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Dettaglio seduta n.180 del 10/03/78 - Legislatura n. II - Sedute dal 16 giugno 1975 al 8 giugno 1980

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SANLORENZO


Argomento: Ordine pubblico e sicurezza

Brutale assassinio del maresciallo di PS, Aurelio Berardi, rivendicato dalle BR


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Signori Consiglieri, questa mattina poco prima delle ore 8, il Maresciallo Aurelio Berardi di 53 anni, originario di Bari, residente a Torino in via Daniele Manin, sposato con 5 figli, è stato avvicinato mentre si recava a prendere servizio presso il posto di polizia di Porta Palazzo da una macchina guidata da una donna con a bordo 2 o 3 uomini, la macchina si è fermata, gli uomini sono scesi, hanno sparato e l'hanno ucciso. Con una telefonata all'ANSA le brigate rosse hanno rivendicato l'omicidio. Il Maresciallo Aurelio Berardi aveva fatto parte tempo fa dell'antiterrorismo e da poco era stato assegnato al posto di polizia di Porta Palazzo.
Non sappiamo se gli imputati che stamattina compariranno al processo quelli nelle gabbie, rivendicheranno il delitto. Se questo avvenisse risulterebbe chiaro che il comunicato fatto ieri durante l' avvio del processo intende attuarsi a tempi molto brevi e sarebbe da parte nostra irresponsabile non attendersi altri atti oltre a questo delitto nel tentativo, diversamente da quello che hanno detto, di impedire che il processo si faccia.
Le brigate rosse hanno detto che questo è un processo di regime che ha l'obiettivo pretenzioso di processare e condannare la rivoluzione comunista. Costoro non sono rivoluzionari, non sono nemmeno dei rivoltosi e certamente non sono dei comunisti. Sono una banda di assassini; e questa banda di assassini che vorrebbe collegarsi con il loro processo all'opinione pubblica esterna, non troveranno collegamenti. Hanno trovato 200 mila "no", ma ne troveranno altre centinaia di migliaia, in Torino e nel Piemonte, non sparati con la P 38, ma scritti con intelligenza, con la fermezza, con la condanna morale di decine di migliaia di uomini che sono davvero eroici, perché vanno al lavoro tutti i giorni, con le loro angosce ed i loro mille problemi, bollano la cartolina e fanno il loro dovere. Non c'è niente di rivoluzionario nell'aggredire, in quattro, un uomo di 53 anni, padre di cinque figli, sparargli addosso e ammazzarlo come hanno fatto. Quelli che sono dentro la gabbia e quelli che hanno sparato non sono eroi, sono dei vigliacchi.
Non meritano né simpatia, né comprensione. Sono certo anche lo specchio della crisi della nostra società, e sono uomini che vanno giudicati secondo le regole dello Stato democratico.
Ma la condanna morale l'abbiamo già espressa, una, mille volte . E la ripetiamo qui. E non avrà appelli.
Assieme alla condanna, ci associamo al dolore della moglie che non sa ancora che è morto (crede che sia ferito), dei 5 figli, di tutti quelli che vivevano con lui e lo stimavano.
Propongo non solo questo minuto di raccoglimento che stiamo già vivendo, ma propongo che per le ore 15 di oggi si riunisca il Comitato unitario antifascista in seduta straordinaria, ed esamini la situazione in tutti i suoi particolari, per prendere tutte le decisioni che si riterranno opportune.



(Tutti i Consiglieri in piedi osservano un minuto di raccoglimento)


Argomento: Presidente della Giunta Regionale - Organi, strumenti e procedure della programmazione

Dibattito sulle linee programmatiche prioritarie per la seconda fase della legislatura


PRESIDENTE

Proseguiamo nei nostri lavori che prevedono la conclusione del dibattito sulle linee programmatiche prioritarie per la seconda fase della legislatura, con la replica della Giunta. Il primo a parlare è l'Assessore Rivalta. Ne ha facoltà.



RIVALTA Luigi, Assessore alla pianificazione territoriale

Il dibattito di ieri sulla relazione della Giunta ha assunto correttamente un carattere generale non essendo la ripetizione di quello sul Piano di sviluppo regionale né un'anticipazione del dibattito sul bilancio che si terrà nelle prossime settimane. E' stato anche interessante in quanto, con la schiettezza che è propria dei dibattiti del Consiglio, ha consentito di conoscere le posizioni dei singoli Gruppi e delle singole persone nella forma ufficiale, che è necessaria e rigorosa e che va al di là delle conoscenze personali che ciascuno di noi nella vita politica pu ritrovare. Questo dibattito che si è fondato soprattutto sulla composizione della Giunta, sul suo ruolo, sul suo significato, sulla sua collocazione nel quadro nazionale, mostra un altro lato, in un tono che io vorrei definire al di là del dibattito politico, un dibattito che sta dopo la soluzione delle questioni politiche. Sotto questo profilo potremmo definirlo metapolitico. E' un dibattito che ha fatto riferimento soprattutto a categorie astratte, che ha fatto richiamo ad elementi di natura etica, che ha posto le questioni in termini del tutto o niente, del compiuto o del non esistente. Credo che questo sia un limite della posizione assunta dalle opposizioni. Credo non sia stato pienamente inteso il significato dell'esame di un processo che è in atto, di un processo che investe l'istituzione in quanto tale. Non è stato inteso, il significato delle indicazioni specifiche e settoriali che accompagnano la relazione generale, che non volevano essere "l'esame" dei settori, perché per questo ci si rifà al documento del Piano di sviluppo e non volevano essere neanche una proiezione delle analisi settoriali, ma volevano essere l'indicazione degli elementi dinamici in atto per sottolineare appunto il processo che all'interno di quei settori sta avanzando.
Credo che ciò sia dovuto ad una posizione idealistica, nella valutazione dei problemi della Giunta, quindi è un po' staccata dalla relazione tra l'azione politica e la realtà sociale ed economica, per un giudizio che appunto è del tutto e del niente, del compiuto e dell'inesistente, che ha fatto sì che, non cogliendo il significato di questi aspetti settoriali individuati come elementi dinamici, abbia portato Consiglieri dell'opposizione a sminuire alcune indicazioni operative contenute nel documento della Giunta e in qualche caso addirittura a ridicolarizzarle.
Credo non si possa dire, come è stato detto dai Capogruppo del Partito repubblicano, che la scelta meridionalista non sia un impegno di fondo della Regione e che sia qualcosa a cui siamo trascinati dalla politica nazionale. Questa affermazione sembra non riconoscere la realtà dei fatti.
Caso mai la nostra Regione ha anticipato di gran lunga, e non solo in questi anni, la stessa indicazione degli impegni meridionalisti del Governo. Non ci poniamo in una posizione orgogliosa né vogliamo vestire le penne del pavone, come è stato detto. La questione nazionale è secolare e la nostra Regione proprio per il carattere secolare e nazionale che ha la questione, ha saputo cogliere tutti i contributi culturali che sono pervenuti da Fortunato, da Nitti, da Gramsci, da Gobetti, da Sturzo; ha saputo portare un contributo originale che è stato riconosciuto nel convegno con le Regioni del Sud svolto al Teatro Regio nel 1974 al quale sono seguite altre due iniziative significative, come gli incontri di Napoli e di Avellino, iniziative che vanno al di là dello stesso incontro che hanno portato ad un impegno solidale verso iniziative di insediamenti industriali dando soluzione a problemi dell'occupazione nel casertano, con l'insediamento dell'Indesit, dando un contributo ai problemi affrontati per Marcianise, Grottaminarda.
Un atteggiamento di questo tipo porta a non capire che il Piemonte con uno sforzo di cui questa maggioranza si sente parte trainante partecipi anche le altre forze, è riuscito a superare quella posizione strumentale che considerava il rapporto tra il Nord ed il Sud con un rapporto di carità e di pietà dopo un rapporto di tipo coloniale. Il Piemonte ha superato una posizione di tipo meccanicista che vedeva lo sviluppo del Piemonte portato al massimo come la condizione necessaria con un surplus di capitali, di investimenti e di risorse per poter promuovere io sviluppo del Sud, è riuscito, forse non ancora compiutamente, a portare una concezione secondo cui Piemonte e Sud sono parte organica di una stessa struttura sociale economica. Sulla base di questa visione organica che unisce il Piemonte e il Sud alla struttura nazionale stiamo affrontando i problemi economici, i problemi di dislocazione territoriale, le iniziative industriali del Piemonte avendo appunto una visione dei processi economici nazionali.
Questa valutazione del problema nazionale e della questione meridionale è presente in tutti gli atti significativi che la Regione compie.
Cito alcuni esempi. L'atteggiamento che si sta assumendo nei confronti del vercellese, nei confronti della Montedison e nei confronti del Verbano.
Siamo in presenza di una situazione in cui le prospettive sono di un forte calo occupazionale: 1000 occupati nel Comprensorio di Vercelli, che nel complesso ha circa 10.000 occupati, sono messi in discussione all'interno di un discorso nazionale che vede la ristrutturazione della Montedison mille occupati sono messi in discussione a Vercelli in un quadro che ha visto partecipare alle scelte la Regione Piemonte insieme con altre Regioni, le forze sindacali, le forze sociali. C'è qui un aggancio preciso ad una decisione nazionale con un peso incisivo per il Comprensorio di Vercelli. Ma c'è il rischio che nella situazione di Vercelli non siano soltanto mille i posti che si perdono per una programmazione nazionale perché anche ottocento occupati sostitutivi che erano stati sanciti, nei protocolli del '76 non riescono ad avviarsi tanto sono deboli le iniziative ed incerta la situazione generale in cui si trova la Montedison e di cui n la Regione, né il Consiglio regionale possono avere qualche responsabilità.
Di fronte a questa situazione, c'è il segno esplicito, chiaro, non strumentale della concezione organica del rapporto Piemonte e Meridione.
Questa posizione è assunta nonostante non ci sia un piano nazionale economico che chiarisca i problemi, che dica con certezza verso quali obiettivi stiamo andando. C'è però la consapevolezza che anche attraverso a questi atti, stiamo costruendo tutti assieme un primo tassello del piano economico nazionale, attraverso interventi di carattere settoriale l'esempio della Montedison di Vercelli mette in evidenza una concezione territoriale che va al di là dei confini della nostra Regione, che coglie appieno la dimensione, del nostro Paese. Non esistono piani nazionali socio economici, non esistono piani con indicazioni territoriali a livello nazionale. Il Piemonte ha approvato un Piano di sviluppo regionale che ha dei forti limiti, che però costituisce un punto di riferimento della nostra azione. Non abbiamo un piano territoriale regionale, ed è l'aspetto che ha criticato il collega Bianchi, devo però dire che abbiamo scelto tutti insieme e, se me lo consentite, con qualche forzatura rispetto ai miei intendimenti di non avere un piano territoriale regionale. Nella proposta di legge che il Gruppo comunista aveva presentato nella passata legislatura prevedevamo un piano territoriale regionale. Si è scelto in questa legislatura, di comune consenso, ed io rivedendo le mie posizioni, di arrivare a una pianificazione territoriale regionale, che non abbiamo voluto chiamare piano territoriale regionale proprio per non caratterizzarlo come elemento di centralità della direzione dei problemi territoriali, un quadro regionale da comporsi attraverso un processo di larga partecipazione che è quello della formazione dei piani territoriali comprensoriali con i Comitati comprensoriali.
E' attraverso questo processo che si stanno muovendo i Comitati comprensoriali. Abbiamo avviato questa discussione anche con la Commissione, chiedendo il suo contributo come rappresentanza del Consiglio regionale all'attività di promozione del lavoro dei Comprensori all'attività di direzione del rapporto tra Regione e Comprensorio e su questa strada ci dovremo muovere. I tempi sono ristretti. La legge sull'uso del suolo stabilisce che entro il mese di giugno del 1979 dovremo promuovere la formazione degli schemi dei piani territoriali nei 15 Comprensori.
Siamo in questa situazione perché l'abbiamo scelta: è una strada, è una procedura che abbiamo definito come la procedura più giusta, più corretta per avere gli strumenti di pianificazione territoriale, composti attraverso il coordinamento dei piani territoriali comprensoriali. E' una scelta di non poco conto perché consente di collegare un processo di riforma istituzionale nell'ambito regionale che è quello di dar vita alla presenza e all'attività dei Comitati comprensoriali con decisioni importanti di pianificazione socio-economiche, di pianificazione territoriale. Non sono quindi fatti staccati, formali, che si affiancano, ma sono iniziative che organicamente promuovono trasformazioni nel modo di essere delle strutture istituzionali, del modo di esprimersi degli Enti locali e della volontà democratica della nostra Regione.
Il mio discorso è certamente troppo sintetico rispetto all'ampiezza del problema, ma non mi pare si tratti oggi di discutere di questi aspetti poiché li stiamo discutendo in Commissione, già da oggi non stiamo operando alla cieca e sarei contento se potessimo fare le scelte con una partecipazione più completa del Consiglio. L'esecutivo opera tutti i giorni, il Consiglio opera tramite le Commissioni, c'è però anche una difficoltà, un lato perché l'informazione deve essere la più larga possibile.
Abbiamo alle spalle una serie di indicazioni di piano territoriale che se ancora non costituiscono elementi formali particolareggiati costituiscono però dei punti di riferimento conosciuti, dibattuti, in alcuni casi anche approvati dal Consiglio regionale e a cui la Giunta si attiene. Intanto c'è un Piano di sviluppo socioeconomico con degli indirizzi e con delle indicazioni quadro di organizzazione territoriale.
Sono riferimenti che vengono ad arricchire i dati più generici di finalità di puro decentramento, di puro riequilibrio territoriale che in vari momenti della vita della Regione, a partire fin dall'approvazione dello Statuto, sono stati espressi.
Credo sia sbagliato dire che non ci sono principi, non ci sono indirizzi, non ci sono punti fermi. Per non restare ad una pura dichiarazione teorica voglio ricordare che nel caso di Vercelli ci sono indicazioni riportate poi nel Piano di sviluppo regionale che indicano quell'area comprensoriale, come punto di riferimento per la politica di dislocazione dell'attività della popolazione.
La legge sulle aree industriali è stata formulata nella passata legislatura e questa maggioranza, allora, nel definire quella legge specificò puntualmente gli interventi inserendo l'area di Vercelli già prevedendo le difficoltà della Montedison. Ci stiamo muovendo per attuare l'area industriale di Vercelli per la quale sono già avviati i lavori della prima infrastrutturazione.
Ma all'esempio di Vercelli, preso emblematicamente, potremmo aggiungerne altri. Esso consente di richiamare altri problemi e di rilevare come essi non nascono da un momento all'altro, possono essere giudicati nella concezione del tutto o del niente, del compiuto o dell'inesistente e mi permettono di indicare come queste situazioni siano la coda di processi avviati nel passato. Non per fare delle polemiche, non per attribuire responsabilità e per assumere un atteggiamento come quello che sto criticando che divide i buoni dai cattivi, ma per individuare politicamente il significato del lavoro della Giunta regionale nel suo complesso, voglio dire che proprio a Vercelli ci troviamo in presenza di una caduta occupazionale pari al 10 e che rischia di raggiungere il 15/20 se non si riescono ad attivare quelle incerte prospettive di attività sostitutiva che sono state indicate. Questa situazione che potrà portare una forte regressione nella città di Vercelli, già sentita in questi ultimi anni, che gli farà perdere il ruolo di polo di Comprensorio, che farà sì che un tessuto urbano, storico, tradizionale con 55 mila abitanti abbia un decadimento economico, ci troviamo in presenza di iniziative di espansione occupazionale che si vanno a collocare a Crescentino, a Saluggia e a Verrone. Questa situazione voglio indicarla non come elemento di polemica ma come esempio di un processo che si tratta di gestire nei confronti del quale tutti i giorni cerchiamo di operare perché i danni siano i minori possibili. E' una situazione che ha origini lontane, per lo meno non di questi ultimi anni.
I Consiglieri che erano presenti in questo Consiglio regionale nella passata legislatura si ricorderanno due grosse discussioni che si sono svolte, una riguardante la Lancia di Verrone per la quale il collega Furia allora presente in Consiglio regionale, fu portatore di un discorso che metteva in evidenza i rischi di quell'insediamento. Tuttavia nella passata legislatura, l'insediamento di Verrone ha preso corpo, ha messo le radici ed oggi ci impone dei problemi di ulteriore espansione che forse soltanto assumendo posizioni irragionevoli possiamo pensare di disconoscere. I Consiglieri si ricorderanno i problemi che si sono aperti attorno alla Fonderia di Crescentino e, dopo aver sancito quell'insediamento si sono dovuti discutere gli effetti per cercare di evitarne le conseguenze. Questi sono esempi di un processo che è in atto nei confronti del quale sorgono problemi di gestione perché gli sviluppi siano meno gravi.
Diventa difficile accettare un'analisi ed un giudizio che voglia vedere il "tutto" fatto, quando fino a ieri non si è fatto niente per andare nella direzione di una giusta organizzazione territoriale che colga i nodi centrali della struttura territoriale regionale come riferimento dell'espansione industriale che si espanda Crescentino anche sono di 500 unità in 5 anni, che si espanda la Lancia di Verrone come ci ha detto il suo amministratore delegato Rossignolo l'altro giorno in un incontro che abbiamo avuto per conoscere i programmi di 500/600 unità entro l'80. Pu essere giustificato appunto dalle radici messe da questa industria che ha una struttura di servizi che richiede di essere completata che però non trova giustificazione se fossimo in una situazione non compromessa nel Comprensorio di Vercelli; perché l'espansione di Saluggia, di Crescentino di Verrone costituiscono un elemento che ancora disgrega il Comprensorio di Vercelli non perché siano lontane da Vercelli, ma perché già sono state fagocitate dalla struttura produttiva di Torino. La loro ulteriore espansione, forse non contestabile e sindacabile, nel momento in cui c'è un decadimento a Vercelli, provocherà una frattura ulteriore all'interno di quel Comprensorio. Quando si dice che siamo ciechi verso la politica territoriale, quando si dice che non c'è una posizione che tenda a contrastare l'ulteriore concentrazione e l'espansione della conurbazione torinese, non si analizza l'intero processo.
Sento anch'io molto spesso in questi anni di attività presso l'Assessorato, l'ansia dell'insoddisfazione perché tutto non va secondo i disegni ideali. Allora, se non vogliamo ridurre il dibattito politico in una polemica nuda che non serve a nessuno di cui forse potremmo solo avvantaggiarci perché, per lo meno, certi errori del passato non li abbiamo commessi, li abbiamo anzi denunciati come errori possibili, dobbiamo cogliere l'interezza dei processi e le difficoltà che sono in atto per portare avanti i processi alternativi.



ALBERTON Ezio

Come si colloca la scelta di Saluggia nel decreto?



RIVALTA Luigi, Assessore alla pianificazione territoriale

Il problema di Saluggia intanto noi lo vogliamo distinguere fra quello che è il problema posto da una società immobiliare che avendo lì un milione e mezzo di mq, di terreno, e una società che avvia anche le strutture produttive e si pone il problema del proprio utilizzo. Esistono problemi in ordine agli ampliamenti e alle eventuali aggregazioni necessarie rispetto alla preesistenza a Saluggia di attività biomedica, attività tecnologica qualificata che occupa mano d'opera femminile. Se tale attività industriale ha problemi di espansione e di aggregazione di attività collaterali, che non siano l'occupazione di un milione e mezzo di mq., sotto questo profilo così come assumiamo atteggiamenti ragionevoli nei confronti di Crescentino per la preesistenza di attività a Verrone, credo sia opportuno assumere allo stesso modo un atteggiamento ragionevole nei confronti di Saluggia.
I problemi si pongono in modo analogo in altri Comprensori, come quello di Verbania dove la crisi della Montedison, della Sisma e della Rumianca mette in difficoltà i centri di Pallanza, di Verbania e Villadossola. Prima di arrivare ai piani territoriali con occhi attenti dovremo valutare i processi occupazionali, assumere iniziative e soluzioni alternative. Allo stesso modo i problemi si pongono pure nei Comprensori di Asti, di Cuneo e analogamente si sta svolgendo la nostra iniziativa. E vengo alla seconda parte del discorso per toccare anche la questione posta dall'interpellanza urgente presentata dai Gruppi dell'opposizione. Anche in questo caso si pongono problemi dello stesso tipo. Il dibattito culturale attorno ai problemi del Comprensorio di Torino è iniziato da lungo tempo ed ha impegnato tutte le forze politiche. Attorno ad esso si sono formulate ipotesi largamente dibattute che sono state acquisite non solo nella coscienza degli Enti pubblici, ma anche dalle forze imprenditoriali che si pongono il problema di una politica diversa rispetto al passato. Non apro polemiche perché mi sarebbe facile indicare tempi e persone; lo far soltanto nei casi in cui sarà strettamente necessario.
Alla Regione interessa il processo che esiste attorno a queste iniziative per cogliere quanto di vincolante e di innovativo dovrà introdurre nelle proprie azioni. La Regione sta operando sulla base di una deliberazione del 1975 assunta dopo un anno e mezzo di lavoro svolto in Commissione consiliare. Il Gruppo PCI aveva preso le mosse da una serie di questioni che erano sul tappeto: si stava consentendo la costruzione di una città per 40 mila abitanti, la costruzione della Torino-Pinerolo che sarebbe stato un elemento portante dell'ulteriore dilatazione della città di Torino, la costruzione della prima linea metropolitana, che avrebbe costituito l'elemento di congiunzione della dilatazione della conurbazione torinese, l'autostrada del Frejus, la tangenziale est. Con una rapida revisione critica delle posizioni assunte in Consiglio regionale (nel giro di un anno e mezzo si è arrivati alla deliberazione del 30.4.1975 che continua ad essere il punto di riferimento per la Giunta), si sono assunti atteggiamenti contrari nei confronti di iniziative di questo genere. In quella deliberazione si dice: "Con riferimento alle infrastrutture autostradali Torino-Pinerolo non si ritiene che il progettato collegamento autostradale possa trovare realizzazione nel periodo previsionale del piano". Altro problema posto in quella deliberazione era in riferimento alla seconda pista di Caselle: "Il progetto di potenziamento di Caselle attraverso la costruzione di una seconda pista non può essere recepito in quanto l'inserimento di Torino nelle grandi rotte aeree internazionali esula sia da un problema di pretto rilievo regionale, sia, a maggior ragione, di sola area ecologica". La Giunta sta impedendo che avvenga la costruzione dell'autostrada Torino-Pinerolo, così come ha voluto verificare fino in fondo, se ancora dubbi ci potevano essere, circa l'opportunità o meno della seconda pista di Caselle ed ha portato al dibattito pubblico le possibili soluzioni e le alternative che esistevano. Quando la Fiat ha posto il problema di Rivalta, la Giunta ha risposto negativamente ed ha discusso in quali termini si poteva accettare la proposta consentendo un'espansione limitata che non implicasse un aumento occupazionale e l'introduzione nel reparto di verniciatura di nuove tecnologie, soluzione che risolve problemi funzionali ed economici dell'azienda e problemi ambientali. Allo stesso modo la Giunta ha fatto in direzione del problema degli uffici Fiat a Candiolo.
Sulla viabilità della Valle di Susa in un primo tempo non eravamo favorevoli, e c'è stata una revisione critica da parte nostra che ci ha portati alla decisione congiunta indicata nella deliberazione: "parere favorevole invece da formularsi a favore del potenziamento della viabilità della Valle di Susa al servizio sia dell'incentivazione del principale polo di vallata, Susa, sia del collegamento internazionale in via di realizzazione attraverso il traforo del Frejus.
Poiché non si avevano dati sufficienti per giudicare se sia più conveniente realizzare un' autostrada o una viabilità di tipo autostradale questa Giunta si è messa in moto per avere gli elementi di scelta e di giudizio. Si è tenuto un convegno dopo che del problema si è discusso in Commissione, nel quale si sono indicate le alternative.
Le risposte sono state negative sia nei confronti della tangenziale est che nei confronti della metropolitana ed anche il Comune di Torino si sta muovendo con difficoltà secondo gli indirizzi dati allora. Ci sono indicazioni che riguardano anche i problemi residenziali. Il documento dice anche: "Si ritiene necessario assicurare, per quanto riguarda la conurbazione torinese, modeste quantità di crescita della prima corona al solo scopo di apportare insediamenti atti a promuovere la riqualificazione dell'aggregato urbano". A questa impostazione si aggancia il problema della riorganizzazione industriale e della convenzione quadro. Si dice ancora "non sarà consentito il loro insediamento nelle aree libere ancora esistenti fra i protendimenti della conurbazione torinese, le quali debbono essere mantenute al loro uso agricolo e in taluni casi alla formazione di parchi e dare verde attrezzato anche per il fine generale di impedire l'ulteriore degradazione delle condizioni ambientali ecologiche". Per protendimento della conurbazione torinese si intende quel tessuto filiforme di residenze e di industrie che si è formato lungo le strade di maggior traffico che escono da Torino. All'interno di questi prolungamenti esistono aree verdi come quella di Borgaro che avrebbe dovuto essere occupata da una città di 40 mila abitanti come quelle di Stupinigi e dell'Aeritalia, campo di aviazione recintato attualmente escluso alla fruizione dei cittadini.
Al di là di queste indicazioni ce ne sono altre, che non hanno avuto una convalida formale, ma che l'Assessorato ha valutato in termini di schema di piano territoriale e che ha consegnato alla Commissione consiliare per un primo confronto. Esse non costituiscono elemento da cui necessariamente partire per la formazione dello schema del piano territoriale, ma costituiscono uno schema di riferimento a cui l'Assessorato si attiene nella gestione quotidiana e nelle proprie decisioni.
Voglio ricordare, visto che si fanno questioni sul metodo, che nell'ottobre del 1974 mentre il Consiglio regionale stava discutendo quella deliberazione, senza che nessuno ne fosse al corrente, veniva emesso il decreto di una lottizzazione alla Mandria per alcune centinaia di villette.
Il 9.61975, a sei giorni dalle elezioni amministrative, è stato firmato il decreto per l'insediamento degli uffici Fiat in una zona boschiva di Candiolo. Due anni e mezzo fa venivano prese decisioni di questo tipo senza che il Consiglio regionale ne fosse al corrente. Erano i tempi in cui a Torino avvenivano processi di dilatazione delle strutture urbane e di concentrazione delle attività; mi riferisco alle diecimila stanze ristrutturate nella passata legislatura e trasformate quasi completamente in uffici con l'espulsione della popolazione: un atto pratico di politica di decentramento della popolazione e non di ridistribuzione delle attività.
Sono state rilasciate 2.000 licenze che hanno dilatato la struttura industriale sulla strada verso Borgaro.
L'interpellanza urgente dei Consiglieri dell'opposizione fa riferimento al Centro direzionale della Fiat. Esso prevede la dislocazione di volumetrie per 6 mila e 500/7000 impiegati e pone oggi problemi di programmazione economica sociale e territoriale, come li poneva nel momento in cui è stato firmato il decreto di lottizzazione a Candiolo. Esso comporta una pendolarità verso quell'area con l'innesco di un evidente processo insediativo. Il Comune di Candiolo aveva già predisposto un piano regolatore che prevedeva insediamenti residenziali, lungo la striscia che da Candiolo va verso la zona dove dovrebbe sorgere il Centro direzionale.
Stupisce il fatto che, mentre il 30.4, si approvava la deliberazione, il 9 giugno successivo si firmasse il decreto di lottizzazione in quell'area.
Il problema è stato analizzato a fondo ed è stato proposto alla Fiat un ripensamento in merito all'insediamento di Candiolo, tuttavia non si è ancora approdati ad alcune decisioni. Gli uffici della Fiat oggi sono dislocati in 131 punti diversi della città, molti dei quali in edifici originariamente destinati ad uso abitazione. Si tratta quindi di valutare questo problema, non solo avendo riguardo per la situazione aziendale, ma anche alle condizioni di lavoro. E' sorto il problema della dislocazione di una parte degli uffici Fiat nella zona Ovest di Torino, con riferimento al campo volo, in modo che il tessuto abitativo dell'Aeronautica sia riqualificato e riorganizzato, senza provocare spostamenti di abitazioni considerando che gli impiegati vivono già all'interno di quel tessuto urbano. Il campo volo, oggi recintato e non accessibile potrebbe essere liberato, per farne diventare un parco, una parte consistente e agibile qualificato del tessuto urbano. Questa ipotesi sarà portata all'esame della Commissione competente e del Consiglio.
Non si pone quindi il problema di una "strana dislocazione degli uffici Fiat" semmai si pongono ipotesi di soluzione dei programmi Fiat considerando le possibilità di riorganizzazione e di riqualificazione del tessuto urbano. Nessuna decisione è stata presa. Nell'interpellanza si dice che la questione interessa molteplici livelli istituzionali e le forze sociali. Il tema della riorganizzazione urbana, della conurbazione è all'attenzione dei Comuni di Torino, Collegno e Candiolo. L'amministrazione di Torino ha formulato un'ipotesi che è in discussione alla Commissione consiliare. Non appena sarà formulata un'ipotesi concreta, dopo che i Comuni di Torino, Collegno e Candiolo avranno espresso le loro posizioni questo discorso si riaprirà criticamente all'interno del Consiglio regionale: non si scavalcherà nessun momento decisionale, ma si introdurrà sul piano del metodo, oltre che del merito, elementi nuovi rispetto a quanto è avvenuto nel passato, di cui ho citato alcuni esempi.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Simonelli.



SIMONELLI Claudio, Assessore al bilancio e programmazione

Colleghi del Consiglio, il documento presentato voleva riaffermare il quadro politico programmatico della maggioranza e della Giunta, assumere il Piano di sviluppo come momento centrale dell'attività di questo scorcio di legislatura, indicare le linee di orientamento per l'attività dei Dipartimenti e degli Assessorati.
Il senso di insoddisfazione che è trapelato dagli interventi dell'opposizione appare per un certo verso incomprensibile. Che cosa pensava l'opposizione? Che cioè non esistesse più un quadro politico di maggioranza o che il piano non fosse più il punto di riferimento? Questa maggioranza ha governato in una situazione difficile, ma ha anche dimostrato la capacità di non indulgere in trionfalismi sovrariconoscimenti di ruoli.
La Giunta sta gestendo l'attività coerentemente con gli orientamenti di fondo del programma, in una fase difficile e contraddittoria, nella quale i problemi dello squilibrio territoriale, della riconversione economica della necessità di diffusione dei servizi a tutta la comunità, si intrecciano con i problemi nuovi posti dalla crisi e dalla necessità di riforme istituzionali.
Le Regioni sono chiamate ad assolvere compiti di natura politica enormemente più gravosi e più impegnativi rispetto a quelli che si potevano immaginare negli anni passati, rispetto a quegli stessi problemi di cui eravamo consapevoli all'indomani delle elezioni del 15 giugno 1975. Intanto è necessario che la Regione svolga nei confronti del Governo un ruolo di taglio costituzionale diverso da quello svolto durante la prima legislatura regionale in cui le Regioni hanno avuto un atteggiamento che potremmo chiamare "garantista", si sono cioè preoccupate di difendere gli spazi di attività e di autonomia che la Costituzione riconosce loro e questa forma di difesa ha visto Regioni e Governo, parti contrapposte in una serie di ricorsi davanti alla Corte Costituzionale. Questa fase è esaurita. Oggi il problema è quello di occupare uno spazio politico, di stimolo, di partecipazione, di corresponsabilità nelle linee di politica economica finanziaria del Paese.
Quando discutiamo del Piano di sviluppo regionale, dell'allocazione delle risorse, del governo del territorio e della partecipazione nel governare l'economia, immediatamente rileviamo l'assenza di un quadro programmatico a medio termine e facciamo i conti con i condizionamenti che la politica economica e finanziaria a breve termine reca alla nostra attività. La Regione deve necessariamente essere interlocutrice della politica nazionale se vuole far avanzare il Piano di sviluppo. Non è più possibile amministrare per aree separate di attività.
Qui si colloca il rilievo che abbiamo dato in ordine alle scelte meridionaliste, alle quali la maggioranza intende rimanere fedele non solo per profonda convinzione, ma anche per l'impegno statutario.
La scelta meridionalista deve costituire la linea portante della politica complessiva del Paese e non deve essere contrabbandata in modo surrettizio: le Regioni del Nord, come istituzioni, non devono essere penalizzate in nome di una politica meridionalista mentre non vengono date risorse e interventi organici nel quadro della politica complessiva del Paese. La Giunta ha fatto la sua parte, fedele alle ispirazioni meridionaliste, ma attenta a non vedere stravolgere il quadro delle competenze istituzionali e finanziarie in nome di una pretesa necessità che siano le Regioni e non il complesso della spesa pubblica a pagare gli ambiti parassitari, le spese di trasferimento, la destinazione di risorse.
Nello stesso modo la Regione si pone nei confronti della politica del credito poiché, in attuazione del D,P.R. 902, conduce una battaglia molto importante di principio oltre che di sostanza, affrontando tale problema come un momento di politica di programmazione, non considerandolo solo sotto l'aspetto erogativo, ma collegato agli altri interventi qualitativi sul territorio, dalle scelte di settore ai momenti occupazionali.
Ci stiamo battendo per riaffermare il ruolo delle Regioni nell'individuazione delle aree insufficientemente sviluppate, per sottrarre questa materia alla fredda, astratta e sbagliata determinazione che il Governo vuole continuare a condurre e per privilegiare invece i Comprensori ad operare sulla base indicata dal Piano regionale di sviluppo.
In questo senso, insieme alle altre Regioni, il Piemonte sta conducendo una battaglia tesa a correggere gli effetti negativi e squilibranti del provvedimento del CIP, ribadendo la priorità delle zone comprese all'interno delle aree industriali attrezzate. Questo argomento porta in ballo il problema di Saluggia, oggetto di una interrogazione che discuteremo quanto prima. L'insediamento di Saluggia nel quadro dell'organizzazione del territorio non deve penalizzare l'esistente, ma deve tendere ad utilizzarlo qualitativamente e quantitativamente. Saluggia interessa come sede di attività industriale a tecnologia avanzata ed è suscettibile di altre aggregazioni e sviluppi della stessa natura e, sotto questo profilo, era stata inserita nella deliberazione delle aree nelle quali poter concentrare il credito agevolato. Non interessa invece che a Saluggia la Società Immobiliare Sorin S.p.A. che possiede un milione e mezzo di metri quadri, progetti di utilizzarli in qualche modo, in altri termini non esiste un piano Fiat per l'utilizzo delle aree libere di proprietà della Sorin Immobiliare di Saluggia, esistono solo delle ipotesi della Società Immobiliare che hanno lo scopo di immaginare qualche destinazione d'uso di quei terreni che rientrano nella logica di una Società immobiliare.
Sappiamo che a Saluggia esiste un progetto di ampliamento della Sorin Biomedica, altra società distinta il cui progetto è stato concordato con le organizzazioni sindacali, con il Comune e sul quale la Regione è d'accordo perché esso va nella direzione del potenziamento di attività industriali di alta qualità in cui è presente una forte componente di ricerca e di innovazione tecnologica. In altre parole lo sviluppo di Saluggia interessa se collegato alle attività esistenti e non se inteso come area industriale generica che potrebbe essere concorrenziale con l'area di Vercelli, come emerge con preoccupazione dall'interrogazione del Consigliere Franzi.
Scelta meridionalista, colleghi del Consiglio, significa avere la consapevolezza che non si faranno nell'area piemontese nuovi insediamenti di rilevanti dimensioni, ma si garantiranno i livelli occupazionali complessivi attuali e salti qualitativi e migliorativi delle strutture industriali.
Che questi risultati siano ottenibili senza attuare la mobilità mi pare argomento di difficile risposta: se questi sono i nostri obiettivi dobbiamo dirigere, indirizzare e favorire la mobilità delle imprese sul territorio regionale. Questo è il senso della convenzione quadro, questo è il senso della politica delle aree industriali attrezzate, questo è il senso delle iniziative di rilocalizzazione del centro direzionale Fiat.
Tale programma comporta un ruolo attivo della Regione. Non vogliamo essere eredi di coloro che in passato hanno detto sempre "sì" oppure "no" vogliamo svolgere una politica, motivare gli assensi ed i dissensi, entrare responsabilmente nell'ambito delle scelte, affrontare i problemi non solo avendo di fronte dati statistici astratti, ma vogliamo capire i problemi delle imprese, dei complessi produttivi, conoscere qualità e caratteri della produzione, prospettive di sviluppo, le energie intellettuali e fisiche che vi lavorano.
Abbiamo di fronte a noi un'altra grande innovazione: il rapporto con gli Enti locali per i quali si pongono problemi di riforma finanziaria e istituzionale. Tuttavia se non riusciamo a far decollare la riforma degli Enti locali, se non riusciamo a rendere efficiente l'autogoverno delle comunità locali, il discorso della Regione quale ente legislativo e di programmazione si troverebbe fuori quadro, spiazzato rispetto alle ipotesi formulate. Il discorso attorno ai Comprensori, avviato in questa prima parte della legislatura, è entrato ormai nella fase operativa; il Consiglio dispone già di un documento sull' attività di programmazione e di pianificazione territoriale dei Comprensori al quale ne seguiranno altri.
Seguiranno pure i primi documenti di analisi socio-economica. Il Comprensorio di Alessandria ha prodotto un primo quaderno in cui sono stati opportunamente raccolti gli studi svolti nell'ultimo decennio.
Va ribadito il ruolo fondamentale dei programmi consolidati di spesa a livello comprensoriale. Essi sono il fondamentale strumento di attuazione della programmazione socio-economica e territoriale, attraverso ad essi si realizzerà il coordinamento tra finanza locale, finanza regionale e finanza statale, uno degli obiettivi della politica di programmazione, indicato dal D.P.R. n. 616. Qui ci troviamo a fare i conti con una realtà tutta da costruire perché da una parte c'è la Regione con un ruolo decisivo e dall'altra ci sono gli Enti locali con un ruolo altrettanto importante, che però sono ben lontani di poter realizzare in modo adeguato ed efficace. La riforma non c'è ancora, quindi occorre inventare strumenti come il consorzio, le unità locali dei servizi, capaci di migliorare l'efficienza degli Enti locali sotto il profilo organizzativo e tecnico.
A questo disegno si collegano gli adempimenti dei documenti finanziari in corso, i bilanci in discussione avanti alle Commissioni, il documento di revisione delle leggi. Ieri alcuni colleghi si ponevano domande sull'entità delle risorse: sono 1.000 miliardi, sono 2.000 miliardi? Colleghi del Consiglio, vogliamo renderci conto che la visione complessiva dei problemi ci impone di programmare l'uso di tutte le risorse che affluiscono nel bilancio regionale, anche di quelle a destinazione vincolata? Vogliamo renderci conto che abbiamo l'esigenza di programmare tutto? Vogliamo renderci conto che occorre gestire qualitativamente anche i denari che arrivano a destinazione vincolata? O vogliamo ritenere che il ruolo della Regione sia soltanto quello del momento terminale cieco, non intelligente, inattivo? In questo scorcio di legislatura le leggi significative alle quali ci richiamiamo continuamente sono leggi che non contengono il capitolo finanziario: la legge sulla tutela e l'uso del suolo, quella sui trasporti sulle procedure della programmazione, sulle unità locali dei servizi.
Ecco dove è diverso il modo di intendere i rapporti tra maggioranza e minoranza; per svolgere questo programma la maggioranza non è sufficiente non perché non ne abbia la volontà e la capacità, ma perché per gestire queste attività occorre il coinvolgimento di tutte le forze politiche e sociali.
Le scelte obbligano a confronti che non sono più gli scontri e le contrapposizioni di un tempo: gli scontri e le contrapposizioni avvengono nel momento in cui si formano le scelte, nella gestione invece subentra il ruolo istituzionale delle forze politiche.
Se da una parte c'è un modo nuovo di governare, colleghi del Consiglio dall'altra c'è l'esigenza di un modo nuovo di fare l'opposizione. Non mi pare quindi contraddittorio il documento presentato, perché da un lato riconosce la capacità di governo della maggioranza e dall'altro il ruolo importante che le forze di opposizione hanno svolto in questo scorcio di legislatura, riconoscimento non puramente formale, ma sostanziale.
Il Consigliere Bianchi lamenta la sommarietà di certi giudizi dati sul ruolo della D.C., sulla sua sorte sociologica. Penso che in effetti ci sia stata della sommarietà in certuni giudizi, ma che ci sia stata successivamente una migliore maturazione e consapevolezza sul ruolo delle forze politiche. La Giunta nel documento considera le forze politiche per quello che esse rappresentano e per i ruoli istituzionali che hanno qui; le forze di maggioranza non si sognano di dire che la Regione è stata inventata il 15 giugno 1975, anche se devono riconoscere che quella data ha rappresentato un salto di qualità importante, perché, colleghi Consiglieri ci sono leggi, Enti e procedimenti che sono stati iniziati nell'altra legislatura e poiché ogni forza politica ha avuto parte nella loro sorte può vantarsi di avere contribuito alla loro nascita, però molte iniziative discusse e preparate da lungo tempo, hanno visto la luce in questa legislatura: il Piano di sviluppo, i Comprensori, la legge sulle aree industriali attrezzate e tutta una serie di altri provvedimenti: continuità, ma anche accentuazione degli impegni, scelte più rigorose capacità di individuare le priorità. In questo gioco ogni forza politica deve fare la parte che le compete e il Consigliere Bianchi nel suo intervento ha detto che in fondo gli sta bene il modo con cui avviene il confronto in quest'aula. L'elenco ragionieristico delle realizzazioni non fa sfigurare questa Giunta nemmeno facendo il confronto con le Giunte che ci hanno preceduto o con Giunte di altre Regioni del Paese.
In passato la forza politica alla quale appartengo era stata talora definita il partito degli Assessori, partito cioè che tendeva ad occupare all'interno delle istituzioni un posto più rilevante rispetto a quello che occupava nel Paese e dietro a questa definizione, talora non contraddetta dalla realtà dei fatti, emergeva una valutazione critica e negativa sul peso qualitativo, sul ruolo e sulla strategia del partito socialista italiano. Ebbene, credo che dalla valutazione dei fatti di questi mesi come ha ricordato anche il Consigliere Bianchi, emerga che il partito socialista italiano sta giocando - uso questo termine nel suo significato più nobile - il suo ruolo nel Paese e nelle istituzioni in un modo nuovo rispetto al passato e sta giustamente meritando l'attenzione delle altre forze politiche.
Il Partito socialista sta discutendo in questi giorni dei nodi istituzionali e politici della democrazia conflittuale, del pluralismo della programmazione, delle partecipazioni, della riorganizzazione dei poteri locali, della riforma dello Stato perché crede di avere una sua immagine della società e del suo sviluppo da confrontare con quella degli altri. E' certo che il PSI non ha nelle istituzioni né un ruolo subalterno né la pretesa di essere il primo della classe: sa di dover compiere la sua parte non soltanto memore della storia e delle tradizioni che ha alle spalle, ma consapevole dei programmi, delle immagini, delle strategie della volontà di costruire.



PRESIDENTE

La parola al Vicepresidente Bajardi per l'ultimo intervento.



BAJARDI Sante, Vicepresidente della Giunta regionale

Dalla discussione che si è sviluppata ieri ed oggi, sono emerse interpretazioni diverse. La situazione reale, ricca di problemi, ci induce a prendere atto del processo politico attuale, della sua aderenza a fatti generali che travalicano la dimensione regionale.
Qualcuno forse si aspettava rotture improvvise, un ritorno al passato centro sinistra: siamo nel futuribile, ognuno può avanzare ipotesi e prospettive diverse. La realtà ci ha fatto compiere un passo in avanti ed il confronto tra le forze politiche è entrato nel merito dei problemi.
La Giunta si è presentata con un documento sulle linee generali della propria amministrazione da seguire nei prossimi 30 mesi. E' un atto di riflessione anche sofferto, perché non può essere ignorato che una buona parte degli attuali membri della Giunta sono alla prima esperienza gestionale e di potere; un'esperienza sofferta che ha fatto emergere limiti, difetti e insufficienze, che però non possono essere considerati il punto di partenza per una valutazione di merito, o per una classificazione astratta in a) o b), ma devono invece essere considerati come esperienza collegiale che sente la responsabilità della situazione, che sente il bisogno profondo di un rapporto con le altre forze politiche e che con questa scelta di fondo che ha fatto sin dal primo giorno in cui si è installata, sia pure con limiti e contraddizioni, dichiara di voler proseguire il suo cammino. Non mi pare quindi giusto dire che il documento della Giunta è chiuso al proprio interno. Ci sono elementi di ambiguità che debbono essere chiariti. Tutti assieme abbiamo fatto un balzo in avanti rinunciando alla tentazione della rottura a casa degli altri e considerando inevitabili i processi politici, non come risultato di strumentalizzazioni o di azioni immediate ma come risultato di processi mediati che hanno come punto di riferimento il confronto sul merito dei problemi e producono aggregazioni vere che durano nel tempo, che portano a chiarimenti sul passato, a quel salto di qualità che è garanzia per la realizzazione degli impegni e delle scelte del Consiglio regionale.
Il documento è stato variamente giudicato. E' comprensibile la tentazione, che è anche nostra, di iniziare da capo, a scrivere il Piano regionale di sviluppo. E' comprensibile l'esigenza di considerare il materiale del Piano di sviluppo, del bilancio '78, del bilancio pluriennale, un processo continuo che muta di giorno in giorno in attuazione del D.P.R. 616 e del Decreto Stammati che costringeranno a modificare il bilancio, ad espandere la spesa regionale, forse in una direzione che nessuno avrebbe voluto. Tuttavia siamo consapevoli che questo processo si colloca in un'esigenza generale che potrà produrre a livello nazionale una positiva riorganizzazione della spesa complessiva. Così auspichiamo e faremo le modifiche con tale spirito. Non abbiamo però le garanzie assolute che ciò avverrà, perché vi è una serie di elementi imponderabili in ordine alle variabili esterne; la più complessa delle quali è la situazione economica e politica del Paese alla quale dobbiamo riferirci. Alcuni intervenuti, forse prendendo lo spunto da una formulazione discutibile dal punto di vista del linguaggio, e dell'opportunità, hanno registrato l'assenza di un programma alternativo.
Bisogna evitare equivoci: la formulazione va presa nel contesto complessivo che è sintesi di due processi: la volontà della maggioranza di perseguire una politica di piano e un rapporto organico con le altre forze politiche e i risultati delle altre forze che, in quanto tali, hanno inciso e producono momenti di sintesi complessi, pieni di contraddizioni, che però ci fanno ritrovare sostanzialmente concordi nelle linee di fondo del progetto politico. Se per progetto politico pensiamo al processo di riorganizzazione istituzionale, locale e generale, alla soluzione dei problemi economici e sociali, anch'essi a scala locale e generale, quindi la programmazione intesa come processo e non più come disegno globale, è legittimo pensare di poterci ritrovare tutti in un progetto politico per la riorganizzazione del processo istituzionale e del modo concreto con cui la politica di programmazione va avanti. Rimane l'impegno del Consiglio ad operare con una visione articolata e pluralistica della società regionale e nazionale.
Vorrei cogliere l'occasione per fare una riflessione sul pluralismo.
Ogni forza politica deve e può portare il proprio contributo a questo concetto. Le forze politiche di sinistra e soprattutto la forza politica di cui sono esponente, ha il dovere di sottolineare l'interpretazione dinamica del pluralismo, ai vari livelli politici, istituzionali e sociali. Con quale fine ? Per metterci tutti attorno ad un tavolo in un immutabile rapporto di forza o per prendere atto della disparità nella partecipazione alla vita sociale, politica e istituzionale e scegliere di privilegiare forze più deboli, forze che meno hanno contato nei processi politici sociali e istituzionali ? Pluralismo istituzionale vuol dire sottolineare l'esigenza di far crescere la capacità di governo dei Comuni che meno hanno contato nella vita e nelle grandi scelte del nostro Paese, altrimenti è un pluralismo tra forze impari che saranno sempre costrette a subire le decisioni degli altri. Se sul piano politico si vuol parlare di pluralismo occorre sottolineare che esso è la riaffermazione del ruolo e del peso delle forze politiche minori. Ben vengano quindi tutti gli impegni a garanzia del pluralismo come condizione affinché le forze politiche minori possano contare, come lo stesso finanziamento dei partiti. A livello delle forze sociali, pluralismo è l'illusione di mettere imprenditori e datori di lavoro attorno ad un tavolo in un rapporto tra pari, o in un rapporto che consideri le forze nel loro peso reale e faccia crescere il peso di quelle che per varie ragioni non hanno mai contato, creando le condizioni di un pluralismo sostanziale, capace di perseguire gli obiettivi concreti.
Queste considerazioni non vogliono assolutamente essere esaustive della concezione pluralistica perché essa è ben più completa. Vanno anche considerati i rapporti con le forze economiche e con gli imprenditori nei confronti dei quali diventa decisiva una tale ottica, se non si vuol passare alla contrattazione in termini riduttivi e non invece coinvolgendo tutte le componenti del tessuto del nostro Paese: forze politiche, forze sociali e i livelli istituzionali con i loro pesi reali.
Sui due grandi capitoli dell'assetto istituzionale e della politica di programmazione, sono intervenuti i colleghi di Giunta Rivalta e Simonelli e mi parrebbe eccessivo soffermarmi ancora. Tuttavia sottolineo soltanto in ordine al primo punto che dobbiamo prendere consapevolezza del processo irreversibile, di organizzazione in modo nuovo del tessuto istituzionale del nostro Paese: Comprensori e Unità locali dei servizi, espressioni organizzate di secondo livello dei Comuni, rappresentano finalmente gli interlocutori validi nella politica di programmazione che dovrà conciliare le esigenze sociali con gli elementi di produttività e di erogazione dei servizi al minore costo per la società.
E' questa una linea che dobbiamo perseguire e che dobbiamo favorire, la responsabilità di tale processo non potrà essere attribuita ad un partito ad una maggioranza ma dovrà essere il risultato dell'impegno reale di tutte le forze politiche presenti in Consiglio. Stiamo vivendo la fase di avvio dei Comprensori. Registriamo il parere positivo espresso in relazione al documento presentato dalla Giunta. Entro il mese di marzo i comprensori tranne il Comprensorio di Torino i cui problemi sono più complessi, avranno espresso i loro pareri, per esempio, in ordine all'azzonamento della politica dei trasporti. L'altro ieri in sede di Commissione sono stati esaminati positivamente i pareri di sette comprensori e, a giorni il Decreto del Presidente della Giunta sancirà questo parere, e sancirà l'avvio della politica di piano dei trasporti a livello comprensoriale.
Il trasferimento del potere regionale ai consorzi dei Comuni è un elemento importante soprattutto per gli effetti del primo impatto con i problemi dell'emergenza.
In questo discorso è utile riaffermare alcuni elementi per quanto riguarda il rapporto Giunta-Consiglio. Nei mesi futuri dovremo riflettere sul modo in cui la Regione ha legiferato. Come ricordava il collega Simonelli, gli atti principali che la Regione sta producendo rientrano nella legislazione quadro la quale non comporta impegni di spesa, dalla quale però prenderà l'avvio la politica della spesa. Il Consiglio sarà chiamato in modo crescente a dibattere gli atti amministrativi, non solo in termini di garanzia democratica, ma anche come assunzione di deliberazioni.
Il Consiglio prenderà coscienza del modo concreto con cui l'amministrazione quotidiana si evolve anche in merito a quella delegata: questa coscienza è la condizione per poter legiferare correttamente e adeguatamente. E' un discorso sul quale sarà necessario ritornare perché esso può profondamente modificare il lavoro del Consiglio e delle Commissioni, impegnate fondamentalmente nel processo della consultazione con l'esterno in riferimento ai principali atti legislativi, ma ancora eccessivamente dissociate dai momenti dell'amministrazione. Senza mutare il proprio carattere legislativo e programmatorio, la Regione per la poca parte di amministrazione attiva che le compete, per la larga parte che ha delegato al complesso sistema degli Enti locali, [deve attingersi e quegli elementi sic.] ai quali riferirsi.
In sostanza, credo che il discorso che ci sta di fronte è quello del particolarismo, ma anche della concretezza, e della necessità di essere in grado di misurare l'efficacia degli atti amministrativi.
Come Presidente del: Comitato regionale delle opere pubbliche, sono stato in grado di valutare alcune scelte compiute dall'Assessorato all'agricoltura in ordine alla politica della zootecnia e dell'allevamento.
Finora il Comitato ha approvato 16 progetti di stalle sociali, che nel corso dell'anno prossimo daranno un incremento di 4 mila bovini, di 6 mila ovini e caprini e di altre decine di migliaia di animali minori. Questi dati entreranno a far parte del dibattito consiliare poiché la non conoscenza di tali elementi ci darebbe una spesa astratta e la programmazione sarebbe solo ginnastica di programmi e di disegni e non momento che si sostanzia nel consuntivo e che dimostra i salti di qualità ed il raggiungimento degli obiettivi. In questo modo il Consiglio regionale costruisce la mappa e la condizione generale dell'economia piemontese, che diventa punto di riferimento quotidiano per valutare le decisioni amministrative che assumeremo di giorno in giorno.
In merito alla politica della spesa, dobbiamo prendere atto del comportamento disorganico degli Enti locali. E' sperabile che esso vada gradualmente riducendosi per effetto del decreto Stammati e degli atti inerenti alla riforma del sistema istituzionale e che comunque si superi questa commistione di competenze e di risorse in quanto i problemi dell'uno sono sempre i problemi di tutti, ma quando i problemi sono risolti il merito è dell'uno; quando invece i problemi non si risolvono il demerito è di tutti. La dottoressa Castagnone Vaccarino nel suo intervento ha sfiorato questa situazione quando ieri faceva le considerazioni sulla sconfitta della politica meridionalistica.
Credo che, in un'interpretazione unitaria della politica di programmazione,si debba giungere ad una concreta definizione delle responsabilità di ognuno e del contributo concreto che ognuno dà alla realizzazione del disegno unitario. Non è più possibile erogare la spesa a pioggia o in modo dispersivo, un'interpretazione di questo genere non è ammissibile. Certamente non si può realizzare tutto dall'oggi al domani, ma con gradualità.
Si può discutere sui vincoli della spesa regionale libera discrezionale, che, fatti i conti, ha una incidenza del 15%; se si aggiunge il 15% al bilancio di ogni Comune non cambia niente, se però il 15% è considerato in un disegno unitario, in un contesto più ampio sovracomunale, comprensoriale, a livello regionale, esso è in grado di accrescere la produttività, può essere uno stimolo ad operare in modo diverso, un incoraggiamento a superare la singola dimensione per la soluzione dei problemi contemperando in modo corretto l'interesse generale del Paese ottenendo il massimo beneficio con minima spesa.
I Comprensori e le unità locali dei servizi sono il punto di riferimento, il momento di riorganizzazione generale che semplifica la spesa regionale, che la rende più trasparente, che cancella tanti capitoli riconducendoli ad uno solo con una spesa globale per una determinata funzione. Non si chiederà più per la voce "a" per "b" o "c", ma si chiederà per "una politica" e allora per "una politica" avremo la forza di calibrare le scelte in relazione alle risorse e sapremo che la divisione delle risorse non produrrà discriminazione a danno di "a", di "b", o di "c", ma produrrà un salto di qualità in proporzioni più grandi della limitata incidenza del 15% del complesso della spesa degli Enti locali. Di fronte ad una proiezione pura e semplice della spesa, se non entreranno delle variabili esterne, temo che tra 6 o 7 anni la vita della Regione si bloccherà. Dobbiamo avere il coraggio di prendere coscienza di questo fatto perché corriamo il pericolo di trovarci nella stessa situazione in cui sono oggi gli Enti locali, che hanno bisogno di un massiccio intervento finanziario e riorganizzativo dello Stato per uscire dall'impasse in cui si trovano.
E' corretta una politica di impegno delle risorse a tempi lunghi quando il costo del denaro è accettabile, ma una politica di impegno a tempi lunghi non è accettabile quando il costo del denaro ha le dimensioni di oggi e quando consapevolmente debbono essere assunte delle responsabilità.
Tradotto in termini politici, gli esponenti ed i rappresentanti del movimento operaio si fanno oggi carico dei problemi che ieri hanno guardato forse con eccessivo distacco. Questa occasione non è da perdere per cessare di essere quelli che chiedono qualcosa in più rispetto a quello che c'era prima o che è stato proposto, e per vedere invece come quelle risorse si possono organizzare in modo da corrispondere alle esigenze di oggi e in modo di poter guardare a quello che capiterà domani. Finalmente sappiamo qual è il debito complessivo dello Stato, inteso come complesso dell'amministrazione pubblica, e sappiamo che dobbiamo collocarci all'interno di quel disegno con la consapevolezza delle conseguenze che da esso possono derivare.
L'evoluzione dei processi politici del nostro Paese, l'assenso delle forze politiche al programma di Governo, possono finalmente sciogliere uno di quegli elementi di variabilità esterna al nostro modo di operare e possono porre alle forze presenti in Consiglio il tema del rapporto della Regione con il Governo ed il modo di avviare la dialettica responsabile, in ordine all'attuazione del programma di governo; il che vuol dire che la nostra non è una autonomia astratta, isolazionistica o autarchica e che la programmazione è una garanzia della nostra autonomia in quanto ci permette di realizzare i nostri programmi sul territorio, ed è, nello stesso tempo un condizionamento alla nostra autonomia perché ci costringe a considerare delle variabili esterne che sono un elemento determinante per l'avvio dell'intera politica di piano.
Concludendo desidero sottolineare la positività del dibattito che abbiamo svolto in questi giorni e la necessità che esso continui ai futuri appuntamenti delle discussioni sui Comprensori, sul bilancio '78 e sul bilancio pluriennale, ma anche sugli atti di politica di programmazione settoriale che sono la scelta di fondo per uscire dalla concezione della programmazione totalizzante e che ci raccorda con i problemi connessi alla programmazione nazionale, alle leggi dell'occupazione giovanile, del Mezzogiorno e ad altre che non sto ad elencare.
Il dibattito di oggi e quelli che verranno ci permetteranno di dare un'ulteriore dimostrazione della totale assenza di chiusura da parte della maggioranza, nei confronti delle altre forze politiche, della necessità e utilità di tale carattere aperto nell'operare e nell'intendere i rapporti con esse, bene inteso, tenendo conto del nostro patrimonio, delle nostre esperienze e della funzione di organo esecutivo. Grazie.



PRESIDENTE

Le repliche degli Assessori sono concluse. Sulla replica dell'Assessore Rivalta c'è la possibilità, per coloro che hanno presentato l'interpellanza urgente, di intervenire.
Chiede la parola il Consigliere Alberton. Ne ha facoltà.



ALBERTON Ezio

Siccome altri colleghi non firmatari dell'interpellanza hanno chiesto di intervenire, dichiaro la piena disponibilità del mio Gruppo a trasformare l'interpellanza in modo che consenta un dibattito più ampio.
L'interpellanza è stata presentata a seguito delle dichiarazioni rilasciate dal Presidente della Giunta regionale sul problema della localizzazione dei centri direzionali Fiat. L'Assessore Rivalta nel suo intervento ha ripreso la deliberazione del 1975. Non saremo certamente noi a dolerci di riprendere la discussione di questi temi su un livello di consolidamento di ipotesi di lavoro più avanzato rispetto a quello che esisteva negli anni passati. Crediamo anche noi che questa situazione consenta di affrontare problemi specifici delle aziende con un'ottica e con spirito privo di prevenzioni aprioristiche come tante volte nel passato ci è toccato di verificare. Questo dovrebbe consentire all'Ente pubblico di svolgere la sua funzione con maggiore completezza.
Le dichiarazioni del Presidente della Giunta, nonostante che l'Assessore Rivalta affermi che nessuna decisione è stata presa e che il problema è ancora aperto, hanno suonato alle orecchie di tutti coloro che le hanno lette come accettazione di un'ipotesi, in realtà in discussione in diverse sedi, con un tono di notevole definitività, dando per aperta la discussione su alcuni altri punti, ma facendo intendere che tutta una serie di altri, anche molto specifici, venivano dalla Giunta regionale giudicati positivamente, anticipando e forzando il giudizio delle altre sedi istituzionali.
Noi invece cerchiamo di cogliere l'occasione di questo discorso per riproporre e per risottolineare punti che, a nostro parere, sono e devono rimanere aperti.
La nuova organizzazione della Fiat e la localizzazione del centro direzionale - a parere di tutti - non costituisce più un fatto monolitico come nel passato. E' questo un fatto positivo di cui debbono servirsi anche gli operatori pubblici . Tutti siamo convinti della necessità non solo della riqualificazione del tessuto urbano cittadino, ma anche del tessuto metropolitano nel suo complesso.
In questa riqualificazione rientra il problema della diffusione della direzionalità e ritengo che di ciò si debba cercare di approfittare, per quanto è possibile, per accoppiare le esigenze dell'azienda con quelle di programmazione dell'Ente pubblico. Ci troviamo di fronte a tre livelli: di programmazione economica, sociale e territoriale di rapporti con i diversi livelli istituzionali. Si tratta di verificare come si possono concretizzare i rapporti tra Regione-Comprensori Enti locali delle scelte specifiche e più dettagliate.
Non crediamo esistano oggi tutti gli elementi che consentono di compiere la scelta della diffusione della direzionalità Fiat; giustamente l'Assessore Rivalta si è richiamato alla deliberazione del 1975; tuttavia dobbiamo ancora una volta rilevare come purtroppo, dopo tre anni, ci si trovi ancora nella necessità di avviare le linee direttive del piano territoriale di coordinamento di Torino, elaborazione che, se fosse proseguita, darebbe oggi maggiori elementi per poter compiere questa scelta.
Non crediamo sia possibile affermare che la scelta proposta all'interno del tessuto urbano torinese, non comporta problemi di pendolarità, di servizi e di trasporto, quando sappiamo che, così come essa viene proposta, di fatto comporta trasferimento di altre attività industriali. Questo problema ce lo troveremo comunque di fronte: le perplessità e le preoccupazioni legittime in ordine all'insediamento del complesso direzionale Fiat a Candiolo, credo debbano essere valutate in maniera diversa, approfittando della pluralità dei centri.
Abbiamo l'impressione che a posteriori si cerchino delle giustificazioni rispetto ad un unico elemento di effettiva programmazione e cioè che i centri direzionali vengano collocati dove esistono delle proprietà Fiat, ma questo non è programmazione dell'ente pubblico. Non mettiamo in dubbio che possa agevolare la scelta aziendale, ma è opportuno riprendere attentamente altre verifiche.
Andando a collocare l'insediamento in quell'area del centro cittadino (anche su di esso dovrà pronunciarsi il Comune di Torino), alla Regione non possono non preoccupare i problemi che potrebbero derivare in ordine al trasferimento di attività ed alla loro rilocalizzazione .
C'è il problema delle verifiche delle reali esigenze della Fiat.
L'intervista del Presidente della Giunta dava giudizi di positività, mentre sappiamo che la verifica in ordine a questi problemi è ancora tutta aperta a livello comunale ed a livello comprensoriale: 625 mila metri cubi per 6 mila addetti a qualcuno sembrano eccessivi.



BONTEMPI Rinaldo

Sono gli stessi di Candiolo.



ALBERTON Ezio

Appunto, sono tutti problemi da considerare e da verificare. Non sono scelte semplici, ma vi sono obiettivi dai quali troppo facilmente si prescinde, dando per scontate tutte le decisioni che sono state adottate.
Sono anche da chiarire i rapporti tra Regione, Comprensorio e Comune di Torino. Il discorso è aperto nella Commissione urbanistica del Comune e nel Comprensorio di Torino. Il Comprensorio ha ritenuto opportuno soprassedere in attesa di conoscere le prime linee del Piano territoriale di Comprensorio. Ci chiediamo allora se queste dichiarazioni non siano una forzatura rispetto alle verifiche e al dibattito che sono in corso.
Per questi motivi nell'interpellanza manteniamo aperta la richiesta che il Consiglio regionale, attraverso le Commissioni competenti, proceda alla verifica della problematica in corso per acquisire tutti gli elementi di conoscenza che finora non erano stati dati e per arrivare alla definizione corretta dei rapporti, degli obiettivi e dei metodi dei diversi livelli istituzionali. Si devono definire i grandi obiettivi di programmazione che interessano la Regione e le scelte che invece sono di competenza del Comprensorio e del Comune di Torino perché con questa sovrapposizione qualcuno fa scelte che spetterebbero ad altri, creando confusione nel processo di programmazione.
Gradiremmo su questo argomento una risposta della Giunta.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marchini.



MARCHINI Sergio

Come confirmatario dell'interpellanza mi considero soddisfatto dell'impegno assunto dall'Assessore Rivalta, a riportare il problema nelle sedi competenti. Ieri ho detto che in qualche caso non si governa ma si regna e lo ribadisco, perché il tentativo di cavalcare tutte le occasioni di cronaca, soprattutto quando sono vicine a grossi centri di potere squalifica l'istituzione.
Se la Regione non riesce a crescere come statura e come dignità; sarà sempre soltanto quell'ente che gestisce il 15% delle risorse del Piemonte.
Mi pare si debba prendere atto con soddisfazione del superamento di un certo disegno che evidentemente poneva in essere un complesso di problemi.
Anche alla luce di certe decisioni che abbiamo assunto con il piano urbanistico, alcune scelte indicate debbono essere verificate con estrema serietà.
Mi sembra inoltre grossolano l'avere reintrodotto nelle dichiarazioni la vecchia espressione che sarebbe stata fatta una "regalia" a qualcuno.
Queste sono espressioni degne di un sindaco di paese e non del Presidente della Giunta regionale.



PRESIDENTE

La parola alla signora Castagnone Vaccarino.



CASTAGNONE VACCARINO Aurelia

Desidero semplicemente chiarire le ragioni della mia firma posta in calce all'interpellanza. Ieri nel mio intervento ho sottolineato la mancanza di informazione come fatto centrale nei rapporti fra Giunta e Consiglio, quindi questa interpellanza mi offre l'opportunità di sottolineare che ci troviamo in una delle tante occasioni di mancata informazione, quando è noto che le notizie vengono regolarmente diffuse su tutto il territorio regionale e nazionale dall'Ufficio stampa della Giunta.
Naturalmente la risposta dell'Assessore Rivalta non è esaustiva dell'argomento, ma non intendo entrare nel merito.
Con questo l'opposizione richiede un "nuovo modo" di tenere i rapporti fra la Giunta ed il Consiglio.



PRESIDENTE

Possiamo considerare chiusa questa discussione.


Argomento: Comuni - Urbanistica (piani territoriali, piani di recupero, centri storici

Esame delibera Giunta regionale: "Formazione del primo elenco di Comuni esonerati dalla formazione del programma di attuazione ai sensi dell'art. 83 della legge urbanistica regionale 5.12.1977, n. 56"


PRESIDENTE

Passiamo al punto relativo all'esame delibera Giunta regionale: "Formazione del primo elenco di Comuni esonerati dalla formazione del programma di attuazione ai sensi dell'art. 83 della legge urbanistica regionale 5.12.1977, n. 56". La parola all'Assessore Astengo.



ASTENGO Giovanni, Assessore all'urbanistica

E' assolutamente indispensabile che la deliberazione che contiene l'elenco dei Comuni esclusi dal programma di attuazione venga approvata oggi, essendo trascorsi i 60 giorni e dovendo i Comuni presentare il programma di attuazione entro 120 giorni dall'emanazione della legge.



PRESIDENTE

Chiede la parola il Consigliere Picco. Ne ha facoltà.



PICCO Giovanni

Voglio richiamare l'attenzione dei Consiglieri sul fatto che la deliberazione ci è stata distribuita questa mattina ed è stata modificata sostanzialmente ieri. Non penso che i Consiglieri siano sufficientemente preparati per assumere questa mattina tale deliberazione, anche perch alcune impostazioni, sulle quali l'Assessore si era dichiarato disponibile ad operare delle correzioni, non ci paiono ancora totalmente recepite. Le considerazioni di natura politica sono già state sufficientemente sviluppate in altra sede. Non le voglio richiamare. Rispetto alla precedente impostazione si è operato il riferimento ai Comuni dotati di strumento urbanistico, anziché il riferimento a tutti i Comuni al di sotto dei 3000 abitanti, però, nella sostanza, i criteri che sono stati riadeguati non danno ancora le garanzie di inequivocabile interpretazione e di indubbio riferimento per poter operare una discriminazione non sperequata tra i Comuni.
Quindi le perplessità, le critiche e le riserve che erano state espresse sulla precedente deliberazione permangono tuttora. Richiamiamo i Capigruppo ad un'ulteriore verifica dei contenuti della deliberazione quindi a soprassedere al voto, evidentemente dissociandoci, in caso di rifiuto, da qualsiasi conseguenza che potrebbe derivare dall'impatto che la deliberazione stessa potesse determinare sulla comunità piemontese.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bono



BONO Sereno

La deliberazione all'esame del Consiglio è stata ampiamente discussa e rielaborata in Commissione la scorsa settimana ed ancora ieri.
Ritengo che lo spostamento ulteriore, anche solo di una settimana, non servirebbe a modificare i termini del problema proprio perché nel merito la discussione è stata ampia e approfondita. Chiedo pertanto che si passi alla votazione della deliberazione.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marchini.



MARCHINI Sergio

Esprimo parere negativo su questa deliberazione. La vicenda è emblematica perché dimostra come al di là della buona volontà e dello spirito costruttivo che ogni Consigliere ha dato mettendo in movimento un meccanismo, come la legge sui suoli, non si è svolta a monte una verifica di ordine politico (non una verifica per tentare, attraverso una legge, di trasformare Torino in Gubbio, ma che voglia prendere atto di una realtà).
Il piano di attuazione è la generalità, lo strumento ordinario. Oppure il piano di attuazione e lo strumento eccezionale rispetto alla normalità? La Giunta e la maggioranza devono porsi questo problema. Se non si fa questa scelta di fondo, si vanno ad introdurre dei parametri che in teoria sono validi, ma che, alla prova dei fatti, lasciano sfuggire delle realtà urbanistiche estremamente delicate. Nella Valle di Susa sono esclusi alcuni Comuni, uno dei quali è il polo di espansione urbana di Susa, la quale tende a centralizzare i servizi. Non facendo il piano di attuazione a Mompantero, Assessore Astengo, lei esonera quel Comune e fa saltare l'ipotesi intercomunale includendo, per esempio, il Comune di Moncenisio dove, al di fuori di coloro che hanno chiesto la residenza per poter andare a pescare, esistono 4 abitanti; quindi i parametri non servono a gestire una realtà così composita come quella piemontese.
Quindi come rappresentante di Commissione, sono sempre disponibile a dare un apporto costruttivo - e lei Assessore me ne darà atto -. Il nodo è politico. Fin quando non verrà sciolto questo problema, da parte nostra non potrà esserci che una valutazione negativa.



PRESIDENTE

La parola alla signora Castagnone Vaccarino.



CASTAGNONE VACCARINO Aurelia

Il nostro Gruppo ha più volte dichiarato che non avrebbe più votato nessun documento che ci fosse stato presentato in aula pochi minuti prima della votazione e questo non è il primo caso. Siamo quindi costretti ad uscire dall'aula e a non partecipare alla votazione.



PRESIDENTE

Propongo di sospendere la seduta e di convocare i Capigruppo.



(La seduta, sospesa alle ore 12,30, riprende alle ore 12,50)



PRESIDENTE

La seduta riprende.
Nella conferenza dei Capigruppo è stato deciso di procedere all'esame della proposta di deliberazione della Giunta regionale riguardante il primo elenco dei Comuni esonerati dalla formazione del programma di attuazione dopodiché la seduta sarà tolta. Il Consiglio regionale sarà riconvocato il 16/3 pomeriggio, per la trattazione degli altri punti all'ordine del giorno.
Chiede la parola il Consigliere Picco. Ne ha facoltà.



PICCO Giovanni

Per dichiarazione di voto. La riunione dei Capigruppo non ha chiarito le ragioni fondamentali per le quali la Giunta ritiene di dovere comunque portare in votazione questo provvedimento.
E' significativo l'allontanamento dall'aula del Gruppo repubblicano e noi siamo vicini a tale posizione di principio che è ampiamente comprensibile. Riteniamo che questo provvedimento non sia perfettibile nella sostanza, ma sia perfettibile rispetto alle previsioni metodologiche ed ai criteri previsti dalla legge n. 56, con un atto di volontà politica.
Non si tratta solo di disquisire sulla bontà o meno di certi criteri e sui margini di applicabilità; si tratta di adottare una determinazione politica che prenda atto delle conseguenze che derivano alla comunità piemontese dall'assunzione di una deliberazione di questo tipo dalla quale deriva l'inizio di un processo di paralisi dell'attività operativa ed edilizia processo che poteva essere mitigato applicando correttamente i disposti della legge nazionale.
Credo sia a tutti noto il principio legato alle famose problematiche della sentenza della Corte Costituzionale in ordine alla programmazione degli interventi della strumentazione urbanistica con un'interpretazione graduale e responsabile, quindi non generalizzata e astratta dalle conseguenze che ne sarebbero derivate. Avevamo fatto la proposta dell'attestamento ai 5 mila abitanti; nella discussione sulla legge 56 e nelle successive definizioni dei criteri si è voluto arrivare ad una serie di criteri rigidi e di strozzature; adesso aggiungiamo anche l'interpretazione discrezionale.
Signori Consiglieri, ci troviamo di fronte a dati che non sono certi n precisi, rispetto ai quali avremo delle contestazioni da parte dei Comuni quindi saranno provvedimenti sui quali necessariamente il Consiglio regionale dovrà ritornare per perequare le varie situazioni.
Quindi, sia per le ragioni di metodo, sia per le ragioni di merito, il nostro voto sarà contrario e se la maggioranza intende andare avanti su questa linea se ne assuma tutta la responsabilità.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bontempi.



BONTEMPI Rinaldo

Credo sia giusto cercare di precisare le questioni che il Consigliere Picco ha nuovamente sollevato. Una delle questioni riguarda la forma dei rapporti istituzionali e la possibilità di arrivare ad assumere dei provvedimenti in piena coscienza e conoscenza da parte di tutti i Consiglieri. Credo ci possano essere alcuni casi in cui la negligenza abbia portato a far sì che non si arrivasse nei termini debiti per l'informazione e per la conoscenza; ma sono casi del tutto marginali.
Questo caso rientra invece in quelli derivanti dall'inadeguata struttura del Consiglio regionale rispetto ai compiti che ha, che ritengo siano ormai di portata parlamentare. Questa deliberazione è stata discussa per tre volte in Commissione; dalla posizione iniziale la Giunta ha modificato il suo atteggiamento, recependo le proposte degli altri Gruppi.
Il confronto per cercare di arrivare al miglior risultato possibile è avvenuto quindi nei termini corretti. Capisco la posizione del Gruppo repubblicano, il quale si trova in un caso eccezionale, non essendo presente nella II Commissione. Questa deliberazione deve essere assunta oggi, perché il confronto c'è stato. Tra l'altro la responsabilità degli slittamenti viene addebitata interamente alla Giunta.
E' un problema nuovo che deriva dall'applicazione di una legge nazionale e di una legge regionale, entrambe complesse ed ampiamente innovative. Nel momento in cui dobbiamo ubbidire ad una legge, concetto di base per l'unità delle istituzioni, non credo sia giusto riproporre dei giudizi nel merito dopo che sono già stati dati durante il dibattito quando invece dobbiamo apprestarci ad attuare le norme in uno sforzo comune.
Una settimana in più non avrebbe portato a nessun risultato.
Consigliere Picco, il risultato ottenuto non va minimizzato perch anche attraverso al vostro intervento, dalla prima ipotesi dei 76 Comuni esclusi si è passati a considerare quelli con strumento urbanistico approvato o in itinere, per cui sono scartati dall'obbligo di fare il programma di attuazione altri 600/700 Comuni. E' una scelta che permette di rispondere ai problemi dove si presentano con carattere di urgenza.
Una considerazione va fatta relativamente ai criteri: siamo nel campo dell'opinabilità; voi stessi lo riconoscete quando dite che certe fonti non soddisfano; tuttavia non ne proponete altre.
Pertanto la Giunta e la maggioranza hanno le proprie responsabilità.
Potranno sbagliare, potranno anche ritornare sui loro passi, tuttavia è importante assumere oggi queste responsabilità.
In questo senso il Gruppo PCI non solo vota favorevolmente alla deliberazione, ma chiede che essa venga votata nella seduta di oggi.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Paganelli.



PAGANELLI Ettore

La mia dichiarazione è a titolo personale e interpreta anche il pensiero del Gruppo. Essa si articola su due punti: poiché questo è un disposto legislativo, dobbiamo attenerci ad esso.
Questa è una meditazione che vale per tutti, Giunta e Consiglio, i quali devono avere tempi sufficienti per giungere ad una concreta e cosciente deliberazione in quest'aula facciamo tante battaglie unitamente al Gruppo repubblicano su problemi di gestione. In questa occasione potrebbe anche esserci la forte tentazione di seguire l'atteggiamento del Gruppo repubblicano che con l'uscita dall'aula vuole sottolineare un fatto importante.
Tuttavia, con responsabilità riteniamo che una nostra azione in questo senso potrebbe avere significati diversi, né vogliamo farci prendere la mano dal momento contingente; vogliamo invece inserire, come sempre, la nostra azione in un quadro più generale: è per questo che restiamo in aula a votare fermamente contro la deliberazione dimostrando che siamo una forza di governo dall'opposizione.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marchini.



MARCHINI Sergio

Sul merito della legge ho gia detto prima e non mi ripeto. Mi è stato detto nella riunione dei Capigruppo che sono di animo troppo gentile per far seguire alle dichiarazioni i fatti. L'atteggiamento del Gruppo repubblicano è estremamente corretto e non poteva non arrivare a queste conseguenze dopo che c'era stata la premessa di principio la quale peraltro, non era riferita alla deliberazione, ma al modo di comportarsi della Giunta e delle Commissioni del Consiglio.
Intendo che sia verbalizzata la posizione del mio Gruppo su questo delicato argomento proprio perché il Gruppo liberale vuole essere presente in tutti i momenti di ubbidienza alla legge che vuole dire anche gestione della legge, gli antichi dicevano di essere servi della legge per essere liberi. Indubbiamente la difficoltà di utilizzo del piano di attuazione non ci deve far dimenticare che noi dobbiamo gestire una realtà urbanistica completamente nuova che deriva dall'istituto della concessione.
Affido alla sensibilità dell'Assessore l'opportunità di valutare se non sia il caso di individuare, dei momenti non di ordine urbanistico ma di ordine finanziario di gestione delle risorse nell'ambito comunale a seguito dei conferimenti dei privati.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Astengo.



ASTENGO Giovanni, Assessore all'urbanistica:

Ringrazio i Consiglieri che hanno sollecitato l'approvazione della deliberazione perché il ritardo che si stava determinando nei confronti della legge regionale e di quella nazionale stava diventando molto preoccupante.
Poiché è stata richiamata la legge 10 debbo ricordare che l'art. 13 stabilisce per le Regioni sei mesi di tempo per approvare la legge con l'indicazione degli elenchi dei Comuni esonerati. I 6 mesi sono scaduti il 28 luglio 1977 e a quella data era stato presentato in aula il disegno di legge n. 117; ragioni di opportunità hanno richiesto un'ampia discussione e fecero allungare i termini. La Giunta, per maggior prudenza, anzich presentare in quella legge l'elenco dei Comuni esonerati, ha stabilito dei parametri estremamente complessi che si intrecciano tra di loro. Attraverso questi parametri si sono setacciati i Comuni. Il 25 aprile scadono i 120 giorni che i Comuni, obbligati alla redazione dei programmi di attuazione debbono rispettare per presentare i programmi di attuazione; dopo quella data scattano tempi estremamente ristretti per l'approvazione; mancano 45 giorni a quel termine; è quindi necessario che i Comuni al di sotto dei 3000 abitanti che hanno strumenti urbanistici vigenti, abbiano modo di formulare i programmi di attuazione: 45 giorni di tempo, anche se pochi sono sufficienti per gli adempimenti.
La deliberazione presentata questa mattina è il risultato di un cospicuo lavoro. E' stata giustamente lamentata da parte di qualcuno l'assenza di strutture del Consiglio, come rappresentante della Giunta posso dire che questa assenza di strutture esiste anche negli uffici degli Assessorati, tant'è vero che l'Ires ha trasmesso solo in parte ed in ritardo i dati richiesti e si è dovuto sopperire a queste manchevolezze con un lavoro manuale mobilitando tutte le forze interne. I dati presentati derivano da fonti certe e da essi risulta che quasi tutti i Comuni presi in esame hanno un numero rilevante di parametri che confermano la loro appartenenza al gruppo dei Comuni non esclusi, vale a dire che le situazioni che avevamo individuato si intrecciano tra di loro ed esistono pochissimi con un solo indicatore. Questo solo indicatore cui si riferiva il Consigliere Picco parlando di incertezza relativa ai centri storici, è legato ad un passato che abbiamo alle spalle, dal quale usciamo con la legge n. 56; poiché la Soprintendenza ai monumenti non ha adempiuto ai propri obblighi di individuazione e di perimetrazione, ha scaricato sulla Regione le proprie inadempienze. Soprattutto i programmi di fabbricazione sono molto lacunosi sotto questo aspetto; posso tuttavia garantire che nell'intervallo di tempo fra la prima e la seconda presentazione in Commissione è stato fatto un lavoro presso l'Assessorato estremamente rigoroso; sono stati aperti tutti i faldoni dei Piani e sono stati riletti sulla base delle esperienze degli istruttori.
E' una valutazione fatta da coloro che hanno gestito questa materia e sulla loro responsabilità sono state fatte queste indicazioni. Risulta alla fine, l'esclusione di qualche Comune, come ha rilevato il Consigliere Marchini citando l'esempio di Mompantero. Devo dire che il Comune di Mompantero verrà inserito attraverso al piano intercomunale, parametro che oggi non è scattato.
Con tutta consapevolezza posso dire che questo elenco è errato per difetto, non certo per eccesso e siccome è stato assunto il concetto della gradualità anche se è errato per difetto potrà essere eventualmente corretto successivamente. L'elenco dei 414 Comuni dotati di strumenti urbanistici può avere delle lacune a monte, anche perché alcuni programmi di fabbricazione di cui risulta l'approvazione con Decreto Ministeriale non ci furono mai trasmessi dalla Sezione urbanistica del Provveditorato alle opere pubbliche.
Da questo stato di incertezza stiamo uscendo perché, passo passo, si stanno sgombrando tutti gli elementi lacunosi che avevamo ereditato dal trasferimento della materia dallo Stato alla Regione e dalla prima messa in moto dell'Assessorato all'urbanistica. Ritengo che, con queste spiegazioni si possa tranquillamente passare al voto.
Faccio ancora presente che esiste un errore di battitura nel testo distribuito a pag. 2 dell'allegato B), laddove si parla di "unità locali superiori a 9" deve intendersi "inferiore a nove".



PRESIDENTE

Chiede ancora la parola il Consigliere Marchini.



MARCHINI Sergio

Vorrei pregare l'Assessore di ricordare che avevo sollevato il problema che potrebbe derivare dall'aver considerato l'esistenza di aree di sviluppo industriale quale parametro per indicare il piano di fabbricazione. Avevo anche indicato come questo potesse finire per essere una remora al processo di rilocalizzazione industriale.
Poiché ho anche raccolto osservazioni negli ambienti interessati a questo problema, sarebbe opportuno che l'Assessore si impegnasse ad esaminare con assoluta procedura di urgenza le eventuali modifiche dei piani di attuazione che tendessero a realizzare le aree industriali stesse.



ASTENGO Giovanni, Assessore all'urbanistica

C'è l'art. 53 con tutta la procedura.



PRESIDENTE

Vi dò lettura del testo della deliberazione nella versione modificata e corretta.
"Il Consiglio regionale, premesso: che ai sensi dell'art. 13 della legge 28/1/1977 n. 10 la Regione deve individuare i Comuni esonerati dall'obbligo di dotarsi del programma poliennale di attuazione che la legge regionale 5 dicembre 1977, n. 56, fissa, all'art. 36, i criteri per individuare i Comuni esonerati e stabilisce, all'art. 83, i tempi e le condizioni da rispettare per la formazione del primo programma poliennale di attuazione che i tempi per l'adozione del primo programma poliennale di attuazione sono previsti dal citato art. 83 per le categorie di Comuni individuate ai punti 1 e 2 dello stesso articolo, in 120 giorni dall'entrata in vigore della legge regionale 5.12.1977, n. 56 e che tale termine scade il 23 aprile 1978.
Considerato: che la possibilità di adottare il programma poliennale di attuazione è strettamente connessa all'esistenza di uno strumento urbanistico approvato, e che, sotto questo aspetto, la situazione attuale dei Comuni non presenta caratteristiche di omogeneità in quanto i Comuni attualmente sprovvisti di strumento, o con lo strumento urbanistico restituito per rielaborazione totale o per modifiche sostanziali, debbono comunque procedere alla redazione del Piano regolatore generale e sono quindi nell'impossibilità giuridica di adottare a tempi brevi il programma poliennale di attuazione che è per contro urgente provvedere a verificare le condizioni richieste dall'art. 36 della legge n. 56/77 per i Comuni in grado di formare il programma poliennale di attuazione.
Si ritiene opportuno limitare in un primo tempo l'indagine per la formazione del primo elenco a quei Comuni che si trovino nella condizione di adottare in tempi brevi il programma di attuazione, escludendo per il momento dall'indagine stessa quei Comuni che, trovandosi sprovvisti di qualsiasi strumento o dovendo procedere a rielaborazione sostanziale dello stesso, debbono preliminarmente dotarsi di uno strumento urbanistico approvato.
Poiché dei 1209 Comuni del Piemonte, 204 risultano comunque obbligati per legge al programma poliennale di attuazione, avendo popolazione superiore ai 3000 abitanti e 591 sono a tutt'oggi totalmente sprovvisti di strumento urbanistico, risultano essere 414 i Comuni ricadenti nelle condizioni richieste dalla legge n. 56 per dotarsi in tempi brevi del programma poliennale di attuazione.
Ritenuto quindi di limitare l'indagine ai 414 Comuni di cui all'allegato "A" che ricadono in una delle seguenti condizioni: dotati di Regolamento edilizio e annesso Programma di fabbricazione o di P.R.G. approvati anteriormente all'entrata in vigore del D.M. 2.4.1968 n. 1444 dotati di Regolamento edilizio con annesso Programma di fabbricazione approvato posteriormente all'entrata in vigore del D.M. 2.4.1968 n. 1444 dotati di Piano regolatore approvato posteriormente all'entrata in vigore del D.M. 2.4.1968 n. 1444 con strumento urbanistico in controdeduzione con strumento urbanistico in attesa di decreto di approvazione con strumento urbanistico adottato e trasmesso alla Regione ai sensi dell'art. 90 della legge regionale 5.12.1977 n. 56.
Assunti come criteri per l'applicazione dei parametri individuati dalla legge regionale all'art. 36, quelli specificati nell'allegato B) Precisato che i risultati dell'applicazione di tali criteri ai Comuni contenuti nell'allegato A) sono evidenziati nell'elenco di cui all'allegato C) Tenuto conto della proposta della Giunta regionale e delle osservazioni della competente Commissione consiliare delibera di approvare, come segue, il primo elenco dei Comuni esonerati dall'obbligo di formazione del programma di attuazione: Comprensorio di ALBA-BRA: Camo Comprensorio di ALESSANDRIA: Alluvioni Cambiò, Casalcermelli, Cuccaro Monferrato, Grognardo, Orsara Bormida, Pozzol Groppo, Sardigliano.
Comprensorio di ASTI: Montabone.
Comprensorio di BIELLA: Graglia, Tavigliano.
Comprensorio di CASALE MONFERRATO: Pontestura.
Comprensorio di IVREA: Borgiallo, Cintano, Maglione.
Comprensorio di MONDOVI': Lisio, Monesiglio.
Comprensorio di PINEROLO: Massello.
Comprensorio di TORINO: Giaglione, Mompantero, Noasca.
Comprensorio di VERBANIA: Seppiana.
Comprensorio di VERCELLI: Balocco, Borgo d'Ale, Gifflenga, Ronsecco.
Di approvare inoltre gli allegati A) B) e C) che formano parte integrante della seguente delibera, con i seguenti impegni: 1) Tenuto conto dell'eventualità che altri Comuni oltre a quelli già presi in esame, si trovassero nella possibilità di avvalersi entro il termine previsto del 23 aprile 1978, della facoltà concessa dall'art. 90 della legge regionale n. 56 e trasmettessero alla Regione, entro quel termine, lo strumento urbanistico, l'elenco dei Comuni esonerati sarà sottoposto, se necessario, ad immediata revisione con la procedura prevista dall'art. 36 della legge 5.12.1977 n. 56.
2) Per quanto concerne i 591 Comuni inferiori a 3000 abitanti sprovvisti a tutt'oggi di strumenti urbanistici approvati o in itinere ai sensi dell'art. 90 il Consiglio regionale dà mandato alla Giunta di provvedere all'esame di detti Comuni ai fini dell'applicazione dell'art. 32 e di presentare tempestivamente per essi la proposta del secondo elenco dei Comuni esonerati".
Chi è favorevole alzi la mano.
La deliberazione è approvata con 27 voti favorevoli, 17 contrari e un'astensione. Il Gruppo PRI non ha partecipato alla votazione.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 13)



(La seduta ha termine alle ore 13)



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