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Dettaglio seduta n.19 del 25/11/75 - Legislatura n. II - Sedute dal 16 giugno 1975 al 8 giugno 1980

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SANLORENZO


Argomento: Industria - Commercio - Artigianato: argomenti non sopra specificati - Problemi del lavoro e della occupazione

Dibattito sui risultati della Conferenza regionale sull'occupazione, gli investimenti e lo sviluppo economico (seguito)


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Era iscritto a parlare per primo il Consigliere Borando, ma è assente gli darò la parola per ultimo, perché non posso accettare il sistema di dare degli appuntamenti e di vederli elusi per tattica oratoria, che poi non ha nessun senso.
La parola all'Assessore Bajardi.



BAJARDI Sante, Assessore alla viabilità e trasporti

Una recente indagine statistica dimostrerebbe che gli italiani nel 1973 hanno percorso, pro capite, 6000 Km. all'anno e ne avevano percorsi sei anni prima, nel 1966, 4000 all'anno. Sono dei dati che potrebbero a tutta prima essere positivamente e unilateralmente interpretati, ma l'approfondimento di questi valori ci induce a riflettere ed a porci dei quesiti: quanti di questi viaggi compiuti dagli italiani corrispondono a bisogni reali, per accrescere il grado di libertà e di benessere dei cittadini e quanti invece non corrispondano ad un sistema di costrizione morale e materiale dovuto alla crescita della pendolarità, delle distanze tra le varie relazioni collegate al decentramento industriale, o all'assenza di servizi o, più in generale, per consumi indotti.
L'approfondimento di queste questioni ci pare quanto mai pertinente se si vogliono considerare i punti nodali del nuovo meccanismo di sviluppo: una corretta collocazione del sistema dei trasporti intesa non solo come soddisfacimento di bisogni urgenti e, più in prospettiva, di bisogni concreti delle masse popolari fini a sé stesse, ma - se consideriamo il sistema dei trasporti come un elemento portante per l'organizzazione del complessivo territorio, come è emerso anche con forza nel corso della conferenza sui problemi dell'occupazione, lo sviluppo e gli investimenti anche come un punto di riferimento per una nuova committenza all'industria.
Si tratta di riflettere, a questo punto, sul peso economico di questo complessivo settore e non paia pedanteria rilevare alcune cifre che mi pare giusto richiamare alla nostra attenzione per indicare le tendenze, i riflessi, che sul piano economico una scelta, certamente non programmata nel campo dei trasporti, ha determinato sul complessivo uso delle risorse del nostro paese.
Nel 1966 le spese correnti di esercizio di tutti quanti i sistemi di trasporto di persone e di cose, anche del trasporto individuale assommavano a 6900 miliardi, che rapportate ai 35.000 miliardi del prodotto nazionale lordo interno avevano un'incidenza del 19,5%. Sei anni dopo, nel 1971, la spesa complessiva di esercizio di tutti i sistemi di trasporto come si evince dal conto nazionale dei trasporti che ci porta a conoscenza degli ultimi dati elaborati, è stata di 15.500 miliardi, che raffrontati al prodotto nazionale lordo del 1971 di circa 57.000 miliardi, fa si che la spesa complessiva della comunità per il trasporto dal 1966 al 1971 passi dal 19,5% al 27,2 %. E' un balzo rilevante, che ha una pesante incidenza su tutta quanta l'organizzazione economica della nostra società, e se si approfondisce l'analisi si vede che mentre il trasporto individuale di persone su strada nel 1966 aveva un'incidenza economica del 46,5 ascendeva nel 1971 al 54%.
In questi squilibri - e non è certamente colpa mia il fatto che non siano a disposizione nostra i dati più recenti e particolarmente quelli del 1974 e 1975 dove le modificazioni all'interno dei vari sistemi di trasporto sono state sensibili, ma dove è dubbio se il costo complessivo del sistema dei trasporti si sia ridotto, ma è anzi probabile che si sia accentuato questo rappresenta un punto di riferimento importante se si vuole andare non solo al soddisfacimento di bisogni di trasporto della nostra comunità (in questo caso non mi riferisco solo alle persone, ma anche alle cose) ma se questo bisogno viene soddisfatto a certi livelli di efficienza e nel quadro di una visione unitaria dei problemi più generali del paese.
Non sarà certamente inutile rilevare che nello stesso periodo, mentre l'incidenza delle spese di esercizio passa dal 19,5% al 27,7%, del prodotto lordo nazionale, con un incremento di oltre otto punti, gli investimenti passano dal 24,5 al 26,4% .
E' un dato sul quale varrebbe la pena riflettere perché il futuro è determinato dalla politica degli investimenti, dalla qualità ma anche dalla massa complessiva degli investimenti in una determinata direzione.
Su questi dati sommari potrebbero essere fatte anche altre considerazioni: se è vero che nel 1973 circoliamo per 6000 Km. all'anno pro capite, si può anche dire che se si circola a 50 Km. all'ora, ognuno di noi passa 120 ore su un mezzo di trasporto; e se è vero che la velocità media nelle zone urbane arriva anche ai 10 Km. all'ora, può anche voler dire che si passano 600 ore sui mezzi di trasporto all'anno. E se consideriamo che questi dati sono pro capite (e mia figlia non viaggia, mia suocera non viaggia) le considerazioni che si possono trarre in relazione alla velocità commerciale dei servizi e al tempo perso valutato anche in termini economici per il modo in cui è organizzato il sistema di trasporto, ci suggeriscono importanti elementi di riflessione che inducono a considerare la riforma dei trasporti un momento importante per l'affermazione e l'estensione del nuovo meccanismo di sviluppo, uno di quegli elementi importanti che può contribuire al superamento delle contraddizioni storiche del nostro paese, quelle territoriali e quelle settoriali e che nella concretezza di oggi ci può permettere di garantire livelli di occupazione nell'ambito di una revisione profonda dei rapporti reciproci tra i vari settori dell'economia (agricoltura, industria e servizi) - e cosa che particolarmente ci preme sottolineare oggi - all'interno di questi stessi settori ed in particolar modo all'interno del settore dei trasporti.
Sorge quindi imperiosa, dall'esame di tutta quanta la politica dei trasporti, la necessità di una visione unitaria economica e sociale che non può essere certamente il risultato di un'elaborazione a tavolino, ma un fatto politico, un fatto democratico costruito con le categorie interessate, con le masse degli utenti, con le masse dei lavoratori dei trasporti, con le masse dei lavoratori delle aziende produttrici dei mezzi di trasporto. E' nel rapporto tra questi tre momenti che possiamo avviarci verso una strada corretta che ci permetta di affrontare e di risolvere i problemi dei trasporti.
Sottolineiamo l'esigenza di andare quindi ad una visione unitaria del sistema complessivo dei trasporti su ferrovia, su rotaia per le Ferrovie dello Stato, aerei, marittimi e su gomma e di tutto il sistema ai vari livelli: nazionale, regionale, comprensoriale e comunale, sottolineando la necessità di assumere delle scelte politiche di fondo che siano qualificanti, al fine di non creare delle discriminazioni.
Ci pare, a questo punto, opportuno sottolineare la necessità di piegare le scelte tecniche e tecnologiche che vengono frequentemente proposte alla nostra attenzione, ai bisogni reali della nostra collettività. E quando sottolineiamo il fatto che le FF.SS. devono avere un ruolo decisivo nel sistema dei trasporti del nostro Paese, siamo ad un bivio e si pone di fronte a noi il quesito: dobbiamo accettare la scelta prevalente delle FF.SS. di essere al servizio di poche persone per farle viaggiare a 260 Km.
l'ora, oppure dobbiamo organizzare le FF.SS. per fare passare la velocità media commerciale dai 23/50 Km. ai 50/60 Km. che, certo, non sono niente di trascendentale, ma rappresenterebbero la riduzione a metà del tempo che le grandi masse dei pendolari perdono nel trasporto? Ma allora alla scelta tecnica del pendolino dobbiamo contrapporre altre scelte, quella dei treni pendolari che non esistono ancora nel nostro paese e che stenta a diventare una scelta delle Ferrovie dello Stato.
Ed ancora mi richiamo a fatti più recenti che sono stati oggetto di dibattito nella nostra Regione, alla metropolitana ormai sparita dalla scena non tanto per volontà distruttrice nel confronto del sistema tecnologicamente configurato, ma proprio perché il suo alto costo chilometrico reale (il consuntivo dell'ultimo tratto della metropolitana di Milano porta a registrare i 30 miliardi al Km.) ci dice chiaramente la impossibilità di trovare i mezzi per costruire tali avveniristiche strutture in una città come Torino la quale non può dare che meno della metà dell'utenza che sarebbe necessaria per quella determinata struttura condannando quindi la struttura stessa ad un sotto consumo e quindi ad altissimi costi di gestione.
Ma il discorso si rivolge anche agli effetti indotti che tali strutture, in assenza di politica di piano, avrebbero rappresentato; forse esse, per avvalorare i propri alti costi di gestione, per costruirsi una utenza indotta, avrebbero potuto essere gli strumenti che avrebbero accentuato la congestione e l'inurbamento delle grandi aree metropolitane senza affrontare il problema di fondo che è quello della mobilità dei cittadini, abolendo la mobilità inutile, quella che si può abolire nel quadro di uno sviluppo armonico di tutta quanta l'attività economica.
In questo senso ci pare giusto - alla luce di alcune considerazioni che sono state fatte stamane relativamente ad una pretesa assenza di proposte per quanto riguarda l'area metropolitana di Torino - sottolineare l'esigenza che in questo ambito un intervento specifico, esclusivo privilegiante una parte del territorio, non può che essere un incentivo all'ulteriore processo di inurbamento e alla determinazione di alti costi di gestione del sistema di trasporto; quando si vuole considerare il sistema di trasporto, non come un fatto a sé, ma un fatto estremamente connesso all'uso del territorio ed a tutto quanto il processo economico dobbiamo elevare contemporaneamente, su tutto il territorio della Regione il sistema complessivo dei trasporti, senza privilegiare le zone che sono state al centro di processi di congestione, perché orientandoci verso una politica di investimenti che privilegi certe zone, potremmo accentuare i processi che vogliamo eliminare, quelli della congestione, mettendoci nelle condizioni di non poter tradurre in concreta realtà l'esigenza della diffusione dello sviluppo su tutto quanto il territorio regionale.
Da questo punto di vista ci pare indispensabile affrontare il problema in termini generali e seppure ci paiono meritevoli le linee di ricerca dell'Assessorato negli anni precedenti, tali che hanno portato a fare una positiva riflessione sul complessivo sistema delle Ferrovie dello Stato in generale e in particolare sulle linee secondarie della Canavesana e delle Valli di Lanzo e sul sistema dei trasporti nell'area urbana di Torino in riferimento alla ricordata ipotesi del metrò, ci pare giusto sottolineare l'esigenza di un discorso generale che tenda ad individuare le linee idi fondo dell'organizzazione del sistema dei trasporti a maggior ragione oggi alla vigilia del funzionamento dei comprensori, quando è necessario passare da una fase di generico sostegno all'iniziativa pubblica e privata per garantire un minimo di trasporto alla comunità, ad una fase successiva che configuri una situazione di diritto, inseribile in tutta quanta la politica di piano, piano regionale e piano comprensoriale, e che diventi uno strumento al servizio dei futuri comprensori per far corrispondere, sul piano del sistema dei trasporti e della viabilità, concreti interventi a livello locale, con il supporto dell'iniziativa e dell'intervento finanziario regionale per la realizzazione di quel disegno più generale della nostra regione che si configurerà nelle prime e nelle successive ipotesi di piano di sviluppo regionale.
Non possiamo non considerare positivo il fatto che dall'aprile del 1972 al giugno del 1975 la spesa totale della Regione nel campo dei trasporti sia stata di 22,3 miliardi che corrispondono, grosso modo, a 39 miliardi stanziati a bilancio e di 27,4 miliardi impegnati; manca la parte del secondo semestre del 1975, il che ci fa rilevare che in questi capitoli di spesa non abbiamo rilevanti residui passivi, anche se non posso sottacere che il residuo più rilevante, di circa un miliardo e mezzo, è quello relativo al processo di estensione del settore pubblico nel campo dei trasporti, cosa che ci deve indurre a delle riflessioni, anche se l'analogia, miglioramento dei trasporti ed estensione della pubblicizzazione non è un'analogia diretta, ma la pubblicizzazione pu essere solo uno strumento per garantire un miglioramento del servizio. E nello stesso tempo non possiamo non rilevare che la spesa nello stesso periodo per acquisto di autobus è stata di circa 13 miliardi, pari a 760 autobus, spesa rilevante, di gran lunga superiore a quella di altre Regioni ed in ogni caso molto superiore a quella da cui potrà trarre vantaggio la nostra Regione con la sua partecipazione agli introiti che deriveranno dai decreti anticongiunturali.
E' da questi decreti anticongiunturali che va evidenziato il ruolo della Regione Piemonte da settembre ad oggi, sulle questioni del metrò ora ricordate come elemento di ordine generale, ma con l'aggiunta del fatto che la nostra proposta unitaria di Consiglio Regionale ha dato un contributo decisivo alla modificazione del decreto anticongiunturale nel senso che quelle somme sono ora disponibili per la realizzazione di sistemi di trasporto metropolitano e non più solamente di ferrovia metropolitana aprendo una strada positiva, fino allora non esplorata, di un utilizzo delle risorse vecchie e anche di quelle nuove che per iniziativa della nostra Regione sono state estese anche al nostro sistema di trasporto metropolitano con gli emendamenti fatti pervenire al Ministero dei trasporti e sostenuti da numerosi gruppi in Parlamento.
Ed ancora sui decreti anticongiunturali sottolineiamo l'esigenza di una diversa politica aeroportuale e della estensione degli investimenti nei confronti degli autobus.
Ci siamo dati da fare, nel corso di questi mesi, affinché un recupero della spesa nei confronti della viabilità minore e del capitolo oggi in discussione in tutti quanti i comprensori, possa permetterci da una parte un'accelerazione della spesa pubblica, ma dall'altra il soddisfacimento di bisogni reali di viabilità minore e dall'altra ancora di ridurre la pressione verso la viabilità maggiore i cui costi sono a noi tutti noti; ne è un esempio la discussione di ieri dove abbiamo parlato di decine di miliardi per alcune opere di viabilità lasciando molte richieste insoddisfatte, dimenticando però in quel momento che l'intervento globale della Regione nel corso di questi tre anni e mezzo, per quanto riguarda i trasporti è stato solamente di 22,5 miliardi.
Il raffronto della facilità di spesa nell'ambito della viabilità e della difficoltà di spesa nell'intervento diretto dei trasporti deve essere un elemento di riflessione sul quale vale la pena richiamare l'attenzione di noi tutti.
Ed è per questo che sottolineiamo l'esigenza di proseguire questo confronto con l'ANAS e con le FF.SS. in modo particolare non per intervenire solo sulle grandi relazioni ferroviarie, ma per cercare di verificare le possibilità concrete di un uso delle Ferrovie in generale e anche al soddisfacimento dei bisogni di trasporto nell'ambito dei sistemi comprensoriali di trasporto non solamente una funzione organizzatrice nei confronti del trasporto su gomma, ma anche nei confronti del trasporto su rotaia.
A questo punto mi pare giusto riprendere alcune iniziative dell'Assessorato ai trasporti e alla viabilità nel periodo precedente.
Furono impostati discorsi relativamente alle linee secondarie del Canavese e della Valle di Lanzo, con una previsione di stanziamento di venti miliardi, previsione ad onor del vero mai tradottasi in impegno di spesa ma che deve essere seriamente meditata alla vigilia del trasferimento alle Regioni di funzioni delle Ferrovie in concessione ma non i mezzi per assolvere a queste funzioni. Vale la pena riflettere un momento su una linea che potrebbe appesantire enormemente il bilancio della nostra Regione, senza potere, in assenza di strumenti di ordine più generale e particolarmente di risposte definite sull'assetto dei trasporti nell'area torinese, indirizzarsi verso la costruzione di condizionamenti aprioristici nei confronti dell'organizzazione del sistema torinese.
Il sistema torinese è al centro del dibattito. Siamo tutti al corrente che la scorsa settimana, al termine di un dibattito profondo l'amministrazione comunale di Torino, quasi all'unanimità ha decretato la soppressione della società metropolitana, avviandosi verso un processo che tende alla costituzione di un sistema politico unitario di direzione di tutto quanto il sistema di trasporto. E' un dato importante che crea le premesse per un rapporto più qualificato tra Regione, Comune di Torino, e futura autorità comprensoriale. Ci preme però ricordare che nella stessa seduta è stata costituita una Commissione con il compito di elaborare i piani del sistema dei trasporti torinese e comprensoriale ed a concluderli in termini di progetti esecutivi entro il 1976 garantendo l'inizio dei lavori e l'utilizzazione delle risorse stanziate con la legge 1042; non possiamo ignorare che in questi giorni, come conseguenza di un rinnovato rapporto tra la Regione ed il Ministero del bilancio, si è confermato l'impegno di studio assunto a suo tempo in relazione al progetto pilota dell'area metropolitana di Torino, al che viene rilanciata tutta l'iniziativa del progetto pilota dell'area metropolitana torinese nel campo dei trasporti dell'edilizia e delle opere sociali ed è gia stato affrontato il problema del dare in questo processo che vede un ruolo attivo coordinatore dell'ISP, ma un ruolo particolare dell'IRES di privilegiare in questa fase il momento dei trasporti per far dare a tutta quanta la ricerca quel supporto verso l'attività dell'Amministrazione comunale di Torino.
E' stata sollevata, poi, come risultato della azione dell'Assessorato ai trasporti nel periodo precedente, l'esigenza di un intervento anche del bilancio regionale a sostegno del potenziamento di alcune reti del sistema di trasporto regionale. L'ipotesi concreta che venne formulata, ma che nonostante una enunciazione programmatica non venne poi inclusa nel bilancio preventivo del 1975, era di un contributo di dieci miliardi, il 50% di un costo di venti miliardi per il potenziamento degli impianti fissi di tutte quante le linee del nord-est.
Le ragioni che non hanno permesso a suo tempo di inserire questo importo nel bilancio preventivo del 1975 a me non sono note, ma mi pare che possano essere le stesse che non ci permettono oggi di assumere l'impegno: 1) per l'assenza di un piano generale delle FF.SS.
2) per l'assenza di quadri comprensoriali in quelle zone 3) per l'esigenza di una visione più generale del ruolo che affidiamo al complessivo sistema di trasporto.
Un approfondimento di queste questioni avvenuto nel corso di queste settimane con la Direzione compartimentale delle FF.SS., ha permesso di aggiungere alcuni elementi di riflessione: da una parte l'evidenziarsi di difficoltà di ordine burocratico nell'utilizzazione di risorse regionali in conto di impianti fissi delle FF.SS. che restano esclusiva competenza delle Ferrovie dello Stato; dall'altra interessa, da parte delle FF.SS., di un intervento finanziario della Regione orientato verso il materiale mobile che rappresenta quindi un contributo al superamento di una carenza oggettiva del sistema ferroviario piemontese e che nello stesso momento in cui ci si avvia concretamente verso una committenza all'industria produttrice dei mezzi di trasporto in una direzione quanto mai interessante (che tra l'altro per le concrete committenze che in questo ambito di tipo sperimentale sono state avviate dalle FF.SS. nei confronti di certe industrie, permette la messa in esercizio di treni pendolari con un carico assiale che non costringe alla modificazione degli impianti fissi delle linee secondarie; cosa di particolare importanza considerando le nuove tecnologie che sono state usate per l'impostazione di questi mezzi di trasporto) permette a noi, collegialmente, come Consiglio Regionale, di approfondire i temi del potenziamento e del ruolo del sistema ferroviario nel complesso della nostra regione e di individuare da questo punto i luoghi in cui concentrare l'intervento e l'uso di questo sistema, non privilegiando nessuna zona, ma orientandoci verso un uso di questi strumenti per cui nella misura in cui saranno più numerosi, maggiori saranno le possibilità per migliorare l'erogazione del servizio ferroviario in tutta quanta la Regione Piemonte.
E' partendo da queste questioni che si fanno carico del ruolo delle FF.SS. e dall'altra parte di un rapporto corretto con l'istituendo comprensorio torinese e con l'amministrazione comunale di Torino, che si definiscono poi gli spazi per i successivi interventi della Regione.
Nella nota allegata ed a mano di tutti quanti i Consiglieri, viene ventilata un'ipotesi di intervento corrispondente ad un fabbisogno esplicitamente espresso dall'amministrazione comunale, in analogia a quanto è stato realizzato nella città di Milano e in altre città d'Italia che vanno ai rilancio dell'uso della rotaia anche nei trasporti urbani, è un'ipotesi di inserimento nella rete urbana di Torino dei jumbo-tram; ma il discorso è più complesso, il jumbo-tram è un simbolo, rappresenta una linea di lavoro, di impegno che tende ad individuare non solo nel metrò, ipotesi già esclusa, e non solo nella gomma l'esigenza di un intervento più generale che si faccia carico di tutte tecnologie ai livelli più evoluti.
Ed è affrontando queste questioni che residuano gli spazi per un intervento della Regione nel campo degli autobus. Nella nota posta alla vostra attenzione, al termine della constatazione che nel corso di questi anni è stato finanziato l'acquisto di 758 autobus, si conclude con un preventivo di fabbisogno per il 1976 estratto da concrete richieste alle aziende pubbliche e private, tale che configura per il 1976 con risposte incomplete, un fabbisogno di finanziamento pari a 460 autobus. Ed è corretto prevedere che nel corso del quinquennio che sta di fronte a noi possa essere prevista una ipotesi di fabbisogno complessivo aggirantesi attorno ai duemila autobus.
E' attorno a questa linea di intervento che cerca di configurare un miglioramento degli strumenti tecnologici in rapporto ai bisogni reali della nostra comunità, che si fa carico anche di problemi esterni alle nostre competenze, che si ricollega alle esigenze delle autorità locali che vengono sempre di più proponendo concrete esigenze di intervento in un rapporto che si è configurato nel corso di questi anni ed in modo particolare nel corso di questi mesi, con il complesso delle aziende pubbliche e private, che è venuta emergendo una linea di fabbisogno prima ancora che di intervento, che necessiterebbe, per il suo soddisfacimento di un investimento complessivo, nel corso del quinquennio, di almeno 150 miliardi. E' una cifra rilevante, ma che può rappresentare un contributo importante; non si riferisce solo alla nostra Regione, per questi tre capitoli che ho ricordato, ma anche a interventi da parte degli enti locali o loro aggregazioni consortili e può essere un elemento importante, come dicevo all'inizio, non solo per soddisfare bisogni impellenti di spostamento di grandi masse di lavoratori e dei pendolari in particolare ma collocandosi in un disegno più generale, costruito democraticamente a ridosso dei comprensori, può creare le premesse di un sistema di trasporto al servizio di un concreto modo di organizzare la vita nell'ambito comprensoriale e può essere un contributo importante di committenza all'industria, grande e piccola, non esclusivamente piemontese, ma collocata in tutto quanto il paese, non secondaria al superamento del momento difficile che sta attraversando l'Italia.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Chiabrando.



CHIABRANDO Mauro

Signor Presidente, mi spiace che, dovendomi soffermare in particolare sull'agricoltura, non sia presente l'Assessore competente.
La prima valutazione che si può fare della bozza di relazione predisposta dalla Giunta regionale e consegnata qualche giorno fa ai Consiglieri, è che mancano - come è già stato fatto notare - sia un quadro programmatico definito e chiaro, sia le indicazioni operative promesse in diverse occasioni (dichiarazioni programmatiche di insediamento della Giunta, ecc.).
Dalla prima lettura del documento e dagli interventi dei rappresentanti della Giunta all' inizio di questa discussione emergono soprattutto rinvii a quello che dovrà essere il piano regionale di sviluppo 1976/80.
Io mi soffermerò in particolare sul problema dell'agricoltura e rurale in genere.
Per quanto riguarda l'agricoltura, sono state molte le affermazioni di priorità, sia programmatiche, sia nella spesa regionale, ma al di là di queste affermazioni non si nota alcuna indicazione precisa su come queste priorità dovranno essere realizzate.
E così la cosiddetta "scelta rurale" da molti auspicata e voluta come indispensabile per un più ordinato sviluppo della società piemontese non viene fuori. E ciò, nonostante che nella materia "agricoltura e foreste" la competenza regionale sia pressoché assoluta.
E' per questa precisa ragione che non sono accettabili soltanto generiche affermazioni di principio, ma occorrono proposte concrete. Né è pensabile una visione dei problemi del settore agricolo subordinata o parzialmente dipendente da altre iniziative su materie nelle quali lo spazio di competenza regionale è nullo, o molto ridotto.
Le pagine che riguardano l'agricoltura sono quindi molto deludenti perché non propongono nessuna soluzione programmatica precisa. Esse contengono una semplice elencazione di iniziative da attuare in forza di impegni e leggi precedenti. Un primo gruppo di impegni indicati nella relazione fa capo a leggi, a finanziamenti ed a progetti statali: l'attuazione della legge 306 sulla contrattazione del latte (conclusasi positivamente in questi giorni, ne diamo atto) e di quella per la difesa dei boschi (legge 47); i progetti ministeriali per l'irrigazione l'attuazione delle direttive comunitarie, ecc. Sono cose che tutte le amministrazioni regionali devono fare.
Un secondo gruppo di iniziative è costituito dalla attuazione e completamento dì programmi già avviati dalla precedente amministrazione: mi riferisco al Consorzio latte Verbano di Novara, al Centro regionale per la fecondazione artificiale, all'assistenza tecnica, alla classificazione del territorio regionale nelle zone di montagna, collina depressa e pianura agli eliconsorzi per i trattamenti delle coltivazioni specializzate; ai rimboschimenti.
Infine è prevista l'attuazione delle leggi regionali approvate nella precedente legislatura, come il trasferimento dei consorzi di bonifica alle Comunità montane; l'albo professionale; il risanamento delle Cantine sociali; la forestazione, la zootecnia, l'irrigazione.
Questo gruppo di impegni che risultano dalla relazione e che io ho cercato di suddividere, costituiscono proposte positive che ovviamente condividiamo e sulle quali siamo disposti a collaborare attivamente.
Quella che poteva e doveva essere però una precisa indicazione ed un impegno programmatico della Giunta, è stata liquidata in una sola riga: "elaborazione di piani di sviluppo". E' veramente troppo poco.
E' su questo punto, nodale e decisivo per lo sviluppo futuro dell'agricoltura, che ci attendevamo delle proposte precise, anche perch ricordo bene che l'opposizione comunista nella passata legislatura aveva più volte richiesto di programmare e qualificare gli interventi a favore dell'agricoltura; ed io non avevo potuto fare a meno di concordare con il Consigliere Berti, in occasione dell'approvazione delle due leggi triennali per l'agricoltura, su questa necessità, dichiarando che questo avrebbe dovuto essere il primo impegno della nuova amministrazione.
Le cose parevano procedere positivamente dal momento che nella relazione dell'Assessore Libertini, alla conferenza del 10/12 ottobre, si era chiaramente detto che un momento decisivo per la politica agraria era "l'organizzazione dei piani zonali di sviluppo" e che bisognava evitare "la sterile dispersione di interventi minuti e frammentari" e "promuovere lo sviluppo di organici programmi settoriali". Ma tutto ciò non è avvenuto e non è dato sapere come e quando potrà essere avviato.
Collegata ai piani zonali vi è la politica del territorio che deve essere condotta...



LIBERTINI Lucio, Vice Presidente della Giunta regionale

Si riferisce ai piani settoriali per l'agricoltura?



CHIABRANDO Mauro

Ai piani zonali per l'agricoltura.
Collegata ai piani zonali vi è la politica del territorio che deve essere condotta in favore dell'agricoltura e non contro di essa (se vogliamo essere coerenti con la scelta prioritaria che diciamo tutti di voler fare); ma di questo problema non si fa cenno. E' una questione strettamente connessa con i piani zonali i quali devono individuare, in accordo con le categorie agricole, le zone territoriali omogenee entro le quali attuare la programmazione generale ed agricola in particolare.
In questo quadro deve essere distinto il territorio destinato all'agricoltura rispetto a quello destinato ad altri settori produttivi e riservare in modo stabile all'agricoltura (è proprio di oggi un articolo della "Gazzetta" che riporta uno studio dell'IRES che dice esattamente queste cose) migliori terreni con le strutture e le infrastrutture esistenti, in maniera da dare garanzia e certezza agli operatori agricoli sull'uso delle loro aziende.
I territori agricoli, così individuati, devono poi essere adeguatamente tutelati da norme urbanistiche speciali che favoriscano e non contrastino l'attività agricola. Nel territorio agricolo dovranno essere individuate le aziende, i tipi di colture e di allevamento con le strutture e le attrezzature necessarie per una gestione economica delle aziende stesse; ed è a questo punto che gli interventi finanziari della Regione potranno correttamente essere incanalati secondo tali precise disposizioni.
Ma non basta: dalla volontà dell'Amministrazione regionale non solo non emergono queste linee che ci aspettavamo, ma viene disposta una serie di atti amministrativi che vanno esattamente nella direzione opposta e sono nettamente contradditori con la linea che, credo, tutti noi accettiamo; si affermano, cioè, certi principi e poi si opera contro tali principi.
Si afferma di evitare la "sterile dispersione di interventi minuti e frammentari" e poi si concedono finanziamenti ad ogni tipo di azienda anche molto piccola e marginale e non autosufficiente, con la riduzione di circa il 50% delle giornate lavorative necessarie. E questi sono interventi non dico a pioggia, ma addirittura polverizzati che, se possono risolvere qualche problema di carattere umano e sociale, non servono certamente alla ristrutturazione ed allo sviluppo dell'agricoltura.
Per di più ciò avviene facendo notevoli passi indietro rispetto a certi criteri già avviati che prevedevano almeno - in attesa dei piani zonali della programmazione - certe valutazioni selettive delle aziende, con verifica della loro economicità.
Si parla tanto dell'aspetto negativo dei così detti residui passivi...



BERTI Antonio

Fino adesso la verifica dell'economicità è servita soltanto ad emarginare ancora di più la piccola azienda.



CHIABRANDO Mauro

Non è vero, ma potremo approfondire l'argomento, io sono disponibile.



BERTI Antonio

Io sono d'accordo che occorre razionalizzare l'intervento, ma non è che si debba...



CHIABRANDO Mauro

Sono i tuoi discorsi questi, che io ho recepito e che ho condivisi. Io ricordo soltanto le cose che tu hai detto, Berti.



BERTI Antonio

Li hai condivisi, ma non li hai applicati nella pratica.



CHIABRANDO Mauro

Li ho applicati. Si parla tanto dell'aspetto negativo dei tosi detti residui passivi e si studiano i modi e le procedure per ridurli al minimo per quanto riguarda l'agricoltura la Giunta regionale fa esattamente l'opposto congelando per oltre 12 mesi, i fondi destinati alla zootecnia che la precedente amministrazione erogava, invece, immediatamente (in 6 mesi sono stati pagati premi per più di 150.000 vitelli nati soltanto nei sei mesi precedenti).



BERTI Antonio

Avete persino usato dei fondi di leggi che non erano ancora state approvate!



CHIABRANDO Mauro

No, non dire questo, Berti.
E' un errore gravissimo, e non vale l'eventuale scusa di taluni che nei 12 mesi si ha modo di accertare i requisiti del bestiame destinato all'allevamento, perché ciò non può avvenire, per motivi pratici, ed in ogni caso dovremmo almeno riconoscere all'allevatore la capacità di stabilire l'idoneità del proprio bestiame per la riproduzione.
C'è stato poi il rischio, per la verità superato con reciproca buona volontà, di bloccare i finanziamenti del 1975 (oltre 30 miliardi) rinviandoli di oltre tre mesi con la infondata motivazione di dover varare una nuova legge a conferma od a sanatoria della legge n. 51.
Vi è poi il grosso problema del decentramento. La Giunta regionale afferma di voler decentrare, ma un primo disegno di legge, tra l'altro molto confuso e con errori ed omissioni, non portava al decentramento, ma accentrava presso gli uffici regionali una parte delle operazioni. Ora attendiamo che la Giunta faccia nuove proposte in tal senso e speriamo che siano attuabili e che realizzino veramente le cose che si afferma di volere.



BESATE Piero

Questo è enorme !



RASCHIO Luciano

Questa è una bugia , avete accentrato tutto!



CHIABRANDO Mauro

Non è vero.
Agli argomenti di cui sopra si aggiunge il ritardo nell'avvio di alcune iniziative, come l'Ente di sviluppo - che tra l'altro ormai è superato che ha competenza nella materia di programmazione nel settore dell'agricoltura.
Ritardi si verificano anche nell'attuazione dell'albo professionale e degli interventi per il 1975 e pongono gli operatori agricoli che hanno avviato iniziative, in gravi difficoltà.
Si ha così un quadro non molto soddisfacente dell'attività della Giunta nel settore dell' agricoltura e certamente contrastante con molte affermazioni di principio positive, e che condividiamo, che sono state avanzate.
Non possiamo poi fare a meno di ricordare le proposte di legge presentate dal Gruppo D.C. e sulle quali la Giunta tempestivamente informata con una regolare richiesta di parere, non si è per ora pronunciata. Le proposte rivestono notevole importanza perché riguardano intanto, il rifinanziamento per il 1976 ed il 1977 delle leggi n. 45 sulla cooperazione e n. 51 sui rimanenti interventi a favore dell'agricoltura.
E' su queste iniziative che attendiamo conferma della affermata priorità, anche nella spesa, dell'agricoltura. Ma il Gruppo D.C. ha anche presentato delle proposte che non impegnano spese e che costituiscono, se attuate, notevoli riforme, come il recupero delle terre incolte, il premio di insediamento per i giovani coltivatori ed in particolare il centro regionale per la fecondazione artificiale.
Il nostro Gruppo si è inoltre anche preoccupato di proporre la proroga dei finanziamenti per l'assistenza farmaceutica e di prevedere indennità per l'assenza del lavoro in seguito ad infortunio o ricovero ospedaliero provvidenze transitorie, certamente, in attesa dell'intervento sostitutivo dello Stato.
Sono proposte sulle quali attendiamo precise risposte da parte della Giunta.
Concludendo, da quanto ho esposto è chiaro che non è possibile valutare positivamente i risultati e le conseguenti proposte della Giunta, perch insufficienti, generiche e mancanti delle indicazioni operative e di una collocazione chiara di centralità e priorità del problema agricolo rispetto agli altri (questo, ci tengo a sottolinearlo, è veramente mancato); mancano la volontà e le indicazioni per una riforma strutturale dei piani zonali dell'agricoltura.
Il nostro Gruppo è comunque disponibile per un serio e costruttivo confronto sui problemi dell'agricoltura, con la sua presenza e con la forza che gli deriva dall'interpretare e rappresentare le esigenze e le volontà di una larghissima maggioranza del mondo rurale piemontese.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Minucci, ne ha facoltà.



MINUCCI Adalberto

Signor Presidente, cari colleghi, sia dalla discussione che abbiamo svolto in questi due giorni, sia già nelle relazioni così larghe della stampa nazionale alla conferenza, sia infine dai commenti degli osservatori politici di varia ispirazione è emerso un giudizio, mi sembra, pressoch unanime.
La conferenza ha dimostrato che il nostro istituto regionale, nel suo nuovo assetto politico e sulla base delle nuove linee di politica economica che ha potuto sin qui esprimere attraverso i suoi organi di governo, viene individuato come un protagonista fondamentale del grande sforzo collettivo necessario per uscire dalla crisi, e viene assunto come punto di riferimento essenziale come interlocutore valido e credibile, da tutti i soggetti economici, sociali, politici e culturali della nostra comunità regionale. Questo dato è innegabile, basta solo riandare alle cronache ed ai commenti di quei giorni, come è innegabile l'acquisizione di prestigio che non la sola Giunta, ma l'intero Consiglio, l'intera Regione Piemonte ha realizzato attraverso lo svolgimento della conferenza e la larghissima eco anche nazionale, che essa ha avuto. E non è un fatto di poco conto, basta pensare al processo di scadimento vero e proprio dell'autorità delle istituzioni democratiche da anni a questa parte, alla vera e propria crisi di credibilità che le assemblee elettive hanno subito nel corso degli anni una crisi di credibilità che continua, purtroppo, a investire il governo nazionale anche in questo momento e che prima del 15 giugno aveva in qualche modo cominciato a corrodere anche la nostra istituzione regionale.
E faccio una constatazione ancora una volta oggettiva, non una critica ingenerosa a chi ha amministrato nella prima legislatura della Regione tanto meno una critica ingenerosa al collega ed amico Oberto, verso il quale non ho mai potuto fare a meno di riconoscere la serietà di intenti e anche la carica di simpatia umana, ma una critica oggettiva che va al di là delle persone e che investe, invece, una politica, un sistema di potere, un processo lungo nella storia italiana che per questo è stato al centro della battaglia elettorale del 15 giugno.
Anche qui qualcuno può negare che sia stato così? E qualcuno può negare che dopo il 15 giugno, con tutto quello che è successo, la formazione delle Giunte, i primi atti delle Giunte di sinistra, si è incominciato a segnare una svolta nel rapporto tra la Regione, gli enti elettivi locali, in particolare in Piemonte e il complesso dell'opinione pubblica, in primo luogo le grandi masse popolari? La conferenza ha rappresentato appunto un momento di questa svolta, ha posto le basi per approfondire un discorso costruttivo con tutti i settori vitali della nostra comunità regionale.
Naturalmente ho detto un momento e solo un momento, anche parziale, di questo processo positivo, di questa tendenza a restituire alle istituzioni democratiche autorità e prestigio. Sappiamo bene che se oggi le assemblee elettive locali, soprattutto nella nostra regione, hanno riguadagnato una parte cospicua della fiducia che si era venuta smarrendo presso le grandi masse popolari, se hanno cominciato a risollevare speranze e attese fin troppo grandi, dobbiamo dirlo e dobbiamo anche noi, Partito al governo della Regione, registrarlo con qualche preoccupazione, se tutto questo è avvenuto non può certo essere ascritto ad una singola iniziativa della Giunta, per quanto importante, ma a cause politiche più profonde e generali, in primo luogo nel fatto che la grande massa dell'opinione pubblica nazionale, anche quei settori che il 15 giugno non hanno votato a sinistra, hanno avvertito, tuttavia, che il voto del 15 giugno ed il nuovo assetto politico di tante assemblee elettive segna una nuova tappa nel processo di ascesa di nuove forze sociali e politiche, di grandi nuove energie morali alla direzione del Paese. Ed è questo che riaccende speranze e crea anche attese nuove.
In questo quadro la conferenza regionale sugli investimenti e sull'occupazione ha certamente offerto un contributo specifico e peculiare che non va assolutamente ignorato e resta l'elemento obiettivo a cui riferirsi se si vuole davvero dare una valutazione seria, che poi serva ai valori non della sola Giunta, ma di tutto il Consiglio.
Il fatto che alcuni settori politici si sforzino, anche in questa sede di ignorare l'oggettività e la specificità di questo contributo, con una ostinazione che qualche volta mi è sembrata persino infantile, non cancella la realtà dei fatti, ma conferma soltanto che la conferenza ha colto nel segno, cioè ha costituito soprattutto un nuovo tipo di approccio ai problemi dello sviluppo, appunto come si proponeva, ha inaugurato una nuova metodologia di confronto tra le forze sociali e politiche, ha contribuito a delineare un nuovo ruolo delle istituzioni democratiche e della Regione soprattutto, nella direzione della politica economica.
Già nei giorni della conferenza e negli echi immediati che ebbe, era venuto avanti un tentativo più o meno consapevole di offuscare il senso di questa operazione, di stravolgerne il significato; si era fatto molto chiasso su elementi talvolta esteriori di quel dibattito, o si era sfruttato il clima particolare che si era venuto determinando, soprattutto tra organizzazioni sindacali e grandi industrie in vista dei contratti qualche giornale più fatuo, forse proprio quello tanto caro al Presidente Oberto, si è lasciato andare a una sorta di sarabanda di pettegolezzi e di mondanità abbastanza fatue: se i comunisti bisticciano fra di loro, o se i comunisti vanno a braccetto con i fratelli Agnelli, o cose di questo genere.



OBERTO Gianni

"Caro" tra virgolette!!



MINUCCI Adalberto

Certo, erano chiare le virgolette! Anche qui qualche eco, un po' più larvata per fortuna, si è avuta ricordo quando il collega Alberton ha affermato che il documento presentato dalla Giunta pretenderebbe addirittura di mettere d'accordo con le posizioni della Giunta stessa, i sindacati da un lato e gli imprenditori dall'altro. Io sfido il collega Alberton a trovare una qualsiasi formulazione, nel documento, che indichi questa sorta di pretesa. In realtà si rilevano nel documento posizioni non solo diverse, ma anche contrastanti emerse nel corso della conferenza e di comune si sottolinea, invece, il fatto che tutte le forze che hanno partecipato alla conferenza hanno individuato nella Regione un termine essenziale di confronto, un punto di riferimento, appunto un interlocutore valido. E il collega Picco si è affannato anche lui (più vicino, in questo caso all'Espresso) nella ricerca, se ho ben capito, di diversità e di contrasti all'interno del PCI in particolare fra il Vice Presidente della Giunta e chi vi parla. E' un'esercitazione innocua che si può fare benissimo, non ho niente da dire semmai è più produttivo invece cercare di cogliere ciò che di organico collega le varie posizioni che il PCI esprime in questo momento ed ha espresso anche alla conferenza regionale. Ma che cosa si è inteso offuscare e mistificare con queste piccole o grandi furberie propagandistiche? Io credo che si sia teso ad offuscare il dato di fondo e, se mi consentite il termine forse un po' enfatico, la novità storica che l'attività della Giunta in questi mesi, e la conferenza regionale in particolare hanno, a mio avviso, segnato, in una regione come la nostra, così cruciale nel quadro della struttura e degli indirizzi produttivi del Paese e in una regione, non dimentichiamolo - perché questa non è più solo una critica che fa parte del bagaglio ideale dei comunisti, ma è diventata una critica e talvolta un'autocritica anche di altre forze democratiche - dove le istituzioni locali, i Comuni in primo luogo e le Province e negli ultimi cinque anni la Regione, hanno sempre avuto, si sono sempre segnalate per una posizione del tutto subalterna ai grandi soggetti della vita economica e sociale, cioè per una posizione del tutto subordinata e a rimorchio delle scelte di investimento e delle decisioni dei grandi gruppi, una subalternità dovuta, certo,alla mancanza di un disegno diverso, ma che è stata scelta come strategia politica e che esprimeva in ogni caso, ed ha sempre espresso su ogni dato fondamentale della vita e dello sviluppo della Regione in questo quarto di secolo, una completa mancanza di autonomia di giudizio sui grandi meccanismi economici e sociali della nostra regione.
Questo non si può negare, e del resto è venuto fuori con chiarezza da tutti i fatti ed è stato giudicato dagli elettori il 15 giugno, altrimenti non si potrebbe capire il senso di quel voto e di quella svolta.
Ecco, in una regione come questa, cruciale per lo sviluppo, e caratterizzata da una permanente prolungata subalternità delle istituzioni democratiche, oggi per la prima volta, anziché attraverso alla conferenza regionale queste istituzioni democratiche, e la Regione Piemonte in primo luogo, si sono presentate con la propria autonomia, hanno enunciato un proprio disegno politico, hanno presentato le grandi linee di un progetto politico, economico e culturale assieme, hanno indicato le grandi idee forza su cui occorre agire per modificare la situazione che abbiamo ereditato.
Il confronto che c'è stato e che ha dato la stura a qualche malizia scandalistica di scarso rilievo, è un confronto che è stato possibile proprio perché vi erano due poli di questo confronto, vi erano i due interlocutori, per la prima volta c'era anche l'interlocutore pubblico all'appuntamento. Ecco la novità.
Si discute sulla consistenza, sul valore delle posizioni che la Giunta ha presentato nel corso della conferenza; io devo dire che di fronte a certe valutazioni (non vedo presente il collega ed amico Gandolfi) mi è venuto il sospetto che le 200 pagine della relazione del compagno Libertini fossero un po' troppe per invogliare alla lettura, altrimenti non si capiscono certi giudizi. Gandolfi è venuto a dirci che è rimasto deluso perché è mancato, da parte della Gl'unta, un discorso sulla riconversione industriale: vada a leggersi quella relazione, vada a leggersi tutta l'impostazione che è stata data, anche nei lavori precedenti di Commissione di Giunta, nelle dichiarazioni in Consiglio e pubbliche, nell'intervento che ha preceduto la relazione del Vice Presidente, quella del Presidente Viglione, nelle conclusioni di Simonelli, negli interventi, salienti, degli esponenti più significativi che hanno parlato a nome della maggioranza nella conferenza e viene fuori appunto che il centro di tutta l'impostazione è una nuova politica industriale, è l'esigenza di un processo di riconversione profonda delle strutture industriali della nostra regione come momento centrale, fondamentale di un rinnovamento complessivo della struttura economica e del tipo di sviluppo dell'intero nostro paese.
E mi stupisce che Gandolfi rimanga deluso dalla mancanza di un discorso sulla riconversione, perché io ho l'impressione che il collega Gandolfi (mi spiace parlarne in sua assenza) forse ha sentito parlare di riconversione industriale per la prima volta dal Gruppo comunista in questo Consiglio negli anni scorsi, vi ricordate? Credo di non presumere niente se ricordo ai colleghi quante volte abbiamo svolto una critica radicale del vecchio meccanismo di sviluppo anche nei momenti della sua maggior fortuna e lo abbiamo fatto individuando sempre l'esigenza e indicando anche le linee maestre di una riconversione complessiva dell'apparato produttivo della nostra regione e del Paese.
Oggi la novità è rappresentata dal fatto che questo discorso lo possiamo fare da posizioni di governo e l'altra novità, non secondaria, è che il discorso sulla riconversione industriale oggi non è più soltanto un discorso dei due partiti operai, ma diventa un termine di confronto effettivo con le altre maggiori forze dell'economia della società, persino con gruppi cospicui, importanti del mondo industriale piemontese e nazionale. I quali, al contrario, del collega Gandolfi, (ma si sa, c'è sempre qualcuno che pretende di insegnare agli altri il mestiere che è degli altri) anche i maggiori esponenti della Confindustria, riconoscono una tale serietà ed un tale realismo al nostro discorso che - andate a vedere le cronache dei giornali e delle riviste specializzate - è di questo che si parla in Italia, è del confronto fra movimento operaio e grande industria. E se volete - ecco un limite della conferenza che mi permetto di sottolineare - è che anche in quel dibattito sono emersi un po' troppo soltanto questi due termini del confronto, la grande industria da un lato e il movimento operaio dall'altro e molte forze, invece, si sono presentate in modo molto meno saliente nel dibattito.
Quindi se c'è una delusione da manifestare, collega Gandolfi, è che non si voglia entrare nel merito dei problemi che sono stati posti dalla Giunta e nel rapporto del Vice Presidente in un modo così ampio, indicando non solo una linea generale, ma dettagliando settore per settore, con puntiglio. Su questo si discuta. Non vi va? Avete altre idee? Gandolfi ha forse qualche altra idea, che so io, a proposito dell'industria elettronica, delle macchine utensili, del destino dell'automobile? Ce le dica, ma non manifesti una delusione che, ripeto, è soltanto un artificio polemico senza nessuna consistenza.
E ancora il collega Gandolfi ci diceva: non avete voluto rispondere al Presidente dell'Unione Industriale di Torino il quale è venuto a farvi un discorso alla conferenza e vi ha detto "vi prometto 50.000 nuovi posti di lavoro". Avrebbe fatto male Simonelli a non raccogliere, magari con sollievo, questa promessa.
Invece l'atteggiamento che abbiamo assunto in piena conferenza sia verso De Benedetti, sia verso Agnelli, che ha fatto un discorso un po' meno rozzo, è proprio il segno di questa autonomia di giudizio, di questo nuovo ruolo che vogliamo assegnare alle istituzioni democratiche ed in primo luogo alla Regione, non è più accettabile il discorso di un industriale più grande e di più grandi responsabilità il quale venga a dirci "lasciateci fare e se sarete buoni forse nell'80 vi darò anche 50.000 posti di lavoro in più".



GANDOLFI Aldo

Io non ho detto questo.



MINUCCI Adalberto

Ma lui si, ecco perché abbiamo rifiutato il discorso di Debenedetti ecco la prova che c'era un nostro disegno in tutta la condotta della conferenza, noi vogliamo un confronto con l'Unione Industriale.



BERTI Antonio

E' stato Alberton a dirlo.



MINUCCI Adalberto

No no, l'ha detta anche Gandolfi, è stato un richiamo preciso e gli abbiamo risposto nei termini nostri, cioè di un disegno di chi si presenta con una visione autonoma dello sviluppo e non accetta più, quindi, quella politica del "laisser faire" del grande industriale che provvede lui all'occupazione, alla produzione e semmai le istituzioni gli vadano dietro portando qualche autostrada, qualche traforo e così via.
Confronto sì e anche ricerca di convergenze, anche col mondo industriale, ma su una linea che pone al centro il ruolo autonomo delle istituzioni democratiche e in questo caso della Regione. Ed io sottolineo l'autonomia del progetto che per grandi linee è stato esposto alla conferenza regionale, un'autonomia che si evidenzia proprio a confronto con le esigenze poste oggi dalla crisi economica.
Noi qui abbiamo sottolineato - non era certo la prima volta, ma lo abbiamo fatto con più precisione e più argomentazione e più fondatezza di dati - l'esigenza di una nuova strategia industriale che non può non avere un suo epicentro proprio nella struttura industriale del Piemonte, una strategia che tenda a superare i fattori di squilibrio e di crisi rappresentati dal carattere monoindustriale della struttura produttiva della nostra regione. E quando dico monoindustriale non intendo dire che c'è una sola industria, ma che c'è una sola industria che decide per le altre, cioè che c'è un effettivo unico grande centro di potere.
Abbiamo sostenuto una linea di diversificazione reale, abbiamo indicato in quali settori si può diversificare la struttura industriale del Piemonte ed io credo che su questo abbiamo fatto un discorso molto preciso. Ecco perché mi avrebbe fatto piacere, Gandolfi, che tu lo contestassi partendo dalle cose concrete. Abbiamo indicato anche una strategia industriale che guardi al Mezzogiorno, non più con quella vecchia ottica dell'amministratore del potere pubblico che tende a riequilibrare l'uso delle risorse date, esistenti, ma che guarda a una rinascita del Mezzogiorno proprio sotto questo profilo fondamentale, che è quello di una riconversione, di una modificazione della struttura produttiva esistente come premessa necessaria ad un riequilibrio territoriale dello sviluppo.
Ma questa visione autonoma io credo che si sia espressa anche in tutta una serie di altri punti, anche, per esempio, nel riconoscimento che c'è stato nella conferenza, sia nella relazione di Libertini, sia in altri interventi della sinistra, nel riconoscimento che abbiamo fatto, con molta precisione di termini, del ruolo che pure continuiamo ad assegnare all'industria che ha caratterizzato finora lo sviluppo della nostra regione, a quei settori che pure hanno in sé un destino di obsolescenza come lo stesso settore dell'auto: noi lì, ma anche in altre occasioni abbiamo assunto un atteggiamento non certo punitivo verso questi settori non abbiamo chiesto, cioè, che l'auto si ritiri, o che venga punita, o che venga ridotta drasticamente con una decisione politica dall'alto, abbiamo sottolineato che l'auto e gli altri settori che hanno trainato lo sviluppo in questo ventennio possono continuare ad avere uno sviluppo, un ruolo importante, ma a patto che il valore aggiunto che questi settori creano venga utilizzato per nuove scelte produttive, appunto per diversificare la struttura, per rinnovare l'apparato produttivo nel suo complesso; abbiamo cioè, assunto una posizione di critica e di critica spesso aspra a chi vorrebbe continuare nella vecchia logica che punta soltanto sui vecchi settori trainanti pur quando ormai è scontato per tutti che questi settori non possono più trainare il complesso dell'economia piemontese e nazionale.
Ma tutto questo lo si può fare soltanto se si ha un disegno di politica industriale.
Gandolfi sollecitava a stabilire un rapporto col piano nazionale ed io sono sempre commosso da questa attitudine dei repubblicani a vedere dei piani nazionali là dove non ci sono. Guardate, ad esempio, quello che sta avvenendo per l'auto in questi giorni: ho sentito due ore fa il Telegiornale e si è dato l'annuncio che il Governo appronterebbe una soluzione per la Leyland Innocenti favorendo l'intervento di un grande gruppo giapponese e con una precisa partecipazione finanziaria del Governo italiano stesso (mi sembra che il Telegiornale abbia parlato di cento miliardi).



LIBERTINI Lucio, Vice Presidente della Giunta regionale

E' la Honda.



MINUCCI Adalberto

Esatto. Qui siamo di fronte ad una soluzione che, prima ancora di richiedere valutazioni morali, o politiche, o tanto meno nazionalistiche "non passi lo straniero", denuncia la mancanza di un disegno industriale (altro che piano, caro Gandolfi), questa è la realtà.
Che cosa può significare dare accesso, addirittura con i soldi dell'attività italiana, ad un grande gruppo straniero nell'industria italiana, aprendo le porte ad una possibilità di concorrenza, favorita dallo Stato in questo caso, all'industria italiana stessa che oggi dichiara di attraversare un periodo di difficoltà, che cosa può significare? Io credo che nel declino e nella difficoltà dell'industria automobilistica vi siano gravissime responsabilità degli attuali dirigenti industriali italiani, del gruppo dirigente della FIAT in primo luogo dell'industria pubblica, Alfa Romeo e così via, ma il problema è di vedere se si esce da queste difficoltà con un nuovo disegno industriale che senza più collocare l'automobile e in genere il trasporto privato al centro di tutto il meccanismo, gli assegni un ruolo determinato, meno importante di prima e individui nuovi settori di sviluppo. Questo mi sembra che dovrebbe essere il discorso da fare.
Ebbene, invece si fa un discorso inverso, anzi, si va a soluzioni come questa (se è vera la notizia che ha dato il Telegiornale) che mi sembra contraddica con qualsiasi disegno; perché finanziare con i soldi pubblici un concorrente della FIAT sul mercato europeo, significa semmai soltanto invogliare la FIAT ad accentuare ancor di più la propria politica di investimenti nel settore dell'auto, obbligarla a rispondere su questo terreno, mentre è il momento di affrontare un discorso più stringente fra istituzioni democratiche, il governo in primo luogo e gruppo dirigente della FIAT per discutere assieme il destino dell'auto, il ruolo che essa avrà nei prossimi, anni, ad esempio all'interno di un piano a medio termine, e al tempo stesso assumere in questo confronto dei poteri di contrattazione tali nei riguardi della FIAT da definire con questa industria, cosî come con altri grandi gruppi industriali italiani, la loro partecipazione e in generale l'utilizzazione delle risorse pubbliche, ai fini di far decollare o di potenziare anche altri settori produttivi, e di aprire nuovi processi industriali, soprattutto nel Mezzogiorno d'Italia.
Questo può essere un disegno di fronte al quale, mi sembra, cominciano a dichiararsi disponibili anche gli stessi gruppi industriali, l'episodio dell'industria giapponese e della sua alleanza con il capitale pubblico mi sembra invece che vada in una direzione del tutto opposta e non può essere capito, tanto meno dai lavoratori che operano in questo settore.
Ma linee di alternativa al vecchio meccanismo di sviluppo io credo che la conferenza le abbia indicate in tutti i campi di cui si è occupata e cioè in tutti i settori fondamentali della vita economica regionale: mi riferisco sempre in particolare alla relazione del Vice Presidente della Giunta, ma anche al complesso del dibattito.
Caro Chiabrando, andiamo a vedere, per esempio, le cose che si sono dette e le indicazioni concrete che si sono date a proposito dello sviluppo dell'agricoltura; c'è un'affermazione di fondo che è la sostanza politica del nostro discorso: bisogna fare di tutto per far uscire l'agricoltura da quella condizione di soggezione e di schiavitù, di servitù vera e propria a cui essa è stata condannata rispetto all'industria in questi 30 anni.
Questa è la premessa che facciamo a tutta la nostra impostazione.
E io credo che ci sia un ribaltamento nelle cose che sono state dette in quella conferenza, nelle cose che più volte ci hanno esposto l'Assessore all'Agricoltura e la Giunta nel suo complesso; nella linea che perseguono in questo campo (ricordo il Convegno di Savigliano che è stato un momento preciso di preparazione della conferenza economica regionale) i due partiti della sinistra che compongono la Giunta c'è addirittura la negazione di quella filosofia che ha dominato sinora il rapporto tra agricoltura e industria, secondo cui si vorrebbe che indefinitamente a un processo di ammodernamento delle strutture produttive dell'agricoltura si debba accompagnare un processo di spopolamento delle campagne. Noi riteniamo che questa sia una filosofia tipicamente capitalistica.



BORANDO Carlo

No!!



MINUCCI Adalberto

Come no? E del resto non è solo una filosofia, è una prassi che si è realizzata nei secoli e che in questi ultimi decenni si è evidenziata drammaticamente, cioè un sistema che ha fatto dell'agricoltura appunto un complemento, un elemento al servizio dello sviluppo industriale. Se non si ribalta questa logica, è evidente che o l'agricoltura arretra, o se si ammoderna caccia la gente dalle campagne.
Ecco la visione che è emersa anche dalla conferenza, di guardare all'agricoltura non soltanto come agli addetti alla produzione agricola, ma come alla costruzione di nuovi modelli culturali, di civiltà nelle campagne attraverso un'espansione dei servizi civili perché - come ci diceva anche l'Assessore ai Trasporti - è solo un momento di questo disegno, ma è un momento importante.
E' in questa direzione che bisogna andare ed io credo che su questo terreno gli impegni che ci siamo assunti siano estremamente chiari ed è su questo che ci dovete mettere alla prova, non facendo finta di ignorare che abbiamo detto questo e che su questo ci siamo assunti i nostri impegni di fronte ai contadini ed a tutta l'opinione pubblica piemontese ma anche quello che abbiamo detto a proposito delle trasformazioni necessarie nel modello di consumi quando non solo assumiamo come uno slogan (che del resto è nostro tipico nazionale non scoperto dopo il 15 giugno) di puntare sulla priorità dei consumi pubblici, ma assumiamo i consumi pubblici non soltanto come soluzione ad una nuova domanda sociale di consumo, ma anche come nuovi fattori trainanti per la stessa struttura produttiva e tali da indurre ad una modificazione qualitativa della struttura industriale.
La stessa logica di alternativa c'è nel discorso che abbiamo avviato attorno al ruolo della piccola e media impresa e lo dico al collega Benzi che ha rimproverato alla Giunta di avere assunto come interlocutori fondamentali i grandi gruppi industriali; già, perché sono essi che dominano l'economia piemontese, che tolgono spazio alla stessa piccola e media industria. Ma il confronto che abbiamo avviato con le grandi imprese è proprio in funzione di aprire uno spazio nuovo di autonomia, in primo luogo, alle industrie medie e piccole; è la stessa rivendicazione, in fondo, che era contenuta nell'intervento del collega Rossotto.
Lo stesso discorso vale per ciò che concerne il rapporto fra Nord e Sud. E qui, caro Alberton, certo nessuno ti può fare un rimprovero se non eri presente nella precedente legislatura e se non hai seguito attentamente la politica che il tuo partito ha svolto in tutti questi vent'anni, ma io mi sono sempre sentito tirare addosso, ogni volta che ho parlato di Mezzogiorno e di necessità di orientare l'apparato produttivo piemontese in funzione di un riequilibrio dell'economia nazionale, mi sono sempre sentito contrattaccare con la filosofia delle aree forti, con la necessità di fare tanti bei trafori e tante belle autostrade per collegare il Piemonte all'area forte dell'Europa nord-occidentale; mi fa piacere che oggi ci sia questa conversione al meridionalismo, ho visto che persino Bassetti, al convegno dei suoi duemila, a Napoli, ha scoperto il Mezzogiorno dopo essere stato il teorico dell'Europa carolingia, ma non venite a rimproverarci su un terreno su cui vi accogliamo molto volentieri, ma vi accogliamo come il figliol prodigo.



BIANCHI Adriano

Ma la vocazione meridionalistica non è poi tanto simile a quella europeistica.



MINUCCI Adalberto

No, ma il discorso nostro è appunto quello che finché si persegue una politica europeista, o un processo di integrazione sovranazionale che ha i connotati che ha avuto in passato, per forza di cose, oggettivamente poiché l'economia ha delle leggi oggettive e per qualche modo può essere persino assimilata alla matematica, finché si va in quella direzione non si può che creare un distacco ulteriore fra Nord e Sud. E del resto è la lezione dei fatti in tutti questi anni, cioè si deve perseguire un processo di integrazione internazionale che sia funzionale allo sviluppo del Mezzogiorno e non contraddittorio, come è stato fatto finora.
E ancora la volontà di dotare la Regione di strumenti di intervento, di enti precisi, di istituzioni precise. E anche qui Gandolfi può dire (non so se alla fine o al principio della passata legislatura), anche noi abbiamo detto tante belle cose, abbiamo persino organizzato qualche Commissione di studi.
Gandolfi Aldo, lo dico con accoratezza, ma nella passata legislatura non si è riusciti neppure a mettere in piedi la tesoreria, che era proprio la strumentazione più elementare. E perché non si è riusciti? Ecco perch parlo di sistema politico, di sistema di potere: perché c'era qualcuno in quella Giunta, che per un lungo periodo è stato il Presidente di quella Giunta, che non voleva mettere in discussione il rapporto fra la Regione e le banche, che non voleva mettere in discussione un sistema di potere. Ecco che cosa cambia nella condotta della Regione.
Noi abbiamo appunto indicato una linea generale, un programma, un progetto, abbiamo cominciato a rispettare le scadenze temporali che ci siamo posti: questa riunione del Consiglio, la presentazione di vari progetti (Tesoreria, Finanziaria), le scadenze per il piano regionale abbiamo compiuto i primi passi per andare all'elaborazione, alla definizione del piano regionale. Su questo ci dovete mettere alla prova dovete puntare ad un confronto con noi, non - e mi rivolgo ancora al collega Gandolfi, ma anche al collega Alberton e ad altri - chiederci di fare delle cose che intanto sarebbe assurdo fare e che noi non ci siamo impegnati a fare. Perché quando ci dite: venite qui con delle indicazioni generali (qualche volta qualcuno nega persino che abbiamo dato delle indicazioni generali) invece dovreste portarci delle indicazioni quantificate, un programma preciso, delle scelte concrete operative. Noi vi abbiamo detto che questo lo faremo attraverso un processo che renderà davvero le indicazioni operative attuabili, attraverso un processo di consultazione in primo luogo, di cui la conferenza è stata un momento essenziale, attraverso vari momenti di confronto e di dibattito nel Consiglio e nelle sue Commissioni, attraverso l'approntamento di strumenti di studio. E le scadenze che vi abbiamo detto, all'inizio del 1976 porremo in discussione una linea di piano, un documento di piano, ecco, sono le cose su cui ci dovete mettere alla prova e valutare, tenendo conto che è ben strano chiedere cose che noi non si siamo impegnati a fare e da parte di esponenti di partiti che in fatto di approntamento di piani è bene non ne parlino perché è come parlare - e tu lo sai, Gandolfi - di corda in casa degli impiccati.
Ma insisto sul fatto che al centro di tutta la nostra iniziativa c'è una concezione nuova del ruolo delle istituzioni democratiche intese come soggetto attivo, come protagoniste, come promotrici e coordinatrici dello sviluppo ribaltando una logica che finora le ha viste subalterne.
Qui c'è davvero la novità fondamentale, che non è una novità portata dalla nostra ideologia; certo, è un'ideologia che ci appartiene, ma è una novità portata soprattutto dai processi economici oggettivi, dalla crisi dalla natura della crisi che stiamo vivendo. Questo è un punto su cui forse non sempre si riflette a sufficienza. Il fatto che oggi lo Stato, le istituzioni debbano assumere un ruolo centrale per rendere possibile un rilancio dell'economia, il fatto che senza questo ruolo centrale dello Stato non vi è possibilità di ripresa, è un dato che qualsiasi economista che si rispetti oggi riconosce. Che la crisi, poi, sia in gran parte la crisi di un'incapacità dello Stato, e non solo in Italia, ma l'ho accennato altre volte, anche in altre società capitalistiche, ad assumere questo ruolo, ad uscire da una condizione di subalternità, anch'esso è un fatto su cui oggi ci sono larghi riconoscimenti, non lo diciamo più soltanto noi. Il 15 giugno, lo spostamento elettorale, la presa di coscienza di milioni di italiani che hanno vissuto e vivono questa crisi, semmai ha premiato la forza che da più tempo, con più coerenza (cioè la forza del movimento operaio) dichiara, dà questa indicazione, indica le soluzioni; e ha punito invece quelle forze politiche che invece non hanno capito a tempo, o non hanno voluto capire la svolta che si stava attuando ed hanno preferito continuare in una politica che condannava alla sudditanza le istituzioni democratiche. Ma questo è un dato di fatto da cui non si può assolutamente prescindere.
In questo contesto io credo che sia davvero un discorso sul sesso degli angeli quello sul ruolo delle imprese, su cui pure si fa tanto chiasso in questo periodo. Che cosa vuol dire "ruolo delle imprese"? Le cose vanno male perché non si riconosce un ruolo assolutamente libero dell'imprenditore. Pensate, voi avete mai, per caso, rilevato, o avete avuto mai la possibilità di constatare che nei vent'anni di quel modello di sviluppo di cui oggi conosciamo la fine, la crisi, gli imprenditori non avessero tutte le liberta che volevano? Forse davvero vi sono sta ti condizionamenti alla libertà dell'imprenditore negli anni '50/60? Direi che se si è arrivati a questa crisi è perché hanno avuto troppa libertà, è perché sono venuti meno certi fattori essenziali, tipici di quell'epoca, ad esempio le possibilità di ricorrere indiscriminatamente all'autofinanziamento, senza alcun controllo, che oggi vengono meno anch'essi come fatti oggettivi, cioè, come un declino reso necessario dai processi di sviluppo dell'economia e non come una scelta del maligno, o come una forzatura soggettiva delle forze politiche.
E' in questo nuovo contesto che per forza di cose si deve vedere un'economia programmata, e per essere programmata deve avere come perno le decisioni dello Stato, delle autorità pubbliche che le imprese debbono riciclarsi e trovare una loro nuova collocazione. Questo è il discorso da fare, altro che venire a chiedere, come ci ha chiesto De Benedetti, libertà di licenziare, liberta di fallire e quasi "licenza di uccidere". E' un dato di fatto con cui devono misurarsi, in primo luogo gli imprenditori.
Io credo che vi sia spazio per una nuova funzione delle imprese, a patto che partano da questo riconoscimento; vi sia spazio per l'impresa pubblica, in primo luogo, se viene ricondotta alla sua funzione, se viene chiamata a rispettare, davvero, le decisioni delle assemblee elettive e soprattutto delle imprese, e non a obbedire, come hanno fatto finora l'IRI l'ENI e così via, a una logica di imprese puramente private; vi sia spazio per i grandi gruppi industriali privati se accettano una condizione che, a mio avviso, oggi è diventata non più dilazionabile, che è quella dell'obbligo della denuncia dei loro piani di investimenti, ai fini di concertare con le autorità del piano economico, col governo, con le Regioni stesse una linea di programmazione,e vi sia spazio soprattutto per la piccola e media impresa, la quale può trovare, proprio in un'attività programmatoria delle istituzioni, quel nuovo punto di riferimento che oggi spesso non possono più offrirle le grandi imprese al cui servizio si sono sviluppate nei decenni trascorsi Ecco allora - e concludo, e mi scuso col Presidente se sono stato troppo lungo, ma devo dire che il nostro è anche il Gruppo che ha fatto parlare un solo oratore, quindi semmai ho preso il tempo di qualche altro possibile collega del mio Gruppo - ecco perché le cose che avvengono anche sul terreno dei rapporti politici, sono degli episodi e dei fatti meno incomprensibili se si collegano a questa svolta di fondo che è nelle cose che è in primo luogo nei processi oggettivi che oggi sono in atto nella nostra società, e se si parte da questa esigenza di una svolta radicale nel ruolo, nella funzione della politica delle istituzioni democratiche.
Io devo dire che sono rimasto quasi scioccato dalla reazione che alcuni esponenti politici, qualche giornale, ha avuto nei confronti dell'episodio che è accaduto in questi giorni al Consiglio comunale, dei due repubblicani (due su tre, a proposito di democrazia e di maggioranza)...



GANDOLFI Aldo

Non hanno discusso con il partito.



MINUCCI Adalberto

Sì, sì, e poi mi dirai che cos'è un partito che commissaria le proprie federazioni perché le maggioranze non vogliono seguire la politica che viene promossa dai dirigenti a Roma.
Un leader di una maggioranza che viene commissariato, al quale si dice sì, sei maggioranza, ma non importa, ti mando un commissario e poi devi anche rispondere a lui di quello che fai, mi pare che chiediate un po' troppo. Persino dei militanti disciplinati come i comunisti, che non hanno mai commissariato una propria federazione, avrebbero qualche dubbio ad adattarsi ad una tale disciplina.



(Interruzioni e brusii in aula)



MINUCCI Adalberto

Avrebbero qualche dubbio, francamente, ad adattarsi; e d'altra parte la nostra Direzione nazionale non ha mai commissariato una federazione proprio perché sa che quando una maggioranza si pronuncia è una maggioranza. Certo, si possono prendere misure disciplinari verso singoli o piccoli gruppi di minoranza che pretendono di collocarsi come una maggioranza, che pretendono di frazionare il partito, ma di fronte alle maggioranze siamo pieni di rispetto.
A parte questa parentesi la cosa mi ha molto colpito perché devo dire caro Gandolfi - e lo direi all'amico Giorgio La Malfa se sedesse alla Regione anziché al Consiglio comunale - che io ho sempre avuto una sorta di stima profonda, molto sincera, non solo per il Partito repubblicano in s ma per gli esponenti di quel partito, soprattutto in Piemonte. Io non conosco le vicende siciliane di cui si è parlato al vostro congresso, ma la cosa mi ha sorpreso perché io sono abituato a considerare il PRI, avendo vissuto a lungo in Toscana, e oggi vivendo da molto tempo in Piemonte, come un partito serio, con posizioni che spesso abbiamo dovuto combattere anche aspramente, ma non ho mai avuto episodi eclatanti che mi facessero pensare che gli esponenti di questo partito non fossero animati da una grande correttezza, da serietà di impegno, da moralità. Dico che questa stima non potrei affermarla verso gli esponenti di tutti gli altri partiti, devo essere sincero, e quindi mi stupisce che improvvisamente si scopra che invece, c'era un ammasso di trasformisti.



GANDOLFI Aldo

Ma nessuno ha parlato di trasformisti. Si tratta di un problema molto semplice, che ci può essere in qualsiasi partito: ci sono delle decisioni congressuali nazionali e regionali prese a larghissima maggioranza, a cui qualsiasi minoranza deve attenersi, se non si attiene va fuori dal partito.
Questa è una regola elementare.



MINUCCI Adalberto

Ma io, anche perché non voglio interferire nelle vostre decisioni, sia chiaro, rilevo un fatto politico.



GANDOLFI Aldo

E' un problema di correttezza e di costume.



MINUCCI Adalberto

Io non contesto minimamente il fatto che voi cacciate questi due Consiglieri e altri che li seguiranno, non lo so, dal partito...



GANDOLFI Aldo

Non illuderti!



MINUCCI Adalberto

Non mi illudo, anzi...



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Non ce ne sono più



MINUCCI Adalberto

Io non contesto affatto, è un'altra cosa che voglio dire. Non so se sono riuscito a spiegarmi: quello che mi stupisce è che poi vi siano delle dichiarazioni, anche di vostri esponenti, e soprattutto di un giornale cosi autorevole come "La Stampa" e del suo direttore le quali lasciano pensare che in questo partito - che io ritenevo serio - invece vi sia della gente pronta a lasciarsi "allettare" (cito testualmente) "da posti e da cariche".
Francamente questo non me l'aspettavo, ma mi chiedo, se si va a questo discorso, o se si va al discorso dell'amante tradito che ha fatto l'amico Porcellana in Consiglio comunale, come dire tutti mi vanno bene finch stanno con me e stanno al servizio della D.C., altrimenti diventate tutti traditori. Questo era un po' il discorso di Porcellana.
Ma allora c'è davvero da dare un giudizio sconfortante su che cosa sono certi partiti oggi in Italia, perché di questi fenomeni ce ne sono stati molti in Piemonte, in tutta Italia. E là dove non si sono espulsi coloro che sono andati a collaborare con i comunisti e con i socialisti nelle Giunte, pero molti sono andati a collaborare con i comunisti e con i socialisti nelle Giunte, in molti centri, in molte province, là hanno avuto la fortuna di non avere commissari nervosi e non sono stati espulsi; ma è un dato. E guardate che questo si trova anche nel PSDI che è al governo con noi nella città di Asti e altrove espelle quelli che vanno con noi al governo in altri Comuni.
Perché dico questo? Proprio per prendere io le difese della dignità politica dei membri di questi partiti. Io non accetto questo giudizio qualunquistico che condanna tutti a una qualità di trasformisti, o di immorali, o di gente assetata di potere; potrei forse, se fossi maligno dire voi lo sapete, li avete sempre avuti con voi, sono carne della vostra carne, avete collaborato con loro; ma io credo in ogni caso che si tratti di questo, credo piuttosto che si tratti di uno dei fenomeni da studiare più attentamente e più seriamente della situazione politica di oggi, del momento politico che stiamo vivendo e anche del dramma di tanti settori della vita politica nazionale.
C'è un'autocritica in corso, c'è un ripensamento, ha ragione il collega Oberto, c'è anche gente che non dorme la notte, certamente, ma è possibile altrimenti? Io mi stupirei del contrario, se dopo quello che sta succedendo nel mondo capitalistico, se dopo quello che sta succedendo in Italia, se dopo il 15 giugno non ci fossero dei ripensamenti allora vorrebbe dire che davvero i partiti che hanno subito questa crisi, che hanno pagato il prezzo di questa svolta sono fatti di mummie, il che non è vero, per fortuna. E semmai anche queste crisi sono la testimonianza di una vitalità della vita democratica, di una serietà di impegno di tanti esponenti di questi partiti che oggi si pongono a confronto, come coscienza morale oltre che come intelligenza politica, con i grandi processi che oggi stanno trasformando la società italiana e con le esigenze che da essi scaturiscono.
Anche la reazione al discorso del collega Rossotto è tipica, secondo me, di questa mentalità. Ci sono stati sui giornali (per fortuna non in questo Consiglio che, sotto questo profilo, ha dato grande prova di serietà) ci sono stati atteggiamenti anche qui da chi si sente tradito, ma tradito da che cosa? Qui è veramente la negazione dell'autonomia della decisione politica.
Io ritengo invece di poter apprezzare un discorso come quello che ha fatto, non da oggi del resto, ma anche sulla stampa torinese, il collega Rossotto ed i suoi amici, proprio perché li sento diversi e anche contrapposti su tante cose. Io ho letto attentamente il suo intervento: c'è una prima parte che ho apprezzato molto, ci sono delle parti, come quella del rapporto PCI e Giunta nella passata legislatura, o il giudizio che dà sui sindacati che non solo non mi sento di condividere, ma con cui sono in pieno contrasto. Ma non è fatto di questo il dialogo politico, non è fatto di possibilità di intesa, di incontro, di convergenza tra forze e uomini che la pensano anche diversamente su cose essenziali, ma che su certi punti su cui si può andare avanti trovano anche il momento dell'unità e della convergenza. D'altra parte non ho bisogno di dire qui al collega Rossotto la stima che ho di lui, ci conosciamo da tanto tempo ed ho una stima anche morale della sua persona e di quello che rappresenta nel mondo politico torinese, ma ho voluto dirlo perché mi sembra che davvero, in nome del pluralismo, si tenti di uccidere l'intelligenza degli uomini. Mi si dice: se i comunisti cominciano a dialogare anche con i settori del PLI finisce il pluralismo. Perché? Cosa viene meno, la componente liberale? Che invece Rossotto dichiara di voler rappresentare e mi sembra abbia rappresentato col discorso che ha fatto, Ma io ho l'impressione - vorrei chiederlo a te che sei più esperto - che se c'è qualcuno che fa venir meno la componente liberale in Italia questi sono Malagodi, Bignardi che avendo asservito per trent'anni il PLI...
(Interruzioni e brusii in aula)



MINUCCI Adalberto

Ma lo scatto di ribellione e la nuova presa di coscienza io l'apprezzo e sento che qui c'è davvero una capacità di reagire alla novità politica il peggio è quando non si vuole prendere atto della novità.



ALBERTON Ezio

Sono più legittime le battaglie all'interno dei partiti.



MINUCCI Adalberto

Ma perché, ci sono dei grandi fatti storici, intanto è una battaglia data all'interno del suo partito, ma in ogni caso ci sono dei grandi fatti storici a cui hanno dato vita uomini che hanno fondato anche nuovi partiti fino a prova contraria e forse hanno avuto più coraggio e più dignità morale quelli che hanno fondato nuovi partiti quando era il caso di farlo.
Perché devono, per forza di cose, obbedire a quei criteri che tu dici?



MENOZZI Stanislao

Fare l'inventore del pluralismo mi pare un po' troppo.



MINUCCI Adalberto

Caro Menozzi, ci sono vari modi di reagire alla crisi di oggi e alle nuove prese di coscienza. Io apprezzo di più quella di Rossotto, o quella di Biffi e così via, anziché quella per esempio del Ministro Sarti (cuneese) il quale dopo il 15 giugno ha dichiarato, ad un noto rotocalco (lo stesso, avv. Oberto!) che era il momento per lui e per la sua famiglia di andare in Svizzera...



OBERTO Gianni

Ma l'avrà poi detto?



MINUCCI Adalberto

In ogni caso non l'ha smentito, ma sembra che io abbia dichiarato anche a molti parlamentari nei corridoi di Montecitorio.
Questo è un modo di reagire alle novità della situazione politica che io apprezzo di meno di quello di coloro che si pongono con serietà di fronte alle novità e cercano di confrontarsi con i problemi nuovi E dico questo con la piena consapevolezza che il problema non riguarda solo i partiti minori, riguarda in primo luogo la D.C. e farei un torto agli amici D.C. se negassi che al loro interno e nell'interno del loro partito c'è oggi un grosso ripensamento. E quando dico questo non venitemi a dire che voglio allettarvi per trascinarvi nella nuova maggioranza perch offendereste voi stessi, io sto cercando invece di riflettere su ciò che sta accadendo perché gli uomini politici hanno anche questo compito, di guardare alle cose; e non può stupirci il fatto che oggi questo partito sia impantanato in una discussione attorno a una data, quando si arriva a queste forme kafkiane di vita interna del partito qualche cosa non funziona. E non possiamo non essere preoccupati quando si tratta di un partito della forza e della rappresentatività della D.C.



BIANCHI Adriano

Non riduciamo le cose a questo!!



MINUCCI Adalberto

Vedi, Bianchi, purtroppo non emergono altri temi, questo è il punto e ad un certo punto la vita politica sembra paralizzata, incentrata attorno a questo problema. E io lo dico perché se prendiamo atto seriamente della natura dei fenomeni politici che sono in atto, e senza la pretesa di voler insegnare agli altri, né di voler giudicare tutti perché è compito di ciascuno ad un certo punto dare la propria valutazione, io penso che se partiamo da questo possiamo anche capire che tutti desideriamo, e più di tutti noi, nuova maggioranza, PCI che io qui rappresento, desideriamo che queste crisi vadano verso uno sbocco positivo. Non siamo affatto interessati a lacerazioni della D.C. o che si prolunghi indefinitivamente questo confronto sulle date, spero che un giorno o l'altro la data sia finalmente individuata.



OBERTO Gianni

Ricordate Gozzano? "Adoro le date. Le date, incanto che non so dire! Purché molto passate, o molto di là da venire".



MINUCCI Adalberto

Vedo che attraverso Gozzano riesce ad individuare il mio pensiero.
Io mi auguro che la crisi della D.C. si concluda positivamente, ma parto dal fatto che crisi c'è e vorrei quindi, da parte di tutti noi, me compreso e forse anche prima degli altri, un rispetto serio un atteggiamento di valutazione e di riflessione seria su questi fenomeni politici che, certo, sconvolgono i vecchi equilibri, ma sono anch'essi il segno di un'esigenza di cambiamento che è della nostra Regione, che è del nostro Paese ed a cui nessuno si può opporre in nome del vecchio, in nome di ciò che ormai è morto, se vogliamo davvero uscire da questa crisi e se vogliamo dare un avvenire di progresso alla nostra società.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Robaldo.



ROBALDO Vitale

Signor Presidente, colleghi, prendere la parola dopo l'intervento del Consigliere Minucci è - stimolante, perché egli ha spaziato nel passato e nel presente ed ha escluso, secondo la mia modesta interpretazione l'argomento all'ordine del giorno.
Indubbiamente questo richiamo trionfalistico alla conferenza per l'occupazione può anche sottendere una certa delusione dopo quella data ormai sono passati 40 giorni e più. Noi non scopriamo niente di nuovo se diciamo che siamo d'accordo sul fatto che la conferenza per l'occupazione ha segnato un punto a favore del momento istituzionale della Regione, se ha portato ad un dibattito interessante; non tanto forse per il risultato del 15 giugno, quanto soprattutto per la drammaticità del contesto e del momento in cui si verificava il dibattito, momento che segnava il fondo di una crisi strutturale, difficoltà per migliaia di lavoratori piemontesi e la speranza di un indirizzo nuovo e quindi di una aspettativa.
Indubbiamente caricare quel momento esclusivamente sul riverbero del voto del 15 giugno mi pare eccessivo, anche se, ripeto, una parte dobbiamo attribuirgliela.
Noi come PRI abbiamo dato un contributo a quel dibattito e siamo venuti a discutere oggi, amico e collega Minucci, l'oggetto di quel dibattito: la conferenza economica regionale, i suoi risultati, le sue conseguenze operative. Ed è qui che diciamo francamente, che siamo rimasti delusi dalle proposte che la Giunta ci viene a sottoporre, perché si tratta di buona volontà, di atti, di proposte che non vanno oltre un generico pronunciamento, che non dicono assolutamente in che tempi e in che modi con quali disponibilità finanziarie vogliamo fare qualcosa che sul piano regionale indichi un in dirizzo diverso; non dobbiamo fare soltanto delle enunciazioni di principio, dire che deve cambiare il modo di gestire l'iniziativa industriale, che vogliamo dare un taglio diverso, che vogliamo potenziare una riconversione industriale, quando ad esempio sull'istruzione professionale non si dice niente, non si dice come la vogliamo orientare, se vogliamo istruire dei tecnici del settore metalmeccanico, del settore elettronico o di un altro settore per favorire artigianato, o la distribuzione, non si dice in che termini quantitativamente, intendiamo fare questo e se vogliamo dislocarlo su un piano territoriale regionale, questo non è scritto.



BERTI Antonio

Ma se non l'avete detto voi in cinque anni, come possiamo dirlo noi in due mesi?



ROBALDO Vitale

Ma allora non veniteci a dire che c'è un modo nuovo di governare.



ALASIA Giovanni

Vediamo di non dare più i soldi agli industriali per esempio.



ROBALDO Vitale

Scusate, ma se volete parlare voi, vi lascio anche la parola.



PRESIDENTE

No, Consigliere Robaldo, piuttosto suggerirei questo metodo da seguire da adesso in avanti: le interruzioni, purché siano brevi, rendono vivace ed interessante il dibattito, alle Camere succede, l'importante è che vengano una alla volta, in modo che l'interlocutore possa ascoltarle e anche rispondere.



BERTI Antonio

Nella III Commissione c'è stato un lungo dibattito sulla formazione professionale, se voi non intervenite non potete essere al corrente.



ALBERTON Ezio

Con delle divisioni.



BERTI Antonio

Con delle divisioni, certamente, ma il dibattito c'è stato, non si pu non dare atto di questo in Consiglio, ignorarlo vuol dire ignorare la vita del Consiglio regionale



ROBALDO Vitale

Ma noi leggiamo quello che avete proposto voi.



LIBERTINI Lucio, Vice Presidente della Giunta regionale

Voi non leggete!



ROBALDO Vitale

Come non leggiamo? Abbiamo letto tutto, caro Libertini.



BERTI Antonio

Il Consiglio Regionale si compone di molti atti, compresi quelli che si svolgono nelle commissioni!



ROBALDO Vitale

Comunque, voi potete rispondere come vorrete, noi la intendiamo in questi termini Noi diciamo che sul piano operativo doveva già delinearsi un'iniziativa politica e non solo un certo efficientismo, che noi riconosciamo alla Giunta, ma una iniziativa di razionalizzazione di certi momenti amministrativi.



(Il Consigliere Berti interrompe nuovamente)



ROBALDO Vitale

Questa non è una scusa, allora non facciamo la riunione oggi rimandiamola ancora.



BERTI Antonio

Ma non dite che non abbiamo operato per niente.



LIBERTINI Lucio, Vice Presidente della Giunta regionale

E' un merito non una scusa.



BERTI Antonio

Sembra che abbiate un cliché.



ROBALDO Vitale

No, non abbiamo un cliché; prendiamo ad esempio la pag. 11 dove si dice: "Uno sviluppo quantitativo e qualitativo della produzione dei beni strumentali, in particolare di alcuni loro comparti, macchine utensili".
Cosa intendiamo fare? Questa è una enunciazione, ma abbiamo preso dei contatti con gli imprenditori, sappiamo qual è la volontà dei sindacati delle forze del lavoro?



LIBERTINI Lucio, Vice Presidente della Giunta regionale

Lei non ha letto la relazione che ho presentato alla conferenza.



ROBALDO Vitale

Io vengo già a dopo la conferenza perché questo è un momento...



LIBERTINI Lucio, Vice Presidente della Giunta regionale

Lei pretende che ripetiamo tre volte le cose, legga le due relazioni vanno insieme, l'ho già detto e nella relazione c'è molto di più. Voi dovete dirci se siete d'accordo oppure no.



ROBALDO Vitale

Questa è una sintesi successiva alla conferenza. Se diciamo che la conferenza ha dato dei contributi, ma poi tutti questi contributi li riduciamo a questo documento dicendo: questo è riduttivo rispetto a quello che abbiamo proposto alla conferenza, io non capisco più. Diteci, questo non lo presentiamo, ripresentiamo quanto proposto alla conferenza perché è più ampio.
Il collega Minucci è venuto a dirci che bisogna fare uscire l'agricoltura dalla schiavitù, rispetto al passato. Noi riteniamo che anche su questo punto le proposte operative che vengono indicate siano estremamente generiche, sono proposte che parlano di potenziamento dell'azienda singola associata, che parlano della zootecnia , della viticultura, ma noi diciamo: qual è la garanzia che diamo al coltivatore che alla fine dell'anno avrà un guadagno dell'80% di un qualunque altro addetto ad un settore industriale o terziario? Questa era un modo di qualificare, ma io non l'ho visto, non l'ho letto.



LIBERTINI Lucio, Vice Presidente della Giunta regionale

Lei legge poco!!



ROBALDO Vitale

Se mi dite dov'è lo leggerò.
Vogliamo potenziare la viticultura e la zootecnia ? Ma dove diciamo che diamo la certezza di piazzare certi prodotti e quindi un'indagine di mercato? Dov'è che diamo veramente la garanzia all'agricoltore che non sia sempre e soltanto il contributo di assistenza che qui viene riproposto come nel passato? A pag. 9 si dice: "In Piemonte un'occupazione adeguata può essere conseguita nell'arco dei cinque anni del piano regionale e in quello di dieci anni di una strategia più a lungo termine se si riesce a difendere i livelli di occupazione". Io dico, qual è la risposta a questo condizionale "se si riesce a difendere"? La risposta non può essere, e lo ripeto quella che mi viene data nella parte esplicativa programmatica del settore dell'agricoltura, perché non mi dà nulla di più di quanto mi hanno dato le passate legislature a livello regionale e nazionale, mi ripropone, in termini forse di maggiore efficientismo, di maggiore rapidità, quel contributo che ieri ho avuto forse con una clientela, dovendomi affidare a questo o a quell'altro esponente politico, non lo discuto, pero al dì là di questo non vedo una proposta agricola da parte della Giunta, più qualificante.
Devo pure dire che certe enunciazioni sul piano assistenziale, in generale, non tengono conto della realtà della finanza locale dei Comuni.
Noi possiamo proporre delle leggi che di fatto (l'esperienza passata dovrebbe essere di ammonimento) non possono essere recepite dalla comunità locale, né singola, né associata, né consorziata proprio perch non danno la possibilità di spendere nemmeno le 100/200 mila lire all'anno per gestire una casa-albergo o per dare un'assistenza, sia pur minima. Di tutti questi problemi bisogna tener conto per riuscire a fare qualcosa diversamente possiamo scaricare sul potere centrale delle inefficienze delle manchevolezze legislative ed operative, possiamo fare delle bellissime leggi, ma se non possono essere calate nella realtà, anche se per cause non dipendenti da noi, ma dal governo, ma che di fatto pongono le comunità locali nell'impossibilità di operare, noi finiamo col fare involontariamente, o volontariamente, delle leggi bellissime sulla carta ma che non possono avere pratica attuazione.
Quando si parla di programma realistico, noi riteniamo che questo programma realistico debba tener conto si del finanziamento a disposizione dell'Ente Regione, ma debba tener conto soprattutto della possibilità effettiva, concreta degli enti locali di concorrere in parte, anche solo al 10% a certe iniziative.
Per gli asili entro il 1980 si vuole sopperire ad un fabbisogno almeno del 25% della popolazione piemontese. Noi ne prendiamo atto, però diciamo come è verificata questa enunciazione rispetto al problema che ho posto prima? Abbiamo presente la situazione di Bologna che oggi si vede quasi il 50% del bilancio comunale speso per mantenere gli asili nido? Sono questi gli interrogativi che noi come Regione dobbiamo porci, diversamente, lo ripeto, possiamo fare un discorso bellissimo che però è disancorato completamente dalla realtà.
A pag. 14 si fa il discorso sul credito. La seconda dizione è una programmazione del credito finalizzato allo sviluppo. Io mi rendo conto delle difficoltà, dell'impossibilità, sul piano istituzionale dell'Ente Regione, ad intervenire nel sistema creditizio, però mi rendo conto che un'iniziativa in questo senso deve essere portata avanti. Adesso la Finanziaria e la Tesoreria sono realtà, la prima lo è, la seconda lo sarà tra breve. In Piemonte abbiamo le Casse di Risparmio (che hanno degli amministratori eletti dagli enti locali) le quali gestiscono una mole enorme di credito completamente disancorata da quelle che sono le esigenze delle comunità locali e delle popolazioni, che non possono assolutamente intervenire per una gestione diversa nell'interesse delle esigenze finanziarie degli ente locali.
Noi abbiamo, in Piemonte, 17 Casse rurali ed artigiane, 15 delle quali in provincia di Cuneo. Il Presidente Viglione mi deve dare atto dell'efficienza e dell'utilità di queste iniziative a livello provinciale.
La Regione può svolgere in questo campo un ruolo di stimolo, non dico a livello di area metropolitana, torinese, ma a livello della Provincia iniziative nel settore del credito, anche sotto forma di casse rurali sarebbero un incentivo al risparmio che verrebbe ridistribuito non soltanto con la logica della garanzia reale, ma seguendo quello che era lo spirito della Cassa di Risparmio, la logica della garanzia, della fiducia personale e delle capacità del cittadino che vuole iniziare una attività artigianale o commerciale e che vede accettata la sua richiesta di finanziamento.
Quindi, pur dicendo che siamo molto limitati in questo settore da leggi che non permettono alla Regione certe iniziative, dobbiamo dire che per altro verso abbiamo delle possibilità notevoli se mettiamo in atto la volontà politica.
Detto questo, mi spiace dover concludere con quella che è stata la puntualizzazione che il collega Minucci ha voluto fare sulle vicende interne del PRI. Molto abilmente egli ha preso le mosse da un articolo del direttore del giornale cittadino, di domenica che stigmatizzava in un certo modo l'atteggiamento di quegli amici che, nella loro scelta libera, hanno fatto delle affermazioni che indubbiamente non possono, nel modo più assoluto, coinvolgere la linea politica del nostro partito. Il nostro partito si è dato e si dà nei congressi nazionali, regionali e provinciali di sezione, delle linee politiche, queste linee non impegnano nessuno e se degli amici intendono fare delle scelte e delle valutazioni diverse, le fanno a titolo personale. Noi abbiamo nel partito una sinistra, che è rappresentata nel Veneto dall'Assessore Scattolin, il quale esprime liberamente, all'interno del partito, delle posizioni, però al momento di impegnare pubblicamente il partito si attiene rigorosamente a quelle che sono le decisioni congressuali espresse a maggioranza. Questo è un modo corretto di fare politica e noi non riteniamo assolutamente che quell'altro modo di coinvolgere una parte più grande del PRI sia leale e che sia utile ad una certa dialettica politica.
Noi non vogliamo fare considerazioni sui motivi che dopo il voto del 15 giugno spingono degli amici a fare liberamente delle scelte, la storia dirà quali saranno le conseguenze delle decisioni politiche che ognuno di noi assume, però riteniamo di dover ribadire, con molta franchezza, che la posizione del PRI è sempre stata, soprattutto nei confronti del Partito comunista, una posizione estremamente chiara e corretta; noi chiediamo agli amici comunisti se questo gioco alla lunga giova al sistema democratico e alla dialettica dei partiti o se giova soprattutto a loro.



MINUCCI Adalberto

Non è un gioco



ROBALDO Vitale

Nella misura in cui è stato proposto da voi...



GANDOLFI Aldo

Però gli Assessorati li avete dati, a Milano!!



MINUCCI Adalberto

Nessun Assessorato, nessuno ce li ha chiesti.



ROBALDO Vitale

Da parte del Partito socialista e del Presidente del Gruppo parlamentare si viene a dire che i comunisti sono ancora schiavi dell'Unione Sovietica, questa frase noi non l'abbiamo mai detta come PRI noi abbiamo posto, al congresso di Genova, problemi di equilibrio internazionale, non abbiamo mai chiesto al PCI, come ha fatto l'on. De Martino, se ama la libertà: "Noi possiamo fare l'unificazione solo se voi rinnegate la scissione del '22 e se amate la libertà". Noi non intendiamo porre i problemi politici in questi termini, abbiamo chiesto semplicemente ai comunisti se il loro ingresso nell'area di governo avrebbe garantito sul piano internazionale, l'equilibrio e la autonomia del nostro paese; e noi siamo fermi su queste posizioni che riteniamo giovino a tutto un assetto politico democratico del paese, che diano tempo e modo per una certa decantazione, che diano possibilità di scontro e di incontro dialettico, però riteniamo che non debbano essere mai portate sul piano dell'emotività, o del rancore o del tornaconto, personale dell'uno o dell'altro e invitiamo soprattutto gli amici comunisti, che sappiamo molto sensibili a questi problemi, a non cercare di innescare una specie di lusinga nei confronti di chicchessia. Ci spiace che sia stato fatto in provincia di Cuneo, nei confronti di una persona che noi conosciamo come una persona valida sul piano amministrativo, ma che non riteniamo avesse i requisiti per ricoprire, sul piano regionale, un certo incarico che le è stato dato.
Noi non vorremo che tutto questo facesse parte di un gioco che cerca uno scollamento, una disgregazione in casa altrui sul piano personale, dopo che sul piano politico non si è riusciti ad avere quell'aggregazione quella forma di assemblearismo, di maggior apertura alle forze politiche.
La Giunta è venuta su un discorso nel quale in questo momento non è tenuta ad intervenire, noi non vorremmo che fosse una forma di debolezza per nascondere di avere avuto, purtroppo, per un accidente casuale, non per volontà politica della maggioranza, una Giunta a Torino eletta, guarda caso, con l'assenza di un fascista e che si vede appoggiare il bilancio guarda caso, da uno della destra liberale.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Rivalta.



RIVALTA Luigi, Assessore al piano territoriale regionale

Nonostante la ripetuta affermazione di concretezza nei confronti della realtà regionale dei Consiglieri dell'opposizione, un aspetto di questa realtà, quello dei suoi squilibri, è stato dimenticato dal dibattito. La conferenza e lo stesso documento sono invece fortemente informati del problema L'attuale situazione di crisi che ha esteso a tutte le aree piemontesi compresa quella torinese, quei problemi di occupazione che sino a ieri erano stati propri di una sola parte della Regione, ha forse distolto l'attenzione da uno dei temi che resta fondamentale nella nostra regione.
La recessione complessiva e generale che investe la regione attenua l'evidenza degli squilibri territoriali, se non addirittura dà della regione un'immagine a valori ribaltati rispetto al passato, per la quale le aree più colpite e più bisognose di aiuto finiscono con risultare quelle che sino a ieri sono state oggetto di sviluppo. In questa situazione pu succedere che si perda di vista quello che fino a ieri, in fase di sviluppo, era stato uno dei temi centrali da imporre: quello della diffusione sul territorio dei posti di lavoro e di condizioni di vita urbana.
Nella realtà regionale gli squilibri restano, e da essi, insieme al problema della difesa dell'occupazione, intendiamo partire per individuare le linee operative a cui deve informarsi il piano di sviluppo. Non possiamo dimenticare che proprio anche gli squilibri territoriali sono stati - per gli sprechi e le disfunzioni che hanno determinato - una delle cause della crisi stessa; e non possiamo dimenticare che gli squilibri territoriali sono un aspetto dello sviluppo settoriale abnorme che si è avuto fino ad ora. Essi costituiscono un impedimento al pieno utilizzo delle potenzialità economiche, sociali ed umane della nostra regione.
Se si vuole uscire dalla crisi, se si vuole impostare una fase nuova di sviluppo, su basi solide e durature, se si vuole ampliare la base produttiva della nostra regione, è necessario eliminare questi squilibrii.
D'altra parte gli squilibrii territoriali possono essere superati solo in presenza di una dinamica evolutiva del sistema economico; una situazione di stagnazione o di recessione non consente di rimuoverli, anzi, ne favorisce l'aggravamento.
Voglio qui sottolineare, pertanto, avvertendo come questo aspetto sia stato scarsamente richiamato nel dibattito, che noi stiamo pensando al piano di sviluppo mantenendo ferma, anche in questa situazione, la finalità del riequilibrio regionale assunta dalla Regione fin dai suoi atti statutari Riteniamo anzi, che questo non sia un impegno in più, ma coincida con lo stesso impegno per la difesa e lo sviluppo dell'occupazione Ci rendiamo però anche conto - e anche questo voglio sottolineare - che il perseguimento di obiettivi di riequilibrio regionale è oggi più difficile che nel passato. Non avendo saputo approfittare del periodo di intensa crescita della struttura produttiva per rendere il sistema economico capace di utilizzare e di rigenerare tutte le sue potenzialità ai fini di uno sviluppo duraturo e del superamento degli squilibrii, oggi, per la ridotta entità delle risorse utilizzabili , è più difficile un'azione di recupero. Il recupero degli squilibri territoriali si è fatto inoltre più problematico in questi ultimi anni per il livello di decadenza a cui sono giunte alcune aree piemontesi, in particolare quelle di Mondovì, di Casale e di Borgosesia.
E per dare la misura di questi processi può essere esemplare il richiamo ai dati relativi al comprensorio di Mondovì: come dimostrano le analisi condotte nel '74 per il piano degli insediamenti universitari, il decadimento socio-economico a quel momento era gia giunto a livelli di tale gravità da essersi ripercosso sulla stessa struttura della popolazione, al punto che in assenza di flussi immigratori dall'esterno, non sarà possibile disporre della popolazione attiva necessaria ad una ripresa.
Questi fatti mostrano come ove non si intervenga a tempo, le situazioni di stagnazione si trasformano in aree di degrado, destinate ad uscire dalla scena economica della Regione. Questo è il destino di altre aree, ove su di esse non si intervenga immediatamente con politiche adeguate. Non al livello di decadimento del comprensorio di Mondovì, ma in fase di avvicinamento ad esso, sono le aree, ad esempio, di Casale e di Borgosesia in fase di pericolosa stagnazione sono altre aree, tra cui Vercelli Savigliano, Fossano, Saluzzo.
Una politica immediata di riequilibrio è quindi necessaria se non si vuole abbandonare alla disgregazione ed alla distruzione le risorse che ancora sono presenti su questi territori e se non si vuole perdere la possibilità di utilizzare le potenzialità che in tali territori ancora esistono.
Una misura dell'entità dell'impegno necessario, può essere fornita dai dati relativi al bilancio della pendolarità per lavoro tra l'area di Torino e le aree limitrofe, che risulta positivo in entrata nell'area torinese per ben 25.000 pendolari al giorno.
Se nel prossimo decennio (questo è uno dei temi fondamentali da assumere nella politica di piano), iniziando però già da domani, non si creeranno occasioni di lavoro in queste aree in numero relativamente crescente rispetto a quelle che si creeranno nell'area torinese spostamenti di popolazione verso l'area torinese, e ulteriore depauperamento delle aree di esodo. Si produrrà, cioè, un ulteriore accentramento di popolazione, con domanda addizionale di servizi e di abitazioni e conseguente crescita economica di questa area, quindi con una accentuazione, anche in una fase di stagnazione e di sviluppo ridotto, degli squilibri regionali.
Noi ci troviamo d'altra parte a dover oggi sostenere l'occupazione e lo sviluppo dell'area torinese, per colmare i vuoti creati dalla crisi e al tempo stesso per corrispondere alla domanda aggiuntiva di lavoro promossa dalla crescita della popolazione che in questa area si è fatta più intensa a causa dell'immigrazione di popolazione giovane avutasi nel passato.
Dobbiamo, quindi, ricercare condizioni di sviluppo e controllare questo sviluppo anche limitato in modo da non consentire che ci sia ancora un prevalere dello sviluppo dell'area torinese sulle altre aree. E la limitatezza e la difficoltà di questo controllo possono essere indicate dalle grandezze che possiamo mettere in gioco: è stato stimato che, in presenza di una politica di sviluppo del Mezzogiorno, per risolvere la pendolarità in entrata nell'area torinese, occorre almeno un decennio di una politica controllata nel corso della quale si realizzino i 25.000 posti di lavoro necessari nelle aree limitrofe. D'altra parte, dalle analisi che sono state condotte alla fine della passata legislatura per il piano territoriale di coordinamento, è emerso che nell'area torinese non dobbiamo incrementare i posti di lavoro nell'industria per aliquote maggiori ai 13/14.000 nuovi posti.
Queste dimensioni: 25.000 posti in dieci anni nella corona delle aree esterne a quella di Torino, e la dimensione limitata, rispetto al passato entro la quale dobbiamo controllare lo sviluppo dell'area industriale torinese, ci mostrano l'esigenza di una rigorosa politica di piano e di un rigoroso controllo della sua attuazione.
Su questo problema concreto che abbiamo di fronte e che alla conferenza dell'occupazione era stato ben presente (anche se ora succintamente richiamato nel documento che è stato presentato), non è stato espresso nessun atteggiamento da parte delle altre forze politiche.
Per inciso dico che questa politica di piano e il suo controllo, per essere rigoroso, richiede invece larghe intese sul piano politico. Una politica rigorosa si afferma nella misura in cui larghi schieramenti politici operano per creare attorno ad essa un reale consenso.
Se si è d'accordo su questi obiettivi di riequilibrio regionale e se si è coscienti della necessità di una rigorosa politica di programmazione e di un rigoroso controllo della sua attuazione, allora è necessario avere presente il problema e dichiarare la propria disponibilità ad un tale impegno.
Oggi più che mai è necessaria una politica di piano, sulla base della quale, attraverso una larga partecipazione ai processi di formulazione delle scelte, si utilizzino in modo rigoroso le poche risorse disponibili.
Per la costruzione di quel consenso che è necessario, occorre l'impegno di tutti. Si devono costruire gli strumenti di partecipazione a partire dalla costituzione dei comprensori - fase che è in attuazione - rispetto alla quale invece ci pare che le forze politiche di opposizione abbiano assunto un atteggiamento se non di distacco almeno di indifferenza.
La politica rigorosa che si intende avviare dovrà essere fatta di vincoli e di interventi attivi. E proprio sui vincoli è necessario che in questa prima fase si trovi un largo accordo. Per non consentire sviluppi incontrollati, il primo criterio di vincolo che dobbiamo operare è quello sugli insediamenti industriali affinché essi non si localizzino secondo le logiche del passato, incentrate sull'area torinese.
D'altra parte questa politica è tanto più necessaria perch strettamente legata alle politiche di diversificazione produttiva. Lo sviluppo della piccola e media industria, e lo sviluppo di attività diversificate, sono forse le condizioni che più possono aderire ad un'esigenza di sviluppo diffuso nella regione, restando il settore dell'auto fortemente vincolato alle aree originarie dove si è insediato.
A fianco di queste politiche di vincolo - sulle quali abbiamo sentito in questi giorni, nella misura in cui esse tendono ad essere tradotte da questa Giunta in atteggiamento nei confronti degli strumenti urbanistici reazioni di carattere negativo - dobbiamo anche operare attraverso delle politiche attive: nei settori dei trasporti (intanto, avendo presente che la rete dei trasporti e delle comunicazioni, così come si è realizzata, si è piegata alla centralità di Torino, e che questo stesso sistema centrale di comunicazioni oggi esistente tende a piegare a sé anche interventi che con altri obiettivi vengono fatti sui trasporti e sulle comunicazioni); nel settore delle abitazioni (avendo qui coscienza che la domanda effettiva che esiste nella nostra regione, è una domanda di miglioramento delle condizioni abitative, e che questo miglioramento richiede interventi di risanamento in misura maggiore ancora di quanto non richiede interventi di edilizia nuova); infine interventi attivi per migliorare in generale le condizioni di vita delle comunità :per rispondere da un lato alle esigenze insoddisfatte di servizi, e dall'altro per creare e salvaguardare opportune condizioni ambientali (affrontando il problema degli inquinamenti da gas da rifiuti, da rumore, da calore che sono stati il frutto delle politiche di insediamento che si sono avute nel passato).
E' proprio attorno a questa politica di vincolo ed a questi interventi di carattere attivo su questi settori strategici che noi vogliamo operare nella definizione del piano di sviluppo, individuando quelle aree che devono essere considerate come punti di maggiore attenzione per una politica di riequilibrio regionale, intervenendo con la costruzione di aree attrezzate industriali (a partire da quelle che nella passata legislatura sono già state promosse), operando perché trovino uno stretto intreccio una stretta integrazione le stesse politiche settoriali dei trasporti delle abitazioni e dei servizi sociali. Queste politiche di carattere settoriale devono far parte di una politica complessiva, in modo da ottenere il massimo dei risultati globali possibili nel rispetto del vincolo di conseguire comunque soddisfacenti risultati dal punto di vista settoriale.
I ragionamenti che, dal punto di vista territoriale potranno sotto questo profilo essere condotti in questi prossimi mesi di elaborazione del piano di sviluppo, dovranno consentirci di indirizzare in forma il più possibile integrata gli interventi della Regione sia per quello che riguarda appunto la costruzione di aree attrezzate industriali sia per quello che riguarda l'intervento infrastrutturale nel campo dei trasporti nel campo dei servizi sociali, nel campo del miglioramento e del potenziamento delle condizioni abitative.
Sotto questo profilo noi pensiamo si possano far emergere appunto situazioni di intervento integrato rispetto alle quali programmare le spese di bilancio della Regione nel prossimo anno; interventi integrati che dovranno essere tradotti in progetti operativi che, definiti dall'operatore pubblico (attraverso appunto questa indicazione di piano) consentano poi ad operatori pubblici o privati di intervenire nella loro attuazione. Voglio precisare che quanto noi,utilizzando una dizione corrente, parliamo di progetti speciali, lo facciamo precisamente in questa accezione: di un intervento definito e deciso dal potere pubblico - in questo caso della Regione, o dei Comuni. Non facciamo assolutamente riferimento alla accezione che è stata data nel passato alla definizione di progetti speciali, che significa la cessione del potere di decisioni dell'ente pubblico elettivo agli operatori esecutivi, privati o pubblici, che fossero.
Attorno a questi problemi noi pensiamo di operare in questi mesi, con riferimento al Piano regionale di sviluppo, tenendo conto delle elaborazioni che gia sono state condotte nel passato sia a livello regionale sia a livello comprensoriale, con particolare riguardo, per quanto concerne il livello comprensoriale, alle elaborazioni che sono state avviate nell'area del Pinerolese, nell'area del Biellese, nell'area del Novarese, ed in particolare nell'area di Torino.
In questo periodo che ci siamo fissati per la formazione del Piano di sviluppo regionale non è assolutamente pensabile si possa arrivare ad un piano territoriale di coordinamento a livello regionale. Questo primo piano regionale potrà essere corredato, in questo periodo, solo da ragionamenti che, sotto gli aspetti territoriali che ho indicato, faranno emergere punti del territorio su cui occorrerà accentuare l'attenzione e gli interventi della Regione.
Per l'area torinese, sfruttando e utilizzando l'elaborazione che è stata compiuta nel corso di quest'ultimo anno, sarà possibile allegare al primo piano di sviluppo regionale quel primo piano territoriale di coordinamento che nella passata legislatura abbiamo definito come piano di vincoli, come piano di salvaguardia da ulteriore compromissione.
Voglio qui precisare che il sistema di vincoli rimarrà la caratterizzazione principale di questo piano territoriale. D'altra parte il tipo di situazione che oggi si è venuta a creare, ha allontanato alcuni pericoli di compromissione esistenti invece un anno fa (non si parla più di metrò; la seconda pista di Caselle, la tangenziale est, l'autostrada Torino Pinerolo, la Immobiliare di Borgaro, sono state accantonate), ha reso meno necessario per certi versi il carattere vincolistico che era stato dato a quel piano territoriale. D'altra parte, ancora il tipo di dibattito politico che si è svolto in questo stesso periodo sui problemi di Torino e della conurbazione torinese, il tipo di osservazione che in questi primi mesi abbiamo condotto all'interno dell'Assessorato, ci permettono dilazionando di poco i tempi di presentazione dell'elaborato, di introdurre, in aggiunta a quei contenuti del piano territoriale che già sono stati oggetto di pronunciamento del Consiglio il 30 aprile di quest'anno, alla fine della legislatura, alcuni elementi propositivi già indicatori di una linea di ristrutturazione dell'area torinese. In particolare, queste indicazioni di ristrutturazione riguardano la parte dell'area torinese che più ha bisogno di un intervento di recupero, che è quella della conurbazione. Sotto questo profilo stiamo leggendo il territorio della conurbazione in modo da rilevare l'esistenza di aree suscettibili di trasformazioni d'uso tali da costituire innovazione strutturale a livello del territorio della conurbazione, e da introdurre migliori condizioni generali di vita ed elevamento delle capacità funzionali. Sotto questo profilo prestiamo particolare attenzione a quelle aree industriali di dimensione consistenti, interne al tessuto urbano sulle quali sono insediate industrie obsolete, o attività che provocano forti congestionamenti di traffico pesante, o che occupando una vasta superficie impiegano invece scarsa mano d'opera, o che generano inquinamento Riteniamo che si possa, con riferimento a queste aree promuovere, con il trasferimento nel tempo delle industrie che vi insistono, un processo atto a dare alla conurbazione torinese la possibilità di acquisire gli standards urbanistici che le necessitano.
Si segnalano sotto questo profilo le aree industriali lungo l'asse della ferrovia fra Moncalieri e Settimo, lungo l'asse della Dora sono le fasce ove l'insediamento industriale è avvenuto nella prima parte di questo secolo, e delle quali in presenza dell'obsolescenza delle attrezzature deve essere valutata l'opportunità di una trasformazione di uso. Allo stesso fine devono essere osservate aree ove sono localizzati servizi pubblici che non hanno motivo di essere situati all'interno del tessuto urbano. Cito, a titolo esemplificativo, l'area della Dogana e quella dei Nuovi Mercati, interessate da un traffico congestionante e anche pesante (quello dei Tir per la Dogana); servizi per i quali è ormai necessario trovare una localizzazione esterna al tessuto urbano, promuovendo anche in questo senso una possibilità di recupero di ampie aree da destinare a funzioni congruenti con l'abitato, e a suo servizio.
Connesso a questo discorso di riutilizzazione dell'uso di alcune aree nella conurbazione torinese, dobbiamo promuovere anche una osservazione per vedere qual è il miglior uso delle fasce che fiancheggiano le tangenziali riconoscendo nelle tangenziali, oggi che ormai esistono, una risorsa scarsamente utilizzata. Nella ipotesi che noi facciamo, pensiamo che esse debbano essere trasformate dalla loro caratterizzazione autostradale a pedaggio a quella di viabilità libera, appunto per svolgere la funzione di servire un insieme di servizi pubblici di interesse per l'intera conurbazione torinese e l'intero comprensorio, e un tessuto verde che lungo di esse può essere conservato e attrezzato a servizio della popolazione della metropoli.
E questo è il lavoro che stiamo avviando, e che sarà sottoposto prossimamente alle discussioni in Commissione, così da riprendere quel tipo di rapporto collaborativo e di discussione che si era avviato nella passata legislatura fra Giunta e Commissione consiliare.
Questo livello operativo comprensoriale, che è in via di sperimentazione nell'area torinese, è quello previsto dalle leggi regionali. La legge istitutiva del comprensorio indica appunto che il comprensorio è il livello a cui si opera nella formazione del piano territoriale di coordinamento.
La Giunta intende tener fede alle leggi che i partiti che la compongono attualmente - allora da posizioni diverse, di maggioranza e di minoranza hanno contribuito con altri partiti a costruire, e a definire alla fine della passata legislatura. Non solo per un rispetto formale nei riguardi della legge, sui comprensori per un consenso sostanziale a questa e ad altre leggi che sono state emanate, particolarmente nell'ultima fase della legislatura passata. Se volete, c'è anche una identificazione della nostra politica nei contenuti di quella legge.
Noi riteniamo il comprensorio, un livello fondamentale della politica di piano regionale; attraverso ad esso, secondo quanto tutti assieme, sulla base di motivazioni politiche ed anche culturali, abbiamo indicato nel passato fin dal momento della definizione dello Statuto, si deve realizzare l'articolazione elaborativa ed attuativa del piano regionale di sviluppo. I livelli di pianificazione attraverso cui si deve operare sono quindi, oltre a quello regionale, quello comprensoriale, e quello locale, rappresentato dai Comuni e dalle loro aggregazioni (fra cui le Comunità Montane o i futuri sub-comprensori).
Ciascuno di questi livelli, da quello regionale a quello locale è un intervento di pianificazione di carattere globale.
Qui mi preme dire, per chiarezza, anche per il tipo di domande che nel corso del dibattito ci sono state rivolte, che mentre il livello regionale fa emergere essenzialmente gli aspetti socio-economici della realtà regionale, e dal punto di vista territoriale si limita, come si è limitato nella elaborazione che fin qui abbiamo svolto e nella elaborazione stessa del piano di sviluppo che faremo nei prossimi mesi, a localizzare grandezze socioeconomiche a livello comprensoriale, mentre il livello locale fa emergere soprattutto gli aspetti territoriali, urbanistici, di uso del suolo, il livello comprensoriale è quello in cui gli aspetti economici e sociali e quelli territoriali presentano il massimo di integrazione tra di loro, e questo per la dimensione territoriale e per il carattere dei comprensori così come sono stati definiti.
I comprensori di aree ecologiche intendono appunto definire un'area in cui i processi sostanziali della vita della comunità dal lavoro all'abitazione, ai servizi sociali, ai trasporti, alle funzioni di mobilità che legano questi vari momenti, si organizzano e si governano ad un primo livello di unitarietà. Vorrei dire cioè che il comprensorio, sotto questo profilo, è il primo livello in cui occupazione, servizi, abitazione e trasporti trovano un minimo comun denominatore dal punto di vista economico e sociale



LIBERTINI Lucio, Vicepresidente della Giunta regionale

E' forse il caso di specificare meglio il ruolo del sub-comprensorio.



RIVALTA Luigi, Assessore al piano territoriale regionale

Stavo appunto per richiamarlo succintamente.
Sotto questo profilo, quindi, il comprensorio ha anche una grande importanza per le possibilità di direzione e di gestione politica che consente dei vari processi settoriali. Proprio perché in esso c'è un primo momento di integrazione, di unità e di organicità di questi processi, il comprensorio diventa importante per la gestione politica, e non è affatto presuntuoso, sotto questo profilo, quindi, dire che giustamente abbiamo assegnato al comprensorio il compito della pianificazione territoriale e della pianificazione globale. Al sub comprensorio che è da intendersi come dimensione locale, spetteranno compiti di gestione dei servizi: saranno unità dei servizi scolastici; socio sanitari, ed altri, che caratterizzeranno la loro funzione. Sarà proprio del loro livello la gestione urbanistica locale, che potrà vedere più Comuni aggregarsi tra di loro, o decentrarsi nel caso dei Comuni maggiori.
Questi concetti interpretano il contenuto delle leggi regionali a cui la Giunta si ispira e secondo le quali si vuole operare. Sarà pertanto attraverso la pianificazione comprensoriale che si preciseranno e si verificheranno gli obiettivi assegnati dal piano regionale. Il primo piano regionale di sviluppo sarà dunque anche uno stimolo all'ulteriore definizione di obiettivi, alla loro verifica, alla loro articolazione a livello di comprensorio.
D'altra parte, il piano comprensoriale riceverà precisazioni approfondimento e proposte dalla stessa pianificazione locale. A tal proposito credo sia importante il tentativo che viene portato avanti dall'Assessorato all'Urbanistica di una gestione urbanistica locale, anche a livello sovracomunale, soprattutto la dove il territorio è suddiviso in piccoli Comuni, in vista della individuazione dei sub-comprensori. Dalla gestione urbanistica locale, dalla analisi dei problemi che gli è propria deriverà un arricchimento utile e indispensabile alla pianificazione di carattere comprensoriale.
La politica di programmazione, a parere nostro, non può, nella realtà regionale piemontese, questa realtà regionale così singolare rispetto ad altre - che procedere secondo questi tre livelli, in un processo che vede il piano regionale realizzarsi ed orientarsi attraverso i piani comprensoriali e locali, e che per contro consente ai livelli locali di recare un reale apporto di arricchimento ai piani comprensoriali e regionali; quell'apporto che, d'altra parte, è messo in moto in questi tempi dall'Assessorato all'Urbanistica.
La nostra intenzione di realizzare una tale politica di piano, già delineata nel passato ma mai attuata, non ha ancora, in questo breve tempo superato tutte le difficoltà metodologiche insite in una procedura così complessa; e non è innaturale che in questa prima fase di lavoro della Giunta, di omogeneizzazione del suo lavoro, si possano rilevare momenti anche non sempre coordinati. Ma non c'è dubbio che nel rispetto delle leggi, degli orientamenti che ci siamo dati nel passato, delle procedure e dell'articolazione della politica di piano, noi intendiamo operare realizzando quella efficienza di intervento a livello regionale, che è necessaria per affrontare con rigore quelle politiche di piano che si rendono oggi più che mai necessarie e urgenti.



PRESIDENTE

Signori Consiglieri, penso che possiamo fare il punto della situazione per prendere eventualmente qualche decisione sul prosieguo dei lavori.
Rimangono iscritti a parlare i Consiglieri Paganelli, Borando Ferraris, Bianchi, Vietti, Moretti, Berti; trarrà poi le conclusioni il Vicepresidente della Giunta regionale Libertini. Vorrei fare una proposta: che gli interventi, d'ora in poi, non superino il quarto d'ora. In tal caso potremmo pensare di concludere la seduta per le ore 21, anche per evitare protraendo la seduta oltre quell'ora, di finire il dibattito ad aula semivuota.
Vi sono obiezioni?



GANDOLFI Aldo

Non si potrebbe tenere una riunione dei Capigruppo?



PRESIDENTE

E' senz'altro un suggerimento molto opportuno, anche perché ci sono parecchie cose da risolvere, oltre a questa, e perché una breve interruzione dei nostri lavori può essere utile. Si riuniscano dunque i Capigruppo.



(La seduta, sospesa alle ore 18 riprende alle ore 18,20)



PRESIDENTE

La seduta riprende. I Capigruppo hanno deciso di proseguire il dibattito stasera fino alla sua conclusione, procedendo anche alle nomine previste nell'ordine del giorno.
Faccio appello a tutti coloro che devono ancora parlare perché tengano conto dell'opportunità, per l'economia generale dei lavori del nostro Consiglio, di una autolimitazione. E' semplicemente una raccomandazione perché il Regolamento consente ad ogni Consigliere di regolarsi come ritiene meglio.
Annunciata la decisione politica dei Capi gruppo, do la parola al Consigliere Paganelli, che l'ha chiesta



PAGANELLI Ettore

Signor Presidente, signori Consiglieri, nel valutare nella immediatezza del suo svolgimento la Conferenza regionale sull'occupazione, gli investimenti e lo sviluppo economico avevamo detto che la stessa si era risolta prevalentemente in un momento di confronto tra le forze politiche, sindacali ed economiche intorno ai temi costituenti il nodo centrale del dibattito sulla politica economica nazionale.
In sostanza, la Conferenza aveva finito - questo era il nostro giudizio con l'attirare l'attenzione, o meglio con l'essere attratta sulle questioni che particolarmente in quel momento impegnavano le forze politiche e sociali, lasciando assai in ombra il discorso sulla Regione e sulle sue possibilità di iniziativa in ordine alla situazione economica.
Avevamo anche sintetizzato le quattro questioni polarizzanti e dibattute: 1) le piattaforme rivendicative presentate dai sindacati per i rinnovi contrattuali e quindi il rapporto Confindustria-Sindacato in relazione soprattutto al controllo della mobilità del lavoro ed agli aspetti che il tema assume in riferimento all'ampiezza delle imprese 2) il dialogo Governo-Sindacati con l'esigenza di individuare una corretta sede di contrattazione, non potendosi unicamente far carico alla mano pubblica della mobilitazione degli investimenti e della creazione di nuovi posti di lavoro 3) la prospettiva di un "piano a medio termine" avanzata proprio in quei giorni dal Presidente del Consiglio nel discorso di Bari come definizione di un programma di sviluppo e di riconversione industriale da articolarsi per grandi settori e da specificarsi in modo sufficientemente analitico in riferimento agli investimenti strategici 4) il rapporto, infine, tra grande e piccola impresa, non solo per quanto concerne gli aspetti sindacali e normativi, ma più in generale in ordine al ruolo da assegnarsi alle diverse componenti del sistema industriale ed alle politiche da adottarsi di conseguenza.
Senza associarci ai giudizi assai positivi esposti dalle forze politiche che avevano gestito la Conferenza, ma senza sottovalutare gli aspetti interessanti che il dibattito aveva suscitato, richiamando doverosamente le iniziative che un Organo di Governo regionale deve assumere particolarmente di fronte ad una grave crisi economica osservavamo che sotto questo profilo il dibattito stesso non aveva prodotto elementi rilevanti e che quindi il discorso doveva ripartire nella idonea sede del Consiglio regionale.
A quaranta giorni di distanza dalla conclusione della Conferenza il dibattito ha ripreso avvio con un documento della Giunta apparentemente cospicuo, ma nel complesso insoddisfacente.
La Democrazia Cristiana crede di aver dato il suo contributo, alla rapidità ed efficacia di operatività della Regione in questi primi mesi di seconda legislatura. Il "modo nuovo" di fare opposizione da parte della principale forza politica che si trova al di fuori della Giunta è stato determinante sul piano della operatività. Nessuno può quindi accusarci di posizioni aprioristiche dl opposizione, ma in questo caso sul modo di collocarsi della Giunta dobbiamo esprimere riserve.
La Giunta che, ad esempio, si è vantata nella relazione alla conferenza di aver "ottenuto un successo" perché quattro leggi (compresa quella agraria), per un importo totale di circa 38 miliardi, sono state modificate, riapprovate, vistate dal Governo e promulgate nello spazio di 40 giorni, non ha ottenuto un eguale successo nel predisporre la relazione introduttiva di questo dibattito nei 40 giorni intercorsi.
E' facile - sulla scorta di poche osservazioni del Governo - approvare in breve tempo, rendere operanti leggi che avevano richiesto mesi di preparazione, studi, dibattiti nella precedente legislatura; è meno facile collocarsi con proposte operative sul terreno di una concreta, e non solo propositiva, presenza nella realtà regionale.
Che cosa dice il documento della Giunta? Sintetizza le note posizioni delle parti sociali e dei grandi gruppi alla Conferenza, accorpa in 13 punti le linee di indirizzo che sono la sintesi dell'ampio dibattito socio economico di questi ultimi anni nella regione a fronte della crisi dell' industria trainante e comunica l'insediamento di Commissioni per il Piano.
Seguono relazioni per Assessorati sullo stato delle leggi in vigore e su nuovi intendimenti legislativi ed operativi.
E' il programma della Giunta, questo? Quel programma che avrebbe dovuto far seguito alle prime dichiarazioni? Ma se è il programma non bastano enunciazioni: ci vogliono indicazioni di tempi, di priorità, di compatibilità di finanziamenti. E' in questo quadro che si può discutere verificare, confrontare, e noi pensiamo che la Giunta ciò intenda organicamente fare presentando il Bilancio per il '76, che consentirà di vedere come dalle enunciazioni si passerà alla operatività.



ROSSI Luciano

Se ci saranno i soldi



PAGANELLI Ettore

E' solo con precisi riferimenti ad impegni di spesa, a settori da privilegiare, a tempi di intervento che si può dare una risposta alle attese, che si può dire come la Regione intenda collocarsi di fronte alla crisi.
Prendiamo comunque atto che la Giunta è impegnata per la realizzazione a tempi brevi del Piano di sviluppo e che questa volta, e lo ha già rilevato Alberton, più realisticamente e correttamente di quanto non fosse stato fatto all'atto dell'insediamento della Giunta stessa, si vede il Piemonte come una Regione collocata nel contesto nazionale ed internazionale in un'economia aperta e si parla di una programmazione piemontese, né autonoma né sovrapposta a quella nazionale, ma valida interlocutrice della stessa.
Qualche chiarimento desidereremmo però avere sul concetto di piano posto che certi limiti indicati nella relazione e ripresi in aula dall'Assessore Simonelli (certo, deve contenere una serie di previsioni quantitative,... una struttura flessibile, ... deve contemplare diverse alternative, ... ci sono condizioni che sfuggono al potere della Regione) fanno pensare anche in questo caso più ad un documento di principii che ad un vero e proprio piano rigoroso poi nella gestione.
Non vorremmo, in sostanza, che si trattasse più che altro di una formalità per adempiere esteriormente ad un impegno politico a tempi ravvicinati, e che non si penetrasse invece, come è necessario, nei singoli problemi, tanto più che l'attuale Giunta può avvalersi di tutta una serie di elaborazioni già svolte in passato.
Ed un altro chiarimento la Giunta, o meglio le forze politiche costituenti la Giunta, ci debbono dare già in fase preliminare. Anche nel documento introduttivo si conferma la necessità di equilibrare lo sviluppo tra Nord e Sud e si richiama in tutta la sua importanza la "questione del Mezzogiorno".
Ma allora, e riprendo la domanda già rivolta da altri, è opportuno dire parole chiare su quella proposta della Padania, per la verità già ridimensionata, che non vogliamo certo sopravvalutare, ma che richiede precisazioni anche in quest'aula.
Accennato a queste questioni, e riconfermato che l'impegno del Gruppo della Democrazia Cristiana, conformemente alle linee programmatiche del partito, è per la realizzazione di un serio e chiaro programma quinquennale di sviluppo, mi permetto indicare quali sono gli intendimenti che guidano il Gruppo per ogni iniziativa concreta collocantesi nel momento economico attuale.
Sono intendimenti e valutazioni che già ispirano la nostra attività e che anche hanno guidato la responsabile partecipazione del Partito ad ogni livello alla Conferenza economica regionale.
Sul piano generale, riteniamo che l'intervento della Regione non deve essere dispersivo, rincorrendola congiuntura, ma deve concentrarsi sui problemi strutturali dove più significative sono le possibilità di azione.
Nei settori del territorio ed ambiente, sanità e sicurezza sociale formazione professionale, trasporti, agricoltura e sistema distributivo per citare i più grandi titoli, siamo disponibili per determinare precise politiche di settore (confrontandoci appunto nel momento in cui questi programmi verranno portati) e creare efficaci strumenti operativi. In questo quadro vediamo collocarsi l'istituzione della Finanziaria regionale e di appositi organi di gestione del piano regionale.
Una seconda linea di impegno - alla quale ci sentiamo legati non solo come Gruppo consiliare ma come forza politica (certo, collega Simonelli, le posizioni istituzionali vanno rispettate, diceva appunto l'Assessore ieri in una interruzione, ma anche la coerenza politica di ogni Gruppo ad ogni livello) - riguarda la definizione dei rapporti con l'Amministrazione centrale per giungere ad una più funzionale ripartizione delle competenze e ad una più stretta associazione delle Regioni all'impostazione ed alla gestione della politica delle riforme.
A questa ipotesi di definizione di nuovi rapporti con l'Amministrazione centrale si collega il discorso di revisione dei meccanismi di alimentazione della finanza regionale (per adeguarla alle esigenze) e di gestione della spesa stessa (per finalizzarla e renderla rapida), argomenti che ho trattato nel mio intervento alla Conferenza e che ho visto ampiamente ripresi dall'Assessore Simonelli nel suo intervento di ieri.
La gestione della spesa, la ricerca delle cause che producono i residui passivi introduce praticamente il terzo punto che desideravo sottolineare.
E' nota la nostra perplessità sulle effettive possibilità anticongiunturali di un'azione regionale capace di dispiegarsi a tempi stretti. L'esperienza dello scorso anno, con un "pacchetto" in larga misura ancora da spendere conferma questa opinione. Ed allora queste possibilità, proprio perché sono limitate, debbono essere utilizzate per il meglio, e si possono pertanto avanzare due indicazioni: la prima è di operare per sbloccare quanto più è possibile di residui passivi (inconveniente comune a tutte le Regioni) e per non crearne altri.
In questa direzione è da approvare l'azione dell'Assessore Bajardi nel settore dei Lavori pubblici, con opportune verifiche a quel livello comprensoriale che frattanto, in attuazione della legge, va prendendo corpo. E mi consenta l' Assessore Rivalta di dire che va prendendo corpo anche con la fattiva collaborazione - e non con le perplessità che lui ha espresso - da parte di quelle forze che in questo Consiglio regionale sono di minoranza, queste forze che addirittura richiedono la partecipazione degli Assessori, ma che non fanno certamente accuse agli Assessori quando questi si trovano nell'impossibilità di partecipare, ben sapendo come essi possano avere più impegni contemporaneamente in una giornata. L'Assessore Bajardi ha potuto vedere con quale spirito i rappresentanti di partiti che qui non sono in maggioranza portano avanti i discorsi dei comprensori là dove sono maggioranza.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Aspetti ancora a dire che sono maggioranza.



PAGANELLI Ettore

Là dove sono maggioranza nei Comuni, Presidente Viglione. Ci sono delle realtà di fatto.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Ma chi l'ha detto, nell'Alta Langa...



PAGANELLI Ettore

I Comuni hanno delle loro specifiche maggioranze. Non vorrà alterare i dati e la realtà storica, Presidente Viglione. Lei auspica, ma in certe parti il suo auspicio non si è ancora realizzato.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

In provincia di Cuneo siete andati in minoranza.



PAGANELLI Ettore

La seconda è di concentrare le disponibilità finanziarie in un ristretto numero di iniziative che principalmente dovrebbero riguardare il campo dell'edilizia residenziale, sociale e delle opere pubbliche per il più elevato moltiplicatore occupazionale di questi settori, per l'indotto che mobilitano, per la loro connessione anche indiretta con gli altri settori produttivi (si pensi al valore che può avere per un rilancio dell'agricoltura un massiccio investimento negli acquedotti e nell'irrigazione).
Sappiamo benissimo che si tratta di iniziative insufficienti per determinare quell'ampliamento della base produttiva che è necessario per uscire dalla crisi, ma quanto meno le stesse sono sufficienti per affrontare quei nodi strutturali che debbono essere sciolti per porre su basi certe e qualitativamente diverse dal passato il processo di sviluppo e per porre chiaramente le varie parti in causa - Governo, Regione, poteri locali, forze politiche e sociali - di fronte al proprio ruolo e alle proprie responsabilità.
Se la Giunta regionale passerà dalle disorganiche enunciazioni attuali a precisi programmi operativi noi ci collocheremo e ci confronteremo seguendo queste linee, questi indirizzi. Beninteso, nei limiti che ci saranno consentiti. Perché bisogna essere molto chiari anche su questo.
Il Presidente della Giunta e gli Assessori si rifanno sempre al "nuovo modo di governare". Ma noi abbiamo l'impressione che questo nuovo modo di governare sia una di quelle "formule di stile" che si trovano negli atti notarili ma che poi non hanno pratica efficacia giuridica.
Si dice nel documento, ad esempio, che il piano deve essere costruito in prima persona dalla Regione, e si mette anche al primo posto il Consiglio, ma non si dice come il Consiglio potrà veramente operare sul piano. Non vorremmo che il Consiglio fosse poi chiamato con scarso margine di tempo a dare il via a quanto le Commissioni ora costituite e la Giunta avranno fatto, ma vorremmo essere costantemente informati, adottando per esempio il metodo che era stato seguito proprio per il piano territoriale di coordinamento, che vedeva a continuo confronto la Giunta e le rappresentanze dei Gruppi. Non vorremmo trovarci, ad esempio, nella situazione di ieri, quando abbiamo letto sui giornali che è stato comunicato, in un importantissimo convegno, che il 18 dicembre sarà votata la Finanziaria, con buona pace delle competenze e delle decisioni dell'Ufficio di Presidenza e dei Gruppi consiliari.



LIBERTINI Lucio, Vice Presidente della Giunta regionale

Scusa, Paganelli, in I Commissione, quando si discusse il piano delle consultazioni, tu eri presente.



PAGANELLI Ettore

Si era preso impegno di farlo in tempi molto ristretti.



LIBERTINI Lucio, Vice Presidente della Giunta regionale

Si parlò proprio del 18 dicembre.



PAGANELLI Ettore

Non mi pare che una decisione fosse stata presa.
Per quanto ci riguarda, il nostro impegno è di favorire ogni salto di qualità, la nostra azione è diretta a contribuire alla più completa crescita della nostra Regione.



PRESIDENTE

Ringrazio il Consigliere Paganelli, anche per aver tenuto conto dell'invito della Presidenza e dei Capigruppo alla concisione, e dò la parola al Consigliere Borando.



BORANDO Carlo

La Conferenza sull'occupazione e lo sviluppo economico è stata certamente una utile verifica con tutte le forze sindacali, sociali e imprenditoriali, come abbiamo potuto tutti constatare. E' stato detto ieri dal Presidente della Giunta regionale che la Regione ne è uscita rafforzata sotto il profilo politico. E' stato anche detto che molti sono i problemi aperti, in particolare la crisi che attanaglia piccole e medie aziende. Si è detto che è emersa una domanda di profonda trasformazione sociale e che non esiste oggi in Piemonte un Governo più capace dell'attuale di accogliere le istanze avanzate dai lavoratori. Sta bene, diamolo per vero.
Ritengo però che queste affermazioni, per avere conseguenze concrete, e cioè per consentire di uscire da questa crisi drammatica, debbono tener conto della necessità di rispettare anche l'aritmetica. Tutti dobbiamo tenerne conto, in particolare chi ha la responsabilità del governo regionale, cioè le forze politiche uscite vittoriose dalla consultazione elettorale del 15 giugno e che hanno oggi una maggiore responsabilità.
Ci sono state rivolte, e lo sono per la verità ancora oggi sollecitazioni, proposte ed inviti alla collaborazione. Io ritengo che, se non vi è possibilità di intesa sul piano ideologico, stante la distanza esistente fra le forze politiche specifiche, purtuttavia uno sforzo congiunto per mettere in moto una azione sul piano pratico, oltre che su quello psicologico, dev'essere fatto. Perché psicologico? Perché si tratta ovviamente, di creare fiducia e fede; e si sa che la fede smuove anche le montagne. Luciano Lama, in più di una circostanza ha invitato - ed anche altri, del resto, lo hanno fatto - gli operatori economici e gli imprenditori in particolare a fare il loro mestiere. Bene, bisogna per creare le condizioni perché questo mestiere possa essere fatto in termini di continuità. E' interessante sapere in proposito cosa pensano le specifiche forze politiche in tema di operatività imprenditoriale. Perch se si chiariscono le idee su questo punto, qualche sforzo è possibile fare congiuntamente.
Vedete, il cosiddetto piano regionale di sviluppo sarà, io lo spero, un ottimo strumento, una carta capace di riassumere situazioni esistenti, di tener conto delle cause che hanno determinato tali situazioni, degli errori di valutazione compiuti, delle improvvisazioni poste in atto e tutto quel che volete, da cui si potrà partire per programmare il futuro, ricorrendo ad una giusta e corretta utilizzazione di tutte le risorse nei vari settori della vita comunitaria regionale, utilizzando anche tutte le energie amministrative e sociali - vedi enti locali e forze sociali - per fare un'azione di verifica costante, di stimolo e di suggerimento. Però, anche quando tutto ciò funzionasse a meraviglia, e cioè secondo i vostri e i nostri desideri, rimane il fatto che la ricchezza e il reddito che si vuole equamente distribuire dev'essere prodotto in termini economici. Ecco perch ho citato gli inviti rivolti da Lama agli imprenditori. Una impresa qualunque essa sia, agisce in correlazione al profitto della sua azione profitto che poi deve essere, beninteso, reinvestito nel sistema produttivo a favore della comunità. Ma profitto dev'esserci, altrimenti a nessuno più vien voglia di gestire qualche cosa con il rischio e con l'impegno.
Il signor Luigi Pintor, sul "Manifesto", accusa i socialisti e i comunisti di non dimostrarsi troppo decisi a tirare fino in fondo le conseguenze dell'attuale crisi. Già perché secondo il Pintor è giunto il momento di cambiare profondamente il modo di produrre e i rapporti di lavoro e di reddito, nel senso che egli nega il profitto come ragione sociale. E' un modo di vedere le cose. Ma i nostri amici comunisti e socialisti in proposito che cosa ne pensano? Procediamo dunque alla formulazione e all'attuazione del piano. A mio giudizio, dev'essere un piano non complesso. Ho sentito alcune enunciazioni, ho visto e letto le proposte dei vari settori. Mi sembra che debbano essere delle scelte correlate fra loro, tali da preservare coerenza negli interventi, per la loro natura ed entità, altrimenti si corre il rischio di fare la fine che sta facendo il tanto contrattato piano a medio termine in campo nazionale. I sindacati dissero un giorno che, data la gravità della crisi, per risolverla non erano più necessari interventi cosiddetti congiunturali, ma che bisognava intervenire sulle strutture del sistema in modo drastico nei vari settori: agricoltura, trasporti edilizia, industria, partecipazioni statali e così via. Tutti furono d'accordo e ci si apprestò a indicare, almeno sulla carta, i miliardi necessari.
Poi venne la frana delle industrie, che, rimaste senza denaro per gli investimenti per troppo lungo tempo, avevano bisogno di aiuto. E allora si decise, tutti consenzienti, di impegnarsi a tener d'occhio gli investimenti preoccupandosi più della occupazione che delle rivendicazioni - e in questo bisogna riconoscere che negli ultimi tempi le Confederazioni sindacali si sono comportate con responsabilità -, bloccando la spesa corrente dello Stato e buttandosi sugli investimenti. Ma poi vennero le piattaforme contrattuali rivendicative delle varie categorie, ivi compreso il pubblico impiego, e allora il piano saltò in aria ancor prima di prendere il volo.
Dal momento che tutti giustamente ci si preoccupa di salvaguardare l'occupazione - perché io ho sentito qui ripetere da tutti che la preoccupazione maggiore è, e infatti deve essere, la occupazione, bene essenziale e sacro per la nostra comunità -, bisogna pur fare i conti con la realtà, e, se è necessario, bisogna rinunciare a qualche cosa da parte di tutti per creare una situazione utile a tutti. Si impone quindi la necessità di avere una produttività adeguata, si impone quindi la necessità di creare capacità competitiva, specie in un regime di libero mercato, si impone la necessità di limitare le alte punte di assenteismo - a questo proposito devo riconoscere che la riunione dei 1200 delegati comunisti svoltasi domenica a Milano ha seriamente affrontato questo problema -, di sciogliere vincoli che non consentono la mobilità del lavoro, se si vogliono fare le riconversioni produttive, e non si può, se si vuol essere realisti, nello stesso tempo pretendere sempre più alti salari, che si traducono in consumi privati, e voler impostare nello stesso tempo investimenti per i consumi sociali. Le risorse che abbiamo a disposizione se vogliamo essere onesti, non consentono né l'una e l'altra cosa contemporaneamente o quanto meno, la consentono in una certa misura.
E veniamo al problema dei residui passivi, che è uno dei problemi specifici che più interessano a brevissimo termine coloro che hanno il compito di decidere. Abbiamo il dovere di spendere bene e in fretta le risorse che ci sono a disposizione. Io ho sempre visto spendere relativamente in fretta i soldi solo dove questi vengono a coprire interamente la spesa per l'opera da realizzare; quando invece si vuol dare qualche cosa a tutti - vedi opere pubbliche, acquedotti, fognature interventi delle varie leggi, turismo, commercio -, per accontentare tutto lo scibile regionale, si corre il rischio di avere residui passivi. Io sono sempre stato di questo parere, e il Consigliere Oberto me ne può dare atto.
Bisogna avere il coraggio, ad un certo punto, di scegliere, anche sacrificando qualche cosa. Come ieri, nonostante la mia protesta e la protesta di Cardinali, avanzata sulla base di dati ben precisi, si sono indicati i 34-35 miliardi per le strade che l'Anas dovrà costruire e che consentiranno di realizzare quelle strade; se quei 35 miliardi si fossero suddivisi non su 20 ma su 40 strade si sarebbe finito con il non vederne completata nessuna. Ma in questo caso si tratta di fondi che vengono assegnati agli enti locali, in conto capitale o in conto interessi. In proposito devo dire che se l'Assessore Simonelli riesce a tradurre in pratica le enunciazioni fatte ieri ritengo sia sulla strada giusta: per riuscire nell'intento bisogna fare una selezione, avendo il coraggio di dire sì dove si deve dire sì, e no dove si deve dire no. Altrimenti, i 200 miliardi di residui passivi continueranno a rimanere inoperosi.
Lo stesso discorso vale per il settore dell' agricoltura, che è un po' quello in cui si è speso maggiormente. Qui non è che ci siano residui passivi, perché gli agricoltori e gli operatori economici dell'agricoltura in virtù di quei mutui che, concordati in sede nazionale, riescono ad avere dal Credito agrario, e che sono nella misura del 10% a carico della Regione (ritengo sia uno sforzo formidabile, questo che la Regione fa), hanno operato ed hanno investito. Ma prima che si possano assegnare questi fondi dovrà passare almeno un anno, un anno e mezzo, perché le costruzioni di attrezzature, lo spianamento dei terreni, le opere di bonifica fondiaria comportano un tempo non indifferente e soltanto dopo che sono state compiute e che vengono sottoposte a collaudo da parte degli Ispettorati provinciali dell'Agricoltura possono essere finanziate.
Dove - mi rivolgo in particolare all'Assessore alla Agricoltura - si dovrà fare un grosso sforzo, che si rivelerà indubbiamente utile, è nel settore della irrigazione: irrigazione a scorrimento, irrigazione a pioggia, soprattutto là dove l'andamento plano-altimetrico del terreno non consente altre soluzioni; e qui, in provincia di Torino, in provincia di Cuneo, in provincia di Asti, sono numerose le situazioni di questo genere.
Interventi per il miglioramento e la valorizzazione dei pascoli alpini.
Caro Ferraris, se mi è consentito, vorrei dare un suggerimento per ciò che si riferisce ai pascoli alpini. Ricordo che quando era Assessore all'agricoltura il collega Franzi era venuta in Giunta la proposta per la spesa di 2 miliardi per la valorizzazione dei pascoli alpini. Cosa utilissima e nobilissima, perché, oltre a salvaguardare l'ambiente e l'ecologia, si salvaguardava anche una risorsa naturale. Ma la domanda che io gli rivolsi, e che rivolgerebbe ogni comune cittadino, è stata questa: se valorizziamo questi pascoli, che indubbiamente sono destinati ad essere pascolati dalle mandrie, spendendo due miliardi, chi curerà le mandrie? Abbiamo circa diecimila ettari di pascoli alpini, che possono produrre da 750 a 800 mila quintali di foraggio, ma questi pascoli non sono minimamente sfruttati in molte zone, per esempio in tutta la zona sopra Verbania. Ora tenuto conto che, secondo la logica e la scienza, ci vogliono tre chilogrammi di fieno per ogni quintale di peso vivo di animale, ne deriva che con una produzione del genere, opportunamente sfruttata, si possono mantenere circa 200 mila capi di bestiame. Io inviterei in proposito, senza con questo voler insegnare niente a nessuno, ad esaminare il problema con un minimo di fantasia, se mai facendo capo ai comprensori, alle Comunità montane, organismi specifici che possono benissimo studiare anche questi problemi, assegnando loro fondi, se necessario, per incoraggiare la disponibilità di addetti. Sì, signori miei, bisogna compensare coloro che rimangono in montagna, e compensarli bene perché continuino a produrre bistecche per quelli che vivono in città: sono soldi che si trasformano in carne, e quindi è un contributo alla economia.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Scusa, Borando, ma si danno ventimila lire per mucca per l'alpeggio, in base all'ultima legge. Non è poco.



BORANDO Carlo

E' poco, bisogna aumentare la cifra.



PRESIDENTE

Vorrei che li pagassero per tutti.



BORANDO Carlo

Per quanto riguarda gli interventi negli altri settori, mi permetto di dare qualche suggerimento che mi deriva dall'esperienza, almeno sul piano tecnico, quanto ad interventi produttivi di occupazione.
In tema di lavori pubblici, sono necessarie strade, fognature acquedotti, opere pubbliche igienico-sanitarie in genere, ma sono altrettanto necessari scuole ed ospedali; ritengo che, se si vuol incrementare l'occupazione in questo momento, a parità di necessità e di condizioni si debba privilegiare il settore dell'edilizia scolastica e dell'edilizia ospedaliera. In tema di edilizia scolastica, sia pure con qualche riserva, devo riconoscere che i criteri di scelta adottati dall'Assessore Rivalta per la utilizzazione dei 42 miliardi disponibili sono stati applicati in maniera rapida ed accettabile.
Quindi, signor Presidente e signori colleghi, i fondi costituiti dai residui passivi a disposizione e quelli del pacchetto governativo (sperando che ci sia) potranno formare una base non indifferente per mettere in moto volumi di lavoro notevoli. Si tratta di agire con risolutezza e snellezza amministrativa, in modo da bruciare i tempi e dare, con quel poco di cui disponiamo, un contributo essenziale alle fortune della nostra comunità regionale e nazionale.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Ferraris.



FERRARIS Bruno, Assessore all'agricoltura e foreste

Intervengo a questo punto del dibattito non solo per rispondere ad alcune delle osservazioni critiche emerse ma anche per fornire alcuni chiarimenti ed integrazioni in merito al documento presentato dalla Giunta.
Certo, nel documento si poteva dire di più, si poteva riscrivere la relazione del Convegno di Savigliano per coloro che non hanno potuto parteciparvi. Qualcuno forse pensava di vedersi presentare già il piano. Il documento della Giunta non vuole invece e non può essere il piano, è solo un documento preliminare per avviare la discussione alla formazione del piano e quindi a quel piano pluriennale di attività e di spesa che a loro volta si tradurranno in un bilancio pluriennale per obiettivi e per programmi di settore, come ha già detto giustamente ieri il compagno Simonelli.
Le proposte e gli obiettivi della Giunta per quanto riguarda l'agricoltura sono stati individuati anzitutto, ripeto, nel convegno svoltosi a Savigliano, e successivamente sono stati ribaditi nel corso della stessa Conferenza economica nella relazione del compagno Libertini.
Essi sono: sviluppo quali-quantitativo della produzione agricola, nuovi rapporti industria-agricoltura, l'adeguamento dei redditi agricoli a quelli ottenuti negli altri settori produttivi, il superamento del divario esistente fra città e campagna e fra pianura e montagna, in fatto di assetti sociali, civili e culturali come garanzia per la permanenza dell'uomo sul territorio (intendiamo tutte le opere infrastrutturali, che non competono soltanto all'Assessore all'agricoltura: dalla elettrificazione, che gli compete, almeno per quella rurale, ai trasporti alla viabilità, agli altri presidi, sanitari, scolastici eccetera). Questi obiettivi potranno essere perseguiti soltanto attraverso una nuova strategia di sviluppo, e quindi dell'intervento e della spesa pubblica, che potenzi il patrimonio e le risorse dell'agricoltura e soprattutto che punti ad una ristrutturazione dell'attività e dell'organizzazione agri cola fondamentalmente attraverso l'associazionismo e la cooperazione, venendo appunto a costruire nuovi diversi rapporti fra industria ed agricoltura Di qui discendono le scelte programmatiche e funzionali a carattere settoriale per quanto riguarda l'irrigazione, se vogliamo il recupero delle terre incolte o insufficientemente coltivate come primo grosso intervento inteso a recuperare e utilizzare tutte le risorse naturali di cui si dispone nella nostra Regione.
Per quanto riguarda la Regione, gia sono state annunciate in questa sede, quando si è dovuta approvare, in relazione al cosiddetto pacchetto la 377, non soltanto la presentazione delle opere così come le abbiamo trovate ma l'avvio di una iniziativa nostra che vada in due direzioni fondamentali: quella di un censimento di tutte le opere, di tutti i progetti, di tutte le idee che ci sono e che sono state agitate in materia di irrigazione in questi ultimi trent'anni, e quella del riordino delle utenze.
I colleghi della Commissione e della Giunta già hanno avuto in mano un primo studio preliminare, sul quale si tratta di riflettere - e abbiamo chiamato a riflettere anche le Province, tutti gli Enti che nel tempo hanno proposto questi progetti. Si tratta di una spesa preventivata in 308 miliardi, per 100 mila ettari probabilmente di nuova irrigazione, se comprendiamo l'integrazione e la nuova. Naturalmente, molto dipende dai finanziamenti statali. Si tratta, però, di dare un giudizio di priorità, di verificare la validità, la fattibilità di quelle opere, come Regione, date le dovute priorità anche in relazione al piano delle acque, se mai anche di garantire i mezzi per la predisposizione e l'allestimento dei progetti esecutivi.
L'altro grande settore di intervento è quello dello sviluppo degli allevamenti in generale, quindi della zootecnia. Non mi soffermo a parlarne perché il discorso si amplierebbe eccessivamente. Anche per questo settore è comunque in corso di elaborazione un progetto di riorganizzazione del sistema della fecondazione artificiale, di miglioramento della razza, della bonifica sanitaria, progetto al quale farà eventualmente seguito, dopo discussione, la presentazione di nuovi progetti di legge o la correzione di quelli esistenti. In questo quadro si pone al di scorso avviato or ora da Borando, che io accolgo. E' indubbio, l'ho gia detto prima, che si tratta intanto di utilizzare al meglio tutte le risorse di cui dispone la nostra Regione e dispone in particolare la montagna.
Altro importante settore: il rilancio delle coltivazioni pregiate, con particolare riferimento alla viticoltura - un campo nel quale, nonostante le caratteristiche del nostro territorio e nonostante il suo alto pregio stiamo passando in coda alle altre Regioni ed alla forestazione.
Questi i grandi settori su cui concentrare l'azione e successivamente l'intervento finanziario della Regione. E ancora l'esigenza di una ridefinizione della funzione della formazione professionale e della stessa assistenza tecnica, e, a monte di essa, della ricerca e della sperimentazione agraria, settore nel quale appunto siamo impegnati, con i contatti in corso, con le varie strutture dello Stato disperse ma pure esistenti nella nostra Regione, con le varie Facoltà della Università. In questo quadro penso possa essere collocata anche l'iniziativa, che dovrà trovare sanzione nelle sedi opportune, dell'inizio di un corso interdisciplinare da concordarsi con l'Università per la formazione di cooperatori, di amministratori e dirigenti del movimento cooperativo della nostra Regione.
In attesa della redazione dei piani zonali di sviluppo agricolo da parte dell'Esap, e delle scelte che per il settore agricolo e silvo pastorale dovranno essere compiute (e qui, torna valido il discorso di Borando), all'interno dei piani di sviluppo economico e sociale da parte delle Comunità montane, ci si propone la concentrazione, sia pure graduale del massimo delle risorse finanziarie disponibili in investimenti per il potenziamento e il rinnovamento delle strutture produttive e soprattutto per la conservazione, trasformazione e commercializzazione della produzione agricola. E non contrasta con questi orientamenti e questi indirizzi l'aver posto riparo ad un grave arbitrio precedentemente compiuto, quello per cui si escludevano le aziende al di sotto delle 400 giornate lavorative, caro Chiabrando, in quanto la valutazione delle opere, e quindi la erogazione dei finanziamenti, avverrà sempre sulla base di un giudizio di validità economica, dell'intervento stesso: un conto è rifiutare un intervento sulla base di un giudizio di non validità, un conto negarlo a priori, come si è fatto in precedenza.
Il problema di fondo, che va affrontato e avviato a soluzione, resta pero quello del superamento di una situazione che vede nella nostra Regione più del 54% del valore della produzione ceduto alla intermediazione commerciale, la quale, a sua volta, ne cede poi una gran parte all'industria di trasformazione, e appena il 13% della produzione, sempre in termini di valore, passare direttamente dall'azienda agricola all'industria di trasformazione, in gran parte quella alimentare. E' gia un passo avanti, questo 13%, forse il 20, anche se solo il 12% è ceduto alla cooperazione o a consorzi vari e quindi direttamente commercializzato attraverso la cooperazione.
Ecco, è questa la nostra vera scelta di fondo: cooperazione ed associazionismo, per accelerare da un lato un processo di integrazione verticale che è decisivo ai fini della possibilità di realizzare quel maggior reddito, comparabile al reddito di altre categorie, che il collega Robaldo chiedeva di garantire a coloro ai quali raccomandiamo di dedicarsi alla zootecnia o a coltivazioni pregiate. E' una politica complessa. Certo l'intervento della Regione conta, ma indubbiamente contano intanto le strutture e resta anche l'altro problema, dal momento che non tutto potrà essere "verticalizzato", quello di nuovi rapporti con l'industria alimentare, in ogni caso, ed anche aumentare la parte che direttamente va all'industria, per giungere quindi ad una contrattazione in condizioni di maggior forza.
Sono orientati in questa direzione sia i tentativi fatti per la trattazione del prezzo del moscato nello scorso settembre sia l'insediamento di quella Commissione che presso la Camera di Commercio di Asti sta cercando di costruire una normativa per la trattazione del prezzo delle uve, di quel particolare settore, anche come strumento di programmazione.
Vanno in questa direzione anche le difficili trattative, poi conclusesi positivamente, per il prezzo del latte e la legge conseguente che sarà presentata. Questo sarà anche adempimento di una legge statale, ma di fatto è il movimento contadino che ha chiesto e finalmente ottenuto, anche con l'appoggio delle diverse Regioni, un primo intervento di quel settore.
Pure in questa direzione puntano le iniziative in corso per riportare ad una soluzione cooperativa tutta la questione relativa alla Produttori latte di Novara, ove i finanziamenti della Regione dovrebbero passare direttamente al Consorzio Verbano, se la cosa va in porto. Iniziative in questo senso sono avviate anche per quanto concerne il grosso problema della ristrutturazione della Centrale del latte di Torino e anche quello della sua acquisizione nei tempi o alle associazioni dei produttori zootecnici che andiamo a costituire con la legge regionale o in altre forme.
Sempre in questa direzione volgono gli sforzi fatti per la costituzione del Consorzio di secondo grado fra le Cantine sociali, che pare stia per decollare; così come quelle poche ulteriori norme e istruzioni per cercare di far entrare in vigore la famosa legge 31 per il risanamento delle cantine sociali, che mai si è riusciti a far funzionare.
Chiabrando ripeterà: si tratta, almeno per quanto riguarda la questione del latte, di adempimenti legislativi. Certo, così come si tratta di adempimenti legislativi nazionali per quanto concerne le direttive comunitarie. Ma c'è modo e modo di giungervi. Noi, comunque, ci adoperiamo per cercar di collegare alle direttive comunitarie, o di dare alle direttive comunitarie, la legge che verrà poi presentata al Consiglio.
Saranno poi la Commissione e il Consiglio a decidere. E' in atto un tentativo di capovolgere la filosofia originale di Mansholt, e quanto di quella filosofia resta ancora nelle stesse direttive, che, non dimentichiamolo, furono concepite proprio in una funzione opposta a tutti i discorsi che sono stati fatti qui da tutte le parti, per emarginare, ad esempio, la piccola e media azienda, per ridurre le superfici coltivate e via dicendo, toglierle dall'esercizio dell'attività agricola. Al contrario noi riteniamo che si possa e si debba, ammettendo al finanziamento anche piani di sviluppo interaziendali, non solo piani aziendali, consentire attraverso forme associative - agricoltura di gruppo, se volete - anche alle cosiddette aziende minori di fruire dei finanziamenti pubblici e di realizzare le necessarie dimensioni ottimali attraverso forme associative anche a livello di conduzione.
Così come riteniamo che, congiuntamente all'applicazione della seconda direttiva, quella del prepensionamento e quindi della cessione delle terre all'ente fondiario, che già abbiamo individuato, e questo tutto insieme nell'ente di sviluppo, si debba e si possa avviare un organico discorso per quanto concerne l'utilizzazione delle terre incolte o insufficientemente coltivate. Terre che l'Esap, sulla base di programmi ben definiti e concordati con la Giunta, con il Consiglio e con le organizzazioni professionali, potrà destinare per l'ampliamento della maglia poderale, per la costituzione di aziende singole, o associate, aventi dimensioni vitali che siano l'ossatura di un'agricoltura moderna anche sul piano della conduzione, o per la formazione di boschi e foreste da trasferire all'azienda che si dovrà prossimamente istituire con la legge regionale.
Anche per il recupero di queste terre sono urgenti e necessari massicci investimenti di capitale pubblico in direzione dei miglioramenti dei pascoli produttivi, per il reimpianto di vigneti, noccioleti, frutteti e soprattutto per lo sviluppo della forestazione, per provviste di acqua e attraverso interventi di integrazione dei redditi o premio di insediamento per i giovani, come l'avete chiamato voi in una proposta di legge con la quale la Giunta intende confrontarsi in modo molto aperto, recependo quel che di positivo è contenuto in quella proposta. Così come occorre avviare con decisione il discorso del riordino fondiario, della ricomposizione aziendale e quindi ancora una volta dell'associazionismo. Solo in questo modo sarà possibile riportare nel ciclo produttivo le terre abbandonate.
Naturalmente, si tratta di incominciare ad affrontare il problema.
Intanto, si impone con urgenza un censimento preciso di tali terre, per poter stabilire quanta parte dovrà essere destinata alla forestazione quanta alla costituzione di pascoli, quanta all'allargamento della maglia poderale, quanta alla formazione di nuove aziende singole od associate. In questa direzione la Giunta, come dicevo già prima, considera un contributo positivo sia la proposta di legge presentata dal Gruppo della Coltivatori diretti sia l'intervento svolto stamane dal collega Rossotto.
Per quanto riguarda i piani zonali di sviluppo, se l'Esap non si è ancora mosso non è certamente per colpa dell'attuale Giunta: se mai, è perché è nato male, è nato sulla base di uno strumento legislativo inadeguato, che non consente ad esso di muoversi. Ad ogni modo, con le recenti nomine di competenza del Consiglio credo si possa procedere rapidamente al completo rinnovamento dei suoi organi direttivi, così da poter affrontare con essi un costruttivo dibattito, non solo sui problemi appunto di funzionamento, ed esaminando che cosa si debba fare per metterlo in condizioni di operare, né soltanto per quanto riguarda l'avvio dei piani di sviluppo agricolo, ma per tutte le altre sue attribuzioni. Con riferimento ai piani zonali, mi fa piacere constatare il nuovo interesse manifestato verso di essi dal collega Chiabrando. Ritengo che sia possibile aprire quanto prima un confronto utile, sia in sede di Commissione che di Consiglio, sulla natura, sui contenuti e sulla metodologia per la elaborazione dei medesimi.
Per quanto riguarda il decentramento, sia pure per ora inteso soltanto come delega interna, non so a quale errore intenda riferirsi il collega Chiabrando. Forse alla dimenticanza degli adempimenti relativi alla proprietà contadina? Poco male, le Commissioni esistono per correggere dimenticanze anche soltanto tecniche o di dattilografia, e più ancora esistono per provvedere a carenze vere e proprie, per migliorare quanto nei confronti emerga come utile e necessario al migliore adempimento delle nostre funzioni. Sta di fatto che questo è un passo modesto, piccolissimo ma il primo compiuto da questa Giunta in quella direzione, del decentramento, con delega interna. E ciò in attesa - perché i nostri convincimenti rimangono ben fermi - che sia avviato il più generale ed organico discorso sulla delega generale agli enti locali singoli od associati e quindi ai comprensori.



PRESIDENTE

E' iscritta a parlare la dottoressa Vietti. Ne ha facoltà.



VIETTI Anna Maria

Signor Presidente, signori Consiglieri, non è intenzione del Gruppo cui appartengo esaminare i programmi dei singoli Assessorati o Dipartimenti perché, come è già stato affermato, essi sono tra loro giustapposti, non legati da una organica visione programmatica della Giunta, che doveva invece essere conseguente all'esame dei risultati della Conferenza economica regionale.
Se mi soffermo sul programma dell'Assessorato all'assistenza ed ai servizi sociali, è per esprimere alcune affermazioni di principio che devono ispirare l'attività in tale settore, e soprattutto per la stretta connessione che esiste tra lo sviluppo dei servizi sociali ed il problema dell'occupazione femminile, che, a ragione, Benzi ha osservato non aver trovato adeguato spazio nei lavori della Conferenza, anche se le prospettive sul livello occupazionale delle donne sono preoccupanti e la diminuzione della presenza femminile nell'attività extra-casalinga pu essere giudicata un fenomeno patologico dell'economia piemontese.
Ho affermato che esiste stretta connessione tra i due problemi, e ci non solo perché una radicale riforma nel settore socio-sanitario è un'esigenza di crescita civile della nostra società, ma sarà anche per molte donne l'occasione per un'attività lavorativa adeguata alle proprie attitudini, che dovrà realizzarsi attraverso una nuova politica della formazione professionale, che promuova i corsi non secondo la logica tradizionale, ma privilegiando la formazione nei settore in cui più elevata è la richiesta di mano d'opera, come nei settori socio-sanitari.
Ma non solo per tali motivi. Infatti, l'esame dei dati sull'occupazione femminile ne evidenzia la debolezza, sia perché il tasso della disoccupazione giovanile, per le appartenenti al sesso femminile è doppio di quello per gli appartenenti al sesso maschile, sia perché di fronte alle congiunture economiche si registra sempre una pesante caduta dell'occupazione femminile. Basti pensare che nel '72, in seguito alla congiuntura del '71, in Piemonte si è registrato un calo dell'occupazione medio del 2,1, mentre il calo dell'occupazione femminile è stato di ben il 4,1%. Con tali osservazioni è quindi indispensabile seguire con attenzione l'atteggiamento della Montedison nei riguardi dei CVS, che occupano un'alta percentuale di mano d'opera femminile e che per di più sono localizzati in aree già intensamente colpite da crisi occupazionali.
Ma da uno studio dell'Ires sull'occupazione femminile se ne rileva un altro aspetto fondamentale. La donna sovente abbandona o non cerca il lavoro perché non riesce a conciliare l'attività extra-casalinga con le proprie responsabilità familiari. Tale considerazione emerge molto chiaramente da due dati di tale studio: 1) il tasso dell'occupazione femminile dell'area torinese è inferiore alla media regionale 2) la punta massima dell'occupazione femminile del 58,3% si raggiunge nella classe di età dai 20 ai 24 anni, mentre tale percentuale scende al 35,1% negli anni 25 ai 39 per risalire, seppur lievemente, dopo i 40.
Da tali dati si può arguire che, se nell'area torinese, che è l'area più altamente industrializzata della Regione, vi è un tasso di occupazione femminile inferiore alla media è perché in tale area si riscontra maggiormente il tipo di famiglia, composta esclusivamente dai genitori e dai figli, dove pertanto è più diffide per la madre affidare ad altri il proprio bambino durante le ore dì lavoro. Inoltre, si può dedurre dall'esame dei tassi di occupazione femminile in rapporto alle classi di età, che la punta minima si riscontra negli anni dai 25 ai 39, cioè nel periodo in cui la donna è maggiormente impegnata in famiglia.
Quindi, lo sviluppo dei servizi sociali, in tutti i settori, ed in particolare nel settore degli asili nido e nelle scuole materne, nelle quali in Piemonte si registra un tasso di scolarità inferiore alla media nazionale, è certamente un elemento strettamente correlato al problema dell'occupazione femminile.
La relazione che ci è stata presentata tratta anche di tali problemi.
Ad esempio, fissa come obiettivo da raggiungere nel 1980 un numero di posti in asili nido corrispondente al 25% dei potenziali utenti ed afferma che l'asilo nido debba essere inserito nell'ambito dei servizi dell'istruzione.
Dissento da tale concezione, perché, se è vero che l'asilo nido deve svolgere una funzione integrativa della famiglia per lo sviluppo psico fisico-pedagogico del bambino, per il suo inserimento nella vita di gruppo evidenzio la sua funzione peculiare di servizio sociale per la prima infanzia e per la famiglia. Ritengo inoltre prematuro fissare l'obiettivo del raggiungimento del 25% dei posti sui potenziali utenti al 1980, in presenza di una legislazione statale che deve essere modificata, e che per di più limita l'impegno finanziario al 31.12.'76.
Durante la precedente legislatura questo Consiglio ha approvato un piano pluriennale degli asili nido, che fissa al 31.12.'78 il raggiungimento di percentuali di posti sui potenziali utenti diversificate per ogni area ecologica, che, mediamente, raggiungono la percentuale del 14,54%, per un totale di 27.793 posti contro gli attuali 13.223, esistenti o finanziati.
Riterrei opportuno stabilire l'esigenza di ulteriori incrementi di percentuali dopo una verifica successiva al raggiungimento di tale obiettivo, tenendo conto che attualmente, anche nelle aree più altamente industrializzate, raramente si supera la frequenza di una percentuale superiore al 15% anche in presenza di posti, dato che, per di più, non è sufficientemente significativo, perché la legge per la tutela della lavoratrice madre permette l'assenza della donna dal lavoro nei primi nove mesi di vita del bambino, assegnandole una percentuale di retribuzione limitando così al massimo la frequenza all'asilo nido dei bambini durante il primo anno di vita. Non mi sentirei inoltre di affermare che l'asilo nido, soprattutto nel primo anno di vita, sia una scelta ottimale per il bambino. Concordo con l'esigenza che gli interventi nel campo dei servizi sociali siano strettamente correlati agli interventi sanitari, formativi e del tempo libero. Sarebbe veramente illogico che la zonizzazione sanitaria e sociale non tenesse conto della già avvenuta suddivisione del territorio in comprensori, in distretti scolastici ed in Comunità montane. Un cittadino che vive in un determinato territorio necessita di interventi globali, per lo sviluppo della sua persona, per un'adeguata politica della famiglia, per la garanzia di adeguati strumenti che esaltino l'autonomia dell'Ente locale.
Ciò premesso, ritengo tuttavia che sarebbe erroneo che, volendo esaltare l'unicità dell'intervento, si dimenticasse l'importanza della sua specializzazione, a seconda delle peculiarità delle varie esigenze sociali.
Come già emerso, in modo unanime, in questo Consiglio durante l'esame del Decreto del Presidente della Repubblica del 15.1.'72 n. 9, i Comuni ed i Consorzi di Comuni, con la partecipazione degli utenti, delle famiglie delle organizzazioni sociali dovranno essere i responsabili della gestione dei servizi sociali, che sempre di più dovranno privilegiare interventi aperti di assistenza domiciliare e familiare, rispetto ai tradizionali interventi in ambienti comunitari.
Pertanto, le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, devono intensificare i loro rapporti con le famiglie degli assistiti, devono aprirsi al dialogo con le amministrazioni locali territoriali, devono modificare le loro strutture ed i loro statuti per renderli più consoni alla moderna concezione dei servizi sociali.
E' tuttavia in contrasto con la realtà assistenziale della nostra Regione sostenerne l'indiscriminata soppressione; è necessario promuoverne il miglioramento, rispettandone l'autonomia, senza atteggiamenti negativi aprioristici e senza volontà punitive.
Gli interventi di assistenza domiciliare, l'affidamento familiare per i minori potranno diminuire le presenze in ambienti comunitari, ma non potranno mai esserne un'alternativa assoluta. Ed oggi le Ipab, insieme con l'assistenza privata, gestiscono il 90% dei posti per l'assistenza agli anziani, ai minori, agli handicappati.
La relazione individua, a ragione, come organismi di gestione dei servizi sociali i Consorzi di Comuni, tenendo conto che nella nostra Regione oltre mille Comuni hanno modesta entità demografica. Tale affermazione è tuttavia in contrasto con il disegno di legge presentato dal la Giunta sull'assistenza domiciliare, che supera l'esigenza del Consorzio prevista dalla precedente legge con il chiaro obiettivo di una razionale utilizzazione delle risorse e della garanzia della presenza di personale qualificato.
Concludendo, affermo che è sì opportuno finalizzare gli interventi all'esigenza di una radicale riforma che esalti la funzione del Comune e del Consorzio di Comuni come enti responsabili dei servizi sociali, senza tuttavia indulgere ad atteggiamenti velleitari, senza aprioristicamente ritenere, sia nel campo dei servizi sociali che dell'istruzione professionale, valido tutto quanto è pubblico ed anacronistico e superato quanto pubblico non è, mentre ogni attività dev'essere oggettivamente valutata per il suo livello qualitativo e per il servizio reso alla comunità, garantendo così il pluralismo delle iniziative, sola garanzia di autentica libertà di scelta da parte del cittadino.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare l'Assessore Moretti. Ne ha facoltà.



MORETTI Michele, Assessore al tempo libero, sport e turismo

Signor Presidente, signori Consiglieri, devo ricordare al Consigliere Debenedetti, non per amor di polemica, che è logico che la nuova gestione conseguente all'esito delle elezioni del 15 giugno abbia anche per la parte turistica un indirizzo diverso da quello della Giunta precedente. I problemi turistici sono guardati da una diversa angolazione.
Il Consigliere Debenedetti, quando reggeva questo Assessorato rivolgeva la sua azione esclusivamente alla ricettività alberghiera.



DEBENEDETTI Mario

Non esclusivamente, prioritariamente.



MORETTI Michele, Assessore al tempo libero, sport e turismo

Egli ha fatto riferimento a due leggi tuttora in vigore: la legge che riguarda la ricettività alberghiera, cioè la 23 (cui ho fatto richiamo anche nella relazione, riconoscendo che è opportuno sia rifinanziata e applicata ancora) e la 42. Mi pare che in questo Consiglio il problema sia già stato affrontato. A mio avviso non si può assolvere ad una funzione politica intervenendo con contributi a pioggia. E noi oggi ci troviamo di fronte a circa 140-150 richieste da parte di Comuni, di enti pubblici. Come affronteremo il problema? La questione ce la siamo già posta anche in Commissione legislativa. Innanzitutto, occorre verificare la consistenza di queste tematiche.



DEBENEDETTI Mario

Il fatto è che io ho proposto di aumentare lo stanziamento.



MORETTI Michele, Assessore al tempo libero, sport e turismo

D'accordo con la Commissione legislativa, faremo anche delle proposte per cercar di finanziare tutte le richieste (e credo non si possa discriminare la richiesta di un Comune rispetto a quella di un altro); ma una volta assolta questa funzione politica, a mio avviso la legge va abrogata.
Nella mia relazione ho parlato di un piano turistico che deve essere impostato con visione globale, che va inserito in un assetto del territorio, assumendo anche una funzione di carattere sociale. Non si deve cioè, privilegiare una parte e non apprezzare poi quel che resta...



DEBENEDETTI Mario

Io non ho negato validità al piano: mi sono riferito ai piani di sviluppo delle Comunità montane, che devono essere, a mio avviso, elaborati in quella sede.



MORETTI Michele, Assessore al tempo libero, sport e turismo

L'istituzione del comprensorio comporta anche l'elaborazione di piani a livello comprensoriale, in cui vanno inquadrati i piani di sviluppo delle Comunità montane. E' questa la politica che noi porteremo avanti. Questa mattina, nel tuo intervento, caro Debenedetti, hai voluto sostenere la posizione politica che avevi posto a base della tua attività nell'ambito della precedente Giunta. Per quanto mi riguarda, essendomi appena insediato in questo incarico, non ho motivo di fare alcuna autodifesa.
Si parla dello scioglimento di alcuni enti, e questa mattina il collega Debenedetti si è detto d'accordo anche sullo scioglimento degli E.P.T.



DEBENEDETTI Mario

Ho detto: bisogna vedere che cosa si propone in sostituzione.



MORETTI Michele, Assessore al tempo libero, sport e turismo

Posso assicurare che non ci sarà una carenza di potere in quel settore.
E' già stata presentata una legge per l'istituzione della Consulta regionale: la discuteremo domani. E' il primo momento per la sostituzione di un ente ormai superato: superato per quanto riguarda certe funzioni promozionali, superato per quanto riguarda anche alcune decisioni di carattere culturale nel settore del turismo. Non vi è invece nessuna intenzione da parte della nuova Giunta di sciogliere le aziende autonome: il programma è di ristrutturare le aziende autonome non appena entrerà in funzione la legge per l'istituzione dei comprensori, così da poter parlare anche di azienda a livello comprensoriale. Cosa avremo? La consulta regionale, l'azienda a livello comprensoriale, e non vi sarà la carenza per quanto riguarda il settore turistico.
Io sono d'accordo quando si parla anche di turismo sofisticato. Bisogna fare attenzione a non privilegiare questo tipo di turismo rispetto all'altro, quello sociale. La Giunta precedente non ha nemmeno affrontato il problema del turismo sociale, anzi, non l'ha nemmeno sfiorato. Nei vari documenti non vi ho trovato alcun accenno.



DEBENEDETTI Mario

C'è una legge dello Stato, che è stata regionalizzata.



MORETTI Michele, Assessore al tempo libero, sport e turismo

Caro amico Debenedetti, non si assolve ad una funzione sociale dando contributi alla Pro Loco, o dando contributi ad una società sportiva.



DEBENEDETTI Mario

C'è una legge sul turismo sociale, la n. 702.



MORETTI Michele, Assessore al tempo libero, sport e turismo

Non possiamo trovarci d'accordo sotto questo profilo.
Quali sono le intenzioni della Giunta? Di predisporre un piano a livello provinciale per unificare tutte le manifestazioni, secondo un calendario a livello regionale, e di intervenire per il finanziamento di questo programma. Si punta così ad una valorizzazione turistica di carattere culturale, di conservazione del folclore, dell'ambiente. Penso che, individuati in Giunta i problemi, con un tale tipo di politica del turismo si possa portare avanti una corretta, coordinata attività in questo settore.
Il Consigliere Debenedetti nel suo intervento ha accennato alla necessità di tenere in condizioni di agevole praticabilità i sentieri. In un'epoca in cui l'ecologia, la difesa dell'ambiente sono fra i temi più attuali è un discorso che anche la Regione credo debba affrontare, in una collaborazione fra l'Assessorato al turismo, l'Assessorato all'ecologia e quello all'agricoltura. Perché non ci sono solo i turisti che utilizzano gli impianti di risalita per praticare lo sport sciistico, ci sono anche i turisti che fanno passeggiate servendosi di questi sentieri.
Per quanto riguarda invece il problema della caccia (che è estremamente delicato, anche se sembrerebbe cosa di poco conto; e, guarda caso l'Assessore che deve occuparsi di questo settore è decisamente contrario alla caccia, ma deve tener conto di una realtà esistente), quando parlo di disincentivare le riserve non penso che si possa arrivare alla chiusura delle riserve nell'arco di tre o quattro mesi. L'intendimento politico è di chiudere le riserve di un certo tipo, dove ci sono speculazioni. Come vi si può arrivare? Innanzitutto, con un piano ben preciso: individuare quali riserve conservare. Fatto questo programma, bisogna anche affrontare il problema della gestione delle riserve. Questo è un discorso politico importante, cui oggi accenno soltanto ma che affronteremo più avanti.
Bisogna sottrarre la gestione alla speculazione e creare delle autogestioni o delle gestioni pubbliche. E' questa una politica corretta in quel settore. Io mi son trovato, devo dire, con centinaia e centinaia di ricorsi contro o a favore delle riserve.



BORANDO Carlo

Non intendo certo ergermi a difensore di tutte le riserve, ma ti faccio rilevare che ricorsi ne avresti anche in caso di gestione pubblica.



MORETTI Michele, Assessore al tempo libero, sport e turismo

Tu parli in base alla tua opinione politica. L'unica cosa da fare secondo me, è dibattere l'argomento in questa sede, ciascuno sulla base delle sue opinioni politiche, e seguire poi l'indicazione che avrà prevalso.
Per quanto mi riguarda, dicevo, finora non ho fatto altro che applicare l'art. 20, che vieta la caccia ai fini della conservazione dei biotopi da proteggere. In questi tre mesi, non ho cercato di attuare alcun indirizzo politico, ma solo di conoscere e approfondire il problema, e mi son reso conto della sua estrema delicatezza, non tanto per quel che riguarda la questione caccia; ma per tutto il discorso che c'è attorno a questo problema.
Anch'io sono dell'avviso che sia meglio sopprimere i Comitati caccia perché anche nell'ambito dell'Amministrazione provinciale ci troviamo di fronte a conflitti di competenza fra il Comitato caccia e l'Amministrazione provinciale. Quindi, si può benissimo delegare l'Amministrazione provinciale per quanto riguarda la questione della caccia. Presenterò a breve distanza di tempo la relativa proposta di legge e la discuteremo in questa sede.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Bianchi. Ne ha facoltà.



BIANCHI Adriano

Signor Presidente, colleghi, cercherò di fare sinteticamente richiamo solo ad alcuni argomenti, anche perché, a parte le condizioni di stanchezza mie e penso dell'Assemblea ad ora così tarda, forse val meglio la decisione del collega Berti di rimandare ad altre prossime occasioni la presentazione della serie di argomentazioni e motivazioni politiche per le quali questo dibattito vario, contraddittorio, di diverso livello, articolato, diciamo così, in argomenti di varia scelta insieme, ci offre i motivi.
Mi sembra che ci sia un punto su cui tutti gli intervenuti si sono dichiarati concordi: l'urgenza assoluta di chiudere una importante fase quella della Conferenza sull'occupazione. E anch'io voglio dare il mio modesto contributo a questi effetti. Tutti sentiamo l'urgenza di passare a fasi più deliberative, più operative, più incisive. Apro subito con una critica, anche troppo facile: quella di puntare il dito sulle difficoltà che sussistono nel passare alle fasi operative. Non posso però non enunciare quella che è una impressione, che può anche essere corretta e cioè, che il documento e la dichiarazione della Giunta, per quanto contengano una quantità di cose pregevoli e da meditare, anziché tendere alla chiusura di questa fase discorsiva, di confronto e di analisi apertasi con la Conferenza di ottobre, tendono ad aprire una nuova fase che, pure sostanziata di indicazioni concrete e di soluzioni settoriali alle quali farò breve riferimento, costituisce ancora una fase di elaborazione metodologica, di definizione della portata e delle caratteristiche da attribuire al piano di sviluppo, al quale sostanzialmente si rinvia, pur fissando dei termini brevi, ogni specifico impegno programmatico ed operativo.
Non ignoro tutti i richiami a quelle integrazioni delle quali non si riesce a tener conto in una breve replica di un quarto d'ora e che vuole avere riguardo allo stato di stanchezza e di tensione dei colleghi; per non posso trascurare certi riferimenti puntuali a problemi di settore.
Richiamo anch'io, per un attimo, le questioni che riguardano l'agricoltura. Non scendo ai particolari che hanno già sviluppato con maggior competenza e conoscenza altri colleghi del mio Gruppo, ma faccio un'affermazione di carattere politico. Siamo all'affannosa ricerca di tutti gli strumenti, di tutte le azioni, di tutte le iniziative volti a salvare l'occupazione. Ecco, c'è una tendenza che viene dalla analisi della situazione strutturale che caratterizza l'agricoltura, in rapporto al mondo industriale, che tende a dare per scontata una ulteriore riduzione dell'occupazione in campo agricolo. Affermo, come espressione di volontà politica, con riferimento ad alcune indicazioni specifiche, che non possiamo accettare questa tendenza come scontata. Penso che in una battaglia tanto difficile per salvare ed incrementare l'occupazione non si debbano abbandonare i fronti sui quali, invece, con immaginazione, fantasia ed impegno, si possono ottenere probabilmente risultati non clamorosi ma significativi. Penso che le iniziative per incrementare l'irrigazione, per incrementare e sostenere la zootecnia, per incrementare e sostenere le colture specializzate, per la forestazione, per la tutela ambientale possono, come dire? determinare degli indotti capaci di aumentare complessivamente l'occupazione, e non di ridurla, se siamo capaci di operare con coordinamento, ma anche con incisività e tempestività in questa direzione.
Quindi, la qualificazione delle imprese, la loro efficienza, non è, si capisce, una fase che comporta un semplice spostamento dell'occupazione anche qui c'è un problema di mobilità e di ristrutturazione del settore agricolo: non possiamo sicuramente rinunciare, per salvare l'occupazione, a realizzare una riforma dell'impresa in agricoltura, che deve essere efficiente e posta in condizione di ottenere certi risultati produttivi e certi risultati economici; ma in un quadro generale, come quello al quale ho fatto breve cenno e riferimento, io credo ci sia lo spazio per ottenere l'aumento di una occupazione qualificata. Cioè, noi possiamo ignorare i dati, che sono meramente statistici, in ordine all'occupazione di persone anziane, che occupate magari non lo sono più se non marginalmente, e aumentare invece l'occupazione più qualificata e specializzata, e produttivamente significativa anche nel settore dell'agricoltura.
Ancora un accenno, per il quale mi rivolgo in particolare all'Assessore all'agricoltura. Quando constatiamo che ci sono dei fenomeni di adozione di colture quasi estensive, di cerealicoltura, in zone che dovrebbe invece avere vocazioni molteplici anche alla zootecnia, ad una agricoltura integrata, credo non possano mancare degli strumenti di incentivazione o disincentivazione che portino a rendere l'agricoltura più articolata e capace di assorbire mano d'opera qualificata e di dare risultati produttivi più apprezzabili.
Mi sono intrattenuto un attimo su questo argomento perché non si pensasse e dicesse che, facendo un certo tipo di critica, quale è quella che vorrei con ogni garbo condurre, trascuro il fatto dell'impegno e dello sforzo che è stato condotto da varie parti, dagli Assessori per fornire argomenti, indicazione di strumenti operativi.
Veniamo al problema della ulteriore espansione dei consumi sociali, e in relazione a questi, alla condizione dell'impresa. Nessuno pensa alla riedizione di formule di vecchio tipo, liberistiche, di piena disponibilità, jus utendi et abutendi, da parte dell'imprenditore. Ecco una delle acquisizioni importanti della Conferenza economica: l'aver collocato al centro di una convergente attenzione il problema dell'impresa nella sua funzione sociale e nella sua capacità di produrre beni, di produrre reddito, nella sua capacità di fornire quei margini anche di accumulazione di capitali che consentano di sviluppare e sostenere la politica dei consumi sociali. Perché sarebbe illusorio, come dimostrano le analisi fatte, attendersi un aumento consistente dell'occupazione nel settore terziario qualificato ed anche dei consumi se non si riesce a produrre un reddito tale da consentire di fare spostamenti di investimenti in questi settori. Sono stati trattati, pertanto, l'efficienza dell'impresa, i problemi della produttività, i problemi dell'assenteismo, il problema della mobilità del lavoro, quello della riconversione industriale, del quadro fiscale, dei prelievi fiscali.
Ricordo, visto che, forse per dimenticanza, non l'hanno fatto altri colleghi, che noi non ci nascondiamo che una nuova politica economica non può non partire da due presupposti fondamentali: una efficiente, tempestiva capacità di prelievo fiscale, il trasferimento nella sede dell' azione pubblica di una imprenditorialità che è mancata (e qui ci assumiamo tutti insieme la responsabilità derivante dal fatto che mentre il Paese marciava con grande rapidità sul piano di un certo sviluppo economico, le strutture pubbliche sono rimaste a livelli di società che conoscevano ritmi ben diversi da quelli oggi esistenti).
Il Presidente della Giunta, con riferimento alla Conferenza economica trova motivi di conforto nella constatazione che non esisterebbe una diversa condizione di Governo capace di esercitare un'azione di sintesi tra le forze politiche e sociali e determinare le condizioni per la ripresa. Io sarei più cauto sulla teorizzazione della irreversibilità politica, una irreversibilita che congela, che blocca, che rende prigionieri di situazioni, che riduce, non dilata, lo spazio della democrazia. Non ignoro le dichiarazioni che il Vicepresidente ha fatto a nome della Giunta nella sua relazione, non ignoro il taglio che il Partito comunista ha voluto dare a tutta la sua impostazione politica. Forse il Partito socialista ritenendosi già assolto rispetto a certe prospettazioni, non sente più acuta la questione come la sente il Partito comunista, che si presentava alla Conferenza a chiedere una legittimazione. Alla Conferenza è stato dato anche questo significato, di questa investitura richiesta, con una proposta autorevole, da parte di una forza politica. L'irreversibilità per noi riguarda le scelte di fondo che non attengono a concetti ormai abusati, ma alla sostanza politica della democrazia, del pluralismo - pluralismo economico, politico, sociale - di alcune scelte in ordine alle condizioni del nostro Stato, del nostro Paese, della nostra società e del suo clima culturale e politico.
Del resto, io non scambierei il fatto positivo che tutti, da situazioni diverse, abbiamo concorso a determinare - e cioè il riconoscimento che è venuto da parte delle forze sociali della capacità della Regione di essere interlocutrice, necessaria e valida, per concorrere con l'azione politica e le scelte operative alla soluzione dei problemi che la crisi propone - con una presunta investitura politica avente carattere privilegiato o privilegiante rispetto alle forze proponenti e capace di costituire quasi una specie di nuovo blocco storico. Ha fatto ad un certo momento capolino attorno alla Conferenza, a mio avviso - sarà forse ipersensibilità - una ambizione a risolvere all'interno della maggioranza, e, nella maggioranza all'interno della forza politica che si presentava con maggior prestigio sulla spinta di un grosso risultato elettorale, tutte le contraddizioni della società, pur in un discorso culturalmente articolato, non rozzo, che lasciava spazio dialettico agli interlocutori, ma tendeva a riassumerli, in un rapporto che sostanzialmente tendeva a dire al mondo degli imprenditori di tutti i livelli: se voi accettate di far bene il vostro mestiere, di sostenere bene il vostro ruolo, se accettate di inquadrarvi (e noi siamo d'avviso che l'attività delle imprese dev'essere inquadrata in una cornice di programmazione che tocca alla comunità sociale, alle forze politiche scegliere), noi che abbiamo la guida politica vi diamo certe garanzie. Lo stesso discorso sembrò valere per i sindacati. Il rischio che il quadro politico corre è tale che non si può, come si diceva una volta, lasciar fare la guerra ai generali: ciascuno deve svolgere il proprio ruolo. E io sono d'accordo che si debba, in questo tempo, sostenere il primato della politica, e concordo sulla necessità che la sede politica sia quella che opera la sintesi.
Negli anni scorsi c'è stata una supplenza, una espansione del ruolo del sindacato, per il vuoto che si era creato in sede politica, la difficoltà delle istituzioni, le crisi all'interno dei partiti politici. Ora c'è un tentativo, di cui non contesto la validità, ex parte agentis, dalla parte che agisce, di recuperare questo primato della politica. Ma in questo recupero io ritengo si debba collocare, e colloco, il ruolo che la forza politica che rappresento svolge.
Ritengo che nella conferenza questo tentativo di sintesi, mentre ha portato a qualche presa di distanza, qualche rettifica - io non strumentalizzo questo discorso -, abbia consentito, dopo la crisi post elettorale, il momento di difficoltà, di sofferenza politica, se volete che è passato anche attraverso le nostre persone, di identificare con chiarezza un ruolo politico della Democrazia Cristiana, per la rappresentanza sociale, per la rappresentanza ideologico-politica, per la prospettiva storica che ritengo le sia riservata. Allora, questo discorso al di là delle intenzioni e dei propositi, si articola e prende una sua consistenza.
La Giunta ha presentato tutta una serie di documenti, che hanno dato luogo a dialoghi di varia consistenza, come per dire: tanto per non mancare, vi offriamo anche questo argomento, facciamo un elenco, una specie di inventario della situazione, su questo lavoriamo insieme per procedere oltre, ma il punto di riferimento è il piano. Noi accettiamo di collocarci in questa prospettiva del piano, e diciamo subito che non ci poniamo in posizione scettica nei suoi confronti. Abbiamo scorto una qualche differenza - ma le cose si muovono, dall'oggi al domani, e anche una stessa persona potrebbe essere portata, con il passare dei giorni, a modificare quanto ha detto in precedenza, quindi non tento di insinuare cunei - tra il Vicepresidente Libertini e l'Assessore Simonelli in ordine alla visione del piano. Mi è parso che, forse per motivi di prudenza, nella prima impostazione il Vicepresidente Libertini avesse fatto un discorso un po' più scettico, dicendo, in sostanza: abbiamo scarse possibilità di incidere molte delle variabili ci sfuggono, e poi, in sostanza, in una economia libera, in una economia di mercato è molto difficile svolgere un'azione programmatoria; quindi non vi garantiamo niente. Tracciato un quadro stabilito un dialogo, un colloquio con lo Stato, tentato di determinare l'azione di programmazione dello Stato, faremo quel che potremo fare. Quasi a sottintendere che solo un certo tipo di programmazione più vincolante è capace di dare risultati più probanti. Potrebbe anche essere un processo alle intenzioni, comunque valga solo come momento, chiamiamo così dialettico, per intenderci e per affermare il nostro punto di vista. Noi riteniamo - e in questo senso vogliamo operare da qui per muovere anche verso il centro, verso lo Stato, verso il Governo, perché il discorso potrà essere valido ed efficace solo se diventerà un discorso complessivo armonizzato - che anche una economia libera, aperta, definiamola come vogliamo, economia che entro certi limiti riconosce validità a certi termini del mercato, consenta una serie, organica programmazione, perché le variabili, gli aspetti di continua modificazione che questa più vivace economia presenta vengano tenuti in conto, quindi iscritti all'interno di una indicazione di finalità essenziali e fondamentali, di strumenti essenziali e fondamentali, di alcuni vincoli che sono non generalizzati, ma qualificanti per muovere le cose. Quindi ci poniamo in una posizione costruttiva rispetto alla definizione del piano.
Ma a questi fini, e quindi anche sui tempi, ci confronteremo. Ci è stato detto che questa definizione si avrà in termini rapidissimi: noi saremo qui a verificare, ma anche a cooperare perché i tempi siano rispettati, non a cercar di farli superare, portando il nostro contributo che anche in sede di conferenza si è espresso, magari simbolicamente attraverso i discorsi, riecheggiati anche qui, delle compatibilità, delle condizioni politiche, della necessità di salvaguardare nel nostro Paese l'ordine democratico, l'equilibrio nei rapporti fra le forze politiche, la capacità di resistere alla tentazione, sulla spinta di un successo, di forzare i tempi e provocare crisi che siano diverse da quelle di natura strettamente politica, per fare dei salti di qualità. Tutti questi elementi, cui l'impegno della nostra forza politica ritengo possa dare il suo apporto, sono quelli che garantiscono le premesse per la soluzione della crisi.
Discorso sul piano, Commissioni. Mi pare che nessuno ne abbia parlato sotto questo profilo (può darsi che io abbia inteso male, sentir eventualmente i chiarimenti). Il fatto di queste Commissioni, così importante, viene introdotto come qualcosa di acquisito, senza che ci fosse stata né una elaborazione, né una discussione, né come risultato di un dato comune di carattere culturale. Queste Commissioni, in sostanza, non prendono l'avvio da un programma generale della Giunta - se ci fosse un programma generale potrebbe essere loro affidato il compito, di tipo tecnico, di predispone gli elementi - ho l'impressione che tendano a ridurre il grado di libertà degli Assessorati e dei dipartimenti riducendone la possibilità di azione e di proposizione dialettica da parte degli esperti esterni di diversa estrazione, assimilando ed omogeneizzando al loro interno le varie posizioni, gia sottraendo implicitamente spazio alla dialettica anche tra le forze politiche. Si viene a costituire, in qualche modo, denunciando delle carenze strutturali della Giunta, del Governo regionale ad operare in questa direzione, una specie di super Giunta, le cui conclusioni, assistite soprattutto da una supposta scientificità, possono apparire da un lato come sacrali, come venerabili come difficilmente discutibili sul piano politico, divenendo quasi un dato da cui partire. Ecco, non vorrei che questo avvenisse. Una serie di Commissioni costituite con questa ufficialità, con il peso dei contributi che alle stesse vengono demandate e richieste, rischia di debordare in questa direzione. Io vorrei la garanzia che questo lavoro, di cui la Giunta vuole avvalersi per una più efficace definizione di tutti gli elaborati sotto il profilo tecnico, di documentazione, di elaborazione, siano di ausilio e non di anticipazione rispetto alla elaborazione, che in un piano come questo ha da essere principalmente, per non dire esclusivamente politica.
Ancora una osservazione di carattere generale in ordine al programma.
Mentre da una parte c'è la tendenza, che ho rilevato prima, ad enunciazioni di carattere generale, o a formulazione di una teoria generale, ad impegnarsi in ordine ad una metodologia, dall'altra mi sembra che vada avanti dal luglio ad oggi, e ne capisco anche le ragioni, la tendenza ad operare con un certo pragmatismo, senza ancora precisi contenuti, del piano che dovrà definire tutto il programma regionale. Questo pragmatismo ha aspetti positivi, ma anche un aspetto che politicamente mi rende perplesso.
Questo metodo pragmatico evita i confronti sul piano politico generale evita anche possibilità di dissensi, di contrasti a livello delle forze politiche che lo propongono; quindi, diciamo così, è politicamente molto abile. Potrebbe anche essere involontario, ma è suggerito da una realtà complessa e difficile di fronte alla quale si è riluttanti ad impegnarsi con definizioni precise, con anticipazioni di indicazioni, che per facilitano la dialettica e il confronto con le altre forze politiche, e si tende a risolvere la situazione su un piano di impegno più diretto con le cose.
Ecco, noi non rifiutiamo l'impegno diretto sulle cose, ma cerchiamo, e cercheremo, di far uscire da questa situazione anche un rapporto più preciso in ordine alla definizione dei fini, dei modelli cui ci si vuole ispirare, perché si intenda con più chiarezza verso quale tipo di società si finisce con l'andare nel nostro Paese, verso quale tipo di rapporti politici, verso quali tipi di assetti democratici.
Infine, alcune indicazioni in ordine a quello che, quanto meno dal punto di vista giornalistico, sarà considerato il fatto caratterizzante di questo dibattito: il problema dei rapporti tra le forze politiche. Han già detto altri che noi non interferiamo su quelle che sono comprensibili angosce esistenziali che la crisi politica, la modificazione di rapporti la modificazione di giudizi rispetto alla realtà propone a ciascuno di noi.
Non solo chi muta, diciamo così, nell' apparenza esterna, o fa scelte nuove, magari difficilmente comprensibili, può aver perso le notti: ha perso le notti anche chi ha trovato motivi di rigorosa conferma in un impegno e in una scelta politica nella necessità di un rinnovamento totale di metodi, di modi di atteggiarsi di fronte all'impegno politico. Io dico soltanto questo: ho l'impressione che sia in atto una forma di cedimento di giudizio pessimistico, in sostanza - non voglio usare espressioni che possano toccare o colpire la suscettibilità di alcuno, perché rispetto, per ragioni non solo formali ma sostanziali, cui mi sono sempre ispirato, il travaglio e il tormento di ogni persona, di ogni gruppo, di ogni movimento politico -, di valutazione negativa, di collocazione di fronte ad un corso storico che sarebbe in un certo senso ineluttabile e che non avrebbe n alternative né articolazioni, per cui sembrerebbe quasi colpevole non prenderne atto e cercare, al meglio di essere iscritti all'interno di questo corso.
Ebbene, la Democrazia Cristiana, con tutti i suoi limiti, con tutte le insufficienze ha in corso - e credo che non si possa non accorgersene - un tipo di rielaborazione, di ripensamento delle ragioni della propria presenza, di riformulazione della propria politica, nella fedeltà alla propria funzione e ragione storica, che non conosce questo tipo di pessimismo e non lo proietta assolutamente nel futuro.
Forse è pure in atto un chiarimento della situazione politica, una semplificazione degli schieramenti politici. Forse alcune forze politiche pur dotate di tradizioni, di un bagaglio ideale e culturale notevole rischiano di abbassare le proprie bandiere prima del tempo o di porle al di sotto di stendardi che hanno conosciuto recenti vittorie, così accettando un ruolo subordinato. Io credo che una nuova aggregazione tra le forze politiche possa e debba avvenire senza disperdere nulla di quel complesso patrimonio che il nostro mondo politico rappresenta, che qualche volta costituisce remora alla efficienza delle istituzioni, ma che è anche ricchezza della nostra democrazia e che noi riteniamo debba essere conservato. Quindi, il nostro comportamento futuro - quello passato ognuno è in grado di giudicarlo - sarà di rispetto verso ogni forma di rielaborazione di posizioni, ma di comprensione e assistenza per quante forze e per quante persone vorranno condurre battaglie coraggiose a sostegno di posizioni che possono conoscere momenti di oscuramento, ma che non sono ancora da avviare al tramonto.
L'intervento del Consigliere Minucci, sempre così garbato, vivace intelligente, mi è sembrato un po' troppo giustificazionista in senso generale. La ragione politica - non c'è alcun dubbio che sia un aspetto anche molto positivo da parte di un comunista autentico, e prima di tutto un personaggio politico, che avverte il significato politico delle cose può avere spinto al di là di un certo segno questo atteggiamento di giustificazione rispetto a certe posizioni: si vedrà come certi tipi di convergenze che qua e là modificano maggioranze, facilitano nuovi corsi che avranno poi in prospettiva un peso assolutamente trascurabile, potranno costituire invece un peso ed una remora rispetto alla chiarezza del dibattito politico e anche alla conquista di posizioni cui tendono coloro che magari cedono per un istante anche alla ragion di Stato o ad una ragione machiavellica.
Certo, l'elettorato è molto perplesso e giudica negativamente quella che considera la disinvoltura del mondo politico. E quindi anche i travagli sinceri, anche i giudizi nuovi, anche il rovesciamento di posizioni che il fluire della vita e della storia comporta abbisognano di ampie, sincere sofferte, comprensibili giustificazioni di fronte all'opinione pubblica altrimenti si porta involontariamente acqua a giudizi, magari ingiustamente spregiativi nei confronti della persona e pericolosamente denigratori nei confronti delle istituzioni e delle forze politiche.
Io mi auguro che ogni posizione, elaborazione e modificazione delle posizioni della Democrazia Cristiana possa corrispondere, per una necessità di lealtà, di chiarezza, di confronto con tutte le forze politiche, a questi concetti che così sommariamente e stancamente ho cercato di presentare all'attenzione dei colleghi questa sera. Quanto al lavoro del Consiglio regionale, quanto al lavoro della Giunta, concluderei sollecitando un impegno a dar ordine, sintesi vera, operativa, a questo enorme materiale che insieme abbiamo affastellato, per venire nei termini più brevi ad un confronto che sia propositivo e operativo tanto nei metodi quanto nei contenuti, perché di questo ha bisogno di essere rassicurata la comunità regionale.



PRESIDENTE

Era ancora iscritto a parlare il Consigliere Berti, ma ha dichiarato di rinunciare ad intervenire.
Dò pertanto la parola, per le conclusioni, al Vicepresidente della Giunta, Libertini.



LIBERTINI Lucio, Vicepresidente della Giunta regionale

Non ho motivo di dilungarmi, cari colleghi, sia perché mi sembra che la relazione della Giunta alla Conferenza sia passata pressoché indenne attraverso il dibattito (sono venuti dei contributi, che raccogliamo, ma l'ossatura fondamentale di quella piattaforma non è cambiata), sia perch allo stesso documento che la Giunta ha presentato in Consiglio sono venute osservazioni particolari, delle quali terremo corto ma che non ne mutano i lineamenti, sia infine perché il pensiero della Giunta è stato pienamente interpretato dagli interventi che gli Assessori hanno fatto qui rispondendo ad una serie di quesiti. Concentrerò pertanto la mia risposta sui pochi punti controversi.
Ma vorrei fare anzitutto una osservazione, che spero non sia vista in senso sbagliato. Nonostante che vi siano stati degli interventi interessanti - che ho ascoltato tutti con vivo interesse (cito quelli di Bianchi, di Paganelli, dello stesso Borando) - mi è parso, debbo dirlo con molta franchezza, che le opposizioni nel loro insieme non abbiano colto appieno l'occasione offerta da questa riunione del Consiglio regionale che, concludendo la Conferenza, segna un elemento di grande novità nella storia della nostra Regione, e non solo in essa. In questa riunione appunto si dà il via - è questo soprattutto che vorrei evidenziare - al primo piano economico del Piemonte: non un piano da presentare fra cinque anni, ma un piano che noi porteremo qui in esame fra alcune settimane -, che sarà insieme il primo piano economico del Piemonte e il primo contributo che da una grande regione industriale verrà alla elaborazione, assai contrastata del piano nazionale a medio termine. Ecco il motivo di maggior rilievo di questa discussione. Non si tratta quindi di appuntare delle medaglie alla Giunta: è il problema di un lavoro comune, perché tutti contribuiamo ad un lavoro comune.
Noi abbiamo fatto molta strada in questi mesi, e stiamo per farne altra. Io vorrei richiamarvi, anche per chiarezza, nel momento in cui ci lasciamo al termine di questo dibattito, questo itinerario. La Conferenza ha affermato l'autorità della Regione come interlocutore valido di tutte le forze sociali. L'ha affermata non solo nell'ambito piemontese: l'eco di stampa è stato nazionale, e così pure le conseguenze politiche, ha accumulato un materiale ampio. La relazione della Giunta rimane a tutt'oggi l'unica proposizione esistente in materia di piattaforma politica per la conversione industriale. (Io conosco il materiale delle altre Regioni: è il materiale su cui i Convegni nazionali devono discutere). Da allora la Giunta ha cominciato a tradurre in una elaborazione per settori che è contenuta non solo nel documento - avrei voluto dire al Consigliere Robaldo, se fosse rimasto in aula, che quando gli ho obiettato di non leggere ho inteso riferirmi soltanto ad un fatto materiale: quello che il Consigliere Robaldo criticava era un indice, mentre bisogna rifarsi al libro, costituito dagli atti della Conferenza, dall'intero documento della Giunta, dai documenti che gli Assessorati hanno presentato alle singole Commissioni, dai materiali di studio che stiamo mettendo a disposizione. Vi è una vasta elaborazione, come ha riconosciuto il Consigliere Bianchi, che viene portata a livello operativo. Dopo questo dibattito in Consiglio, avrà inizio la redazione del piano, per il quale sono già state prese le misure operative.
E in proposito, Consigliere Bianchi, vorrei subito rassicurarla: ci che noi facciamo con le Commissioni è proprio l'opposto di quello che lei paventa. Noi non pensiamo - e nel documento che la Giunta ha presentato al Consiglio è detto - che il piano della Regione Piemonte possa essere un qualcosa affidato ad un gruppo di esperti che poi lo consegnano alla Regione: questa sarebbe la strada più sbagliata. Qual è il principio che abbiamo assunto? Abbiamo - senza, per carità, esautorarlo, anzi valorizzandolo - persino spogliato l'Ires, lo dico molto apertamente, di una certa funzione che aveva di consigliere scientifico a pacchetto chiuso: perché abbiamo chiesto all'Ires di darci un ampio materiale (la consegna è avvenuta oggi, metteremo questo materiale a disposizione delle Commissioni e dei Consiglieri) che aggiorna gli studi precedenti dell'Ires; dopo di che il programma viene redatto dall'apparato regionale che deve gestirlo, e le Commissioni sono le Commissioni di dipartimento e di Assessorato. Ma poich la capacità dell'apparato, la sua qualificazione - anche se abbiamo trovato eccellenti funzionari, ai quali voglio dare atto - è insufficiente rispetto a questi compiti, allora noi aiutiamo l'Assessorato, fornendo ad esso delle integrazioni tecniche, alcune delle quali, lo diciamo apertamente, pensiamo diverranno poi parte integrante dell'apparato regionale. Cioè, è un processo di arricchimento e di qualificazione dell'apparato regionale che intendiamo fare, perché siamo convinti che se chi stende il piano è diverso da chi lo gestisce non esiste gestione del piano, c'è un libro dei sogni.
Ecco la procedura che noi stiamo avviando. Questa procedura, a nostro avviso, conoscerà uno stretto rapporto tra Giunta e Consiglio. Il suggerimento che è stato dato la Giunta lo accoglie completamente, è nel suo intendimento, anche questo era accennato nel documento. Si potrà usare dei rapporti, nel corso della elaborazione del piano, dello stesso tipo di quelli che vi furono fra la Giunta e le Commissioni durante l'elaborazione del piano di coordinamento dell'area territoriale torinese. Per cui avvieremo un rapporto molto stretto di discussione.
Ci aspettano due mesi e mezzo di lavoro molto intenso, comune, ma se noi saremo in grado (e voi avete visto che abbiamo rispettato finora tutte le scadenze, con uno scarto di qualche giorno) ai primi di febbraio di consegnare questo piano per una discussione più vasta, questo programma (che, badate, sarà un programma con due facce, la gestione delle competenze, le proposte al Governo), non decliniamo alcuna responsabilità l'abbiamo detto alla Conferenza, ma non ci chiudiamo nella autarchia piemontese e mettiamo il Piemonte subito a confronto con il dibattito vasto che c'è per la elaborazione di un piano nazionale a medio termine.
Ecco perché l'avvenimento è di grande importanza. Ma se noi saremo in grado di consegnare questo programma ad un dibattito più vasto, state attenti, colleghi, che quella data è una data che vale per molti altri aspetti. In primo luogo perché - l'Assessore Rivalta vi ha fatto cenno - a quella stessa data noi pensiamo di presentare, come allegato al piano almeno la prima elaborazione del piano di coordinamento dell'area territoriale torinese; in secondo luogo, perché siamo entrati nella prima fase di elaborazione del piano socio-sanitario, che è quella della zonizzazione, che verrà fatta con metodo di grande partecipazione. Una prima tranche, quella della zonizzazione, avrà una durata di tre mesi. Vi sono quindi più elementi di pianificazione che confluiscono insieme.
Voglio ancora sottolineare che, mentre noi procederemo ad elaborare una serie di politiche settoriali - per esempio, formazione professionale (ma è un argomento che riprenderò più avanti, per rispondere ai quesiti che mi sono stati posti) -, per quella data contiamo di avere degli strumenti senza i quali il piano sarebbe senza gambe: la Tesoreria regionale (varata la legge, stiamo iniziando la fase di discussione con le banche e voglio annunciare che le scelte che riguardano le banche, che riguardano anche la capofila, saranno dalla Giunta portate in Consiglio, perché il Consiglio attraverso la Commissione, prenda le decisioni opportune), la Finanziaria regionale (noi abbiamo preso impegno in Commissione di chiudere il 18 dicembre questa fase anche in relazione a questi tempi, di vasta consultazione, varando il progetto della Finanziaria, che ha gia suscitato molto interesse, e se manterremo quella data credo che potremo avere la Finanziaria in essere, come strumento operativo, per la fine di marzo, i primi di aprile, e dunque di potercene servire come strumento di attuazione del piano).
Ma nel mese di febbraio, secondo quanto il ministro Morlino ha confermato al Presidente Viglione ancora nei giorni scorsi, dovrebbe avvenire il trasferimento ulteriore di competenze sulla base della 382.
Questo trasferimento di competenze non solo ci permetterà di operare meglio (tra l'altro, è annunciato il passaggio dell'Artigiancassa alle Regioni vedremo se questo impegno verrà mantenuto, vi sono passaggi importanti di competenza), ma ci metterà in condizione di portare in discussione in Consiglio una legge che abbiamo già affrontato in gran parte, che è quella delle strutture, legge sulle strutture che segue all'inquadramento regionale che abbiamo realizzato nei tempi prescritti dal nostro programma.
Ecco il processo che abbiamo. E' un processo di grandi dimensioni, che conferisce al Piemonte un ruolo di rilievo, adeguato alla sua funzione nell'economia italiana e che lo rende non solo capace di gestire le proprie risorse ma anche di porsi come interlocutore rispetto alla formazione di una politica nazionale. Da questo punto di vista il modo in cui l'opposizione ha affrontato il dibattito, soprattutto attraverso alcuni suoi esponenti, non mi è parso adeguato al livello del tema in discussione.
Ma vorrei sottolineare, riprendendo un accenno del Presidente Viglione che tutta questa elaborazione poggia poi su una cosa concreta, che è la politica della spesa.
Vediamo, molto rapidamente, a che punto siamo in questo campo.
Chiuderemo l'anno finanziario con circa 200 miliardi di residui passivi. In proposito il Presidente Viglione ha fatto un annuncio che io confermo pienamente: noi dichiariamo guerra - lo abbiamo già detto alla Conferenza una guerra feroce e spietata ai residui passivi, perché ci rendiamo conto che se la Regione si fa soffocare dai residui passivi vien meno alla sua funzione. E' in gioco una posta molto grande, oltre che l'intervento anticongiunturale. Per condurre tale lotta adotteremo misure di emergenza che discuteremo qui, tutti insieme: in certi casi vi proporremo di spendere il cento per cento, rinunciando ad ancorarci a contributi che mettono in moto un sistema di moltiplicatori molto interessante ma inefficace, date le condizioni dei Comuni in altri casi modificheremo leggi, impegni di spesa con il ritmo serrato che abbiamo impresso al lavoro in questi mesi. E' nostro fermo intendimento aver liquidato entro la fine del '76, mettendo in opera tutti questi strumenti, l'eredità dei 200 miliardi di residui passivi.
Avremo il bilancio '76. Realisticamente, calcolando che nel bilancio '76 c'è una parte in crescita, quella relativa alla Sanità, noi pensiamo che se avremo a disposizione poco più di 400 miliardi, saremo in grado di spenderne entro il 31 dicembre almeno 300, il che significa avere 100 miliardi di residui del '76, cioè aver ridotto la distanza da 200 a 100 avendo smaltito il vecchio. E il lavoro che l'Assessore Bajardi sta facendo in particolare per quanto riguarda le opere pubbliche è esemplificativo del metodo che vogliamo seguire e della sua efficacia. Vi sono poi i 120 miliardi del pacchetto governativo di emergenza. Alcuni, per l'edilizia hanno già cominciato ad arrivare. Noi pensiamo che questa spesa potrà essere realizzata nel corso del 1976, lo pensiamo realisticamente, e nelle Commissioni ne discuteremo e ne daremo documentazione.
La prima tranche del piano per l'edilizia scolastica prevede 50 miliardi in due anni, cioè 25 miliardi nel 1976, e l'Assessore Rivalta ha già cominciato a definire le modalità di applicazione, gli Assessorati competenti sono al lavoro. Infine, vi sono 70 miliardi, che rappresentano la quota 1976 della legge 166.
Nell'insieme, dovremo essere in grado di avviare a spesa effettiva, da oggi al 31 dicembre 1976, 700 miliardi circa, facendo con questo due operazioni: una di rilancio della domanda pubblica, e quindi di sviluppo dell'economia in termini anticongiunturali, e l'altra di qualificazione della spesa. Questa mole di spesa va collegata strettamente con il discorso del piano, che ho finito poco fa di fare. Ecco il disegno che noi vi presentiamo, e sul quale avremmo voluto una verifica molto più puntuale.
Noi sappiamo bene quale rapporto vi è, Consigliere Bianchi, tra quello che facciamo noi, quello che fa lo Stato e quello che fanno le altre Regioni, e ci siamo posto il problema di un coordinamento con le altre Regioni. E' un problema che hanno posto diversi oratori, Paganelli da ultimo. Noi siamo, come Giunta regionale piemontese, totalmente contrari a progetti che raccolgano le Regioni della cosiddetta Padania. E, una dichiarazione formale, la mia, che rendo a nome della Giunta. Siamo contrari a questo tipo di progetti, perché si tratta di un coordinamento che tende a rafforzare le Regioni più forti indebolendo quelle già deboli siamo invece favorevoli e al coordinamento tra le Regioni - e, del resto una collaborazione feconda si è avviata su questo terreno -, a rapporti fra le tre Regioni del triangolo industriale in ordine a questioni che riguardano le infrastrutture (abbiamo il problema, ormai posto parteciperemo a riunioni, ma investendo della questione il Consiglio delle infrastrutture portuali, la Liguria se l'è posto, e in correlazione a questo delle infrastrutture stradali), e a rapporti fra il triangolo industriale e le Regioni del Mezzogiorno. Abbiamo già avviato rapporti in questo senso, che svilupperemo ulteriormente. Devo dire che in questo quadro un incontro estremamente positivo e cordiale ho avuto, insieme al Presidente Viglione, con il Presidente della Regione Lombardia, Golfari significativo perché si tratta di due grandi Regioni, che hanno per di più una direzione politica di colore diverso; ebbene, in questo incontro si è raggiunto un accordo molto positivo, nel senso di avviare, entro brevissimo tempo, una azione in comune in rapporto alle infrastrutture e alle grandi scelte industriali, ed anche - in questo il Presidente Golfari si è mostrato molto deciso - la richiesta delle Regioni di avere più parte nella politica industriale. Molti di voi ricorderanno che all'apertura di questo Consiglio regionale, in agosto, proprio io sollevai con molta forza il problema della necessità di passare da una concezione vecchia, una concezione garantista, contadina, delle Regioni ad una concezione più adeguata proprio ad un Paese industriale. Noi siamo stati molto lieti di trovare il Presidente della Regione Lombardia, che è un democratico cristiano, ed i Presidenti di altre Regioni d'accordo per fare questa azione, e abbiamo avuto già un primo scambio di idee anche con il Governo a questo riguardo. Nei prossimi giorni matureranno altre scelte, che verranno portate in Consiglio.
Ciò, cari colleghi, che oggi soprattutto ci preoccupa, e che mette in difficoltà questo ruolino di marcia (che, d'altro canto, è congegnato in modo da consentirci di padroneggiare anche queste difficoltà) sono i marosi della crisi economica industriale. Non voglio qui - poiché mi sono ripromesso di essere breve - riprendere una analisi che abbiamo fatto molte volte. Voglio solo dire da una parte che vi sono oggi delle situazioni contraddittorie. Debbo però dire, molto francamente, che da un lato abbiamo un appesantimento della situazione, dall'altro abbiamo, viceversa, alcune controtendenze in certi settori. Questo spiraglio va segnalato.
Vorrei ora, assolvendo a quello che ritengo un mio dovere preciso, a nome della Giunta ma anche come Assessore all'Industria, dare conto telegraficamente di alcuni nodi di politica industriale che riguardano parte dei punti di crisi che sono sul tappeto.
Fiat - L'accordo con i Sindacati è molto positivo, e io sono convinto che ad esso la politica della Giunta e la Conferenza abbiano contribuito.
Questo accordo definisce una prospettiva nel campo dell'automobile. Noi contiamo che queste aperture, segnalate nella relazione alla Conferenza, si sviluppino. Il confronto con la Fiat - è stato domandato di che si tratta anche dal Consigliere Picco - è adesso centrato su ciò che la Fiat pu fare, determinata una certa prospettiva automobilistica, nel campo delle attività di diversificazione industriale. Voglio assicurare ai colleghi che ogni progresso, ogni apertura parziale, sarà portato e discusso nelle Commissioni competenti. Spero di essere presto in grado di fare alle Commissioni un discorso articolato su questo punto. Questo credo sia l'elemento più positivo oggi nello sviluppo.
Montedison - Qui vi è uno scontro. Regioni e Sindacati hanno assunto il Governo quale controparte decisiva in ragione della prevalenza del capitale pubblico nella Montedison. Abbiamo già detto altre volte che questa è una delle più grandi questioni italiane. Noi non accetteremo mai di sfogliare il carciofo un pezzo per volta. Anche per questo abbiamo chiesto al Parlamento ed alle altre Regioni di discutere l'intero problema Montedison.
E, avendo riguardo a notizie apparse sulla stampa oggi, debbo smentire nel modo più reciso che la Montedison possa liberarsi del CVS entro il 31 dicembre: vi è un impegno, e sarebbe enorme violarlo, sottoscritto dal Governo, dalla Regione Piemonte e dalla Montedison perché fino al 28 febbraio il CVS rimanga in attività. Per quella data il Governo indicherà una soluzione. Mi auguro che le notizie apparse sui giornali oggi abbiano riferimento al fatto che la Montedison ha una scadenza societaria: la presentazione del bilancio; ma voglio assicurare i colleghi che, a meno che la Montedison non stracci ancora una volta gli accordi sottoscritti abbiamo predisposto i meccanismi perché si possa conciliare questa esigenza societaria con il termine 28 febbraio. In ogni caso, noi non accetteremo che la Montedison si liberi neppure il 28 febbraio, e l'abbiamo detto, del CVS così semplicemente. Siamo pronti ad esaminare altre soluzioni, ma devono essere soluzioni organiche e non soluzioni che avviano il CVS verso nuove avventure, dopo le tante che ha già avuto.
Singer - E' ormai noto che l'Unione Industriale di Torino ha una proposta per la Singer. Noi saremo felici se metterà questa proposta sul tavolo, ma abbiamo avuto occasione di dire al Presidente dell'Unione Industriale che sarebbe assai grave se questa proposta venisse presentata il 25 dicembre, perché questo significherebbe discuterne con il coltello alla gola, e la Regione non intende avere coltelli puntati alla gola. Se la soluzione dell'Unione Industriale è buona, risponde a certi parametri, noi la privilegeremo; ma non possiamo adattarci a questa sola ipotesi. Per questo motivo, convergendo in questo con i sindacati, noi abbiamo posto al Governo il problema delle Partecipazioni statali come alternativa rispetto all'unica possibilità offerta fino ad oggi dall'Unione Industriale come soluzione privata. Con questa precisazione: che non ci si venga a fare la predica del salvataggio e del Mezzogiorno. Perché noi concordiamo che le Partecipazioni statali non devono fare politiche di salvataggio e che la priorità dev'essere per il Sud, ma il problema della Singer non è così semplice come si pensa, da questo punto di vista: perché la Singer oggi è un pezzo di una catena in cui c'è anche la Finmeccanica attraverso la San Giorgio; e quando poniamo il problema della Singer in se stesso poniamo un problema di politica nel campo dell'elettrodomestico.
Non possiamo, ripeto, il 31 dicembre presentarci ai duemila operai e dire loro: o bere questa minestra o saltare dalla finestra. Per questo abbiamo voluto aprire anche la strada delle Partecipazioni statali. In proposito dovrebbe esserci un incontro della Regione, insieme con le Organizzazioni sindacali, con il ministro Bisaglia e il ministro Donat Cattin.
Pirelli - Vi è una rottura grave tra Gruppo e Governo, Regione e Sindacati. Tengo a confermare in questa occasione quanto già ha dichiarato il Presidente Viglione all'incontro cui ero presente anch'io: noi Regione non accetteremo mai piani di ristrutturazione finanziati con denaro pubblico che riducano l'occupazione complessiva nazionale. Siamo disposti a considerare persino riduzioni di occupazione qui, se compensate da occupazione maggiore nel Mezzogiorno; ma piani per ridurre i livelli di occupazione non possono essere finanziati dallo Stato, devono essere contrastati in tutti i modi.
Abbiamo invece offerto, come Regione, alla Pirelli di esaminare con noi e con altre Regioni le possibilità offerte dalla domanda pubblica anche in Regione in rapporto a nuove iniziative produttive di più alto contenuto tecnologico. Speriamo che abbia presto luogo l'incontro previsto su questo tema; in ogni caso, la Pirelli sappia che deve scegliere tra una collaborazione costruttiva e una dura guerra.
Emanuel - Come sapete, abbiamo avviato i corsi professionali, e il 28 novembre avrà luogo la prima asta. Esistono proposte, e noi ci auguriamo che ognuno faccia la sua parte perché questa annosa questione vada in porto Innocenti - E' una società lombarda, ma il problema delle sue difficoltà riguarda anche il Piemonte. Della questione ha parlato il Consigliere Minucci, ma è necessario da parte della Giunta fare una dichiarazione più precisa. La Giunta regionale piemontese è estremamente interessata a che la questione Innocenti sia risolta positivamente, a che l'apparato produttivo della Lombardia rimanga intatto, se mai sia accresciuto, a che l'occupazione sia garantita. Ma non possiamo non guardare con molta preoccupazione ad una soluzione del problema Innocenti che veda un intervento nel capitale pubblico per consentire l'ingresso di un grande gruppo giapponese sul mercato italiano e su quello europeo: questo squilibrerebbe tutto il mercato dell'automobile, aprirebbe conseguenze molto gravi, obbligherebbe probabilmente la Fiat ad una politica assai più negativa di quella che lascia intravvedere. N d'altronde, si capisce che specie di politica industriale sia quella di favorire l'ingresso, come dicevo, di un grande gruppo giapponese sul mercato europeo su vasta scala, con tutte le conseguenze che si possono immaginare. Cogliamo questa occasione per fare in merito una dichiarazione precisa in merito ai principi ai quali si uniformerà la nostra azione.
Voglio anche dire, per rassicurare i Consiglieri - anche se, per la verità chi ha letto la relazione che abbiamo presentato alla Conferenza non dovrebbe avere dubbi (e, voglio sottolineare, questi dubbi li avevano il Consigliere Gandolfi, mi pare, e qualche altro, ma non i diretti interessati, cioè i piccoli e medi industriali e gli artigiani), che l'attenzione che rivolgiamo ai grandi gruppi e ai punti di crisi, non ci distoglie dall'impegno di operare a monte nel settore industriale e dall'impegno di operare per cercar di garantire - è questa la posizione della Giunta - un nuovo ruolo, un nuovo spazio alla piccola e media industria e all'artigianato.



MARTINI Mario

Non ci ha detto nulla, però, sulla Pennitalia - Vetrerie di Vernante.
Anche su questo problema sarebbe opportuno almeno un accenno.



LIBERTINI Lucio, Vicepresidente della Giunta regionale

Mi sono astenuto volutamente dal fare l'elenco di tutte le questioni sul tappeto, che sono 135, per cui se dovessimo parlare di ognuna dovremmo passare qui la notte. Comunque, visto che lei mi interpella su questo problema specifico...



MARTINI Mario

Prendo nota, intanto, che lei mette questa questione sullo stesso piano delle altre 130.



LIBERTINI Lucio, Vicepresidente della Giunta regionale

Tenga presente che fra le altre 130 ce n'è qualcuna che concerne stabilimenti con il doppio di maestranze. Sono tutti figli, non ci sono figliastri: solo, mi sono limitato a parlare dei casi per cui c'erano cose particolari da dire.
Voglio comunque aggiungere, rispondendo alla sua cortese interruzione che per la Pennitalia noi ci siamo attivamente interessati. Avevamo convocato per venerdì la Direzione, in particolare il dott. Faccenda, che sembra essere il deus ex machina, per una discussione conclusiva; poi visto che vi era già una convocazione a Roma, ci siamo tirati in disparte in attesa dell'esito dell'incontro romano. Ma siamo bene decisi a fare la nostra parte, e voglio sottolineare che consideriamo la questione della Pennitalia estremamente seria, anche per l'area particolare che essa interessa.
Stavo dicendo che il nostro impegno per la piccola e media industria riguarda l'insieme delle scelte che costruiamo nel piano, riguarda la Finanziaria regionale, riguarda l'accordo con le banche per il credito riguarda le aree industriali, riguarda le misure nel campo dell'esportazione, Ente fiera ed export. (al Consigliere Alberton posso comunicare che, relativamente al Samia, porteremo fra qualche giorno un disegno di legge con cui la Regione entra in partecipazione al Samia perché per quella via pensiamo di costruire l'Ente Fiera, e di questo problema il Consiglio sarà investito), riguarda anche le molteplici misure necessarie e l'organizzazione delle commesse pubbliche perché essa consente lo spazio alla piccola e media impresa e all'artigianato accanto ai grandi gruppi e al movimento cooperativo.
L'Assessore Rivalta ha risposto esaurientemente su tutte le questioni che riguardano la politica territoriale. Ad una domanda, però, posta più volte, ritengo di dover dare io una risposta, telegrafica e rapida. La domanda è: la linea della Giunta è in favore dei piani intercomunali o dei piani di comprensorio? Rispondo che la linea della Giunta, e sottolineo "della Giunta", è per i piani di comprensorio. I piani intercomunali sono uno strumento che ci troviamo sul terreno e che, come detto nel documento cerchiamo di far confluire nel piano comprensoriale. Del resto, i comprensori partono dal 1 gennaio, secondo la legge, e quindi avremo gia questi strumenti e questa sede.
Da ultimo, voglio dire, a nome della Giunta, e, se mi si consente anche come osservazione personale, qualche parola sulla questione dell'allargamento dell'area di maggioranza, se cosi si può dire, e sull'intervento che il Consigliere Rossotto ha fatto in questo Consiglio.
Apprezzo quello che ha detto il Consigliere Oberto, apprezzo quello che ha detto Bianchi. In ultima analisi, è soltanto Rossotto che può dire come realmente stanno le cose. Dal mio osservatorio non credo affatto che la presa di posizione di Rossotto equivalga ad un caso di trasformismo, e osservo con piacere che tutto il Consiglio ha escluso questa eventualità per la conoscenza che ha del Consigliere Rossotto e per il fatto che il trasformismo deve essere motivato da guiderdoni che nel caso specifico proprio non esistono. Non voglio entrare, poi, nelle notti del Consigliere Rossotto, ma devo dire che ho l'impressione che abbia dormito abbastanza bene. Non credo neppure che il suo sia un tormentato caso di coscienza.
Credo invece, Consigliere Bianchi, che si tratti di un fatto politico che trascende la persona di Rossotto. Qual è la situazione che abbiamo in Piemonte, in poche parole? Dopo un lungo periodo tormentato, in cui vi e stata una crisi di direzione politica - e parlo di crisi di direzione politica senza voler far torto a nessuno, sulla scorta del giudizio degli elettori del 15 giugno -, si è formata in questa Regione una Giunta l'unica possibile, come i fatti hanno dimostrato, che si muove con realismo, con efficienza, programmando un certo tipo di sviluppo, sulla base di certe concezioni. I grandi gruppi industriali, che non amano i comunisti né credo li ameranno mai, e non amano i socialisti né credo li ameranno mai, prendono atto con obiettività di questa situazione, e anzich assumere una posizione di guerra aperta nei confronti di questa Giunta questo è stato il senso politico della Conferenza, e per questo la Conferenza è stato un grande avvenimento - aprono un terreno di contrattazione, di discussione, il terreno che noi abbiamo proposto.
Dall'altra parte, strati importanti di media e piccola industria e strati importantissimi di artigiani assumono un atteggiamento di intesa, e molto spesso di interesse. Se loro fossero stati domenica al Carignano, in occasione della prima manifestazione unitaria delle tre organizzazioni artigiane, avrebbero visto come si sia instaurato un nuovo rapporto tra questa categoria e la Giunta, di cui ogni giorno abbiamo nuove attestazioni.
Vi è stato, cioè, all'indomani del 15 giugno, un mutamento complessivo dei rapporti di forza sociali, economici, una apertura di prospettive nuove. Io credo che Rossotto rappresenti qui non se stesso - ecco perché il suo non è un caso di trasformismo - ma l'orientamento di determinati strati della società piemontese e torinese, i quali non diventano comunisti n socialisti, non aderiscono alla Giunta, non montano sul carro del vincitore, ma vogliono avere con la Giunta un rapporto realistico di confronto sulle cose. E' questa la condizione che s'è creata, ed è questo il fenomeno più generale, di fronte al quale sono inutili certi atteggiamenti di dispetto che si sono avuti nel corso di queste sedute del Consiglio regionale (non mi riferisco certo a lei, Consigliere Bianchi, che ha assunto un atteggiamento che io non posso condividere ma che riconosco molto serio). I fatti vanno fronteggiati per quel che sono. Tanto più, lo voglio sottolineare, che la Giunta non offre contropartite personali di alcun genere: si attiene e si atterrà ad un metodo e ad un costume rigorosi. L'unica contropartita è nella nostra politica: serietà amministrativa, partecipazione, confronto con tutte le forze sociali programmazione seria ed efficace, rigorosa pratica del pluralismo democratico, per il quale confermiamo qui un totale impegno. Questo è il terreno.
E voglio aggiungere e riaffermare qui che quando parliamo di Giunta aperta, e ne continuiamo a parlare, non parliamo pero neppure della questione di questi orientamenti: il nostro pensiero va al mondo cattolico va all'area laica nelle sue diverse componenti, va ad un confronto che vogliamo avviare con le grandi forze sociali e politiche. Non so chi ha detto che anche i numeri servono: servono anche i numeri, ma qui quel che conta non è passare da 30 a 31, quel che conta è costruire una direzione politica che abbia una reale corrispondenza nelle grandi masse popolari e nel rapporto con le grandi forze sociali. Questo è il problema. Per cui voglio dirlo perché sia chiarito, nessuno ci faccia tanto piccoli da pensare che noi si possa usare dei fatti che sono seri come piccoli espedienti per surrogare un confronto con le grandi forze politiche che sono rappresentate su questi banchi.
Un'ultima considerazione. Sono state tentate, dopo la Conferenza - e io prendo atto con soddisfazione che qui non sono riecheggiate - rozze speculazioni (mi associo ai giudizi aspri del Presidente Oberto a proposito della condotta di un giornale come "L'Espresso") su contrasti fra Giunta e sindacati. Niente può però cancellare il fatto che questa Giunta ha salde radici tra le masse popolari e raccoglie le rivendicazioni e il patrimonio di lotta dei lavoratori e delle loro organizzazioni. Chi pensa e spera il contrario va incontro a delusioni amare. Ma se questo è vero, nello stesso tempo io intendo riaffermare qui quello che abbiamo detto nella relazione alla Conferenza: la Giunta e la Regione, pur con queste radici importanti non si identificano con i sindacati. Abbiamo parlato tutti del pluralismo: ebbene, pluralismo significa distinzione fra partiti, sindacati e istituzioni. La Giunta ha qui responsabilità di Governo, e intende far fronte a queste responsabilità di governo in piena e totale autonomia.
Sappiamo, cioè, di avere la responsabilità di rappresentare non questo o quel settore, ma la Regione Piemonte nel suo insieme. Potete esser certi che a questo impegno e a questo dovere terremo fede fino in fondo.



PRESIDENTE

Signori Consiglieri, non ho più iscritti a parlare né ho documenti che concludano la discussione, per cui mi ritengo autorizzato a considerare la discussione chiusa con la replica del Vicepresidente della Giunta.
Avrei una proposta da fare di fissare fin d'ora la convocazione del Consiglio regionale per il 4 dicembre con i punti che ancora rimangono iscritti all'ordine del giorno. Non abbiamo avuto la possibilità di trattare alcune nomine, alcune sostituzioni di candidati già eletti in CO.RE.CO che devono essere modificati: i pochi giorni che ci separano dal giorno 4 ci consentiranno di svolgere queste operazioni senza danno alcuno.


Argomento: Programm. e promoz. attivita" socio-assist. (assist. minori, anziani, portat. handicap, privato sociale, nuove poverta") - Assistenza e sicurezza sociale: argomenti non sopra specificati

Commissione speciale di indagine conoscitiva sul fenomeno della droga: composizione


PRESIDENTE

Mi rimane ancora una comunicazione da fare: i Capigruppo hanno designato i membri della Commissione droga, che risulta così composta: per il PCI: Bontempi, Fabbris, Ariotti per la D.C.: Beltrami e Armella per il PSI: Calsolaro per il PSDI: Cardinali per il PLI: Zanone; per il PRI: Robaldo.
Naturalmente, la Commissione è integrata con la presenza a pieno titolo degli Assessori competenti per materia, Enrietti e Vecchione.
La Commissione dovrebbe avere, come al solito, tre mesi di tempo, a partire dal giorno del suo insediamento, per riferire al Consiglio le sue conclusioni.
Apro la discussione. Qualcuno desidera parlare su questa comunicazione? Il Consigliere Curci. Ne ha facoltà.



CURCI Domenico

Per un richiamo al regolamento.
L'art. 8 del secondo stralcio del Regolamento del Consiglio recita: "Le Commissioni speciali o d'inchiesta previste dall'art. 19 dello Statuto sono composte e funzionano secondo le medesime modalità previste dal Regolamento per le Commissioni permanenti".
Delle Commissioni permanenti si parla all' art. 2, sempre del secondo stralcio del Regolamento stesso. Al primo comma si dice che: "Le Commissioni permanenti sono composte in relazione alla consistenza numerica delle forze politiche rappresentate in Consiglio. Allo stesso modo devono essere composte le Commissioni speciali o commissioni d'inchiesta".
Poiché nella Commissione da lei annunciata, signor Presidente, non è compresa la rappresentanza di una forza politica, la nostra, io chiedo che si provveda a correggere la costituzione della Commissione stessa.



PRESIDENTE

Vi sono proposte in merito alla richiesta del Consigliere Curci fatta a nome del MSI-DN, che anche il suo Partito sia rappresentato nella Commissione droga, sulla base di un richiamo al Regolamento? Se non vi sono obiezioni, suggerisco che si rinvii l'esame di questa questione alla prossima riunione dei Capigruppo, che è già convocata per lunedì pomeriggio alle ore 16.
Con quest'intesa dichiaro sciolta la seduta del Consiglio



(La seduta ha termine alle ore 20,50)



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