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Dettaglio seduta n.183 del 28/03/78 - Legislatura n. II - Sedute dal 16 giugno 1975 al 8 giugno 1980

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SANLORENZO


Argomento: Ordine pubblico e sicurezza

Sul gravissimo attentato al Consigliere regionale democristiano Giovanni Picco


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Nell'aprire la seduta di questo Consiglio regionale, desidero rendere noto che hanno inviato espressioni di solidarietà con il Consigliere regionale Giovanni Picco e con le forze democratiche di questo Consiglio regionale: Giulio Dolchi, Presidente del Consiglio regionale della Valle d'Aosta; Sergio Marvelli, Presidente del Consiglio regionale della Lombardia, Loretta Montemaggi, Presidente del Consiglio regionale della Toscana; Comelli, Presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, che ha inviato anche un rappresentante della Comunità di Collaredo di Montalbano qui presente; la Presidenza della Regione Emilia Romagna; il Comitato Antifascista unitario di Casale Monferrato e molti altri Comuni e autonomie locali del Piemonte, il Sindaco e il Presidente della Giunta provinciale di Alessandria.
Signori Consiglieri, la seduta straordinaria di questo Consiglio regionale, che avviene alla presenza dei Consigli di fabbrica e con l'invito alle rappresentanze delle organizzazioni sindacali, non credo che abbia il fondamentale scopo di esprimere, mi pare, ciò che abbiamo già fatto. E cioè la nostra solidarietà al Consigliere Picco e alla sua famiglia e a suo fratello qui presente e l'augurio per un pronto ristabilimento. Ma chi ha avuto l'occasione di incontrarlo in questi giorni si è reso conto che il nostro Consigliere non ha bisogno di essere rincuorato: è in una straordinaria serenità d'animo. Mi ha detto: "Voglio tornare subito al mio lavoro, al mio incarico di Consigliere regionale, al mio posto nel partito". Non avevamo dubbi. Rinnoviamo la speranza da questa tribuna che ciò avvenga al più presto, esprimiamo alla famiglia e al suo partito tutta la solidarietà del nostro Consiglio e della comunità regionale.
Ma io credo che l'occasione esiga che siano dette anche altre parole e che si tenti di aggiornare il giudizio su quello che sta vivendo la nostra città, il nostro Paese, su ciò che stiamo facendo per farvi fronte e su ci che dovremmo fare nei prossimi giorni per essere all'altezza dei compiti eccezionali che in questa tragica primavera sono assegnati a tutti i cittadini italiani, ma credo in modo particolare, agli abitanti di questa città e alla nostra comunità regionale.
La prima questione dalla quale credo dovremmo partire è che c'è stato un aggravamento dei pericoli per il nostro Paese, per le sue libere istituzioni derivante dall'assassinio, l'ultimo, di Roma e dal rapimento dell'on. Moro da cui ci separano ormai più di 12 giorni, che sono di angosciosa attesa per la sorte dello statista, dell'uomo politico, del Presidente del Consiglio nazionale della Democrazia Cristiana.
Un ruolo ed una collocazione particolare ha la situazione dell'ordine democratico a Torino. E questo non soltanto perché, nell'ultimo anno, fino alla fine di febbraio, si sono avuti più di 170 atti di terrorismo politico di diversa gravità, ma soprattutto perché a Torino la qualità degli atti di terrorismo politico e dei delitti compiuti rende più chiaro, deve rendere più chiaro, agli occhi di tutti, il carattere e .gli obiettivi del nemico che abbiamo di fronte.
In effetti sono stati colpiti o uccisi i rappresentanti delle forze di Pubblica Sicurezza, della Magistratura, delle forze produttive, della libertà di stampa e in modo particolare del più grande partito politico italiano. Tutta la gamma di quello che i brigatisti rossi chiamano il cuore dello Stato è compresa nelle loro imprese criminose realizzatesi nella nostra città. I nomi che sono dietro a ciascuno di questi delitti, di questi ferimenti, li ricordiamo, sono presenti nel nostro cuore, sono stati ricordati qui, in quest'aula, nelle piazze di Torino, nelle manifestazioni negli scioperi, nelle risposte democratiche che la comunità piemontese ha saputo dare a ciascuno di questi attacchi.
Ma c'è un altro elemento che fa della nostra città, da parecchio tempo uno dei punti cruciali della lotta contro il terrorismo e della sfida che è in corso in questo momento fra chi vuole distruggere le istituzioni democratiche e chi vuole difenderle per rinnovarle.
Ed è in questa nostra città che doveva essere celebrato (e dopo un lasso di tempo si è ricominciato a celebrare) proprio il processo a quelle brigate rosse che oggi rappresentano nel nostro Paese la forza organizzata e clandestina del partito armato che agisce con obiettivi molto chiari come risulta anche dalla lucida follia con cui è stato redatto il comunicato con il quale si annuncia l'intenzione di processare il Presidente della Democrazia Cristiana.
Ecco, questi mi paiono due elementi da tenere presenti nella collocazione della nostra città, della nostra Regione nella strategia del terrorismo e del compito quindi particolare che spetta alle forze democratiche per fare fronte alla situazione. Una parte di questi delitti sono strettamente collegati e sono stati rivendicati come collegati alla non effettuazione del processo delle brigate rosse. In un comunicato del '77 le brigate rosse scrissero: "Meditino i giudici, gli avvocati ed i loro familiari; il processo alle brigate rosse non si farà, né domani né mai".
Ebbene, il processo deve riprendere domani. Noi abbiamo espresso, già nel maggio '77, la ferma volontà del Consiglio regionale del Piemonte, affinch questo processo si celebrasse normalmente, il più rapidamente possibile e che fossero superati tutti gli ostacoli che rendevano complesso il suo svolgimento. Noi riconfermiamo fino in fondo, oggi, questa volontà con un elemento in più: lo Stato democratico non può abdicare di fronte alla celebrazione della giustizia nel momento in cui i brigatisti rossi intendono processare, tenendolo in prigionia, il Presidente di un Partito e, nello stesso tempo, in questo momento, il rappresentante delle istituzioni democratiche.
Se lo Stato democratico abdicasse alla sua funzione in un momento come questo, sarebbe un colpo gravissimo per lo Stato, per la sua credibilità anche perché contemporaneamente i terroristi agirebbero per portare a termine la tragica commedia che tutto il popolo italiano auspica non debba concludersi con un altro criminale delitto.
E' lo Stato democratico che deve processare le brigate rosse, non viceversa. Noi rivolgiamo per ciò da questa tribuna a coloro che domani saranno di fronte ai problemi della giustizia, alle complessità della giustizia, l'invito ad avere presente che vi è una sete di giustizia grande nel nostro popolo. E assieme a questo vi è una insofferenza per qualsiasi lentezza non chiara e vi è una forte critica in generale verso i processi dove è parso che in luogo di ricercare con decisione e chiarezza la verità al fine di assicurare il colpevole alla giustizia, siano emerse ambiguità lentezze, omissioni, di vario tipo e di vario genere. E' parso persino, a volte, che certi imputati fossero sicuri di essere invulnerabili: quanto più era grande la loro imputazione, tanto più era grande il potere di cui credevano di disporre o le protezioni di cui potevano usufruire. Abbiamo perciò salutato la sentenza di Firenze con la quale si è giudicato il criminale fascista Concutelli e il processo ha avuto uno svolgimento regolare e rapido, benché i giurati avessero ricevuto minacce di morte.
Se non fosse presente a tutti quanti noi, e ai giudici e alla magistratura, che c'è già un processo, lontano di qui, che dura troppo a lungo e nella coscienza popolare viene visto come qualcosa da cui non si è certi che esca la verità, laddove si cerca di scoprire le responsabilità di una delle matrici eversive che hanno insanguinato il nostro Paese dal 1969 ad oggi; se si aggiungesse a questa ansia di conoscenza, di giustizia, di pulizia morale la frustrazione che deriva dai rinvii o da abdicazioni o da rinunce alle proprie responsabilità per un processo che deve essere fatto nei confronti dell'altra grande componente del terrorismo italiano, cioè le brigate rosse, congiunto con il primo di carattere fascista, nell'obiettivo di distruggere la democrazia e la repubblica, allora potrebbero avere un forte impulso i processi di formazione negativi nell'opinione pubblica non più ispirati a principi di democrazia e di giustizia. Questi verrebbero apertamente, vistosamente, clamorosamente contraddetti dalla incapacità dello Stato di farsene garante, di esserne interprete e custode e di esercitarli . Potrebbe, ripeto, darsi luogo ad esasperazioni, a delusioni a richieste di mutamenti non di ciò che deve essere cambiato di questo Stato che non funziona, ma a richieste di un ordine autoritario. C'è una parte della stessa comunità nazionale che può essere strumentalizzata in questo senso. Noi sappiamo che imboccare questa strada porterebbe non ad un superiore ordine democratico, ma ad un ordine reazionario nemmeno nuovo nella sostanza perché avrebbe in realtà tutte le caratteristiche di ciò che gli italiani hanno già conosciuto in Italia e di ciò che conoscono in questi momenti i cittadini cileni, e tanti popoli dell'America latina e di altre parti del mondo.
Chiediamo a tutti di fare il proprio dovere, ma sappiamo che prima di tutto dobbiamo farlo noi. Facciamo tutto il necessario, tutto il possibile? Credo che la nostra comunità, in questo anno, si sia impegnata a fondo credo che anche in .questi anni non abbia certo tardato a comprendere, a sforzarsi di capire e ad intervenire a suo tempo nei confronti di quei processi eversivi che avevano un prevalente segno fascista negli anni che vanno dal '69 al '74/'75, prima che nella nostra Regione si sviluppasse con un segno prevalentemente diverso il terrorismo di sinistra, negli anni che vanno dal '75 ad oggi.
Fu la nostra Regione la prima che cercò di capire (facendovi partecipare la maggior parte della comunità regionale piemontese) le origini, le caratteristiche, gli episodi dell'eversione fascista attraverso quell'inchiesta che proprio il nostro Consiglio regionale condusse nella prima legislatura, sotto la Presidenza del Consigliere Bianchi, e che poi altre Regioni avviarono. Noi avvertimmo già allora che si trattava non di mischiare due fenomeni differenti anche se avevano obiettivi comuni: gli episodi di eversione di destra e quelli dei gruppi che si stavano presentando, iniziando l'escalation del terrorismo politico sotto la guida delle brigate rosse, avvertimmo che erano due cose diverse. Bisognava condurre un'analisi precisa e concreta della situazione come si presentava nel nostro Piemonte del fenomeno che in quel momento era prevalente.
E credo che dobbiamo rivendicare anche alla nostra comunità regionale piemontese di aver condotto, in questo anno, un'azione costante, fatta di suggerimenti, di proposte, di iniziativa politica nei confronti degli organi dello Stato, del Governo e del Parlamento, per rendere possibile la celebrazione del processo alle brigate rosse. Bisognava risolvere molti e numerosi problemi. Se il processo è iniziato, è anche perché le autonomie locali del Piemonte si sono impegnate positivamente a fare il loro dovere in questa direzione.
Infine dobbiamo rivendicare a tutte le forze politiche di questo Consiglio di aver dato il loro contributo essenziale allo sviluppo di una iniziativa politica che si è rivolta alle grandi masse popolari della nostra comunità, ai lavoratori delle fabbriche, degli uffici, agli studenti, ai giovani, ai contadini, agli abitanti dei quartieri, a tutte le categorie sociali, agli artigiani, ai commercianti, perché si aprisse un dialogo di massa con milioni di uomini sugli obiettivi, sul carattere eversivo e reazionario del terrorismo politico, sulla necessità che non vi fossero né coperture, né compiacenze, né tolleranze, né giustificazionismi.
Abbiamo invitato a reagire non soltanto contro i delitti più gravi, ma contro le intolleranze, le violenze che hanno accompagnato i delitti più gravi, nei cortei (rimarrà forse impunita l'atroce morte di Roberto Crescenzio). Abbiamo invitato a reagire unitariamente alle aggressioni a singoli privati, alle provocazioni nelle scuole, nelle Università. Abbiamo considerato come un fatto unitario il problema di liberare la nostra città la nostra regione, non solo dal terrorismo, ma dalla violenza e dalla intolleranza. Abbiamo operato per affermare invece il primato della possibilità della partecipazione, dell'iniziativa, e della lotta attraverso i numerosi strumenti che la nostra democrazia consente per fare avanzare un processo di rinnovamento democratico nel nostro Paese, nella nostra Regione. Abbiamo chiamato a raccolta tutti i cittadini, cercando di impegnarli individualmente e collettivamente in uno sforzo unitario per fare fronte alla crisi più drammatica e più grave che la nostra giovane Repubblica abbia conosciuto dall'inizio della sua vita.
Tutto questo abbiamo fatto, ma è evidente che non è bastato. E' evidente che noi dobbiamo in un momento come questo trarre dall'attentato a Picco e dalla situazione generale del Paese, dopo il rapimento dell'on.
Moro, l'insegnamento di estendere ed intensificare la nostra azione per fare davvero terra bruciata attorno a costoro; sino a quando non vi sarà più un operaio, un contadino, uno studente o un professionista, un commerciante o un artigiano che di fronte ad un atto di terrorismo si sentirà impaurito, incerto su come reagire, sospinto da un richiamo della foresta a richiedere di farsi giustizia da solo o che altri facciano, per conto loro, giustizia sommaria.
Solo quando riusciremo a fare di questa Regione una Regione unita nella difesa immediata, concreta e quotidiana di quei valori e di quelle istituzioni che si può dire che siano state minacciate dal primo giorno che le abbiamo conquistate, solo quando noi avremo conquistato questa unità popolare totale di cui abbiamo bisogno e di cui abbiamo avuto una grande espressione il 16 marzo, solo allora il terrorismo sarà definitivamente sconfitto e potrà essere estirpato dallo Stato democratico e dalle coscienze liberate dai richiami dell'irrazionale.
Ecco il significato delle assemblee nelle fabbriche, aperte alle forze politiche che il Comitato unitario per l'affermazione dei valori della Resistenza e dei principi della Costituzione repubblicana (con le organizzazioni sindacali) hanno indetto in queste settimane. Esse devono essere intensificate in questi giorni, devono essere indette in ogni luogo del nostro Piemonte. E' questo l'obiettivo primario per gli interessi stessi della classe lavoratrice, per i suoi programmi di emancipazione, per i suoi obiettivi di rinnovamento che coincidono con il rinnovamento della società democratica nazionale, ma presuppongono la sconfitta del terrorismo.
Ecco l'impegno che noi assumiamo di far sì che il 1° e il 2 aprile in tutti i Comuni del Piemonte vi sia una grande raccolta di firme sotto l'appello che il Comitato ha lanciato e che già centinaia di migliaia di piemontesi hanno sottoscritto. Ecco il senso del lavoro che gli organi collegiali della scuola stanno predisponendo per arrivare il 17 di aprile ad una grande giornata di discussione, di dibattito nelle scuole medie superiori del Piemonte sul terrorismo, sulla violenza e sull'intolleranza.
Ecco il significato della proposta che avanzo di tenere il 29 di aprile qui a Torino un Convegno dei Consigli di fabbrica, dei Consigli di Istituto, del Comitati unitari antifascisti per l'ordine democratico e repubblicano, dei rappresentanti delle organizzazioni contadine e delle altre associazioni della comunità piemontese per fare un nuovo punto della situazione. Per ragionare sui risultati raggiunti e le esperienze realizzate, considerandoci in una campagna permanente, per una vigilanza permanente rispetto ad un problema che non si esaurirà da solo, né potrà essere estirpato nel breve periodo.
Ed ecco perché propongo che tutte le manifestazioni che si terranno in questo mese di aprile (che ricorda a tutti la data di nascita dello Stato repubblicano con il 33° Anniversario della Liberazione) siano anche contrassegnate dal tema della lotta al terrorismo. Propongo che questa data abbia questo significato più concreto. Perché? Trentatré anni or sono gli italiani, con la loro partecipazione diretta alla lotta armata si liberavano dal fascismo traditore e dalle barbarie naziste. Con il sacrificio di decine di migliaia di giovani, dei figli migliori dell'Italia che stava per nascere, si metteva fine ai regimi che avevano seminato nel mondo milioni di morti, che avevano fatto morire degli uomini innocenti nelle camere a gas, nei campi di concentramento, le torture, nelle galere naziste e fasciste. Regimi che avevano per 20 anni sconvolto il mondo con guerre di aggressione, imperialismi brutali, imperialismi straccioni, odio alla cultura, barbarie e atrocità.
Contro tutto questo il popolo italiano prese le armi, combatté e vinse.
Ebbene, sia la celebrazione del 25 aprile di quest'anno, nei tanti Comuni del nostro Piemonte dove questo avviene ogni anno, dedicata ad affermare con nettezza assoluta che nulla sul piano ideale, sul piano politico pu collegare la criminalità brutale, vigliacca e assassina delle brigate rosse con l'umanesimo che guidava gruppi partigiani nell'andare a combattere 10 contro 100 (non 4 contro 1), armati male contro un nemico soverchiante per potenza e per capacità distruttiva. Nulla può collegare costoro che insanguinano oggi le piazze d'Italia alla stagione della lotta per la Libertà, alla causa dei partigiani, alle azioni degli operai di Torino e del Piemonte che le fabbriche non le facevano saltare in aria, ma le salvavano dai tedeschi e dai fascisti e che portavano nel coraggio delle loro azioni i segni dell'Italia che avrebbero poi voluto creare liberandola per sempre dalla brutalità, dagli assassinii, dalla violenza.
Noi vogliamo riconquistare nella città di Torino e in tutto il Piemonte l'agibilità democratica piena, delle piazze, delle scuole, dei luoghi di lavoro, delle strade di sera; noi vogliamo, con la partecipazione popolare garantire che si può rispondere con l'impegno di tutti a qualsiasi progetto criminale di restringere prima le libertà individuali e collettive per creare poi davvero le condizioni per gli stati di assedio, per i coprifuoco. Per quelle misure che sarebbero già in corso (come si legge troppo facilmente, superficialmente qua e là sui giornali), quando si dipinge la città di Torino. In genere coloro che scrivono non hanno mai vissuto un coprifuoco, non hanno mai vissuto in una città che sia stata davvero messa in stato di assedio. Da questo punto di vista noi rivolgiamo alle forze di Pubblica Sicurezza che sono impegnate a Torino in una situazione difficile, aspra, ardua e resa ancora più ardua perché, appunto non si vuole creare una situazione di emergenza straordinaria nella città noi rivolgiamo loro un saluto ed un augurio perché possano svolgere sempre più efficacemente il loro dovere, assecondati da un salto di qualità nella collaborazione popolare.
Noi siamo certi che ogni uomo, ogni reparto, ogni esperto sarà collegato, coordinato e diretto in modo tale da rendere più efficace di quanto non sia stata sinora l'azione concreta contro gli eversori, i criminali, gli assassini.
Sappiamo che ciò deve essere possibile. Sappiamo che bisogna superare molte difficoltà derivanti anche da vecchie abitudini, da incertezze, da difetti del passato.
Qui siamo di fronte ad una sfida che è stata lanciata dai terroristi come a dire che i tempi del terrorismo sono più rapidi dei tempi con i quali la Repubblica Italiana sa mettere in moto meccanismi più efficaci misure più tempestive, strumenti adeguati per difendere lo Stato democratico. E allora uno sforzo eccezionale è necessario anche da parte di tutti coloro che hanno il diritto e il dovere di intervenire per salvaguardare la libertà, la tranquillità, la serenità dei cittadini ed in un certo senso per evitare che nuovi lutti, nuovi ferimenti, nuovi attentati possano essere impunemente portati al cuore di questa comunità.
Infine vorrei concludere questa introduzione ricordando a me stesso e a voi che un altro dei tratti caratteristici del terrorismo politico a Torino è stato il fatto che in questa città sono stati colpiti il più gran numero di esponenti della D.C.: Consiglieri comunali, il Consigliere provinciale Puddu, il Consigliere regionale Picco. Un drammatico ventaglio di esponenti delle autonomie locali, cioè di parti essenziali dello Stato democratico.
Io credo che a questo partito noi dobbiamo non solo esprimere quello che abbiamo già espresso, cioè la solidarietà di tutti i partiti democratici (questa è stata data prontamente). Noi dobbiamo guardare ai militanti di questo partito e ai dirigenti di questo partito che in questo momento sono nel mirino dei terroristi, come a degli uomini che sanno di dover svolgere una funzione essenziale non solo per mantenere fede a quelli che sono i loro valori, i valori delle loro tradizioni, delle loro esperienze, della loro realtà. Ma valori più generali sui quali deve basarsi la possibilità per l'Italia di uscire dalla crisi.
L'obiettivo dei terroristi è chiaro, è di provocare nelle masse dei contadini, dei lavoratori, del ceto medio urbano, dei professionisti, cioè di tutta quella varietà di espressioni che in parte rilevante si riconoscono nel movimento cattolico e nel partito della Democrazia Cristiana, reazioni e spinte che tendano a rompere l'unità nazionale necessaria per far fronte e sconfiggere il terrorismo. Questo è il significato dell'attacco che viene portato alla D.C. L'attacco viene portato oggi in queste forme, ma da 10 anni, in forme diverse e contro partiti e obiettivi diversi, lo scopo è sempre lo stesso: spostare a destra la situazione politica italiana.
L'augurio (che è certezza) è che dai contadini, dagli operai, dagli studenti, dalle donne della D.C. venga il sostegno al loro partito e l'incoraggiamento a tener duro sui valori essenziali della Costituzione repubblicana. Sui valori che sono stati sanciti nell'interesse delle grandi masse popolari. Esse, in quanto tali, non possono che volere la salvaguardia delle istituzioni e della democrazia e anzi volere, andare avanti, guardare avanti nel rapporto con le forze politiche. Guardare all'Italia che si deve costruire, guardare a quello che si deve realizzare per le nuove generazioni. Certo, non abdicare alla memoria storica, ma anzi farla divenire coscienza per superare le difficoltà di oggi e di domani.
Occorre, in tempi brevi, concretizzare il discorso per una Italia nuova, liberata non soltanto dal terrorismo, dalla violenza e dall'intolleranza, ma liberata dagli sperperi e dagli sprechi, dai parassitismi e dal malcostume. E' necessario un processo di rinnovamento generale che la stessa D.C. ha indicato come obiettivo da raggiungere e al quale vuole dare il suo contributo per essere coerente con la sua funzione nella società italiana. Questo è un impegno che riguarda tutti, anche noi che sediamo in questa assemblea.
Agli esponenti della D.C. noi diciamo che non sono soli. Né nelle minacce dei terroristi, né nei colpi che vengono portati da 10 anni ad esponenti, sedi, militanti, giovani di movimenti e partiti diversi (ultimi i due giovani assassinati a Milano) né nella solidarietà popolare.
Nell'occhio del mirino dei criminali (nell'ultimo comunicato che accompagna l'attribuzione dell'attentato a Picco) sono indicati i sindacalisti e i comunisti: esplicitamente. Ecco la ragione di una nuova più autentica, più concreta solidarietà e unità nazionale. E' vero, oggi quello che è stato vero sempre: senza le grandi forze popolari del nostro Paese, senza l'apporto di ciascuna di esse, anche della meno rappresentativa delle forze politiche democratiche (e senza che tutte assieme trovino nell'emergenza i motivi dell'unità) non si fa fare un solo passo in avanti alla causa del progresso, del rinnovamento dell'Italia.
Gli italiani hanno già saputo, nei 30 anni della Repubblica, trovare questi punti di unità nei momenti difficili. La nostra comunità regionale sia all'avanguardia per realizzarla ancora questa unità, per consolidarla per renderla più efficace ed uscire con la democrazia da questa tragica primavera.
E' iscritto a parlare il Capogruppo D.C., Bianchi. Ne ha facoltà.



BIANCHI Adriano

Signor Presidente, la ringrazio per il grande impegno che lei ha posto nell'interpretare il pensiero e il sentimento di questa assemblea e il nostro; per gli apprezzamenti e la comprensione per la prova umana e politica cui è sottoposta la Democrazia Cristiana in questo momento.
So che mi ha lasciato un grande spazio per il dibattito in questa assemblea. Lo accolgo come prova di solidarietà e come impegno di responsabilità.
Questa seduta del Consiglio regionale ha una severa e significativa solennità, colma di tristezza umana, esprime però una volontà ed una determinazione politica fermissime, fuori da ogni rito verbale, di compiere il balzo necessario per recuperare ogni ritardo, per colmare ogni vuoto per integrare ogni giudizio che sia stato incompiuto od erroneo, per compiere ogni atto che sia adeguato alla gravità della situazione, capace di anticipare le risposte efficaci che la sfida in atto ci richiede. Non si tratta di rispondere a cose fatte, ma di anticipare un corso sempre più rapido di eventi che paiono fatali. Il popolo ha pianto ed ha applaudito i propri figli uccisi, come cittadini che stavano umilmente nel giusto e nel vero; ha pianto e seguito i propri giovani figli, caduti in situazioni sulle quali il giudizio è ancora difficile, sicuramente vittime di una violenza cieca scatenata nel Paese. La stessa gente, il Paese, i lavoratori, i loro sindacati, le forze politiche, la cultura, quella che contempla la propria funzione partendo da motivazione di valore e non dal cinismo o dal compiacimento fatuo di Narciso, riconoscono che Moro prigioniero silenzioso, parla a tutti noi più che mai con la lucidità della sua visione politica, che lei ha ricordato, interprete di una condizione e di una problematica che ci è comune; parla con la rettitudine della sua intelligenza, con la profondità del suo pensiero, che non tesseva, che non ha mai tessuto inganni o congiure, ma cercava di dare la risposta umanissima, della ragione ad un appuntamento complesso e drammatico della nostra storia. Nessun conflitto reale è stato ignorato, nessuna ispirazione ideale è stata modificata, nessuna esperienza è stata trascurata, nessuna confusione è stata auspicata, ma è stato fatto lo sforzo di una sintesi capace di attestare la nazione italiana su di un piano più elevato e solido di convivenza, di confronto e anche di dialettica politica.
Tutto questo deve sempre di più costituire il riferimento per i nostri confronti e per le nostre decisioni, tanto più quando siamo convinti - e lei ha ricordato poc'anzi quanto siamo al centro del dramma qui a Torino di giocare una partita significativa per la pace e l'assetto del nostro Paese, in Europa e nel mondo.
Moro continua la sua missione con più estesa e comprensibile efficacia.
La riflessione dolorosa cui sono costretti tutti e per primi siamo costretti noi, amici suoi e compagni di partito, ci fa più lucidi, più liberi dalle scorie della cronaca e dai pesi di ciò che non è essenziale.
Il coraggio non è di chi spara alle idee, non è di chi spara alle teste che le portano o tende a renderle mute, il coraggio è la sostanza del nostro impegno comune: si imparerà a conoscere anche nei più semplici e nei più umili quale sia la stoffa di cui è fatta una certa natura umana.
Picco Giovanni, come lei, signor Presidente ha ricordato, mi ha detto come ha detto a lei, incredibilmente sereno e con il suo lieve sorriso di auto ironia "dì pure che continueremo a fare il nostro lavoro senza retorica".
Certo, occorrerà un supplemento di coscienza umana e politica per fare ogni giorno le cose semplici, comuni e necessarie che sono richieste a ciascuno di noi ed insieme per qualificare il nostro modo di lavorare nelle istituzioni, per elevare il livello e l'efficacia della risposta da dare.
Agli organi, ai corpi, alle istituzioni dello Stato chiamate a garantire lo svolgersi della convivenza civile e della stessa lotta che la vita propone ogni giorno, va la nostra comprensione, la nostra gratitudine per i sacrifici, la nostra solidale sollecitazione a mobilitare sempre meglio le risorse tecniche, morali e le intelligenze che non sono di dimensione trascurabile, anche se il tutto deve essere urgentemente ed efficacemente integrato.
Ma a queste forze deve andare, da parte nostra, qualche cosa di più specifico e di più concreto. Noi, assemblea legislativa, noi, forze politiche e sociali, dobbiamo saper ricostruire un tessuto che è stato lacerato. E' stato detto: non è il tempo delle recriminazioni, non si tratta di cancellare la memoria storica, ma di aver coscienza del momento storico che viviamo. Sono d'accordo: per consentire, in questa Repubblica nata da prove e da ideali sublimi di pace, di libertà, di solidarietà e di emancipazione umana, in questo Stato, che ha una legittimità tra le più solide, un rilancio, una ripresa, una rifondazione dei principi, delle convinzioni, dei costumi e delle idee che riproponga una autentica e nuova Resistenza a dottrine disumane ed irrazionali tendenti a considerare il popolo come oggetto da massificare nella violenza e con il terrore, in vista della instaurazione dl un potere che non ha modelli se non nelle più barbare regressioni storiche e nelle più terribili, sterili e sanguinose esperienze dell'Europa e del mondo contemporaneo.
Occorre, quindi, conoscere e studiare a fondo anche ciò che ripugna: non è una operazione producente quella di separare da noi ed ignorare anche ciò che ripugna profondamente alla nostra natura umana. Conoscere studiare, affrontare e confutare ogni giorno anche le dottrine che paiono più marginali e deliranti (a pochi anni dall'ascesa al potere, il nazismo in Germania raccoglieva un consenso bassissimo). Dare al popolo, al Paese alla gente, che istintivamente reagisce secondo i valori, fortunatamente non ancora totalmente distrutti, di un umanesimo che solo apparentemente ha radici diverse; dare la consapevolezza politica piena degli effetti che derivano da certe cause; dare la consapevolezza della vanità assoluta anche privata, di una illusione di potersi celare o salvare nella indifferenza e nell'egoismo; dare, infine, la propria immediata testimonianza di un mutamento adeguato alla gravità del momento: nel modo di lavorare, di deliberare e di agire delle assemblee, dei poteri e delle funzioni dello Stato.
Per quanto ci riguarda, ed in questo credo veramente di interpretare compiutamente i sentimenti comuni di questa assemblea, che ha voluto esprimere in modi espliciti ed impliciti la sua solidarietà ed il suo impegno, la volontà di fare tutta la parte che ci compete è ferma.
La presa di posizione di tutti noi, la collaborazione necessaria per isolare e perseguire, per operare non è affidata alla mozione degli affetti, ma alla chiarezza del dibattito, all'assunzione delle responsabilità, alla capacità di indicare alla gente, al popolo, in modo concreto i modi, i momenti, gli oggetti, con i quali deve esprimersi questa collaborazione necessaria, indispensabile, risolutiva con le istituzioni e le forze dello Stato.
Sentiamo che qualcosa di decisivo si va muovendo, dentro di noi e nel profondo dell'anima del nostro popolo. Non ci facciamo peraltro illusioni sui tempi: stiamo preparando il fardello per il lungo cammino, per le prove cui saremo chiamati, ma incrollabile si fa, in questi giorni di dolore, la volontà e la certezza della ripresa del nostro cammino.



PRESIDENTE

Per decisione dei Capigruppo il Consigliere Bianchi ha parlato anche a nome degli altri Gruppi politici.
La parola al Presidente della Giunta regionale, Viglione.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Signori Consiglieri, ci troviamo riuniti a seguito del nuovo e grave atto che ha colpito il Consigliere architetto Picco, a cui esprimiamo, come già abbiamo fatto immediatamente dopo l'atto criminoso, la nostra affettuosa solidarietà, così come abbiamo espresso al Partito della D.C.
Abbiamo già detto il nostro sdegno, la nostra esecrazione, abbiamo già espresso tutta la nostra solidarietà alle vittime che appartengono alle forze di polizia o ai partiti politici.
Quando si colpisce un democratico, quando si colpisce un cittadino quando si colpisce un poliziotto, oppure un servitore dello Stato tutti sono colpiti, non c'è nessuno escluso. Ricordiamo quella bellissima citazione di Hemingway nel libro sulla guerra civile in Spagna: "quando suona la campana, non chiedere per chi suona, essa suona anche per te".
Vogliamo dire alla D.C. e agli altri partiti che sono stati colpiti che essi non sono soli, che hanno la grande solidarietà di tutte le forze democratiche che si riconoscono nel dolore e nella condanna dell'atto criminoso. Il Consiglio di oggi, per volontà delle forze democratiche presenti in quest'aula, è un Consiglio diverso, è un Consiglio che stringe ulteriori rapporti unitari. Oggi si esce dalla mera solidarietà. Non vogliamo che la nostra azione si esaurisca nella costante solidarietà espressa in ogni occasione criminosa. Diciamo alla D.C. e a tutti i Partiti che vi è questo profondo, continuo dialogo, ma oggi il Consiglio deve avere un'altra visione, deve collocarsi in altro modo.
L'eversione purtroppo non avrà tregua. Prima che avvenissero questi gravi fatti, al Ministro Cossiga avevamo espresso il nostro stato d'animo.
E' indispensabile che la costruzione così orrenda e così mostruosa di un disegno che è andato avanti per tanti anni, improvvisamente possa aver termine.
I comunicati di questi folli rivendicano non soltanto le linee che hanno perseguito, ma ne costruiscono di nuove. Essi pensavano, attraverso la loro azione e le varie fasi che sono descritte nei loro documenti, di passare, attraverso l'impianto ideologico del partito armato, alla guerriglia e all'insurrezione delle masse. Se alcuni di questi momenti sono riusciti, il momento, che essi ritenevano decisivo, della guerriglia e dell'insurrezione è però totalmente fallito. Le masse sono state chiamate ma contro di loro, le masse sono scese in piazza, ma contro di loro, le masse si sono espresse, ma contro di loro; tutti i cittadini democratici tutti i partiti politici, tutte le organizzazioni sociali e sindacali si sono mobilitati, ma contro di loro. Allora c'è tutto uno spazio che pu essere recuperato. Essi sono completamente distaccati dalle masse e non hanno nessun rapporto, se non qualche consenso qualunquistico. Ma il consenso qualunquistico, l'affermazione d'ira o anche la disperazione non possono condurre al successo. Proprio perché hanno margini ristretti proprio perché giocano l'ultima carta, la loro azione può divenire ancora più mostruosa. Si è detto che è notevole la differenza tra l'azione wagneriana e nibelungica del gruppo Baader Meinof e l'azione eversiva del nostro Paese, ma è dimostrato che questa opinione non è veritiera.
Questa azione aprirà nuove ferite negli uomini e nel Paese. Si tratta da parte nostra di elaborare una strategia. Il Consigliere Bianchi ha accennato a tempi, modi e decisioni in proposito, ma queste non possono tardare perché l'eversione non tarda. I ritardi che si sono avuti nel comprendere, nell'afferrare appieno la portata dell'azione terroristica ci hanno portato a queste condizioni, per cui ulteriori ritardi potrebbero portare ulteriori danni.
Che cosa vogliono i gruppi eversivi? Vogliono la rottura costituzionale. Noi invece ci impegniamo a difendere la Costituzione. Tutti i giorni giungono telefonate di bombe collocate negli uffici o nei servizi: ebbene, questo è il disegno che essi perseguono.
La Regione si assume la responsabilità di respingere tutto questo. Si impegna a far funzionare ogni servizio con un salto di qualità nella conduzione pubblica. Essi vogliono colpire gli animi, creare paura: ebbene ognuno di noi deve rimanere al suo posto. Rimanere al proprio posto vuol dire sostanzialmente essere perennemente in servizio. Essi tendono a rimarcare le insufficienze di questa società, pensano che le insufficienze non siano superabili, tendono quindi ad esasperare la situazione e a catturare consensi. Noi, invece, cerchiamo insieme di attuare le riforme necessarie affinché questa società possa superare le sue contraddizioni più gravi. Essi speculano su tanti spazi vuoti, noi invece cerchiamo di compensarli, richiamando ciascuno e dando ad ognuno la sua parte. Uno dei dati di fondo è che il peso del Paese viene portato da una sola parte della società, mentre viene alleggerita l'altra: spetta a noi, nella società pluralistica e democratica che difendiamo, richiamare ognuno dando a ciascuno la sua parte. Per fare questo occorre però l'unità delle forze non è pensabile di poter fronteggiare una crisi così grave e un'eversione che non dà tregua senza l'unità democratica, sociale e sindacale. Non è pensabile che si possa andare avanti con divisioni, con lacerazioni e con metodi di ieri. Nessuno può pensare che si possa uscire da questa situazione in questo modo. Da oggi siamo diversi di fronte all'estrema gravità della situazione, siamo dei combattenti senza armi, ma non inermi perché certo non ci muniamo di pistola, come molti che sono oggi presenti avevano al tempo della guerra della Liberazione, ma siamo combattenti pronti ad affrontare i rischi con animo forte, coraggioso e sereno, consci anche della sorte che ci può attendere; siamo combattenti della libertà per libera scelta non lasciandoci sopraffare da passioni, da emozioni, da rabbia, da costernazione, e a volte, anche da paura perché, nel buio della notte, la non dominabilità della situazione può far nascere delle paure.
Per fare ciò però occorre che milioni di cittadini siano chiamati, così come sta avvenendo nella nostra Regione e come deve avvenire nel Paese. Ho pregato il Presidente Sanlorenzo di portare questo problema nelle riunioni con i Presidenti dei Consigli regionali, perché anche le Regioni che pensano di non essere toccate vadano richiamate di fronte al grande problema e affinché le istituzioni rispondano prontamente.
Signori Consiglieri, anche il Consigliere Bianchi ha detto che non abbiamo più lacrime per piangere, abbiamo però la fredda determinazione e la volontà di vincere questa battaglia. In ciascuno di voi e di noi, nella società, nelle istituzioni, nelle forze sociali e sindacali, si è verificato in questi mesi la fredda e decisa volontà di vincere.
Il governo regionale si impegna ad essere presente costantemente con la propria responsabilità nel proprio posto di lavoro perché vinca la ragione perché non vinca la follia ed il mostro, perché sia mantenuta e rafforzata la democrazia. Ci sentiamo su una trincea a difendere la democrazia e la Carta Costituzionale, per rafforzare una società, per fare in modo che sia riformatrice. Questo è quanto ho da dirvi, a nome della Giunta regionale signori Consiglieri, ben conscio che la battaglia sarà durissima e che dovremo sopportare ancora molte e dolorose prove. E' un momento di estrema e di grave difficoltà, ma non vi è nessun margine che non possa essere recuperato e che non possa portare alla vittoria della democrazia, della libertà e di un civile progresso all'interno del nostro Paese.



PRESIDENTE

Si chiude così la nostra seduta ufficiale del Consiglio regionale e si apre invece un'assemblea che è stata richiesta dai lavoratori dei Consigli di fabbrica e dalle organizzazioni sindacali nella sede del Comitato unitario antifascista. Prenderà la parola, per la Federazione unitaria della C.G.I.L.-C.I.S.L. e U.I.L., Emanuele Persio.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 19,20)



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