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Dettaglio seduta n.188 del 18/04/78 - Legislatura n. II - Sedute dal 16 giugno 1975 al 8 giugno 1980

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SANLORENZO


Argomento:

Approvazione verbali precedenti sedute


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Il punto primo all'ordine del giorno reca: "Approvazione verbali precedenti sedute". Se non vi sono osservazioni, i processi verbali relativi alle sedute del 5 e 6 aprile scorsi sono approvati.


Argomento:

Comunicazioni del Presidente

Argomento:

a) Congedi


PRESIDENTE

Comunico che hanno chiesto congedo i Consiglieri Bontempi, Carazzoni Genovese, Minucci e Picco.


Argomento:

b) Presentazione progetti di legge


PRESIDENTE

Sono stati presentati i seguenti progetti di legge: disegno di legge n. 300: "Interventi a favore delle attività produttive nelle zone colpite dalle alluvioni dell'ottobre 1977" presentato dalla Giunta regionale in data 22 marzo 1978 ed assegnato alla IV Commissione in data 28 marzo 1978 disegno di legge n. 301: "Provvedimenti per l'ammodernamento tecnologico e l'incremento della produttività nel settore dell'artigianato", presentato dalla Giunta regionale in data 22 marzo 1978 ed assegnato alla IV Commissione in data 28 marzo 1978 proposta di legge n. 302: "Istituzione del Parco naturale del Ticino", presentata dalla Provincia di Novara in data 3 febbraio 1978 dichiarata ricevibile ed ammissibile dall'Ufficio di Presidenza in data 4 aprile 1978 ed assegnata alla II Commissione in data 28 marzo 1978 proposta di legge n. 303: "Istituzione della Consulta e del servizio regionale per i beni e per le attività culturali. Promozione e sviluppo della cultura", presentata dai Consiglieri Vietti, Soldano, Genovese Beltrami, Cerchio e Menozzi in data 23 marzo 1978 ed assegnata alla V Commissione in data 24 marzo 1978 proposta di legge n. 304: "Istituzione della riserva naturale Orsiera Rocciavrè", presentata dai Consiglieri Chiabrando, Colombino, Picco e Marchini M data 31 marzo 1978 ed assegnata alla II Commissione in data 4 aprile 1978 proposta di legge n. 305: "Abrogazione delle leggi regionali 30/10/1972, n. 11, 4/5/1976, n. 23 e 10/1/1977, n. 5 e nuove norme" presentata dai Consiglieri Bellomo, Benzi, Castagnone Vaccarino, Fabbris Dazzi, Paganelli, Petrini e Sanlorenzo in data 5 aprile 1978 ed assegnata alla I Commissione in data 5 aprile 1978 disegno di legge n. 306: "Modifiche alla legge regionale 27/12/1977 n. 63", presentato dalla Giunta regionale in data 5 aprile 1978 ed assegnato alla I Commissione in data 7 aprile 1978 disegno di legge n. 307: "Scioglimento dei patronati scolastici e dei consorzi di patronati scolastici", presentato dalla Giunta regionale in data 5 aprile 1978 ed assegnato alla V Commissione in data 7 aprile 1978 disegno di legge n. 308: "Interventi regionali in materia di agricoltura e foreste", presentato dalla Giunta regionale in data 10 aprile 1978 ed assegnato alla III Commissione in data 11 aprile 1978 disegno di legge n. 309: "Istituzione del Centro di formazione professionale di Biella", presentato dalla Giunta regionale in data 13 aprile 1978.
c) Apposizione visto Commissario del Governo



PRESIDENTE

Il Commissario del Governo ha apposto il visto alla legge regionale: "Comitati provinciali per la distribuzione dei prodotti petroliferi agevolati per l'agricoltura".
Le comunicazioni del Presidente sono così concluse.


Argomento: Bilanci preventivi - Variazioni di bilancio

Esame disegni di legge n. 268: "Bilancio per l'esercizio finanziario 1978" nn. 281 - 292 - 293 - 294, rispettivamente relativi a: "Prima, seconda terza e quarta variazione al bilancio di previsione per l'anno finanziario 1978"


PRESIDENTE

Il punto terzo all'ordine del giorno reca: "Esame disegni di legge n.
268: 'Bilancio per l'esercizio finanziario 1978', nn. 281 - 292 - 293 294, rispettivamente relativi a: 'Prima, seconda, terza e quarta variazione al bilancio di previsione per l'anno finanziario 1978' ".
La parola al relatore, Consigliere Rossotto.



ROSSOTTO Carlo Felice, relatore

Signor Presidente e colleghi Consiglieri, ritengo opportuno rilevare che le variazioni al bilancio di previsione per l'anno finanziario 1978 sono cinque, quindi oltre ai disegni di legge annunciati dal Presidente del Consiglio ve n'è un quinto presentato in Commissione il 13 aprile.
1) Il quadro generale.
La presentazione in Consiglio del bilancio annuale 1978 e del bilancio pluriennale '78/'80 avviene in un momento contrassegnato, oltre che dai gravi eventi politici, a tutti noti, da una situazione economica che permane incerta e bisognosa d'interventi strutturali, cosi da garantire la ripresa di un duraturo sviluppo economico. Sono noti i dati della relazione sulla situazione economica del Paese nel 1977 ove il tasso di incremento del reddito nazionale ha segnato un aumento inferiore rispetto all'anno passato, e ciò in parallelo ad una stasi del processo inflazionistico ed un notevole miglioramento della bilancia dei pagamenti.
Sono altresì note le interpretazioni che si danno di questi indicatori economici; le diagnosi che ne derivano e le proposte di politica economica che sono state indicate dal nuovo governo Andreotti.
Si è concordato su una strategia ampia e flessibile, volta a rivitalizzare tutti gli strumenti di politica economica in mano all'operatore pubblico: da quelli tradizionali, come la leva monetaria e fiscale, ai più recenti quali la legge di riconversione industriale, quella chiamata il "quadrifoglio", il piano energetico, il piano decennale per l'edilizia residenziale pubblica, coordinandoli in un insieme di interventi per raggiungere un soddisfacente tasso di incremento del reddito nazionale che sia frutto di un 'ampliamento della base produttiva ed occupazionale che può però solo nascere da una ripresa di un processo accumulativo di investimenti.
Penso che questo scenario sia ben presente a tutti, anche perché non risulta di molto modificato rispetto a quello individuato dal Piano regionale di sviluppo 1977-1980 sul quale vi è stato al nostro livello un ampio dibattito ed una convergenza di indirizzi strategici.
Allora si delineò un quadro di misure di politica economica necessarie a livello nazionale per una ripresa dello sviluppo con l'obiettivo del riequilibrio tra Nord e Sud nonché, nell'interno della nostra Regione, tra il Comprensorio torinese e gli altri Comprensori.
Le variabili strumentali in mano all'Ente Regione erano poche, ma assunse un preciso rilievo politico la definizione di alcuni indirizzi politico-economici a livello regionale in un'ottica non certo angustamente regionalistica, ma rispondente allo spirito del nostro Statuto che individua nella Regione un'autonoma capacità propositiva per la programmazione nazionale.
Il programma pluriennale di attività e di spesa, coerente conseguenza del Piano regionale di sviluppo, deferendo la strategia degli interventi di competenza regionale in direzione di quei grandi obiettivi di riequilibrio prima ricordati, è il presupposto logico politico del presente atto.
Oggi, con l'occasione della presentazione dei bilanci redatti in conformità alle disposizioni previste dalla 335/76, la cui portata innovativa e il cui potenziale operativo per l'attività istituzionale delle Regioni mi sembra siano tuttora un po' sottovalutati, siamo alla prima verifica dell'attuazione delle scelte di piano della necessaria coerenza tra documenti di piano e documenti di bilancio.
In effetti la quasi contemporanea discussione del bilancio dello Stato e del fenomeno di diserzione dei parlamentari dall'aula del Senato, sì da imporre una riconduzione forzosa in aula, ci deve fare riflettere su alcuni aspetti e differenziazioni politiche generali che derivano da questa nostra discussione.
E' vero che anche nel nostro caso, a rigore, siamo in presenza di due documenti contabili che devono tradurre in termini creativi scelte politiche già prese in sede di approvazione del Piano di sviluppo: quale differenza però tra un bilancio che assomma in sé gli stanziamenti previsti da una miriade di leggi sostanziali preesistenti, o "in fieri", e un bilancio, il nostro, che traduce la capacità operativa regionale nei rifinanziamenti delle leggi di spesa, che da oggi possono essere assunti in sede di legge di approvazione dei bilanci, e coerenti con il quadro programmato di tutta l'attività legislativa ed amministrativa regionale prevista, nel programma pluriennale di attività e di spesa: Oggi più che mai ha valore la definizione della programmazione come un processo, ove il cosiddetto programma non è "un atto decisionale", ma una certificazione di una coerenza di decisioni già prese o da prendere nelle sedi competenti, nei vari momenti in cui tali decisioni sono richieste.
2) I bilanci e il Piano di sviluppo.
Il bilancio è quindi la traduzione delle linee di politica economica ed amministrativa già delineate nel luglio scorso, ma non è solo la sommatoria di certe scelte: è il risultato del nuovo rapporto tra necessità e risorse necessarie per la completa realizzazione dei vari programmi e progetti nell'arco della legislatura in allora in netto squilibrio con le previsioni pluriennali di entrata per la Regione. Ciò ha significato "tagli", "tagli" effettuati o in base alle scelte di piano, o in base a precise scelte politiche circa la definizione di alcuni "rapporti perdenti" con lo Stato in seguito ai quali le Regioni sono chiamate ad eseguire interventi in sua sostituzione, ultimo e non solo il trasferimento delle funzioni assistenziali ai Comuni in base alla legge Stammati bis posta a carico delle Regioni.
I tagli sono stati effettuati con discrezionalità della Giunta, in base alle sue competenze statutarie, e sono ancora modificabili in base alle sollecitazioni che possono o potranno pervenire dal Consiglio, ma non sono nati senza una logica, che è stata quella di privilegiare gli interventi prioritari previsti dal piano, quali la dotazione strumentale dell'Ente Regione, l'agricol-tura, il progetto per le aree industriali attrezzate l'assetto e la gestione del territorio, la formazione professionale e altri ancora.
Le cifre dei bilanci sono abbastanza eloquenti nella ripartizione percentuale degli stanziamenti tra le varie aree di attività e di intervento, con un chiaro rispetto delle priorità in precedenza indicate ciò vale anche per l'agricoltura, settore che più di altri ha suscitato perplessità a causa dell'alta percentuale dei residui passivi, chiaro indice di scarsa capacità di spesa, e la sostanziale diminuzione degli stanziamenti rispetto al 1977.
Il dibattito in Commissione e la relazione di Giunta hanno chiarito alcuni aspetti prettamente tecnici che ridimensionano il problema; ricordo le particolari forme di pagamento nei riguardi degli Istituti di credito agrario, la sottostima di certe previsioni di cassa a causa dell'inadeguato flusso di informazione alimentato dagli uffici periferici che gestiscono buona parte della spesa in agricoltura, nonché la mancata stima dei fondi del quadrifoglio e la parziale stima dei fondi della 403/77.
Ciò non toglie che sia necessaria una riconsiderazione della disciplina degli interventi in tale settore nonché un loro maggior inserimento in una logica di programmazione cosi che il recente disegno di legge della Giunta regionale in materia rappresenta già un grosso passo in avanti. A questo proposito, con un salto di qualità logico, va ribadito il giudizio positivo su leggi come il quadrifoglio che finalmente innovano profondamente il regime dei fondi settoriali dello Stato e fanno anche sperare in una riforma della legge finanziaria regionale per quanto riguarda la gestione del fondo a finanziamento dei programmi regionali di sviluppo; si apre infatti uno spazio concreto per l'iniziativa legislativa regionale offrendo nello stesso tempo un adeguato flusso di risorse finanziarie.
Anche negli altri settori di intervento il fenomeno dei residui si ridimensiona alla luce di ulteriori chiarimenti tecnici, nonché di ulteriori aggiustamenti tecnici; non bisogna infatti dimenticare che le Regioni a differenza dello Stato si trovano per la prima volta di fronte ai problemi di istituire e gestire un bilancio di cassa, per cui bisogna anche consentire quel minimo di rodaggio che, in tutti gli uffici, è necessario per adeguarsi a grosse riforme come quella della nuova contabilità regionale.
Credo che la legge di assestamento prevista per il giugno prossimo consentirà un miglioramento degli impegni di cassa ed una loro più esatta previsione anche in base ai risultati del consuntivo: difficoltà che la legge 335/76 ha cercato di ovviare proprio per l'impossibilità di fare esatte previsioni di cassa su un arco temporale annuale.
Non vogliamo qui soffermarci su tutti gli interventi previsti dal bilancio, sulle singole cifre perché in questo la relazione di Giunta è assai esauriente, ma è invece opportuno cercare di cogliere alcuni aspetti politici generali che emergono dalla lettura dei bilanci e dalle consultazioni fatte dalla I Commissione.
3) La "rigidità" dei bilanci e le consultazioni.
Gli aspetti positivi dei bilanci in esame non devono far dimenticare la presenza di alcuni problemi a cui si potrà e dovrà dare originali ed adeguate risposte politiche entro breve tempo.
Intanto si può subito sgombrare il terreno dai problemi che nasceranno in seguito all'esecuzione dei decreti finanziari previsti dal D.P.R. n. 616 attuativo della legge 382: si tratta di problemi che renderanno necessario un adeguato dibattito consiliare in relazione alla portata che avranno per la capacità delle Regioni di gestire le loro nuove competenze in coerenza con il modello di stato regionale delineato dalla nostra Costituzione.
Tralasciati questi pur rilevantissimi aspetti, sembra che un serio esame dei bilanci debba farci fare una precisa assunzione di responsabilità nei confronti delle forze sociali presenti nella collettività regionale. I dati sono chiari, anche nella piccolezza delle cifre del bilancio regionale, relativamente all'entità della spesa del settore pubblico allargato, quale risulta dall'ultima valutazione (pari quasi al 50% del P.N.L.) presentata in Parlamento dal Ministro Stammati.
Non ci si può più porre un problema di incremento di risorse, ma solo quello di una riorganizzazione e di una riqualificazione delle risorse esistenti, che potranno subire solo un certo incremento fisiologico in parallelo con quello delle entrate dello Stato.
E' un discorso che abbiamo già fatto molte volte, e che proprio per questo dimostra la necessità di una forte iniziativa politica unitaria che sola può garantire la revisione di quell'insieme di interessi settoriali e corporativi che impediscono una gestione programmatica ed oculata delle risorse pubbliche.
Basti, come inciso della cui gravità pregnante di inefficienze e di sperperi la conoscenza e la coscienza di ognuno di noi ci fanno carico pensare all'entità paurosa, in raffronto all'intero bilancio regionale, del fondo ospedaliero e pensare ancora che su tale somma nessuna capacità riduttiva o modificativa noi, semplici notai di inefficienze generali abbiamo.
In questo senso, se il Piano di sviluppo regionale è stata una scelta politica seria in questa direzione, non può non esserlo anche un bilancio che recepisce, come abbiamo visto, le scelte di tale piano ove esse possano, per carenza di vincoli statali verificarsi.
Non basta: le priorità settoriali possono essere rispettate, quello che però interessa la gestione completa degli interventi all'interno di tali settori.
Ci possono essere infatti diversi interventi nel campo della formazione professionale, come nell'agricoltura, nella pianificazione territoriale ed urbanistica, ispirati a logiche diametralmente opposte, quella della "programmazione" e quella della "dispersione".
Oggi ci sembra di poter dire che la prima logica ha fatto dei concreti passi in avanti nella politica della Regione, pur con i ritardi che ci possono ancora essere e che potranno venire ovviati dai futuri appuntamenti consiliari rilevanti, quali quello per l'assestamento di bilancio e quello per la revisione delle leggi regionali di spesa.
Ripetiamo però che per garantire la riqualificazione della spesa, il superamento della cosiddetta rigidità e scarsa manovrabilità della spesa di bilancio, occorre fare i conti con gli impegni esistenti, per trasformarli e inserire essenziali elementi di novità, di chiara inversione di tendenze nei modi tradizionali di spesa dell'operatore pubblico in Italia.
Prendiamo come esempio l'avanzo finanziario previsto per l'anno 1978.
Siamo di fronte al caso di una spesa che irrigidisce senz'altro il bilancio regionale in futuro, derivando essenzialmente da limiti di impegni, ma è anche esempio sintomatico di una massa di risorse finanziarie che almeno parzialmente possono essere riconvertite.
Quali e quante opere sono finanziate con tali limiti di impegno? Quali e quante opere sono o non sono ancora arrivate alla fase del progetto esecutivo? Quali e quante opere non sono state ancora appaltate? Quali e quante opere approvate negli anni passati continuano ad essere coerenti con i processi di programmazione messi in moto in questo ultimo periodo? Quali e quante opere possono quindi anche vedersi revocato il finanziamento? Certo bisogna dotarsi di strumenti di verifica e controllo, strumenti non usuali nella nostra pubblica amministrazione, certo non facili da costruire, ma per i quali l'impegno di tutte le forze politiche, in coerenza con la recente deliberazione consiliare di revisione delle leggi che è volta anche al raggiungimento di questi obiettivi non potrà certo mancare.
Lo stesso problema dei residui passivi in un'ottica di programmazione finanziaria pluriennale viene in parte ridimensionato, in quanto oggi non ha più senso valutare in un'angusta ottica annuale il quadro delle risorse e delle spese regionali; occorre però verificare la loro gestione in un arco pluriennale di riferimento sapendo che in molti casi quello che non si raggiunge in un anno lo si raggiunge in due-tre anni e il mandato di pagamento risulterà così l'anello finale di una lunga catena, costituita da vari processi economici indotti nel sistema regionale e i cui risultati avranno già espletato notevoli effetti reali sulla collettività.
Ben vengano quindi i contributi delle forze politiche e sociali per la riqualificazione della spesa: l'importante è che tutti si assumano le loro responsabilità in una situazione del sistema della finanza pubblica nazionale e locale, in cui quello che si destina di più verso un settore deve essere tolto ad un altro.
Le consultazioni sul bilancio hanno offerto una visione di forze sociali non sempre pienamente consapevoli di questo, e forse ciò è dovuto anche a nostri ritardi che occorre valutare con ponderatezza.
A proposito delle consultazioni, si deve rilevare la validità di tale metodo partecipativo per garantire l'operatività e realizzabilità del processo di programmazione regionale.
Oltre alle forze sociali organizzate anche i Comprensori si sono presentati con proposte documentate, che testimoniano la volontà di questi organismi di partecipare alla definizione delle linee di intervento prioritario necessarie all'interno del loro territorio.
Certo ci sono ritardi e inadeguatezze e da parte della Regione e da parte dei Comprensori, ma emergono anche delle richieste unitarie di riorganizzazione dei meccanismi di governo e di gestione della pubblica amministrazione in direzione di una complessiva funzione di politica di programmazione.
Ci sembra, non per peccare di ottimismo, che questo sia il dato più qualificante delle richieste dei Comprensori, al di là delle varie richieste settoriali, di strutture e strumenti di programmazione, che li facilitino nella loro necessaria opera di coordinamento dell'attività degli Enti locali, in attesa di una ormai non più procrastinabile riforma del sistema delle autonomie e della finanza locale.
Vale la pena di osservare come in fondo si cominciano a vedere i frutti di quella svolta nella "cultura" programmatoria regionale (ma direi anche nazionale) che ha individuato come problemi essenziali di una politica di programmazione non tanto la definizione di un più o meno sofisticato modello econometrico di sviluppo regionale, quanto la riforma delle strutture amministrative, e il coordinamento dell'attività dell'operatore pubblico, genericamente inteso, quali elementi capaci di garantire anche un adeguato indirizzo e un quadro di certezze dell'attività degli operatori privati.
Il bilancio recepisce, come abbiamo già sottolineato, queste esigenze prevedendo notevoli stanziamenti per la pianificazione socio-economica e territoriale, e per i cosiddetti "strumenti della programmazione", tutti Enti costituiti per garantire una maggiore snellezza dell'attività pubblica in alcuni delicati settori della politica industriale, dell'informatica della ricerca, dell'agricoltura, e soprattutto regolamentati in modo tale da garantire una possibilità di indirizzo e di controllo da parte del Consiglio regionale: i loro nomi o le loro sigle sono note.
Per quanto riguarda le consultazioni in generale ed in particolare delle forze sociali organizzate, sono pervenuti stimoli e suggerimenti che pensiamo potranno essere recepiti per quanto riguarda specie l'ef-ficienza interna della macchina regionale, e che in parte sono già in corso di sperimentazione.
Certo quello che però non si può accettare è un certo parallelismo che si vorrebbe proporre fra l'attività manageriale propria delle grandi strutture private e che dovrebbe essere inserita in quella pubblica: non si può infatti dimenticare come le esperienze di programmazione e bilancio effettuate da vari Paesi presentano dei limiti che sostanzialmente derivano dalla difficoltà di incanalare la magmaticità dei processi politici in rigidi modelli propri della ricerca e funzione operativa privata.
Si sono lamentati infine ritardi nella presentazione di una relazione politica ai bilanci in parte giustificati, ma bisogna anche affermare una volta per tutte che la relazione politica al bilancio non è più il tradizionale "conto morale" dei bilanci delle amministrazioni locali, ma un concreto programma pluriennale di attività e di spesa con i suoi necessari aggiustamenti: in questo senso il riferimento politico del bilancio c'era ed era in programma votato a luglio.
La relazione definitiva di Giunta è risultata infatti coerente con tale documento anche se ha dovuto scontare le incertezze dovute ai delicati processi di riforma istituzionale in corso, quali il decreto Stammati e i decreti finanziari in forza del D.P.R. 616.
In questo senso bisogna che anche le lamentate difficoltà tecniche di lettura dei bilanci non vengano ingigantite, si tratta certamente di documenti più complessi del passato, ma anche più "trasparenti" se letti con i criteri che sono stati più volte indicati nei vari documenti e che non stiamo qui a ricordare.
Ancora una volta occorre allora richiamare la rilevanza strategica del processo di revisione legislativa regionale in atto, per ovviare ai lamentati inconvenienti.
Il fare leggi non è infatti solo lo scrivere forbiti articoli, uno dopo l'altro, ma definizione di modelli di organizzazione della società regionale, che possono essere resi funzionali in una realtà che tutti a parole denunciano causa di squilibri economici e sociali, e insieme siano anche elementi di trasformazione irreversibili di quella stessa realtà in direzione di un progresso sociale, civile ed economico governabile da parte delle istituzioni democratiche elettive.
In questo senso le cifre di bilancio vogliono anche cercare di tradurre in termini operativi la celerità di "governo" della società regionale che quale parte di un 'istituzione elettiva, "programma di trasformare se stessa con quello che era stato chiamato il programma obiettivo di organizzazione e di informazione" i cui riferimenti finanziari sono contenuti soprattutto nell'area di attività organizzazione istituzionale e decentramento.
Da questi ragionamenti discende ancora un'altra conseguenza politica.
Se l'attuale crisi del sistema della finanza pubblica rende impellente un suo graduale superamento, per evitare quei guasti strutturali del nostro sistema economico che sono a tutti noti, ne discende anche che le decisioni che riguardano la spesa pubblica possono essere prese solo attraverso un esame di merito, che non può essere più monopolio dei vari esecutivi o dei singoli centri di spesa, inclusi gli Enti locali.
Vogliamo cioè dire che debbono essere prese in un sistema istituzionale che consenta una partecipazione larga alla formazione delle decisioni, che nell'attuale situazione politica questo metodo diviene più che mai urgente per ogni forza politica e sociale, per ogni centro di spesa di fronte all'assunzione delle responsabilità di cui abbiamo accennato in precedenza.
In questa ottica anche le trasformazioni tecniche del bilancio, senza dimenticare quelle "in fieri", 'ci vengono in mente i problemi che derivano dall'attuazione dell'articolo 19 della legge 335/76, che prescrive la definizione di strutture e procedure organizzative che garantiscono adeguati controlli non più solamente giuridico-contabili, ma anche economico-finanziari sulla spesa regionale, assumono una pregnanza politica che va attentamente valutata anche da chi non è addetto ai lavori.
In effetti al Consiglio regionale sono offerti gli strumenti di controllo della spesa regionale, inesistenti nel passato, che rendono possibile una partecipazione alla gestione della stessa attività amministrativa della Regione assolutamente sconosciuta in passato: gli effetti si sono già visti ad esempio con il dibattito avvenuto in Commissione circa gli squilibri tra previsioni di competenza e previsioni di cassa.
La discussione dei bilanci avviene in una fase di profonda trasformazione del sistema della finanza pubblica, che non stiamo ora a ricordare, ma che, specie per quello che riguarda la finanza locale impegna una decisa iniziativa della Regione e nei confronti dello Stato e nei con fronti degli Enti locali nello spirito dell'articolo 119 della Costituzione.
E' un dato di discussione importante perché il problema del coordinamento della finanza pubblica tocca direttamente l'auto-nomia di tutti gli Enti locali territoriali e rischia di creare confusione ed equivoci nei rapporti tra gli stessi Enti locali e la Regione.
Certo, se partiamo dal dato di fatto che il sistema degli Enti locali è un sistema di autonomia che esercita determinate funzioni, l'esercizio delle quali dipende però da trasferimenti, il circolo rimane aperto, mentre l'esigenza dell'economia nel suo complesso richiede che la somma della spesa pubblica sia nel suo complesso gestita unitariamente. C'è quindi un'obiettiva esigenza di centralismo che se seguita acriticamente e senza le dovute qualificazioni, rischia di rendere la funzione di governo della spesa pubblica foriera di conseguenze negative sull'economia nel suo complesso.
Il rapporto centralità-autonomia deve allora parallelamente essere visto con un'ottica che non sia esclusivamente giuridica, in quanto si rischia di arrivare inevitabilmente ad un conflitto di potere, d'altra parte la realtà si è incaricata di dimostrare che un simile approccio si è tradotto o nella prevaricazione dello Stato nei confronti degli Enti locali (compresa la Regione) o nel blocco di qualsiasi decisione in una sterile contrapposizione che è servita solo a peggiorare la situazione delle autonomie. Ci pare allora che il problema sia essenzialmente politico e che un superamento del conflitto possa essere raggiunto solo se esiste una valutazione comune da parte delle varie parti in cui lo Stato si articola in base alla Costituzione: Regioni, Province e Comuni.
Solo partendo dall'impossibilità di trovare una forza giuridica perfetta di raccordo tra poteri diversi è possibile valutare politicamente quelle esigenze di unitarietà dello Stato e della finanza pubblica che consente in sintesi di non mortificare le autonomie.
Ovviamente ci si tradurrà in una corretta articolazione dell'altro classico dilemma "programmazione dall'alto - programmazione dal basso", che dopo i tentativi di ingegneria istituzionale del '67/'68, basti ricordare il famoso disegno di legge sulle procedure della programmazione, è stato tecnicamente superato dalla formulazione dell'articolo 11 del D.P.R. n.
616.
Spetta allora a noi come Regione farci promotori di iniziative che vadano in questa direzione, realizzando compiutamente quel modello di Regione che sia essenzialmente centro di legislazione e di programmazione cominciando se non altro a preparare il terreno per un massiccio processo di deleghe.
Per tutti questi motivi, al di là quindi delle cifre di bilancio pensiamo che si possano invitare le forze politiche ad un approfondito dibattito che serva a valorizzare il ruolo democratico e di governo dell'isti-tuzione regionale, nella quale tutti crediamo profondamente e che ci auguriamo di fare progredire in concreto a tutela di una sempre più partecipata e sostanziale vita democratica del nostro contesto sociale.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Simonelli per l'introduzione al dibattito.



SIMONELLI Claudio, Assessore al bilancio e programmazione

Il dibattito sul bilancio di previsione per l'anno 1978 e sul bilancio pluriennale, come ha ricordato il Consigliere Rossotto, viene a cadere in una situazione di grave emergenza per il Paese si da far sorgere in qualche momento il dubbio che il nostro operare quotidiano sulle cifre, sulle scelte, sui fatti, sia quasi evasivo rispetto alla drammaticità dei problemi.
La risposta che stiamo dando in questi giorni è che le istituzioni funzionino e che ognuno al proprio posto faccia quello che può e, se possibile, qualche cosa di più per consentire al Paese di affrontare adeguatamente questo momento di crisi.
La discussione sui bilanci della Regione diventa momento di confronto sereno, concreto e approfondito per rendere l'Ente un soggetto sempre più consapevolmente attivo e partecipe dei processi decisionali nella politica economica e finanziaria.
Interpretare in questo modo l'emer-genza significa anche collocare in termini appropriati il ruolo della Regione e delle forze politiche che in essa si esprimono.
Sarebbe errato interpretare la politica dell'emergenza come un appiattimento di tutti i livelli istituzionali sul quadro nazionale, come se immaginassimo l'emergenza un'occasione per dimenticare gli apporti che autonomamente le diverse forze politiche devono dare, ciascuna fedele alla propria impostazione ideale e culturale e al suo ruolo: a maggior ragione se dimenticassimo il ruolo che le istituzioni devono dare, ognuna al suo livello e con le sue responsabilità.
La concezione corretta del pluralismo richiede che ognuno faccia la sua parte, anche nei rapporti tra diversi livelli di governo. Dunque il libero articolarsi dei rapporti tra Regione e Stato, senza rinunciare ad esercitare il proprio ruolo istituzionale, sia una necessaria riaffermazione di vitalità e di presenza democratica da parte delle Regioni. Per questo motivo credo valga la pena di dedicare qualche parola al rapporto tra lo Stato e le Regioni, non per aprire artificiosamente dei contenziosi, ma per cercare di dare atto delle novità, anche positive, che sono intervenute in questo rapporto, senza celare gli elementi ancora aperti, anche quelli negativi, rinunciando in altre parole ad avere una specie di complesso di sudditanza nei confronti del quadro politico nazionale. Guai se le Regioni dovessero, ad un certo momento, abbassare la guardia di fronte al Governo solo perché esso ottiene il consenso della grande maggioranza delle forze politiche presenti in Parlamento! Non credo che noi dobbiamo assoggettarci ad un ruolo di subalterna riproposizione di schemi politici nazionali perché così recheremmo un grave pregiudizio al pluralismo e all'articolazione della società.
I rapporti tra la Regione e il Governo hanno segnato in questi ultimi mesi la fine di un periodo caratterizzato dagli scontri e dai confronti di tipo garantista, nel quale lo scopo precipuo delle Regioni era quello di ottenere ritagliate le proprie competenze e di difendere i propri spazi di funzioni rispetto a quelle del potere centrale. Questo momento, che ha conosciuto anche aspetti di vertenze giurisdizionali nel corso della prima legislatura, si e praticamente chiuso con l'emanazione dei decreti attuativi della legge 382. Si chiuderà in modo formale con l'emanazione degli ultimi decreti, ma nei fatti questa fase si viene chiudendo con una ragionevole distribuzione di competenze. Possiamo segnare questo risultato all'attivo nel confronto Regione - Stato.
Il confronto oggi è aperto e i problemi restano in due altri ambiti: nell'ambito della reale partecipazione delle Regioni alla politica economica e finanziaria del Paese nell'ambito che riguarda la definizione del quadro delle risorse finanziarie a disposizione delle Regioni.
Dobbiamo essere consapevoli che questi due problemi sono tra loro strettamente intrecciati e devono essere risolti con l'ado-zione di opportune misure, di interventi legislativi; non sono affidati al corso naturale delle cose.
D'altra parte, se non risolviamo questi problemi: sarà stato inutile, o forse anche dannoso, avere sciolto i nodi sui poteri e sulle funzioni degli organismi regionali. Se avere nuovi poteri e nuove funzioni, se avere sulla carta il compito di coordinare la finanza locale, di stabilire il punto di raccordo tra finanza dello Stato e finanza locale, il potere di indirizzo legislativo e di riforma per tutta una serie di settori affidati alla competenza degli Enti locali, se avere sulla carta tutto questo non si traduce nella possibilità concreta di agire, allora le Regioni rischiano di precipitare in una crisi di impotenza che ne danneggia inesorabilmente la credibilità davanti all'opinione pubblica e al Paese.
Dobbiamo sapere che garantire un consapevole ed efficace apporto delle Regioni alla politica di piano, alla politica economica e finanziaria e garantire alle Regioni risorse sufficienti per poter condurre da un lato la programmazione regionale e dall'altro l'azione di coordinamento con la finanza locale richiede interventi di riforma, richiede coraggiose assunzioni di nuovi traguardi da parte del Parlamento e del Governo. Non possiamo immaginare che alla conclusione del lungo iter di attuazione della legge 382 ci si possa tranquillamente sedere sui risultati acquisiti rinunciando a portare avanti l'istanza per le decisive riforme che devono essere i passi successivi ai quali ci dobbiamo accingere.
Queste riforme sono essenzialmente: la riforma della contabilità e del bilancio dello Stato la riforma della legge sulle autonomie locali; - la riforma della legge sulla finanza locale; tutti argomenti sui quali le forze politiche e il Governo hanno presentato delle proposte e dei disegni di legge, ma sui quali tocca alle Regioni il compito di fare da pungolo e da stimolo a fronte di un quadro nazionale nel quale non mancano segnali di una minore sensibilità politica ed istituzionale verso i temi delle autonomie, se è vero che, chiusa la questione dei poteri trasferiti con la legge 382 provvedimenti del Governo o del Parlamento rimettono in discussione gli stessi risultati acquisiti con la legge 382. Si deve quindi ritenere che senza una vigile attenzione delle Regioni su questi temi il quadro rischia in futuro di presentare ulteriori ombre che devono invece essere dissipate.
Il quadro dei provvedimenti legislativi nazionali che in questo momento interessano le Regioni è assai ampio: la legge sulla riconversione e ristrutturazione industriale la legge sull'occupazione giovanile la legge quadrifoglio per l'agricol-tura la legge per la Cassa del Mezzogiorno e per gli interventi nelle aree depresse del Centro-Nord; per non dimenticare l'esplicito richiamo alla partecipazione delle Regioni alla politica di programmazione contenuto nell'articolo 11 del decreto 616.
Queste leggi e le altre che coinvolgono la competenza regionale, sono insufficienti nei loro richiami a far svolgere il ruolo delle Regioni tuttavia debbono essere utilizzate e valorizzate. Occorre che le Regioni si attrezzino per giocare il loro ruolo all'interno di questi provvedimenti legislativi.
Sul piano della definizione del quadro delle risorse finanziarie delle Regioni resta il nodo in ordine ad una reale partecipazione all'elaborazione e alla discussione del bilancio dello Stato perché è di lì che si può aprire una consapevole accettazione dei vincoli che nascono dalla necessità di introdurre politiche restrittive. Solo da una cosciente partecipazione alle scelte può nascere l'adeguamento alle conseguenze che da queste scaturiscono, anche in termini di ridimensionamento della capacità di spesa delle Regioni che, nello stato delle autonomie regolate dalla Costituzione, non possono essere imposizioni ma debbono essere accettazioni di linee di politica anticongiunturale e di politica economica e finanziaria.
Si viene profilando un insidioso e pericoloso tentativo di far coprire alle Regioni spazi finanziari non loro pertinenti facendo assolvere agli istituti regionali compiti surrogatori al posto ora dello Stato, ora degli Enti locali.
Non sarò certo tra coloro che negano la gravità della crisi della finanza pubblica e della necessità di introdurre nella spesa dei criteri di estremo rigore. La programmazione deve quindi servire non solo a spendere meglio, ma forse in qualche caso a spendere meno di quanto si è speso in passato. Occorre però stare attenti alle politiche che si richiamano a indiscriminati limiti, a indiscriminati tagli, a blocchi di spesa. Non è un mistero che da parte del Ministero del tesoro si tentò l'anno scorso di limitare l'incremento delle entrate regionali nella misura del 7%, sulla base della quale era stato concordato l'aumento della spesa corrente con il Fondo monetario internazionale e che solo la ferma reazione delle Regioni bloccò quel tentativo. Oggi sono in corso altri tentativi di modificare la legge finanziaria regionale, per esempio, riaccorpando i fondi per gli investimenti delle Regioni insieme con un fondo per gli investimenti dei Comuni, quindi annullando gli aspetti positivi ottenuti con la legge 356 che ha ampliato la sfera delle entrate regionali collegandola all'andamento delle entrate tributarie dello Stato.
Non vi è dubbio che è in atto un tentativo - non so quanto consapevole di limitare le capacità di espansione che le entrate regionali hanno avuto con la legge Morlino del '76; tutti i provvedimenti, a cominciare dallo stesso decreto 616, che ancorano le entrate regionali non all'andamento delle entrate dello Stato, ma all'andamento delle spese dello Stato, vanno nel senso di limitare la dimensione delle risorse a disposizione della Regione e l'autonomia decisionale della Regione nell'utilizzarle.
Questo rischio nasce dal decreto che il Ministro dovrà emanare in attuazione del D.P.R. 616 e dalle determinazioni della Commissione interparlamentare che abbiamo potuto leggere. La soluzione dei problemi finanziari è ancora molto vicina alla proposta iniziale del Governo: siamo nell'ordine dei 95 miliardi per le spese correnti e altrettanto per le spese in conto capitale. In pratica, la Commissione Fanti ha introdotto un'ulteriore aggiudicazione alle Regioni di circa 43 miliardi in conto capitale e, per il resto, ha lasciato la prima proposta del Governo.
Accanto a questa soluzione (se pensate che inizialmente la Commissione Giannini era partita da 2 mila miliardi) vi è il combinato disposto del D.P.R. 616 e del decreto Stammati 2° che stabilisce che le Regioni debbono trasferire ai Comuni i finanziamenti per le materie loro trasferite e contenute nei bilanci regionali. E' ovvio che trasferendo le competenze ai Comuni le Regioni debbono immediatamente trasferire anche le risorse; ma il decreto Stammati stabilisce anche che le Regioni debbono aggiudicare ai Comuni un plafond ulteriore pari all'incremento, nel corso del 1978, del fondo comune ex articolo 8; in sostanza si tratta del 32,90% in più rispetto agli stanziamenti di bilancio, circa 7 miliardi che devono essere trasferiti dal bilancio della Regione ai Comuni senza alcun corrispettivo.
Il decreto Stammati 2° fissa l'incre-mento dell'Ilor nella misura rigida del 10%, quando la naturale lievitazione di questa imposta soprattutto in questo momento, avrebbe consentito degli incrementi certamente superiori.
Tutto questo vuol significare che, a fronte di una situazione difficile che richiede rigore nelle scelte e contenimento delle spese, nella quale emerge la crescente difficoltà della finanza pubblica dello Stato e dei Comuni, verrà fuori una linea che tenderà a scaricare sulle Regioni l'onere di sostenere la finanza locale in dissesto, scegliendo anziché la strada della riforma quella dell'utilizzo delle Regioni come canali surrogatori di finanziamento degli Enti locali.
Se a questo aggiungiamo che sulle Regioni vengono ad incidere oneri che sarebbero propri dello Stato (oneri che derivano dal contratto degli autoferrotramvieri, dal ritardo dell'avvio di grandi piani di investimenti pubblici autonomi, ai quali si richiama il programma del Governo Andreotti per esempio in tema di trasporti, di assetto del suolo, di edilizia economica e popolare), le Regioni si trovano ancora una volta a fare i conto con la necessità di sopperire in qualche modo con interventi sostitutivi a quelli dello Stato che appesantiscono ulteriormente i bilanci. Tant'è vero che vediamo nel bilancio pluriennali capitoli di importanti interventi, certamente prioritari nella logica del Piano di sviluppo, ma che sono riportati solo per memoria, non perché si intenda di smettere quegli interventi o perché la Regione non voglia più occuparsene ma perché riteniamo che quegli interventi debbano da qui all' '80 essere finanziati con l'avvio dei programmi nazionali, annunciati anche da questo Governo. In particolare, mi riferisco al piano decennale della casa e al fondo nazionale dei trasporti.
Questa situazione fa emergere le difficoltà della Regione, il suo ruolo politico nella sua qualità di interlocutrice del quadro nazionale che svolge un ruolo dialettico non per un preconcetto senso di polemica, ma perché deve farsi carico della risposta alla domanda che nasce dal Paese.
Ridurre le Regioni a semplici sportelli pagatori privi di autonoma capacità discrezionale e politica, o ridurle ad Enti strangolati da disavanzi cronici non servirebbe certo a migliorare la crisi.
I bilanci oggi in discussione hanno due rilevanti momenti di continuità: sono la traduzione in atto del Piano regionale di sviluppo e sono i primi bilanci conformi alla legge nuova di contabilità. Queste novità sono state colte esaurientemente, forse non sempre nel modo giusto dalla consultazione, come ricordava il Presidente della I Commissione.
Il bilancio di quest'anno rappresenta una grossa novità anche nell'impostazione formale.
La stessa analisi compiuta sui residui e la previsione di cassa lo rendono molto diverso da quelli tradizionali, più trasparente, più verificabile e, soprattutto se collegato con l'assestamento del mese di giugno, lo rendono un processo continuo di discussione sulle linee finanziarie e non un rito "una tantum" al quale assolvere con fastidio.
Nel corso delle consultazioni abbiamo potuto verificare un tentativo di aggiornamento e di studio in ordine alle novità introdotte dal bilancio dunque, anche per questa via, la partecipazione tende a diventare cosciente, perché consapevole e perché si arricchisce di uno sforzo culturale.
Naturalmente i bilanci non sono esenti da errori e da incertezze soprattutto nella prima stesura: questo giustifica il numero rilevante delle note di variazione che sono in parte necessitate e in parte dovute a correzioni in ordine alla sottovalutazione delle necessità di cassa e alla mancata iscrizione a bilancio di quei capitoli per la gestione residui che non erano più vitali. Questo documento è perfezionabile e sono certo che, a partire dagli esercizi futuri, le difficoltà metodologiche che abbiamo incontrato la prima volta potranno essere meglio affrontate e risolte.
La consultazione ha puntato l'atten-zione sulla congruità delle cifre del bilancio e sulla differenza rispetto allo schema che era stato allegato al Piano di sviluppo nel mese di luglio 1977.
I tagli erano scontati perché già allora ci eravamo limitati ad indicare l'insieme delle spese che scaturivano dai programmi e dai progetti che risultavano circa il doppio delle entrate. Da questa operazione mi pare emerga un'indicazione di interventi conformi al Piano di sviluppo: basti considerare il trend della spesa e gli stanziamenti del 1978 rispetto a quelli del 1977 e gli stanziamenti del bilancio pluriennale e basti considerare come la spesa si viene orientando per progetti e per programmi per vedere che vengono rispettate le grandi opzioni. Al netto del fondo ospedaliero due aree di intervento rappresentano più della metà della spesa della Regione, l'area 1 dell'agricoltura e l'area 3 dell'organiz-zazione e dell'assetto del territorio. Questa percentuale tende a crescere su scala pluriennale e non a diminuire. Ma, all'interno delle diverse aree, tendono ad aumentare gli interventi conformi al piano, quelli che traducono in atto il piano e a ridursi gli altri interventi tradizionali, frutto della prosecuzione dell'attività di spesa usuale.
Da questi bilanci emerge una rigidità che, del resto, non rappresenta una novità rispetto agli anni passati. E' una rigidità che scaturisce da una forte incidenza degli oneri assunti in passato. Abbiamo avuto il periodo a cavallo tra il biennio 1975-1976 nel quale c'è stata una grossa capacità di spesa della Regione che ha impegnato in modo sostanzioso anche i bilanci futuri: ci troviamo quindi un bilancio irrigidito anche per questo aspetto.
Affrontare i limiti che nascono da questa rigidità significa affrontare tre problemi tra di loro strettamente connessi: l'analisi dei residui passivi la rivalutazione delle leggi di spesa in vigore il coordinamento necessario tra risorse "proprie" della Regione e risorse vincolate.
Sul problema dei residui passivi, che tanto ci ha fatto discutere in quest'aula, debbono porsi alcune parole ferme ad evitare una continua mistificazione oppure una drammatizzazione del tema, al di là del rilievo pure importante che esso assume.
Non condivido l'analisi che su questo argomento è stata fatta nella memoria, per altri versi ricca e stimolante, della Federazione industriali del Piemonte, perché il discorso dei residui viene considerato in modo emblematico della capacità di funzionamento della Regione, in astratto svincolandolo dal corretto e concreto funzionamento della macchina regionale. Per un verso si critica l'alto livello dei residui, come incapacità di spesa, per l'altro verso si formano, in ordine agli stanziamenti, delle proposte che, ove accolte, aumenterebbero anzich ridurre il livello dei residui. Quando ad esempio si rileva che nel bilancio '78 viene posto uno stanziamento di soli 500 milioni per attrezzare nuove aree industriali e si chiede uno stanziamento maggiore, ci si dimentica in quel momento di vedere che nella colonna residui ci sono 6 miliardi che devono ancora essere spesi per le aree industriali e che consentiranno l'avvio delle quattro aree individuate dalla legge regionale 21 e che un'ulteriore iniziativa nel settore non consentirà comunque di spendere neppure una lira in più nel corso del 1978. Pertanto già la messa a bilancio di 500 milioni è probabilmente stata velleitaria o di speranza volendo testimoniare la volontà della Regione di andare nella direzione di un'ulteriore politica di aree industriali attrezzate per il decentramento e il riequilibrio del Piemonte, ma certamente non poteva essere accompagnata da un maggiore stanziamento.
I residui passivi non sarà possibile cancellarli in assoluto. Solo in misura limitata si traducono in risorse che la Regione tiene ferme e che non spende- In questo momento abbiamo il più basso livello di depositi degli ultimi anni nella storia della Regione. Oltre al deposito di 79 miliardi presso gli Istituti di credito piemontesi, abbiamo nel conto corrente una somma oscillante tra i 30 e i 50 miliardi, circa un terzo della media registrata all'inizio dell'anno scorso. Questo vuol dire che da un lato è ancora alta la quota dei residui attivi e dall'altra che non c'è più quella stretta nell'erogazione dei fondi dalla Tesoreria centrale alla Regione che in altre occasioni avevamo lamentato. Sotto questo profilo dobbiamo dare atto che la politica del tesoro ha accolto le richieste della Regione e che quindi non ci sono problemi di cassa, ma c'è un'erogazione tempestiva dal conto corrente alla Regione.
I residui passivi debbono essere analizzati in relazione a ciò che è successo in passato e a ciò che deve avvenire in futuro. Sui residui passivi del passato c'è un modo fondamentale di agire che è rappresentato dalla revisione delle leggi di spesa. Anche questo aspetto è stato sottovalutato nella memoria della Federazione industriali del Piemonte che ha considerato quasi una formula di rito l'affermazione contenuta nelle prime note illustrative.
Per impedire che residui passivi si formino in futuro occorre cambiare il modo di fare le leggi e il bilancio- Quindi per poter affrontare con speranza di successo la battaglia intesa a ridurre i residui passivi, senza mitizzare né questa battaglia né i risultati che si ottengono, occorre affrontare diversamente il compito legislativo, collegandoci alla nuova realtà della contabilità regionale che esige nei bilanci l'apposta-zione di somme corrispondenti a ciò che la Regione è concretamente in grado di spendere nel corso dell'esercizio. Si deve tornare a fare del bilancio il momento in cui si decide la politica finanziaria ed economica, per un anno dando alla legge di spesa non il valore di una predeterminazione del bilancio ma dandole un valore in termini di contenuti, di misure normative di iter procedurali, di organizzazione di settori interessati da quell'attività di spesa.
Se riusciremo ad operare in questo modo potremo affrontare entrambi i problemi: l'eliminazione dei residui passivi e la formazione di ulteriori residui passivi per il futuro.
La revisione delle leggi, che abbiamo incominciato ad affrontare in I Commissione e che dovremo continuare a ritmi accelerati, darà dei risultati più sotto questo profilo che non sotto il profilo dell'incremento delle entrate. Ci sarà certo qualche risultato anche in termini di risorse nuove ma sarà soprattutto utile per correggere i meccanismi della spesa e soprattutto per impostare su basi diverse la nuova attività legislativa- La revisione delle leggi in vigore avrà valore se ci consentirà di capire ci che non ha funzionato e quindi di impostare diversamente l'attività futura.
Ma vi è una terza questione da affrontare: l'utilizzo delle risorse vincolate. Mi pare inaccettabile un'altra delle tesi emerse durante la consultazione da parte della Coltivatori diretti, la quale lamentava che a fronte di un aumento dei fondi a destinazione vincolata dell'agricoltura non ci fosse una destinazione di risorse aggiuntive proprie della Regione ritenendo scorretto il confrontare il plafond complessivo delle risorse a disposizione del settore, ma dovendo prendere in considerazione soltanto le risorse "proprie" della Regione.
L'aumento delle risorse a destinazione vincolata significa che a livello centrale, Parlamento e Governo, ci sono alcuni settori che si ritengono prioritari ai quali vengono destinate risorse anche nelle materie proprie delle Regioni, facendo di esse il canale per l'erogazione dei finanziamenti e, in molti casi, anche per stabilire i metodi, tempi e allocazione degli stessi.
In questo modo aumentano le risorse delle Regioni, ma si riducono o non aumentano le risorse di cui le Regioni possono disporre con assoluta discrezionalità.
Le Regioni, pur contestando in linea di principio questo discorso finiscono poi per accettarlo in linea di fatto specie se saranno chiamate in futuro a partecipare alle scelte generali dalle quali queste decisioni sono scaturite.
Se viceversa si vuole considerare queste scelte che arrivano dal Governo come del tutto svincolate rispetto alla logica di programma delle Regioni, cosicché le Regioni dovrebbero ridestinare le risorse proprie ritagliando priorità uguali a quelle individuate dal Parlamento e dal Governo, assisteremmo ad una deformazione delle compatibilità e delle coerenze della dislocazione della spesa pubblica nel suo complesso.
Quando le Regioni chiedono di partecipare alla fissazione della politica di programmazione nazionale, lo chiedono proprio per adeguare gli interventi regionali alle scelte fatte a livello nazionale, non per ritagliare furbescamente le fette di una torta regionale distinta perché le Regioni non ritengono esistano torte nazionali e torte regionali; qui sta veramente la considerazione dell'unitarietà della finanza pubblica alla quale ci si deve attenere. Dobbiamo dunque sapere che la destinazione delle risorse deve avvenire in un unico contesto in cui la quota fissata con i provvedimenti nazionali, anzi le quote che arrivano anche da interventi sovranazionali come i finanziamenti disposti in sede Cee, devono essere messe in unico contesto con le risorse proprie della Regione e insieme valutate.
Da questi bilanci, per le novità che essi rappresentano, è lecito attendersi un confronto molto ampio, aperto, serrato tra le forze democratiche presenti in Consiglio. La Giunta si presenta al confronto consapevole del lavoro svolto, consapevole delle difficoltà dell'incompletezza del risultato a cui è arrivata, ma anche della positività del lavoro svolto che si traduce non solo in un bilancio che comincia ad attuare il Piano di sviluppo, cioè un bilancio che si colloca ancora nell'attuazione degli adempimenti del Piano, ma si traduce anche in un lavoro politico importante che consiste nell'avere avviato, in conformità alle leggi, un carattere di trasparenza, di confrontabilità; è strumento permanente di verifica e di controllo politico nelle mani del Consiglio e della comunità regionale. Sono documenti contabili confrontabili, trasparenti, momento permanente di verifica che consentono l'eser-cizio di quel controllo politico che è diritto-dovere del Consiglio regionale.
Questa consapevolezza della Giunta non significa né iattanza n superficiale autocompiacimento- Se è vero quello che abbiamo detto sulla gravità della situazione, se è vero quello che abbiamo detto sui compiti che attendono al Consiglio regionale, non c'è nessuno che possa ritenersi da solo, capace di uscire dalla situazione di crisi. Non ci possiamo uscire per la gravità dell'emergenza. Nessuno può pensare di uscire a fronte di una finanza pubblica che da sola basterebbe per dichiararci in stato di emergenza. Non se ne esce soprattutto da soli a fronte di compiti come quelli indicati che tornano a chiamare in causa il Consiglio come momento preminente e significativo nell'ultimo scorcio di legislatura, nel quale i compiti principali della Regione saranno l'attuazione del Piano di sviluppo e l'avvio di un'iniziativa legislativa di rinnovamento, che dovrà tra l'altro vederci capaci di organizzare, disciplinare e innovare in tutte le materie nelle quali il D.P.R. 616 dà alla Regione compiti di disciplina normativa nei confronti degli Enti locali; il che significa gran parte della materia dei servizi sociali trasmessa alla competenza dei Comuni.
Per queste attività, per il loro rilievo istituzionale, credo che l'appello ad un confronto e ad una collaborazione franca e leale non sia occasione di maniera, non sia una parola dettata soltanto dalla circostanza . Non abbiamo nessuna tentazione di confondere i ruoli delle forze politiche, né di chiamare ad indiscriminati embrassons nous le diverse forze democratiche presenti in Consiglio.
Crediamo che ognuno possa svolgere un ruolo importante nei mesi che ci separano dalla fine della legislatura. Ogni Gruppo, in ragione della sua forza, dei suoi orientamenti culturali, di quello che rappresenta, di quello che ha rappresentato nella realtà del Consiglio, in cui ogni giorno che passa ci accorgiamo di quanto gli elementi di continuità siano prevalenti sugli elementi di rottura e di frizione, può dare un contributo notevole. Credo sia doveroso fare queste considerazioni, perché sarebbe un discorso ipocrita e un discorso di maniera sottolineare i dati strutturali delle difficoltà e il rilievo istituzionale e statutario del compito che ci attende, se poi non vedessimo dietro queste parole la necessità di richiamarci a ciò che unisce l'esperienza concreta e il ruolo delle forze politiche e non a ciò che le divide, consapevoli che solo da uno sforzo comune, motivato, potrà scaturire per la Regione Piemonte la capacità di rispondere all'emergenza e alla crisi nel modo giusto.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Paganelli.



PAGANELLI Ettore

Affrontiamo l'esame del bilancio annuale e di quello pluriennale nella perfetta consapevolezza della gravità del momento politico che si attraversa e della novità che questo tipo di discussione rappresenta.
Momento politico: al di là ancora dei fatti nazionali che rendono quanto mai difficile il presente e denso di incognite il futuro e che turbano ma non scalfiscono la saldezza d'animo di noi democratici cristiani, la gravità della situazione è presente e visibile anche in quest'aula.
Un posto è forzatamente vuoto: quello del collega Picco ancora sofferente per le ferite procurategli dai brigatisti e lontano da noi in un letto di ospedale. Picco, che dedicava anche il suo zelo ed il suo impegno nella I Commissione, negli anni passati aveva notevolmente contribuito con la sua esperienza e capacità amministrativa a determinare la posizione del Gruppo sul bilancio: quest'anno non ha potuto essere con noi. Gli rivolgiamo un pensiero affettuoso ed augurale mentre cerchiamo di rappresentare anche lui: lo sentiamo molto vicino, mentre con vari interventi articoleremo l'impegno che il Gruppo in questi mesi ha profuso nello studio e nell'esame dell'impor-tante documento.
Ma se il momento è grave e difficile, se abbiamo ben presente che a livello nazionale l'emergenza ha coalizzato in un'at-tività programmatica forze diverse, se prospettive più articolate sono emerse nel congresso del Partito socialista, tuttavia non possiamo dimenticare che qui, in questa Regione, i ruoli sono ben chiari e distinti.
Semmai ve ne fosse bisogno la gravità dell'ora e dell'emergenza possono solamente richiamare ancora di più ad un rigore di analisi, di critica e di autocritica ai quali noi crediamo di esserci però sempre ispirati.
Novità della discussione: è il primo anno che il bilancio viene presentato nella sua veste annuale e pluriennale secondo il disposto della legge nazionale 19 maggio 1976 n. 335 e della legge di contabilità regionale che alla stessa si adegua specificandola.
E' evidente quindi che ci troviamo di fronte ad una nuova impostazione che deve essere assimilata, che ha bisogno - come tutte le novità - del necessario rodaggio. Anche noi cerchiamo l'accostamento graduale senza avere la pretesa della perfezione.
Fatte queste premesse, ne aggiungo una terza in relazione al taglio e al modo di porsi dell'Assessore Simonelli, oggi, che costituiscono una novità politica, al di là della sua posizione personale (Simonelli ha sempre avuto un atteggiamento signorile e non vi è nessun riferimento a questioni interne del Partito socialista) e di questa posizione politica noi terremo conto, attenti come siamo ad ogni sfumatura che può emergere.
Fatte queste premesse doverose entriamo in pieno argomento. Ed allora una prima domanda che per altro abbiamo già avanzato nel corso del dibattito in Commissione: l'impianto di questo bilancio (annuale e pluriennale) ha veramente recepito la sostanza della legge, ha cercato di collocarsi nei principi informatori della stessa volti alla compressione dei residui passivi? Un sommario esame dei documenti contabili ci porta a rispondere negativamente. Da quest'anno le previsioni sono formulate in termini di competenza e di cassa. Gli articoli 3 e 17 della legge 335 evidenziano il principio della scadenza dell'obbligazione entro il termine dell'esercizio di competenza e conferiscono così alle dotazioni finanziarie dei singoli progetti un esplicito valore di realizzabilità.
Per questo stesso motivo è stabilito un limite temporale alle variazioni di bilancio (30 novembre - art- 15) ed è evidente che in questa logica le previsioni in termini di cassa devono tendere a coincidere con quelle della competenza o quanto meno a rendere meno sensibile lo scarto.
Per redigere un bilancio innestato in questa linea la Giunta regionale avrebbe dovuto far precedere l'impostazione del bilancio da una serie di rilevamenti sul grado di realizzabilità della spesa in modo da avere per ogni area di intervento previsioni realistiche. Ed invece quando già con notevole ritardo" il 15 dicembre 1977, la Giunta presenta il bilancio per richiedere l'esercizio provvisorio, si trova a dover mettere insieme un documento affrettato che solo formalmente si richiama alla nuova legge mentre sostanzialmente risponde alla logica di riparto Assessorato per Assessorato con richieste settoriali limate in sede di Assessorato bilancio per mantenere un quadro d'assieme.
La nostra impressione è che o vi e stato in Giunta poco impegno al nuovo modo di fare il bilancio (e ciò è grave per una Giunta che aveva fatto del nuovo modo la sua bandiera) oppure che l'Assessore al bilancio che la materia conosce benissimo, non è riuscito a vincere vecchi schemi.
A questo documento seguiranno entro brevissimo termine ben cinque note di variazione e se tre di queste hanno una loro giustificazione logica perché riportano dati conosciuti successivamente alla presentazione del bilancio, la quarta è la riprova della frettolosità e superficialità nella predisposizione del bilancio stesso.
Si erano semplicemente omessi nella previsione della cassa capitoli per un ammontare di oltre 21 miliardi che vengono compensati per oltre 11 miliardi mediante una riduzione delle previsioni di altri stanziamenti e con un aumento per 10 miliardi del capitolo di entrata relativo al prelievo di somme sui fondi depositati sul conto fruttifero presso la Tesoreria centrale dello Stato.
La quinta poi (il Consigliere Rossotto ha osservato che non è neanche all'ordine del giorno), ultimo fiorellino sbocciato la settimana scorsa ai primi tiepidi soli primaverili, se conferma ancora il giudizio di superficialità che abbiamo dato (le variazioni riguardano circa 200 capitoli e fanno emergere altri 38 miliardi circa di omissioni di cassa su capitoli di residui che si aggiungono ai 21 miliardi della precedente nota), sta anche a significare che la Giunta sotto l'incalzare critico delle nostre osservazioni ha cominciato a comprendere che occorre un maggiore rigore previsionale e ha iniziato ad applicarlo per quanto riguarda la cassa. Resta però sempre aperto il discorso sulla competenza.
Questo discorso solo ad una valutazione superficiale può apparire freddamente contabile. E' invece il discorso che incide nella sostanza del bilancio perché nella misura in cui la rigorosità della previsione delle obbligazioni scadenti nell'esercizio fa emergere una disponibilità finanziaria, ecco che allora le scelte, le indicazioni in aumento, i suggerimenti a potenziare certi programmi acquistano valore e vigore e trovano un'autonoma fonte di finanziamento.
Nel corso della discussione in Commissione siamo stati più volte invitati dalla maggioranza ad esercitare la nostra azione di proposta, di modifiche nell'ambito degli stanziamenti previsti, quasi che le possibilità e le disponibilità fossero di togliere qualcosa da un capitolo per metterlo in un altro.
Abbiamo rifiutato questa impostazione che tuttavia ritroviamo ancora nella relazione Rossotto: "i tagli sono stati effettuati con discrezionalità dalla Giunta in base alle sue competenze statutarie e sono ancora modificabili in base alle sollecitazioni che possono o potranno pervenire dal Consiglio".
E' pur vero che il relatore cerca subito l'ancora di salvataggio nel piano: "i tagli non sono nati senza una logica che è stata quella di privilegiare gli interventi prioritari previsti dal piani quali le dotazioni strumentali dell'Ente Regione, l'agricoltura, il progetto per le aree industriali attrezzate, l'assetto e la gestione del territorio, la formazione professionale e altri ancora", ma a questo punto possiamo ricordare che è altrettanto vero quello che è stato detto in consultazione: "sembra che ad un chiaro processo di scelta si sia preferito un implicito processo di non scelta o di quasi scelta; lo dimostra la rarità dei progetti accantonati".
Noi in sostanza riteniamo che la corretta applicazione della legge offra risorse e possibilità notevoli e diciamo subito che le proposte e i suggerimenti che il nostro Gruppo darà vanno visti esclusivamente in questa logica ed in questo contesto. La Giunta dovrà impegnarsi in questa direzione perché è solo lei che ha gli strumenti per farlo. Dovrà fare al più presto quell'in-dagine sulla spesa che era la premessa per il bilancio di tipo nuovo che la legge dello Stato vuole. E poiché la 335 è del 19 maggio 1976, vi era tutto il tempo per farlo. Ma è inutile recriminare Vogliamo ancora sperare che non si tratti per la Giunta di una grossa occasione mancata ma semplicemente di una grossa occasione differita- Ci si può chiedere che cosa rafforza la nostra convinzione nel sostenere la tesi.
Ecco alcuni riferimenti.
Bilancio pluriennale (edizione aggiornata alla seconda nota di variazione del bilancio 1978): le entrate si aprono nel 1979 con un avanzo finanziario presunto di 57 miliardi 860 milioni di poco inferiore a quello che apre il 1978 (63 miliardi 955 milioni) anche se con la quinta nota aumenta. Ed il dato di assieme è ancora più significativo quando si passa all'esame delle singole aree di intervento.
Questa volta il riferimento lo facciamo ad un documento più recente: relazione dell'Assessore, seconda parte (2) riepilogo 1977-1978, pag. 113 nell'allegato n. 1.
Anche se questo documento subirà modifiche a seguito della quinta nota di variazione, noi, non disponendo di un quadro più aggiornato, dobbiamo fare riferimento allo stesso; resta evidente che eventuali aggiornamenti nella linea da noi sostenuta non faranno altro che rafforzare la tesi.
La tendenza che emerge dal quadro è quella che enunciamo ed il nodo è ancora tutto da sciogliere.
Se lasciamo da parte l'area dei servizi sanitari dove si deve fare un discorso a sé, nelle altre quattro aree ci troviamo di fronte complessivamente a questi dati: competenza: 279 miliardi 120 Milioni cassa 208 miliardi 183 milioni, nonostante il carico dei residui che nelle quattro aree è di 274 miliardi e 54 milioni.
Se scendiamo nell'esame delle singole aree abbiamo: agricoltura: competenza 85 miliardi e cassa 54, mentre ci sono 111 miliardi di residui attività secondarie e terziarie: 63 miliardi di competenza e cassa 47, con 39 miliardi di residui gestione e assetto del territorio: 92 miliardi di competenza e 68 di cassa con 106 di residui formazione e cultura: 37 miliardi e 889 milioni di competenza e 37 miliardi 151 milioni la cassa, con 16 miliardi e 955 milioni di residui.
I servizi sanitari li considereremo a parte.
Si ha in sostanza la sensazione di trovarsi, cosa che è capitata a tutti, su di un treno in ritardo. E nonostante il treno dia l'impressione di viaggiare a velocità elevata, alla fine di stazione in stazione ci si accorge che il ritardo è aumentato.
Il nostro discorso va completato per chiarezza con due osservazioni che dimostrano come lo stesso non possa essere preso in assoluto, ma come tendenza.
1) La legge 335 (che è una buona legge a proposito della quale giustamente il Consigliere Rossotto osserva nella relazione "la cui portata attuativa e il cui potenziale operativo per l'attività istituzionale delle Regioni mi sembra che siano tuttora un po' sottovalutati") è volta certamente a diminuire il fenomeno - dei residui passivi, ma non si pu pensare che riesca ad eliminarlo. Concordo con quanto ha detto l'Assessore Simonelli. Un ragionevole margine nella previsione e nella realizzazione è da prevedersi ed in ciò concordiamo con quanto ripetutamente e correttamente sostenuto da Simonelli.
2) Le risorse della Regione vanno distinte tra risorse a destinazione vincolata e non vincolata e il discorso che noi facciamo non può (almeno per il primo anno) essere fatto per i finanziamenti vincolati. Ma attenzione, Assessore! Le percentuali delle risorse con vincolo di destinazione non sono sostanzialmente quelle fornite dalla tabella a pagina 59, seconda parte (1) della sua relazione, nell'allegato n. 2.
Togliamo anche qui l'equivoco del fondo ospedaliero considerato a sé e troveremo allora sul totale percentuali del 24,05% nel '78, del 16,4% nel '79, del 16,8% nell"80, come si legge nell'allegato n. 3. Mediamente nel triennio una percentuale del 17-18%- (Tra l'altro nella tabella credo vi siano delle omissioni di indicazione perché sommando i due addendi, non si riesce a trovare il totale finale; comunque credo che il totale finale sia giusto perché indica 1.999 miliardi, somma complessiva a disposizione nel triennio, soprattutto è giusto il riferimento al bilancio del 1977).
In miliardi le risorse non vincolate nel triennio sono previste (allo stato della quarta nota) in 657 miliardi 550 milioni.
Dunque il nostro discorso va visto con questi correttivi, il che ci porta a dire che solo una parte di quei 57 miliardi 860 milioni può essere recuperata. Quale? E' inutile azzardare previsioni. Ce lo deve dire la Giunta a seguito di approfondimenti contabili. Ma nella misura in cui questi correttivi sono giusti, per ridimensionare il discorso per il 1978 non può non destare stupore il fatto che la precisione del 1980 si apra senza una lira di avanzo finanziario presunto. Forse che nel 1979 la Giunta pensa di trovare la perfezione amministrativa? Non ci pare che i recenti discorsi dell'Assessore siano in questo senso e quindi dovranno essere apportate le necessarie modifiche.
Il discorso testé fatto sul fondo ospedaliero ci induce ad introdurre subito delle considerazioni di fondo che sono necessarie per intenderci sull'oggetto della discussione- Lo abbiamo detto più volte e lo ripetiamo ancora una volta per la serietà del nostro confronto.
Quando parliamo della capacità di intervento regionale nel triennio 1978/1980 non spariamo la cifra a sensazione dei 2 mila miliardi (ho notato con soddisfazione che nelle dichiarazioni dell'Assessore di questa mattina e nelle dichiarazioni ai giornali non si è più sparato).
E' formalmente esatta, è sostanzialmente ingannevole: 903 sono i miliardi della spesa ospedaliera, circa 130 sono le spese dell'area di attività, cioè dell'attività gestionale. La spesa ospedaliera va correttamente non considerata sia quando si fanno i discorsi dell'incidenza dell'intervento dell'amministrazione nella realtà regionale, sia quando si fanno discorsi sulla capacità e sul volume della spesa. Osservano le Camere di Commercio nella consultazione: "nel campo dell'assistenza ospedaliera la Regione funge essenzialmente da ufficiale pagatore in una partita di giro che ha come reali protagonisti lo Stato da un lato, gli ospedali dall'altro".
Non siamo dei rinunciatari: siamo d'accordo con Simonelli e con Rossi quando, come si è detto in Commissione, si sostiene che un'indagine conoscitiva anche su questa spesa la dobbiamo fare. Meno d'accordo con Rossotto che è pessimista quando dice: "oggi semplici notai di inefficienze generali". Ma le inefficienze anche nel settore ospedaliero non possono collega Rossotto, essere generalizzate. Questa indagine determinerà dove ci sono le inefficienze. Ma non dobbiamo d'altra parte presentare questa spesa, questa partita di giro al di là di quello che effettivamente è nella sostanza e a fini contabili- Non è corretto fare diversamente. D'altra parte la spesa di 900 miliardi serve già abbastanza alla Giunta a fini propagandistici- Quando i soldi ritardano per protestare contro il Governo quando ci sono per fare i comunicati che la Regione "stanzia per gli ospedali" (vedasi da ultimo i quotidiani di venerdì scorso).
Discutendo di bilancio triennale dobbiamo essere consci che allo stato attuale (auguriamoci pure altri finanziamenti) noi discutiamo di risorse per circa 1.000 miliardi. La discussione che oggi facciamo, che ancora più faremo a giugno per l'assestamento e forse per il bilancio 1979 (è sperabile che la Giunta non rinvii ancora e che si presenti preparata a questo appuntamento) devono tenere conto di questi margini e se si vuole di questi limiti. Ma la chiarezza che vogliamo nella materia per la spesa che incide la vogliamo su ogni questione di bilancio. E diamo pienamente ragione a Simonelli quando dice che è materia su cui bisogna applicarsi, su cui non è ammessa approssimazione- Noi dobbiamo aiutare la comunità regionale a capire il bilancio e non possiamo alimentare equivoci. E' per questo che riteniamo noi stessi dell'opposizione di introdurre un argomento che, se non correttamente impostato, può essere fuorviante: quello dei residui passivi.
La formulazione del bilancio quest'anno con le colonne della competenza e dei residui ha richiamato l'attenzione anche su questo aspetto l'argomento era in precedenza riservato a pochi intimi nel corso della discussione del consuntivo e non aveva il rilievo che anche per il peso e l'impegno dei consultandi ha avuto quest'anno- Certo, quello dei residui passivi, è un grosso discorso e la maggioranza deve portare su questo terreno il peso politico del modo con cui con troppa facilità, a suo tempo si era posta o dell'inefficienza della macchina regionale là dove c'è, e qualche collega del mio Gruppo lo sottolineerà con particolare riferimento al settore più evidente, quello dell'agricoltura.
Ma il problema va esattamente inquadrato. Non possiamo anche nella nostra responsabilità lasciare alimentare equivoci.
Il dato ultimo della relazione Simonelli, pag. 113, seconda parte (2) è di 600 miliardi (per l'esattezza 599 miliardi e 9 milioni). A consuntivo forse saranno ancora di più e di più sarebbero stati se con la legge di scorrimento delle annualità non si fossero salvati oltre 60 miliardi dal baratro dei residui passivi. Non si tratta però di soldi che sono tutti effettivamente nella cassa della Regione. Perché se ci sono residui passivi ci sono anche residui attivi (somme promesse e non ancora versate), perch il grosso dei residui (quasi la metà) va proprio riferito a quell'area 4 che riguarda il fondo ospedaliero che va considerato a parte, perché nei residui si comprendono anche le somme che dovrebbero affluire da 191 miliardi di mutui autorizzati e per ora solo in minima parte accesi. Questi sono i contorni di fondo e di indirizzo e di chiarezza in cui ci collochiamo- In questa luce vanno, lo ripetiamo, ricondotti e visti gli interventi del nostro Gruppo in questa occasione e l'azione che condurremo per normalizzare la situazione finanziaria contabile della Regione. Pi specifici interventi in riferimento alle singole aree verranno effettuati da colleghi del mio Gruppo. Io mi limito a toccare alcuni aspetti del bilancio.
Entrata Credo si possa affermare una sostanziale correttezza nella previsione delle entrate- La fiera battaglia che abbiamo condotto sul bilancio 1976 di fronte alla non veritiera e propagandistica previsione delle entrate (battaglia che ha avuto la prova del nove della verità della nostra impostazione col rendiconto 1976) ha indotto la Giunta ad essere più guardinga nel considerare le entrate. Quando le battaglie servono e dalle stesse si traggono utili conclusioni non resta che correttamente prenderne atto.
Aree di attività Abbiamo già sottolineato come la spesa gestionale per il triennio sfiori i 130 miliardi. Nell'ambito di questa spesa il costo del personale regionale è indicato in 67 miliardi 106 milioni di cui 20 miliardi 220 milioni per il 1978.
Dice Simonelli nella sua relazione (pag. 119): "E' da sottolineare tuttavia che l'incidenza delle spese per il personale sulla spesa complessiva prevista a bilancio, detratte le contabilità speciali, è pari al 3,1% e detratta anche la spesa ospedaliera è pari al 6,7%; ciò significa che pertanto esse restano su valori accettabili e comunque modesti specialmente nel raffronto con la situazione di altre Regioni".
Concordiamo sostanzialmente con le valutazioni dell'Assessore, ma in riferimento a questa voce, che è pure sempre notevole anche se percentualmente contenuta 7 desideriamo fare alcune puntualizzazioni che abbiamo già anticipato recentemente con una nostra interrogazione: che deve essere completato al più presto l'inquadramento di tutto il personale regionale che la nostra Regione deve partecipare attivamente alla conclusione della revisione del contratto nazionale.
Proprio perché gli stipendi dei dipendenti regionali piemontesi sono bassi rispetto ad altre Regioni (ed oggi inadeguati al costo della vita) vi deve essere un più forte impegno dell'Amministrazione regionale.
che la Giunta regionale deve dare garanzie che noli vi sarà più una gestione fortemente politicizzata del personale, specie nelle assunzioni, e che il personale verrà sempre ed innanzitutto richiamato ai suoi doveri istituzionali che sotto il profilo amministrativo venga data una guida al personale che per preparazione, competenza e imparzialità, sia garanzia all'interno ed all'esterno, al personale tutto, alla Giunta, alla maggioranza all'opposizione.
Sono questi i temi, sui quali la Giunta non può più sfuggire, che vanno finalmente affrontati. Ci auguriamo voglia farlo: se non lo farà riporteremo nelle forme regolamentari la discussione in quest'aula. E mentre discutiamo dell'area di attività dobbiamo dire ancora che troppe spese, troppe deliberazioni di carattere gestionale non ci convincono. Gli esempi sono infiniti. Le decine di milioni che se ne vanno e che potrebbero essere più rigorosamente impiegati, non si contano più. Prendiamo un esempio dall'ultima Giunta: inserzione pubblicitaria di carattere promozionale sul quotidiano "The Times" da pubblicarsi in occasione di un supplemento su "La Regione Piemonte". Impegno di spesa L. 10.500.000.
Ricordiamo la precedente inserzione promozionale sul "The Times": pubblicizzava nuovo modo di governare. E si era assegnata anche una consulenza per la miglior forma di pubblicizzazione. Anche questi argomenti, signori della Giunta, vanno chiariti e risolti con norme di comportamento ineccepibili ed intaccabili. Si vogliono fare? Bene. Non si vogliono fare? Ed allora si sappia fin d'ora che una lunga serie di interrogazioni sottolineerà d'ora in poi tutte quelle deliberazioni clientelari e propagandistiche e tutte quelle attività gestionali che non si inseriscono in un corretto modo di governare.
Nell'esame del bilancio ci hanno poi impressionato le spese per ricerche, studi, indagini: 13 miliardi 400 milioni in tre anni; 5 miliardi 625 milioni nel 1978; 4 miliardi 290 milioni nel 1979; 3 miliardi 485 milioni nel 1980. Sono poi intervenute piccole variazioni. Nel 1978 la somma si riduce un po', a 5 miliardi 375 milioni, cosicché per non incorrere in errori (cosa assai facile con tutta la serie di documenti modificativi l'uno dell'altro, sfornati) parliamo di 13 miliardi complessivamente. Il collega Martini raffronterà questa cifra con altre significative e vi assicuro che i dati faranno meditare. Da parte nostra diciamo subito che mentre le spese per il rilancio dell'Ires o per studi veramente necessari saranno sostenute, altre, la cui opportunità o congruità è discutibile, saranno duramente contestate. E cogliamo l'occasione di questo accenno per invitare la Giunta a ripresentare con urgenza e con le necessarie modifiche la legge sulle consulenze rinviata dal Governo perché ritenuta ancora di maglie troppo larghe.
Ma il discorso sulle consulenze non può chiudersi qui. Dopo le polemiche che ci sono state, dopo i 13 miliardi che in un triennio ci proponete per ricerche, studi ed indagini abbiamo letto con stupore (Orazio diceva: risum teneatis, amici? riuscirete, o amici, a trattenere il riso? ) sull'inserto del Corriere della Sera del 5 aprile che si tratta di tutte invenzioni e che le consulenze sono misuratissime, per problemi essenziali.
Avevamo la sensazione che dall'epoca del trionfalismo qualche correzione di rotta fosse avvenuta, soprattutto da parte del Presidente della Giunta. Interviste come questa ci riportano invece indietro, tanto indietro e ci costringono a riaprire pesanti polemiche. Vogliamo ancora sperare, signor Presidente, che alcune affermazioni, che certi concetti non siano stati - come si suol dire in questi casi - esattamente compresi dall'articolista. Anche perché se si vuol fare polemica o dichiarazioni inesatte facilmente smontabili, ebbene è bene farle quando le interviste non trovano spazio in inserti pagati con soldi della comunità regionale (delibera Giunta regionale 29/11/1977, tra l'altro, 10 milioni al Corriere della Sera per divulgare il Piano regionale di sviluppo). E su questi aspetti ci fermiamo. Anche perché non vogliamo con troppi esempi analitici sminuire l'impostazione di fondo. Ma anche questi discorsi hanno la loro importanza e vanno sicuramente ripresi.
Ritorniamo dunque alla legge 335, al bilancio che la deve recepire, al Piano regionale di sviluppo che deve essere assunto come termine di riferimento per le previsioni del bilancio pluriennale.
E' stato giustamente detto che la nostra Regione avendo varato un Piano di sviluppo (e qui non stiamo a ripetere la nostra valutazione sul Piano) si è trovata favorita all'appuntamento con la legge 335 e col bilancio pluriennale. E se da un lato l'osservazione è esatta, dall'altro lato ci fa maggiormente rimpiangere come l'occasio-ne non sia stata colta per quel colpo d'ala che da troppo tempo attendiamo sui grandi temi finanziari. Ma nel nostro senso di opposizione responsabile vogliamo ritornare su di un concetto già espresso. Occasione mancata od occasione differita? L'Assessore Simonelli negli ultimi incontri di Commissione ci ha dato l'impressione di camminare verso una prova d'appello (forse l'asse-stamento di giugno, forse il bilancio 1979). Anche se i rinvii sono stati continui vogliamo ancora attendere la Giunta a questa prova concedendole questa possibilità.
Oltretutto siamo convinti che quando attorno ad un tavolo ci misuriamo nella concretezza dei problemi finanziari con gli uomini della maggioranza che seguono il settore, è più difficile trovare motivi di dissenso che non di consenso pure nel serrato confronto. Parlo proprio dell'Assessore Simonelli, la cui capacità e preparazione non si discutono, parlo del collega Rossi, che certamente porterà anche in questo dibattito il frutto di un impegno e di un'esperienza amministrativa non comuni.
L'importante però è non perdere più tempo. Occorre indirizzare il bilancio nella linea che abbiamo indicato e che riteniamo portatrice di possibili frutti, occorre chiudere il discorso sulla revisione delle leggi.
Noi non ci sentiamo di affermare come fa il relatore Rossotto: "ancora una volta occorre allora richiamare la rilevanza strategica del processo di revisione legislativa regionale in atto per ovviare ai lamentati inconvenienti". Noi attribuiamo alla revisione delle leggi una portata più limitata, anche la Giunta si è messa in questa ottica, ma riteniamo che un qualche risultato (soprattutto per quanto riguarda la celerità dei processi amministrativi e quindi della rapidità della spesa, più che un recupero di risorse finanziarie) ci possa essere. L'importante è fare presto. Non possiamo cullarci per mesi ed anni sul mito della revisione delle leggi senza concludere, così come in passato la maggioranza si è soffermata senza apprezzabili risultati a dissertare sull'accele-razione della spesa e sull'eliminazione dei residui passivi. Se in questa Regione - e tutti lo sappiamo - vi è un qualcosa di ben definito, è la distinzione dei ruoli tra maggioranza e opposizione e certamente tra noi D.C., e la maggioranza. Ma in questa Regione vi è un qualcosa di altrettanto chiaro. Ed è il nostro dovere - dico dovere proprio per quello che rappresentiamo - a partecipare ai grandi processi di indirizzo della Regione.
Il bilancio annuale, il bilancio pluriennale, la revisione delle leggi rientrano fra questi. Ed a questo dovere risponde il nostro impegno che anche in questo dibattito cerchiamo di manifestare. E risponde anche la nostra richiesta di essere partecipi e non spettatori di altri grandi processi.
E' di qualche giorno fa una mia interrogazione al Presidente della Giunta e all'Assessore alla programmazione e bilancio per sapere se non intendano informare sempre e subito sugli incontri tra Governo e Regioni sugli incontri della Commissione interregionale, anche perché quando il modo di governare era vecchio queste cose si facevano. Abbiamo letto sui giornali (mi riferisco in particolare al Popolo del 12 aprile): "l'incontro tra il Ministro Morlino e i Presidenti regionali, svoltosi la settimana scorsa, ha permesso di approfondire ulteriormente, anche nei suoi aspetti pratici, quanto stabilito dall'articolo 11 del Decreto 616 che prevede la determinazione degli obiettivi della programmazione da parte dello Stato con il concorso delle Regioni e la determinazione dei programmi regionali di sviluppo in armonia con gli obiettivi nazionali ed il concorso degli Enti locali".
Ed allora poiché la Giunta non si è dimostrata sensibile ad informare su questioni così importanti, noi dobbiamo sollecitarla al dibattito. E' giusto e va intensificato il colloquio Stato-Regioni. Ma detto colloquio non va tenuto solo tra lo Stato e una parte della Regione, ma con tutta la Regione, con tutte le sue forze politiche. Altrimenti il confronto e la partecipazione sono solo una favola bella. Penso di aver spaziato troppo e che sia opportuno concludere.
Credo che le cose dette e quelle che aggiungeranno i colleghi di Gruppo, siano da meditare e da valutare, da parte della Giunta e della maggioranza. Non abbiamo la pretesa che siano tutte accoglibili, giuste ed esatte. Certo le abbiamo dette con molto impegno, certo su questo bilancio e sui problemi che apre ci siamo applicati con rigore. Proponiamo ed accettiamo il confronto.
Il nostro atteggiamento fortemente critico non è determinato da preconcetti (voi sapete che non abbiamo problemi quando è giusto votare a favore e non li avremmo nemmeno sulla legge di bilancio), ma sinceramente sui grandi temi per troppi ritardi e per molte carenze non ce ne avete mai offerto la possibilità.
L'invito che rivolgiamo alla maggioranza e che credo traspaia da tutta l'intelaiatura del mio intervento è quello di misurarsi sul terreno della concretezza e dell'operatività, è quello di dare risposte coi fatti.
Attendiamo risposte, attendiamo comportamenti.
Il tempo delle vuote polemiche, degli slogans, delle frasi fatte, delle interviste trionfalistiche è finito. Il mitico punto di partenza del 15 giugno 1975 è già più lontano del punto d'arrivo. Stiamo già per imboccare il lungo rettilineo d'arrivo per la volata del 1980. Voi sapete che a questa volata la D.C., sarà presente con gli uomini che saranno più in forma. Qualcuno anche azzoppato per aver pagato col sangue la grande tradizione democratica del nostro partito, tutti fortificati dalla positiva esperienza dell'opposizione che ha già fatto in breve tempo giustizia di troppi luoghi comuni e di decantate superiorità. Certo ci interesserà piazzarci bene in questa volata, ma sin da questo momento ci interessa soprattutto che sia una bella volata per tutti.
Fuor di metafora ci interessa anzitutto che sia la Regione nel suo complesso a vincere, ad imporsi, ad affermarsi, ad essere quello che il Costituente prefigurò e che oltre 4 milioni e mezzo di cittadini vogliono oggi.
Anche da questo dibattito ci farà capire se ci avviamo ad una bella volata e ci farà capire se l'intervento di oggi dell'Asse-sore Simonelli sarà il "nuovo corso" della Giunta e non solamente una rondine che non fa primavera.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PAGANELLI



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Bellomo. Ne ha facoltà.



BELLOMO Emilio

Signor Presidente, ci troviamo qui ad esaminare i documenti finanziari proposti dalla Giunta per il 1978 e per il triennio che ci sta davanti dopo un lungo, articolato e impegnativo confronto nelle sedi istituzionali e nella consultazione delle forze sociali del Piemonte.
Ci troviamo ad esaminare questo bilancio previsionale e pluriennale che, come avverte la premessa dell'Assessore, è stato predisposto secondo le indicazioni e nel rispetto delle priorità contenute nella deliberazione di approvazione del Piano regionale di sviluppo, mentre il Paese e la nostra Regione in particolare sono percorsi e attraversati da un brivido di' terrore e di angoscia per gli avvenimenti sanguinosi che ne caratterizzano il momento per lo stato di crescente tensione cui sono sottoposti uomini e istituzioni, impegnati allo spasimo nella difesa del nostro vivere civile e democratico.
C'è un muto atto d'accusa in generale nel Paese, contro la classe politica, colpevole di mancare agli appuntamenti decisivi che debbono garantire lo sviluppo sociale e civile della Nazione; c'è sangue sulle strade delle grandi città italiane e fra la gente comune serpeggia sempre più chiaramente un sentimento di sconforto che minaccia di diventare rassegnazione, accettazione di un destino triste che invece dobbiamo decisamente combattere per liquidare. C'è una terribile spirale di sangue che può provocare lo scatenarsi di reazioni incontrollabili che noi tutti penso, dobbiamo temere.
La democrazia italiana è sottoposta ad una prova immane, dalla quale potrebbe uscire mutilata se le forze politiche democratiche non dimostreranno grande fermezza morale e piena, vera solidarietà di intenti.
Lo Stato di emergenza, voglio dire, non nasce con la strage di via Fani o col rapimento dell'on. Moro, o con l'uccisione dell'agente Cotugno, anche se questa spirale delittuosa dimostra che essa si fa più acuta e drammatica ad ogni giorno che passa inutilmente. Il Paese vive da tempo in condizioni estremamente difficili che abbiamo definito per le loro caratteristiche essenziali, condizioni di emergenza. Ad essere onesti con noi stessi dobbiamo avere la forza morale di ammettere che in queste condizioni difficili e incerte il Paese galleggia da anni. E basterebbe osservare la stagnazione produttiva e il collasso in alcuni punti nodali dell'apparato produttivo; stagnazione e collasso che provocano, come primo brutale effetto, un milione e mezzo di disoccupati, in larga parte giovani e donne e facendoci toccare i primati negativi su scala europea; basterebbe questa constatazione per avere la natura e la dimensione dello stato di emergenza in cui viviamo. Ma non possiamo sottacere che vaste aree del nostro Paese sono in preda alla disgregazione sociale, che vaste sono le fasce di emarginati stabili, che le strutture dello Stato sono soggette al tarlo della corrosione lenta ma inesorabile del malgoverno e dei vizi della burocrazia; che gli strumenti per la guida e il controllo di una società complessa come la società italiana, sono inefficaci, arrugginiti, impediti nel loro funzionamento. C'è un elenco naturale, che si è allungato in questi anni, di problemi difficili, tormentosi, angoscianti, c'è la constatazione che le parole non servono più - se mai sono servite - a invertire il senso della marcia, ma servono, occorrono urgentemente program mi di attività, iniziative precise, decisioni chiare e democratiche per riprendere in mano il bandolo della matassa e per dipanare da essa il filo conduttore di un discorso fatto di certezza e di credibilità davanti alla pubblica opinione. Quel filo che porta decisamente all'incontro fra paese reale e paese politico, fra classe dirigente e classi popolari, fra stanze dei bottoni e partecipazione di base, fra proposte e collaborazioni attive quel filo che porta direttamente alla gestione democratica e partecipata della cosa pubblica e che invece oggi è minacciato di spezzarsi inesorabilmente sotto gli attacchi delle forze eversive che non sono soltanto quelle che si armano con la P 38, ma sono anche quelle, parimenti clandestine nel senso di non chiaramente identificate, della conservazione della restaurazione, della chiusura verso ogni istanza di rinnovamento e di cambiamento nel nostro modo di essere.
Nella società italiana esistono tendenze corporative e disgregative, ma ci sono anche spinte partecipative che rifluiscono per mancanza di canali adeguati per potersi esprimere in modo appagante. Allargare dunque i canali della democrazia può consentire a queste spinte di esprimersi più autenticamente e può dare luogo ad una più diffusa assunzione di responsabilità, con effetti stabilizzanti che invece paiono finora preclusi.
In questo grandioso sforzo che le forze politiche debbono compiere per ritrovare quel giusto e democratico .equilibrio di vita civile e sociale soccorre, in primo luogo, la presenza organizzata del mondo del lavoro.
Voglio dire che il sindacato è, oggi, forse più di ieri, strenuamente impegnato alla ricerca della sua vera unità nel mutato quadro politico nazionale; è alla ricerca della sua effettiva identità nel quadro della sua rigorosa autonomia decisionale. Lo sforzo di questi ultimi giorni sta a dimostrare che l'unità non è e non deve essere un lusso di alta congiuntura, ma una necessità, un'esigenza che si fa via via più pressante e stringente, proprio quando si chiedono ai lavoratori nuovi e pesanti sacrifici - che altri furbi non fanno mai e non hanno mai fatto - e che debbono essere finalizzati ad una politica generale di pieno impiego e di piena mobilitazione per un concreto rilancio della nostra capacità produttiva, per il pieno controllo del processo di ripresa e di sviluppo per una partecipazione reale alla direzione politica del Paese, contro ogni forma di terrorismo cruento o silenzioso, contro ogni eventuale tendenza restauratrice o autoritaria.
Sacrifici si faranno, i lavoratori lo hanno chiaramente ribadito anche in questi ultimi giorni di generosa mobilitazione per la difesa delle istituzioni dagli attacchi delle forze della distruzione e della disgregazione; sacrifici e continenze responsabili ispirate all'austerità per il superamento del tunnel della crisi e quindi come sforzo gigantesco e responsabile contro i mali drammatici del momento, ma non come soluzione definitiva di un modello di vita che deve invece essere vista - e come socialisti l'abbiamo vista e proposta nel nostro progetto politico attraverso una politica di programmazione che disinceppi il mercato e che si avvalga dello sviluppo delle potenzialità economiche del nostro Paese.
Ecco perché ci pare importante - e forse altri lo faranno meglio di noi richiamare il quadro generale della situazione politica e sociale che attraversa il Paese - per avere il necessario abbrivio all'esame dei documenti di bilancio della Giunta regionale.
Questi documenti, che abbiamo sotto gli occhi, costituiscono sul piano politico e tecnico, un'importante, e per certi versi decisiva innovazione rispetto alla passata impostazione dell'Amministrazione regionale.
L'applicazione del dettato della legge n. 335 del 1976, sulla contabilità delle Regioni, anche attraverso la nuova legge regionale di contabilità, ha formalmente aperto nuovi spazi alla programmazione dell'azione regionale ed alla maggiore manovrabilità della spesa relativa.
In questo senso anche l'attuazione della legge n. 382, specie con le affermazioni di principio della partecipazione delle Regioni alla politica economica nazionale e della loro responsabilità di coordinamento della finanza locale sembra rafforzare ancora di più la loro capacità di riorganizzare la rappresentanza democratica e l'azione della pubblica amministrazione nel Paese.
Tuttavia il quadro complessivo non è così in realtà chiaro e positivo come era lecito attendersi dopo la battaglia delle autonomie, per l'attuazione della legge n. 382, e come noi socialisti abbiamo richiesto e richiediamo tuttora che sia -.
Innanzitutto la definizione dei fondi da trasferire per l'esercizio delle funzioni attribuite alle Regioni e ai Comuni della legge n. 382, non è tale da renderci pienamente soddisfatti. Dobbiamo constatare - in altre parole - che in generale le richieste delle Regioni per i trasferimenti relativi alla spesa corrente e di funzionamento, sono state largamente disattese, almeno finora, mettendo le Regioni e i Comuni, per logica conseguenza, in condizione di dover esercitare nuove competenze, ma senza i mezzi necessari. Si pensi, per esempio, che le funzioni di polizia amministrativa e di certificazione sono esercitate dai Comuni senza alcun consistente aumento delle entrate (pochi milioni per ottomila Comuni).
Sempre a proposito dell'attuazione della legge n. 382, non possiamo inoltre, non ricordare le difficoltà con cui sta procedendo la definizione del trasferimento del personale dallo Stato alle Regioni. Basta pensare alla lentezza con cui procedono i lavori delle Commissioni per l'individua zione delle Ipab e degli altri Enti da sopprimere o da smembrare ed all'incapacità del Governo di definire criteri ed indirizzi generali per il contingente di personale delle amministrazioni statali, al punto che le Regioni sono costrette oggi a formulare delle richieste senza avere il quadro delle risorse finanziarie con cui coprire i nuovi costi di gestione.
I trasferimenti per le spese del nuovo personale non verranno, infatti ripartiti tra le Regioni sulla base degli addetti effettivamente destinati ma bensì secondo i criteri di distribuzione del fondo di finanziamento delle funzioni normali delle Regioni, fondo regolato dall'articolo 8 della legge n. 281. In tal modo non è garantita per le singole Regioni la copertura automatica degli oneri del personale. Il decentramento delle competenze sembra cioè avvenire con la contemporanea strozzatura finanziaria dei Comuni e delle Regioni su cui si tenta di fare ricadere principalmente il peso del contenimento della spesa pubblica. Questa impressione si fonda su alcune considerazioni che tutti noi possiamo fare e che rapidamente facciamo: la tendenza a riservare quote sempre più elevate di finanziamento all'ammi-nistrazione centrale, attraverso le leggi settoriali per materie trasferite; si pensi, ad esempio, alla pretesa di riservare al Ministero dell'agricoltura oltre il 30% dei finanziamenti previsti dalla legge quadrifoglio la scelta di caricare nei bilanci regionali i bisogni finanziari dei Comuni in sostituzione del finanziamento statale. Si pensi agli effetti che potrebbe avere sulla finanza regionale il perpetuarsi della disposizione del 2° decreto Stammati, che pone a loro carico le spese per le competenze dei servizi sociali trasferite ai Comuni secondo il decreto 616 la volontà di ridurre le dimensioni relative, rispetto al bilancio dello Stato delle entrate regionali, già attuate con il contenimento della quota Ilor per il 1978, rispetto al suo incremento effettivo, per cui, in parole povere, le Regioni incasseranno nel 1978 una percentuale totale inferiore dal tributo complessivo che incassa lo Stato il tentativo di eliminare tutti i meccanismi di adeguamento automatico delle risorse finanziarie disponibili in base all'andamento dei prezzi e dell'economia come quelli previsti dagli articoli 8 e 9 della legge n. 281, già il risultato di un'impor-tante battaglia delle Regioni per il consolidamento delle autonomie.
Il riordino e la riqualificazione della spesa pubblica sono riconosciuti da tutti come condizione primaria di ogni serio programma economico. I tempi della neutralità sono tramontati per sempre. Se non bastasse il nostro convincimento resta il richiamo del Fondo monetario internazionale a condizionarci in tal senso. Siamo del pari tutti convinti che non può esistere azione programmatoria dello Stato senza il controllo della spesa pubblica e senza un indirizzo concordato tra la finanza statale, quella regionale e quella degli Enti locali. La reciproca conoscenza, l'accordo sulla ripartizione delle risorse e l'armonia fra i bilanci pluriennali, sono le basi di un nuovo indirizzo unitario.
Dal momento che le Regioni sono già tenute a formare un bilancio triennale, anche lo Stato deve allinearsi a questo criterio, nel senso che lo Stato non può più continuare a fare previsioni annuali, pena l'impossibilità di ogni riferimento e di ogni raccordo. Per andare avanti occorre controllare scrupolosamente come spendiamo le nostre non infinite risorse, e per ottenere questo risultato, occorre sincronizzare tutti i meccanismi di cui lo Stato, le Regioni, gli Enti locali dispongono in modo di garantire un funzionamento unitario e democratico. In questo modo oltre a fare chiarezza nel funzionamento dei livelli istituzionali, si contribuirà anche a portare un ulteriore mattone all'edificio delle autonomie e al suo dibattito interno; un dibattito che viene da molto lontano, che è ancora molto lontano dal ritenersi concluso e che si fronteggia a tutt'oggi, anche a valle della legge n. 382 e del suo decreto di attuazione per le resistenze che vengono opposte dal momento centrale su quello periferico" per alcune chiare tendenze dell'autorità centrale che sotto sotto, non sarebbe aliena dal mantenere indenni le facoltà impositive e di controllo a tutti i livelli della vita del Paese.
Voglio dire anche che i decreti attuativi della legge n. 382 vanno innanzitutto difesi, oltre che dalla burocrazia centrale che ha già messo in campo tutto il proprio impegno per aggirare anche le più inequivocabili prescrizioni legislative, vanno difesi ancora nella stessa legislazione prodotta dal Parlamento cercando di impedire che le Commissioni parlamentari di settore possano modificare di volta in volta il sistema dei rapporti fra Stato - Regioni - Enti locali. Diversamente, l'attuazione della legge n. 382 partirebbe già azzoppata e quindi compromessa nei suoi effetti democratici e decentrati.
Discutere oggi un bilancio regionale, senza tenere conto di queste tendenze e di questi condizionamenti, vuol dire limitare l'esame ad una sola parte della realtà senza peraltro valutare completamente tutti gli elementi del problema, cioè vincoli, limitazioni e condizioni che ne derivano al bilancio ed alla stessa possibilità e capacità di intervento della Regione.
La finanza regionale e quella comunale sono oggi strettamente collegate soprattutto perché costituiscono le risorse principali per affrontare i bisogni della collettività in campi essenziali della vita. Per questo le Regioni debbono farsi carico che i Comuni abbiano adeguati mezzi finanziari ed autonome capacità di scelta, ivi compresa una rinnovata e sufficiente potestà impositiva.
Il mio partito - particolarmente nel suo recente congresso di Torino ha dimostrato la propria autonoma attenzione ai gravi problemi non solo amministrativi e finanziari che Travagliano il Paese. I contenuti del progetto socialista sono al centro del dibattito sulla linea politica ed economica che la Nazione deve darsi per uscire dalla crisi drammatica che sconvolge il Paese stesso nei suoi gangli economici e istituzionali. Della nostra posizione generale, nel discutere questi bilanci regionali, è importante ricordare, in particolare, le scelte in materia di politica del lavoro e di politica istituzionale, poiché la presenza del nostro partito in Giunta ha certamente anche il significato di rendere sempre più coerenti anche a livello locale le linee di azione dell'Amministrazione con le scelte di fondo di trasformazione della società, proposte al Paese dal progetto socialista. Rispetto alle azioni di riorganizzazione dell'apparato produttivo e del mercato del lavoro, gli interventi qualificanti previsti dal programma e dai bilanci regionali, sono il ragionato e valido riscontro della ragionata validità di una linea politica nella quale crediamo e che attraverso le articolazioni e' le direzioni proposte nel bilancio rappresenta uno sforzo impegnativo da sostenere politicamente e da indicare al sostegno concreto delle altre forze politiche che consentono sulle proposte di indirizzo e di obiettivo, in esso contenute.
Con questi documenti finanziari che stiamo esaminando ci troviamo praticamente al primo momento di verifica con la linea di indirizzo contenuta nel Piano di sviluppo. Mi pare di poter dire che le nostre vere basi di politica economica regionale, le abbiamo ormai alle spalle, perch le abbiamo fatte nello scorso mese di luglio dopo attento ed approfondito dibattito in questo Consiglio. Questi documenti rappresentano quindi, come ha detto il relatore, il primo momento concreto di raccordo tra le esigenze rilevate e le risorse disponibili per soddisfarle.
Non saremmo noi a negare che questo stesso raccordo ha comportato una serie di "tagli" all'insieme dei programmi e dei progetti contenuti nello schema di bilancio pluriennale presentato nel mese di luglio scorso, come allegato al Piano di sviluppo regionale.
Questa è la forza e la logica delle cifre, che non si possono trasformare con la bacchetta magica, né mutare a piacimento di chi è preposto al loro aggiustamento e alla loro sistemazione in un quadro di credibile operatività e funzione. Ne emerge un quadro che, sostanzialmente è rispettoso della deliberazione consiliare del 27 luglio e su questa valutazione io credo che si debba sostanzialmente convergere al di là dell'an-golazione valutativa di ogni forza politica qui presente.
Sull'insieme delle spese per il 1978 (al netto del fondo ospedaliero) è stato già detto e ripetuto stamani dall'Assessore Simonelli, che oltre il 24% delle risorse è destinato all'agricoltura, e una percentuale analoga, o forse superiore, è destinata all'as-setto e all'organizzazione del territorio, settori indicati - reiteratamente indicati dal Consiglio - come settori prioritari e indiscutibilmente fondamentali. Anche sulla base pluriennale queste priorità vengono rispettate laddove è dimostrato a bilancio che queste due aree di intervento comportano il 50% e più della spesa nel triennio. Naturalmente la scarsità di risorse - che ha obbligato ad operare i tagli in alcuni settori - ha anche incidenza sulle previsioni pluriennali. In particolare vi sono voci importanti, come, per esempio, il Piano autobus o gli interventi dell'edilizia pubblica che, al 1980, sono riportati per memoria.
In altre parole significa (è stato detto dall'Assessore) che la Giunta ritiene questi interventi necessari e indiscutibili, ma non è in grado oggi di destinare le risorse adeguate al loro finanziamento. Si tratta peraltro, di quegli interventi per i quali è previsto un apposito finanziamento a carico del bilancio dello Stato (con il fondo nazionale dei trasporti e con il piano decennale dell'edilizia di cui sono piene le cronache politico-parlamentari) e pertanto, a nostro parere, occorre richiedere, con forza e con convinzione, che l'impegno assunto a livello governativo venga allo stesso livello mantenuto e soddisfatto.
Naturalmente, pur con queste rapide valutazioni di commento, non possiamo non riscontrare una notevole rigidità del bilancio che lascia modesti, per non dire esigui spazi per interventi nuovi. Per questo motivo occorre, a nostro parere, una ricognizione attenta condotta su tutta la spesa regionale, per verificare se non siano possibili ulteriori tagli su spese non prioritarie o scoordinate per destinare le risorse in questo modo eventualmente recuperate a rafforzare i programmi e i progetti del piano.
Questa operazione, secondo noi, dovrà essere condotta a partire già dai prossimi giorni, in sede di revisione delle leggi da un lato, e in sede di esame del consuntivo 1977 e di assestamento del bilancio 1978, dall'altro lato.
In quella stessa sede si potrà ulteriormente approfondire l'analisi del problema dei residui passivi, sul quale l'Assessore Simonelli e il Consigliere Paganelli hanno richiamato stamani un'atten-zione non superficiale del Consiglio, invitandoci all'analisi congiunta dei residui attivi e dei residui passivi e ad una nuova impostazione dell'attività legislativa del Consiglio. Comunque il problema dei residui passivi esiste e non sarò certamente io a negarlo. Ritengo tuttavia che la Giunta ed il Consiglio siano in grado di affrontarlo (senza divagazioni retoriche e mantenendoci fermamente ancorati al suolo della nostra possibilità operativa) nei tempi occorrenti e utilizzando le possibilità che la nuova legge di contabilità ci offre per evitare il formarsi e l'ingigantirsi di nuovi residui passivi nel futuro.
A questo fine mi pare corretta l'iscri-zione a bilancio di stanziamenti realistici e credibili; voglio dire, di stanziamenti calibrati sulla capacità concreta di spesa degli uffici regionali nel corso dell'anno.
La Giunta ha proposto perciò dei documenti finanziari e contabili che contengono rilevanti elementi di novità, sia in riferimento all'esistenza del Piano di sviluppo, sia alle innovazioni introdotte dalla legge di contabilità. Non saremo noi d'altra parte a pretendere che si tratti di documenti non perfettibili, né a ritenere che manchino raccordi, anche significativi, con quanto realizzato o proposto in passato. In questo senso l'esperienza del passato consente, accanto agli elementi di critica che abbiamo pur sempre tempestivamente formulato, il recupero anche di elementi che meritano di essere tenuti in considerazione anche per essere trasformati e adeguati alle reali esigenze di questo momento.
L'estrema gravità della situazione che stiamo attraversando e nella quale ci troviamo a operare, richiede il contributo di tutte le forze democratiche. Questo contributo può essere più proficuo, se ciascuno non perde di vista i caratteri della propria identità e si sforza tuttavia di riconoscere il ruolo da svolgere in questa grossa ed impegnativa fatica politica e pubblica.
Vi è un imperativo assoluto al quale nessuna forza democratica ha il diritto, secondo noi, di sottrarsi in questo momento: l'imperativo è quello di difendere in primo luogo la stabilità delle istituzioni democratiche.
Queste istituzioni non sono certamente perfette (e non abbiamo mancato nessuna occasione per stigmatizzarne le imperfezioni), ma rappresentano tuttavia, a nostro parere, un punto di partenza, se così si può dire "obbligato", dal quale si devono prendere le mosse per modificarle in meglio, in senso più giusto, in senso più civile e, se mi permettete, in senso più socialista.
Contro queste istituzioni è in atto un duplice attacco: quello dello scollamento, del deterioramento e della destabilizzazione per linee interne e quello che viene dall'e-sterno e che passa dall'aggressione violenta e sanguinosa e dal terrorismo.
Qualche tempo fa, l'on. Pajetta, il compagno Pajetta, rispondendo alla rituale domanda di Maurizio Costanzo, disse che dietro l'angolo. . . , c'è un altro angolo. Una risposta indubbiamente intelligente e gravida di sottintesi e di significati. Se non vogliamo che dietro l'angolo ci sia un altro angolo, e poi un altro angolo ancora e poi ancora un angolo e poi magari il buio tragico e torbido di ogni avventura, credo - e so che siamo tutti convinti - che questo non è più tempo di parole, ma di fatti veri, di iniziative concrete, di decisioni coraggiose che tutti, ognuno per la propria parte, è chiamato a svolgere e ad assumere. Noi socialisti cercheremo di fare la nostra parte e, consapevolmente, diamo il sostegno ai documenti di bilancio presentati dalla Giunta.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Petrini. Ne ha facoltà.



PETRINI Luigi

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, da quando è stato approvato il documento programmatico generale della Giunta regionale (Piano di sviluppo) è questa la prima occasione per misurarci, a distanza di nove mesi, su elementi concreti che costituiscono la proiezione delle impostazioni allora enunciate. E' vero che il mese scorso ci ha visti impegnati in un dibattito sulla cosiddetta "verifica", i cui termini e le cui caratteristiche sono state però più simili ad un excursus di metà legislatura che ad un puntuale e particolareggiato confronto sui temi e gli aspetti qualificanti dell'attività regionale.
Lo stesso atteggiamento del Gruppo della D.C., in quella fase, la rinuncia, cioè, ad una dettagliata disamina a pro di una severa valutazione del momento politico regionale, presuppone che taluni nodi, talune critiche, talune osservazioni attendessero il vaglio del documento di bilancio per potersi compiutamente esprimere.
Credo senz'altro che ci possa essere riconosciuto per allora, tramite l'intervento dell'amico Bianchi, il pregio insieme d'una analisi essenziale ed esauriente, così come oggi, durante tutto il corso del dibattito sul bilancio, cercheremo di qualificare il nostro comportamento, arricchendo l'analisi con contributi financo critici, ma certamente costruttivi quali si possono attendere da una forza di governo anche dall'opposi-zione.
L'angolo di osservazione del bilancio regionale, vale subito premetterlo perché è caratteristica di ogni testo consimile, è insieme tecnico contabile e politico - programmatico. I due aspetti, però, sono i volti di una stessa medaglia ed il loro significato non può essere oggetto di differenti valutazioni, nella misura in cui l'uno è lo specchio, la proiezione della volontà e della capacità di realizzare l'altro. C'è attorno al tema del bilancio - atto contabile, tutta una serie di osservazioni - che meglio ha sviluppato il collega Paganelli - circa la sua non rispondenza alla legge nazionale e a quella di contabilità regionale che abbiamo di recente approvato, al suo effettivo e realistico dimensionamento, all'arco temporale del triennio che va ad abbracciare al problema dei residui passivi, tutti aspetti sui quali desidero soffermarmi solo per trarre elementi utili in relazione all'esame della "dinamica programmatica" della Regione Piemonte.
Credo che dalle cifre esposte emergano alcune contraddizioni capaci di portare ad effettiva distorsione dei processi programmatici che non potremo definire in atto, ma che comunque dovranno, prima o poi, prendere l'avvio.
Ad esempio, la divaricazione esistente tra bilancio di competenza e di cassa suggerisce la considerazione che gli importi iscritti a bilancio siano in funzione di processi a volte estranei ad una scelta prioritaria di linee di programma.
Questo elemento finisce col mettere in evidenza una distorsione strutturale a livello di spesa, che grava negativamente sulla politica di programmazione. Il peso degli interventi economico-territoriali nelle aree interessate è infatti percentualmente assai più basso - come ricordava già il collega Paganelli - in termini di cassa rispetto a quelli di competenza.
Le dimensioni di un bilancio devono, per quanto mi consta essere l'obbligo di legge, avere un preciso riferimento a quelli che sono gli effettivi poteri, le effettive capacità di impegno e di spesa della Regione.
Altrimenti i termini di credibilità di un documento di bilancio, articolato in maniera da riconoscere esso stesso non "spendibili" aliquote importanti di spese regionali, scadono irrimediabilmente e con essi viene messa in dubbio la stessa volontà della Regione di dar corpo ad indicazioni programmatiche.
Dico sommessamente che forse la formazione del bilancio pluriennale e del preventivo 1978 ha risentito di criteri che forse si volevano confinati al passato, ma che all'atto pratico si sostanziano nel voler dare a ciascun settore il massimo possibile di "finanziamento", anche se ciò finisce con l'inficiare la pratica esplicazione del documento in realizzazioni concrete.
Ci saremmo veramente attesi che dal documento programmatico del luglio scorso venissero enucleate, secondo promessa e per area di intervento delle "priorità", tanto più necessarie quanto più limitate sono le risorse regionali. Il respiro pluriennale è sufficientemente ampio per consentire delle scelte da ritenersi qualificanti nell'ambito delle cinque aree di intervento a suo tempo delineate. Il criterio è sicuramente più produttivo oltre che rispondente alle premesse ed alla logica del Piano di sviluppo che demandava appunto ai documenti di bilancio l'articolazione delle priorità.
Credo, anzi, che il fare delle scelte sia un metodo sicuramente più coraggioso che non una metodologia di spesa a raggiera, un sistema contributivo a pioggia che scontenti il minor numero possibile di interlocutori della Regione. Settori come l'agricol-tura, ad esempio, come l'industria e le aree attrezzate, come taluni comparti del sistema infrastrutturale, come la difesa del suolo, sono a mio avviso "punti deboli" dell'as-setto regionale e, in quanto tali, da privilegiare non tanto e neppure sotto l'aspetto meramente quantitativo degli stanziamenti quanto piuttosto come espressione di un'attività che la Regione intende mettere in atto nel triennio di competenza, partendo proprio da quei settori.
Il bilancio pluriennale non contribuisce dunque, l'ho già accennato all'enu-clearsi di quelle priorità che il documento di programma preannunciava e che dovevano e devono costituire il terreno di confronto per misurarne il grado e la capacità di attuazione. E non c'è che un mezzo per superare questa carenza di fondo: in termini estremamente concreti riteniamo che si tratti di procedere su due strade: 1) puntare su pochi obiettivi, tenendo conto che si tratta di formalizzare impegni per i quali ci restano poco più di due anni di lavoro.
E qui bisogna subito essere chiari ed abbandonare senza remore impostazioni troppo ambiziose, troppo onnicomprensive e perciò scarsamente attendibili puntando più sull'aspetto qualificante del perseguire un certo fine che disperdere il potenziale della programmazione regionale in troppe direzioni. Ciò non significa essere "riduttivi", ma realisti, viste le esperienze del passato 2) scendere nel concreto di alcune scelte fondamentali per l'avvenire della nostra Regione. Ed è la conseguenza, sul piano operativo, del primo punto.
Il bilancio pluriennale al 1980 ci dice che ammontano a 1.942 miliardi le risorse disponibili: si tratta di impegnarci ad utilizzarle proficuamente, evitando dannose dispersioni, cercando invece di puntualizzare le scelte di fondo e invitando tutte le forze politiche ad un confronto diretto su progetti idonei e su proposizioni concrete.
Ritengo di poter identificare, in tale contesto, i settori nei quali queste scelte debbono avviarsi in maniera prioritaria ed i contenuti cui essi debbono fare riferimento per raggiungere l'obiettivo di uno sviluppo equilibrato e "diffuso" nella nostra Regione. Innanzitutto l'assetto del territorio.
Ancora una volta la Giunta regionale riprende il vecchio discorso - da noi condiviso - del contenimento dell'area metropolitana di Torino (che cumula tensioni e violenze, oltre che distorsioni economiche ed urbanistiche) e dello sviluppo dei centri urbani e dei Comprensori esterni.
Ma tutto rimane un vecchio discorso, se non si dà seguito alle politiche ed agli interventi che pure, e non da oggi, si dichiara di voler mettere in atto.
E' appena il caso di richiamare quanto affermato in sede di esame del Piano di sviluppo. Già allora si dichiarava che: "Se l'obiettivo è quello della diffusione dello sviluppo, si tratterà da un lato di impostare una politica che abbia riguardo di interventi da porsi in atto nel quadro di direttive di settore ormai acquisite e come tali definitivamente per seguite; dall'altro di analizzare e verificare la compatibilità di interventi con gli obiettivi generali, accettati e riconosciuti come validi da tutte le componenti interessate al processo programmatorio". Se la volontà di bilancio collima con i fenomeni in atto, che segnalano spostamenti di aziende industriali a raggio ridotto, anziché ad una valorizzazione delle aree deboli, che parta da una più equilibrata ripartizione delle risorse per creare incentivi all'insediamento industriale ed artigiano, si giungerà alla creazione della terza cintura torinese, ribaltando su di essa il carico dei problemi di diversa natura già sul tappeto. Oggi invece noi diciamo che è necessario: attuare scelte più precise sul territorio predisporre interventi e strumenti che veramente incomincino a funzionare e quindi ad incidere sui problemi e sulle difficoltà.
In caso contrario, prosegue la tendenza attuale, che è ancora quella di un allargamento a macchia d'olio dell'area di Torino e di crescenti difficoltà in quasi tutta la restante parte del Piemonte.
Se gli strumenti regionali sono ridotti, non devono comunque essere inefficaci: guardiamo alle aree industriali attrezzate. La realizzazione di quelle delimitate segna, nonostante tutto, il passo (vedi Vercelli) prospettive di revisione a breve termine - magari per includervi il Verbano che mi pare presenti oggi tutte le caratteristiche per "meritare" l'intervento regionale - sembrano piuttosto labili. L'ipotesi di due direttrici pedemontane (Ivrea, Biella, Borgosesia e il Cuneese meridionale) come alternativa logica allo sviluppo del polo torinese sembra perdersi, o comunque non trova accoglimento come specifica linea di indirizzo regionale, Il tutto, e qui riprendo un vecchio discorso, mentre prosegue, a mo' di stillicidio, anche se non di caduta verticale, la recessione nell'ambito di quei Comprensori situati all'imbocco delle vallate a settentrione e meridione della Regione.
A nostro avviso, pur riconfermando la necessità di proseguire con maggior celerità sulla via della creazione delle aree esistenti, occorre ribadire l'opportunità, in termini politico-programmatici, di individuare altre aree attrezzate in maniera articolata, tenendo conto sia dei settori in crisi sia delle zone in più accentuata recessione.
In questa direzione impegnare con carattere di priorità le risorse disponibili, senza dimenticare che l'ormai nota identificazione delle aree deboli del territorio piemontese (sulla base di indici mediani di comprensorio), oltre ad essere per taluni aspetti insoddisfacente, rischia di diventare essa stessa lo strumento di interventi non coordinati sotto il profilo programmatorio. Sull'enunciazione di obiettivi di fondo, quali il mantenimento di livelli occupazionali, la valorizzazione delle risorse locali esistenti, il massimo di dotazione e di utilizzo delle infrastrutture e così via, ci si può trovare, ma acriticamente, d'accordo.
In mancanza di un quadro di riferimento di pianificazione comprensoriale cui agganciare le singole iniziative, si torna a ripetere la metodologia più volte contestata di interventi privi del necessario coordinamento. Tre anni possono essere tanti o pochi: sul terreno delle inadempienze alla legge sulle procedure della programmazione siamo già molto avanti, pur disponendo del tempo per rimediare se esiste effettivamente la volontà di far decollare il processo di programmazione a livello locale con i piani socio - economico - territoriali di comprensorio. Non dimentichiamo che è anche in questo contesto che possono trovarsi delle linee e degli sbocchi a situazioni che coinvolgono tutti i settori, non solo quello industriale.
Infatti sviluppare il resto del Piemonte alternativo all'area metropolitana di Torino, vuol dire sì sviluppo industriale, aree industriali attrezzate ma anche "decentrare" qualcosa d'altro. Perché non si parla più dei decentramenti universitari o delle nuove Università di Novara, Vercelli Alessandria e Savigliano, che pure occuparono nostre discussioni come Consiglio regionale e conseguirono anche unitari ordini del giorno? La periferia si sviluppa con l'industria, ma anche con altre attività. Il Piemonte che non è Torino, vuole non solo sostegni industriali, ma anche impulsi "terziari", impulsi culturali.
Per l'industria vale la pena di riprendere talune considerazioni per evidenziare che se il settore prevalente, il meccanico, "tira", ciò non di meno non esclude che, ad esempio, il secondo settore per importanza, il tessile, per lo più localizzato all'esterno dell'area metropolitana continui nel suo lento calo a livello regionale.
Calo che è fatto di perdita occupazionale, di costante aumento del ricorso alla cassa integrazione, di riduzione percentuale del peso della parte piemontese del settore in riferimento al contesto nazionale, di problemi di riconversione e di necessità di proposte della Regione in merito, con specifico riferimento al piano nazionale del settore tessile settore la cui intelaiatura è per lo più composta da aziende medio-piccole.
Sulle difficoltà di questo tipo d'azie-nda minore si è già detto molto e si sono spese parecchie analisi, ciò che si attende ora anche dalla Regione per effetto del Piano di sviluppo che si è data, è un'adeguata risposta in termini di incentivo e sostegno, per quanto concerne la politica creditizia, e un aiuto - in termini nuovi - a forme associative e consortili in funzione della ricerca dell'esportazione dei servizi delle infrastrutture.
In tema di politica industriale, chiedendo venia della digressione su di un tema non prettamente attinente al bilancio, mi sento debitore di un chiarimento all'Asses-sore Rivalta, che, in sede di dibattito sulla verifica, ebbe modo di esprimere alcune valutazioni negative sull'insediamento Lancia di Verrone. Quest'ultimo, deciso alla fine degli anni '60, fu il tentativo di programmare una crisi territoriale, economica e sociale di vaste proporzioni.
In un Piemonte, ancora in fase di evoluzione positiva, il Biellese nel decennio 1961/1971 presentava: una popolazione residente pressoché stazionaria sulle 205.000 unità con un notevole incremento del grado di invecchiamento e con costanti saldi naturali negativi una fortissima riduzione del tasso di attività pari a 7 punti un calo di addetti nell'industria di circa 9.000 unità, pari al 14 circa un'espansione del reddito tra le più basse del Paese.
In tale contesto, l'avvio dello stabilimento Lancia si configurava: come salvaguardia dell'equilibrio occupazionale dell'area a seguito della crisi tessile, settore fondamentale dell'economia biellese come impulso alla diversificazione industriale, svincolando parzialmente la zona da un'accentuata monoindustria, soggetta a congiunture cicliche depressive e a forti ristrutturazioni come riequilibrio regionale con il depotenziamento dei fattori attrattivi del polo metropolitano torinese e con il recupero di risorse esistenti nel Comprensorio di Biella come offerta di nuove opportunità di lavoro, nell'ambito di una pendolarità accettabile, nei limiti di un normale flusso immigratorio e di urbanizzazione omogenea.
Con l'entrata in attività dello stabilimento Lancia nel 1973 si sono sostanzialmente rispettati tali condizioni ed obiettivi. Resta da sottolineare che il contenimento dell'occupazione nello stabilimento al livello di 1.700 unità che nelle previsioni dell'azienda avrebbero dovuto essere 2.650 nel 1978, non ha permesso di sostenere completamente la tenuta socio-economica della zona. Dal 1971 ad oggi nel Biellese si è infatti registrato : un'ulteriore stazionarietà della popolazione un nuovo calo degli attivi di circa il 5 un'ulteriore contrazione degli addetti all'industria (5.600 unità pari al 10% circa).
Tutto ciò dimostra come per il Biellese nascono ulteriori esigenze di interventi per la difesa del sistema di tradizionale impianto produttivo e per nuove localizzazioni non tessili di piccola e media entità in grado di: assorbire manodopera espulsa, soprattutto femminile, dal settore tessile e offrire posti di lavoro ai giovani bloccare lo sviluppo verso la pianura che trascinerebbe - a tempi medi - anche gli insediamenti urbani.
Credo che i dati esposti, pur se valutabili anche in termini relativi cioè di rapporto con diverse aree piemontesi in caduta, possa senz'altro essere conclusivo per un giudizio sereno di ciò che ha rappresentato l'insediamento Lancia nel Basso Biellese. Il respiro pluriennale del bilancio ed il suo porsi, a due anni dalla fine della legislatura, come momento di valutazione dell'attua-zione o meno di scelte programmatiche, è in sé un fatto positivo, anche se solo di metodo dovendosi attendere una risposta della Giunta in merito alla definizione delle iniziative concrete di attuazione dei disegni di piano.
Per scendere nei particolari, mi riservo soltanto due osservazioni che, è bene precisare, sono tali nel quadro generale di giudizio sinora espresso con esso compatibili e comunque non valutabili senza di esso. Mi riferirò quindi al tema dell'assetto idrogeologico ed urbanistico ed a quello dell'edilizia che tra l'altro presentano momenti di connessione. La legge n. 56 sembra aver avuto, tra le sue ripercussioni - tra le quali non poche di segno negativo - quella di ride stare l'interesse sul tema dell'assetto idrogeologico, che eravamo abituati a sentire echeggiare allorché si verificavano sul territorio piemontese disastri naturali di grave entità. Per altre fonti si è saputo di un "progetto finalizzato", di una "carta dei fiumi", di una "carta del dissesto"; non si può non consentire su iniziative così qualificanti, soprattutto se esse avranno la possibilità di trovare, nell'ambito della Regione, un'articolazione vasta ma un coordinamento unico. Quello che ci attendiamo, in ogni modo, è che studi e progetti, ormai numerosi, trovino spazio e diano origine a concrete iniziative regionali almeno per quanto concerne gli improcrastinabili interventi di sistemazione idrogeologica, invertendo la tendenza registratasi nel triennio 1975/1978.
Per il settore edilizio abitativo, le cui difficoltà strutturali sono note, tanto sul fronte dei problemi aziendali, che certo la legge n. 56 non ha semplificato, quanto su quello del fabbisogno abitativo esistente in Piemonte, c'è da dire che, dopo la legge n. 382 ed il conseguente passaggio degli Iacp ai Comuni, l'impegno di coordinamento della politica edilizia della Regione sarà più consistente, soprattutto se le intenzioni della pubblicazione, di recente apparsa, vorranno essere tradotti in realtà.
Anche la programmazione in questo campo può essere strumento per ribaltare in positivo la gravità della situazione abitativa piemontese; per realizzare il riequilibrio territoriale e per un corretto uso delle risorse: per ciò stesso, anche l'impegno a valorizzare ed a riqualificare il patrimonio abitativo esistente diventa un momento fondamentale della politica della casa, utile, beninteso, nella misura in cui si pensi al recupero e alla conservazione delle abitazioni degradate, che nei centri storici sono abbandonate e possono invece essere risanate. E giungo al termine con una notazione che ritengo conseguente alle valutazioni sin qui esposte: mi riferisco al ruolo dei Comprensori nel contesto della nostra Regione.
Il discorso delle strutture attraverso le quali si esprime l'attività è di un "discorso quadro" di ogni documento di bilancio: in questo contesto i Comprensori giocano un ruolo fondamentale. Atteso che si intende far sì che i Comprensori diventino veramente il nuovo ordinamento finalizzato alla politica di piano, c'è da chiedersi se il bilancio pluriennale fa corrispondere gli intendi menti ad un'azione concreta per valorizzare il ruolo dei Comprensori, pur tenendo conto del vasto dibattito in corso sul tema dell'Ente intermedio. Non dimentichiamo che il Comprensorio, così com'è, potrà sempre restare una dimensione programmatica della nostra Regione: ciononostante, poco della realtà attuale e dei propositi di bilancio fanno pensare ad un rilancio di attività a questo riguardo.
Desidero solo aggiungere che la Regione deve poter contare anche sugli altri Enti ed organismi periferici, in primis Comuni e Province, cui vanno attribuiti più responsabilità, più poteri e più risorse, se veramente si vuole superare la figura della Regione come Ente di amministrazione attiva diretta e di gestione. E' la realizzazione di quello che la D.C., ha sempre definito - in termini generali - lo stato delle autonomie; la Regione Piemonte ha ancora due anni di tempo per dimostrare se ci crede davvero.
Siamo infatti convinti che il dopo "382" deve caratterizzarsi nella concretezza privilegiando la soluzione di problemi immediati che permettano un'affermazione degli interessi delle comunità locali.



PRESIDENTE

Con l'intervento del Consigliere Petrini termina la seduta mattutina. I nostri lavori riprenderanno alle ore 15.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 12,45)



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