparto del Fondo nazionale ospedaliero.
Il bilancio dei primi quattro anni di gestione economico finanziaria dell'assistenza ospedaliera si presenta con luci ed ombre.
I rapporti tra lo Stato e le Regioni in materia di finanziamento dell'assistenza ospedaliera sono partiti da idonee premesse teoriche poste dalla legge 386/74: passaggio degli Enti ospedalieri a carico delle Regioni senza il carico delle rilevanti pendenze arretrate passaggio dal pagamento a "piè di lista" tipico della retta di degenza, al finanziamento in base a programmi predeterminati contenimento del tasso di crescita della spesa ospedaliera evitando il formarsi di oneri impropri di natura finanziaria.
Tali idonee premesse non sono peraltro state rispettate perché: il ripianamento delle gestioni 1974 e retro è ancora oggi da completare (in materia si sta assistendo ad una stratificazione legislativa preoccupante mentre gli oneri finanziari continuano a maturare) è mancata la "preventiva e congrua" determinazione del fondo nazionale per l'assistenza ospedaliera, cardine del nuovo sistema ostacolando conseguentemente la gestione programmata degli Enti ospedalieri da parte delle Regioni ripreso il meccanismo di formazione degli interessi passivi sulle anticipazioni bancarie e sul ritardato pagamento dei contributi previdenziali nonché, in maniera implicita, sulle condizioni di fornitura di beni e servizi.
Pur in presenza di tali negative premesse occorre evidenziare la positività della gestione regionale dell'assistenza ospedaliera. Infatti contro un incremento medio annuo della spesa ospedaliera per il periodo 1969-1974 pari al 24,6%, la stessa registra per il periodo 1975-1978, sulla base delle quantificazioni ufficiali del fondo ospedaliero, un incremento medio annuo pari al 12,8%.
Occorre peraltro osservare che le quantificazioni ufficiali del F.N.A.O, sono giudicate dalle Regioni insufficienti perché non tengono conto degli oneri finanziari derivanti proprio dalle ritardate erogazioni statali.
In materia è aperta un'annosa vertenza che coinvolge, oltre all'entità del fondo, le modalità del suo riparto tra le Regioni, vertenza che ha causato il blocco dell'utilizzo dell'accantonamento del 5°A) del F.N.A.O per gli anni 1977 e 1978.
Pur essendo evidente che occorrerà trovare idonee soluzioni per il ripianamento delle gestioni regionali realmente deficitarie a causa della ridotta comprimibilità dei costi storici nel breve periodo, si deve ribadire che nell'attuale fase transitoria dal fondo ospedaliero al fondo sanitario non può nuovamente essere messo in discussione il meccanismo di riparto del F.N.A.O., definito concordemente dalle Regioni e tendente a pervenire al riparto col criterio della popolazione dell'arco di sei anni.
Occorre pertanto che il Governo proceda senza ulteriori indugi all'attribuzione alle Regioni delle somme accantonate con le percentuali di riparto ordinarie, già definite dal Cipe.
I rapporti tra la Regione e gli Enti ospedalieri in materia di finanziamento dell'assistenza ospedaliera hanno risentito in modo sensibile dei problemi derivanti dal rapporto a monte tra Stato e Regioni, come test evidenziati.
Solo nel 1978, ed in particolare nell'ultimo trimestre, ancora in corso, si è registrata un'inversione della precedente tendenza al rinvio del finanziamento della spesa ospedaliera.
La Regione, nei vari anni della gestione dell'assistenza ospedaliera ha effettuato agli Enti ospedalieri le seguenti erogazioni, sovente anticipando con fondi propri le rimesse dello Stato: 1975: 173.750.000.000 1976: 185.200.000.000 1977: 202.988.000.000 1978: 568.316.392,000 di cui: 124.550.000.000 in conto 1975-76 82.012.000.000 in conto 1977 361.754.392,000 in conto 1978 Con le ultime erogazioni la situazione dì liquidità del settore si pu dire definitivamente assestata.
Passando dall'aspetto finanziario a quello economico il giudizio che si può dare in ordine ai rapporti tra Regione ed Enti ospedalieri e nettamente positivo perché l'obiettivo del contenimento della spesa ospedaliera è stato conseguito.
Infatti gli esercizi 1975 e 1976, ormai definiti, registrano una gestione regionale dell' assistenza ospedaliera in reale pareggio situazione unica tra le Regioni settentrionali e centrali.
Tale positivo risultato è stato conseguito operando un attento e capillare controllo dell' andamento della spesa nelle sue varie componenti ivi compresa la dotazione degli organici e l'acquisto di attrezzature.
Nel corso del 1977 e del 1978 tale operazione di controllo è divenuta vieppiù incisiva, fornendo agli Enti ospedalieri analitiche direttive in ordine alla gestione del bilancio.
Tali esercizi sono ora in fase di ulteriore riscontro, operato congiuntamente con gli Enti interessati, in un clima di positiva collaborazione.
Con l'approvazione della legge di riforma sanitaria, dall'1.1.1979 il fondo nazionale per l'assistenza ospedaliera sarà sostituito dal fondo sanitario nazionale, che si prevede quantificato e successivamente ripartito tra le Regioni in base alla spesa storica.
Rinviando un giudizio definitivo in merito, anche sulla base delle concrete proposte operative che emergeranno, non si può non evidenziare sin d'ora i limiti teorici e pratici della procedura individuata dal disegno di legge all' esame del Parlamento: che penalizza di fatto, le Regioni nelle quali la spesa sanitaria è stata sottoposta ad un maggior controllo che le rilevazioni della spesa storica (quella relativa alla spesa sanitaria è ormai in fase avanzata) presentano sovente limiti di attendibilità e richiedono adeguate valutazioni interpretative.
Nella prospettiva di integrazione dell'ospedale con servizi sanitari ed assistenziali del territorio, Assessorato e Giunta hanno portato avanti in attuazione di una delibera consiliare del 1974 l'organizzazione dei Dipartimenti di emergenza ed accettazione istituiti presso 24 presidi ospedalieri e individuati già dalla Giunta presso altri due.
Per i Dipartimenti già istituiti sono stati approvati i relativi organici e finanziate le relative opere edilizie come verrà precisato più avanti e approvato, come già indicato, il contributo per le attrezzature di prima necessità.
Tuttavia i tempi necessari per la realizzazione delle opere edilizie e dell'approntamento delle attrezzature hanno consigliato la graduale assunzione del personale attraverso fasi successive divise in scaglioni semestrali.
Nella prima fase è stato individuato il numero di personale minimo idoneo a garantire l'avvio dei Dipartimenti e ne è stata autorizzata già la relativa assunzione, quelle del restante personale verranno effettuate nello scorcio del presente anno e nel prossimo, in necessaria contemporaneità all'approntamento delle strutture indispensabili.
A tal fine, a partire dal mese di settembre, con periodicità settimanale, è in corso presso l'Assessorato la verifica della situazione attuale con le direzioni sanitarie.
Nel frattempo, è stato approvato, l' 11.7.1978 dalla Giunta regionale e dal Consiglio regionale il 25.10.78, lo schema di regolamento dei Dipartimenti di emergenza e accettazione ai sensi dell'art. 8 del D.M.
8.11.1976, che si pone come uno strumento indispensabile per la corretta attività del Dipartimento stesso.
Il discorso sui dipartimenti di emergenza e accettazione non pu esaurirsi nel chiuso delle mura ospedaliere o definirsi solo in termini di organici, di attrezzature e di strutture edilizie, bensì ha da essere discorso politico che investe il territorio, poiché il dipartimento di emergenza e accettazione è nato, cresce e opera solo in funzione del soddisfacimento di una domanda del territorio, domanda da selezionare domanda da evadere con interventi che partono da strutture e servizi tra loro integrati e funzionalmente interdipendenti.
In tal senso si colloca il finanziamento al Comune di Torino e ai Consorzi socio-sanitari, proposto dalla Giunta e approvato dal Consiglio per attuare gli primi interventi tesi ad accomunare il servizio di soccorso urgente sul territorio collegato da una parte agli ospedali dipartimentali e dall'altra ai centri di emergenza a cui fanno capo i servizi di guardia medica prefestiva, festiva e notturna.
In quest'ottica e con questa finalità l'azione dell'Assessorato si è esplicata nell'ambito della definizione della convenzione unica con gli medici generici e pediatri siglata il 31.5,78, pretendendo l'istituzione di un fondo in ragione di L. 1.000 annue pro-assistibile dagli Enti mutualistici e gestito su apposito capitolo di bilancio della Regione pretendendo che la programmazione e l'organizzazione dei servizi di guardia medica siano riconosciuti quali funzioni istituzionali della Regione e quindi, tramite l'Istituto della delega, delle comunità locali, dei Consorzi socio-sanitari, delle Unità sanitarie locali.
Riteniamo che allo stato attuale sia con i contributi già stanziati sia con il fondo regionale previsto con la convenzione unica per la medicina generica e pediatrica, utilizzando al massimo criteri di integrazione funzionale dei servizi, i Consorzi socio-sanitari, anche a mente della legge regionale 39/77, una volta costituiti potranno programmare e attuare i piani di realizzazione di un efficiente servizio di guardia medica integrato con l'attività di trasporto urgente dei malati e in stretta comunione operativa con i dipartimenti di emergenza e accettazione.
Parlando di questi ultimi, non appaia fuor di luogo inserire il discorso nell'attuazione della legge 180/78 sull'assistenza psichiatrica.
Il modello di assistenza psichiatrica o meglio il modello organizzativo di tutela della salute mentale, così come delineato dalla 180 e recepito senza sostanziali mutamenti nel disegno di legge istitutivo del servizio sanitario nazionale, è culturalmente e politicamente accettabile e ogni sforzo in tal senso le Amministrazioni regionali, provinciali e comunali debbono compiere a che i valori, ideologici e culturali interpretati dalla legge entrino nel patrimonio comune delle popolazioni.
Se aver già individuato gli ospedali sedi di dipartimento di emergenza e accettazione ha facilitato il compito dell'Assessorato e Giunta nella scelta degli ospedali sede dei reparti di diagnosi e cura psichiatrica cosi come descritti e voluti dalla legge, se la scelta degli ospedali dipartimentali ha un valore politico e culturale preciso e puntuale, se in lotta contro il tempo e le difficoltà di ogni genere, tecniche e politiche l'Assessorato e la Giunta sono riusciti ad esprimere in un documento approvato il 10.7,78 la linea politica e programmatica per attuare un servizio psichiatrico territoriale, documento che in qualificate sedi politiche e tecniche ha riscosso consensi e adesioni, se nel territorio le condizioni organizzative, grazie al lavoro culturale e politico di partiti e sindacati, si dimostrano certamente più avanzati e più in linea con gli obiettivi della legge, di quanto non si verifica in altre Regioni, onestà vuole che si dica che il processo realizzatore di un assetto organizzativo di tutela della salute mentale non può essere risolto nel breve volgere di qualche mese: non si può superare in poco tempo e a colpi di delibere una mentalità radicata da 74 anni di imperio di legge manicomiale: non si possono superare di colpo dalla sera alla mattina le resistenze, pur legittime, di lavoratori radicati con i loro legittimi interessi intorno agli ospedali psichiatrici; non si possono creare dalla sera alla mattina strutture alternative che richiedono tempi di esecuzioni non brevi, non ci si può permettere il lusso di costruire ex novo strutture quando è possibile mediante programmazione l'utilizzazione secondo moduli organizzativi diversi e più efficaci; non si può programmare senza riconoscere la necessità di un periodo di transizione che investe anche gli organi di gestione, posto che le Unità Sanitarie Locali debbano nascere mentre urge la necessità di dare l'assistenza.
A nostro avviso i punti politici in materia di tutela della salute consistono nel superamento dell'ospedale psichiatrico e di ogni forma di emarginazione, nella gradualità dell'intervento preventivo, nella delineazione di un modello organizzativo e operativo che, pur riconoscendo gli innegabili aspetti e le preminenti necessità di ordine sanitario e psichiatrico, le colleghi alle istanze social e alla partecipazione delle comunità, nel carattere contingente ed episodico del ricovero ospedaliero e quindi nella piena e stretta integrazione del reparto ospedaliero con i servizi psichiatrici esterni operanti sul territorio.
Su queste linee, che sono linee politiche irrinunciabili i problemi del quotidiano, i problemi dell'assetto organizzativo di un servizio psichiatrico che per essere a contatto diretto con i bisogni della popolazione e servizio di base, potranno trovare adeguata soluzione.
Un problema pressante si può sintetizzare nell'assicurare la continuità della gestione assistenziale-psichiatrica posto che al 31/12/78 le Province non avrebbero più titolo.
In tal senso riteniamo che fino a che non siano costituiti e non funzionino i consorzi socio-sanitari e le Unità Sanitarie Locali, la gestione dovrebbe essere affidata per convenzione dalle Regioni alle Province.
I rapporti tra Province e Regione, pur nelle rispettive autonomie politiche e di ruolo istituzionale, sono stati improntati nell'attuazione della 180 ad una collaborazione stretta e proficua.
Tuttavia l'Assessorato sente l'esigenza che i processi di trasformazione, l'attuazione di programmi regionali secondo piani provinciali o comprensoriali nel campo psichiatrico debbano essere attentamente vigilati e verificati: ciò non per sfiducia, ma in adempimento ad un preciso dettato istituzionale e per dovere politico verso la comunità regionale.
Premesso che la Giunta regionale ha provveduto ad erogare alle Province 2,5 miliardi per il potenziamento dei servizi psichiatrici del territorio precisiamo che i letti attualmente a disposizione nei servizi ospedalieri (ex art, legge 180) sono 177 su un totale programmato di 247: dall'esperienza sino qui acquisita, tale assetto pare sufficiente a coprire i bisogni dell'emergenza psichiatrica.
Un grosso sforzo finanziario e programmatorio dovrà essere adempiuto per l'attuazione di servizi alternativi sul territorio (ambulatorio psico sociale con hospital day comunità alloggio autogestite comunità alloggio assistite comunità terapeutiche protette): in tal senso il dipartimento servizi sociali sta elaborando un programma articolato di interventi.
Un cenno va dato all'erogazione dei contributi agli Enti ospedalieri per attrezzature, in attuazione della delibera consiliare relativa allo stanziamento del piano 1977 per L. 7.475 milioni cui vanno aggiunti L.
3.117 milioni per le attrezzature di dotazione ai dipartimenti di emergenza e accettazione e L. 1.310 milioni per le attrezzature necessarie alla ripresa del Centro cardiochirurgico Blalock.
Malgrado ogni apparenza, il grado di dotazione tecnologica degli ospedali piemontesi all' entrata in vigore della legge 386 non era notevole e comunque non commisurato ed adeguato ai bisogni di una Regione altamente industrializzata. Attraverso le erogazioni di cui si è fatto or ora cenno Assessorato e Giunta hanno inteso ovviare alla obsolescenza di impianti privilegiando quelli di diagnostica strumentale nella considerazione della necessità di utilizzarli al massimo anche per gli bisogni del territorio in tal modo trasferendo la risposta a questi ultimi dall'area privata convenzionata all'area pubblica.
Ciò non di meno dobbiamo registrare ancora qualche lentezza nell'approntamento di attrezzature ad alta tecnologia oltremodo necessarie per la diagnostica e la terapia.
Per quanto riguarda l'edilizia ospedaliera si precisa che questo settore ha svolto, nell'ultimo biennio, una intensa attività caratterizzata in modo particolare dai compiti connessi con l'attuazione della legge 16.10.1975 n. 492.
Il Consiglio regionale aveva infatti approvato in data 24.2.1977 il piano di riparto dei fondi assegnati alla Regione Piemonte, in complessive L. 35.023.758.000, per la concessione di contributi in conto capitale, così come previsto dalla citata legge n. 492.
A tutt'oggi l'intervento regionale per l'attuazione di detta legge si può riassumere nelle seguenti cifre: Importo opere edilizie ammesse a finanziamento in c/capitale...
L. 32.727.538.100 Importo progetti esecutivi approvati L. 27.294.697.100 Per quanto attiene invece alle opere ammesse ai benefici di cui alla legge regionale 16.5.1975 n. 28, i dati relativi sono i seguenti: Importo opere edilizie ammesse a finanziamento L. 4.229.609.711 corrispondente a contributi trentacinquennali annui per .L. 400.272.665 Importo progetti esecutivi approvati... . L. 6.552.496.878 corrispondente a contributi trentacinquennali annui per... .....L. 534.928.787 Va precisato che il totale dei contributi concessi in L. 534.928.787 non è riferito sol tanto al totale delle spese ammesse a contributo negli anni 1977-1978, ma anche ad assegnazioni deliberate negli anni precedenti.
In particolare, per quanto si riferisce ai dipartimenti di emergenza ed accettazione, sono state finanziate, con apposite deliberazioni, opere edilizie corrispondenti ad una spesa di L. 5.684.000.000 per n. 18 Enti ospedalieri ed approvati i relativi progetti esecutivi per 9 di essi; per 8 di questi Enti sono già in corso i lavori.
Complessivamente, sono stati emessi 139 decreti. Va peraltro chiarito che il numero dei progetti esaminati è notevolmente più alto sia perché la quasi totalità dei progetti esecutivi, oggetto di decreto di approvazione presuppone l'esame del progetto di massima per il nullaosta all'elaborazione degli esecutivi, sia perché molti progetti sono assoggettati a modifiche o rielaborazioni per essere resi idonei o comunque aderenti alle linee programmatiche del piano socio-sanitario.
Riteniamo tuttavia che la realizzazione delle opere edilizie ospedaliere, secondo le indicazioni contenute nel piano di riparto dei fondi, debba esser sollecitata: ritardi e vischiosità procedurali si ripercuotono negativamente con un decremento del valore dei finanziamenti.
Unica remora che l'Assessorato ritiene di dover esprimere è rappresentata dall'esigenza che i progetti esecutivi siano coerenti con la visione di integrazione ospedale territorio, evitando il proliferare dei letti e attraverso questi la spinta ad ampliamenti di organici.
In proposito va qui ribadito che l'opinione della Giunta e dell'Assessorato è stata improntata ad una rigorosa verifica delle realtà e dei bisogni, poiché ogni delibera di ampliamento o di variazione di organico, con l'aiuto del comitato degli esperti, è stata emanata anche in relazione alle prospettive emergenti dal territorio.
Negli ultimi undici mesi del 1978 sono state esaminate dall'Assessorato 375 deliberazioni di Enti ospedalieri relative a variazioni di organico, di cui 321 sottoposte al Comitato degli esperti nel corso di 31 sedute e di queste 258 definite dalla Giunta e le restanti revocate dall'Amministrazione o in attesa di atti integrativi.
Un rapido completamento del panorama dell'edilizia sanitaria fa rilevare che nel 1978 sono stati approvati 298 progetti per cimiteri e ambulatori comunali di cui 260 autofinanziati dai Comuni e 38 con contributo regionale per una spesa complessiva di circa un miliardo.
La realizzazione del servizio sanitario nazionale a livello della nostra Regione porrà in essere per quanto riguarda l'edilizia sanitaria problemi di ristrutturazione e adeguamento dell'esistente non nel campo ospedaliero bensì nell'area extra ospedaliera: per tali motivi occorrerà riguardare con attenzione ai criteri di riparto che verranno adottati dal Governo per le assegnazioni alle Unità Sanitarie Locali dei beni degli Enti mutualistici e degli Enti locali, per poter adeguatamente intervenire.
Per quanto attiene la spedalità privata l'attività dell'Assessorato si è indirizzata su una linea di chiarezza di rapporti, definendo l'apporto della rete delle case di cura complementare e vicariante rispetto alla struttura pubblica che ha carattere di preminenza, assicurando il mantenimento dei livelli occupazionali e prospettando anche possibilità di riconversione.
Tramite la classificazione delle case di cura si è posto in essere un meccanismo di adeguamento delle strutture di queste, agli standard assistenziali ritenuti essenziali.
Inoltre, tenuto conto della disponibilità di posti letto nell'area pubblica, degli indirizzi nosologici si è formulato un piano di convenzionamento delle case di cura, talché su 4650 posti letto autorizzati nella Regione, ne sono stati convenzionati 3500 con un decremento del 25 In sede di stipula di convenzione, per evitare spinte alle degenze ingiustificate, si è fissato come tetto massimo dell'indice di occupazione 85% dei posti letto convenzionati.
Due osservazioni restano da avanzare per quanto riguarda il prossimo futuro: i consorzi e le Unità Sanitarie Locali dovranno motivatamente pronunciarsi sulla necessità di convenzione delle case di cura operanti nel loro territorio e comunque agli organi di direzione tecnica e agli organi politici dell'Unità Sanitaria Locale competerà la vigilanza, e sulla struttura e sull'efficienza e efficacia dell'attività assistenziale.
Sembra esservi la possibilità in virtù all'emananda legge di riforma di poter assorbire nell'ambito dei ruoli regionali del servizio sanitario nazionale il personale degli istituti privati convenzionati: gli aspetti del problema dovranno essere attentamente seguiti al momento della formulazione delle norme delegate.
Nell'ambito del problema inerente il termalismo in Piemonte l'Assessorato sta seguendo con particolare interesse le vicende del complesso termale di Acqui Terme.
Pur non avendo ancora esaminato a fondo il problema generale e non avendolo, di conseguenza, inserito nel piano socio-sanitario, l'Assessorato si e fatto carico, pur senza enfatizzarlo, della conservazione e possibilmente del potenziamento del predetto complesso termale.
Ciò al fine di salvaguardare anche il livello occupazionale, lo sviluppo turistico ed i conseguenti riflessi socio-economici della zona.
Particolare attenzione, in attesa che venga definito interamente il passaggio alle Regioni delle attività, dei beni e del personale già di pertinenza dell'EAGAT, è stata dedicata alla gestione dello stabilimento Carlo Alberto, con sede ugualmente in Acqui.
Va comunque sottolineato che, in attuazione delle direttive generali che tanto le Terme quanto lo stabilimento Carlo Alberto sono destinati a costituire un complesso unico, la cui gestione appena possibile sarà affidata alla U.L.S, di cui Acqui Terme è il capo fila.
In tal senso, infatti, sono stati i risultati del Convegno organizzato in Acqui Terme il 25/6/1978 dal Comune predetto.
Con particolare attenzione è stato seguito il fenomeno dei ricoveri in presidi sanitari ubicati all'estero. Da una parte è stata avvertita la necessità di porre tutti i cittadini sullo stesso piano estendendo le norme CEE anche ai lavoratori dipendenti pubblici e ciò è stato sanzionato da deliberazione di questo Consiglio regionale su proposta della Giunta.
D'altra parte costante preoccupazione dell'Assessorato è stata la selezione dei casi secondo i criteri proposti e approvati dal Consiglio per modo che il ricovero all'estero a carico del Fondo regionale ospedaliero, e cioè della collettività, non si risolvesse in un danno per la collettività stessa in quanto ingiustificato e causato da provvedimenti diagnostico terapeutici eseguibili nelle strutture sanitarie nazionali e regionali.
Ancorché per molti casi il ricovero all'estero costituisca l'ultima speranza, spessissimo del tutto illusoria sul piano tecnico, la linea politica dell'Assessorato è ancorata alla qualificazione dei servizi ospedalieri regionali, nell'assoluta convinzione che le capacità professionali e tecniche dei nostri medici ospedalieri attualmente siano certamente non inferiori a quelli operanti all'estero: occorrerà insistere sulla necessità che nei nostri ospedali il dipartimento non sia fonte di diatribe o sospetto strumento di prevaricazione, bensì modo di lavorare e apprendere insieme.
Per parte nostra dovremmo ancor di più valutare e sovvenire le reali necessità dei nostri ospedali in termini di attrezzature, specificando fin d'ora che le attrezzature costano, deperiscono rapidamente sul piano tecnologico e che quindi debbono essere utilizzate al massimo, superando spiriti aziendalistici e gli arroccamenti di casta e categoria.
In questa prospettiva si inserisce l'ultimo finanziamento dell'ospedale S.Giovanni per il centro cardiochirurgico che attualmente sotto una direzione nuova opera con risultati all'altezza della tradizione torinese ritenendosi superata la fase buia e dolorosa di qualche mese fa.
Nella seduta del 22.6 u.s., ebbi l'occasione di informare il Consiglio regionale sullo stato di attuazione della legge 349/77.
Il giudizio politico che allora espressi va sostanzialmente mantenuto ancor oggi, almeno per quanto riguarda il livello nazionale, mentre a livello locale questi mesi hanno visto un maggior e più incisivo impegno degli Enti mutualistici per la realizzazione di alcune iniziative di trasformazione del sistema sanitario secondo le linee direttrici della riforma.
Invero una decisa azione delle Regioni tra cui il Piemonte presente nel Consiglio di presidenza del Comitato centrale di liquidazione degli Enti mutualistici, ha consentito di superare quelle remore, quelle riserve e quelle vischiosità che l'atteggiamento degli Enti mutualistici dimostrava possedere nei riguardi delle attività programmate dalle Regioni: si è infatti allentato il cordone ombelicale tra le centrali mutualistiche nazionali e la dirigenza mutualistica a livello regionale e provinciale attraverso una maggior responsabilizzazione ed autonomia di quest'ultima la quale ha così potuto iniziare ad esprimere le sue capacità manageriali sotto il coordinamento regionale.
La prova sta nel fatto che, malgrado difficoltà innegabili dovute soprattutto ad una sostanziale carenza di personale, la Regione Piemonte è la prima Regione che ha realizzato le strutture amministrative unificate di base (SAUB) per la scelta, revoca del medico generico e pediatra e per l'immatricolazione di mutuati ai fini di un'attuazione concreta della convenzione unica per la medicina generica e pediatrica e ciò secondo un progetto studiato dall'Assessorato alla sanità in collaborazione con il Consorzio regionale per il trattamento automatico dell'informazione e approvato dalla Giunta.
Va rilevato che la realizzazione di tale progetto non è episodio di vita burocratica, bensì un momento politico di peso rilevante, in quanto incide profondamente sulla struttura mutualistica, portandola a valori unificati e in quanto mette in movimento tutta una serie di interventi amministrativi e sanitari a livello delle singole zone socio-sanitarie.
Nel futuro prossimo dovranno essere attuati i processi di trasformazione delle SAUB da strumenti operativi inter-mutualistici per assicurare l'attuazione di una convenzione per l'erogazione delle prestazioni medico generiche e pediatriche a supporto amministrativo dell'attività sanitaria dei consorzi socio-sanitari, attraverso un ulteriore accorpamento e/o trasformazione di funzioni già esercitate dagli Enti mutualistici, ma soprattutto attraverso una delega di vigilanza e sovraintendenza politica ai consorzi socio-sanitari su tali strutture in attesa della gestione diretta a mente della emananda legge di riforma sanitaria.
Ancorché per certi versi migliorabile e perfettibile, la convenzione unica per la medicina generica e pediatrica rappresenta uno strumento assai importante di realizzazione di linee di politica sanitaria tesa a portare il medico generico di base alle popolazioni, senza distinzioni di categoria o censo, tesa alla qualificazione delle prestazioni attraverso un equilibrato carico assistenziale, e soprattutto improntata alla unitarietà di intervento e alla gestione democratica da parte delle assemblee elettive locali: in altri termini la convenzione per la generica e pediatrica, così come formulata, permetterà interventi programmatori e una corretta gestione dell'assistenza sanitaria da parte del sistema delle autonomie locali.
Tutto ciò non significa andare contro i medici, bensì chiamare questi ad un confronto e ad una collaborazione per un continuo miglioramento dei livelli qualitativi assistenziali: in questo senso abbiamo ritenuto di operare e abbiamo intenzione di continuare sulla strada del confronto ritenendo la classe medica componente sociale assai importante ai fini di una corretta realizzazione della riforma sanitaria: tuttavia la politica sanitaria a livello regionale, se va e può essere fatta con i medici e non contro i medici, non può essere attuata solo per i medici e solo in favore dei medici.
A brevissima scadenza l'Assessorato e la Giunta dovranno programmare gli interventi per una concreta attuazione di un'altra convenzione unica quella relativa ai medici specialistici ambulatoriali, quei medici cioè che operano negli ambulatori gestiti direttamente dagli Enti mutualistici.
La convenzione, alla cui formulazione e contrattazione ha largamente contribuito la Regione Piemonte, pur dovendo partire da una situazione contrattuale anomala sul piano giuridico, quale frutto di passate criticabili gestioni, costituisce uno strumento operativo di notevole valore per poter attivare in modo efficiente ed efficace una rete ambulatoriale e poliambulatoriale gestita direttamente dal potere pubblico in grado di assicurare quei servizi sanitari integrativi di base che devono essere considerati quali supporto e aiuto all'attività del medico generico e pediatra di base, senza tuttavia monopolizzare in senso specialistico la vicenda umana, esistenziale e clinica del malato, senza indulgere alla creazione di centri specialistici settorializzati, senza svuotare di significato l'opera clinica del medico curante di base, del medico di fiducia, senza produrre ulteriori incentivi ad un sempre maggiore ricorso all'accertamento diagnostico strumentale.
Non deve sottacersi inoltre che la convenzione dei medici specialistici ambulatoriali, conclusa in senso favorevole sulla base della spesa storica del comparto al 31.12.77, tende, attraverso opportune norme, ad allargare l utilizzazione delle esperienze dei medici ospedalieri in campo specialistico, indipendentemente dal possesso del titolo di specializzazione, inducendo quindi una spinta alla territorializzazione dell'assistenza specialistica, favorendo un'integrazione delle attività sanitarie specialistiche con quelle ospedaliere zonali, aprendo e regolando per i medici ospedalieri un campo di attività professionale, ostacolando quindi l'esodo dall'ospedale.
Tuttavia per la completezza di definizione delle convenzioni con le categorie sanitarie, intese come strumenti essenziali di riforma e di attuazione di programmi e piani sanitari, manca l'accordo con i biologi coni farmacisti e con quel mondo sanitario assai composito ed eterogeneo che va sotto il nome di "specialistica esterna".
E mentre le convenzioni uniche con i biologi, categoria che deve trovare una sua esatta collocazione nel quadro dell'assistenza sanitaria pubblica, e con i farmacisti per la distribuzione dei farmaci sono in fase di avanzata realizzazione, qualche preoccupazione va esposta per il ritardo che si registra a livello della convenzione specialistica esterna.
Tale ritardo, che può e deve essere recuperato dal momento che le linee politiche generali sono chiare e trovano concordi la maggior parte delle Regioni, influisce negativamente sulla spesa sanitaria pubblica e sull'assetto organizzativo e legislativo delle categorie mediche operanti nel settore pubblico.
Si assiste oggi infatti ad una scarsa remunerabilità (che talora non copre le spese vive di gestione) delle tariffe specialistiche convenzionali adottate dal maggior Ente mutualistico, L'INAM, dal 1966 per l'esecuzione di prestazioni specialistiche presso gli Ospedali pubblici con conseguente aggravio improprio sui costi di gestione di questi ultimi e con scarsa incentivazione nei riguardi degli Enti ospedalieri chiamati ad eseguirle ed attratti da ben più pingui tariffe adottate da altri Enti (ENPAS Casse degli autonomi) convenzionati con istituzioni private verso le quali l'attività dei medici ospedalieri si indirizza, mettendo in atto un meccanismo distorto che, partendo dalla scarsa capacità di risposta degli Enti ospedalieri alla crescente domanda di prestazioni specialistiche talora artatamente indotta, provoca una espansione sempre più ampia e capillare delle strutture private convenzionate, con costi sempre più alti discriminando così di fronte allo stesso bisogno le categorie assistibili dequalificando sempre più l'attività delle strutture pubbliche.
Siamo convinti che la compressione della spesa sanitaria non possa avvenire che in due comparti e cioè nel comparto farmaceutico (e di ci dirò appresso) e nel comparto delle prestazioni specialistiche, di secondo livello.
Pertanto riteniamo che un'attenta valutazione del fenomeno sia essenziale e debba condurre a provvedimenti coordinati che inducano un'inversione di tendenza, incentivando i medici ospedalieri a restare nell'ambito ospedaliero dove possano e debbano trovare la loro realizzazione culturale, professionale ed economica.
Tuttavia, pur convinti della necessità di un pluralismo quale espressione di libertà, nel campo della tutela della salute non sarà possibile tollerare che il sistema privato assistenziale entri in concorrenza utilizzandone gli stessi operatori, con il sistema pubblico: già presentando a questo Consiglio la proposta di deliberazione di classificazione delle case di cura, affermando che la rete sanitaria privata può essere sussidiaria e vicariante di quella pubblica la quale deve completarsi e qualificarsi, intendendosi per completamento e qualificazione i soli strumenti che la parte pubblica può usare nel confronto competitivo con la parte privata.
Opportunamente coordinando la gestione del contratto degli ospedalieri della emananda legge di regolamentazione dell'attività libero professionale dei medici ospedalieri, della convenzione con i medici specialistici ambulatoriali, della stipulanda convenzione con gli specialisti esterni riteniamo di riportare nei giusti limiti la spesa sanitaria per gli interventi specialistici, selezionando la domanda e qualificando e territorializzando la risposta, valorizzando anche economicamente le capacità professionali dei medici del servizio sanitario pubblico.
Il comparto della spesa farmaceutica ha fatto registrare lievitazioni notevoli in questi ultimi anni: oltre che l'aumento dei costi, almeno per la nostra Regione influenza non trascurabile ha esercitato dal maggio 1975 il cosiddetto sciopero burocratico dei medici generici e pediatri con libertà di prescrizione senza limitazione, oltre che alcune norme di vecchie convenzioni.
Stiamo recuperando faticosamente questi aspetti, facendo applicare la convenzione unica per la generica e pediatrica che prevede una regolamentazione di prescrizione farmaceutica tale da consentire una corretta attività clinicoterapeutica, non indulgendo a sprechi.
Tuttavia riteniamo che l'introduzione del ticket moderatore di cui alla legge 484/78 non possa essere considerata, se non per l'immediato, un freno al consumo farmaceutico.
Il controllo della spesa farmaceutica, oltre che sulla base di una corretta ed esatta informazione circa l'articolazione della spesa stessa non può assolutamente prescindere da una presa di coscienza del problema del valore culturale professionale e politico del farmaco da parte della classe medica.
ln tal senso vanno viste le iniziative relative all'edizione di prontuari farmaceutici intra ed extraospedalieri, di liste di farmaci cioè di sicura efficacia terapeutica, di principi attivi secondo gruppi terapeutici e secondo dizioni non commerciabili.
Con qualche ritardo dovuto ad un contrasto di competenza tra Governo centrale e Regioni, contrasto composto con la nomina di una commissione nazionale mista col compito dr redigere i criteri di redazione dei prontuari ospedalieri, anche la Giunta regionale ha deliberato di pubblicare il Prontuario terapeutico regionale ospedaliero e di proporre al Consiglio le modalità di gestione di tale prontuario con una serie di provvedimenti amministrativi coerenti e qualificanti.
Tuttavia riteniamo che tutto ciò non sia che l'inizio di un necessario processo di formazione culturale e professionale, di informazione scientificamente corretta e dì ricerca seria e continua che veda coinvolti sia gli operatori ospedalieri che quelli extraospedalieri.
Solo mediante questa strada che potrà e sarà certamente lunga e di non facile percorso riusciremo a far sr che il farmaco inteso come bene sociale venga prodotto e usato con tutte le garanzie di efficacia: la riduzione della spesa sarà conseguente e collaterale a tale processo.
Anche i problemi di distribuzione del farmaco troveranno adeguata attenzione sia a livello intraospedaliero che extraospedaliero nell'intento di diminuire il costo della distribuzione intermedia e di capillarizzare la distribuzione terminale, tenendo conto della necessità di collocare sul territorio il farmacista in veste anche di operatore sanitario cui devolvere compiti di educazione sanitaria, ed in armonia di quanto in merito prescrive la legge di riforma sanitaria e il DPR 616.
Il processo di liquidazione delle mutue, iniziato con la legge 386/74 sta per entrare nella fase finale con tutta una serie di problemi tutti notevolmente gravi.
Preme qui rilevare per quanto attiene la Regione Piemonte alcuni aspetti di ordine politico.
Lo sviluppo industriale della Regione condiziona un altissimo numero di dipendenti ai quali i contratti di lavoro assicurano una protezione economica durante i periodi di incapacità lavorativa per malattia. Di converso il gettito contributivo è assai elevato e richiede un'organizzazione efficiente.
A fronte di queste considerazioni sta il fatto che il personale degli Enti mutualistici e nello specifico dell'INAM è notevolmente carente sul piano numerico globale e delle singole qualifiche, nonché distribuito in modo disuguale.
Si aggiunga che il personale dell'INPS, al quale Istituto la legge di riforma assegna a partire dall'1.1.1980, il pagamento delle indennità economiche per malattia e la riscossione dei relativi contributi dai datori di lavoro, è altrettanto carente.
In questa situazione, preannunciandosi ai signori Consiglieri la pubblicazione dei dati relativi al personale mutualistico quali desunti dall'indagine condotta secondo la direttiva 5/77 del Comitato centrale di liquidazione, il decollo dei servizi amministrativi centrali di ogni consorzio socio-sanitario e cioè di ogni unità sanitaria locale resta fortemente condizionato in modo negativo, mettendo in serio pericolo ogni possibilità di attuazione di programma e di piano.
La Giunta seguirà con ogni attenzione il progetto di riparto del personale e dei beni degli Enti mutualistici ex art. 4 legge 349 e la determinazione dei contingenti numerici di personale mutualistico da assegnare ai ruoli regionali ex art. 67 dell'emananda legge di riforma.
Tuttavia il problema è politico, di perequazione di risorse tra Regioni del sud pletoriche di uomini e scarse di presidi e Regioni del nord depauperate di quadri amministrativi intermedi per via di una politica clientelare adottata in passato dagli Enti mutualistici.
Nel settembre 1976 il Consiglio regionale ha ratificato la deliberazione di Giunta del maggio 1976, inerente l'approvazione del piano di interventi per l'uremia cronica nel quinquennio 1976-80, predisposto dall'Assessorato alla sanità per far fronte ad urgenti ed indilazionabili richieste di intervento nel settore.
La necessità di garantire la sopravvivenza a tutti gli uremici cronici che necessitano di terapia dialitica e di offrire nel contempo le maggiori possibilità di riabilitazione, mediante la scelta della modalità di trattamento più conforme alle necessità del singolo paziente, ha indotto l'Assessorato a porre in atto una serie di interventi e di sollecitazioni presso gli Enti ospedalieri per la realizzazione dei servizi di competenza e per l'adeguamento dei servizi esistenti alle linee ed agli indirizzi del piano regionale.
Mentre sono stati realizzati sia il proseguimento del programma di espansione dialitica mediante la migliore utilizzazione delle attrezzature esistenti e il coordinamento tra gli Centri dialisi e il potenziamento della dialisi domiciliare, una battuta d'arresto ha registrato il programma di realizzazione da parte dell'ospedale S.Giovanni del centro trapianto renali, struttura questa essenziale sia sul piano del recupero degli uremici cronici e sia sul piano dell'aggiornamento scientifico e tecnico degli operatori sanitari: comunque la sollecitazione della Giunta e Assessorato sugli amministratori ospedalieri fa sperare in un'attivazione del Centro entro il 1979.
Del pari l'Assessorato e Giunta seguono con interesse e spingono la realizzazione del servizio di dialisi pediatrica presso l'Ospedale infantile di Torino.
In conclusione in Piemonte operano attualmente: n. 18 centri dialisi ospedalieri n. 3 servizi dialisi ad assistenza limitata n. 5 servizi di dialisi domiciliare che assicurano il trattamento a circa 850 pazienti; al 31.12,1976 n. 643; al 31.12,1975 n. 520.
Dopo una prima fase dia avvio e transitoria durante la quale già si era individuato come scelta politica l'affidamento ai Comuni e Consorzi di Comuni per la gestione e coordinamento operativo dell'intervento contro le tossicodipendenze, con la promulgazione della legge regionale 62 del 23.12.77 e l'insediamento del Comitato regionale per la prevenzione delle tossicodipendenze si è dato mano alla programmazione e realizzazione di interventi nello specifico campo.
In particolare sono stati distribuiti ai Comuni capofila di Comprensorio, cioè dove presumibilmente maggiormente affiora la piaga della droga, i fondi ripartiti dal Ministero della sanità ai fini di organizzare e coordinare a livello comprensoriale i servizi atti a garantire l'intervento in favore dei tossicomani.
Un'efficace opera di indirizzo e di promozione dei servizi è stata svolta dal Comitato regionale per la prevenzione delle tossicodipendenze.
Il Comitato ha elaborato alcune direttive circa l'applicazione del principio dell'anonimato, l'impiego del metadone, il trattamento dei tossicodipendenti minorenni, ed ha nominato, al suo interno, delle commissioni operative con il compito di stimolare gli Enti interessati all'organizzazione dei servizi e di mantenere i necessari collegamenti con gli altri organismi che operano nel settore (Comitati dei provveditori agli studi, Prefetture, Forze di polizia, ecc).
I programmi di intervento hanno avuto faticosa realizzazione anche per via di alcune inaspettate prese di posizione del Ministero della sanità che senza consultare le Regioni nel giugno scorso emanò il decreto che limitava l'uso del metadone solo all'ambito ospedaliero, non riconoscendo quindi alcun valore alle attività di prevenzione e cura e riabilitazione dei tossicodipendenti nelle strutture del territorio in stretta e correlata integrazione con altri servizi e in primo luogo con i Servizi di tutela della salute mentale.
Dal 10 agosto 1978 sono stati integrati con operatori specializzati cinque servizi territoriali comunali che, in collaborazione con gli 5 ospedali sedi di Dipartimento di emergenza ed accettazione, garantiscono l'intervento a favore dei tossicodipendenti (attualmente sono in trattamento circa 300 persone) in tutto il Comprensorio di Torino.
In tal senso si è altresì provveduto all'integrazione dei servizi territoriali, per un intervento coordinato con l'ospedale generale locale nei Comuni di Vercelli, Cuneo, Asti ed Alessandria.
Dagli altri Comuni capofila di Comprensorio, nonostante i numerosi incontri con i responsabili locali, non si è ancora ottenuto un programma organico di intervento. I trattamenti sono comunque assicurati dagli Ospedali e dai Servizi sociali comunali.
In ogni Comune capoluogo di provincia, in ottemperanza al combinato disposto degli artt. 10 e 16 della legge regionale 62/1977, è stato istituito il Centro di coordinamento e di raccolta dati sulle tossicodipendenze.
Le segnalazioni di trattamento presso ospedali, case di cura o medici privati ammontano per l'anno 1977 a circa 950 e per il 1° semestre 1978 a circa 620.
Entro il mese corrente, si provvederà alla distribuzione delle schede stampate a cura della Regione come previsto dal D.M. che consentiranno uno snellimento delle modalità di segnalazione ed una facile elaborazione dei dati statistici del settore.
Nell'ambito delle iniziative atte a garantire un adeguato intervento a favore dei tossicodipendenti a livello regionale, l'Assessorato è stato promotore di una serie di incontri tra funzionari delle sedi centrale e locale del Ministero di Grazia e Giustizia ed il Comune di Torino per la definizione di una convenzione, attualmente all'esame dei competenti organi ministeriali e di controllo, per l'assistenza psico-socio-sanitaria ai tossicodipendenti detenuti nelle carceri Nuove e nell'Istituto F.Aporti di Torino. Analoga assistenza nelle altre carceri del Piemonte verrà assicurata dai locali servizi ospedalieri e territoriali, senza particolare convenzione in quanto non si prevede un numero elevato di interventi.
L'alto tasso di mortalità infantile nel Piemonte rappresenta uno dei motivi del particolare interesse che Assessorato, Dipartimento dei servizi sociali e Giunta hanno dimostrato per l'attuazione del progetto per la tutela materno-infantile che ha come obiettivo principale l'individuazione e la prevenzione dei rischi relativi alle fasce di età materno-infantile e deve operare nell'ottica dell'unificazione di tutti i Servizi socio sanitari operanti in questo settore, attraverso la riorganizzazione degli stessi e il massimo utilizzo delle strutture esistenti.
Pertanto da questi presupposti si è proceduto, già dal 1976, dopo l'approvazione delle leggi regionali 39/76 e 41, a programmare i servizi consultoriali in stretto riferimento sia agli ambiti territoriali individuati dalla legge regionale 41 sia nell'ottica di un graduale accorpamento di tutte le attività riferite alla fascia materno-infantile.
ln tal senso si sono potute recuperare in primo luogo le attività consultoriali ginecologiche e pediatriche esercitate dall'ONMI fino alla legge di scioglimento. Tale operazione ha presentato non poche difficoltà per motivi tecnici e organizzativi, ma si può affermare che attualmente soprattutto per quanto concerne l'attività rivolta alle madri, sono ben poche le situazioni ove permangono separazioni.
Si deve sottolineare che la spinta sociale, avutasi nei confronti dell'istituzione dei Consultori, ha reso possibile la rapida attuazione su tutto il territorio regionale di queste strutture. A tutt'oggi funzionano 101 Consultori di cui 18 privati. Inoltre è da rilevare che l'articolazione territoriale di questi presidi ha sempre, o quasi sempre, tenuto conto degli ambiti previsti dalla legge regionale 41, per cui si può affermare che il primo momento organizzativo per la costituzione delle ULS è stato quasi dovunque rappresentato dall'avvio di tali attività. Infatti, tranne poche eccezioni, il consultorio familiare é, a livello di gestione, unico per ogni ULS e per l'organizzazione si avvale di articolazioni territoriali che consentono un accesso omogeneo a tutta la popolazione dell'ULS.
Immediatamente successiva si è posta l'esigenza di riorganizzare secondo i principi e gli obiettivi contenuti nel già citato Piano di sviluppo regionale,i servizi consultoriali pediatrici ex ONMI, le attività spesso frammentarie e disarticolate di medicina scolastica e tutti gli interventi volti all'inserimento scolastico e sociale degli handicappati.
Tali attività sulla base di quanto indicato nella legge regionale 39/77 e del D.P.R. 616/77, devono essere organizzate e gestite dalle ULS conseguentemente è emersa la necessità di collegamento e unificazione con le attività del consultorio familiare.
Pertanto al momento attuale, considerato che: i consultori familiari esistono in tutte le ULS, le attività dell'ONMI sono state trasferite completamente ai Comuni, i servizi di medicina scolastica sono gestiti, per quanto concerne l'aspetto igienico-sanitario, esclusivamente dai Comuni, si può affermare che a livello di quasi tutte le ULS, costituite o in via di costituzione, si sta costruendo il piano di zona partendo dall'attuazione del progetto per la tutela materno-infantile.
E' da sottolineare anche come sia ormai maturata a tutti i livelli la convinzione che un corretto programma di prevenzione globale debba necessariamente partire su due linee direttrici parallele: educazione sanitaria e incentivazione degli interventi in fase precoce Tale assunto ha provocato un notevole movimento a livello di organizzazione e di operatori che vedono questo programma prioritario su altre iniziative. Non va altresì dimenticato che l'attuazione della 349/77 e delle direttive emanate dal Comitato centrale, permettono di avviare un effettivo programma di riorganizzazione e di utilizzo massimo delle strutture esistenti in questo settore secondo le linee del piano socio-sanitario.
Banco di prova dell'efficienza e dell'efficacia dei consultori familiari è stato ed è la legge 194/78 per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza, legge che Assessorato, Dipartimento e Giunta hanno dimostrato attraverso atti concreti di voler applicare nel pieno rispetto delle posizioni politiche e delle convinzioni etico-religiose degli utenti e degli operatori.
Interessa qui sottolineare come con tutta tempestività la Giunta abbia emanato disposizioni agli Enti ospedalieri, ai Consultori, ai Comuni in modo da superare dubbi e incertezze interpretative.
Non può sottacersi come in Piemonte e non risulta essere stato fatto in altre Regioni si sia raggiunta un'intesa consacrata in un protocollo tra gli Enti mutualistici, organizzazioni mediche, farmacisti e comunità locali per la concreta attuazione della direttiva 10 del Comitato centrale di liquidazione delle mutue, direttiva che permette un'integrazione tra i servizi mutualistici e le strutture del territorio (ospedale e consultori) sia per la prevenzione di gravidanze indesiderate e per una contraccezione sicura e controllata, sia per la protezione sanitaria della gravidanza e sia per la predisposizione di tutti quegli strumenti accertativi clinici preinterruttivi che riducono i rischi connessi agli interventi di interruzione volontaria della gravidanza.
Tuttavia, se si è attuata una doverosa integrazione di servizi, che certamente ha prodotto effetti benefici, non è che l'attuazione della legge 194 sia facile e scorrevole.
Per quanto riguarda il fenomeno obiezione di coscienza vanno portati alla considerazione dell'assemblea alcuni dati. Attualmente su 308 ginecologi ospedalieri in servizio sono obiettori n. 169; su 227 anestesisti, sempre ospedalieri, sono obiettori 109; su 599 paramedici ospedalieri sono obiettori 315.
In tutta la Regione il numero dei medici che ha sollevato obiezione di coscienza è di 1548 e il numero di paramedici e di 2298.
In ogni caso, la situazione si presenta nel complesso abbastanza positiva nella nostra Regione, dove pressoché tutti gli Enti ospedalieri dotati di servizi di ostetricia provvedono ad effettuare interruzioni di gravidanza, nonostante le difficoltà derivanti appunto dal diritto di sollevare obiezione.
Sono stati infatti effettuati fino al 9/11/1978 n. 5201 interruzioni di gravidanza da parte di n. 45 su 49 ospedali. Attualmente non è stata autorizzata alcuna casa di cura privata.
Per quanto riguarda la formazione del personale socio-sanitario richiamiamo qui in primo luogo il valore politico dell'accordo Università Regione in materia sanitaria e lo schema di convenzione tipo Università Ospedale: con tale accordo riteniamo che la Regione Piemonte abbia gli strumenti necessari per assicurare una formazione tecnica e professionale per gli operatori medici coerente con gli obiettivi di piano e con le esigenze delle popolazioni.
Con tale accordo si è recuperata l'università alla programmazione regionale e si è avviato il processo di integrazione tra strutture del territorio e strutture universitarie.
Per quanto riguarda il settore paramedico l'obiettivo da raggiungere è stato individuato nella formazione dell'operatore unico con una scolarità di base comune di almeno 10 anni e successiva formazione o infermieristica o tecnica. Partendo quindi da questi presupposti si è proceduto gradualmente, nell'arco di due anni ad eliminare i corsi a basso contenuto formativo che non rientravano in tale programma e ad eliminare i corsi ad impostazione settoriale Inoltre, sulla base di accordi interregionali concretizzatisi in un disegno di legge presentato alle Camere, si sono individuate quattro figure professionali sulle quali impostare tutto il programma formativo regionale: infermiere professionale, tecnico di radiologia e tecnico di laboratorio e terapista della riabilitazione (per quest'ultima figura non vale il discorso delle scolarità di base di 10 anni in quanto è necessario per l'accesso il diploma di scuola media superiore).
Altri due obiettivi hanno costantemente condizionato tutto il programma e cioè l'incentivazione massima di queste scuole professionali in relazione alla grave carenza a livello ospedaliero ed extraospedaliero di operatori sanitari qualificati (particolarmente drammatica per quanto concerne gli infermieri professionali) e l'esigenza di riqualificazione del personale già in servizio. Sulla base quindi di quanto detto si sono raggiunti i seguenti risultati. Nell'arco di due anni si è raddoppiato a livello regionale il numero degli iscritti alle scuole per infermieri professionali: tale risultato è stato raggiunto rendendo le scuole completamente gratuite, erogando il presalario a tutti gli allievi e stimolando amministrazioni ospedaliere e direzioni delle scuole ad impegnarsi al massimo in questo settore. Inoltre si è avviato un programma di graduale deospedalizzazione delle scuole che si concretizzerà, già il prossimo anno, con iniziative sperimentali gestite dagli Enti locali.
Per quanto concerne la distribuzione territoriale di dette scuole si ritiene che, procedendo su questi obiettivi, si giungerà nell'arco di 4-5 anni al massimo, a coprire l'intero fabbisogno regionale e pertanto si potrà successivamente prevedere una scuola stabile per ogni comprensorio.
Si sono definitivamente chiusi i corsi per infermieri generici e puericultrici, onde evitare una continua immissione di personale preparato in modo insufficiente e conseguentemente bisognoso di successiva riqualificazione, per poter essere correttamente utilizzato nei servizi.
Sono gradualmente diminuiti i corsi di specializzazione, non giustificati da un effettivo bisogno, e si sono autorizzati soltanto quelli ad alto contenuto professionale e che sono indispensabili ad avviare servizi ad alta specializzazione.
Si è proceduto già da due anni alla graduale riqualificazione del personale in servizio, riservando il 20 % dei posti disponibili in ogni scuola a dipendenti ospedalieri e prevedendo il comando triennale presso la scuola stessa. Si e proceduto ad una graduale democratizzazione delle scuole, con la costituzione dei comitati didattici che assicurano la partecipazione attiva di allievi e corpo docente al funzionamento delle scuole.
A partire da quest'anno si è provveduta a formulare un piano formativo regionale che, tenuto conto dei bisogni emergenti sul territorio, ha fissato il numero e la localizzazione delle scuole e col numero massimo degli allievi ammissibili in rapporto alle strutture scolastiche.
Per quanto concerne le attività di formazione non istituzionali, si sono già elaborati programmi sia di riqualificazione (es. per personale ausiliario da adibire a servizi di assistenza igienico-alberghiera), sia di aggiornamento rivolti soprattutto a personale socio-assistenziale già in servizio. A tale proposito vanno citati i corsi per operatori dei consultori familiari, gli corsi per operatori della prima infanzia, e quelli per gli operatori psichiatrici. Tutti questi corsi, gestiti direttamente dagli Enti locali, gestori dei servizi in questione, vengono programmati e dimensionati a livello comprensoriale, in linea con quanto previsto dalle linee del piano socio-sanitario.
Nel settore della prevenzione l'attenzione particolare e costante dell'Assessorato e della Giunta è rivolta verso i rischi dell'ambiente di lavoro in stretta collaborazione con le organizzazioni sindacali.
Il servizio di tutela sanitaria nei luoghi di lavoro, istituito con deliberazione della Giunta regionale nell'anno 1973, ad una prima analisi non pare aver generato a tutt'oggi una vera e propria domanda di salute, da parte dei destinatari del servizio addetti alle attività produttive, sia all'interno delle fabbriche, sia, in senso più lato, nel territorio.
Le ragioni dell'assenza di una domanda storica in grado di dare una misura del servizio, a nostro avviso vanno ricordate innanzitutto nell'intervallo temporale ancora relativamente breve che separa dal momento dell'introduzione del servizio.
Si stanno, in altri termini, ancora scontando i tempi necessari per una messa a punto del servizio, che rispetto alle ipotesi e agli obiettivi originari contempla altresì un riorientamento degli stessi per far sì che nell'ottica delineata nel relativo progetto obiettivo contenuto nel Piano di sviluppo regionale e in sintonia con le indicazioni contenute nei documenti del piano socio-sanitario non si palesi tanto come un vero e proprio servizio aggiuntivo a quelli esistenti, ma un modo di essere di tutti gli attuali servizi che operano negli ambienti di vita e di lavoro un modulo, in altre parole, per coordinare e finalizzare meglio, attraverso la riconversione, gli attuali interventi che vengono svolti sul territorio.
A prescindere da tali difficoltà oggettive, occorre inoltre sottolineare i ritardi che si sono accumulati sul piano legislativo normativo a livello nazionale e che hanno in qualche modo rallentato il processo di decollo delle iniziative regionali, in uno con l'estraniamento delle componenti imprenditoriali.
E' indubbio che una più calibrata azione rivendicazionistica da parte delle organizzazioni sindacali dei lavoratori e soprattutto la presenza di un quadro normativo con un più alto grado di sistematicità sotto il profilo giuridico dovrebbero ovviare a tali inconvenienti conferendo maggiore fluidità agli interventi nel pieno rispetto dei propri ruoli istituzionali.
Occorre pertanto sciogliere innanzitutto tali nodi affinché la fabbrica, e più in generale il territorio, sia in grado di generare una domanda, che è bene sottolineare dovrà essere non una domanda estraniata stravolta dagli obiettivi riduttivi legalistico-istituzionali indotta dagli attuali Enti ed Organismi competenti ex legge in materia (ENPI, Ispettorati del lavoro, ANCC, INAIL. ecc.) ma originata strettamente, connessa ai rischi presenti nei processi produttivi nella fabbrica e sul territorio.
In tal senso una delle priorità che ci si è dati all'interno delle Unità di base, intese come primo nucleo operativo all'interno delle zone ULS, è stato quello della costruzione di alcune "mappe grezze di rischio" finalizzato ad evidenziare attraverso censimento delle attività produttive nella zona, alcuni indicatori sul grado di nocività presenti e quale premessa per innescare da un lato un processo di domanda generalizzata all'interno di un quadro conoscitivo sistematico delle condizioni ambientali della zona, e dall'altro lato organizzare un sistema di risposte organico in grado di eliminare non solo i rischi ma anche la cause dei rischi.
Si sono comunque costituite Unità di base in 35 Comuni della Regione Piemonte con un contributo annuo di L. 10.000.000.
Inoltre, a seguito di una contrattazione con le organizzazioni sindacali regionali ed i Comuni interessati, è stato aumentato il contributo ad alcune Unità di base, tenendo conto dello stato di attuazione del programma e degli impegni derivanti dal suo ulteriore sviluppo, per 315 milioni.
Una breve considerazione in qualche modo collegata con il discorso della prevenzione, prevenzione dei rischi presuppone conoscenza certa ed informazione qualificata. In tal senso l'Assessorato sta sviluppando una serie di iniziative coordinate per l'attuazione di un sistema informativo che partendo dalle rilevazioni delle realtà delle singole zone socio sanitarie e integrandosi con momenti centrali possa restituire al territorio un complesso di dati atti ad indirizzare la programmazione dei servizi.
Riteniamo in proposito che il circuito delle Unita di base come mezzo di conoscenza debba essere integrato nei sistemi generali di informazione non potendosi ipotizzare deleghe in tal senso ad alcun Ente o struttura che non sia quella istituzionale a livello comunale, consortile e regionale.
Sempre nell'ambito della prevenzione dei rischi dell'ambiente di vita un cenno particolare va posto sull'attività di vigilanza igienica che sulle acque, suolo, abitati ed alimenti svolgono gli uffici dei medici e veterinari provinciali.
Noi riteniamo che la funzione di questi uffici debba, nell'ambito della realizzazione della riforma sanitaria, venir assorbita dai servizi zonali di igiene ambientale. Tuttavia a livello regionale, con funzioni di programmazione, promozione, ricerca e coordinamento, la presenza del medico igienista e del veterinario è indispensabile.
A conclusione dell'esposizione puntuale dei diversi provvedimenti che hanno caratterizzato l'azione dell'Assessorato nei principali settori di attività che gli sono assegnati sorge spontaneo l'interrogativo: qual è il filone conduttore di essi? Quali gli strumenti per ricondurli agli obiettivi generali posti in premessa? Qual è stata, in parole povere, la strategia programmatoria della Giunta regionale ed in quali atti legislativi si sostanzia? Recuperare alla programmazione il settore dei servizi sociali e sanitari dopo anni di sviluppo caotico e incontrollato degli stessi, senza alcun indirizzo da parte della prima legislatura regionale, imponeva una visione globale e prospettica che costruendo dapprima le basi generali della nuova organizzazione dei servizi sviluppasse progressivamente via via l'assetto giuridico-istituzionale degli stessi, le modalità di esercizio delle attività, la loro struttura.
Un compito del genere non poteva non occupare l'intero arco della II legislatura in un concatenarsi puntuale di provvedimenti di legge correlati agli obiettivi generali.
Il primo di essi, la legge n. 41 "Definizione degli ambiti territoriali delle Unità locali dei servizi" fu approvato dal Consiglio regionale il 9 luglio 1976.
Vero strumento cardine della visione riformatrice, fissava i principi generali della suddivisione del territorio in Unità locali e della gestione territoriale unitaria di tutti i servizi con precise e importantissime anticipazioni della legislazione nazionale, che è poi venuta a suffragare per tutto il territorio nazionale (anche se limitatamente ai servizi sanitari e socio-assistenziali) l'impostazione data dalla Giunta e dal Consiglio regionale piemontese al problema.
Prima dell'approvazione della legge 41 fu presentato al Consiglio regionale dalla Giunta il secondo provvedimento di riforma, il disegno di legge 104 che dopo ampissima, prolungata e approfondita discussione fu tradotto in legge l'8 agosto 1977 col n. 39.
Con tale legge si sancì il principio dell'ampia delega ai Comuni di funzioni in materia sanitaria e socio-assistenziale purché venissero esercitate dagli stessi in forma consortile e decentrata.
Fu scelta significativamente la forma del consorzio volontario come occasione irripetibile di iniziare il processo dal basso come progressiva presa di coscienza da parte delle comunità locali, e tale scelta è stata finora mantenuta anche dopo che il D.P.R. n. 616 del 21.7.77 è venuto da un lato a confermare altre importanti anticipazioni che la legge 39 introdusse (nei casi di coincidenza Unità locale/Comunità montana e coincidenza Quartiere/Unità locale) e dall'altro a rafforzare la potestà di indirizzo della Regione in materia di consorzi conferendole potestà di prevedere forme di consorziazione obbligatoria.
Altro significativo indirizzo, connaturato alle scelte di fondo della Regione, fu quello di conferire ai nascenti comprensori un ruolo preminente nella promozione del consorziamento. Promozione che li ha visti protagonisti di un'azione capillare ed incisiva in numerose sedute e riunioni per tutta la prima parte di quest'anno e tutt'ora dove le difficoltà sono più numerose.
Sulle 76 Unità locali previste dalla legge 41/76 le 23 corrispondenti ai quartieri di Torino dopo il notevole sforzo sostenuto dai Comprensori si devono considerare costituite a partire dal 19/12/75 giorno di approvazione della delibera quadro del Comune di Torino sul decentramento comunale.
Delle restanti 53 zone risultano formalmente costituite in consorzio n.
7 ULS e precisamente le due Comunità montane, Val Chisone e Germanasca e Val Pellice, coincidenti rispettivamente con le ULS 42 e 43, le ULS n. 25 (Rivoli), 28 (Settimo), 34 (Orbassano), 52 (Galliate) e 53 (Arona).
Altre 6 Unità locali e precisamente le ULS n. 24 (Collegno), 33 (Nichelino), 54 (Borgomanero), 71 (Valenza Po), 35 (Giaveno), 57 (Omegna) sono prossime alla definizione dopo il parere favorevole espresso dal Consiglio regionale (se ne prevede l'esame da parte del Consiglio regionale nella seduta del 20.12.78).In fase di avanzata definizione risulta anche l'Unità locale di Novara (n. 51).
In totale si possono considerare già costituiti 13/14 consorzi. Sulla scorta di elementi conoscitivi in possesso degli uffici del Dipartimento servizi sociali risultano inoltre essere all'esame dei Co.Re.Co. competenti gli atti delle Unità locali n. 58 (Cuneo), 60 (Borgo S.Dalmazzo), 76 (Casale) e 59 (Dronero), avendo già provveduto a deliberare tutti i Comuni delle rispettive zone. Nella maggioranza delle altre ULS, sempre in base ad elementi conoscitivi acquisiti dagli uffici, risulta che la quasi totalità dei Comuni ha già deliberato l'adesione del consorzio o, comunque, esiste già un accordo zonale a livello statutario che garantisce a sufficienza sull'effettiva volontà politica di adesione da parte dei Comuni o delle Comunità montane.
La situazione presentata denuncia ritardi ed inomogeneità di applicazione delle direttive regionali nelle diverse parti del territorio ma doveva prevedersi, viste le premesse di cui sopra, una diversa risposta dei singoli territori perché diverse e peculiari sono le condizioni in cui una riforma di così vasta portata viene ad essere applicata nel singoli territori.
Ciò deve essere considerato, almeno in prima analisi, la prima importante verifica della reale comprensione da un lato e della serietà e dell'approfondimento dall'altro che il territorio dimostra nei riguardi della vastità e complessità del problema.
Comunque al di fuori di provvedimenti formali che, in applicazione o del decreto 616 o della riforma sanitaria, potranno dover essere assunti per evitare un ritardo eccessivo nelle zone più problematiche, è evidente che occorre immediatamente provvedere affinché il consorziamento o il decentramento nonché il rapporto appena affiorante con gli comprensori non costituisca un mero provvedimento formale che non incida subito ed in profondità nella gestione dei servizi.
E dato che la gestione nuova dei servizi sanitari e socio-assistenziali si attua con la programmazione occorre dare concretezza operativa a tale programmazione.
I presupposti dell'operatività invocata sono stati preparati ed approvati con altrettanta tempestività e vastità di impegno, dalla Giunta e successivamente dal Consiglio regionale, rispetto agli strumenti legislativi specifici che stanno conducendo alla nascita delle Unità locali.
Il 27 luglio 1977 è stato approvato il Piano di sviluppo. In esso sono inseriti sia il criterio fondamentale del rapporto del settore socio sanitario con lo sviluppo economico generale e cioè il contenimento della spesa, sia gli elementi chiave della programmazione nuova dei servizi (cioè l'ancoraggio delle attività al territorio, la riorganizzazione delle stesse su tale base e la strutturazione a rete dei servizi sia all'interno delle Unità locali sia in collegamento tra Unità locali), nonché l'indicazione di alcuni settori verso i quali indirizzare l'attività soprattutto preventiva di tutti gli servizi, in particolare la prevenzione dei danni ambientali derivanti dalle lavorazioni nocive, la tutela della maternità e infanzia, e la riforma della formazione professionale socio-sanitaria come supporto essenziale sia della riorganizzazione dei servizi sia del loro concorrere al raggiungimento degli obiettivi prefissati.
Tali indirizzi del Piano di sviluppo hanno cominciato ad operare subito dopo la loro approvazione.
Il bilancio 1977-78 è stato infatti ristrutturato facendolo aderire ai grossi filoni di attività finalizzata indicati dal Piano di sviluppo.
Nel luglio 1978) contemporaneamente all' attività promozionale dei comprensori sul consorziamento, sono stati approvati dalla Giunta regionale i criteri specifici di applicazione ai servizi sanitari e socio assistenziali degli indirizzi del Piano di sviluppo nella forma dei documenti "Criteri generali di gestione e programmazione dei servizi sanitari e socio-assistenziali": da cui si sono tratti con condizione sintetica e propositiva i "Principi di riordino dei servizi sanitari e socio-assistenziali". Entrambi gli documenti sono stati adottati con deliberazione del 18.7.78 e presentati al Consiglio per l'approvazione.
Con tale deliberazione la Giunta regionale si è autovincolata ai criteri formulati affinché essi costituiscano un momento di non ritorno nel procedere verso la programmazione operativa dei servizi sociali e sanitari.
Nei documenti si precisano, sulla base della legge n. 43 del 19.7.77 e 39 dell'8.8.77, le rispettive competenze di programmazione dei programmi delle Unità locali, dei piani comprensoriali e del complessivo piano settoriale regionale.
E' inutile qui un'esposizione approfondita degli altri contenuti della deliberazione e dei documenti, molto dettagliati e specifici, essi sono stati distribuiti ai Consiglieri che potranno valutarne in modo approfondito sia il disegno generale che le singole parti. Voglio solo sottolineare la puntuale precisione con cui si delinea in essi l'intera rete dei servizi nei suoi precisi rapporti interni e, soprattutto, col territorio realizzando in concreto l'applicazione degli indirizzi del Piano di sviluppo con un'attenzione specifica a quanto il Parlamento va elaborando nel corso dell'approvazione del disegno di legge sulla riforma sanitaria.
I documenti quindi sono una proposta aperta di cui saranno da rivedere e modificare più le singole parti che non il disegno generale il quale contiene tutti i principi basilari della nuova riforma sanitaria.
Le consultazioni a cui il Consiglio regionale provvederà consentiranno la loro adozione in forza definitiva, sì che essi vengano a costituire lo strumento, ormai indispensabile, di raccordo fra le diverse responsabilità gestionali e programmatorie (Regione, Comprensorio, Unità locale) in tempo utile per la redazione, già iniziata in campo socio-economico, dei piani comprensoriali e dei programmi zonali coordinati a livello comprensoriale.
La redazione dei piani e dei programmi 'deve costituire l'atto fondamentale di inizio dell'attività reale dei consorzi e del loro rapporto coi livelli di programmazione regionale (centrali o decentrati) da un lato e coi servizi dall'altro.
Il momento essenziale che permetterà loro di assumere un ruolo politico ed operativo determinante nelle scelte e negli indirizzi di attività, che non possono attendere la piovuta dall'alto della riforma sanitaria, ma la devono preparare.
Se non si conferirà un ruolo preminente ai consorzi stessi, attraverso soprattutto i programmi ed i piani, per la gestione della nuova convenzione unica per la medicina generica (che già è in fase applicativa e sta già per determinare, a giorni, il primo importantissimo elemento di razionalizzazione dei servizi di base: entrata in vigore delle SAUB) pregiudicheremo gravemente l'attività fin qui svolta dalla Regione e vanificheremo sin dall'origine i presupposti, largamente condivisi dalla stragrande maggioranza del Parlamento, che stanno alla base non solo della riforma sanitaria ma della stessa riforma dello Stato in applicazione della Costituzione, qual è stata delineata dal decreto 616.
Perché ciò non avvenga è indispensabile da un lato l'approvazione dei criteri generali di programmazione e che dall'altro si predisponga uno strumento operativo atto a permettere un rapporto costruttivo tra le ULS, i Comprensori e la Regione nella redazione dei programmi zonali e dei piani comprensoriali nonché nella loro valutazione, integrazione e approvazione da parte della Regione.
Ecco quindi la proposta di una scheda operativa per la redazione di programmi e piani di cui è stata distribuita una esemplificazione ai Consiglieri, la quale costituisce lo sbocco attuativo di tutta l'attività programmatoria e legislativa fin qui svolta dalla Regione verso la redazione del piano settoriale dei servizi sanitari e socio-assistenziali.
Non si interpreti tale scheda come un formulario da compilare in via burocratica; essa costituisce in realtà una guida per gli intensi rapporti che si vanno instaurando fra Unità locali, Comprensori e Regione.
Essa è l'evidenziazione di un obiettivo, ambizioso, ma ineludibile rispetto alle premesse: la costruzione di un processo di programmazione da parte delle rappresentanze politiche delle comunità locali in diretto contatto con i cittadini che rappresentano, con la collaborazione degli operatori locali ma senza deleghe tecniche scollegate dal territorio.
Anche su tale proposta la Giunta attende quindi un preciso indirizzo del Consiglio, pur dichiarando fin d'ora che la redazione del piano settoriale dei servizi sanitari e socio-assistenziali per le parti spettanti alla Giunta verrà consegnata al Consiglio entro il giugno 1979 e che per tale data dovrà essere possibile operare da parte del Consiglio stesso la sintesi fra i diversi provvedimenti programmatori.
Mai come ora ci siamo trovati infatti di fronte, nel campo dei servizi sanitari e socio-assistenziali, alla possibilità di un'applicazione reale e conseguente dei principi costituzionali e nello stesso tempo al pericolo di un'ennesima applicazione formale di essi che in realtà li tradisce profondamente e li nega.
La Giunta regionale ritiene di aver adempiuto fin qui al suo compito di predisporre gli strumenti affinché si verifichi la prima ipotesi e non la seconda, richiede pero con questo dibattito che tutto il Consiglio si renda protagonista di tale attività adottando come per il passato una specifica strategia.
Dal dibattito quindi che si inizia con la relazione dell'Assessore Vecchione e la mia deve scaturire un indirizzo preciso e uno stimolo pressante nell'operare perché l'edificio della riforma, di cui si sono poste le fondamenta, continui a crescere nei fatti con il concorde sforzo di tutti, ciascuno secondo le sue responsabilità, comunità locali e comunità regionale, maggioranze ed opposizioni; convinti che qualsiasi ritardo, a questo punto, porterà a conseguenze gravissime che si ripercuoteranno per anni sul nuovo servizio nazionale e quindi direttamente sui cittadini.
Se la gestione dello scioglimento delle mutue e la riorganizzazione dei servizi non avrà una guida collegata con le scelte di programmazione, se il finanziamento regionale non supporterà in modo chiaro e preciso l'attività dei consorzi verso le finalità della riforma, se la Regione non assisterà nell'attività di programmazione comprensori e consorzi, se tale attività non inizia immediatamente con criteri e procedure certe e non si svolge in un tempo determinato (entro il giugno prossimo) utile a costruire una comune base di prima applicazione della riforma sanitaria, da un lato mancheranno elementi condivisi e partecipati per la vastissima attività legislativa regionale, di applicazione del la riforma stessa la quale risulterà quindi astratta, formale e con forti rischi di inapplicabilità dall'altro la mole dei provvedimenti applicativi rischierà di travolgere i consorzi, fin dal loro nascere, piovendo tutta assieme su di essi.
Su tutti i punti sopra accennati dovremo quindi, tutti insieme, dare delle risposte non sibilline, assumendo ciascuno in modo inequivocabile, le proprie responsabilità.
Sia un giudizio preciso e globale sull'attività fin qui svolta, sia proposte concrete sul presente e sul futuro più o meno immediato dovranno essere contenute in tali risposte, tutta la comunità regionale e, direi tutta la Comunità nazionale ha il diritto di pretenderlo dal Consiglio regionale piemontese.
La riforma sanitaria ha iniziato l'iter finale di approvazione, tutte le riforme previste dal decreto 616 seguiranno entro l'anno che sta per iniziare, stiamo affrontando infatti la rifondazione stessa dello Stato italiano secondo i principi della carta costituzionale. Guai se non saremo all'altezza del compito unitario che ci troviamo di fronte.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE BELLOMO

Le relazioni sono state svolte, ringrazio gli Assessori Vecchione ed Enrietti.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 13,15)



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