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Dettaglio seduta n.187 del 06/04/78 - Legislatura n. II - Sedute dal 16 giugno 1975 al 8 giugno 1980

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SANLORENZO


Argomento: Informazione

Dibattito Rai-Tv


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Apriamo i nostri lavori con il dibattito sulla Rai-Tv.
Signori Consiglieri, il dibattito che si svolge oggi in Consiglio regionale risale ad un impegno preso da tempo di discutere all'interno del Consiglio stesso i problemi relativi all'informazione radiotelevisiva; ed in concreto era stato deciso nel corso dell'incontro svoltosi il 20 gennaio 1978 tra i Capigruppo del Consiglio regionale ed il Comitato regionale per il servizio radiotelevisivo.
In tale occasione si era infatti rilevata l'opportunità che il Consiglio regionale esaminasse i problemi e le difficoltà finora emerse nel funzionamento di questo organismo di consulenza della Regione, istituito dalla legge n. 103 del 1975, nonché le proposte e le prospettive per il futuro. A tal fine si era concordato che i membri del Comitato presentassero le loro dimissioni prima della riunione del Consiglio regionale, sia per ribadire la propria posizione critica circa i ritardi nella realizzazione della riforma della Rai, sia anche per consentire alle forze politiche di procedere ad un'eventuale sostituzione degli attuali membri, sostituzioni che potrebbero rendersi opportune a conclusione della prima fase di attività del Comitato ed in vista dei nuovi compiti che ad esso potrebbero essere affidati.
A seguito di quanto deciso nel corso di questa riunione, il 15 febbraio 1978 il Presidente del Comitato regionale per il servizio radiotelevisivo dr. Bollati, segnalava al Presidente del Consiglio regionale ed ai Capigruppo consiliari che il Comitato, come concordato, si presentava dimissionario e nello stesso tempo trasmetteva una serie di documenti al fine di fornire, come era stato richiesto, una base di informazione aggiornata ai Consiglieri.
Questi documenti riguardavano soprattutto l'attività svolta dal Comitato nel periodo della sua costituzione fino ad adesso. Come è noto la legge di riforma della Rai prevede che ogni Consiglio regionale elegga, con voto limitato ad almeno i due terzi dei membri da eleggere, un Comitato regionale per il servizio radiotelevisivo composto da nove membri che dovrebbe durare in carica tre anni.
Il Comitato regionale - dice la legge - è organo di consulenza della Regione in materia radiotelevisiva, formula indicazioni sui programmi radiotelevisivi destinati alla diffusione regionale, formula altresì proposte da presentare al Consiglio di amministrazione della società concessionaria in merito a programmazioni regionali che possono essere trasmessi su reti nazionali e regola l'accesso alle trasmissioni regionali.
Il Comitato fu eletto dal Consiglio regionale il 23 ottobre 1975 e fu insediato il 10 novembre dello stesso anno. Fummo la seconda Regione in Italia a dar vita a questo Comitato. Da allora ad adesso il Comitato ha tenuto 46 riunioni effettive oltre ad una nutrita serie di consultazioni incontri e sedute conoscitive con i responsabili della sede di Torino dell'Azienda, con gli organismi sindacali dei lavoratori e dei giornalisti e con Enti ed associazioni interessate ai problemi dell'informazione radiotelevisiva.
L'attività principale, svolta dal Comitato in questo periodo, riguarda la regolamentazione per il diritto di accesso, che si è estrinsecata nell'effettuazione di circa 100 trasmissioni radiofoniche regionali.
Il Comitato ha anche predisposto diversi documenti sulla situazione del decentramento della Rai-Tv, con particolare riguardo ai problemi connessi alla sede di Torino, ed ha inoltre avviato contatti proficui con altre Regioni ed altri Comitati a livello nazionale.
L'attività fin qui svolta dal Comitato ha sempre avuto caratteristiche unitarie. Tale spirito unitario ha anche guidato la decisione di rimettere al Consiglio regionale il proprio mandato nella consapevolezza della necessità di una ristrutturazione e rafforzamento dell'organismo che ne faccia uno strumento adeguato ai nuovi e sempre più impegnativi compiti che attendono sia le Regioni che il Comitato nella prospettiva di prossima realizzazione della Terza rete televisiva e della definizione della regolamentazione delle radio e delle televisioni locali. E' altrettanto importante che, a livello nazionale, venga dato seguito all'im-pegno già da tempo assunto di una legge di regolamentazione delle emittenti locali nello spirito della sentenza della Corte Costituzionale.
L 'inizio dell'attività della Terza rete televisiva, infatti, che dovrebbe cominciare a funzionare dal 1° gennaio del 79, è uno dei problemi più importanti che riguardano in questo momento la possibilità di un profondo rinnovamento dell'intera comunicazione radiotelevisiva soprattutto perché dovrebbe costituire un notevole passo avanti sulla strada di un suo auspicato decentramento che non verrà senz'altro esaurito con l'attuazione della Terza rete, ma che comunque vedrà un netto miglioramento. Almeno ce lo auguriamo tutti.
Tale rete, basata sull'attività decentrata delle sedi regionali della Rai-Tv, prevede: trasmissioni regionali o interregionali a diffusione regionale o interregionale, trasmissioni regionali a diffusione nazionale e trasmissioni nazionali integrative delle trasmissioni regionali. Permette cioè una regionalizzazione dell'informazione, non nel senso localistico e campanilistico, ma di un'integrazione reciproca che porta a livello nazionale le informazioni regionali e porta a livello regionale alcuni aspetti dell'infor-mazione nazionale.
Da quanto abbiamo detto appare evidente l'estremo interesse che riveste per le Regioni l'entrata in funzione di questa Terza rete che deve costituire, come già abbiamo detto, momento e occasione qualificante per l'attuazione dei principi riformatori dell'Azienda Rai attraverso l'afferma zione di alcuni principi fondamentali, quali quelli del pluralismo, della partecipazione democratica, del decentramento ideativo e produttivo, della valorizzazione delle capacità e professionalità interne all'Azienda stessa.
Proprio in tale ottica è particolarmente importante che le autonomie e le Regioni in particolare assumano un ruolo primario di partecipazione e di promozione nel processo di decentramento del servizio pubblico radiotelevisivo nazionale.
Dobbiamo però aver ben presente a questo proposito che la Terza rete non è qualcosa di acquisito e di certo, né lo è la sua entrata in funzione al 1° gennaio 1979. Restano infatti aperti alcuni problemi di non poco momento quale quello dell'asse-gnazione di frequenze alla Terza rete attraverso l'emanazione del relativo decreto e quello dell'approvazione del piano triennale di investimenti disposto dalla Rai, senza il quale evidentemente non si può dare il via al potenziamento delle strutture decentrate necessarie e indispensabili all'avvio della Terza rete. Si tratta di due problemi che auspichiamo siano rapidamente risolti affinch la scadenza del 1° gennaio sia rispettata.
Né d'altra parte possiamo pensare che attraverso la costituzione della Terza rete sia definitivamente e totalmente risolto il problema del decentramento perché è chiaro che anche la Prima e la Seconda rete devono essere investite da tale problema. Credo che siamo tutti concordi infatti nel dire che, nonostante i passi avanti finora compiuti attraverso l'approvazione e la prima attuazione della legge di riforma, il tipo di informazione che viene fornito dalla Rai-Tv rivela ancora lacune omissioni, e una spaccatura ideologica che comporta presenza di informazioni non del tutto corrette. Questa situazione va rapidamente superata.
Abbiamo infatti ben presente che questo importantissimo mezzo di comunicazione di massa, nei confronti dei quali è stato intrapreso negli ultimi anni un lento e faticoso processo di rinnovamento, non privo di costanti pericoli di involuzione, può assumere, se correttamente gestito un ruolo positivo e può contribuire ad accrescere la partecipazione dei cittadini alla vita culturale diventando uno strumento fondamentale a disposizione della collettività. In questo ambito assume particolare importanza la creazione della Terza rete, soprattutto per il Piemonte dove si potrà così dare un idoneo mezzo di espressione ad una Regione che raggruppa circa un decimo della popolazione italiana e che registra al suo interno una condizione di separazione e alle volte di contrapposizione tra culture di matrici diverse che dovranno trovare la loro possibilità di esprimersi attraverso la Terza rete, come attraverso la Terza rete dovranno evidentemente essere valorizzati gli eventi politici, sociali e sindacali che caratterizzano l'intera area sociale piemontese. Ma perché ciò avvenga è necessario che i Comitati regionali per il servizio radiotelevisivo, di cui abbiamo testé visto come la legge individui molto genericamente i compiti, possano sviluppare la propria azione in rapporto al decentramento della programmazione delle reti nazionali, soprattutto al fine di collegare le strutture televisive con gli organismi regionali.
Dobbiamo pertanto porci come compito primario quello di un rilancio dei Comitati regionali proprio come momento di raccordo con la realtà regionale se si vuole che la riforma della Rai coincida e si colleghi con quella più vasta e fondamentale riforma dello Stato che tutti auspichiamo e che stiamo portando avanti. Ciò anche per far sì che le Regioni diventino elemento di partecipazione democratica garantendo che i cittadini possano giungere alla libera espressione delle loro opinioni nell'ambito di un servizio pubblico democraticamente , gestito.
E' chiaro però che i Comitati regionali per il servizio radiotelevisivo, cosi come adesso esistono e funzionano, non hanno nessuna forza contrattuale nei confronti dell'Ente radiotelevisivo. Noi dobbiamo potenziarli e valorizzarli, nel caso richiedendo anche modifiche alla legislazione nazionale in materia e dobbiamo anche porci il problema di riaffermare lo stretto collegamento del Comitato con il Consiglio regionale, indicando nell'ambito del Consiglio stesso un preciso organismo destinato ad intrattenere rapporti continui e sistematici con il Comitato.
E' evidente che non possiamo pensare che le Commissioni permanenti, già oberate di lavoro e comunque destinate ad altri scopi, possano assolvere tale compito; potrebbe pertanto essere una proposta, quella avanzata in occasione della riunione ricordata tra i Capigruppo ed il Comitato Rai e ulteriormente discussa martedì scorso, della costituzione di un'apposita Commissione che si incarichi di tutti i problemi che riguardano la Regione e l'informazione. Più in generale i Consiglieri avvertiranno che noi abbiamo un intero articolo dello Statuto su cui abbiamo lavorato per attuarlo ma dal quale ci separa ancora molto cammino. I Consiglieri avranno coscienza che se si risolveranno per intanto i problemi connessi al rapporto Regione - Rai Tv un grande passo sarà stato compiuto in questa direzione.
Ha chiesto la parola il Consigliere Bellomo. Ne ha facoltà.



BELLOMO Emilio

Signor Presidente, sull'opportunità di riprendere il dibattito sul vessato e spinoso problema della riforma radiotelevisiva, non c'è una sola parola da spendere, perché tutti siamo convinti e consapevoli che soltanto attraverso l'iniziativa e l'azione specifica di un fronte riformatore compatto e deciso, sarà possibile pervenire ad una soluzione del problema stesso.
E' vero anche - come ha detto il Presidente - che questo dibattito risale ad un preciso impegno assunto da questo Consiglio, lo scorso anno, e ribadito ancora recentemente dai Presidenti dei Gruppi consiliari riunitisi alla presenza dei rappresentanti del Comitato regionale per il servizio televisivo: rappresentanti che hanno rassegnato le dimissioni correttamente, sia per lasciare il più ampio e critico spazio al nostro dibattito e sia anche per sottolineare una posizione critica e negativa nei confronti di coloro che portano chiaramente le responsabilità dei pesanti ritardi nell'at-tuazione della riforma radiotelevisiva. L'attività svolta dal Comitato è già stata illustrata nella relazione introduttiva; i risultati raggiunti, le difficoltà superate, i tentativi di concretare attraverso contatti coi responsabili della sede torinese della Rai, coi rappresentanti sindacali, coi lavoratori, coi giornalisti, con enti ed associazioni, il tentativo di concretare, dicevo, i compiti affidati al Comitato della legge di riforma.
Dopo altre puntuali affermazioni sul lavoro del Comitato, ed altrettante puntuali osservazioni sui travagli e sulle vicissitudini che attraversano il cammino - non certamente spedito - della legge di riforma mi pare che la relazione del Presidente si incentri ad un certo punto su una scadenza importante di calendario, il 1° gennaio 1979, data nella quale dovrebbe avere inizio l'attività della Terza rete televisiva che dovrebbe finalmente concretare un aspetto importante della riforma,e cioè il decentramento regionale e interregionale, legato all'istituzione ed al funzionamento dei NIP (nuclei di ideazione e di produzione). Una data quindi molto importante e molto significativa nella storia della televisione riformata o riformanda.
Se debbo considerare tutte le cose da fare e non fatte; tutte le cose dette e tradite; gli impegni assunti e dimenticati; i proclami enfatizzati e fatti cadere subito dopo; se debbo te nere presente questo tasso mnemonico, concludo immediatamente dicendo che, al punto in cui siamo e se non riusciremo a investire la tendenza - scopo anche questo del nostro dibattito - il 1° gennaio 1979 sarà come quello del 1978, come quello del 1977; sarà, cioè, un capodanno normalissimo, dove le due reti televisive manderanno in onda i soliti programmi triti e abituali, dove qualcuno di noi troverà il modo di conciliare le conseguenze dei bagordi di San Silvestro con il tepore degli affetti casalinghi e con la benedizione dello specchio televisivo il cui audio inonderà le case di musiche psichedeliche e immagini silvo-pastorali.
Non voglio certamente fare dello spirito a buon mercato, né il bastian contrario ad ogni costo, ma istintivamente sono portato a non credere più agli impegni presi sulla sabbia da parte di coloro - e forse sono molti di più di quanto sospettiamo - che dichiarano a piena gola di essere riformatori, mentre in effetti non raddrizzerebbero nemmeno un quadro appeso obliquamente perché intanto è sempre stato obliquo ma è sempre stato ugualmente appeso.
Voglio dire che se dobbiamo essere onesti, prima di tutto con noi stessi, non possiamo non vedere che talora nello stesso fronte di forze riformatrici, ogni tanto si scoprono degli spazi vuoti, per non dire ambigui, dentro i quali le forze contrarie alla riforma che sono certamente, potenti e agguerrite, svolgono le loro manovre e cospirazioni per ritardare, quando non addirittura per mandare a ramengo gli sforzi e le fatiche di quanti perseguono l'obiettivo vero e completo della riforma prevista dalla legge 103. Una riforma - come dice la Critica Sociale - che ha tre anni di vita e che dovrebbe ormai essere abbastanza sviluppata mentre invece è soltanto ammalata, forse perché già nata da imbarazzanti pasticci, anche se tutti noi abbiamo definito un successo il fatto che fosse comunque nata. Una riforma che è vissuta stentatamente già nei suoi primi mesi di vita e che poi è stata segnata nel destino anche se al suo fianco sono corsi dottori ed esperti, demiurghi e padreterni, senza peraltro ottenere il prodigio di una guarigione completa e totale; forse perché le medicine (accesso, decentramento, nuovo modo di produrre rapporto con la società reale) furono sempre somministrate con le ragioni di Stato .
Ho già avuto modo di ricordare che questa legge di riforma è già il risultato, non completamente soddisfacente, ma concreto, degli sforzi e delle iniziative unitarie delle Regioni.
Se di una legge riformatrice, incompleta e insoddisfacente nei suoi meccanismi non si riesce, ciò malgrado, ad attuare quello che essa comporta per cause che tutti possono immaginare e controllare, mi domando come si possa avere piena ed incondizionata fiducia nella possibilità di raggiungere quegli obiettivi che essa indica come effetto della riforma.
Finora è stato cosi o quasi, e forse proprio da questa constatazione nasce il mio istintivo pessimismo che mi fa dire che non mi meraviglierei più di tanto se il 1° gennaio 1979 sarà un giorno qualsiasi nella storia della radiotelevisione italiana. E' chiaro però che quella data potrebbe invece essere una svolta nel video nazionale se le Regioni sapranno trovare quello slancio e quel rilancio unitario alla propria azione che pure qualche risultato ha già dato nel recente passato. Ma è un grosso impegno di lavoro che nessuno deve sottovalutare. Per dimostrarlo basterà dire che se volessimo fare il conto sul numero di convegni e di dibattiti riguardanti la riforma radiotelevisiva, ci perderemmo in un mare di numeri.
Non esiste, credo, città, regione, circolo culturale che non abbia espresso, che non abbia detto qualcosa a favore della riforma, ma nonostante questo gran parlare, questo gran dibattere, dobbiamo amaramente dire che i conti non tornano, che c'è qualcosa che non ingrana, qualcosa che non conclude e che dobbiamo scoprire per rimuoverlo.
Lo stesso convegno di Aosta, del-l'ottobre 1976, è stato considerato un punto fermo sulla regionalizzazione della Rai-Tv (anche perché veniva subito dopo la sentenza della Corte Costituzionale che liberalizzava le antenne private), ma non si vedono ancora gli effetti positivi di quell'iniziativa, che pure fu un'iniziativa delle Regioni (e dei Comitati regionali) dalla quale ci ripromettevamo tutti quanti degli effetti positivi e solleciti.
Credo che nella proiezione di quanto è stato intrapreso negli anni scorsi, le Regioni debbono riprendere l'iniziativa riformatrice nell'ambito delle loro possibilità e capacità e per ottenere il rispetto della legge da tutti coloro che non intendono farsi carico della stessa. E' il momento reale per una vera ripresa dell'iniziativa per un suo rilancio, per una consapevole moltiplicazione degli sforzi riformatori. Un esempio ci viene già dal recente convegno, tenutosi nel febbraio scorso a Firenze, e nel corso del quale il dott. Natalino Guerra, Presidente democristiano del Consiglio Emilia Romagna, ha dichiarato responsabilmente che il caos dell'etere deve finire con evidente riferimento alla selva in controllata e indisciplinata delle libere antenne. Il Presidente socialista della Giunta Toscana, avv. Lagorio, che coordina l'attività delle Regioni in questa fondamentale materia dell'informa-zione, è stato a sua volta esplicito nel dichiarare che "la Terza rete è una parte della riforma che comprende altri interventi in tutti i canali", aggiungendo, con una punta di polemica - per me legittima - che la Rai-Tv appare ancora come un corpo abnorme, con una grossa testa romana (che pensa per tutti e, per esempio, per noi piemontesi ha il dimenticatoio facile) alla quale, in qualche modo, cerca di contrapporsi una testa milanese e con alcune piccole e deboli articolazioni periferiche; come la nostra torinese, se non ho capito male, che potrebbe invece essere una testa autonoma, pensante, intelligente e capace di produrre e di portare un contributo originale e culturale a tutto il Paese e non soltanto alla Regione Piemonte.
In buona sostanza possiamo dire - e questo è un segnale che mi recupera fiducia - che le Regioni italiane non vogliono essere e non tollereranno di essere delle cenerentole radiotelevisive e rivendicano giustamente il proprio spazio e la propria funzione. Sia chiaro - lo diciamo per coloro che si chiedono spaventati: "Ma dove vogliono andare queste Regioni? Cosa vogliono ancora più di quanto già hanno avuto, questi amici del giaguaro?" sia chiaro che le venti Regioni italiane non vogliono venti radiotelevisioni regionali, perché siamo consapevoli che cosi facendo andremmo a determinare la morte della Rai-Tv e quindi la morte di un servizio pubblico. Ma le Regioni italiane vogliono lo spazio che compete loro attraverso l'attuazione della legge di riforma, perché, in fatto di informazione, le Regioni hanno una loro originale parola da dire in proposito.
A Firenze queste convinzioni sono state unanimemente ribadite dalle Regioni presenti, cosi come è stata ribadita la necessità del carattere di servizio pubblico della radiotelevisione e non più di monopolio di parte, e quindi di un vero e proprio corpo separato, come sottilmente e senza argomenti obietta ancora qualcuno, da qualche parte. E poi ci sono ancora i fans delle antenne private: grosso problema, anche questo, che deve trovare una sollecita definizione nell'osservanza della libertà di antenna sancita dalla sentenza della Corte Costituzionale, e nel concetto di pluralismo sul quale, ogni tanto, sarebbe opportuno fare un po' di luce a vantaggio di tutti i cultori del pluralismo.
Per il problema delle radio e delle televisioni non pubbliche locali l'esigenza di una loro regolamentazione è urgente. Non si tratta - secondo il quadro definito dalla Corte Costituzionale - di contrapporre il servizio pubblico a quello non pubblico locale. Si tratta semmai di pensare e trovare un giusto equilibrio integrato sul quale le diverse componenti si arricchiscano reciprocamente sul piano dei contenuti della qualità dell'informazione e di un suo modello valido. E qui c'entrano indiscutibilmente le Regioni, la loro presenza, un loro reale potere per intervenire nella regolamentazione e nell'integrazione del non pubblico con il pubblico servizio. E se poi in questa visione delle cose si presume che la qualità dell'informazione sia tale da essere un autentico strumento di sviluppo democratico e culturale del Paese - al cui interno si sviluppano tensioni di ogni genere - anche in un sistema informativo cosiddetto integrato, si arriva inesorabilmente ad essere parte del servizio pubblico nel senso che tutti si troverebbero ad un certo punto al servizio del Paese e di un'informazione corretta e pluralistica.
Ricapitolando e concludendo: siamo per un decentramento che investa tutta la struttura della Rai ma che oggi ha nella Terza rete radiotelevisiva, la sua scadenza primaria.
A Firenze le Regioni hanno chiesto anche la regionalizzazione piena di una rete radiofonica. In questo senso la Regione Lombardia ha già votato un documento preciso e articolato siamo per l'approvazione urgente del piano di investimenti per il triennio 1978/1980, perché in mancanza di questo, la Terza rete resterà una vaga chimera come quella del cow-boy dell'Arizona siamo consapevoli che non serve dire "no" alle antenne locali radiotelevisive, ma bisogna arrivare ad una forma di integrazione che non soffochi nessuno e che garantisca la funzione di servizio pubblico alla Rai sappiamo infine che non basta protestare contro le inadempienze del Ministero o di chi per esso, ma che bisogna rinvigorire la battaglia riformatrice sia all'interno che all'esterno dell'istituzione regionale sappiamo, infine, lo ha già sottolineato il Presidente in apertura nella sua relazione, che la battaglia da fare è quella per lo sviluppo e l'affermazione di un controllo democratico di massa quale unica e vera garanzia nei confronti dell'eventuale concentrazione nelle mani di pochi e potenti gruppi che siano privi di qualsiasi responsabilità pubblica.
Per quanto riguarda la proposta del Presidente di fare questa Commissione per i servizi dell'informazione, personalmente sono d'accordo perché è un problema che diventa sempre più complesso e che occorre seguire passo passo per non lasciare vuoti di continuità nell'ipotesi di rilancio del-l'azione della Regione.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE BELLOMO



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Cerchio.



CERCHIO Giuseppe

Questo dibattito si colloca al termine di una prima fase istituzionale che si era aperta con la legge di riforma e si colloca - a nostro modo di vedere - a pieno titolo in un periodo certamente delicato - come richiamava il collega Bellomo nel suo intervento - nel quale occorre saldare in termini concreti, reali e graduali le avviate battaglie del decentramento.
Un decentramento radiotelevisivo, av-viato come problematica già dal 1969, approfondito con il primo convegno di Napoli del 1972 individuato....



CALSOLARO Corrado

Non è presente nemmeno un Assessore. Mi chiedo se il dibattito debba proseguire.



PRESIDENTE

Gli Assessori stanno arrivando, continui pure.



CERCHIO Giuseppe

Grazie.
Già nella fase iniziale il decentramento non poteva essere soltanto produttivo, ma doveva essere anche ideativo, un decentramento delle reali capacità creative di progettare programmi ed un'autentica autonomia nell'organizzare la produzione fuori dagli schemi autoritari tradizionali.
Decentramento è anche, a nostro avviso, un nuovo modo di organizzazione del lavoro che possa permettere di regionalizzare democraticamente la produzione anche culturale della Rai, coinvolgendo gli operatori ed evitando sprechi tipici delle gestioni centralizzate. Decentramento quindi ideativo, produttivo ed anche organizzativo.
Su questa base e in questa visione che è andata maturando negli ultimi anni e che ci trova, come partito, ovviamente consenzienti, si è collocata l'ipotesi della Terza rete televisiva come un o dei momenti principali per l'attuazione del decentramento della produzione e delle ideazioni dei programmi televisivi, come opportunamente rilevava il Presidente Sanlorenzo nella sua relazione introduttiva.
Decentramento che potremo definire come punto di partenza e di arrivo della riforma, un decentramento dell'Ente che non può prescindere dall'ordinamento regionale, né tanto meno dall'esigenza di una presenza concreta delle Regioni stesse nella gestione, avendo peraltro cura non di soddisfare interessi particolaristici o di alimentare spinte periferiche ma di realizzare un vero decentramento per raggiungere quegli obiettivi che la riforma si è posta come punto fondamentale.
Appare ovvio come la funzione positiva svolta dalla televisione negli anni '50/'60, attraverso la diffusione di un omogeneo modello di cultura e di linguaggio, funzione positiva per aver raggiunto vasti ceti e vaste aree, prima escluse, ora non ha più senso; oggi questo modello non è più aggiornato, non tiene conto del nuovo, delle culture emergenti, del processo storico che ha avuto in Italia uno sviluppo regionale, oggi questo modello deve ovviamente essere ripensato, rovesciando il punto di partenza con un'impostazione che nasca dalla periferia per giungere al centro invertendo quella che è stata, viceversa, la politica che partiva dal centro per andare a ramificarsi in periferia.
In questo senso il decentramento viene ad assumere una necessità indiscussa, l'Ente Regione può rappresentare una struttura importante, e la rete regionale può collocarsi come area concretamente positiva nei confronti delle antenne private, molte delle quali ricche antenne private sono proliferate in questi ultimi tempi e non sempre con caratteristiche di autentico pluralismo e partecipazione.
Su questo tema delle emittenti private, qui già richiamate, varrebbe la pena spendere alcune considerazioni. Mi limiterò a rilevare come queste come fenomeno nel loro complesso, abbiano svolto certo una sorta di ruolo di supplenza nei confronti dell'emittente pubblica, tenuto conto specie di alcuni ritardi di attuazione del processo di decentramento e della regionalizzazione.
Queste emittenti, peraltro, hanno anche creato un modo diverso di informare, nel bene e nel male, hanno creato curiosità, realizzato esperienze di cui va preso atto. Auspicando una definitiva legislazione del loro problema, occorre però muoversi al riparo dall'insidia costituita dalla conquista dell'etere per creare canali alternativi che possono interferire negativamente nello sviluppo democratico del Paese, mentre l'Ente pubblico deve rappresentare una garanzia completamente affidabile per portare le culture locali ad esprimersi in reale pluralismo.
In sostanza l'Ente pubblico deve - a nostro modo di vedere - porsi come scopo istituzionale quello di far esprimere la comunità regionale nella varietà e ricchezza delle sue culture e voci.
Su questo tema è chiaro che la proposta emersa e contenuta nella relazione informativa del Comitato regionale piemontese per il servizio radiotelevisivo del febbraio scorso, di una corresponsabilizzazione della Regione, e quindi in questo caso della Regione Piemonte, nella .gestione e controllo di mezzi di comunicazione private, che esercitano sul territorio regionale, tale proposta non può che essere considerata positivamente, pur tenendo peraltro conto che la competenza primaria deve essere a livello certo superiore. In questo senso non si tratta di dover impostare rapporti di concorrenza, battaglia o di lottizzazione, ma di corretta distinzione di campi e ruoli come richiamava prima il collega Bellomo.
Risulta chiaro comunque che le attuali 2.000 emittenti radiofoniche e 370 televisioni nel Paese, pur essendo obiettivamente più aperte ai problemi locali, agli interessi della vita d'ogni giorno, assai raramente hanno finora attuato quel pluralismo che deve essere ed è in buona misura alla base del servizio pubblico. Sempre meno ricerca di informazione seria sempre più varietà di pura evasione, sempre più sleale concorrenza al cinema, scarsa validità di contenuti culturali, queste alcune caratteristiche di molte emittenti private che non hanno lanciato modelli culturali, e se mai nella loro più o meno solida posizione esistente vivono solo per precostituire oggi posizioni di forza nella giungla delle frequenze. Ma se riteniamo valida la ricerca di realizzazione della televisione regionale, come vero ed autentico luogo di promozione, anche in alternativa a molte emittenti private, prive di seri contenuti culturali siamo anche perfettamente convinti sui tre tipi di programmi che il Consiglio di amministrazione della Rai ha deciso nel senso che produrranno in autonomia di ideazione e di realizzazione, per un'utenza regionale interregionale e nazionale, diffondendo quindi lo specchio della diversità legittima del tessuto socio-culturale del nostro Paese. Si tratta cioè di non ghettizzare in un ambito solo regionale ciò che viene ideato e prodotto in ogni Regione ed assicurare nel contempo a ciascuna Regione strutture e mezzi per portare avanti questa soluzione.
Per questo occorrerà riservare la mas-sima attenzione al collegamento con le istituzioni culturali collocate sul territorio, per questo il palinsesto della Terza rete dovrà prevedere tutte le possibilità espressive, per questo si dovrà arricchire la proposta che attualmente le altre due reti televisive offrono all'utenza (una proposta certo non ottimale), per questo si dovrà realizzare una creatività di idee e non una paccottiglia locale per un reale collegamento tra la periferia e il centro.
Ma a questo punto si pone il problema di come si opererà alla luce anche della tipologia dei mezzi che il piano triennale di investimenti porrà a disposizione della Terza rete.
Ogni sede regionale dovrà ovviamente essere posta in condizione di produrre e trasmettere in modo autonomo, ciò presuppone (non è il caso di Torino, dove già opera un centro di produzione) che entro la fine dell'anno in tutte le sedi Rai venga allestito un piccolo studio televisivo.
Sarebbe miopia vedere il problema legato cioè solo alla nostra realtà regionale piemontese, in quanto la nuova struttura ha un vero significato solo se nel territorio, nella sua totalità, potrà contemporaneamente, anche se gradualmente, essere realizzato.
E' chiaro poi che gli apporti ideativi e realizzativi sono tutti da recepire, valutare e dovranno essere prospettati purché si conducono ovviamente, sul terreno del possibile. In questo ambito occorre chiarire se le reti regionali opereranno con personale ideativo, tecnico amministrativo, interno all'Ente o se utilizzeranno, più o meno aggiustando il tiro degli attuali programmi dell'accesso (che non hanno espresso in termini positivi alcun risultato), se potranno essere utilizzati sull'autoproduzione culturale dei soggetti collettivi. Noi riteniamo al riguardo necessario utilizzare, per ciò che idealmente e tecnicamente è possibile, questi organismi, giungendo peraltro a garantire la massima professionalità, utilizzo e valorizzazione del personale esistente potenziandolo per i nuovi impegni.
Il problema della regionalizzazione e del decentramento non può non tenere conto delle dimissioni del Comitato regionale per il servizio radiotelevivo, dimissioni che, per quanto mi è dato sapere, sono state presentate, in accordo con altri Comitati di altre Regioni, cito la Lombardia, allo scopo di provocare dibattiti sui poteri a loro affidati e sulla difficoltà per le Regioni di esercitare funzioni più incisive.
E' sufficiente, è chiesto dal Comitato stesso nella sua nota informativa, a garantire la presenza della Regione nell'ambito del funzionamento della Terza rete? Siamo d'accordo al riguardo per un suo rafforzamento e un collegamento continuativo con l'organismo regionale, ad esempio, con i Capigruppo e con altre strutture.
In un momento in cui tutto il sistema del governo locale è investito da un notevole processo di trasformazione, in un momento in cui stiamo vivendo una nuova fase di mutamento del sistema locale di governo, particolarmente impegnativa per i suoi risvolti, ma assolutamente originale e ricca di interesse per le sue potenzialità, in un momento in cui si amplia il ruolo propositivo e di guida che agli Enti territoriali democraticamente rappresentativi spetta di svolgere nei confronti delle proprie comunità, il molo di proposta che la Regione deve esprimere è talmente importante e decisivo anche in questo campo delle comunicazioni per un'autentica valorizzazione del decentramento popolare, che deve vedere, essa Regione protagonista attiva.
Queste considerazioni non possono concludersi senza riaffermare che accanto al pluralismo istituzionale, i cui limiti sono davanti ai nostri occhi, deve potersi collocare il pluralismo delle fonti di informazione, di ideazione e di proposta che non sono assoggettabili alle ricorrenti tentazioni della ripartizione delle sfere di influenza.
Queste alcune valutazioni che a nome del Gruppo D.C, ritenevo di dover presentare quale contributo a questo dibattito, nel quale interverrà, a completamento di queste note, il collega Bianchi.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marchini.



MARCHINI Sergio

Va sottolineato positivamente l'atteggiamento del Comitato Rai-Tv espressione di questa istituzione, che, caso se non unico certamente raro ha voluto rinunciare a esistere se non in una funzione più precisa, più puntuale e più attuale. Rivolgo al Comitato un ringraziamento per il lavoro che ha svolto e per la sua serietà ed esprimo in questa sede la valutazione del nostro rappresentante in assoluta concordanza di intenti e con estremo senso del pluralismo. Questo è quanto mi viene detto sul funzionamento della Commissione ed in particolare del Presidente, anche se non è espressione di forza a me vicina.
Il dibattito di oggi è un primo momento di riflessione sulla Terza rete televisiva come occasione di presenza e di diversificazione del servizio pubblico a livello regionale. Questo fatto apre un dibattito, non tanto sull'aspetto, quanto sul modo di intendere l'informazione, perché non possiamo garantire alla collettività regionale questa espressione, se non troviamo il modo di aprire un discorso più valido, più riflessivo e più articolato di quello su carta stampata. I diversi soggetti presenti sul territorio possono contribuire a provocare una maggiore conoscenza dei problemi.
Si sono ripetute in questa sede alcune espressioni trionfalistiche e soprattutto si è incominciato a ricostruire il tabù delle televisioni private.
Non è accettabile la valutazione trionfalistica che era stata fatta della televisione degli anni '50, in ordine ad un modello di cultura italiana omogenea (Gioberti avrebbe potuto dire che non era stata fatta soltanto l'Italia, ma erano stati fatti anche gli italiani); ma se gli italiani dell'Italia, finalmente fatta, sono quelli usciti dalla cultura della televisione degli anni '50 e '60, dovremmo dire oggi che non solo sono da fare gli italiani, ma è da fare l'Italia da zero: è rimasta ai nostri concittadini l'infor-mazione sulla capacità "brillantante" o cose di questo genere! Se invece la realtà della vita di ogni giorno trovasse un'espressione più legata ai fenomeni di carattere locale, ma soprattutto di carattere specifico del territorio, farebbe crescere la nostra collettività nella consapevolezza delle interdipendenze tra le ipotesi e le decisioni, le risorse e le conseguenze. Sarebbe un modo valido per far capire al pubblico i fenomeni e la realtà, aspetti che la Rai-Tv, cosi come è concepita, non fa conoscere perché nello sforzo di differenziare l'un canale dall'altro le testate e le gestioni, mi pare abbia un pluralismo sul colore del giallo. I telegiornali e i dibattiti culturali tendono a descrivere un'Italia della minoranza, l'Italia della violenza e dei drogati. Sono certamente delle realtà; ma l'Italia che, bene o male, riesce a sopravvivere come Paese industrialmente avanzato, che riesce ad essere presente in tutti i consessi culturali e scientifici del mondo, l'Italia che lavora, l'Italia degli umili, dei semplici, tra i quali noi ci poniamo che uso può fare dello strumento televisivo? La rivoluzione in atto, il nuovo modello di vita che si sta realizzando sono fenomeni storicamente rilevanti come quello del brigantaggio al quale assistiamo tutti i giorni. I fenomeni positivi vengono però completamente ignorati e quindi non possono ricevere il sostegno di quella parte della vita che è l'arte, la cultura, la riflessione, rischiando di approfondire lo scarto fra il Paese reale degli umili che lavorano, che operano, che studiano e l'Italia della cultura, della ricerca, della riflessione che finisce per diventare come è successo in tempi non lontani, l'espressione artistica, la riflessione scientifica dell'altra Italia .
Il dibattito in corso in questi giorni dimostra che la cultura attratta dai fenomeni di promozione di massa, tipo il cinema e la televisione, aveva coltivato argomenti, posizioni e trincee che non erano del nostro Paese erano posizioni marginali e i loro personaggi trovano difficoltà oggi, che tutto il Paese è in trincea, a ritrovarsi con il Paese stesso e a trovare la propria collocazione.
In questa misura una fase del programma pubblico anche a livello locale credo abbia la capacità di rimeditare la realtà che si esplica nelle diversificazioni e nelle specificazioni e possa contribuire alla crescita del Paese.
Non mi pare questa la sede idonea a riproporre la diatriba nei confronti delle televisioni e delle radio private perché, per coerenza dovrei chiedere ai colleghi di pronunciarsi contro l'accentramento delle testate giornalistiche, fenomeno non meno pericoloso, anche se di impatto immediato minore sull'utenza.
Avverto anch'io la preoccupazione espressa dal rappresentante socialista che questa nostra ricerca e sforzo di fantasia per capire in che misura una televisione più legata al territorio e ai fenomeni collocati in periferia, non possa essere valutata come volontà narcisistica di creare un nostro modo di espressione. Si dovrebbe distinguere la Regione in quanto istituzione, da Regione in quanto territorio. Cerchiamo di far crescere una rete, comunque un servizio, che sia espressione immediata e puntuale dei problemi, della realtà a livello periferico; quindi non sia tanto espressione del-l'istituzione e, nella misura in cui l'isti-tuzione verrà gravata di funzioni, sappia non identificarsi, come ha fatto lo Stato con la radiotelevisione. La critica che tutti rivolgiamo alla televisione di Stato è che la televisione è lo Stato, ergo il Governo; il Governo è la televisione e i problemi della Nazione sono quelli del Governo, le soluzioni sono quindi da esso proposte. C'è - stata la riforma, è vero però, in sostanza, avvertiamo che l'analisi della realtà italiana, che è obiettiva nella ricerca e nei risultati, è pilotata ed è strumentale rispetto alla gestione.
La notazione che ho fatto della ricerca masochistica delle nostre televisioni di Stato sono l'indicazione di una sottocultura generale esistente in questa problematica. Si è detto molto contro la televisione di Stato e non siamo certamente noi a sottovalutare gli aspetti paurosi della disinformazione, perché abbiamo l'impressione che continui ad essere amministrata con criteri da "carosello": c'é il prodotto da lanciare; si fanno le campagne pubblicitarie e, quando il prodotto è venduto, nessuno si preoccupa di sapere se funziona o meno, se la società è fallita. E' andato molto bene il prodotto Vietnam, mentre il prodotto Cambogia non interessa perché i mass media lo ritengono invendibile in Italia, così come per il Corno d'Africa e la bomba al neutrone. L'infor-mazione è ancora un veicolo non un bene assoluto e strumentale.
L'informazione, invece, è un bene assoluto, è un valore reale che impegna le Regioni in senso lato e in modo particolare il Piemonte che essendo centro di certe strutture si troverà in una situazione privilegiata ma anche di maggiore responsabilità. Cerchiamo, quindi, di fare come istituzione uno sforzo di fantasia per non ripetere in tono minore e in termini qualificativamente peggiori la scelta sbagliata che ha fatto lo Stato .
Concordo sull'opportunità che alla Commissione venga affiancata una rappresentanza del Consiglio regionale, proprio perché le forze politiche intese in senso ampio, siano presenti nella delicatissima fase della riforma della Rai-Tv.
Già una volta ho richiamato i colleghi sull'opportunità di impegnare le forze politiche affinché sappiano avere una visione non solo provinciale e regionale dei problemi, ma sappiano riflettere in termini ampi sui problemi nazionali e anche europei con la capacità di trarne le conseguenze gestibili a livello locale.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Besate. Ne ha facoltà.



BESATE Piero

E' doveroso salutare la ripresa della trattazione di questo argomento come un fatto altamente positivo ed estremamente importante. Fu proprio il Consiglio regionale piemontese a sollevare la questione della partecipazione delle Regioni alla riforma, quando l'allora Presidente Vittorelli, che fu il promotore del convegno di Firenze, aprì il dibattito e trovò ampi consensi. Fu la Presidenza del Consiglio regionale piemontese dai tempi dell'avv. Viglione e ora di Sanlorenzo, ad attuare iniziative che trovarono sbocchi a livello nazionale, come il convegno di Napoli ed altri già ricordati. La riforma in verità languiva ed è riconoscimento unanime degli operatori culturali, degli operatori della Rai-Tv, dei sindacati, che essa porta il segno dell'intervento delle Regioni.
E' vero che una volta conquistata una riforma è poi difficile applicarla, perché influiscono interpretazioni diverse, interessi consolidati e un certo modo di concepire la radiotelevisione e l'informazione. Non sarei scettico su questo argomento. La radiotelevisione abbraccia l'informazione, la formazione e la cultura, per dirla con un trittico caro ad un ex collega del Consiglio regionale. L'informazione è potere (in un colpo di Stato chi prende il sopravvento, prima degli aeroporti, va ad occupare le stazioni radiotelevisive), l'informazione è cultura ed è educazione. Guai se limitassimo l'infor-mazione radiotelevisiva alle notizie giornalistiche! Di fronte ai telegiornali lo spettatore smaliziato usa un suo filtro critico e coglie quell'informazione occulta che viene propinata attraverso gli spettacoli e le rappresentazioni che contengono sempre un messaggio culturale ed ideologico. Non si pu parlare di informazione obiettiva e corretta, perché l'informazione è corretta dal "mio" punto di vista ed è obiettiva dal "tuo" punto di vista.
L'informazione può essere corretta quando è completa, ma non sempre è possibile per i limiti temporali e può essere pluralistica quando viene da una gestione pluralistica. L'informazione non è mai neutrale (chi pensa queste cose è come Calandrino che andava a cercare la pietra filosofale e sappiamo che fine ha fatto).
Ecco perché è importante il nostro dibattito il quale non solo si fa carico del pluralismo politico, ma si fa carico anche del pluralismo sociale e territoriale delle culture. Per mezzo del Comitato regionale utilizzando tutto ciò che è previsto nella legge e seguendo le proposte fatte dal Presidente del Consiglio, possiamo davvero dare un indirizzo politico molto importante. E' stato proposto di istituire una Commissione che rappresenti il Consiglio nei rapporti con il Comitato, con le altre Regioni, con la Rai-Tv, con il Governo e con il Parlamento, perché le Regioni possano disporre delle strutture di produzione adeguate. Possiamo pensare che ogni Regione possa darsi una struttura di giornalisti, di artisti, di tecnici e di dirigenti? E' impossibile. E' l'azienda che deve fornire tutte le strutture e impostare una programmazione concordata fra tutte le forze politiche. E' importante che la Commissione sia rappresentata dal Consiglio e dalla Giunta: la Giunta rappresenta la maggioranza e il Consiglio si fa carico del pluralismo politico e culturale presente nella Regione, in tutte le articolazioni produttive, culturali e sociali.
Molti lamentano che l'informazione, così com'è fatta, non piace, per un verso o per l'altro; dobbiamo convenire che la televisione, sia pure con tutti i suoi limiti, non è più quella che veniva definita con una parola feroce ed espressiva allo stesso tempo "la Tv di Barnabicchi" per dire di Barnabei e Paolicchi. Si sono trovate soprattutto le condizioni di un ulteriore sviluppo. Se però le cose si sono attenuate e non hanno camminato sulla strada giusta, facciamo un'autocritica. In realtà le Regioni non hanno seguito il problema con la diligenza e lo sforzo necessari così come era avvenuto nella fase iniziale di formazione della legge. Tutto questo forse è spiegabile psicologicamente: raggiunto un primo risultato, si è pensato che le cose andassero avanti da sé, ma così non poteva essere.
Con questo dibattito riteniamo che si possa dare l'avvio, insieme con le altre Regioni, alla nuova importante fase di applicazione della legge.
Ricordo che dapprima eravamo contrari alla Terza rete. Si parlava di pericolo di ghettizzazione delle Regioni, si diceva che creare la Terza rete sarebbe costato molto e che i programmi non avrebbero potuto arrivare immediatamente dappertutto, specie nelle cosiddette zone d'ombra in montagna, e così via. Tuttavia la decisione ora è presa e dobbiamo stare molto attenti a non copiare pedissequamente le altre due reti televisive perché rischieremmo di essere ancora più noiosi; le Tv e le radio private dovevano essere il toccasana: in realtà non fanno altro che scimmiottare la grande Tv. Hanno un loro spazio che deve essere regolamentato. Sono problemi che vanno risolti nell'ambito dell'applicazione della legge di riforma, quanto mai urgente e quanto mai necessaria, perciò ritengo debba essere appoggiata la proposta della formazione della Commissione, così come ritengo sia opportuno accogliere la proposta del convegno regionale da tenersi prima della fine della sessione estiva, d'accordo con le altre Regioni, per discutere sull'impostazione della Terza rete, sui suoi contenuti, sulle funzioni, sul ruolo, sui centri di produzione. A Torino vi è un Centro di produzione ed altri Centri radiotelevisivi esistono nel Piemonte. Essi sono parte della cultura regionale, tuttavia troppe volte sono staccati dalla vita reale della società piemontese che ha tanta incidenza sulla realtà nazionale sia nel campo delle rappresentazioni teatrali, sia nel campo della produzione, dell'eco-nomia, del dibattito politico e della scuola.
Sottolineo quindi l'estrema importanza affinché questo dibattito e le idee qui esposte non siano soltanto un'espressione accademica, ma abbiano una loro conseguenza politica.



PRESIDENTE

Ha chiesto la parola il Consigliere Calsolaro. Ne ha facoltà.



CALSOLARO Corrado

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, il ritmo costantemente accelerato del susseguirsi nelle Commissioni e in Consiglio di leggi deliberazioni e dibattiti sulle materie più diverse ha ormai assunto proporzioni tali - e ne abbiamo avuto la dimostrazione non più di mezz'ora fa - da poter essere sopportato solo con grande spirito di sacrificio o con paziente rassegnazione in attesa del sopravvenire di una crisi di rigetto che renderebbe definitivamente inutile ogni sforzo di attenzione e di applicazione.
Mi rendo conto che questa situazione riguarda soprattutto i Gruppi più piccoli, ma poiché questi rappresentano a loro volta la maggioranza delle forze politiche presenti in Consiglio - essendone esclusi solo i Gruppi comunista e democristiano - mi è sembrato opportuno rendere questa testimonianza, magari solo a me stesso e al collega Bellomo, senza coinvolgere altre forze politiche che potranno dire le loro opinioni in proposito.
Ho detto questo perché la semplice lettura dell'ordine del giorno dei lavori del Consiglio di questi due giorni, la molteplicità e la diversità delle materie in esame non potevano portare - a mio avviso - che a considerazioni di questa natura, tanto che mi è venuta una tentazione maligna: quella di riprendere il testo dell'intervento da me svolto nella seduta del 28 settembre 1976 sui problemi del servizio radiotelevisivo (a questo proposito voglio dire al Consigliere Carazzoni che non ho mai avuto né consulenti né protettori. Mi spiace non sia presente, comunque lo leggerà sui verbali, fra dieci anni) e di ripresentarlo, identico nella sostanza e nella forma, certo che e per la disattenzione che in generale accompagna questi dibattiti e per la perduta memoria delle cose dette, ma soprattutto perché quasi nulla da allora ad oggi è mutato nel procedere della riforma, quel discorso avrebbe potuto essere tranquillamente ripetuto conservando ancora oggi la sua intatta validità.
Il collega Bellomo ha già espresso l'opinione del Gruppo socialista sui problemi della politica dell'informazione. E' certo che alcuni segni inquietanti arrivano dal mondo dell'informazione e delle comunicazioni di massa: le dimissioni di alcuni Comitati regionali della Rai-Tv; il voto contrario, anche se si è configurato come voto di astensione, del Presidente della Rai, Grassi, del Vicepresidente Orsello e dei due Consiglieri di amministrazione socialisti rispetto all'accordo tra le due maggiori forze politiche sulle posizioni chiave assunte nelle sedi regionali di Roma e di Milano, con una sorta di alleanza che si va qualificando di volta in volta all'insegna della centralizzazione e del sostanziale affossamento della riforma e degli istituti da essa previsti: decentramento, pluralismo delle testate, diritto di accesso, controllo dei Comitati regionali.
Non è la prima volta che da parte socialista si sollevano le più ampie perplessità e riserve sulla strada intrapresa dai gestori di accordi di vertice per la Rai e più in generale per tutto il campo dell'informa-zione mentre va ribadito con forza e con chiarezza che la riforma è essenzialmente il decentramento.
La stessa presa di posizione è stata fatta propria dal Presidente del Comitato di coordinamento delle Regioni, Lelio Lagorio, là dove affioravano nella sua relazione sulla Terza rete Tv preoccupazioni e riserve, e mi pare che riserve siano ben vive anche in altri Partiti come nel Partito repubblicano, a proposito del quale corre l'obbligo di citare la polemica con l'Unità sul piano di investimenti e su quello strano modo di intendere il decentramento che vuole confinare questo fondamentale istituto solo nella Terza rete Tv; nonché nella stessa Democrazia Cristiana nella quale sono apparse nel recente convegno a Milano profonde e significative divergenze fra il pubblico da una parte e Vittorino Colombo dall'altra.
Il Presidente della Giunta regionale della Lombardia, Golfari anch'egli presente al convegno, così commentava la sua posizione sul Corriere della Sera: "Non possiamo oggi tacere la preoccupazione per la relegazione del decentramento nella Terza rete, fermo restando il centralismo delle altre due destinate ad assorbire per chissà quanto tempo la maggior parte delle risorse dell'azienda".
Noi ci troviamo di fronte a scelte delicate che incideranno sul futuro del sistema informativo del nostro Paese almeno per i prossimi dieci anni.
Ci si avvia così ad una delle battaglie decisive per la sopravvivenza e lo sviluppo della democrazia nel nostro Paese. Gli schieramenti passano in realtà all'interno dei Partiti e quindi è necessario avere chiaro il quadro dell'azione nonché la reale posizione delle forze in campo.
La posta in gioco ci sembra questa. Da una parte il proliferare delle Tv e delle radio private (i giudizi espressi dai Consiglieri Cerchio e Besate mi trovano perfettamente consenziente), che sono partite con propositi rivoluzionari e in realtà si sono messe a fare i quiz e i giochi per bambini scemi, la pubblicità di negozi di elettrodomestici e lo spogliarello delle casalinghe, e nei cui confronti si esige una regolamentazione che sia la più democratica, decentrata e razionale possibile. Ciò significa che bisogna in primo luogo disegnare un 'utilizzazione ottimale delle frequenze disponibili che sono patrimonio della collettività, e in secondo luogo dare ed ottenere una precisa garanzia gestionale a chi aspira ad impiantare una stazione radio o Tv.
D'altra parte non si può considerare il problema della regolamentazione dell'am-bito locale disgiunto da quello della riforma e della democratizzazione attraverso il decentramento della Rai. Non si deve neanche dimenticare che la funzione della stampa rimane primaria in un Paese industriale moderno e va quindi non tanto protetta, come alcuni credono, quanto stimolata prevedendo tra l'altro la possibilità di connessione con l'emittenza elettronica locale pubblica e privata.
Infine a completare il quadro c'é il ruolo fondamentale della pubblicità: quella nazionale e quella locale. La sorte di consociate della Rai, molto discutibili, come la Sipra, va considerata, ovviamente, in un discorso unitario.
"Sviluppo massimo delle autonomie individuali e collettive", questa ci sembra essere la direttrice a cui ispirarci. Essa va proprio nel senso opposto al gigantismo della Rai: sia all'ipotesi della Terza rete Tv a proposito della quale non sono chiari i mezzi di finanziamento, le necessità di nuovo personale, le garanzie stesse di decentramento territoriale, sia al progetto Bubbico-Quercioli di regolamentazione delle radio e delle Tv locali.
Il nodo di fondo va trovato, a mio avviso, nell'inquietante esaltazione del termine "lottizzazione" che abbiamo trovato sulle labbra di alcuni eminenti uomini politici, secondo i quali la lottizzazione è naturale quando essa viene conclusa in modo proporzionale alla presenza di ogni partito in Parlamento. Questa lottizzazione garantirebbe il pluralismo in quanto ogni Partito che partecipa alla lottizzazione deve sentirsi garantito dai propri lottizzati nell'arco di uno schieramento democratico che non ha di fronte a sé più nessuna opposizione.
I socialisti sono stati i primi a provare l'insidia di questo meccanismo perverso tipico delle società burocratiche che vilipende la professionalità ed esclude sistematicamente proprio quei collegamenti con la società intesi come processi spontanei di aggregazione.
E' tipico di chi vede nei mass media solo un mezzo di controllo sociale diffidare della società e dei suoi imprevisti e puntare su un sistema di vertice accentrato e disponibile.
Lo sviluppo del servizio pubblico Rai affidato finora ai gruppi di pressione aziendali all'interno dei Partiti non può essere consentito se prima non si fa chiarezza sul problema dei finanziamenti: da dove verranno i soldi, se da un prelievo sulla pubblicità che danneggerà la stampa o da un aumento del canone che favorirebbe un travaso di risorse verso un'azienda che viene mantenuta inefficiente, industrialmente male organizzata e dominata da un blocco burocratico che vede nella continua espansione il rinvio del proprio rendiconto gestionale.
Nello stesso modo la legge sulle Tv e radio locali non può essere gestita da un organo centralistico che opererà con la massima discrezionalità e sulla base di aree di pluralismo, concetto questo certamente nuovo nel nostro ordinamento costituzionale.
I socialisti non possono accettare che il ruolo delle Regioni venga annullato né che il principio del controllo dal vertice romano si affermi su tutta la struttura informativa del nostro Paese. Queste riflessioni, che ho brevemente esposto, e che portano ad un confronto con tutte le forze sociali interessate alla massima apertura e democratizzazione del nostro sistema informativo devono avvenire - a mio avviso - in uno spirito di autonomia e di indipendenza di giudizi evitando di farsi attrarre sia verso l'orbita di coloro che vedono nel controllo burocratico verticistico la soluzione finale, sia verso l'orbita degli oligopoli privati i quali certo non esiterebbero, se si scegliesse la strada del vertice, a giocare la carta della libertà di informazione, mettendo le forze democratiche e progressiste in posizione di inadempienza di fronte alle richieste di attuazione della Costituzione che la Corte Costituzionale ha ritenuto di dover tutelare con la nota sentenza del luglio 1976.
Confermiamo quindi la nostra visione dialettica, decentrata autonomistica della società e delle sue istituzioni per un sistema delle comunicazioni di massa che proprio nella contrapposizione dialettica e nella sua stessa conflittualità strutturale ha la sua ragione di essere.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Curci.



CURCI Domenico

Signor Presidente, signori Consiglieri, è opportuno ricordare che la legge 14/4/1975, n. 103, che detta norma sulla riforma della Rai-Tv, ebbe la sua origine dalla sentenza n. 225 del 1974 della Corte Costituzionale che affermò la necessità di spostare il controllo del monopolio radiotelevisivo al Parlamento.
Era necessario, anzi doveroso, pertanto, che il Parlamento venisse messo nelle condizioni di valutare e giudicare preventivamente la situazione dirigenziale, produttiva e finanziaria dell'Ente, l'operato della Commissione parlamentare di Vigilanza e la sua effettiva possibilità e volontà di indirizzo e di controllo.
Ma la maggioranza della Commissione di Vigilanza preferì guadagnare tempo per ridisegnar e la mappa delle lottizzazioni aggiornandola ai risultati elettorali del 20 giugno, attraverso una partecipazione sempre più massiccia del PCI, lieto di passare dal ruolo di censore a quello di partecipe della spartizione del potere radiotelevisivo (il Consigliere Besate ha ricordato di quale potere si tratta), passando un disinvolto colpo di spugna su tutte le feroci critiche che il PCI aveva rivolto precedentemente alla pratica della lottizzazione che lo aveva visto sino ad allora escluso a vantaggio del Partito socialista.
Così, dopo le elezioni del 20 giugno, giostrando anche sulle faide democristiane che avevano messo in crisi il Consiglio di amministrazione e sulle velleità socialiste che avevano ridotto la credibilità del Presidente Finocchiaro, il PCI si è inserito sempre più pesantemente nel gioco delle lottizzazioni acquisendo direttamente posizioni di potere e di controllo nelle reti, nelle testate, nelle direzioni, nelle sedi periferiche e nelle società collegate - basti pensare alla Presidenza della Sipra, che ha l'esclusiva della pubblicità, e della Sacis che commercializza le produzioni -.
Da questo momento il PCI esercita il potere acquisito con una disinvoltura che esclude ogni problema anche minimo di coerenza. Così, dopo aver sostenuto lungamente che il pluralismo doveva esprimersi non nella spartizione delle reti e delle testate, ma all'interno di ciascuna di esse oggi che ha messo le mani sul terzo canale televisivo in gestazione, si appresta a farne uno strumento comunista, come il primo è democristiano ed il secondo dovrebbe essere socialista, ma è di fatto social-comunista.
Così, dopo aver sostenuto il maggiore rinnovamento ed il più largo spazio a "Tribuna politica", i Commissari del PCI hanno approvato, assieme a quello della DC (con il voto contrario o l'astensione di tutti gli altri), una nuova regolamentazione ancora più limitatrice della precedente: un totale di 15 ore e 40 minuti di televisione e 10 ore radiofoniche all'anno da dividersi tra dodici partiti con premio alla DC e PCI. Poco più di un'ora a partito all'anno, poco più di un minuto alla settimana, per i partiti di minoranza; intere ore al giorno per quelli della lottizzazione, DC e PCI in testa. Di politica si occupa, infatti, ogni ora sia la radio che la televisione: in una trentina tra giornali-radio e telegiornale, nelle interviste, nei dibattiti, negli speciali, nelle specifiche rubriche, tutte trasmissioni ad esclusivo uso dei partiti della lottizzazione, senza alcun rispetto della legge di riforma che sancisce, tra virgolette "l'indipendenza, l'obiet-tività e l'apertura alle diverse tendenze politiche, sociali e culturali".
Secondo la legge, la Commissione parlamentare potrebbe e dovrebbe intervenire: infatti essa, cito la legge, "controlla il rispetto degli indirizzi e adotta tempestivamente le deliberazioni necessarie per la loro osservanza"; ma la maggioranza dei "vigilanti" coincide con quella dei lottizzatori ed a chi sta all'opposizione non resta che la denuncia e la protesta.
Il risultato non è solo una Commissione di vigilanza impotente minorata e quindi inutile, ma è un servizio pubblico che in tutte le sue trasmissioni è parziale e tendenzioso, quando non è falsificatore della verità. Alla luce di questa innegabile realtà, è doveroso denunciare il mancato rispetto da parte della Rai di tutti gli indirizzi generali emanati dalla Commissione e la rinuncia della Commissione stessa a svolgere seriamente i compiti ad essa attribuiti dalla legge, come quello, ad esempio, di "favorire uno sviluppo del servizio che rispetti l'importanza e la molteplicità delle opinioni". Abbiamo la possibilità di testimoniare direttamente del conto in cui tali disposizioni vengono tenute dai realizzatori delle trasmissioni radiotelevisive e dai loro mandanti. Nelle trasmissioni puramente "informative" non vengono citate, o vengono citate distrattamente, come costituissero un trascurabile incidente, le opinioni di partiti "non inquadrati". Il Consigliere Besate diceva che la completa obiettività non è possibile: ma quando le notizie, anche importanti, che riguardano tali forze politiche, le loro impostazioni, i loro suggerimenti vengono trascurate o abilmente sotterrate in un flusso di comunicati ordini del giorno, informazioni di scarso rilievo, alla fide, un telespettatore non è più in grado di avvertire se sia stata trasmessa un'importante notizia politica, o il resoconto di un'arrabbiatura di qualche stratega da caffè. A volte le notizie e addirittura le dichiarazioni vengono completamente manipolate e deformate, specie se si tratta di notizie e di informazioni di destra.
La questione, peraltro, non riguarda soltanto i servizi giornalistici e di informazione. Tutte le trasmissioni radiofoniche e televisive, dalle varie forme di dibattiti, alle diverse inchieste, sino a certi programmi di "varietà" in cui vengono citati momenti e personaggi della vita politica italiana, sono congegnati in modo tale da ricordare ad ognuno gli uomini e i partiti "che contano nelle feste del potere", facendo cadere una coltre di silenzio e di oblio sugli "estranei, sui non addetti ai lavori" che sono, non bisogna dimenticarlo, uomini e schieramenti che rappresentano milioni di cittadini i quali contribuiscono con il proprio canone alla sopravvivenza dell'Ente.
La verità è che la Rai-Tv,com'è attualmente congegnata e strutturata a dispetto di tutte le belle parole che allietano la legge che dovrebbe regolarne le funzioni, somiglia sempre più ad un "despota-demagogo" a cui spetta il compito di rivelare le proprie "certezze", e soltanto quelle, al proprio gregge di sudditi, ed a costoro, per contro, non viene concessa alcuna possibilità di replica. Costoro hanno soltanto la possibilità di accettare il messaggio radiotelevisivo, oppure di spegnere l'apparecchio.
E' obiettivamente questa, Consigliere Besate, lei che parlava di strapotere, l'ultima dittatura, forse la più perfida: quella che non utilizza, o non utilizza soltanto le forme della minaccia o della violenza fisica, ma agisce direttamente sulle intelligenze e sulle coscienze delle proprie vittime designate, costringendole a credere di volere e di scegliere tutto quello che i potenti di turno pretendono che esse vogliano e scelgano.
Gli oppositori vengono praticamente imbavagliati, gli altri continuano a parlare tra loro di autentica democrazia.



PRESIDENTE

La parola alla dottoressa Castagnone Vaccarino.



CASTAGNONE VACCARINO Aurelia

Più che in Consiglio regionale abbiamo l'impressione di essere al bar a fare una conversazione amichevole dove alcuni si interessano in parte altri si disinteressano del tutto, altri addirittura non sono nemmeno venuti. Forse non hanno torto, perché assistere agli spettacoli della televisione è diventato estremamente noioso, per la ripetizione costante di rappresentazioni di carattere politico quando invece si desidererebbero programmi di riposo e di divertimento più opportuni per chi è impegnato in attività lavorative tutto il giorno.
Devo dire con estrema chiarezza e anche con scoraggiamento che i pezzettini di programmi in rispetto di quello che si chiama "diritto all'accesso" di questa o quella organizzazione, compresi anche i nostri partiti, sono noiosi, lamentevoli e insopportabili. Spesso si sente dire: "quanto sono noiosi e insopportabili gli uomini politici e gli organismi culturali". L'informazione corretta e onesta è più quella indiretta che quella diretta, soprattutto se quella diretta è fatta in questo modo; è quindi indispensabile la scelta degli argomenti perché è impossibile mandare in onda tutto quanto esiste nel mondo, ma è anche opportuno porre l'utente nella condizione di formarsi un giudizio autonomo, non propinandogli quindi un prodotto già confezionato, un prodotto da "Carosello". Questo è quanto il cittadino esige.
Oggi, tuttavia, non siamo tanto chiamati a fare una discussione generale sui programmi della televisione che ovviamente diventerebbe amplissima, quanto piuttosto sulla costituzione della Terza rete. I repubblicani non hanno nessuna avversione formale al decentramento perch ritengono che esso possa costituire uno strumento utile per aprire nuove possibilità di comunicazione, tuttavia ritengono che si debba avere quell'attenzione che altri Consiglieri hanno posto in evidenza, in ordine al rischio di un fenomeno di regionalismo o di provincialismo.
Ma vi è anche un altro problema, che qui non ho sentito sollevare con la dovuta serietà: se per la formazione dei programmi della Terza rete si intenderà assumere nuovo personale con un aumento di circa 1.000 persone,l'aumento della spesa generale sarà di 100 miliardi e l'aumento del canone di 8-9 mila lire. Possiamo chiedere ai metalmeccanici il blocco dei loro salari, oppure rivendicazioni di carattere estremamente modesto per sentire la Terza rete? Oppure non sarebbe più opportuno costituire la Terza rete con il personale esistente, decentrando le mille persone necessarie da quello strumento elefantiaco e assolutamente inefficiente? Il gruppo gestore della Rai-Tv ha il potere di attuare questa operazione di mobilità del lavoro? Tutti coloro che si sono lottizzata la Rai-Tv negli ultimi anni hanno sempre dichiarato che la mobilità del lavoro è un principio da tutti accettato. Vediamo se hanno il potere e la capacità di metterlo in atto. Si potrebbe obiettare che questo fatto mortificherebbe eventuali capacità ideative locali. Esistono molte televisioni e radio libere ed è riconosciuto da tutti lo squallore dei loro programmi e la mancanza di soggetti di grandi capacità ideative; dobbiamo perciò dire che, tutto sommato, il professionismo della Rai-Tv risulta essere ancora di gran lunga il migliore, quindi è consigliabile affidarci alle capacità ideative di quello che è un onesto mestiere, piuttosto che alle improvvisazioni di chi crede di essere diventato un creatore di messaggi. Sarebbe inopportuno inoltre mantenere la radiofonia, che dal 76 ha avuto un calo del 40% circa di utenza, ai livelli attuali di personale.
Mentre noi diamo estrema importanza alla comunicazione del messaggio politico, la Rai-Tv ne dà moltissima a quella di carattere sportivo soprattutto in merito alle partite di calcio. Sono entusiasta di Bettega (una cattedra di bettegologia potrebbe anche rendermi felice),ma la spedizione di 5 troupes, una per ciascuno dei settori oggi esistenti (e sarebbero 6 se ci fosse già la Terza rete), di inviati come osservatori di una partita per spiegarci da che punto è partito il calcio fatale, comporta una spesa così alta che il Paese dovrebbe evitarla.
Quindi il Consiglio regionale si pronunci sul tipo di rete che vuole costituire, se con l'assunzione di 1.000 persone, con i 100 miliardi in più e con l'aggravio di 9 mila lire di canone, oppure se vuole attuare la Terza rete con il decentramento del personale esistente. Su questi argomenti nessun Consigliere si è espresso, malgrado rappresentino uno degli aspetti fondamentali, e per non ridurre il dibattito sulla Terza rete ad un semplice discorso da bar.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Bianchi. Ne ha facoltà.



BIANCHI Adriano

Il Consigliere Cerchio ha espresso le valutazioni fondamentali del nostro Gruppo in ordine a questo problema. Per ragioni di economia e di rispetto verso i colleghi resisto alla tentazione di spaziare sulla deontologia generale o sulle valutazioni che ciascuno di noi è indotto a fare, quale utente occasionale della televisione. Mi auguro che si possa contribuire a rendere i mezzi di comunicazione di massa, specie quelli più suggestivi, gli audiovisivi, meglio atti ad una funzione più formativa, più educativa, nel rispetto della libertà degli utenti ed offrendo agli stessi spazi per l'esercizio delle facoltà critiche che scarsamente oggi riescono ad esercitare. Direi che, per la combinazione con lo stato di scadimento e di livellamento in basso della scuola, di mass media si può morire, anzich progredire, nel senso che la confusione generale delle idee e dei mezzi espressivi può dare luogo ad inconvenienti gravi. Non vorrei però augurarmi che in futuro si dovesse rimpiangere questo tempo, pur di confusione e di sovrapposizione di fonti di informazione, nel quale, se si hanno presenti tante realtà del mondo, diverse dalla nostra, nella quale si ritrova una grande ampiezza di informazione e di fonti disponibili, si deve concludere con l'augurio che, migliorando, questa situazione comunque permanga.
Ringrazio i membri del Comitato regionale per la Rai-Tv per il lavoro che hanno svolto in una condizione estremamente difficile; persone autorevoli nel senso più autentico e con grandi capacità di giudizio e culturali che hanno dovuto operare in situazioni di disagio. La lucidità e la stringatezza della relazione che ci hanno rassegnato rende loro onore la pronta disponibilità con le dimissioni a consentire e a favorire un processo di avanzamento e di adeguamento della nostra funzione aggiunge un elemento di merito.
Ribadiamo che siamo favorevoli a che la Terza rete entri in funzione senza concitazioni di calendario, avendo ben presente l'occhio agli oneri e ai costi, affinché questi siano commisurati ai risultati in concreto da ottenere che possono essere notevolissimi o possono essere deludenti a seconda dell'impostazione. L'attività decentrata non deve comportare un abbassamento dei livelli culturali. Ritengo che la Terza rete e il suo decentramento deve essere vista in funzione di un'operazione di ulteriore unificazione culturale del Paese, facendo emergere dei valori vitali che sono trascurati e che invece contribuiscano, nella varietà, a formare un volto più autentico del nostro Paese. In questo quadro ribadiamo il principio della priorità del servizio pubblico e dobbiamo applicarci affinché la realtà regionale, nelle sue espressioni più valide, assumibili a livello nazionale, possa essere rappresentata efficacemente e in modo rispettoso.
Affermiamo il principio della regolamentazione delle emittenti radiofoniche televisive private, purché garantisca un pluralismo oramai acquisito e nello stesso tempo una maggiore serietà, professionalità qualità e livello delle comunicazioni, sia per gli effetti diretti di questa disciplina, sia per gli effetti indiretti del confronto, della concorrenza, dello stimolo, della verifica che la Terza rete deve potere esercitare nei confronti delle emittenti private. Questa esperienza, che forse doveva essere compiuta, anche per demistificare certe affermazioni per rivelare certe carenze, per far toccare con mano quanto sia difficile esprimersi attraverso questi mezzi e quindi anche per offrire all'opinione pubblica un termine di riferimento.
Dunque la Terza rete, come ha riassunto molto efficacemente il Presidente del Comitato per la Rai-Tv dimissionario, deve poter offrire un'informazione e formazione della Regione per la Regione, della Regione per la Nazione e della Nazione per la Regione.
Questo è il carattere circolare del messaggio nel senso che il dato regionale ha un suo momento autonomo, ma è immediatamente collegato e correlato con una validità unificante e unificatrice da rilevarsi a livello nazionale. Non solo attraverso la Terza rete, ma attraverso gli altri canali, deve essere tenuto presente il momento regionale come espressivo in termini non astratti ma concreti, della vita nazionale: quindi autenticità, originalità dei contenuti culturali ed espressivi, apporto contributo e quindi arricchimento alla società nazionale e a quella regionale. Infine, un passo in avanti, senza illusioni, per un allargamento della sfera partecipativa al di là dei rituali di ufficio e degli spazi offerti.
Questa sperimentazione ha dimesionato molte illusioni sull'accesso e sulla presunzione di saper lanciare messaggi, inascoltati e inascoltabili.
Non mi riferirei soltanto alla noia. Forse queste fonti di comunicazione sono state assunte troppo come mezzo di svago. Anche il giornale è momento di relax (non in questi giorni, con le notizie che porta da troppo tempo per la verità), ma qualche volta la realtà più autentica è meno vivace di quella senzazionalizzata o che fa sensazione. Mi augurerei che attraverso l'azione del nuovo Comitato e attraverso l'azione della Commissione regionale si compisse un'energica opera al fine di desensazionalizzare l'informazione e di qualificare ogni altro mezzo o messaggio anche di distensione, perché legittimi sono il divertimento, il gioco, quali momenti importanti della vita, purché non si banalizzino nella volgarità, come abbiamo constatato attraverso cattivi esempi di televisioni, spesso private, e qualche volta anche di quella pubblica.
E' giusto che il Consiglio presti la propria attenzione in termini continuativi ed autorevoli a questo settore proprio per essere garante, nei limiti che gli sono dati e consentiti, di questo apporto nella direzione che riteniamo di dover seguire. Proprio per le ragioni unificanti, che i Capigruppo o loro delegati dovrebbero poter periodicamente verificare, non penserei ad una Commissione ad hoc, altrimenti formata, che finirebbe per costituire un doppione rispetto al Comitato forse svuotandolo delle responsabilità e dei compiti che devono essergli invece deferiti.
Auspico che attraverso la costituzione di questo nuovo organismo, si possa determinare un rapporto di riconoscibilità. Qual è una delle ragioni della crisi nei rapporti tra cittadini, opinione pubblica e mass media? Vi sono due realtà: quella che è rappresentata, che riceve spazio dal mezzo di comunicazione e la realtà nella quale il cittadino effettivamente vive, con la conseguenza di un contrasto che porta ad una grave alienazione per cui si finisce per ritenere irreale il reale e reale l'irreale. Questo è uno degli effetti drammatici delle comunicazioni di massa; anche illustri uomini di cultura ritengono che la massima responsabilità della risonanza e della diffusione di fenomeni distruttivi all'interno della nostra società sia proprio costituita da questa inversione delle situazioni per cui l'irreale viene preso per reale, mentre il reale di ogni giorno, cioè il lavoro, l'impegno, le attività creatrici di cultura effettiva, che portano ogni giorno un contributo nel progresso di un Paese, finiscono per essere negletti nella generale distrazione.
Mi auguro che la Regione possa contribuire ad avviare un rapporto tra cittadini e mezzi di comunicazione in cui vi sia modo per tutti di riflettersi, di riconoscersi sia nel momento dell'informazione, sia della prestazione di suggestioni di carattere culturale ed artistico.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SANLORENZO



PRESIDENTE

La parola al Presidente della Giunta, Viglione.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Sono fra quanti credono utile e interessante il dibattito di oggi e non sono fra quanti pensano che tutto ciò che è stato fatto nel campo dell'informazione sia da buttare.
La Terza rete televisiva, secondo l'impegno preso dalla Rai con la Convenzione dell'8 aprile 1975, inizierà le trasmissioni il r gennaio 1979.
Sarà possibile allora verificare quanto l'iniziativa, che è tra i punti più qualificanti della riforma radiotelevisiva, risponda all'esigenza di decentramento ideativo e produttivo, che l'ha ispirata. Va subito aggiunto che il decentramento non deve esaurirsi nella Terza rete, come molti sembrano credere o voler far credere, poiché il proposito chiaramente espresso dal legislatore è che tale decentramento si realizzi in tutto l'arco delle programmazioni. E' un fatto però che la nuova rete, data la scomponibilità delle sue maglie, progettate per coincidere, a livello di trasmissione, con le aree regionali, può consentire la diffusione di programmi diversi nell'ambito di ciascuna Regione, mentre alle altre reti sono possibili solo approssimativi ed eterogenei collegamenti interregionali.
La Terza rete si presenta anzitutto come una novità sul piano dell'alta frequenza. L'articolo 17 della Convenzione prevede che entro tre anni dal 1° gennaio 1979 essa copra tutti i capoluoghi di regione e non meno del 55 della popolazione italiana. Un'ulteriore ipotesi in corso di elaborazione ne prevede l'estensione a tutti i capoluoghi di provincia, con un totale di popolazione servita pari all'85% circa di quella nazionale. Si tratta di tempi abbastanza lunghi, e tuttavia già improbabili, data l'abituale lentezza dell'azienda nel portare a compimento i suoi progetti e i molti ostacoli, interni ed esterni, che si profilano all'orizzonte.
Ma la Terza rete è soprattutto una novità politica, sociale e culturale, proprio perché è destinata a concretare il decentramento e a rinnovare con spirito aperto gli schemi ideativi e produttivi. E mentre l'esistenza di ostacoli e resistenze esigono una rimobilitazione del movimento riformatore, le affioranti manovre per snaturare i tentativi innovatori e manipolare in senso centralizzatore gli orientamenti della nuova rete impongono un dibattito e un confronto continuo tra le forze democratiche - a livello politico, sindacale, culturale - per costruire ed imporre quel modello pluralista e decentrato, a cui si riferisce, pur con qualche ambiguità ed oscurità, la legge di riforma.
Si tratta per le forze democratiche di aprire tutti gli spazi di informazione e di espressione alle creatività regionali, poiché finora non si era realizzato nulla in questa direzione, sono fallite alcune trasmissioni, per lo più i centri esterni non hanno funzionato, il personale non è chiamato costantemente allo sforzo culturale che non è soltanto limitato al livello regionale, ma diventa uno sforzo che la comunità regionale esprime come contributo ad un momento nazionale. Si tratta di utilizzare, il mezzo televisivo per l'esaltazione delle autonomie locali e per la valorizzazione di tutti i fatti associativi e culturali espressi dal territorio; di tenere vive nel contesto della cultura nazionale quelle che, con termine forse riduttivo, vengono chiamate le sub culture. E' una cultura che si esprime nell'ambito della comunità e che dà un contributo alla cultura nazionale. Quindi siamo per l'esal-tazione di questo tipo di intervento. Si tratta di agevolare anche nell'interesse della stessa Rai ogni tipo di sperimentazione nei programmi, nel linguaggio, nei modelli produttivi. Tutto ciò senza cadere nel provincialismo e nel campanilismo, anzi affrontando con consapevolezza priva di complessi di inferiorità la concorrenza delle altre due reti e quella, presumibilmente aggressiva e massiccia, delle future televisioni private.
Al pericolo dell'autoemarginazione, insito nella natura stessa del "regionale" rispetto al "nazionale", un altro se ne aggiunge per il tradizionale conflitto tra il "nazionale", inteso come potere e burocrazia centralizzati, e il "regionale", come aspirazione alla partecipazione e all'autonomia.
Si è detto che l'ipotesi formulata dalla direzione della Terza rete prevede due ore e mezzo di programmazione quotidiana, fra regionale interregionale e nazionale. E' indiscutibile che un così alto numero di ore di trasmissione - circa settemila l'anno, cioè più che la somma delle ore trasmesse dalle altre due reti - ove fosse interamente decentrato, avrebbe costi insostenibili da una corretta gestione dell'azienda . Una quota di produzione centralizzata ad uso di tutti serve, se non altro, ad alleggerire il conto economico. Ma il pericolo che con questa stessa motivazione si tenda a comprimere la programmazione regionale sussiste, e va controllato e arginato con permanente vigilanza dal movimento riformatore.
Altrettanto dicasi per i mezzi di produzione e per il personale. I piani di investimento contemplano le fondamentali necessità della nuova rete, e così i progetti di assunzione del personale. Sopravvive però la preoccupazione che il ricorso a novità tecnologiche possa mantenere in definitiva la Terza rete a livelli di capacità molto inferiori a quelli delle altre due reti. Resta insomma tutto da cancellare il sospetto che l'ultimogenita sia predestinata al ruolo di sorella povera, almeno finch pretenderà di vivere nel "locale" e per il "locale".
Fissando ora il discorso sulla Regione Piemonte e sulla parte che essa è destinata ad avere nella vita della Terza rete, occorre in primo luogo ricordare la complessità del particolare ambiente socio-culturale. Rispetto ad un'entità regionale che raggruppa circa un decimo della popolazione italiana, esiste un'area urbana di concentrazione economica e culturale che sarebbe difficile non definire dominante. All'interno del-l'area torinese, inoltre, convivono, pur profondamente disaggregate, una cultura di tipo borghese tradizionale e una cultura derivante dalle lotte operaie e popolari, la cui presenza si è via via manifestata con maggiore incisività dando vita ad un nuovo costume e a nuovi tipi di rapporti umani.
Apprestandosi a rappresentare sotto tutte le forme dell'informazione, dello spettacolo, la società piemontese, la Terza rete dovrà affrontare con grande apertura questa complessità culturale, senza reverenze verso il tradizionale, con occhio aperto al nuovo, e avendo coscienza che il ruolo di ponte tra il "locale" e il "nazionale" impongono di non trascurare quanto di cultura e di eventi politici, sociali, sindacali, fiorisca anche al di fuori di quanto avviene nel capoluogo piemontese. Noi individuiamo l'area metropolitana, ma vogliamo indicare tutta la comunità regionale piemontese.
Il dibattito circa i tipi di approccio verso queste complesse realtà, i modi di espressione, l'uso corretto delle fonti, il filtraggio del demagogico e del clientelare e, non ultima, la concorrenza alle altre emittenti, va iniziato subito, allargato al massimo e tenuto sempre aperto aggiornando via via le conclusioni con la critica e l'autocritica.
Il rapporto tra chi produce programmi e chi esprime quotidianamente l'ansia di divulgare diversi punti di vista, consensi o dissensi, problemi e proposte di soluzioni, è limitato dai tempi, dagli spazi, dalla stessa domanda dell'utenza, alla quale non basta rivolgere messaggi per spingerla ad ascoltarli.
Il triangolo formato dalla realtà che si offre, dai realizzatori di programmi che la traducono in messaggi e dai teleascoltatori che domandano programmi, comporta la ricerca di equilibri intelligenti, sempre più difficili da realizzare. Dire che uno stabile colloquio tra i professionisti della Tv e gli operatori culturali, nel senso più lato e meno accademico dell'espressione, va instaurato e coltivato, può essere ovvio, ma è drammaticamente indispensabile.
In questo contesto emerge con evidenza l'importanza del Comitato regionale per il servizio radiotelevisivo cui spetta il compito di garantire i legami con il territorio rendendo quindi di larga diffusione l'ascolto, favorendo uno stretto collegamento fra strutture televisive e realtà regionale.
Di qui l'esigenza di un suo ruolo pregnante tale da consentire di svolgere la funzione per la quale è stato istituito.
Cosi devono dunque muoversi le forze democratiche considerando il Comitato uno strumento determinante per la stessa riforma della Rai ed il dibattito odierno è certo un contributo in questa direzione.
Si potrà dire che questo dibattito è fatto tra pochi, ma è fatto tra quelli che comprendono, che sono responsabili, che possono capire le problematiche dell'infor-mazione. Non accetterei l'osservazione della dottoressa Castagnone Vaccarino che dice "siamo ad un discorso tra di noi come si fa al bar". E' invece un discorso che deve essere riprodotto in tutta la comunità, al quale la Giunta intende dare il proprio contributo.



PRESIDENTE

Poiché l'intesa complessiva dei Gruppi sulla rielezione del Comitato Rai-Tv non è ancora stata raggiunta, propongo di rinviare la nomina alla successiva seduta del Consiglio regionale. Inoltre demanderei alla conferenza dei Capigruppo la questione inerente alla nomina della Commissione.
A tale proposito, mi permetto di ricordare che tale Commissione, oltre ad esaminare i problemi della Rai-Tv, deve mantenere e stabilire rapporti con tutti gli organi di informazione e stampa, così come è previsto nello Statuto regionale.
La questione è di tale rilevanza che mi permetto di riproporla, senza evidentemente decidere alcunché, ma riportando il tutto all'esame della conferenza dei Capigruppo.


Argomento: Cave e torbiere

Deliberazione Giunta regionale relativa a: "Attività estrattive negli alvei dei corsi d'acqua e nelle spiagge e fondali lacuali. Normativa:D.P.R. 24/7/1977 n. 616 - competenza. Nuova normativa tecnica"


PRESIDENTE

Passiamo ora alla deliberazione della Giunta regionale relativa a: "Attività estrattive negli alvei dei corsi d'acqua e nelle spiagge e fondali lacuali. Normativa: D.P.R. 24/7/1977 n. 616 - competenza. Nuova normativa tecnica".
La parola al Vicepresidente della Giunta regionale, Bajardi.



BAJARDI Sante, Vicepresidente della Giunta regionale

E' stato consegnato ai colleghi il testo della deliberazione rielaborato dalla II Commissione in ordine ad alcuni errori formali: nella prima pagina la parola "impartire" deve essere intesa "ripartire"; a metà pagina "compartimento" va letto "comportamento", oltre alla correzione di alcuni altri errori di battitura nella parte successiva. Sul merito della deliberazione, non ritengo di aggiungere molto. Vorrei solo rilevare che al testo consegnato ieri era allegato il verbale di un incontro tenutosi per definire i rapporti tra Regioni, Stato e Magistrato del Po, nel momento in cui è aperto sul piano giuridico un contenzioso tra Stato e Regioni che si trascina dall'inizio dell'anno quando, in applicazione del D.P.R. n. 616 il termine utile per la delimitazione dei bacini interregionali venne anticipato all'inizio del 1978. Le motivazioni che hanno indotto il Ministero dei lavori pubblici ad anticipare tale termine possono essere varie, in effetti potrebbero essere intese come riappropriazione di competenze che, prima dell'approvazione del D.P.R. n. 616, erano regionali.
Il giorno stesso dell'attribuzione di altro incarico, il Ministro Gullotti ha mandato un telegramma riaffermando la competenza del Magistrato del Po sui corsi d'acqua classificati di seconda e di terza categoria e demandando la soluzione del problema alla risposta della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Sappiamo quanti problemi debba affrontare in queste settimane la Presidenza del Consiglio dei Ministri e non ci illudiamo che il problema possa essere sciolto rapidamente anche perché implica questioni di ordine più generale che non possono essere sciolte da un decreto ministeriale e nemmeno da una circolare. Si prospetta probabilmente un periodo di polemiche non breve, pertanto pare necessario assumere un atteggiamento responsabile e un comportamento comune da parte della Regione e dello Stato di fronte a problemi sui quali gli operatori privati chiedono alla pubblica amministrazione risposte adeguate a problemi aperti. La maggior parte delle estrazioni sono bloccate dal 1° gennaio 1978, tuttavia dato che nel periodo invernale l'attività edilizia subisce un rallentamento, non si sono avuti finora grossi problemi; con l'inizio della primavera è indispensabile sciogliere questi nodi.
La Regione, consapevole delle necessità del settore produttivo, ha assunto un atteggiamento corretto e prudente nei rapporti con gli organi statali prospettando un comportamento che responsabilizza i Comprensori e i Comuni per le opere non classificate e quelle di quarta e quinta categoria.
Se sarà sciolto positivamente il quesito, esso varrà anche per le opere di terza e di seconda categoria.
Vi è inoltre l'esigenza di sciogliere con rapidità i problemi aperti dalle domande inoltrate fino al mese di febbraio per le quali la deliberazione propone procedure accelerate, concentrando l'attenzione sulle estrazioni oltre i 2 mila metri cubi e su quelle ripetitive, consentendo soluzioni più rapide per tutte le altre domande inoltrate.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Petrini.



PETRINI Luigi

Credo che questa deliberazione, per la sua importanza, non possa essere registrata come un episodio di cronaca di vita regionale, ma meriti alcune osservazioni e anche un serio - se pur breve - dibattito nel momento in cui ci viene chiesto un assenso all'iniziativa della Giunta regionale.
La situazione al riguardo è assai delicata e grave nelle province piemontesi, toccando tra l'altro la chiusura di imprese e conseguentemente l'occupazione di parecchi lavoratori. Per ciò che conosco più direttamente nella provincia di Vercelli, il conflitto di competenze tra Regione e Ministero dei lavori pubblici ha bloccato sin dal 1° gennaio 1978 (e cioè da tre mesi) le estrazioni di materiale inerte dai corsi d'acqua pubblici.
La prolungata sospensione di queste escavazioni porta con sé gravi pericoli non solo per l'occupazione, ma anche per la possibilità di straripamenti dovuti all'accu-mularsi di materiale ghiaioso nei letti fluviali.
Tutto ebbe inizio verso la fine della scorsa estate. Complici alcuni violenti acquazzoni, si verificò una serie di straripamenti del Sesia e di alcuni torrenti. Una delle cause che favorirono questi eventi fu rinvenuta in quelle che vennero definite "escavazioni selvagge", ad opera di imprese escavatrici di materiale lapideo dal letto del Sesia e dei torrenti in causa. E per "escavazioni selvagge" intendo riferirmi al fatto che le estrazioni di materiale inerte sono avvenute ovviamente ove non dovevano avvenire e non invece là ove era necessario ed indispensabile procedere all'estrazione. In conseguenza delle polemiche che ne derivarono, si studiarono necessari accorgimenti per evitare questi inconvenienti realizzando una forma di controllo e di programmazione a cui dovevano collaborare gli organismi pubblici competenti, gli Enti locali, nelle persone dei Sindaci dei Comuni interessati dalle escavazioni e dei Comuni a monte e a valle di queste zone, e le aziende estrattive.
C'è stato l'ostacolo che ricordava l'Assessore Bajardi. Il Ministero dei lavori pubblici avoca a sé le competenze in materia di rilascio delle concessioni nonostante la delega della materia alle Regioni. In conseguenza di ciò si bloccano le concessioni, che - secondo il Ministero - potrebbero essere rilasciate solo dal Magistrato del Po e dagli organi statali periferici.
Questo blocco dura ormai da quasi tre mesi e il braccio di ferro tra Ministero e Regione ha avuto come conseguenza prima il ricorso alla cassa integrazione da parte di otto aziende estrattive, mentre altre sono vicine a compiere questo passo. Ma la situazione non è rosea anche sotto altri profili. Esiste, come ricordavo, un serio pericolo per la sicurezza dei corsi d'acqua, che iniziano ad intasarsi di materiale che potrebbe provocare pericolosi straripamenti, qualora si arrivi al disgelo primaverile senza che la situazione si sblocchi. Esistono quindi dei punti negli alvei dei corsi d'acqua che possono costituire grave pericolo di allagamenti per le nostre comunità: perché dunque non dare subito delle concessioni di estrazione in quei precisi punti, affinché il materiale venga estratto al più presto e si stabilisca l'equilibrio preesistente? Come ho già osservato, esistono altre difficoltà, sempre riferendomi all'ambito della Provincia di Vercelli. L'interruzione dell'estrazione di materiali lapidei può mettere in grave crisi il settore edilizio. Ecco pertanto l'importanza della decisione odierna. Oggi - almeno per quanto riguarda l'estrazione di materiali sui corsi d'acqua di quarta e quinta categoria e quelli non classificati - ci accingiamo ad approvare una normativa ed uno schema operativo che hanno già avuto in Commissione il nostro concreto apporto, anche critico, e il nostro voto favorevole.
Ho fatto questa premessa per dire che siamo anche d'accordo per un'azione decisa, coerente e soprattutto sollecita della Giunta regionale presso il Governo nazionale per risolvere il contenzioso sulle competenze tra Stato e Regioni in merito alla pulizia idraulica ed, in particolare, in ordine al rilascio delle autorizzazioni per l'estrazione dai corsi d'acqua.
Ma un conto è un'azione decisa e sollecita presso il Governo e altro è aprire una controversia dinanzi alla Corte Costituzionale. Io capisco che questo è uno degli episodi del confronto in una vertenza di confine tra il Ministero dei lavori pubblici ed i governi regionali. E capisco anche che il decreto ministeriale del 22/12/1977, con cui veniva delimitata l'area di 27 bacini interregionali (e cioè facendo ricadere quasi tutto il territorio nazionale nell'area di bacini interregionali) rischia di rimettere in discussione la legge 382, per cui, per parecchie Regioni (mai consultate al riguardo) - compresa la nostra - il decreto è incostituzionale e di qui la necessità del ricorso al giudizio dell'Afta Corte.
In questa vicenda poi si è inserito un fatto di sicura importanza anche se, a parer nostro, negativo. Scrive testualmente il Corriere della Sera del 24/2/1978: "L'elemento sconcertante lo ha introdotto la legge n. 2 del 3/1/1978 che prevede interventi nelle zone alluvionate del Piemonte della Liguria, della Lombardia e della Valle d'Aosta. Nel testo si attribuisce allo Stato la competenza per le opere idrauliche di terza categoria (quelle per la salvaguardia di ferrovie, strade, ecc.) che con il 1° gennaio 1978 la legge 382 ha assegnato alle Regioni. Un passo indietro all'ombra di un intervento di emergenza, ci è stato detto. Ma in Parlamento la legge è stata votata da tutte le forze. Si può pensare ad un ripensamento dello schieramento politico italiano nell'attuazione della legge 382? Si parla, più dimessamente, di un caso di distrazione. Ad ogni buon conto la Regione Piemonte - dice l'avv. Mario Fonio, Assessore alla tutela dell'ambiente, sempre sul Corriere della Sera - ha già impugnato avanti la Corte Costituzionale per illegittimità la legge speciale n. 2 del 3/1/1978".
Se è vero quanto è stato scritto dal quotidiano lombardo - tre mesi fa perché non informare preventivamente e con urgenza e non a cose avvenute il Consiglio regionale degli sviluppi della situazione? Se non è vero perché non smentire questa impostazione solamente giornalistica? L'as-surdo poi è che impugneremmo avanti alla Corte Costituzionale una legge votata da tutte le forze politiche che assegnava alla Regione Piemonte, Per l'alluvione dell'ot-tobre, ben 26 miliardi. Mi pare comunque che se si vuole solidarietà e sostegno dai Gruppi del Consiglio regionale sugli sconfinamenti parlamentari, la condizione prima sia quella di informare (ancor prima di impugnare per illegittimità leggi dello Stato italiano avanti alla Corte Costituzionale) gli organi della Regione - e in primis il Consiglio regionale - al quale spetta senza dubbio esprimere un atteggiamento su così gravi problemi della nostra Regione nei confronti dello Stato.
E' indubbio comunque che ci troviamo di fronte (per la terza categoria idraulica assegnataci dalla 382 e toltaci dal decreto ministeriale del dicembre sui bacini interregionali) ad un conflitto serio e sconcertante di competenza fra Stato e Regione, che crea anche in questa materia delle concessioni di estrazione di materiale inerte dai corsi d'acqua pubblici incertezze e perplessità negli organi tecnici che dovrebbero occuparsene.
Per cui il nostro appello conclusivo non può che essere quello di muoverci concretamente e sollecitamente come Regione Piemonte, non solamente per eliminare le cause che hanno determinato il blocco delle attività estrattive, per quel che riguarda le attribuzioni conferiteci; ma anche perché gli organi dello Stato competenti per la seconda e terza categoria provvedano sollecitamente a fare ciò che loro spetta, mai dimenticando che un decreto non può certo rimettere in discussione la legge 382 voluta dalle forze politiche autonomistiche del nostro Paese.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Franzi.



FRANZI Piero

Desidero ufficializzare qui alcune richieste che sono state rivolte all'Assessore Bajardi da parte dei Sindaci dei Comuni di Greggio, Albano Oldenico e Villata per la questione riguardante l'istituzione del Parco delle Lame del Sesia.
Abbiamo discusso per circa tre ore dell'istituzione del Parco e sulla sistemazione idraulica del fiume Sesia e abbiamo avuto modo di parlare con i Sindaci della zona; tuttavia il problema riguarda altre zone poste più a valle.
In questi ultimi mesi si è determinato un rilevante accumulo di materiali lapidei, sabbie e ghiaia, nel centro dell'alveo. Le popolazioni temono la piena delle acque che potrebbe riversarsi nelle zone esterne verso gli argini già in parte erosi, con il pericolo di allagamento e inondazione dei terreni laterali dei centri abitati di Oldenico sulla sponda destra e di Villata sulla sponda sinistra, ma temono anche il pericolo che potrebbe correre la stessa città di Vercelli.
Il problema è stato rappresentato con una memoria all'Assessore Bajardi, il quale ha fatto presente le difficoltà nell'indivi-duazione delle competenze, in relazione all'estrazione dei materiali ghiaiosi accumulati nel centro dell'alveo. Il problema è stato in parte chiarito dal collega Petrini. Personalmente non ritengo ci siano dubbi sulla competenza della Regione, in merito alle opere di terza categoria. Il discorso è opinabile, così come ritengono anche alcuni deputati che ho avuto modo di incontrare il mese scorso a Cremona per le opere di seconda categoria.
Insieme con un gruppo di Consiglieri regionali e di deputati della D.C abbiamo esaminato questa materia. Le opinioni sono contrastanti. L'ultimo comma dell'articolo 62 stabilisce chiaramente che le opere di terza categoria sono trasferite alla Regione. C'è stata successivamente un'involuzione legislativa relativamente ai bacini idrologici che sono di interesse interregionale. E' anche vero che il problema è stato collocato nel capitolo delle acque per cui si potrebbe intendere che sia di competenza regionale quanto riguarda il controllo e la difesa idraulica e non quanto riguarda l'utilizzazione dei materiali lapidei che possono ancora costituire patrimonio del demanio, in quanto fiumi, laghi, spiagge fanno parte del demanio statale. Vi è quindi un conflitto di interpretazione più sulla titolarità della proprietà del materiale che sulla competenza.
Il mio discorso però è per raccomandare all'Assessore di tenere in evidenza il problema che riguarda il corso d'acqua perché non vorrei che per un conflitto di competenze ne vadano di mezzo le popolazioni locali, il che sarebbe ingiusto oltreché immorale.
Sarebbe anche opportuno che la Regione ponesse mano alla classificazione dei corsi d'acqua che, per quanto mi risulta, non è stata fatta se non per brevissimi tratti.
Un'ultima considerazione di carattere burocratico vorrei fare sulla normativa prevista nel documento allegato alla deliberazione, e cioè vorrei chiedere se non e il caso di togliere l'inciso che riguarda le quote di scavo per piccoli quantitativi di materiale che vengono asportati dai letti fluviali (300 mc circa). Sarebbe opportuno evitare ai piccoli escavatori spesso coltivatori diretti che prelevano pochi metri cubi di ghiaia per ricoprire strade di campagna, di ricorrere al geometra o al tecni- co per la quotazione altimetrica e di pagare la parcella al professionista e la tassa di concessione governativa.



PRESIDENTE

La parola al Vicepresidente della Giunta regionale, Bajardi.



BAJARDI Sante, Vicepresidente della Giunta regionale

In riferimento alla discussione sul Parco Lame del Sesia abbiamo ritenuto opportuno definire chiaramente le responsabilità. Per quanto riguarda gli alvei di quarta e quinta categoria e quelli non classificati è chiaro che, sotto tutti gli aspetti, ne risponde la Regione, mentre per quanto riguarda i tratti classificati di seconda e terza categoria, ne risponde il Magistrato del Po e quindi anche gli aspetti amministrativi civili e penali relativi alle estrazioni.
E' pur vero che nella legge 382 è scritto che le opere di terza categoria sono di competenza della Regione, ma è anche vero che un decreto del Ministro dei lavori pubblici ha provveduto alla delimitazione del bacino interregionale. Impegnare oggi delle risorse sulle opere di terza categoria potrebbe essere contestato alla Regione sul piano finanziario.
Poiché vi è un decreto governativo che stabilisce una ripartizione, è opportuno attendere il chiarimento e a quel momento si faranno le verifiche e le eventuali diverse attribuzioni delle risorse non utilizzate. Ho voluto introdurre questi elementi anche per chiarire il modo con cui utilizzare i 50 miliardi che sono stati messi a disposizione del Magistrato del Po. La Regione ha interesse a che quei 50 miliardi siano spesi per le opere di seconda categoria e poiché la legge n. 2 non definisce la ripartizione delle risorse, si correva il rischio di non poter spendere un soldo di quei 50 miliardi in tutto l'Alessandrino. Di quei 50 miliardi 19 saranno spesi in larga parte per i tratti di terza categoria che sono maggiormente danneggiati dai fatti alluvionali dell'ottobre scorso. A questi si aggiungeranno i 4 miliardi e mezzo di pronto intervento che il Magistrato ha avuto a disposizione per il Piemonte. Di questi ultimi il Magistrato del Po ne ha spesi 1,2. Abbiamo richiesto un chiarimento sul modo in cui verranno spesi gli altri (i restanti 19 non sono ancora accreditati e quindi non sono spendibili).
Questa mattina è giunta la notizia di un'ulteriore elencazione per un miliardo e 600 milioni per pronti interventi in punti particolarmente pericolosi. Nei prossimi giorni si provvederà alla definizione della residua cifra pari a circa 2 miliardi per la soluzione di altri punti deboli quali quelli ricordati per il Sesia.
Per quanto riguarda il problema sollevato in ordine alle quote di scavo fino a 300 mc di materiale da estrazione, provvederemo tramite i Geni Civili suggerendo un atteggiamento articolato e favorendo in modo particolare gli Enti pubblici e i privati che utilizzano il materiale in proprio; mentre il discorso nei confronti degli estrattori assume un significato diverso; potrebbero adottare sistemi di estrazione di 300 mc alla volta.
Intendo rispondere al collega Petrini che l'ipotesi di ricorso alla Corte Costituzionale è stata approvata dalla Giunta ed è passata in Commissione competente, come giustamente egli faceva rilevare. Se la Commissione darà il proprio benestare, la questione sarà discussa in Consiglio, si potrà assumere un atteggiamento articolato rispetto alla proposta che si riferisce alla legge 2/1978 per la quale va rilevata una situazione strana, perché l'anticipazione della deliberazione dei bacini interregionali, al 1° gennaio 1978, ha creato una situazione anomala sul piano giuridico (la legge è stata approvata dal Parlamento nel 77 ed è stata vistata dal Presidente della Repubblica nel 78; nell'intervallo il Ministero dei lavori pubblici ha delimitato i bacini interregionali, quindi quanto era scritto nella legge, nella nuova condizione assume un significato che può essere anticostituzionale). Nel giro di otto giorni sono avvenuti questi tre fatti che potrebbero essere oggetto di ampia discussione da parte degli specialisti, ma poiché noi facciamo politica e amministriamo problemi così pesanti nell'interesse della collettività, non credo si possa assumere un atteggiamento che metta in discussione il valore della legge 2/1978.



PRESIDENTE

Vi dò lettura della deliberazione con le correzioni dettate dal Vicepresidente della Giunta regionale: "Il Consiglio regionale premesso: che dal 1° gennaio 1978 a seguito delle attribuzioni conferite alle Regioni con il D.P.R. 24/7/1977, n. 616, in materia di estrazioni di materiali litoidi e di pulizia idraulica negli alvei dei corsi d'acqua e sulle spiagge e fondali lacuali (articoli 62 e 90) si è determinata una carenza di normativa regionale nel settore considerato che sembra opportuno modificare con elementi sostanzialmente innovativi la regolamentazione esistente fino alla data suindicata che non risponde più alle situazioni di fatto quali si sono evidenziate nella rete idrografica piemontese che il Ministro dei lavori pubblici Gullotti in data 13/3/1978 ha ritenuto di dover impartire al Magistrato per il Po e al Commissario di Governo per le Regioni a Statuto ordinario istruzioni che fanno ritenere residuate alla competenza statale le attività amministrative di cui agli articoli 62 e 90 del D.P.R. n. 616 sulle aste dei corsi d'acqua classificati in seconda e terza categoria che il Presidente del Magistrato per il Po in data 14/3/1978 ha invitato la Regione Piemonte a 'soprassedere alle iniziative di carattere regionale sulle materie di cui al punto precedente, in attesa delle definitive decisioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri', cui il predetto Ministro ha sottoposto la questione per il parere considerato che per la materia di cui sopra non è stata ancora definita l'esatta attribuzione delle competenze tra Stato e Regioni, per cui è in atto un contenzioso promosso da alcune Regioni a Statuto ordinario che in pendenza della decisione degli organi giurisdizionali competenti occorre in ogni caso e qualunque possa essere la decisione al riguardo provvedere all'individuazione di una normativa tecnica e procedurale per l'eser-cizio delle attività estrattive e non adottare provvedimenti regionali che, pur nel presupposto della legittimità, sono in contrasto con le assunzioni di principio ministeriale che nella riunione del 20 marzo u.s. alla presenza del Vicepresidente della Giunta regionale Bajardi, il rappresentante ufficiale del Magistrato per il Po ha confermato che gli uffici operativi del predetto istituto provvederanno a istituire le domande sinora pervenute per estrazioni materiali nei corsi d'acqua sulle tratte di seconda e terza categoria che ferma e impregiudicata ogni azione regionale nel merito del contenzioso insorto tra Stato e Regioni circa l'attri-buzione delle competenze in attuazione del D.P.R. n. 616 nelle materie in argomento, è opportuno comunque non ostacolare l'in-iziativa del Magistrato per il Po nel rilascio di autorizzazioni ad estrazione di inerti dai corsi d'acqua nelle tratte ritenute dal medesimo istituto di competenza statale che in ogni caso a seguito di contatti tra la Regione Piemonte ed il Magistrato per il Po si è convenuto di regolamentare l'attività stessa secondo indirizzi tecnici univoci e comportamenti conformi, contenuti nella 'Nuova normativa tecnica disciplinante l'attività estrattiva' che con D.P.G.R. 7513 in data 27/12/1977 il Presidente della Giunta regionale ha delegato i responsabili degli attuali uffici del Genio Civile di Alessandria, Asti, Cuneo, Novara, Torino e Vercelli alla firma degli atti relativi alle funzioni amministrative delegate ai sensi del D.P.R.
24/7/1977 n. 616 già attribuite ai rispettivi organi periferici del Ministero dei lavori pubblici.
Vista la nuova normativa tecnica allegata, elaborata d'intesa tra i servizi tecnici della Regione Piemonte e del Magistrato per il Po contenente i nuovi criteri e gli indirizzi operativi per il rilascio dell'aut-orizzazione all'esercizio delle attività estrattive in oggetto preso atto che la Giunta regionale intende autorizzare gli ingegneri capi del Genio Civile a provvedere a tutte le incombenze in materia di polizia idraulica e di estrazioni materiali nei corsi d'acqua di quarta e quinta categoria e non classificati, già all'uopo delegati con il D.P.G.R.
n. 7513 del 27/12/1977 sentita la competente Commissione consiliare delibera 1) di approvare l'allegata normativa e lo schema operativo per il rilascio delle autorizzazioni all'esercizio di attività estrattive nell'alveo di corsi d'acqua e nelle spiagge e fondali lacuali, cui gli uffici del Genio Civile dovranno attenersi 2) di autorizzare, nelle more di attuazione dei piani localizzati di escavazione, al fine di non procrastinare attività estrattive che si sono rese necessarie, l'applicazione a tutte le domande superiori a 2.000 mc di materiale, pervenute entro il 28/2/1978, delle procedure previste per le richieste appartenenti alla seconda fascia, individuata nella normativa allegata 3) di incaricare la Giunta regionale di definire con suo successivo provvedimento tutti gli oneri finanziari spettanti al richiedente e le modalità per la loro corresponsione 4) di dichiarare la presente deliberazione immediatamente eseguibile ai sensi dell'articolo 49 della legge 10/2/1953, n. 62, e di pubblicarla sul Bollettino Ufficiale della Regione ai sensi dell'articolo 65 dello Statuto".
Chi approva alzi la mano.
La deliberazione è approvata all'una-nimità dei 31 Consiglieri presenti in aula.


Argomento: Rapporti Regioni - Governo - Assistenza e sicurezza sociale: argomenti non sopra specificati - Sanita': argomenti non sopra specificati

Ordine del giorno sulla costituzione degli organi decentrati di governo e sul conseguente riordino dei servizi socio-sanitari


PRESIDENTE

Ho ricevuto un ordine del giorno firmato dai Consiglieri Ferrero Vietti, Calsolaro e Marchini, di cui vi dà lettura: "Il Consiglio regionale nel quadro delle iniziative in attuazione delle disposizioni di cui alle leggi regionali n. 41/1976 e n. 39/1977, assunte dai Comitati comprensoriali di concerto con gli organi della Regione preso atto favorevolmente delle consultazioni avviate nella comunità regionale in merito alla costituzione degli organi decentrati di governo e del conseguente riordino dei servizi socio-sanitari ribadisce la necessità che il processo di consorziamento venga attivato e portato a termine entro il mese di giugno del 1978 e conseguentemente impegna la Giunta, di concerto con la V Commissione, a predisporre ai sensi del D.P.R. n. 616, le procedure e gli atti in materia istituzionale e finanziaria, necessari per il conseguimento di tale fine prende atto altresì dell'inderogabile urgenza delle indicazioni che la Giunta deve fornire agli Enti mutualistici per l'attuazione di strutture amministrative unificate la cui istituzione è pregiudiziale alla gestione della convenzione unica per la medicina generale e pediatrica ritiene necessario che la costituzione di tali strutture rappresenti per la Regione occasione per poter dar vita ad un sistema organizzativo con il conseguente trattamento automatico delle informazioni, ai sensi della legge regionale 15/3/1978, n. 13 ribadisce che tali indicazioni debbano collocarsi nel quadro legislativo regionale e tener conto dei suggerimenti che i Comuni ed i Consorzi di Comuni, ai sensi delle leggi n. 39/1977 e n. 41/1976 forniranno mediante consultazione".
La parola alla signora Castagnone Vaccarino.



CASTAGNONE VACCARINO Aurelia

L'ordine del giorno non reca la firma del Gruppo repubblicano. Infatti recita: "Ritiene necessario che la costituzione di tali strutture rappresenti per la Regione occasione per poter dar vita ad un sistema organizzativo con il con seguente trattamento automatico delle informazioni, ai sensi della legge regionale 15/3/1978, n. 13".
Dato che non è precisata la finalizzazione del trattamento automatico e data la nostra ripugnanza ad ogni eventuale schedatura, non possiamo firmare questo ordine del giorno.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Ferrero.



FERRERO Giovanni

E' doverosa da parte del nostro Gruppo e da parte degli altri firmatari del-l'ordine del giorno, l'assicurazione alla dottoressa Castagnone Vaccarino e alla comunità che si tratta di un meccanismo contabile per l'erogazione del dovuto ai medici, in ordine alla scelta del medico mutualista. Non riguarda dati di tipo sanitario.



CASTAGNONE VACCARINO Aurelia

Dopo questa precisazione daremo voto favorevole.



PRESIDENTE

Pongo ai voti, per alzata di mano, l'ordine del giorno.
E' approvato all'unanimità dei 31 Consiglieri presenti in aula.
Il Consiglio regionale è convocato per i giorni 18, 19 e 20 aprile.
L'ordine del giorno sarà definito nella riunione dei Capigruppo.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 18,15)



(La seduta ha termine alle ore 18,15)



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