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Dettaglio seduta n.18 del 25/11/75 - Legislatura n. II - Sedute dal 16 giugno 1975 al 8 giugno 1980

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SANLORENZO


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale


PRESIDENTE

La seduta è aperta.


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale

Argomento:

a) Congedi


PRESIDENTE

Hanno chiesto congedo i Consiglieri Franzi e Menozzi.


Argomento:

b) Apposizione visto Commissario del Governo


PRESIDENTE

Devo comunicare l'apposizione del visto del Commissario del Governo alla Legge regionale del 23.10.75: "Pubblicazione di atti amministrativi degli organi della Regione per i quali è prescritta la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale o nel Foglio Annunci legali delle Province".


Argomento: Problemi del lavoro e della occupazione

Dibattito sui risultati della Conferenza regionale sull'occupazione, gli investimenti e lo sviluppo economico (seguito)


PRESIDENTE

Proseguiamo ora il dibattito di ieri sera, ricordando nuovamente ai Consiglieri l'opportunità, anche per facilitare il lavoro della stampa, di fornire una sintesi di quindici-venti righe del loro intervento, in modo che la Segreteria sia in grado di trascriverlo a macchina e di consegnare ai giornalisti il condensato.
Ha chiesto di parlare il Consigliere Picco. Ne ha facoltà.



PICCO Giovanni

Signori Consiglieri, i risultati della Conferenza sull'occupazione sono oggi all'esame del Consiglio regionale per una valutazione che chiarisca: 1) se le motivazioni politiche che hanno indotto maggioranza e Consiglio a ricercare un ampio confronto con le forze politiche e sociali fossero, ed in che misura, unitariamente rivolte a ricercare soluzioni ai problemi in discussione 2) se all'ampia esposizione dei fenomeni di crisi in atto siano seguite indicazioni concrete di possibili soluzioni, al di là di radicali posizioni già note al di fuori del dibattito della Conferenza 3) se proprio la sede ed il momento scelti per tale confronto, voluto dall'Ente Regione, abbiano corrisposto alle aspettative degli interlocutori sollecitati.
Questi tre aspetti, a nostro avviso, possono essere momenti d'un giudizio più complesso e necessario, nei confronti d'una iniziativa di indubbio rilievo quale è stata la Conferenza - iniziativa che, per altri aspetti, sotto altre forme, si potrebbe anche ripetere -, ma anche nei confronti d'un modo d'essere ed operare che deve caratterizzare il rapporto di partecipazione e consultazione ricercato ed istituzionalizzato dalla Regione.
La Conferenza era stata pensata e voluta da una delle forze politiche che oggi compone la maggioranza di sostegno alla Giunta, in termini dialettici e non "garantisti", come poi si è trovata a dover gestire.
L'esaltazione di vecchie contraddizioni in atto tra le conclamate volontà di difesa dell'occupazione, di sostegno dell'industria in crisi, e l'azione programmatrice anticongiunturale, necessariamente legata ad un certo pragmatismo, del Governo, è stata indubbiamente condizionata dal responsabile riscontro di partecipazione e di disponibilità al confronto offerti dai maggiori interlocutori presenti, forze politiche, sindacali ed imprenditori.
I problemi concreti della crisi non potevano certo essere relegati al ruolo di cornice d'una dialettica politica che, contrapponendo Regione al Governo, offrisse margini di copertura alla Giunta, nelle difficoltà a gestirne concretamente i termini.
Non disconosciamo le difficoltà dell'Esecutivo nell'impatto quotidiano con problemi della crisi, che ben poco spazio politico offrono rispetto alle aspettative ed alle soluzioni immediate che si vengono rivendicando, e a volte, diciamo, anche pretendendo. Ma dobbiamo anche dire che spazi alternativi non sono certamente cresciuti né in sede di Conferenza né dopo il confronto della Conferenza stessa.
Dobbiamo correttamente registrare le difficoltà ad una coerenza di linea politica in cui è venuta a trovarsi l'unica forza politica determinante nella regia della Conferenza, il PCI, nei confronti d'una strategia di presenza e di interventi. Difficoltà a gestire il ruolo egemone di interlocutore politico qualificato, per garantire nuovi spazi alla contrattazione, e, qualora fosse riuscita, dirottamenti alla conflittualità; colta che è emersa nella denuncia d'un rapporto preminente con la grande impresa, rapporto certamente ricercato, non sappiamo quanto solo per iniziativa del Vicepresidente e quanto con l'avallo del Partito...



LIBERTINI Lucio, Vice Presidente della Giunta Regionale

La posso tranquillizzare.



PICCO Giovanni

... Come momento qualificante d'un nuovo corso di rapporti tra imprenditorialità e forze politiche e sociali.
Non ci interessa esaltare i termini d'una polemica quanto piuttosto evidenziare elementi di distorsione e di contraddizione propri d'una linea politica, tradizionalmente ancorata agli interessi ed alle istanze delle masse popolari, che ricerca occasionalmente, e sottolineo questo occasionalmente, risposte a queste istanze, privilegiando la grande impresa come interlocutore. Contraddizione, poi, che si associa al distorcente rapporto di confusione delle istituzioni con l'azione politica dei partiti Tanto più distorta ed illusoria se a servizio d'una mediazione partitica per comporre conflitti che debbano trovare soluzione nelle sedi opportune e proprie delle parti.
Mi vorrei soffermare un momento su questo problema della conflittualità, per precisare la nostra posizione, che intende sottolineare come il trasferimento alle istituzioni logiche e proprie di altri istituti contrattuali ridurrebbe gli spazi di azione politica propria della Regione a livelli di bassa mediazione, a volte sottraendola a quei compiti promozionali di una visione politica pluralistica che possa ricondurre tutte le azioni nella direzione di una economia programmata e partecipata e non nella direzione di una economia rigida ed assoluta.
Già gli interventi che il mio partito ha svolto in sede di Conferenza hanno chiarito quale ruolo noi intendiamo sia affidato in questo quadro all'impresa ed alla contrattazione che caratterizza i momenti acuti di partecipazione ai suoi destini da parte delle forze lavoratrici; ed altri interventi che seguiranno certamente svilupperanno ulteriormente questo tema. Noi, comunque, dobbiamo registrare con interesse la modificazione già ricordata dal collega Alberton, delle posizioni eccessivamente rigide riscontrate in sede di conferenza da parte dei Sindacati e per taluni aspetti anche dagli stessi imprenditori. Se poteva preoccupare, cioè l'atteggiamento rivendicativo piuttosto rigido assunto in sede di conferenza da alcune componenti sindacali, sappiamo come siano intervenute successivamente modificazioni per quanto concerne le possibilità d'un controllo, in termini di programmazione e di strategia degli interventi necessari, sulla contrattazione. Nella ricerca, che è stata ricordata e sollecitata da alcuni interventi fatti in sede di conferenza da parte del nostro partito, nella individuazione dei livelli più opportuni per tale contrattazione noi riteniamo si possa esercitare il contributo della Regione; livelli che potranno essere definiti, a seconda dei casi, per gruppi di imprese o per livelli territoriali, ma tali da conseguire concrete possibilità di conversione o ristrutturazione.
Ora, l'accettazione di trasferire il confronto dalla singola impresa alla rappresentanza, o meglio, all'ambito più qualificato per affrontare soluzioni e decisioni che mirano a conseguire per la produttività, e l'occupazione i migliori benefici ed minori traumi, è di per sé un elemento positivo, che riteniamo sia maturato alla luce dei confronti che anche la Conferenza ha operato.
Per quanto attiene alle polemiche che dobbiamo registrare in coda alla posizione assunta da alcune forze politiche in sede di Conferenza, e ai tentativi denunciati dalle stesse organizzazioni sindacali, dobbiamo rilevare come queste denunce abbiano indotto in sede di Conferenza lo stesso Segretario regionale del PCI, Minucci, a prendere le distanze da posizioni in cui rischiava di essere implicato il suo partito; respingendo proposte di "neocorporativismo che dovrebbe vedere alleati il movimento operaio e la grande impresa moderna, in nome della competitività ed a spese di tutti gli altri". Questa ripulsa è risultata piuttosto strana, quasi che (e in questo vengo quasi a difesa della posizione del Vicepresidente).



LIBERTINI Lucio, Vicepresidente della Giunta Regionale

Guardi che non ne ho bisogno.



PICCO Giovanni

... il contatto, il colloquio, il dialogo con la grande impresa, (un dialogo che io ritengo possa essere impostato anche correttamente), sia di per sé negativo per affrontare i grandi temi dello sviluppo sia sociale che economico. Mi permetta il Vicepresidente di dire che, se mai, i rilievi che gli sono derivati dalle sue prese di posizione e da alcune letture assai attente del suo intervento, derivano probabilmente da un atteggiamento di scontata acquisizione di risultati che sono forse ancora ben lontani, di propositi molte volte enunciati ma difficili a tradursi in realtà. Non sarà sufficiente il 15 giugno a indurre sia i nuovi che i vecchi protagonisti ad atti ed impegni concreti, anche perché la reinvenzione, qualora possibile su alcuni grandi temi, è certamente frutto di una maturata concretezza, e non di improvvisazioni.
Noi riteniamo che, al di là di questi deboli segni che abbiamo indicato di esigenza di maggior chiarezza, soprattutto nell'istituto della contrattazione, dobbiamo purtroppo ancora registrare molti nodi irrisolti nella volontà di rimuovere taluni ostacoli. Ne ricordo solo alcuni: ostacoli al miglioramento del quadro ambientale esterno e interno all'impresa, sia all'impresa in generale che di molte imprese ed aziende piemontesi in particolare; ostacolo costituito dalla conclamata concretezza nell'individuazione di correttivi ai consumi, e quindi nella ricerca di nuovi spazi produttivi ed occupazionali. Anche su questi nodi, purtroppo non sono venuti dalla Conferenza grandi contributi di proposte e di indicazioni. E certamente, se questi temi saranno ripresi ancora e successivamente in altri interventi, a me preme in chiusura riaffacciare l'interrogativo espresso in apertura al terzo punto, se cioè la sede ed il momento della Conferenza abbiano sollecitato un confronto positivo ed abbiano corrisposto all'aspettativa degli interlocutori.
Nell'intervento di ieri l'Assessore Simonelli ha lamentato che il disegno della Giunta, che è stato esposto alla Conferenza, non abbia trovato riscontro da parte degli interlocutori. Noi ribaltiamo sulla Giunta forse è già stato accennato anche dal collega Alberton - la responsabilità di non essere riuscita a catalizzare sui possibili ruoli di intervento della Regione l'interesse e la risposta alle attese degli interlocutori. La sede scelta, cioè l'istituto regionale, ed il momento cioè in apertura di una legislatura caratterizzata da profondi travagli di trasformazione (trasformazioni in parte già avviate, in parte volute come conseguenza della volontà espressa dall'elettorato), esigevano, ed esigono enunciazioni precise di interventi, anche immediati, per chiarire in quali termini e con quali possibilità la Regione può contribuire: 1) a correggere le tensioni sociali laddove queste sollecitano più case e più servizi: migliori trasporti pubblici (andiamoci a rileggere gli interventi dei rappresentanti delle organizzazioni sindacali, prendiamone uno a caso, quello del rappresentante della CGIL, e troveremo quasi esclusivamente la Regione tirata in causa e sollecitata a soluzioni immediate per i più acuti problemi sociali) 2) a definire una più chiara indicazione alla correzione degli squilibri territoriali in atto (quindi, sotto questo aspetto, si esigono provvedimenti immediati normativi, nuovi investimenti pubblici per infrastrutture sociali, concreti avvii agli investimenti sui trasporti).
La ripetizione di alcune enunciazioni, contenute nel documento di luglio, quali quella del contenimento dello sviluppo del polo torinese secondo una tematica consolidata da una dialettica che dura da cinque anni e tradotta in termini abbastanza concreti sul piano urbanistico, è una limitazione che denunciamo e rispetto alla quale diciamo che se continuiamo su questa strada certo la politica di programmazione e di sviluppo della Regione non farà molti passi in avanti.
Per fare queste cose va da un lato temporaneamente accantonata l'eccessiva tentazione al perfezionismo e dell'altro va anche contenuta (e sappiamo che forse il Vicepresidente e anche l'Assessore Simonelli se ne sono fatti carico nella composizione di queste Commissioni con rappresentanze plurime) l'ipoteca rigoristica di certa "cultura impegnata" che rischierebbe di egemonizzare l'operato di strutture e di commissioni proposte all'istituto della programmazione. Facciamo questo richiamo alla concretezza soprattutto ai socialisti, che facevano parte delle passate amministrazioni ed hanno quindi certamente una esperienza gestionale della conduzione della vita pubblica amministrativa, ripetendo che non si parte dall'anno zero nel 1975. Linee ed indicazioni sono già state elaborate e discusse nella passata Giunta; devono essere redatti ormai in prima ipotesi i piani settoriali, incominciando a mettere in moto processi di attuazione ricercando strumenti operativi più idonei. Se, esemplificando, per i centri storici, per le aree industriali attrezzate, per le aree per l'artigianato reperite secondo i criteri dell'art. 27 della 865, per quelle aree che gli Assessori all'Industria e al Commercio indicano come necessarie per le grandi attrezzature di razionalizzazione del settore distributivo non inneschiamo immediatamente strumenti operativi, quando mai potremmo dire di iniziare un processo di controllo pubblico delle trasformazioni e delle intenzioni progettuali? Già Alberton ha ricordato che progetti speciali si potranno avviare solo se esisteranno, ed è quindi inutile fino ad allora che continuiamo a parlarne. Ma anche nella gestione di una linea di piano si devono cominciare a ricercare dimensioni operative, anche se settoriali che possano precostituire la possibilità di identificare nella politica di programmazione un istituto operativo e non passivo, succube solo delle definizioni di vincoli così come purtroppo mi pare di poter vedere delineato nella prima ipotesi di piano territoriale di coordinamento dell'area torinese.
Sull'ipotesi del "piano di vincolo", ripeto, eravamo ancorati tre anni fa. Che oggi il piano contenga ancora questi vincoli, direi, è scontato: non è scontato però che questo piano debba solo e necessariamente contenere indicazioni in negativo e non anche in positivo, soprattutto per quei corretti strumenti operativi che ho indicato e che non si collocano certamente nella direzione delle operazioni immobiliari o di altre cose del genere. Noi, quindi, facendo questo richiamo di concretezza alla Giunta non ci comportiamo da irresponsabili né da ingenui che non sanno valutare le difficoltà. Ma dobbiamo anche reagire al tentativo dì annacquare ancora una volta l'istituto della politica di piano con opzionalità metodologiche, che ci interessano, ma poco rispetto ai risultati che si possono conseguire ed al tipo di soluzione politica che è possibile dare a certi problemi.
Le aspettative della Conferenza, per gli aspetti che ho denunciato sono certamente andate deluse Ma lo sono ancor oggi, come si deduce da una attenta lettura del documento che ieri ci e stato illustrato dall'Assessore Simonelli. Avete riconfermato in questo documento le linee di indirizzo del luglio scorso, avete registrato lo stato delle iniziative operative degli Assessorati. Ne prendiamo atto. Ma poi? Noi vi chiediamo una risposta a questo interrogativo; cioè quali impegni precisi assumete per il prossimo triennio, in quale misura il piano di gennaio annunciato dall'Assessore Simonelli si collocherà rispetto alle concrete definizioni delle scadenze di bilancio annuale e di bilancio pluriennale?



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Gandolfi. Ne ha facoltà.



GANDOLFI Aldo

Signor Presidente, signori Consiglieri, devo esprimere, a nome del Gruppo repubblicano, una notevole delusione. Delusione per la sostanza del documento introduttivo, delusione per il contenuto delle relazioni illustrative svolte dal Presidente Viglione e dall'Assessore alla Programmazione.
Per spiegare i motivi di questa delusione sarà bene che ricordi innanzitutto che cosa ci aspettavamo da questi primi mesi di vita della nuova Amministrazione regionale, riallacciandomi a quel che avevamo chiesto durante la campagna elettorale e subito dopo, nei primi confronti, nei primi dibattiti tra le forze politiche all'inizio di questa seconda legislatura regionale.
Richiedevamo, l'abbiamo ricordato alla Conferenza regionale dell'occupazione, una politica industriale attiva, che desse un ruolo alla classe politica regionale, dopo quindici-vent'anni di una sostanziale subalternità ad uno sviluppo economico che si muoveva secondo logiche e meccanismi propri. La classe politica regionale nel momento di maggior crisi nella nostra vita regionale, doveva trovare una capacità di intervento attivo e di proposizione di modi e di vie d'uscita dalla situazione di crisi strutturale dell'industria piemontese; la capacità quindi, di proposta di una politica industriale che, tenuto conto dei vincoli meridionalistici della politica di programmazione nazionale, che dovrà vedere orientata nel Sud dell'Italia una grossa aliquota degli investimenti che è possibile ipotizzare in parecchi settori, e tenuto conto della crisi delle industrie motrici e della sostanziale modificazione dei meccanismi di sviluppo che è necessario apportare, puntasse a individuare a qualificare, a sollecitare, ad aiutare le possibilità di sviluppo che ancora ci sono in Piemonte in larghi comparti del settore industriale, non più nell'ambito dei grandi nuclei industriali ma nell'ambito di quella piccola e media industria che oggi occupa ancora oltre 700 mila addetti, in attività industriali di piccole e medie dimensioni o artigianali. Per questo noi chiedevamo delle scelte precise, delle indicazioni di lavoro una capacità di entrare nel vivo dei problemi di alcuni comparti industriali per portarci lo stimolo, la capacità di orientamento, l'aiuto concreto dei poteri pubblici. Poi avevamo chiesto che la Conferenza dell'occupazione fosse già un momento propositivo da parte della Giunta su questo terreno.
Avevamo chiesto che questo dibattito si sviluppasse sulla base di un documento di scelte e di orientamenti precisi da parte della Giunta. Cioè volevamo un piano che fosse articolato sulla base di azioni di promozione e di contrattazione della Giunta regionale, e che permettesse di avere già in questa sede indicazioni di carattere settoriale sufficientemente serie ed approfondite, cioè una capacità di scelta e di proposizione che la Giunta regionale avesse già maturato. Richiedevamo, in sostanza, che la Giunta si presentasse alla Conferenza dell'occupazione, e, dopo la Conferenza dell'occupazione, in questa sede, indicando delle priorità e ponendo il discorso della ripresa produttiva in Piemonte al centro dell'azione politica del Consiglio regionale.
Che cosa ci ritroviamo invece in questa sede? Un documento che cerca di contemperare molte esigenze, ma che, in sostanza, per una parte dà un giudizio abbastanza superficiale sulla Conferenza, per un'altra parte è una riproposizione di cose ormai dette e ridette sulla filosofia del piano, per una terza parte un tentativo di ovviare alla carenza della proposizione di un programma regionale da parte della Giunta con indicazione di carattere legislativo e amministrativo, ancora abbastanza superficiale. Il tutto condito dalla proposta di un processo di programmazione che è vecchio: cioè, la formazione di documenti regionali sui quali si avviano le consultazioni, si raccolgono i pareri delle forze sociali e degli enti locali, ma che ci riporta a tempi lunghi, a date che sono piuttosto lontane (la Giunta si impegna a presentare un documento entro la fine di gennaio poi faremo le consultazioni, arriveremo certamente a primavera inoltrata, e nel frattempo molte, noi riteniamo troppe, occasioni saranno state perse per cercar di modificare in maniera positiva e con un intervento attivo alcune tendenze in atto). Cioè, quello che noi dobbiamo denunciare è la sfasatura fra le promesse e le speranze, che nella primavera del '75 e dopo le elezioni, si erano alimentate.
Noi ricordiamo alcuni confronti di carattere propositivo e programmatico che sono stati fatti con le forze politiche, le discussioni che abbiamo sostenuto con il Partito comunista in particolare su questi tipi di problemi, e, ripeto, dobbiamo denunciare una caduta notevole di sostanza tra quello che siamo andati dibattendo a cavallo dell'estate e quello che ci troviamo oggi a dover discutere come situazione di fatto in Consiglio regionale. Dobbiamo dire che non ci servono digressioni di carattere metodologico sul modo di fare i piani, le proposte che nel documento vengono fatte di arrivare con analisi di carattere quantitativo a certe scadenze, sui modi di far partecipare i comprensori e gli enti locali alla elaborazione del piano. Lo dicevo prima, sono tutte cose importanti ma non sono essenziali. Vogliamo sapere come vede oggi la Regione il problema della ristrutturazione industriale, in che direzione intende muoversi, verso quali settori, con che tipo di stimolo, di aiuto, di sostegno degli organi pubblici.
Per esemplificare le ragioni della nostra delusione, devo fare due richiami, uno dei quali è già stato citato dal collega Alberton ieri sera.
Quel che più mi ha colpito è che nelle conclusioni sulla Conferenza e nelle azioni successive della Regione sia stata completamente ignorata la dichiarazione, fatta dal presidente dell'Unione Industriale di Torino - in un intervento che il collega Minucci ha qualificato rozzo, e che in un certo senso, obiettivamente, lo era -, di disponibilità degli industriali a contrattare e a discutere interventi industriali che garantissero cinquantamila posti di lavoro. Il secondo elemento è quello che abbiamo rilevato durante le consultazioni introduttive alla Conferenza, in sede di Commissione I, quando l'Amministratore delegato della Fiat ha annunciato che la Fiat si faceva portatrice di certi problemi e che avviava un discorso con tutte le aziende fornitrici per approfondire il problema e le possibilità di riconversione dell'indotto Fiat; dichiarava, in sostanza che la Fiat si faceva carico di un problema: ovviamente, nella logica della Fiat. Un problema che investe centinaia di migliaia di addetti in Piemonte ed una grossa fetta di industrie del settore metalmeccanico ed elettromeccanico. Di fronte a questo tipo di problemi noi abbiamo rilevato con preoccupazione una sorta di tentativo di sottrarsi alla necessità di affrontarli.
A noi non interessa tanto riprendere la discussione, abbastanza trita e ritrita, sulla filosofia della programmazione, e non ci interessa nemmeno trasformare questo dibattito, come ci sembra abbiano voluto fare il Presidente della Giunta e l'Assessore alla Programmazione, in uno scontro sui problemi politici nazionali. Il collega Assessore Simonelli ha voluto sottolineare, come un fatto naturale, l'esigenza che come Assessore alla Programmazione debba intervenire su dei fatti istituzionali. Ma io direi che sarebbe bene affrontare una volta per tutte in questa sede un discorso approfondito e serio sui grossi problemi del rapporto tra la finanza nazionale e la finanza locale, proprio per sgombrare definitivamente il terreno da questo tipo di discorso. Noi dobbiamo rilevare che, mentre la Giunta regionale, per bocca del suo Presidente e dell'Assessore alla Programmazione, attacca il Governo sul problema del piano a medio termine che certamente non è una cosa perfetta, e suscita discussioni e contrasti anche all'interno del Governo, ma è certamente l'inizio di un lavoro di produzione di fatti nuovi che ci sembra possano avere degli sbocchi estremamente positivi, la Giunta regionale si trova nella situazione paradossale di criticare ma di non avere ancora definito delle proposte precise che riguardino la realtà piemontese come contributo da dare a questo piano a medio termine, cioè di non avere assolutamente nulla di proprio, elaborato in concreto ed in termini sufficientemente precisi. E allora, se i problemi sono questi, io dicevo, sgombriamo una volta per tutte dal Consiglio regionale questo tipo di problematiche, cioè definiamo se possibile, una posizione della comunità regionale su tipi di problemi che oggi vedono incancrenita la situazione tra Governo ed enti territoriali ed enti locali. Noi siamo prontissimi a dare il nostro contributo l'abbiamo dato a livello nazionale, abbiamo precisato delle posizioni molto concrete, di proposizione politica per uscire da questa situazione. Ma cerchiamo, ripeto, di evitare di riportare tutte le volte la polemica su questo tipo di problemi, cerchiamo di dare ai nostri discorsi, ai nostri problemi la concretezza che e necessario avere sui problemi specifici del Piemonte Dicevamo che problema prioritario è per noi mettere a punto una politica industriale precisa della Regione. Nell'ambito della Conferenza sull'occupazione, nella relazione introduttiva del Vicepresidente della Giunta ci sono state delle indicazioni e delle aperture abbastanza interessanti.
Noi ribadiamo, peraltro, che riteniamo per certi versi sfasato quel tipo di impostazione nella misura in cui dava troppa attenzione alla politica dei grandi gruppi industriali e non era tesa a ricercare, come riteniamo si debbano ricercare, gli elementi di carattere nuovo che possano produrre meccanismi di sviluppo in comparti che oggi sono presenti in Piemonte, che possono vedere delle possibilità di rilancio, e che non sono più le grandi aziende, le aziende che sono state motrici nei vent'anni passati. Ma dicevamo che questi elementi, prima della Conferenza dell'occupazione, per certi versi all'interno della Conferenza per l'occupazione, sono stati presenti, esistevano, e che oggi non li ritroviamo più nel tipo di documento che ci è stato proposto. E dobbiamo domandarci perché, che cosa sta cambiando. Da questo punto di vista ci sembra che la Conferenza dell'occupazione sia stata il punto di mezzo, o di inversione, fra due possibili tendenze della politica regionale.



LIBERTINI Lucio, Vicepresidente della Giunta regionale

Però guardi, Gandolfi, che questo documento non cancella la relazione della Conferenza, si aggiunge ad essa. E' detto chiaramente.



GANDOLFI Aldo

Io non ho trovato questa precisazione, comunque prendo atto con piacere di questo tipo di dichiarazione. Però non c'è assolutamente nulla di nuovo nemmeno come proposte di intenzioni da parte della Giunta. E' questo che volevo rilevare. Dicevo che la Conferenza, da questo punto di vista rischia di collocarsi non come elemento di sviluppo e di approfondimento di una politica regionale, ma come punto di inversione tra due possibili tendenze della politica regionale: una politica attiva, magari presuntuosa ecco, ma tutta tesa a cercare delle vie nuove di sviluppo e di articolazione di una politica degli enti pubblici, e una dimensione invece riduttiva, abbastanza burocratica, abbastanza difensiva, dell'Ente Regione rispetto alla dimensione dei problemi, alla dimensione delle cose che dobbiamo affrontare. Noi dobbiamo chiederci perché questa differenza fra l'impostazione che innanzitutto il Partito comunista portava avanti sette mesi fa e quelle che abbiamo sentito invece riproporre ieri dal Presidente Viglione e dall'Assessore alla Programmazione. E' nostra impressione che ci si vada sempre più ritirando da ipotesi innovative e aggressive di presenza regionale ad una gestione dell'ordinario che porti la Regione a fare un lavoro anche amministrativamente serio, ma con poca sostanza innovativa.
Non vorremo che le contrapposizioni che anche in seno alla Conferenza ci sono state all' interno del mondo operaio, tra componenti del mondo sindacale e i partiti che si esprimono attraverso la Giunta, e altre preoccupazioni di complessità e di difficoltà dei problemi portassero il Partito comunista in particolare a scegliere una posizione, tutto sommato più facile, più difensiva, che è poi la posizione di sempre, quella cioè di creare dei quadri politici di cornice che permettano di dare espressione ad una richiesta sociale che è grossissima nel nostro Paese e poi di scaricarla a livello nazionale, eludendo la sostanza di quello che si pu anche tentar di fare a livello locale come contributo della classe politica regionale. Se questa è la logica di queste posizioni, dell'evoluzione del discorso, noi non siamo d'accordo: dobbiamo denunciare che una maggioranza che aveva grandi ambizioni, ed a cui noi riconoscevamo diritto a molto credito, dopo quattro mesi non ha ancora prodotto un programma e un documento proprio di scelte che sia sufficientemente analitico, al di là delle posizioni di carattere declamatorio con le quali si è aperto questo dibattito Quindi, a conclusione di queste considerazioni, noi dobbiamo dire: cogliamo come elemento negativo la posizione che ci ha proposto la Giunta regionale, l'assenza ancora di una indicazione precisa di politica industriale, Non sono state nemmeno distribuite che io sappia, almeno io non le ho ricevute, le risultanze delle ricerche che a suo tempo la Giunta di Centro-Sinistra aveva commissionato alla SORIS su questo ordine di problemi (non siamo in grado di scendere sufficientemente in dettaglio sul piano analitico e propositivo, perché non vi è, da parte della Giunta, mi sembra, l'intenzione di muoversi con energia in questa direzione).
Dobbiamo cogliere alcuni elementi che possiamo anche considerare positivi, pur nella loro genericità, cioè alcune indicazioni contenute nel documento introduttivo di questo dibattito: i problemi della accelerazione e della razionalizzazione della spesa regionale, che ci riserviamo di valutare nel merito. Dobbiamo considerare assolutamente ancora generici e direi assolutamente non nuovi i discorsi di metodologia della programmazione. Tranne, forse, quell'accenno in apertura che l'Assessore Simonelli faceva ieri sulla ipotesi di articolare la programmazione attraverso progetti, che potrebbe anche coincidere con il nostro tipo di richiesta nella misura in cui si sostanziasse: non più piani che siano esercitazioni di carattere econometrico e che contengano tutto lo scibile umano, ma scelte politiche della Giunta orientate verso settori specifici: la politica industriale, in primo luogo, con il corredo di alcuni progetti di carattere infrastrutturale che investano intere aree della Regione. Da questo punto di vista devo, ad esempio, rilevare come elemento in fondo ancora troppo superficiale delle proposte della Giunta il problema dei trasporti. Passate amministrazioni di centro-sinistra, dopo molti travagli molte discussioni, in un lavoro lungo e defatigante che aveva visto divise le forze politiche, sono arrivate ad indicare per l'area metropolitana di Torino un progetto di massima di intervento di grande consistenza, che investiva le linee ferroviarie dell'area metropolitana in qualche cosa di meno costoso e di più aderente alle esigenze urbanistiche e di assetto del territorio dell'area del progetto di metropolitana.



MINUCCI Adalberto

Guarda che è proprio pensando a quelle brillanti prove che non ci vogliamo ricondurre a quel che avete fatto voi.



GANDOLFI Aldo

No, non l'abbiamo fatto noi. Siamo arrivati alla fine della scorsa legislatura a trovare un accordo su un piano che aveva caratteristiche già sufficientemente operative; che non era perfetto, perché non c'è nulla di perfetto, ma era un punto di arrivo conquistato faticosamente con il contributo di tutti; anche vostro. Di questo non troviamo più traccia, n l'abbiamo trovata nei giorni scorsi nei dibattiti che ci sono stati in Consiglio comunale. Le uniche indicazioni che sono venute dal discorso della Giunta concernono l'acquisto di materiale rotabile: si parla di jumbo tram, di convogli per pendolari, tutte importanti ma che devono essere inserite in un piano...



MINUCCI Adalberto

Si passa dagli studi alle cose concrete.



GANDOLFI Aldo

Minucci Adalberto, questi sono artifici dialettici. Io voglio sapere che cosa propone la Giunta nel campo dei trasporti per l'area metropolitana di Torino. Non c'è assolutamente nulla. Sono queste le questioni sulle quali mi sembra si dovrebbero qualificare il lavoro della Regione e il programma di lavoro della Giunta.
Dico questo perché se, come io mi auguro, come la mia parte politica cercherà di ottenere, il piano a medio termine di cui si va discutendo a livello nazionale conterrà un fondo di finanziamento dei trasporti delle aree regionali, nelle aree metropolitane, è con questo tipo di progetti che si potrà concretamente accedere alla possibilità di finanziamenti. E ricordo soprattutto ai Colleghi della stampa che ne hanno parlato le scorse settimane in maniera precisa, che non è che lo Stato abbia garantito, fino ad oggi, 180 miliardi: ha garantito il 4 per cento su 180 miliardi, cioè una cifra assolutamente irrisoria rispetto alle esigenze di finanziamento di un piano infrastrutturale di una certa consistenza, ad esempio, per l'area metropolitana. Lo stesso discorso lo potremmo fare per il progetto che è stato elaborato per le ferrovie dell'area di Novara e di Vercelli cioè, bisogna che la Regione si crei un corredo di progetti pronti che abbiano la possibilità, quindi, di accedere ai finanziamenti non appena come ci auguriamo, il piano a medio termine si concretizzi attraverso il confronto fra il Governo e le forze politiche e i contributi che successivamente darà il Parlamento su questo ordine di problemi. Come è altrettanto importante, e con questo chiudo questo tipo di argomentazioni che la Regione Piemonte dia un proprio autonomo contributo a questo discorso della ristrutturazione industriale, individuando con precisione quali sono i settori produttivi del Piemonte che hanno possibilità di espansione di occupazione e di riprese di investimenti facendo delle proposte precise che possono riguardare dì volta in volta la ricerca tecnologica, le aree industriali attrezzate, il sostegno attraverso l'istruzione professionale, e così via. Se ogni Regione preparerà dei progetti precisi di questo genere, anche il piano di intervento di carattere nazionale sulla riconversione industriale avrà una sua capacità effettiva di concretezza e di sviluppo attraverso la partecipazione sociale. Altrimenti, è chiaro che ci sarà sempre una sfasatura tra quello che anche in modo positivo possa essere elaborato a livello nazionale e quello che in concreto le forze politiche e sociali, ai vari livelli dell'organizzazione dello Stato, saranno in grado poi di tradurre in iniziative precise.
Questo, signori Consiglieri, è il tipo di valutazioni e di argomentazioni che il Partito repubblicano intende portare in questo dibattito, ancora, una volta senza atteggiamenti pregiudiziali o preconcetti ma seguendo quella che riteniamo ci debba essere riconosciuta come una logica coerente di un discorso che si muove non da oggi qui in Piemonte su questo ordine di problemi.
Vorrei ora passare ad alcuni ordini di problemi diversi, che hanno investito anche il Consiglio regionale con l'intervento fatto ieri dal collega Rossotto, che altro non è, mi sembra, se non il riecheggiare di posizioni che sono andate fermentando e muovendosi all'interno dei partiti minori dello schieramento politico e dell'area laica e democratica in questi mesi con riferimento alle proposte della maggioranza socialcomunista di contributi e di aggregazioni diverse. Noi riteniamo che si debba dare atto di buona fede a tutti, ma vogliamo dire al collega Rossotto in particolare, che qui, in Consiglio regionale, si è fatto portatore di certi tipi di istanze e di aperture, che noi non riusciamo a capire a fondo il senso di queste posizioni e la loro coerenza. Se amici come il collega Rossotto, come il nostro ex Capogruppo in Consiglio comunale, Alessio, e altri a Torino scoprono adesso che il Partito comunista è serio e che i suoi rappresentanti lavorano seriamente nell'amministrazione questo ci sembra sorprendente...



ROSSOTTO Carlo Felice

Non è mai troppo tardi.



GANDOLFI Aldo

Veramente, credo che mai nessuno abbia messo in dubbio le capacità di lavoro e di produzione politica del Partito comunista, a tutti i livelli.
Se rilevano come dato importante e interessante la maturazione di revisioni profonde delle posizioni politiche del Partito comunista, anche questo non ci sembra un fatto sorprendente: sono tanti anni che c'è un dibattito continuo con il Partito comunista su alcuni grossi temi della vita nazionale, c'è una politica in sviluppo nel Partito comunista, e ci sembra che il voto del 15 giugno non abbia segnato salti di qualità significativi a parte il fatto che dimostra la sua capacità di raccogliere consensi elettorali più vasti. Noi non vorremmo, lo diciamo in modo molto amichevole al collega Rossotto, che in questo tipo di posizioni ci fosse qualcosa di diverso, cioè l'incapacità di vedere i problemi di fondo della nostra società, lo scambiare il problema della singola amministrazione con il problema generale della rifondazione e della ristrutturazione degli enti locali e del riassestamento di questo nostro Stato e di questa nostra società, che sono in crisi profonda.
Se il problema, piuttosto che quello specifico del Comune di Torino o anche solo della Regione Piemonte, è un problema più vasto, cioè del contributo, della qualificazione delle forze politiche, degli spazi politici rispetto ai problemi più generali di trasformazione della società di soluzione della crisi che travaglia il nostro Paese, di rifondazione, di trasformazione in senso nuovo del nostro Stato, è importante che abbiamo presenti non tanto i problemi o le propensioni a intervenire o a essere presenti nei momenti in cui decisioni di carattere amministrativo vengono assunte nei singoli enti a livello di potere, di gestione dell'amministrazione. Ma ognuno faccia il suo dovere rispetto ai problemi generali del Paese, cioè abbia il senso dei problemi di prospettiva, dei lavori di medio e di lungo termine che è necessario impostare.
Noi lavoriamo per evitare la radicalizzazione della vita italiana, le contrapposizioni blocco contro blocco e per cercar di ristrutturare questo spazio intermedio delle forze laiche e democratiche che è andato vanificandosi, e che rischia di vanificarsi proprio per, direi l'intemperanza, l'approssimazione, la superficialità con cui molte persone che hanno militato in questo spazio hanno ritenuto di dover correre dietro a prospettive a breve termine, senza la capacità di lavorare su tempi lunghi, con maggiore solidità, maggior senso dei problemi che il Paese deve affrontare, e della necessità di lavorare ripeto, per una profonda ristrutturazione, rinnovazione anche dell'articolazione politica del Paese in una direzione nella quale non si trascini il Paese ad avventure ma si dia ad esso la possibilità di uscire da questa crisi profonda. In questo senso noi da sempre ci confrontiamo con il Partito comunista, ma in una sostanziale distinzione di ruoli, ben attenti alla caratterizzazione autonoma delle nostre posizioni.
E' con questo spirito, che ancora una volta riproponiamo alcune nostre richieste, alcuni nostri contributi originali al dibattito in Consiglio regionale. Con questa caratterizzazione ci auguriamo che le persone che oggi hanno ansie anche giustificate di fronte alla gravità dei problemi sentano la necessità innanzitutto di avere chiarezza e determinatezza di ruoli e sentano soprattutto l'orgoglio di appartenere ad una tradizione politica e culturale che non deve disertare, non deve confondersi, non deve venir meno alle proprie posizioni di chiarezza e di autonomia: non per una patriottistica difesa di posizioni di sopravvivenza, ma, ritengo nell'interesse del Paese, che in questo momento non ha bisogno di radicalizzazioni, non ha bisogno di scontri, ma di quel dibattito civile che da parecchio tempo si sta portando avanti e che riteniamo possa in tutte le sedi proseguire.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Bellomo. Ne ha facoltà.



BELLOMO Emilio

Signor Presidente, signori Consiglieri, il progetto politico che la Giunta regionale ha presentato alla discussione del Consiglio risponde certamente alla sintesi fedele di larga parte dei contenuti della Conferenza sull'occupazione e prospetta chiaramente le esigenze da essa scaturite sul piano della proposta operativa.
Il documento presentato dalla Giunta, a mio parere, affonda la sua sostanza nella realtà economica e sociale del Piemonte dentro la cornice della situazione nazionale, e quindi risponde concretamente al duplice obiettivo di indicare le linee e gli strumenti per il rilancio economico della nostra Regione e la funzione istituzionale in cui la Giunta si pone al cospetto di esse; e di proporre un contributo concreto alla più vasta problematica che incombe sul Paese, tenendolo immobile ai ceppi di una palese incapacità politica del potere centrale ai fini del superamento della crisi congiunturale.
Ho detto crisi congiunturale perché tutto quanto il mondo occidentale è impegnato in una disperata lotta antirecessiva, che gli economisti - non tutti, però - fanno risalire all'improvviso e pesante aumento dei costi energetici che si sono ripercossi a raggiera su tutti i settori economici.
Ma si dovrebbe anche aggiungere che la nostra crisi congiunturale (con i suoi discutibili e finora non proficui provvedimenti per contenerla) ha trovato un terreno fertilissimo di sviluppo nella preesistente cronica situazione di crisi strutturale, che dagli anni Cinquanta in poi, via via sempre più aggravandosi, ha prodotto guasti incalcolabili e ritardi onerosi, il cui recupero non sarà né facile, né agevole, né indolore.
La Giunta regionale, cogliendo, a mio avviso, i reali significati della Conferenza sull'occupazione, ha saputo dare ad essi, sia pure nella necessaria sinteticità del documento proposto, una chiara identità politica ed una altrettanto chiara interpretazione sociale, ai fini delle scelte concrete che il Consiglio dovrà fare. Si potrà consentire o dissentire dal progetto politico della Giunta, ma non si potrà - se non per libera contrapposizione - negare al documento presentato una sua intrinseca validità, immediata e prospettica, che potrà evidentemente essere arricchita da nuovi e positivi contributi.
Taluno potrà vedere nel documento la mancanza di una precisa indicazione di avvio del processo di ripresa economica e produttiva del Piemonte, altri potranno dire che nel documento non si vedono le linee fondamentali e le scelte precise per una chiara connotazione della politica piemontese nel quadro di una politica nazionale; altri ancora potranno osservare che alla precisione ed alla eloquenza delle analisi non corrispondono altrettanto eloquentemente previsioni specifiche sul come e sul quando si arriva a mettere in moto un volano capace di invertire il senso della marcia fin qui fatta...
Sono opinioni che abbiamo gia sentito esprimere e che, probabilmente non mancheremo di ascoltare ancora, qui dentro e anche fuori. Sono opinioni e valutazioni, magari velate da un preconcetto o da una riserva politica magari opinioni in buona fede ma forse non esenti da un certo tasso di pregiudizialismo, quando non addirittura di diffidenza.
Se sono riserve in buona fede, e noi lo crediamo, sono legittime; vanno attentamente ascoltate e verificate, vanno soppesate nella loro natura e nella loro dimensione, poiché la Giunta, io credo (anche in virtù dello stile nuovo col quale ha caratterizzato i suoi comportamenti) è certamente consapevole che, per uscire dalla crisi profonda che pesa sull'Italia e attraversa il nostro Piemonte, è indiscutibilmente necessario e decisivo ricercare, e trovare, la convergenza e l'unità di tutte le forze politiche e sociali, anche se diverse fra loro, allo scopo di affrontare con la maggiore e più ampia base di impegno, i brucianti, complicati e difficilissimi problemi dell'economia piemontese e nazionale.
Da questa angolazione, il discorso è certamente aperto: il confronto realmente possibile e utile; la verifica, nel segno superiore degli interessi della collettività piemontese ed italiana. Io ho interpretato il documento della Giunta come una autentica e democratica manifestazione di questa volontà, aperta ai contributi posativi delle forze politiche democratiche, che si potrà materializzare e realizzare in giuste iniziative di lavoro nella misura in cui si verrà formando la convergenza delle forze politiche, delle forze sindacali, delle forze sociali piemontesi, parimenti alla Giunta investite dell'onere, pesantissimo, di indicare i modi e i tempi necessari per rompere la spirale involutiva che ha fatto precipitare il Piemonte - già area forte in un mare italiano di depressione e di crisi nella profonda e generale preoccupazione per il suo destino, immediato e futuro.
La Conferenza economica dello scorso mese di ottobre ha messo nella sua giusta luce il quadro della situazione piemontese, consentendo e contribuendo a chiarire le cause che stanno a monte e le cause attuali.
Una economia fondata prevalentemente sulla mono-industria, con poche e talora condizionate diversificazioni produttive, non poteva, a lungo andare, reggere ai tempi, e non poteva, soprattutto, rispondere alle esigenze emergenti di una società in evoluzione, una società portatrice di una domanda diversa e di una richiesta civile. La flessione o la caduta di importanti poli produttivi ha trascinato nel cedimento altri comparti economici, quali le piccole e medie imprese, irradiando la crisi occupazionale, praticamente, in tutto il territorio piemontese, con perdite di migliaia e migliaia di posti di lavoro.
Non ripeteremo, perché troppo nota e conosciuta, la situazione di grave difficoltà in cui si dibatte il settore agricolo, con l'incessante esodo delle giovani leve dai campi, con l'impossibilità di costituire e garantire un reddito al coltivatore e alla sua famiglia: con l'impossibilità del settore di risollevarsi da una grave condizione di incessante decadimento che lo relega ai valori più bassi nella graduatoria dei Paesi europei, e non certo per l'incapacità professionale dei lavoratori addetti, o per difetto di iniziativa, anche se questa è costretta a muoversi nell'angusto perimetro di leggi superate (e magari caritative), e non, invece, nelle linee orientative di un programma ben definito, che non è mai stato fatto da chi invece aveva il dovere politico e sociale di provvedere.
Questi ed altri elementi di giudizio e di analisi sono, del resto largamente emersi dal dibattito della Conferenza, che il documento della Giunta sintetizza giustamente nella parte introduttiva del progetto politico presentato. Da questa introduzione, l'Esecutivo regionale ricava la materia essenziale per l'impostazione di un programma e quindi per una proposta, articolata e complessiva, fondata su due cardini fondamentali: la partecipazione democratica, che non esclude la contrattazione con le altre forze sociali dirimpettaie, e la programmazione.
Primo obiettivo che il documento della Giunta propone è quello della piena occupazione. Senza questa condizione, non può esserci né sviluppo economico né soprattutto progresso sociale. E tutti noi sappiamo, invece quanto la piaga della disoccupazione e della sotto-occupazione si stia allargando paurosamente, creando una situazione di insopportabilità e di grave malessere sociale in strati sempre più vasti della collettività piemontese. Vorrei ricordare, per tutte, la situazione che esiste nel Vercellese, con la grande lotta in corso contro la Montefibre, e tutta una città e tutta una popolazione che fa quadrato intorno agli operai impegnati a salvaguardare il posto in fabbrica, perché è proprio attraverso quel posto in fabbrica - minacciato dal monopolio industriale - che la città vive e guarda ai suo avvenire; proprio attraverso quel posto in fabbrica una società cammina sul piano della evoluzione e del progresso.
Giustamente la Giunta indica nell'obiettivo della piena occupazione la creazione di un considerevole e concreto numero di nuovi posti di lavoro una chiave sostanziale e primaria per una autentica ripresa economico sociale e per una svolta decisiva verso un nuovo modello di sviluppo.
Ma la creazione di nuovi posti di lavoro passa, oggi come oggi attraverso la strenua ed accanita difesa degli, attuali posti di lavoro costantemente minacciati dalla politica padronale che, come è stato chiesto da un autorevole esponente del mondo imprenditoriale in sede di Conferenza chiede, fra le altre cosiddette libertà peculiari, anche la libertà di licenziare, anche la libertà di fallire.
Noi diciamo "no", con tutta la serenità e la calma necessarie, a questa libertà di licenziare; noi diciamo chiaramente e fermamente "no" alla libertà imprenditoriale di giocare sulla pelle dei lavoratori, la sua capacità o incapacità di svolgere la propria funzione, che, per quanto riguarda le grandi aziende, è sempre una funzione pubblica e sociale.
In questa funzione sociale, e quindi di attore di un fondamentale momento quale è quello della produzione e del lavoro, l'imprenditore non può invocare, unilateralmente, una libertà negativa, che si ritorcerebbe a danno di altra libertà, cioè la libertà dei lavoratori occupati. Dei lavoratori, che sono parte essenziale e insostituibile nel processo di sviluppo del Paese. Né può essere legittimata la libertà di fallire, se questa libertà viene intesa in senso unilaterale, arrogante e disfattista: cioè, per fare il bello e cattivo tempo, per ostentare l'appartenenza ad una casta e non invece ad una parte importante della società.
L'impresa, in altre parole, deve accettare le regole della società: tra queste regole esiste e può trovare spazio l'esigenza di una certa autonomia ed efficienza per il dinamismo imprenditoriale, ma esiste anche quella che esprime l'esigenza, in un momento così grave, di una valida ripresa dell'occupazione. In questo compito specifico è e deve essere prioritaria l'azione del Governo, ma in questo momento assistiamo ad una crescente incertezza che dimostra il Governo medesimo davanti agli impegni di trasformazione richiesti dalle forze dei lavoratori.
La Regione Piemonte, ponendosi quindi come momento di coordinamento fra tutte le forze sociali, afferma, in via preliminare, che i lavoratori non si toccano, nel senso di principio che una linea di politica diretta alla trasformazione dei meccanismi di sviluppo deve necessariamente passare attraverso l'apporto dei lavoratori; la Regione Piemonte afferma ancora conseguentemente, che i licenziamenti vanno respinti, che la mobilità del lavoro deve essere rigorosamente contrattata (ma non dobbiamo dimenticare che anche alla Montefibre di Vercelli la mobilità del lavoro è stata contrattata: via dai reparti diventati antieconomici ed obsoleti per andare a lavorare nei nuovi posti creati dalle industrie sostitutive: in effetti è accaduto che la Montefibre ha mandato via i lavoratori del reparto helion ma li ha mandati a casa, e non nelle industrie sostitutive, che non sono state mai costruite), che la piena difesa del diritto e del miglioramento del lavoro e della vita dei lavoratori è una conquista permanente della classe lavoratrice, che in una parola, i lavoratori non tornano indietro dalle conquiste faticosamente conseguite, in anni e decenni di dura, aspra e talora cruenta lotta sociale.
Questa, secondo il nostro modesto avviso, è una proposta corretta e democratica. Nessuno sottovaluta le difficoltà che questa posizione chiaramente democratica, incontra nella sua fase di affermazione concreta.
Nessuno ritiene che problemi immani come quelli che ci sovrastano oggi si possano risolvere col tocco di una bacchetta magica, che nessuno possiede.
Nessuno è inconsapevole della necessità, per superare il grave momento congiunturale, di fare dei sacrifici, sopportare limitazioni, restringere alcuni consumi. Ma noi chiediamo se tutte le forze sociali sono pronte e disposte ai sacrifici; se certe forze sociali sono pronte, come sono pronti i lavoratori, davanti a questi impegni; noi chiediamo - e vogliamo ricordare le parole pronunciate alla Conferenza dall'on. Giolitti - se la classe imprenditoriale (vogliamo dire la classe che decide e monopolizza il potere) - è propensa ad assumere la sua parte di pressione fiscale; se è propensa a rendere noti agli organismi della programmazione i propri programmi economici di investimenti e di sviluppo noi chiediamo se sia possibile perseguire sul serio gli evasori fiscali, quelli che portano i capitali all'estero; se sia possibile esercitare un effettivo controllo sulle importazioni, colpire i parassiti di ogni conio che vivono pigramente nascosti nelle pieghe della società; se sia possibile esercitare una seria azione di risanamento che dia fiducia al cittadino e lo renda sempre più consapevole che lo sforzo da fare per tirarci su dalla cintola è uno sforzo che impegna e coinvolge tutti quanti ognuno, ovviamente per la sua parte e rispetto alla propria dimensione sociale ed economica.
Se questa possibilità esiste in concreto, allora possiamo guardare con rinnovata fiducia all'avvenire prossimo e lontano. Ma molti segni testimoniano che questa volontà esiste ma non in modo totale e generale come richiede la situazione. Allora, il discorso cambia. E allora giustamente, la Giunta regionale piemontese propone il suo discorso. Che noi accettiamo e che, per quanto ci riguarda, contribuiremo a portare avanti.
Non occorre avere una dichiarata collocazione politica per capire che in sostanza, tutto il Paese reale, tutte le forze politiche e sociali, sono concordi su una cosa fondamentale: il modello di sviluppo che ha caratterizzato, e profondamente segnato, la storia trentennale del dopoguerra non viene più accettato viene respinto, perché non più rispondente alle esigenze della società civile sulla soglia degli anni Ottanta. L'impetuoso sviluppo, scoordinato e caotico, del periodo del "boom" ha creato squilibri tragici, con casi di relativo benessere economico e vasti deserti di miseria e di sacche di depressione. Ne consegue la innegabile ed urgente necessità di ricercare nuove forme e nuovi metodi di vita organizzata.
Consumismo, pressappochismo, permissivismo, menefreghismo delle classi forti e dei potentati economici sono i segni distintivi ma negativi - che hanno vistosamente etichettato un troppo lungo, ormai, periodo della nostra storia, che oggi viene chiaramente ricusata. Ognuno porta sulle spalle il peso della propria responsabilità politica e non sarà certamente la mia parte a rifiutare il carico di sua effettiva pertinenza. Ma la mia parte politica trae - e si sforza di farlo con la necessaria obiettività - il dovuto ammaestramento per rompere una situazione ormai superata (e che non aveva nulla di inesorabile, lo possiamo ben dire serenamente) per innestare un nuovo rapporto sulla realtà e sulla necessita del Paese, sulla domanda che sale da quasi tutto il Paese reale - quello che lavora e produce - per una profonda trasformazione democratica del sistema, in cui non trovino più spazio e luogo tutti gli "ismi" di cui abbiamo detto prima.
I socialisti non si nascondono che il terreno che si intende battere è irto di ostacoli e di trabocchetti. Non lo nascondono a se stessi ed agli altri, nel tentativo - che è speranza viva e palpitante - di ritrovare un vasto fronte di consenso democratico ed una gagliarda aggregazione di impegno politico, che sono, in definitiva, i passaggi obbligati per raggiungere una nuova dimensione sociale, un nuovo modello di vita collettiva.
E quando i socialisti, con profondo senso di responsabilità esprimono riserve e critiche sulla prima bozza di progetto governativo per un piano a medio termine che in sostanza tradisce, secondo noi, le attese dei lavoratori perché ripetitivo di alcuni schemi ricusati e sterili di risultati concreti, non fanno alcun salto in avanti verso il disimpegno politico, ma, anzi, si propongono un maggior carico di responsabilità e di sensibilità politica, che peraltro è stata largamente riconosciuta dalle stesse forze politiche, una parte delle quali ha trovato più comodo e sbrigativo limitarsi al lancio di superficiali accuse.
Del resto, le osservazioni socialiste sono state attentamente valutate in sede di governo, se è vero - come mi risulta vero - che la prima bozza di programma sta subendo le necessarie correzioni e rettifiche, per renderla sempre più rispondente ai suoi scopi effettivi.
E' questo, certamente, un modo di contribuire, di arricchire, di perfezionare, se mi si passa il termine, un impegno intorno al quale non si deve pretendere l'aprioristico e acritico consenso, perché si è parte di una maggioranza. La debolezza del Governo non porta, quindi, il marchio della presunta incertezza di comportamenti politici del PSI che di fatto, e fino a prova contraria, sostiene col proprio voto il Governo Moro, ma ha ragioni molto più distinte, molto più politiche che ne inceppano l'azione sulla via delle riforme che contano perché cambiano il volto della società.
La mia parte guarda con immenso interesse all'altra parte politica che sta dibattendo nel suo interno problemi di grossa calibratura, e ne segue attentamente gli sviluppi.
Colleghi Consiglieri, questo non è tempo di polemiche, e io non ne ho voluto fare: è tempo di impegni politici, è tempo di mobilitazione sostanziale, è tempo di grande sforzi e di grandi tensioni.
Noi dobbiamo, come piemontesi, realizzare una politica di efficaci e duraturi risultati a favore della nostra economia e delle nostre popolazioni. Dobbiamo aprire un effettivo e ricco dialogo con il potere centrale sui grossi problemi di fondo dello sviluppo e della trasformazione. Come Consiglieri piemontesi dobbiamo avere - o cercare questa duplice visione, generale e locale. Dobbiamo, insieme, calibrare gli sforzi sugli obiettivi che la Giunta regionale ha fissato nel documento di introduzione del programma quinquennale. La somma, ragionata e verificata dei nostri sforzi è una condizione indispensabile di partenza. Dopo ognuno, nella propria sfera di azione e nella sua più gelosa autonomia farà la propria parte.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Curci, ne ha facoltà.



CURCI Domenico

Signor Presidente, signori Consiglieri, il M.S.I. - Destra Nazionale non è stato invitato alla conferenza i cui risultati il dibattito che si sta svolgendo dovrà cercare di interpretare. Non è stato invitato perché la Giunta socialcomunista sapeva che da parte nostra sarebbero state dette pubblicamente e ad alta voce talune verità che sono sulla bocca di tutti ma che nessuno avrebbe osato affermare in quella sede per via di quel complesso di inferiorità che tutti assale ed intimidisce al cospetto dei comunisti.
Avremmo cominciato col dire che la drammatica crisi economica nazionale ha origini politiche per cui la conferenza sul problema angosciante dell'occupazione non avrebbe potuto trascurare né alcune considerazioni sulle origini e sulle cause della crisi stessa, né le valutazioni sulle prospettive politiche e programmatiche in cui può collocarsi non velleitariamente, ma realisticamente, una ripresa del nostro sistema economico che ha in Piemonte i suoi punti nodali.
La grave crisi della nostra economia non è solo collegabile alla più generale crisi internazionale, ma derivante soprattutto da precedenti errori di origine interna, come ha ammesso di recente lo stesso Ministro del Tesoro. Le sue affermazioni sulle scelte sbagliate che dal 1969 sono state compiute con il concorso e quindi la responsabilità di tutte le forze politiche, anche di opposizione e di tutte le forze sindacali, hanno provocato una vivace protesta dei comunisti i quali, in questo inizio di autunno nebbioso 1975, non amano ricordare l'autunno caldo 1969 e le successive fasi della conflittualità permanente che misero in ginocchio il nostro apparato produttivo prima ancora della crisi petrolifera e della recessione internazionale.
E riteniamo di essere nel vero quando collochiamo la genesi della crisi ancora più indietro nel tempo, con l'inizio, cioè, della svolta a sinistra e della politica di centro sinistra. "I venti anni che vanno dal 1951 al 1971 - ha affermato l'economista socialista prof. Graziani - devono essere distinti in due periodi: il primo è il periodo che va dal 1950 al 1963, è il periodo della espansione più brillante dell'economia italiana, il periodo del miracolo economico, l'epoca che ha visto per la prima volta la trasformazione radicale dell'economia italiana da una struttura agricola ad una struttura industriale. I risultati del secondo periodo, che va all'incirca dal 1963 ad oggi, sono assai meno brillanti.
Nell'arco di questi nove anni - conclude il prof. Graziani - che minacciano di estendersi anche al prossimo avvenire, abbiamo assistito ad un ristagno prolungato degli investimenti industriali".
Ma il centro sinistra - chiediamo noi - non era nato all'insegna della trasformazione del miracolo economico in miracolo sociale? L'On. Ugo La Malfa affermava, nella sua nota aggiuntiva del 1962 che doveva segnare l'inizio della politica di programmazione del centro sinistra: "Non esistono sintomi che possano far pensare ad un rallentamento del ritmo di sviluppo. Ed è in una situazione congiunturale come l'attuale che rilevanti innovazioni possono essere introdotte nella vita economica senza incontrare costi troppo elevati: è sufficiente incanalare correttamente i nuovi flussi di capitale e le nuove forze di lavoro per ottenere quelle distribuzioni dell'apparato produttivo cui si mira".
E a chi aveva sollevato dubbi sul nuovo corso, l'on. La Malfa replicava ironicamente: "Si è parlato di riforme che condurrebbero il sistema economico a condizioni di estremo disagio, se non addirittura ad insuperabili difficoltà, di parallele spinte inflazionistiche, di probabile sommovimento monetario e finanziario": cioè proprio quello che si è verificato! E' impietoso da parte nostra ricordare questi precedenti? O non è invece doveroso? Non si sa, infatti, se ridere o piangere nel rileggere certi passi del programma economico nazionale 1966-70 approvato per legge del centro sinistra.
"Alla fine del quinquennio, se il programma avrà avuto piena attuazione, la disponibilità di abitazioni a buon mercato risulterà fortemente accresciuta rispetto alla disponibilità attuale; le deficienze più gravi dell'organizzazione scolastica saranno eliminate l'organizzazione della ricerca scientifica potrà cominciare a reggere il confronto con quella dei paesi più progrediti; il sistema delle pensioni assicurerà un minimo ragionevole di reddito a tutti i lavoratori dopo il collocamento a riposo;il servizio sanitario nazionale consentirà a tutti di soddisfare le esigenze indispensabili per preservare e curare la propria salute; la rete generale dei trasporti nazionali e urbani sarà estesa e migliorata in modo tale da eliminare le strozzature che oggi determinano gravi disagi nella vita della popolazione e limitano lo stesso sviluppo dell'attività produttiva".
I risultati fallimentari sono sotto gli occhi di tutti, ma il fallimento coinvolge la responsabilità del Partito comunista ancor prima del 1969. La nazionalizzazione elettrica fu voluta dal PCI non meno che dal PSI: "L'industria elettrica fu nazionalizzata per infliggere alla destra un colpo decisivo e sgombrare il cammino ad un mutamento del quadro politico e sociale" ricorda il socialista Eugenio Scalfari in "Razza Padrona" nel fare la storia della prima "riforma" del centro sinistra che oltre a provocare la grave crisi del 1964 ha fatto e fa sentire ancora oggi i suoi effetti negativi per la maggiore incidenza che le scelte corrotte dell'ENEL hanno determinato nei consumi petroliferi e quindi nel deficit della nostra bilancia dei pagamenti.
Il superamento della crisi del 1964 fu pagato in termini sociali con l'accentuazione di un duplice squilibrio: quello tra il nord e il sud e quello tra lo sviluppo economico ed il mancato adeguamento dei servizi sociali nelle zone di concentrazione industriale dello stesso nord. Una azione politica e sindacale veramente rappresentativa degli interessi nazionali e di quelli dei lavoratori occupati e disoccupati avrebbe dovuto puntare ad un riequilibrio da raggiungere perseguendo contestualmente e prioritariamemte il duplice obiettivo dello sviluppo industriale del sud e dell'eliminazione delle strozzature sociali al nord.
Le scelte dell'"autunno caldo" sacrificano invece sull'altare della strategia del PCI, sia l'obiettivo dello sviluppo del sud che quello dell'assestamento civile del nord. Eravamo nel 1969, la scissione socialista aveva aperto il processo di dissolvimento del centro-sinistra ed il PCI, attraverso le rivendicazioni salariali prima e la conflittualità aziendale poi della triplice sindacale, usava la maniera forte per spostare sempre più a sinistra la situazione politica, verso quegli "equilibri più avanzati" teorizzati dall'onorevole De Martino. Col risultato di riuscire a condizionare in senso collettivista le successive riforme sulla casa e sui fondi rustici; ma al prezzo di generalizzare la crisi del nostro sistema produttivo.
Nè il P.C.I. ha minori responsabilità nella conduzione fallimentare della politica economica del centro-sinistra restaurato nella estate del 1973: l'adesione sostanziale del PCI è stata determinata nel tenere in vita prima il Governo Rumor e poi l'attuale Governo Moro e nel consentire l'adozione delle più caratterizzanti scelte economiche: dalla politica velleitaria dei "cento giorni" col blocco dei prezzi vigilato telefonicamente dagli attivisti comunisti, alla politica errata di "austerità" prima e di "fiscalità" poi che per ridurre il deficit della bilancia dei pagamenti ha determinato, senza incidere sulle cause strutturali, della inflazione, la recessione gravissima che stiamo attraversando, la quale non si supera, certo, con i criteri ispiratori dalla relazione dell'Assessore Libertini, manovrata abilmente per nascondere l'impostazione di politica economica di chiara tendenza collettivista.
Quando fu varato il centrosinistra si parlò di una politica di programmazione indicativa onde "razionalizzare" l'espansione della società italiana ed eliminare il divario fra zone depresse e zone sviluppate: in particolare di far "decollare" il Mezzogiorno. Tale politica fu impostata prima, sulla necessità di introdurre dei piani quinquennali e, poi, nella constatata impossibilità di realizzare alcunché nel medio periodo, si ripiego sui piani annuali.
E' opportuno ricordare che si giunse addirittura a far approvare per legge dal Parlamento il I Piano 1966-1970 ritenendo che da una elencazione di intenzioni avrebbero potuto scaturire, magicamente, insieme le norme di attuazione - che mancavano -, gli strumenti di azione - che non erano stati previsti - e gli istituti programmatori di settore e di territorio - che non erano nemmeno stati pensati! Finito miseramente il I Piano quinquennale, dopo un anno di vuoto, il 1971, si tentò di parlare di "Programma economico nazionale 1971-1975" che avrebbe dovuto comprendere anche il piano annuale 1972. Il fatto che lo stesso ministro Giolitti definisse i due documenti "ipotesi ragionate" ci solleva dall'aggiungere alla sua ironia la nostra (di allora e di oggi) su una simile maniera di concepire la politica economica di un Paese.
Evidentemente si continua a concepire la guida economica di una nazione entro la pesante crisi già in atto, come una esercitazione accademica.
Con amarezza per i danni arrecati al popolo italiano, non possiamo non rilevare che il nostro giudizio di quel tempo è stato fatto proprio, oggi dal riconoscimento del deputato repubblicano, onorevole Giorgio La Malfa il quale ha scritto (La Stampa, 25 luglio '75): "La programmazione economica nel nostro Paese è stata, nel corso degli anni, un servizio astratto, perché concepito come insieme di indicazioni prive del necessario supporto politico".
Il supporto politico doveva essere, a nostro avviso, e non fu, una forte volontà politica e la presenza istituzionalizzata, decisionale e impegnata, delle categorie dell'economia e del lavoro.
Abortito prima di nascere il piano 1973, si è cosi passati alla serie delle misure congiunturali estive di emergenza.
Nel frattempo la crisi economica interna si era andata estendendo in profondità e in ampiezza e ad essa si aggiungevano le ripercussioni internazionali iniziate prima con la crisi del dollaro, poi con l'aumento del prezzo delle materie prime e infine con la quadruplicazione del prezzo del petrolio.
Possiamo perciò dire che nell'ultimo decennio la politica si è ispirata a concetti di volta in volta diametralmente opposti a quelle che sarebbero state le necessità emergenti. Infatti mentre negli anni precedenti al 1970 una politica congiunturale di oculati e tempestivi interventi sarebbe stata sufficientemente, si e proclamata invece una politica strutturale di grandi ambizioni e nessuna effettiva incidenza. Negli anni successivi al 1970 mentre sarebbe stata necessaria una politica programmatoria impegnata ad utilizzare risorse ed energie secondo precise priorità si è, al contrario fatta una politica congiunturale episodica, condizionata dagli umori delle correnti dei partiti facenti parte della coalizione di governo, e portata avanti sotto la pressione dei rissosi sindacati della "triplice" strumentalizzata dal PCI. Ma la degradazione involutiva dei tentativi di politica economica non si è limitata a questo capovolgimento.
Vi è un altro aspetto - che riteniamo sostanziale - della insufficienza e della inadeguatezza dell'indirizzo governativo.
Ci riferiamo al fatto che tutta l'azione anticongiunturale si è sempre fondata sulla sola manovra dei flussi monetari nell'illusione che essa per gli effetti diretti e indiretti - fosse in grado di combattere l'inflazione, quando essa stava diventando galoppante e fosse, poi, in grado di affrontare anche la recessione produttiva e la disoccupazione quando ambedue sono apparse aggiungendosi alla prima.
Sull'"illusione monetaria" si sono esercitati per anni gli economisti di molte scuole impegnati a ricordarci che la moneta è un simbolo e non una realtà e che essa non è altro - di conseguenza - che lo specchio del sistema economico che la esprime. In altre parole, se l'economia è sana la moneta è forte, se l'economia è malata è debole. Perciò, come quando un corpo ha la febbre nessuno si sognerebbe di agire sul termometro per far guarire l'ammalato, così per affrontare una crisi economica bisogna agire direttamente, insieme con i protagonisti dell'attività economica, sulle condizioni in cui vengono a confronto le diverse utilità individuali e dei gruppi.
Tutte le misure anticongiunturali finora varate, e tutta la politica economica che li ispira, invece di puntare direttamente sui flussi reali ossia sulla maggior produzione e sulla maggior produttività, si sono rivolti esclusivamente sulle quantità di segni monetari da mettere (o da togliere) dalla circolazione ritenendo in tal maniera di aver creato le condizioni sufficienti ed adeguate a rimettere in moto le attività di investimento e di produzione, di frenare l'aumento dei prezzi, di bloccare le fughe di capitali, di riequilibrare la bilancia dei pagamenti.
La crisi è strutturale - a causa dei mancati rinnovi fisici e tecnologici degli impianti, della mancanza di produttività per l'assenteismo e gli scioperi, della inflazione da domanda prima e da costi poi, del non coordinamento fra i vari settori (ossia tra il settore agricolo e dell'importazione delle materie prime, quello industriale della trasformazione e quello terziario della commercializzazione e dei servizi).
In tale quadro gli effetti indotti e trainanti della spesa statale e degli incentivi ben difficilmente mobiliteranno nuove iniziative e nuovi investimenti. La regione non sta nella insufficiente sensibilità degli investitori "alle migliorate condizioni di credito". Il problema è un altro! Gli investitori non investono sia per la caduta della domanda di beni di consumo e di beni strumentali, sia, soprattutto, per la incertezza del quadro politico e sociale in cui si trovano ad operare. L'investimento in nuove iniziative e il potenziamento di iniziative già avviate, hanno come premessa la convinzione di poter vendere ciò che si produce di nuovo o in più a condizioni remunerative. Gli imprenditori oggi non si aspettano n una espansione della domanda né che aumenti la capacità di acquisto del pubblico.
Allo stato, dunque, che il denaro costi anche meno di prima non costituisce motivo sufficiente per spingere ad aumentare l'attuale rischio dell'intraprendere. E se questo è valido per il presente e l'immediato futuro, è ancor più valido per il medio termine a venire. Le prospettive politiche sono avvolte nella "nebbia". Se nel periodo del centro-sinistra che escludeva la presenza diretta dei comunisti al Governo - l'agricoltura ha subito la jugulazione dei patti agrari espropriativi, l'edilizia ha visto menomato il diritto di proprietà trasformato in diritto di superficie, l'industria manifatturiera è stata privata del diritto di organizzare il lavoro nelle fabbriche, secondo un criterio di sana produttività, nel prossimo futuro, nel quale è ben più fondato il pericolo della entrata diretta dei comunisti nel Governo, è ben lecita una serie di domande angoscianti: di chi sarà la proprietà nelle aziende agricole? chi dirigerà le fabbriche?, potranno i lavoratori essere proprietari di una propria casa?, sarà espropriato il frutto dei risparmi investito in titoli?, sarà statizzato il commercio?, saranno nazionalizzate le banche? saremo liberi? Di fronte a questi, purtroppo fondati, interrogativi e ad altri simili che possono essere elencati all'infinito - sulla base delle precedenti e presenti esperienze dei paesi nei quali i comunisti sono andati al potere chi, pur incentivato, si può sentir attratto dal far investimenti nell'agricoltura, nell'industria, nelle attività terziarie? Dallo studio della Mediobanca appare anzitutto chiaro che, di fatto tutte le imprese sono tenute in piedi soltanto dal sistema finanziario esterno, ossia dalle banche di credito ordinario o speciale.
Inoltre, ecco in sintesi gli altri dati emergenti: 1) - dal 1970 nessuna ha più realizzato utili: esse hanno perso 116 miliardi nel 1970, 640 nel 1971, 912 nel 1972, 100 nel 1973 e 375 nel 1974.
Per il 1975 è atteso un andamento peggiore. In totale, nel quinquennio 1970 1974, le perdite ammontano a oltre 2.000 miliardi di lire pari al 44 per cento del capitale sociale del gruppo di imprese considerato 2) - l'attuale rapporto fra mezzi propri e debiti è attualmente del 28 per cento. Tuttavia va fatto notare che anche se si applicasse l'aliquota massima di rivalutazione degli impianti, secondo un provvedimento all'esame del Parlamento, tale rapporto passerebbe al 40 per cento, ma ci significherebbe che dovrebbe aumentare di circa 600 miliardi la quota di ammortamento per il 1974. In tal misura nel 1974 le perdite effettive non sarebbero state di 375 miliardi, bensì di 1.000 miliardi di lire 3) - gli investimenti a partire dal 1971 sono andati diminuendo tanto che nel 1974 si è investito meno che nel 1970. Nel 1974 gli immobilizzati sono stati, nominalmente, pari al 14 per cento rispetto alla consistenza del 1973, ma poiché l'indice ISTAT dei prezzi dei beni di investimento è cresciuto nell'anno del 30 per cento, significa che l'aumento reale è stato solo di circa l'8 per cento 4) - i debiti complessivi (a breve, medio, lungo termine) rappresentavano nel 1969 il 46 per cento del bilancio complessivo delle imprese considerate. Oggi rappresentano il 55 per cento. Altro grave fatto è che di questo 55 per cento i 3/5 sono debiti a breve termine e quindi più onerosi.
Insomma le imprese sono con l'acqua alla gola. Dei debiti a medio e lungo termine - che sono un po' meno onerosi - ossia dei restanti 2/5, oltre metà (il 55 per cento) è monopolizzato da 9 grandi imprese e il resto dalle altre 694! 5) - il tasso, medio sui debiti onerosi nel 1974 è passato per le imprese di dimensioni minori dall'11 per cento, nel 1973, al 19 per cento nel 1974 6) - circa l'origine del finanziamento dell'attività di investimento dell'analisi di Mediobanca si ricava che su 21.000 miliardi di investimenti nel periodo 1969-1974 vi sono stati aumenti di capitale per 3.400 miliardi e svalutazioni per 1900 miliardi. Ciò significa che in sostanza i nuovi apporti di capitale rappresentano un decimo (1/10) degli investimenti e i nove decimi (9/10) sono costituiti da debiti. Tale proporzione è ancora peggiorata nel 1974 7) - vale infine la pena di notare che dei 3.900 miliardi di nuovi apporti azionari, oltre 2000 riguardano società appartenenti a IRI, ENI, FIAT Montedison; le società strettamente private si sono approvvigionate presso il sistema bancario.
Commentando questa drammatica caduta degli investimenti nelle imprese italiane e soprattutto il loro grado di indebitamento - dopo aver osservato che "il mantenimento del reddito è assicurato dal consumo del capitale precedentemente accumulato, gli investimenti sono decrescenti nel tempo e il finanziamento dell'attività produttiva è demandato al sistema creditizio" - l'onorevole Giorgio La Malfa ha scritto (La Stampa 24 luglio 1975): "E' chiaro che rispetto ad una situazione di questo genere possono essere utili provvedimenti di rilancio immediato della congiuntura, ma restano da affrontare tutti i problemi di struttura che queste analisi mettono in luce".
Non ci pare pero che l'attuale politica del Governo abbia fatto tesoro di queste considerazioni, né poteva farne a causa della pressione comunista.
Da parte nostra riteniamo che deve essere seguita un'altra strada: quella della mobilitazione del risparmio perché esso sia stabilmente investito e si sostituisca negli immobilizzi e nelle gestioni al capitale da indebitamento che tanti gravami, in interessi passivi e in scadenze per i rimborsi, porta a carico dei costi di produzione con sempre più negative ripercussioni sull'andamento dei prezzi e sulla non concorrenzialità delle nostre esportazioni.
Secondo dati recenti, mentre nel primo quadrimestre di quest'anno l'impiego delle banche all'interno del Paese è stato pari a 52.632 miliardi, con un aumento quadrimestrale d'appena 590 miliardi (contro un aumento di 2800 miliardi nell'eguale periodo dello scorso anno), l'opposto è caduto per la raccolta bancaria di denaro.
In totale le banche raccolsero nel prim o quadrimestre del 1974, 2.080 miliardi circa in più contro 3.800 miliardi in più nello stesso periodo di quest'anno. Il fatto è solo in parte legato ad una differenza di remunerazione in quanto tale remunerazione in nessun caso copre l'erosione compiuta dall'inflazione.
Il fatto è che la formazione del risparmio per quasi il cinquanta per cento deriva dalle famiglie dei percettori di reddito fisso. A fine aprile 1975, il denaro, per 42.069 miliardi, è stato versato sui depositi a risparmio (in conti vincolati a tre e sei mesi) e per 42.640 miliardi sui conti correnti, per un totale di 84.709 miliardi.
Si tratta di un fenomeno mai prima verificatosi: mai prima d'ora i depositi a risparmio avevano raggiunto l'ampiezza dei conti correnti. Ci vuol dire che per i mesi futuri chi risparmia non ha intenzione di spendere né che esiste alcun interesse ad utilizzare il risparmio altrui per investire e produrre.
Bisogna dunque, come abbiamo detto, mobilitare questo risparmio, ma per farlo bisogna garantire che esso non venga mandato allo sbaraglio: in altre parole bisogna che ad esso vengano garantite sicurezza negli investimenti e adeguata redditività, superiore alla tosatura inflazionistica E' diffusa nella relazione Libertini, una polemica sottile che noi respingiamo nei confronti del modello di sviluppo economico vigente nei paesi non assoggettati al regime socialista.
La polemica ci appare del tutto gratuita, ove si pensi che la politica governativa tesa ad uscire dalla crisi congiunturale presenta scompensi di dosaggio, errori prodotti da frettolosa elaborazione, difetti di impostazione non rimediabili proprio per l'azione disgregatrice delle forze di sinistra e delle pressioni ricattatorie della triplice sindacale.
Nessun paragone è possibile, per esempio, con il ben più articolato programma anticongiunturale francese, impegnato in gran parte nella promozione di grandi progetti industriali nei più diversi settori d'avanguardia e che punta quindi essenzialmente al livello qualitativo della ripresa. O col programma tedesco, cioè di un paese che ha possibilità superiori alle nostre e dove il Cancelliere socialdemocratico proprio in questa fase si preoccupa essenzialmente di non fare cristallizzare in una grave e permanente distorsione del sistema l'attuale pericolosa tendenza al disavanzo della pubblica amministrazione. Ed ecco quindi nella sia pur molto diversa politica di due paesi nostri soci e vicini l'indicazione di due obiettivi che la redazione trascura completamente: il salto di qualità del sistema industriale ed il contenimento del pubblico disavanzo.
Noi non ci nascondiamo evidentemente il fatto che il Governo italiano possa accampare delle attenuanti nell'eludere queste due direttive di marcia, ma è proprio la natura di queste attenuanti che deve costituire il maggior motivo di preoccupazione per l'avvenire del nostro paese. Quali sono queste attenuanti? Da una parte la pratica incontrollabilità della finanza pubblica statale e locale. Una situazione che ora è aggravata dalla rissa sui saldi tra Governo centrale e Regioni: ci rendiamo ben conto che al punto in cui è stata lasciata degradare la situazione occorrerebbe un profondo, radicale riassetto delle istituzioni per dare all'Italia una democrazia funzionale, moderna, all'altezza dei compiti, in grado di programmare un più ordinato sviluppo economico-sociale.
Ma un altro motivo incombe: la giustificata sfiducia del mondo imprenditoriale. E' chiaro che nell'attuale incertezza di quadro politico non c'è misura di tipo economico in grado di stimolare una ripresa degli investimenti.
La sola politica possibile può dunque apparire un fiotto di sovvenzioni e commesse pubbliche per lavori utili o meno utili, che consenta al sistema produttivo condizioni sia pure precarie di sopravvivenza senza richiedergli ulteriori impegni: però questo significa anche prepararsi ad uscire dal tunnel della recessione più impreparati e meno competitivi di prima.
Non a caso buona parte delle nostre commesse si sta orientando in proporzione assai più accentuata di un tempo verso la fornitura sui mercati socialisti e di altre zone meno sviluppate. C'è presumibilmente in questo dirottamento del nostro commercio estero dalle sue più abituali correnti di traffico il peso di intese che il Governo ed il sottogoverno sono sempre più costretti a stringere sottobanco coi comunisti: ma c'è anche la nostra ridotta competitività, che solo su mercati secondari, dal palato grosso dalle esigenze meno sofisticate, può ancora trovare più facile sbocco.
La rinuncia ad un serio programma di stimolo della iniziativa privata di riconversione a livelli tecnologici più sofisticati, registra quindi passivamente uno stato di fatto ed in prospettiva gli si abbandona e l'accentua. E' sin troppo chiaro che non può esservi una ripresa della iniziativa privata mentre la società viene lasciata completamente in preda ai suoi fondati timori, ai suoi incubi, cioè alla prospettiva certo non esaltante per gli imprenditori di vedere entro più o meno breve tempo i comunisti al governo.
Nella sua lettera del 27 agosto al Presidente del Consiglio, il Vicepresidente onorevole Ugo La Malfa ha affermato che le misure congiunturali varate "devono considerarsi l'atto conclusivo di una fase di politica economica, alla quale dovrebbe seguirne un'altra diretta ad affrontare i problemi strutturali della nostra economia".
Il giorno successivo attraverso un'intervista al Corriere della Sera il Presidente della Repubblica anticipava i temi di un suo messaggio al Parlamento affermando tra l'altro che nonostante le misure economiche "i problemi sono egualmente gravi, profonda è la crisi" e che "la crisi economica è resa più grave da uno spirito di rinuncia di una parte di imprenditori che hanno perso il gusto del rischio, che non investono, che sono tentati di portare capitale all'estero".
Il presidente della Repubblica ha ritenuto anche, nella sua responsabilità di Capo dello Stato, di dare al Parlamento alcune precise indicazioni su alcuni fondamentali problemi da affrontare per risolvere la crisi alle radici: 1) - "C'è il problema del completamento e della riforma del CNEL sul quale ho di frequente richiamato l'attenzione" 2) - "Segno dell'imporsi di un problema che esige una sollecita soluzione è il dibattito sull' attuazione degli articoli 39 e 40 della Costituzione" 3) - "Non so rassegnarmi alla piaga dell'assenteismo".
Il MSI-DN ritiene che l'attuazione delle indicazioni del Presidente della Repubblica rappresenterebbe la più valida misura non solo anticongiunturale, ma strutturale per la ripresa della nostra economia. Ed è sintomatico che si dichiari pronto e favorevole a tali iniziative, che sono poi costituzionalmente dovute, proprio il gruppo politico che viene arbitrariamente considerato fuori dal cosiddetto "arco costituzionale".
Come sono state significative in proposito sia la furibonda polemica socialista e la più cauta ma non meno evidente polemica comunista, sia la "disattenzione" del Presidente del Consiglio dei ministri alle indicazioni del Capo dello Stato Il Presidente della Repubblica aveva concluso la ricordata intervista affermando: "Occorre delinerare un'immagine del nostro avvenire perché su essa si attesti la fiducia del paese".
Senza questa fiducia appare vano sperare nella ripresa. La posizione negativa del MSI - Destra Nazionale, non è quindi solo determinata dalla valutazione che per uscire dalla crisi occorrono iniziative ben più incisive e finalizzate di quelle previste dalla relazione dell' Assessore Libertini, ma è anche soprattutto motivata dalla sfiducia nel Governo guidata da un Presidente del Consiglio che approfitta della "nebbia" per portare la nazione nei baratro comunista, contro la volontà della maggioranza degli italiani.
Se la Regione vuole dare un serio contributo al problema occupazionale legato alla crisi economica che avvolge l'Italia, ispiri la sua condotta e la sua azione nei limiti istituzionali dei suoi complici alle preoccupate parole del Presidente della Repubblica e alle indicazioni economico politiche del MSI Destra Nazionale: ma se così operasse, crollerebbe tutta l'impalcatura propagandistica di una conferenza, la quale altro non è, a nostro avviso, che il tentativo spregiudicato di mascherare il volto autentico del comunismo incapace di dare alla nuova domanda sociale l'antica risposta della libertà.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Valetto.



VALETTO Cornelio

Signor Presidente, Signori Colleghi, ho seguito con sufficiente attenzione la Conferenza del 10, 11, 12 ottobre, e ritengo sia stato un confronto utile per conoscere i punti di partenza delle diverse forze politiche e delle contrapposte parti sociali Non mi pare che si potesse sperare in qualche cosa di più, poich quando si passa dall'enunciazione di linee e di programmi alla loro realizzazione operativa, le difficoltà crescono, ed è difficile improvvisare qualcosa di immediato che serva veramente per l'inizio di un discorso concreto, con prospettive di soluzioni valide, soprattutto in presenza di una crisi economica tanto duratura quanto grave Dall'inizio di ottobre ad oggi, penso che la situazione non sia migliorata, e che non si possa obiettivamente guardare con minor apprensione all'inverno incombente.
All'elenco delle aziende allora in crisi, si sono aggiunti altri nomi.
Non nuovi forse, ma che si pensava o si sperava potessero contenere in limiti sopportabili la caduta di produzione e conseguentemente non ricorrere a diminuzioni di occupazione, che resta pur sempre l'avvenimento più shoccante, preoccupante e doloroso.
E' noto a tutti, inoltre, che, situazioni non sopportabili sotto l'aspetto economico-gestionale stanno aggravandosi in talune aziende fortunosamente già approdate alle partecipazioni pubbliche; il che risparmia al Piemonte altre centinaia di posti di lavoro in immediato pericolo.
Tra le poche note liete, se non altro per una speranza a breve, è l'indicazione di una probabile crescita alla Fiat di un 5/6% della sua produzione per il 1976 in raffronto al 1975, e la prospettiva di un raddoppio della produzione Lancia, grazie ad un risultato di qualità raggiunto con i nuovi modelli e conseguente aumento dell'esportazione.
Pertanto, e poiché penso che nessuno possa avere capacità di risolvere con sollecitudine problemi tanto complessi quali quelli in cui si dibatte non solo il Piemonte e l'intera nazione, ma gran parte del mondo industrializzato, non mi ha sorpreso che ancora non si sia delineata una linea ben definita di operatività o determinati provvedimenti specifici per alcune più gravi situazioni..
Ma non penso sia corrispondente alle necessità di soluzione della crisi economica piemontese ridurre e contenere in poche pagine enunciative il problema delle imprese, od in pochi accenni delle relazioni che ho potuto ascoltare ieri sera dal Presidente e dall'Assessore al Bilancio; e questo in contrasto con il logico svolgersi della Conferenza del 10, 11, 12 ottobre, dove il travaglio dell'impresa e le difficoltà gravi delle forze sociali che in essa operano, ebbero un proporzionato risalto.
Tutti affermano che la soluzione della crisi passa attraverso la ripresa della produzione e, conseguentemente, un riequilibrio della gestione dell'impresa, e pertanto ritengo che sia bene esaminare taluni problemi che sono legati a questa necessità, raffrontando la situazione dell'inizio ottobre con l'attuale.
Ma, prima di farlo, vorrei sottolineare la necessità che si tenga in considerazione la situazione di centinaia di piccole e medie aziende, che non fanno cronaca, che non hanno nomi importanti, ma che "tengono" con tutte le loro residue forze, giorno per giorno, andando alla ricerca di mercati sempre più competitivi e sempre più esigenti a causa della offerta che fa premio sulla domanda, con conseguenze negative sui conti economici.
Stato della crisi economica gestionale.
Dobbiamo dircelo, da ottobre ad oggi nessun miglioramento; per la crescita del costo del lavoro dovuto alla contingenza e per una continua erosione dei prezzi di vendita applicata dai produttori stessi, mentre nessun vantaggio si concretizza a favore del consumatore che contrae i consumi per una istintiva, seppur non comprensibile, difesa di fronte alle difficoltà.
Il dato positivo è rappresentato dal minor costo del denaro, purtroppo compensato da un maggior ricorso al credito per carenza di autofinanziamento o addirittura per sopperire alle perdite con il ricorso dei prestiti a breve.
E' chiaro che un comportamento siffatto ed ormai generalizzato non potrà avere che conseguenze pesanti alla presentazione dei bilanci, e cioè a febbraio-marzo prossimi.
Previsioni a breve I carnet di ordini sono all'incirca quelli di due mesi fa, e la imminenza del fine esercizio non può che favorire l'immiserimento delle ordinazioni, poiché tutti attendono, chissà perché, di "vedere cosa succederà" e rimandano all'anno prossimo i nuovi acquisti, anche in ossequio ai budget 1976, che avranno già a monte dell'inizio di attività magazzini cospicui di prodotti finiti, realizzati al fine di non ridurre ancor più l'impiego di mano d'opera, e questo con tutta l'implicanza di rischi e di costi che sono noti.
Investimenti Per le aziende private medie e piccole parlare di investimenti per il 1976-77 (il periodo minimo di previsione non può essere inferiore a un biennio), è da coraggiosi, ma talvolta viene interpretato come un gesto da insensati, a seconda delle interpretazioni: soprattutto quando gli impianti, di solito saturati come massimo all'80%, per margini di sicurezza operativa, lo sono oggi al 50% circa e cioè ad un 35% meno della regola prudenziale.
Eppure il progresso tecnico-tecnologico impone di non rimanere bloccati.
Chi ha potuto visitare a lungo l'esposizione del macchinario tessile di ottobre a Milano, esposizione a livello mondiale, ha tratto motivo di meraviglia, ma anche di sgomento, di fronte ai progressi sbalorditivi realizzati negli ultimi cinque anni e cioè dall'ultima presenza a Milano della stessa manifestazione, che cambia continente ogni anno. Per dare una quantificazione eloquente e facile per tutti basti pensare che ormai sono in fase di consegna, non di studio o di progettazione, telai per cotone e fibre sintetiche che realizzano 1000 inserzioni al minuto, contro le 300/400 di pochissimi anni fa, e che la dotazione raggiungibile, per taluni articoli, è di 60 telai per ogni operatore, dove prima era di 30: il che sta a significare una produzione 1 a 6/0 da 1 a 5, nella ipotesi meno grave.
Se i progressi tecnici ITMA sono motivo di soddisfazione ed anche di meraviglia per i risultati conseguiti, sono anche di preoccupazione drammatica per le prospettive che comportano per la nostra industria tessile. E' ovvio che siffatti macchinari richiedono investimenti sbalorditivi (non dimentichiamo che il costo di una macchina va dai 10 ai 15 milioni e che la dotazione di un operatore è di 60 macchine, anche se gli fanno contorno 4 o 5 aiutanti) che difficilmente le nostre aziende tessili disastrate possono aggrontare e queste mentre altri Paesi europei e, più grave ancora, Paesi terzi, riescono a realizzare, con la possibilità di estrometterci definitivamente e totalmente dai mercati.
Dovrei dire anche che fra i fabbricanti principali di queste macchine non ci sono soltanto Paesi occidentali come il Giappone, ma Paesi dell'area socialista, come la Cecoslovacchia e la Romania.
L'esempio fatto per i telai fa testo anche per la filatura e le macchine ausiliarie, tanto per rimanere nel campo tessile. Situazioni non dissimili riguardano produzioni tessili-chimiche, chimiche plastiche e chimiche gomma, delle quali ho sufficiente conoscenza e non penso che altrimenti avvenga per gli altri settori, compresi quelli metalmeccanici.
Mobilità del lavoro Poche schiarite, anche di fronte a piani di temporanee sospensioni di lavoratori con reinserimento nell'ambito di ristrutturazioni obiettive documentate, programmate. La rigidità indurrà non pochi piccoli imprenditori a non tentare neppure modificazioni e riconversioni, ma semplicemente a prepararsi alla liquidazione di aziende meritevoli di ben diversa sorte.
Il non poter contare che sui propri mezzi, o sull'indebitamento senza prospettiva di solvibilità, ha come unico sbocco questa soluzione.
L'assenteismo è stazionario, con qualche periodo di attenuazione, ma senza significativi segni di ricupero.
Nuovi contratti Quanto contenuto nelle piattaforme contrattuali dei metalmeccanici e dei chimici è noto a tutti.
Sotto l'aspetto economico, trascurando la lievitazione continua dovuta ai punti di contingenza, l'incidenza della, richiesta è attorno al 25/30 ed è un peso non compatibile con la indispensabile competitività sui mercati internazionali verso i quali dobbiamo tendere con grandi collocazioni di prodotti, possibilmente ad alto valore aggiunto.
Non mi soffermo sulla parte normativa proposta, che ormai tende ad essere una vera "premessa" o "cornice politica" che non può non recare grave pregiudizio alla funzionalità ed alla guida delle medie e piccole aziende, aumentandone la burocratizzazione e rallentandone la dinamica tipica e determinante per il successo e lo sviluppo.
E' chiaro che il discorso sull'efficienza del lavoro, la produttività l'aumento delle ore lavorate in ragione di anno, ed altre proposte fatte per essere in grado di pareggiare oneri crescenti, diventano enunciazioni verbali, e non fa stupore il trovarsi, per me imprenditore, spiazzato a sinistra dal prof. Francesco Forte, dopo la lettura del suo ultimo articolo di martedì 18 novembre su "La Stampa", dove sono avanzate osservazioni critiche, proposte ed esortazioni che, sino a ieri, sarebbero state definite provocatorie se a portarle avanti fosse stato un imprenditore.
Evidentemente, la responsabilità della gestione Tescon in presa diretta, ha portato al prof. Forte elementi nuovi di esperienza e di valutazione sino a ieri a lui sconosciuti.



LIBERTINI Lucio, Vice Presidente della Giunta regionale

Vorrei sottolineare la responsabilità di quel che fa la Tescon



VALETTO Cornelio

Vorrei aggiungere, per chi ha esperienza di contatti, come quelli che sono stati poco fa citati, con i Paesi dell'Est, per forniture, che il concetto economico è basilare, è radicale, è determinante per qualsiasi lavoro e per qualsiasi fornitura, a testimonianza che il concetto economico vale in qualsiasi economia quando questa tende al bene comune.
Se la realtà è quella tratteggiata in questi pochi minuti, e che purtroppo vale per la maggior parte delle aziende, (fortunatamente non per la generalità) è chiaro che le responsabilità che devono assumersi le parti sociali e politiche, se veramente vogliono porsi come obiettivo un apporto alla risoluzione della crisi, sono grandi.
Occorre rimboccarsi le maniche e combattere il pessimismo, ma non basterà più attribuire l'una all'altra le colpe o mercanteggiare quale sia la percentuale di esse da addebitare all'interlocutore.
Occorrerà veramente esaminare il problema dell'occupazione, ma anche quello della ristrutturazione delle aziende quando questa è necessità inderogabile per la sua sopravvivenza e la conseguente tutela di altri posti di lavoro che a breve risulterebbero irrimediabilmente compromessi.
Non possiamo dimenticare che nella stragrande maggioranza sono ristrutturazioni da perfezionare in presenza di un progresso tecnologico rapidissimo; ristrutturazioni che hanno costi per investimenti notevolissimi e questo in presenza di una carenza di mezzi finanziari conseguenti alla mancanza di autofinanziamento ed anche alla difficoltà di ottenerli a tassi accettabili.
Occorrerà certamente tener conto che i salari sono in lotta, in corsa affannosa dietro al crescente costo della vita, in una spirale che non rallenta se non a tratti, per riprendere con puntate sempre marcate, ma non si potrà non esaminare la possibilità di maggiore efficienza e produttività.
Potrei continuare nelle esemplificazioni a lungo, perché tanti sono i punti di scontro attuali che, io lo spero, possono, devono diventare punto di incontro se si vuole veramente venire fuori da una situazione difficilissima che può ancora essere superata, sempre che a questo si voglia giungere e non ad altri traguardi.
La Regione, a mio avviso, deve dire agli imprenditori, con particolare riguardo ai medi e ai piccoli se è disposta ad adoperarsi perch obiettivamente, senza spirito di parte, sia rivalorizzata la loro funzione di produttori di ricchezze da distribuirsi equamente tra tutte le componenti dell'impresa; impresa che può progredire e crescere aumentando e creando nuovi posti di lavoro soltanto in presenza di capacità e possibilità di effettuare nuovi investimenti, per i quali, è ovvio dirlo occorrono mezzi propri o finanziamenti ottenibili soltanto in presenza di gestioni ordinate e programmate e con forte proiezione di uomini e mezzi nel campo tecnico e tecnologico, ma soprattutto nell'attività promozionale tesa ad ampliare i confini e le dimensioni di sempre nuovi mercati Va da se che, a fronte di qualsiasi finanziamento, vengono richieste garanzie reali che non sono nelle disponibilità delle aziende in crisi e con i conti economici in dissesto.
Se e vero, e non strumentale, che anche le forze politiche di sinistra accettano la legittimazione del profitto e il modo di produrre dell'economia di mercato, tanto da far dichiarare da loro esponenti qualificati che "le industrie italiane devono misurarsi con le altre sui mercati internazionali", non riesco a capire la prudenza di linguaggio e l'eccessiva riservatezza dei documenti presentati dalla Giunta e dei discorsi pronunciati in quest'aula ieri sera.
Se poi pensiamo che le aziende oltre i 1000 dipendenti, sono in Piemonte poche decine, mentre quelle minori, sono molte decine di migliaia senza contare le imprese a carattere industriale-artigianale, non riesco a comprendere il perché di una non accentuazione e di un non sviluppo dei temi avviati all'inizio di ottobre.
Io ritengo che il tempo a disposizione sia veramente stretto e che non serva far passare i giorni e le settimane in una attesa che non è proficua o magari nella critica e nella polemica contro i provvedimenti del Governo centrale; non possiamo dimenticare che qualsiasi cosa si decida o si attui m un momento tanto grave come l'attuale, avrà sempre il difetto di non essere adeguato alle necessità, che sono tante ed immense.
La critica per la critica è sorella gemella del pessimismo; anche se messe assieme, servono a costruire nulla. E' necessario pertanto, che la Giunta Regionale esca dalle indicazioni generiche e dalle dichiarazioni di buona volontà, e ci dica quali sono le possibilità in suo possesso per essere un interlocutore valido per tutte le forze sociali che operano nell'ambito dell'impresa.
Se con dibattito non si chiarirà questa posizione avremo noi tutti veramente, ma in modo preminente la Giunta Regionale, lavorato per una non necessaria e deteriore produzione cartacea, più volte richiamata, ieri sera, in questa aula per altri temi



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Debenedetti



DEBENEDETTI Mario

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, il mio intervento sarà limitato ad alcuni settori di competenza regionale e sarà breve ma suggerito dal testo del documento che riguarda appunto il turismo, lo sport e la caccia.



LIBERTINI Lucio, Vice presidente della Giunta regionale

Sono contento che finalmente qualcuno abbia letto il documento.



DEBENEDETTI Mario

Per temperamento rifuggo sempre dai discorsi molto fumosi, molto astratti e credo che nel pluralismo ci sia spazio per chi fa i grossi discorsi e chi cerca viceversa di attenersi a problemi concreti, pratici io appartengo a questa categoria, anche perché non sarei capace di fare un certo tipo di discorso che poi, me lo consenta, sento ormai da vent'anni! Colgo l'occasione che mi ha offerto l'intervento dell'Assessore alla programmazione ed al bilancio e confesso che ero tentato di andare a riprendere certe dichiarazioni fatte quando eravamo con l'Assessore al bilancio nella precedente maggioranza e verificare quali divergenze si sono verificate tra quello che diceva allora e quello che dice oggi.



BERTI Antonio

La differenza non sta tra alcune cose che si erano dette per esempio nell'ultima relazione sul bilancio, e quello che si dice adesso, ma sta nel farle o nel non farle.



DEBENEDETTI Mario

Ecco. Il senso della mia precisazione era proprio quello di dichiarare che rifuggo dalle grosse enunciazioni e che mi piace viceversa attenermi alle cose concrete.



LIBERTINI Lucio, Vice presidente della Giunta regionale

Io la ringraziavo, ma non ironicamente.



DEBENEDETTI Mario

Credo sia stata una precisazione di carattere preliminare che chiarisce anche il tuo dubbio.
Sono rimasto veramente stupito dal fatto che nella relazione della Giunta si introduca il discorso su questi settori con questa testuale affermazione: "per ovviare ad una mancanza di politica turistica e sportiva nella Regione".
Io capisco che si possa parlare di carenze, non rifuggiamo sicuramente da una crisi costruttiva su quello che si è fatto, da ripensamenti, da revisioni, ma l'affermazione "mancanza di politica turistica" non so a che cosa attribuirla, se a leggerezza, se a presunzione; quello che è sicuramente certo, a mio avviso, è che è un'affermazione falsa, al limite offensiva e non tanto nei confronti del sottoscritto, che conta ben poco (diceva ieri il mio collega Cardinali "posso contare il due di picche") ma della Giunta regionale e al limite del Consiglio Regionale, perché la facoltà di iniziativa legislativa non spetta soltanto all'esecutivo, spetta anche a tutti i Consiglieri. In un documento ufficiale come questo fare affermazioni del genere mi pare per lo meno poco serio.
Chiedo scusa ai Consiglieri se sono costretto a riallacciarmi (potrà sembrare poco simpatico) a quanto si è fatto precedentemente in questo settore, non era nelle mie intenzioni intervenire in questa direzione, ma vi sono stato tirato per i capelli e anche per dovere di verità, devo chiarire alcune cose perché è un documento pubblico della Giunta Regionale che viene divulgato a tutti i livelli della comunità regionale e mi pare che non sia serio prendere le mosse da una situazione che non corrisponde al vero.
Quindi niente anno zero. Si sarà fatto poco - lo vedremo - ma qualcosa si è fatto.
E vediamo, in definitiva, sia pure telegraficamente, quali sono i problemi che riguardano il settore turistico.
Intanto mi pare che in questa breve relazione ci sia una gran confusione, tentando in alcuni punti di fare coincidere i problemi del turismo con quelli dello sport e prescindendo da una chiarificazione di fondo. Io non voglio fare il grosso discorso sul fenomeno turistico che tutti conosciamo, il quale sicuramente presenta due aspetti di fondo diversi: il turismo attivo e quello ricettivo.
Che cosa si è fatto? Si è ritenuto che sulla base della logica e anche di una logica di programmazione, consentitemelo, dovesse essere preminente un intervento regionale sotto l'aspetto ricettivo, perché l'aspetto della pratica turistica è estremamente condizionato dall'esistenza di strutture adeguate. Ed allora, colleghi, credo che la Regione Piemonte possa andare a testa alta. Non dovrei dirle io queste cose, ma sono i fatti che parlano.
La legge 23 ha fatto uno stanziamento finanziario di gran lunga superiore a quello delle Regioni Lombardia ed Emilia-Romagna. Questi sono dati obiettivi che ognuno di noi può raffrontare: per l'esercizio 1974 erano stati stanziati due miliardi, altrettanti per il 1975. A che cosa si tendeva con questo? Si tendeva ad incentivare la ricettività turistica del Piemonte, sopperendo in parte ad una carenza da parte dello Stato che si protraeva da anni. Sono temi che abbiamo già dibattuto in quest'aula, sono dati che sono stati portati a conoscenza del Consiglio regionale.
Consentitemi di dire che anche in questa iniziativa si è attuata una certa programmazione. Sono concetti che trovo ripresi, sia pure confusamente, nella relazione della Giunta la quale cerca di presentarli come concetti nuovi mentre, a mio avviso, sono abbondantemente contenuti nella legislazione prodotta dalla precedente legislatura. Potrei riferirmi al rilievo dato in questo settore agli enti locali ed in modo particolare alle Comunità montane che sono state chiamate a fare da protagoniste perché la legge fa un preciso riferimento ai piani di sviluppo delle Comunità montane anche nel settore turistico. Quando si parla di piani, di programmazione, s i ripete da più parti che le programmazioni e le elaborazioni di piani di intervento non debbono essere fatte al vertice, ma debbono maturare nella realtà comunale, nella realtà comprensoriale, nella realtà delle Comunità montane, e accentuo soprattutto queste ultime perch sono proprio le zone maggiormente interessate al fenomeno turistico piemontese.
Ebbene, in questa ottica la legge regionale ha chiamato quali protagonisti gli enti locali, per la prima volta nella gestione dell'attività turistica, non solo, ma nella previsione legislativa si è ritenuto di dare loro un'incentivazione particolare proprio per invitarli ad assumere in proprio iniziative in questo settore. Quindi un decentramento chiamando i Comuni - come è scritto in questa breve relazione introduttiva - a partecipare direttamente quali interpreti di istanze e di aspirazioni riflettenti la locale realtà sociale e collegati strettamente ai piani di sviluppo che le Comunità montane devono darsi.
C'è anche un altro aspetto che io ritengo non si possa definire "mancanza di politica turistica"; in questa legge è stato prefigurato un intervento del tutto nuovo, non previsto da altre leggi regionali le quali anzi, mi consta che si ispireranno a questa: mi riferisco all'intervento per la ristrutturazione e l'adattamento nelle zone montane di immobili vecchi, rustici, baite da destinare alla ricettività turistica anche stagionale. Con tale previsione legislativa si è inteso non solo promuovere la conservazione di architetture spontanee che fanno parte del patrimonio culturale e dell'ambiente paesaggistico dei piccoli centri montani, ma anche favorire l'incremento del reddito delle popolazioni residenti in quelle aree e frenarne l'ulteriore esodo mediante una forma di integrazione su agricoltura e turismo.
Sarà poca cosa, ma è sicuramente estremamente positiva.
Anche se l'intervento sarà disarticolato, vorrei fare riferimento passo per passo, alla relazione che ci ha sottoposto la Giunta.
Qui si dice "per ovviare ad una mancanza di politica turistica e per evitare di sostenere iniziative esclusivamente speculative". Francamente non riesco a comprendere la portata di questa affermazione perché il tenore della legge di cui stiamo parlando è assai chiaro, privilegia addirittura gli enti locali, gli enti a partecipazione pubblica, stimola quindi l'intervento dei pubblici enti nel settore turistico e non vedo per quale ragione si possa parlare di iniziative assunte nella precedente amministrazione, tese a sostenere iniziative di carattere esclusivamente speculativo.
Si propone, per prima cosa, l'elaborazione di un piano degli insediamenti turistico-sportivi. Intanto ho già detto che non riesco ad afferrare il collegamento sistematico tra insediamenti turistici e sportivi. Nella legge n. 23 sono previsti in primo luogo finanziamenti diretti ad incentivare la struttura ricettiva e anche gli impianti complementari alla attività turistica e in questi sono compresi anche quelli sportivi.
I dati che sono stati già offerti al Consiglio Regionale nella consistenza della struttura ricettiva alberghiera, della capacità ricettiva del Piemonte, dell'andamento del fenomeno delle presenze, già li conosciamo e sono stati registrati dei movimenti in ascesa in alcuni settori; abbiamo verificato una ristrutturazione in atto degli insediamenti e abbiamo quindi a disposizione dei dati sui quali poter operare, anzi, credo che questa situazione sia proprio quella sulla quale in precedenza si era mossi.
Si dice poi, come politica nuova, che si tenderà a favorire l'accorpamento dei Comuni. Io non so, non vorrei costringere i colleghi a rileggersi il testo delle leggi regionali sia per quanto riguarda l'incentivazione turistica, sia per quanto riguarda gli impianti sportivi ma queste cose sono già state acquisite nella legislazione. Nella legge che riguarda il turismo si fissano dei criteri di priorità si determinano nelle categorie le cooperative, i consorzi di piccoli operatori turistici e le associazioni, vengono privilegiati in modo particolare gli enti locali e società con prevalente partecipazione di capitale pubblico.
Se poi ci riferiamo alla legge sugli impianti sportivi si dice testualmente "favorire gli interventi rivolti a dotare di impianti essenziali i Comuni che ne sono sprovvisti, favorire la realizzazione di impianti con destinazione e dimensioni comprensoriali deliberati da consorzi di Comuni o da Comunità montane".
Anche qui non vedo un superamento della mancanza di politica della precedente amministrazione.
Un altro riferimento è questo: "Ampliare le materie di competenza regionale fino a comprendersi alcuni aspetti collaterali all'attività turistica come gli impianti di risalita".
Gli impianti di risalita, a mio modesto avviso, sono proprio un esempio di quegli impianti complementari all'attività turistica che sono già compresi come regolamentazione, nella legge 23. Credo che non ci possa essere ombra di dubbio.
Poi si passa alla proposta dello scioglimento degli Enti provinciali del turismo. Questo è un tema che è già stato dibattuto alcuni anni fa da alcune forze politiche ed era stata proposta già nel 1972 l'abolizione tout court degli EPT.
Qual è stata la posizione assunta allora? Quella di soprassedere invitando a un momento di meditazione, di verifica, anche perché non si tratta semplicemente di abolire gli EPT, semmai si tratta di vedere il problema nella sua complessità e delineare quali strutture debbano sostituire gli EPT. E se non vado errato già allora si diceva che il discorso dei comprensori si doveva...



MORETTI Michele, Assessore al turismo

Ma se non fai lo scioglimento...



DEBENEDETTI Mario

Caro Moretti, io non sono qui a criticare la proposta di scioglimento degli EPT, la verificheremo, può darsi che nascano anche dei consensi.
Quello che voglio dire è questo: affrontiamo il problema, dibattiamolo sotto tutti gli aspetti, vediamo qual è la dimensione migliore per sostituire questi enti e noi siamo disposti a confrontarci.
Per quanto riguarda le aziende autonome, anche qui si presenta come elemento qualificante e nuovo il fatto di dare una dimensione, una struttura comprensoriale. Ma è a tutti noto che già nei pochi anni di esperienza che abbiamo fatto, abbiamo insistito su questo concetto, tant'è che si è ampliata la azienda autonoma di Clavière a livello comprensoriale si è costituita una nuova azienda autonoma a livello comprensoriale sollecitandola a riverificare in loco, con il concorso dei Comuni, quale poteva essere la struttura e la definizione territoriale ottimale per un adeguamento delle aziende autonome a questa nuova realtà.



BONO Sereno

Commissariandole magari!



DEBENEDETTI Mario

Il fatto del commissariato è dipeso da ragioni di tempo, non era intervenuto l'accordo politico (del resto tutte le nomine ancora oggi avvengono attraverso degli accordi politici) e per ovviare ad una situazione di stagnazione, di inattività, si è ritenuto opportuno procedere alla nomina del Commissario. Questo è un fatto temporaneo, provvisorio che consente di dotare comunque l'ente di quelli che sono gli organi propri.
Poi c'è un'altra affermazione che mi riconduce a dire qualche cosa sulla legge dell'incentivazione turistica. Si dice: "A questo proposito il tipo di previdenza previsto dalla legge 23 permette di avere solo in parte attrezzature di impianti consoni all'attuale utenza turistica". Ma io vorrei invitare i colleghi a rileggere la gamma vastissima di interventi previsti dall'art. 1. Io non voglio leggerveli, ma vorrei chiedere quali sono questi impianti che non siano già previsti dalla legge in vigore.
Questo mio intervento può avere un sapore polemico, ma vi prego di credermi, non era mia intenzione fare un tipo di intervento del genere, ma lo ritengo indispensabile al fine di ristabilire una certa verità che non è affatto rappresentata dal documento della Giunta, proprio perché questo documento fa riferimento alla precedente gestione e quindi sono puntualizzazioni non solo necessarie, ma doverose.
Altro concetto. Si dice: "A tal fine appare necessario predispone una nuova legge ed un piano finanziario pluriennale che nell'ambito di una politica intesa a promuovere il turismo non solo come fatto economico, ma anche come fatto sociale, attui un inserimento responsabile dei piccoli e medi operatori turistici all'interno del processo economico diretto".
Ma prendiamo un momento la legge: "Criteri di priorità. Alle piccole e medie aziende a prevalente conduzione familiare". Anche qui "nihil sub sole novi".
Poi si dice: "Da questi concetti discendono tre linee di intervento: la prima diretta a completare e promuovere una offerta intesa a soddisfare la più ampia gamma di esigenze e di interessi". E su questo siamo tutti d'accordo perché è una di quelle affermazioni talmente generiche che va bene per tutti, è come il prezzemolo! "La seconda tesa a individuare le zone, le forme e gli strumenti che permettono di organizzare i complessi ricettivi". E anche qui si riprende la figura del piccolo operatore turistico. Che cosa vuol dire "tesa a individuare le zone"? Le zone turistiche piemontesi sono arcinote, vi sono studi, elaborazioni fatte a livello provinciale, ci sono dati offerti dagli EPT, c'è l'esperienza del Comune cittadino che sa benissimo quali sono le zone turistiche del Piemonte e non vedo come questo possa costituire oggetto di una politica nuova nel settore del turismo; per noi questi sono dati già acquisiti, le zone turistiche del Piemonte, con un minimo di buona volontà, sono facilmente individuabili, ci sono anche delle zone destinate a nuova incentivazione turistica e nella legge abbiamo privilegiato proprio quelle zone che sono chiamate per vocazione turistiche, che sono chiamate ad avere in questi tempi un'incentivazione particolare.
Per quanto riguarda la legge sullo sport, telegraficamente vorrei dire una cosa, che forse è già stata detta. Non è necessario essere degli Einstein per comprendere che la legge che è stata fatta aveva degli obiettivi ben limitati, che non intendeva affatto risolvere il grosso e complesso problema dell'impianto sportivo a livello regionale. E anche qui se mi consentite, è stata fatta una scelta di programmazione cercando anzitutto di dotare i Comuni, le piccole comunità che ne sono completamente sprovviste, di impianti minimi che consentano la pratica dello sport.
Questo è il limite, ma anche il pregio della legge.
Si è detto in questa legge che si deve tendere a: favorire la realizzazione di impianti con destinazione a dimensioni comprensoriali (anche questo è un aspetto qualificante e vedo che è ripreso come proposta nuova dalla relazione della Giunta); favorire gli interventi rivolti a dotare di impianti essenziali i Comuni che ne siano sprovvisti, anche in riferimento alle esigenze della popolazione scolastica; favorire la realizzazione di impianti di bassi costi, suscettibile di ulteriore sviluppo con caratteristiche di polivalenza che ne consentono il più ampio uso quantitativo E poi c'è stata un'altra piccola iniziativa secondo me politicamente valida che mi auguro venga realizzata, quella dell'intervento a favore dei quartieri delle case popolari. Anche questa è una cosa nuova ed estremamente positiva, per cui non si dica che nella precedente amministrazione non c'è stata una politica del settore.
Anche nel settore dello sport bisogna fare una distinzione di fondo: intanto non è che con il trasferimento delle competenze alle Regioni la materia sportiva sia stata loro deferita, sono le Regioni che hanno conquistato una loro competenza soprattutto negli interventi per la progettazione di impianti considerando l'impianto sportivo - questo è il concetto che abbiamo ribadito - alla stregua delle altre opere pubbliche perché in questa ottica va visto, tant'è che la legge si riallaccia proprio alla sistematica normativa dei lavori pubblici.
Sappiamo tutti che con altre disponibilità finanziarie si poteva affrontare il problema degli impianti sportivi a livelli diversi, ma noi abbiamo ritenuto di incominciare ad operare nel settore dove le comunità, i quartieri, i Comuni sono totalmente sprovvisti di un minimo di impianto sportivo. E poi non si scriva sulla relazione che l'intervento massimo è di 15 milioni, non è vero, perché la legge prevede che quando si tratta di opere a livello comprensoriale si arriva a 40 milioni.
Un'altra cosa che non riesco a comprendere è questa: l'attuale scarsità di competenze in materia sportiva potrà essere superata solo parzialmente attraverso lo scioglimento dell'ENAL Qui forse si voleva dire "CONI" non "ENAL", perché l'ENAL nel settore sportivo non è che abbia delle competenze specifiche, l'Enal ha tutt'altre finalità. So che esistono iniziative a livello nazionale, portate avanti dal Partito comunista, tese alla soppressione dell'ENAL. ma credo che l'inserimento del problema in questo contesto non si attagli affatti; può darsi che sia una grossa lacuna la mia, ma non capisco che cosa c'entra l'Enal, quale intralcio possa costituire l'ENAL per la Regione e nel settore delle competenze in materia sportiva.
In un altro punto si dice che "in collaborazione con gli Assessorati all'Ecologia ed all'Agricoltura si proporrà la regolamentazione di alcune forme di turismo che, prive di controllo, possono recare notevoli danni all'ambiente. Rientrano in questo ordine di problemi la manutenzione dei sentieri alpini e il divieto di transito agli automezzi sulle strade ex militari e sulle mulattiere esistenti ad alta quota".
Se si vuole fare una legge su questi sentieri allora è veramente una cosa nuova, ma io potrei dire che per regolare questa materia ci siamo sempre avvalsi della collaborazione dei Comuni. Io ritengo che il Sindaco di un Comune o con ordinanza, o con delibera, abbia la facoltà di proibire la circolazione su queste strade e posso assicurare la Giunta che in qualche località del Piemonte (che adesso non ricordo) questo è stato fatto. Se questo è un aspetto legislativo nuovo vedremo, lo discuteremo; in questo settore abbiamo fatto una legge sui parchi e credo di poter affermare che si qualifichi rispetto alle altre leggi regionali, basta fare un raffronto: le altre leggi regionali prevedevano una semplice elencazione teorica della tipologia degli interventi, nella nostra legge abbiamo viceversa individuato degli strumenti operativi concreti che danno alla Regione la possibilità di intervenire.



LIBERTINI Lucio, Vice Presidente della Giunta regionale

Infatti, stiamo intervenendo sui parchi.



DEBENEDETTI Mario

Poi si parla di manutenzione dei rifugi, dei bivacchi alpini ecc. Ma la Regione Piemonte a proposito del soccorso alpino ha fatto delle erogazioni anche cospicue, anzi, era stata presentata una proposta legislativa, noi abbiamo ritenuto che già con la legislazione vigente fosse possibile operare degli interventi che andranno adeguati, di anno in anno, secondo le esigenze emergenti.
Un'ultima battuta e chiudo perché non vorrei introdurre il grosso discorso sulla caccia, ma è stato fatto un breve riferimento e conseguentemente io faccio una breve osservazione.
Per quanto riguarda la caccia l'Assessorato si pone l'obiettivo di una "sistematica disincentivazione delle riserve a carattere speculativo". Io mi aspettavo che si proponesse l'abolizione dell'istituto riservistico.



BORANDO Carlo

E perché?



DEBENEDETTI Mario

Quando io sedevo in quei banchi, da questa parte si diceva: aboliamo le riserve! Oggi si parla di sistematica disincentivazione delle riserve a carattere speculativo. Scusate se sono noioso, ma andiamo a rileggerci l'ordine del giorno votato dal Consiglio regionale quando è stata approvata la legge sulla caccia: un punto qualificante era appunto l'eliminazione delle riserve cosi dette di speculazione. A questo punto mi si potrà chiedere: è stato fatto o non è stato fatto? Anche qui una breve precisazione.
La competenza in materia è stata demandata per legge ai comitati caccia. E forse in questa occasione viene fuori una proposta che, a titolo personale, vorrei già fare al Consiglio Regionale.
Se non vado errato, all'art. 10 la legge regionale delegava grossi poteri ai comitati provinciali della caccia perché si riteneva che certi aspetti sarebbero stati meglio valutati, come del resto già faceva la legge dello Stato, a livello provinciale anziché regionale e anche per evitare il fenomeno dell'accentramento regionale che non è sicuramente positivo.
Qualche comitato provinciale della caccia si è mosso in questa direzione purtroppo non tutti, ed io non vorrei fare la scelta tra i buoni e i cattivi, ma come fenomeno generale dico che qualche cosa in questo campo ad esempio nella provincia di Asti, mi consta che è stata fatta, in altre province no. E perché? Perché la legge regionale non è stata rispettata non solo su questo punto, ma su tanti altri punti e a mio modesto avviso si pone all'attenzione del Consiglio l'opportunità di valutare se debbano essere mantenuti i comitati caccia.
Il Comitato caccia è un organo tecnico - dice la legge dell'amministrazione provinciale, che però non risponde politicamente e direttamente ed io sono qui a proporre di valutare l'opportunità di abolire t comitati caccia, di ritornare a dare i poteri, alle amministrazioni provinciali o a livello comprensoriale, vedremo, ma di darle sicuramente agli organi rappresentativi che ne rispondono politicamente e in prima persona. E' questa l'indicazione che vorrei dare e sulla quale mi riservo di ritornare al momento opportuno. Certo, può darsi che la maggioranza, in relazione ad un principio di coerenza, proponga l'abolizione delle riserve di caccia, ma su questo eventualmente discuteremo.


Argomento:

Sul programma dei lavori


PRESIDENTE

Credo che possiamo fare il punto della nostra discussione per cercare di orientarci.
Sono intervenuti sinora, fra la seduta di ieri e quella di oggi, nove Consiglieri. E' un buon numero per la prima fase del dibattito; ne rimangono però ancora iscritti 13, comprese le conclusioni, senza che le iscrizioni siano chiuse. Se vogliamo possiamo terminare il dibattito in una prossima seduta per non arrivare alle ore piccole, perché sospetto che vi sia la tendenza nei Consiglieri dopo essere intervenuti ad assentarsi dai lavori e questo è un comportamento assai scorretto che non serve al dialogo che è stato voluto da tutte le forze politiche e che deve svolgersi in un clima di partecipazione; il regolamento dà diritto di parlare tutto il tempo che si vuole, ma dovremo pure autoregolarci, d'altra parte la Commissione nomine deve essere convocata oggi pomeriggio prima dell'inizio dei lavori, che sono fissati per le ore 15, per una richiesta urgente che la Giunta ha avanzato e su cui vuole avere il parere della Commissione competente.
Io proporrei di sentire ancora due interventi stamattina, molto succinti se è possibile, altrimenti uno solo e poi oggi pomeriggio, se non vogliamo finire alle ore notturne, bisognerà che i Consiglieri si rendano conto che se l'intervento è della durata di 10 minuti o un quarto d' ora la seduta finirà alle ore 20, se no andremo a mezzanotte, la meccanica è questa. Per il momento il mio è soltanto un invito, una raccomandazione.
La parola al Consigliere Calsolaro.



CALSOLARO Corrado

Vorrei chiedere al Presidente se non ritenga opportuno regolamentare la discussione prendendo in considerazione una ipotesi di aggiornamento alla fine di un certo numero di interventi, e questo per consentire all'assemblea di seguire seriamente il dibattito. Un aggiornamento per quanto riguarda la fase conclusiva della discussione potrebbe avvenire a termini brevissimi e consentire che l'assemblea proceda non stancamente, o nelle forme che appunto lei, Presidente, ha poco prima enunciato.



PRESIDENTE

Credo che ad un certo punto del dibattito questa ipotesi possa anche essere presa in considerazione, per il momento con un minimo di autocontrollo reciproco possiamo concludere bene questa sera; la mia raccomandazione tende a fare in maniera che tutto ciò che è iscritto all'ordine del giorno si svolga nella seduta di oggi. Ma è una ipotesi quella presentata dal Consigliere Calsolaro, che si può senz'altro prendere in considerazione se per caso le cose peggiorassero.
La parola al Consigliere Oberto.



OBERTO Gianni

Signor Presidente, signori Consiglieri, signori della Giunta, assicuro subito che non parlerò di caccia, pure inserendo il mio discorso dopo quello dell'avv. Debenedetti, perché Giolitti (intendo parlare di Giovanni Giolitti) era solito dire che se si voleva far cadere un governo bisognava portare all'esame una legge sulla caccia, o parlare di caccia. Io non mi propongo assolutamente questo e quindi vi assicuro che non parlerò di caccia.
Vorrei anche dire che il mio intervento ha un carattere del tutto particolare: nell'economia degli interventi del Gruppo della D.C., avendo seriamente seguito in parte i lavori del convegno sull'occupazione e avendo letto le relazioni ed ascoltate quelle che hanno ieri perfezionato il complesso delle informazioni, il mio intervento non sarebbe stato previsto ma sono stato provocato da alcune dichiarazioni fatte dal Consigliere Rossotto.
Dico subito, per sgombrare il campo, che il suo caso personale non mi interessa assolutamente. Io posso anche immaginare delle notti insonni, dei momenti di agitazione, di ansia, di perturbamento per scegliere una certa linea determinante nella vita politico-partitica; posso immaginare tutto non lo annovero certamente tra coloro i quali fanno il salto della quaglia per salire sul carro del vincitore, ho troppa stima personale di lui, anche come avvocato, per pensare lontanamente questo; intervengo invece per quello che molto responsabilmente, anche per iscritto, ha detto con giudizio assolutamente sprezzante e negativo a proposito di quella che è stata l'operatività della Giunta che ho avuto l'onore e la responsabilità di presiedere nell'ultimo anno e mezzo. Qualcuno a questo punto potrebbe dire: ma perché se la prende con Rossotto e non se l'è presa, per esempio con Invernizzi Invernizzina che ha scritto sull'"Espresso" quella storiella amena che ha avuto il conforto immediato di una sferzata violentissima data da Libertini e pubblicata dall'Unità? Io, per vero, sono un lettore ancora fedele dell'Unità e non lo dico per meritarmi dei titoli di particolare attenzione: confesso però subito che invece la lettura dell'"Espresso" non è per me né lettura abituale, né lettura amena e nemmeno di cultura, per cui lessi prima e ne parlai con il Vice Presidente Libertini, quella sferzante dichiarazione sua, ripeto, pubblicata dall'Unità, con il titolo "Le invenzioni dell''Espresso'".
Debbo soltanto qui dire, rammaricandomi, che questa cosi detta libertà di stampa in fondo in certi settori assolutamente non esista. Questa sua lettera, Vice Presidente Libertini, l'Espresso non l'ha pubblicata, ed io forte di esperienze nel campo professionale di rettifiche chieste a questi settimanali scandalistici (che invece di settimanali amerei piuttosto definire "libelli" scandalistici) sapevo che non avrebbe pubblicato niente.
Qualcuno potrebbe dire: perché, allora, non hai assunto quell'atteggiamento quando si diceva che gli Assessori della tua Giunta avevano le garconnieres a palazzo di Governo, quando si parlava di "boudoir" dove risiedeva il Presidente (magari trasferendolo al quarto piano) il che evidenzia che l'Invernizzi è persona che non è mai entrata neanche evidentemente in quel palazzo, quando il raccogliticcio proprio del chiacchierume veniva trasfuso li per qualunquisticamente scrivere delle baggianate, a volte anche offensive? Evidentemente, non l'ho fatto per quella ragione, sapevo che non ci sarebbe stato assolutamente un recepimento di quello che avrei scritto, Libertini l'ha toccato con mano ed ebbe anche delle dichiarazioni, credo, non confortanti da parte di coloro che dirigono quel giornale.
C'era anche un addebito, questo si mi preme, soprattutto per i Consiglieri della passata formazione: c'era una attribuzione, un po' giscardiana per me, perché venendo a Torino e tornandomene a casa ogni giorno per fare quelle 10/11 ore di lavoro di cui si dice con sottolineatura positiva in una relazione, parlando di quello che fanno gli Assessori adesso, e avendo un infortunio ad una gamba preferivo viaggiare su una macchina relativamente comoda, che costava circa la metà e consumava meno della metà delle macchine di rappresentanza che usavo in precedenza presentato il problema la Giunta fu unanime nel dire mettiamo da parte quell'altra macchina, prendiamo questa. Non mi innalzo certamente alla statura di Giscard d'Estaing, ma desidero dichiarare pubblicamente - per quanto possa essere superfluo ritenendo che su questo piano la stima di tutti coloro che mi conoscono condivide il mio piemontesismo che arriva addirittura a scrivere le minute sul rovescio della carta adoperata - che non avrei mai fatto affrontare alla Giunta una spesa che fosse meramente di lustro, di decoro e che non avesse invece un suo intimo e preciso contenuto. Che poi dovessimo accettare, e qui arrivo a Rossotto perché un poco si avvicina...



ROSSOTTO Carlo Felice

Non era sull'appoggio comunista!



OBERTO Gianni

No, no, c'era scritto anche là che eravamo "in un clima imperiale di dissoluzione".
Nell'intervento dell'amico Rossotto non c'è questa espressione da "Espresso", ma ci sono dei giudizi che devono assolutamente essere contestati e contrastati con tutto il vigore possibile, al di là di quelli che sono i rapporti personali e di amicizia e di stima. Probabilmente sono scappati...



ROSSOTTO Carlo Felice

No, no.



OBERTO Gianni

Non sono scappati? Allora peggio ancora, allora più dura ancora...



ROSSOTTO Carlo Felice

Degli esempi ci sono.



OBERTO Gianni

Allora più dura ancora. Dice Rossotto - il quale ha pure approvato delle leggi presentate dalla Giunta che ho avuto l'onore di presiedere, che ha pure espresso dei consensi su prese di posizione presentate da quella Giunta - dice ad un certo momento che questo tipo di Giunta (nella quale ci sono due colleghi della Giunta passata, l'Assessore Simonelli che aveva anche allora la chiave del bilancio e della programmazione insieme a Paganelli e l'Assessore Fonio che aveva anche allora una notevole parte di responsabilità presiedendo allo stesso Assessorato al quale presiede oggi) impedisce essenzialmente quell'arroganza del potere. Rossotto, non una persona che abbia chiesto di essere ricevuta dal Presidente della Giunta o dalla Giunta è stata da me respinta; nel giro di 48 ore ricevevo tutti senza il minimo di arroganza.



ROSSOTTO Carlo Felice

Lei alla mia interrogazione sulla Torino-Pinerolo ha risposto solo quando i comunisti hanno presentato la loro, perché fino a che le presentavamo noi non c'era risposta!



OBERTO Gianni

Questo non è arroganza di potere.



ROSSOTTO Carlo Felice

E' arroganza di potere.



OBERTO Gianni

La mia arroganza di potere è sempre stata arroganza di servizio temendomi distaccatissimo da tutto quello che è il fattore e l'elemento di potere.



ROSSOTTO Carlo Felice

E altri esempi ce ne sono.



OBERTO Gianni

Parla anche di "irresponsabilità di impotenza"!



BERTI Antonio

Questo si che è provocatorio. Qualsiasi cosa, ma non l'impotenza.



OBERTO Gianni

Se dovessimo dar querela, Consigliere Berti, io dovrei concedere al collega Rossotto, avvocato, facoltà di prova, e dovrei assoggettarmi ai controlli che ciò comporta. Anzi, poiché quella affermazione si riferiva all'intera Giunta, tutti voi, onorevoli Colleghi della Giunta passata, vi trovereste nella mia stessa situazione.



PRESIDENTE

Non tutti possono vantare la virilità di Charlie Chaplin.



OBERTO Gianni

Rossotto dice che questa arroganza di potere e questa impotenza hanno caratterizzato il Governo di Centro-Sinistra che ha retto la Regione nell'ultimo anno e mezzo: dunque, ha messo a fuoco proprio esclusivamente la Giunta Oberto. "Proprio per la sua debolezza, non numerica - le Giunte sono tutte fatte alla stessa maniera -, ma ideologica e programmatica, si vide un Partito comunista italiano governare in effetti senza responsabilità di governo, governare con delega ad amministratori non comunisti". Non so se sia io a dovermi risentire di questa espressione o non più ancora il Partito comunista italiano, il quale certamente non tende ad amministrare per delega, surrettiziamente. Più d'una volta suoi esponenti hanno avuto rapporti e contatti con il Presidente della Giunta cosi come li hanno avuti tutti gli altri partiti dell'arco democratico perché io non ho mai respinto nessuno che mi chiedesse di essere ricevuto.
Più di una volta il Consigliere Minucci, nella sua qualità di Segretario regionale, il consigliere Berti, nella sua qualità di capo del Gruppo comunista, sono venuti ad espormi i loro punti di vista; ma mai, è mio dovere dichiararlo in pubblico, solennemente, vi è stato un tentativo comunque messo in opera perché una loro istanza fosse imposta a me da parte del Partito comunista, del quale io diventavo pertanto un attuatore. Ecco perché dico che non so se debba risentirmi più io o il PCI di queste affermazioni.
Le risposte alle interrogazioni, caro Rossotto, tu lo sai perfettamente, sono sempre venute con un notevole ritardo, e, soprattutto quando vi erano parecchie interrogazioni similari relative ad un determinato oggetto, per impegno preso dal Consiglio regionale si radunavano e si rispondeva insieme a tutte. Non è dunque assolutamente accettabile che ci si immiserisca a prendere la mancanza di sollecita risposta a qualche interrogazione a dimostrazione della tesi di arroganza del potere.
Debbo a questo punto chiedere alla cortesia del Presidente di consentirmi di fare un po' la storia della gestione del governo della Regione in questo anno e mezzo che è iniziato il 22 o 23 dicembre del 1973.
La Giunta da me presieduta ha iniziato a lavorare in un momento particolarmente grave, improvviso e nuovo della congiuntura. Negli anni precedenti potevano esservi stati gravi difetti di struttura ma il fatto congiunturale è nato nel Natale del '73, si è protratto per tutto l'anno successivo, ed è perdurato nel '75, accompagnando le giornate, ahimè pesantissime, di questo povero vecchio Presidente della Giunta regionale con impegni che, in tema di lavoro, in tema di disoccupazione...



BERTI Antonio

Vecchio, che però lavorava dodici ore al giorno.



OBERTO Gianni

Questo credo che tutti lo sappiano, e forse è una abitudine che ha un po' infastidito i miei più diretti collaboratori, che non mi vedevano mai lasciare l'ufficio, la sera, ad un'ora precisa, e che io autorizzavo ad uscire prima di me. Ero ancora quella piccola quercia che oggi è assai meno solida.
Dicevo, i problemi della disoccupazione si sono accavallati l'un sull'altro. Onorevole Libertini, quel problema non è nato il 10-12 ottobre.
La Conferenza ha semplicemente fatto il punto su una situazione che drammaticamente noi abbiamo dovuto affrontare senza strumenti e senza mezzi. Quell'incontro con la Fiat, dal vertice di Gianni e Umberto Agnelli fino agli altri rappresentanti, l'abbiamo voluto insieme, l'abbiamo voluto con i comunisti, con i socialisti, con i socialisti democratici, con il Partito repubblicano, se la memoria non mi tradisce; successivamente incontrammo le alte teste dirigenziali dell'Unione Industriale, ancora in Via Magenta, e pertanto nel gennaio-febbraio del 1974. Poi venne tutta l'altra caterva di impegni. In alcuni casi abbiamo ottenuto risultati confortanti. Della Montefibre ci siamo occupati noi, e cosi devo dire che ho avuto una sollecitazione da alcuni Consiglieri comunisti perché a mia volta sollecitassi le operazioni relative alla determinazione della situazione a Mergozzo, dove la Montefibre avrebbe dovuto insediare nuovi stabilimenti. Accolsi l'istanza, facendola mia, ma non per servire il Partito comunista bensì ritenendo che come Presidente della Regione, avendo avuto uno stimolo ed una sollecitazione, era mio dovere affrontare la questione con rapidità, anche se poi infaustamente le cose andarono in modo diverso da quello che noi ci prospettavamo allora. E poi il rapporto con i sindacati, con tutti i sindacati, la discussione (Simonelli, qui presente e Fonio possono dare atto di questo), il rapporto stabilito permanentemente con la Fiat e con l'Unione industriale tramite tre Assessori: Paganelli Simonelli e l'Assessore al Lavoro Conti. Voglio sottolineare in modo particolare l'apporto dell'Assessore Conti: è stato il primo a sobbarcarsi da solo e affiancato da me, il peso angoscioso di tutta questa vicenda della occupazione che ora, on. Libertini, è caduta sulle tue spalle insieme alla congiuntura, che tutto impegna, per cui tu dovresti avere mente all'una, all'altra e all'altra cosa ancora e ti trovi con la Regione occupata, con la gente senza pane, che ha fame, e non hai i mezzi, non hai gli strumenti, e diede solleciti al Governo centrale, e discuti con le forze sociali, e non riesci a fare quello che pure vorresti fare.
Per la questione politica, amico Rossotto, c'è un documento del 2 ottobre '74 che promana dal Consiglio regionale del Piemonte, Gruppo comunista, che sollecita alcune cose, alcuni adempimenti. Io ne ho informato il Consiglio, in quel torno di tempo; poi, proprio in aderenza a queste istanze, a queste sollecitazioni, ho preso contatti personalmente attraverso un altro documento, nel novembre del '74, con il dott. Gianni Agnelli, rappresentandogli la drammaticità della situazione, chiedendone l'intervento; successivamente ancora, il 2 gennaio 1975, nascendo l'anno nuovo, scrivevo una lettera congiunta alla Federazione unitaria delle Confederazioni sindacali della CGIL, della CISL e della UIL e all'Ing.
Carlo Debenedetti, Presidente dell'Unione Industriale.
Nel fare tutto questo, la Giunta di Centro-Sinistra che ho avuto la responsabilità di presiedere, ha dato prova di impotenza? Quando siamo riusciti a mettere insieme miracolosamente, in momenti in cui le banche non davano una lira a nessuno, quattro miliardi e mezzo per risolvere la situazione di una grossa azienda che minacciava di chiudere mettendo sul lastrico centinaia di lavoratori, eravamo degli impotenti, degli incapaci degli uomini senza programma, senza volontà di agire, senza volontà di operare concretamente? Sì, certo, la Conferenza dell'occupazione ha trovato una situazione che aveva macinato prima: non si nasce mai automaticamente, ci sono alle spalle un padre e una madre; non si riscopre l'America, è già scoperta, al massimo si potrà discutere su chi l'abbia scoperta. Tutto quello che oggi operativamente, con tanto entusiasmo e con tanta vivacità, voi portate innanzi, ha una radice. E queste cose non le avrei dette assolutamente se non provocato, o meglio sollecitato, spinto, da quelle proposizioni che l'amico Rossotto ha scritto nel suo testo, che mi sono riletto.
Ma c'è stato qualcosa di più: quell'incontro tra le Regioni del Nord e del Sud che abbiamo fatto qui, al Palazzo del Regio, era senza programma? Per la prima volta, amico Rossotto, il rappresentante della Confindustria a livello nazionale sedette allo stesso tavolo con i rappresentanti delle Confederazioni sindacali in un dibattito promosso dalla Regione. Miracoli non se ne fanno; gli sforzi vanno però valutati, le volontà vanno considerate attentamente, va riconosciuto quel che è stato fatto. Non è lecito dare dei giudizi così, singultanti: impotenza di programmi incapacità di programmi e simili.
Senza entrare nel merito della "Padania", perché non è stata sollecitata oggi qui la trattazione di questo argomento e non intendo quindi introdurlo, ricordo gli incontri con altre Regioni. Nominato Presidente della Giunta il 22 dicembre, due giorni dopo, il 24 ricevevo già in Via Magenta il Presidente della Giunta Lombarda, e ne davo notizia subito dopo al Consiglio. Successivamente incontravo i Presidenti della Liguria e del Veneto, con i quali stabilivamo rapporti e contatti che sono entro certi limiti utili, necessari, vorrei dire addirittura indispensabili. Quando il Governo propose il pacchetto relativo all'acquisto degli autobus, amico Simonelli, il primo a discutere chiaramente con la Fiat, con Agnelli di questo argomento fu il Presidente di allora, oggi Consigliere, che condivide con voi la grossa responsabilità di portare avanti l'amministrazione della Regione nell'interesse del Piemonte.
Non c'è stata, dunque, no, arroganza di potere, vorrai darmene atto Rossotto. Anche perché io non sono capace di essere arrogante, a meno che sia scambiata per arroganza una certa vivacità nel discutere. E' stato un appunto che mi ha lasciato grandemente sconcertato...



ROSSOTTO Carlo Felice

Non sono in questione le persone.



OBERTO Gianni

Eh no, quest'ultimo anno e mezzo così ben delimitato, con Oberto e la Giunta succube delle volontà dei comunisti. Ripeto, respingo per loro una intenzione a surrettirmi in questa direzione.



BERTI Antonio

Gli arroganti saremmo noi.



OBERTO Gianni

Il dialogo è tra voi, adesso. C'è una certa vicinanza che ha evidentemente propiziato un'apertura... Ma su questa questione non voglio entrare affatto: capisco benissimo che ci possano essere dei momenti di turbativa, e anche di allettamento.
Quando lei, Consigliere Minucci, parlando dopo la mia prima relazione disse che si incominciava ad intravvedere qualche cosa, a sentire un respiro nuovo, che c'era un modo nuovo di introdurre il discorso di programmazione, con tutte le difficoltà inerenti, ne fui contento, perch non considerai quelle sue considerazioni una forma semplicemente di lustrino da parte sua nei confronti miei personali, dati i rapporti che intercorrono tra noi, e glie ne sono ancora grato adesso. Capisco, quindi queste situazioni. Ci sono cose belle. Poi lei mi chiese, tramite Berti, di scrivere qualche riga per la rivista "Rinascita", e pubblicò integralmente il testo che le diedi. Una delle domande che mi venivano rivolte era: "Che cosa si aspetta lei dai risultati del Congresso del Partito comunista italiano?".
Ricordo di aver risposto, fra l'altro: "il pluralismo". Non pretendo che ciò sia avvenuto perché l'avevo sollecitato io, ma è un fatto che da quel momento in poi il PCI ha incominciato a diventare pluralista, almeno come espressione verbale. Non so se poi la base sarà disponibile ad accettare un discorso che al vertice può essere fatto ma è indubbio che di questo avevamo parlato fra noi.
Concludendo il mio dire su questo punto, non posso, visto che ho la parola, non entrare nel merito del tema dell'occupazione. Rilevo rivolgendomi in particolare a lei, on. Libertini, che deve essere fatta permanentemente una indagine approfondita sul costo del lavoro, in Piemonte, in Italia, poiché siamo riflessi, per quello che è l'aumento della produzione.
Ho letto in una intervista di Giorgio Bocca, sul "Giorno", quel che hanno dichiarato i comunisti della Olivetti di Ivrea (lascio la paternità delle dichiarazioni all'articolista, io non me l'assumo).



LIBERTINI Lucio, Vicepresidente della Giunta regionale

Infatti, è opportuno essere cauti.



OBERTO Gianni

"Sono dell'opinione che la produttività dovrà essere rilanciata, ma con un'altra guida politica, perché in questa non abbiamo più la minima fiducia". La guida politica della Regione ora è diversa: mi auguro che la produzione, almeno nello stabilimento Olivetti (per carità di patria essendo io residente ad Ivrea), effettivamente aumenti. Il costo del lavoro è il più alto fra i costi più alti, non purtroppo come remunerazione diretta ai lavoratori, dato il carico di oneri fiscali che gravano sull'industria, sull'impresa e sullo stesso lavoratore attraverso anche quelle forme assistenziali e previdenziali che, quando se ne ha bisogno dimostrano l'efficienza che tutti ben conosciamo.
Ebbene, bisognerà che questo discorso lo si faccia, in tema di lavoro e di occupazione. Può considerarsi normale che nel Paese più ricco del mondo l'America, si lavori 750 ore all'anno più che in Italia? Si può davvero parlare di volontà di risorgere, di ricostruire insieme il nostro domani il domani dei nostri figli, di fronte ad una situazione di questo genere? All'inizio del secolo l'operaio italiano aveva un orario di lavoro massacrante, insostenibile: 4500 ore l'anno; nel 1950 la media era di 2300 ore; oggi la media è di 1500 ore, un primato mondiale. Un sindacalista ha detto: questa, in sostanza, è la settimana di 36 ore. Non è colpa soltanto dell'assenteismo, grave colpa indubbiamente: è anche colpa del padronato e dell'impresa, che non mette in condizione il lavoratore di produrre di più con minor fatica, in minor tempo, rendendo contestuale questa operazione che deve essere assolutamente portata innanzi. Gravi inconvenienti di disaffezione, ma gravi ritardi anche dell'impresa. Immaginate se noi fossimo presi un certo giorno, colleghi Consiglieri, da disaffezione ad essere Consiglieri regionali.



BERTI Antonio

Basterebbe che non ci pagassero più. Chissà quanti se ne andrebbero...



OBERTO Gianni

Ma l'operaio è pagato, è giusto che sia corrisposta una mercede anche a noi, Consigliere Berti. Io però intendevo parlare della disaffezione a far le cose bene, ad essere presente, ad avere l'orgoglio, come era per i vecchi operai socialisti, comunisti, in tempi che io ricordo, del pezzo riuscito alla perfezione, della caduta nel senso del dovere.
Permettetemi soltanto, dati i miei anni, di aggiungere anche queste cose, e di ricordare prima di passare ad un breve indirizzo al Presidente Viglione ed all'Assessore Simonelli, dei dati del 13 novembre '75.
Nel periodo gennaio-settembre '75 la gestione ordinaria della Cassa integrazione ha registrato 169.043.290 ore, contro 20.000.534 ore dei corrispondenti mesi del '74; il che dà la misura chiara, netta, precisa di quanto sia drammatica la situazione dell'industria e della occupazione nel nostro Paese in questo momento, che occorre far uscire dalle secche con tutto il fatto che risulterà necessario. Ma vi sono cifre corrispondenti come utilizzazione di quella grande arma che è lo sciopero - per il quale si dovrà ad un certo momento arrivare ad una determinazione, o ad una autodeterminazione, non relativa allo sciopero in sé, ma al modo di esercizio del diritto di sciopero, che è cosa assolutamente diversa -: nei primi otto mesi del corrente anno si è registrato un passaggio da 63.000.521 ore perdute nel '74 a 128.027.000 ore di quest'anno. Sono dati significativi, dati drammatici, che, dovendo noi dibattere il tema dell'occupazione, m'è parso opportuno avere presenti, anche perché mi son caduti sotto gli occhi proprio in questi giorni (si riferiscono, ripeto, a novembre).
Concludo, Presidente Viglione, l'ho sentito con il più vivo interesse esprimere il proposito di chiudere al dicembre '76 il problema dei residui passivi. L'ho sentito anche esprimersi con estrema correttezza e obiettività su questo argomento dei cosiddetti residui passivi, che in realtà non sono residui passivi ma somme impegnate per mettere in funzione determinate leggi. Se lei riuscirà a risolvere entro il dicembre '76 il problema dei residui passivi - che, risolto per il Piemonte, sarà risolto per tutte le Regioni italiane, perché tutte le Regioni italiane si trovano in queste condizioni, facendo in modo che tornino disponibili per una certa azione 20-30-40-50 miliardi bloccati da certe leggi, sarà stato compiuto un altro grosso passo innanzi per risolvere il problema dell'occupazione. E qui sarei dell'opinione che si debba insistere presso il Governo centrale perché quelle due o tre proposte di legge che debbono essere state presentate per la utilizzazione di questi fondi bloccati passino rapidamente. Per un rilancio dell'occupazione mi pare che questa sia la strada migliore, se non l'unica; a meno che la recessione si fermasse, che sì ritornasse alla normalità, che i singoli Comuni che hanno delle opere progettate ed appaltate si rimettessero in marcia; e tutto ciò, anche se non è un sogno da deporre nel cassetto, è cosa indubbiamente molto difficile da attuarsi, soprattutto nei termini brevi in cui lei ha preso impegno di operare. Le sarò grato, ed è un interpello che le faccio come Consigliere regionale, se nel corso dei prossimi mesi lei vorrà ragguagliarci via via.
Un'unica cosa che va ancora riveduta e corretta, su questo tema dei soldi non spesi: non è che le leggi siano state fatte male, sul modello di quelle centrali, perché allora avrebbero sbagliato tutte le Regioni d'Italia, non soltanto il Piemonte; le leggi sono state fatte bene, sono state fatte dal Consiglio, approvate...



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Il fatto più grave è che noi pensavamo che il credito pubblico fosse erogato nella stessa misura di prima. Non è che la legge sia stata fatta male in partenza: si pensava che la Cassa Depositi e Prestiti e le opere pubbliche continuassero le sovvenzioni.



OBERTO Gianni

Su questa puntualizzazione chiudo il mio intervento.



PRESIDENTE

Con questo intervento possiamo terminare la seduta della mattinata. La Commissione per le nomine è convocata per le ore 14,45; il Consiglio riprenderà i suoi lavori alle ore 15.



(La seduta ha termine alle ore 13,20)



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