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Dettaglio seduta n.178 del 09/03/78 - Legislatura n. II - Sedute dal 16 giugno 1975 al 8 giugno 1980

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Argomento:


BELLOMO EMILIO


Argomento:

Approvazione verbali precedente seduta


PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE BELLOMO

La seduta è aperta.
Signori Consiglieri, se non vi sono osservazioni, i processi verbali della seduta del 2 marzo sono approvati.


Argomento:

Comunicazioni del Presidente a) Congedi


PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE BELLOMO

Punto secondo all'ordine del giorno: "Comunicazioni del Presidente".
Hanno chiesto congedo i Consiglieri Curci, Enrietti ed Oberto Tarena.


Argomento:

b) Presentazione disegni di legge


PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE BELLOMO

Sono stati presentati i seguenti disegni di legge: n. 293: "Terza nota di variazione al bilancio di previsione per l'anno finanziario 1978", presentato dalla Giunta regionale in data 28 febbraio 1978 ed assegnato alla I Commissione in data 2 marzo 1978 n. 294: "Quarta nota di variazione al bilancio di previsione per l'anno finanziario 1978", presentato dalla Giunta regionale in data 28 febbraio 1978 ed assegnato alla I Commissione in data 2 marzo 1978 n. 295: "Norme per l'esercizio delle funzioni delegate e trasferite alle Regioni con D.P.R. 15/1/1972, n. 8 e D.P.R. 24/7/1977, n. 616 in materia di interventi in dipendenza di calamità naturali", presentato dalla Giunta regionale in data 2 marzo 1978 ed assegnato alla II Commissione nella stessa data n. 296: "Concessione di ulteriore termine per il perfezionamento delle istanze presentate ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 2 della legge regionale 31/8/1977, n. 46", presentato dalla Giunta regionale in data 3 marzo 1978.


Argomento:

c) Mancata apposizione visto commissario del Governo


PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE BELLOMO

Il Commissario del Governo non ha apposto il visto: alla legge regionale 26/1/1978: "Norme per il conferimento di incarichi e consulenze nell'ambito dell'attività dell'Amministrazione regionale" alla legge regionale 26/1/1978: "Modificazioni alla L.R. n. 6 del 14/1/1977 relativa a norme per l'organizzazione e la partecipazione a convegni, congressi ed altre manifestazioni, per l'adesione ad enti ed associazioni".
La parola al Consigliere Paganelli.



PAGANELLI Ettore

Signor Presidente chiedo la parola per intervenire in merito alla comunicazione relativa alla mancata apposizione del visto alla legge sulle consulenze. E' nota al Consiglio la lunga discussione che ci ha portati all'approvazione di una legge per regolamentare la materia in modo tale che non offrisse più la possibilità di quei contrasti che sono sorti in questi anni sull'affidamento delle consulenze.
Le osservazioni del Commissario del Governo dovrebbero essere valutate con molta rapidità e ritengo che se su taluni punti occorrerà adeguarsi molto probabilmente su altri occorrerà fare della resistenza perché questo disegno di legge aveva una sua organicità ed era stato congegnato in un certo modo. Quindi ritengo doveroso riesaminare immediatamente il disegno di legge. Vi è però un problema di carattere squisitamente politico che ho il dovere di sottolineare nella speranza che la Giunta voglia accogliere la richiesta e non voglia ulteriormente contendere su questa materia.
Contemporaneamente alla comunicazione della mancata apposizione del visto ci viene presentato l'ordine del giorno della Giunta del 7 marzo contenente sei deliberazioni di affidamento di consulenze. Mi domando come potrà il Commissario di Governo, che non ha vistato la legge, approvare sei deliberazioni di affidamento di consulenze. E' un problema che riguarda il Commissario di Governo e la Commissione di controllo sulla quale eserciteremo molta attenzione e molta vigilanza.
Rivolgo pertanto alla Giunta l'istanza di non procedere all'affidamento di consulenze fintantoché questo disegno di legge non avrà ottenuto l'approvazione definitiva. E' nota la nostra disponibilità a collaborare in Commissione e in una, eventualmente a resistere su alcuni punti perché il disegno di legge non perda la sua organicità, ma, nel frattempo, vogliamo sottolineare che non è possibile approvare queste sei ulteriori deliberazioni di affidamento di consulenze.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE BELLOMO

Ha chiesto la parola il Presidente della Giunta. Ne ha facoltà.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Quanto ha detto il Consigliere Paganelli trova in noi consenso quasi su ogni punto. Mentre si discuteva la legge e la si rimetteva al Governo, la Giunta ha aperto una trattativa con il sindacato il quale chiedeva che la Giunta si adeguasse alle prescrizioni della legge. La legge però non ha trovato accoglienza e alcune consulenze erano già svolte da lunghi mesi tanto che la Giunta attendeva di rimetterle alla speciale Commissione che si doveva formare appunto con la legge.
Si potrebbe attendere l'esame della legge e il riesame del Commissario di Governo, però tutto ciò comporterebbe tempi che si prolungherebbero probabilmente fino al mese di giugno o luglio. Una parte del sindacato chiedeva che le consulenze urgenti, come nel caso di accertamenti tecnici fossero rimesse al Consiglio. La Giunta non avrebbe alcuna difficoltà, ma soltanto nell'ipotesi che si tratti di un fatto indispensabile e urgente.
Quindi concordo con il Consigliere Paganelli che nessuna consulenza nuova sia portata innanzi se non ha la caratteristica dell'urgenza, inoltre potrebbe essere rimessa o alla Commissione competente o al Consiglio per una valutazione. In questo senso posso dare assicurazione.



PAGANELLI Ettore

L'assicurazione del Presidente va bene, tuttavia vorrei avere un chiarimento sulle sei deliberazioni per consulenze portate in Giunta.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Erano consulenze che la Giunta aveva sospeso alcuni mesi fa, in attesa dell'approvazione della legge. Allorché la legge non ha ottenuto il visto potevamo lasciarle cadere del tutto, oppure rimetterle alla determinazione e alla decisione della Commissione competente. Poiché la nostra previsione ci portava ad avere un risultato nel mese di giugno e poiché alcune consulenze non potevano attendere, essendo complementari di altre consulenze già in corso, abbiamo ritenuto opportuno approvarle. Al di fuori di questo caso la Giunta si impegna a non procedere ad alcun incarico di consulenza se non rimettendolo prima all'esame del Consiglio o della competente Commissione. D'altronde la Giunta non poteva attendere perch per queste consulenze vi era già in corso la spesa, quindi abbiamo ritenuto opportuno darvi corso. Altre sono state sospese.



PAGANELLI ETTORE


Argomento: Presidente della Giunta Regionale - Organi, strumenti e procedure della programmazione

Dibattito sulle linee programmatiche prioritarie per la seconda fase della legislatura


PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PAGANELLI

L'impegno assunto è di affrontare immediatamente il dibattito politico sulle linee programmatiche illustrate dalla Giunta nella precedente seduta.
Se il Consiglio è d'accordo dò senz'altro la parola al Consigliere iscritto a parlare per primo, Bellomo. Ne ha facoltà.



BELLOMO Emilio

Signor Presidente, signori Consiglieri, ci accingiamo a fare l'analisi del documento presentato dalla Giunta, la cosiddetta "verifica", mentre a Roma forse si va completando il sofferto accordo fra i partiti dell'arco costituzionale, meno uno, a conclusione di una crisi politica lunga e difficile che, per la prima volta dopo 30 anni, vede la presenza nell'area della maggioranza di una grande forza popolare come il Partito Comunista, e mentre a Torino si arriverà forse a celebrare un processo impegnativo a carico delle Brigate Rosse che per lunghi mesi hanno dato scacco al nostro Stato e alla sua giustizia.
Non mi risulta, leggendo i giornali, che ci sia aria di palese allegria perché dopo 50 giorni di tormentoso confronto forse domani avremo un nuovo governo, con un nuovo programma e certamente, almeno all'inizio, una nuova generalizzata speranza nell'avvenire immediato del Paese con tutto il carico di problemi aperti, né mi risulta che ci sia aria di esultanza particolare nella nostra città, perché finalmente alcuni protagonisti del disordine e del terrore pubblico sono alla sbarra per rispondere dei loro reati e dei loro delitti contro la società. Forse è meglio così, che le cose, cioè, avvengano fuori da inopportuni trionfalismi e inopportuni celebralismi. Sono due fatti altamente positivi e concreti nel loro valore intrinseco, due fatti che alimentano con nuovo vigore la fiducia singola e collettiva che dobbiamo avere in noi stessi e nelle istituzioni che ci siamo date nei nostri ordinamenti, nella nostra organizzazione civile, ma sono fatti che confermano, puntualmente, quanto difficile e arduo sia, il conseguimento di quei traguardi sociali, politici ed economici che vengono invocati a presidio democratico della società e per i quali, ognuno al suo posto e nel proprio ruolo, ci stiamo battendo anche noi, a questo livello istituzionale. Volevo dire, in sostanza, quanto difficile e impegnativa sia la battaglia per la conquista e per il consolidamento della democrazia e della libertà e per la difesa e la tutela degli ordinamenti che ci siamo dati e che sono oggi minacciati a trent'anni dalla Costituzione.
Ho voluto brevemente richiamare le due circostanze quasi concomitanti al nostro dibattito consiliare, per sottintendere il delicato momento che stiamo attraversando sia come Regione che come Paese e per sottolineare l'estrema necessità di mobilitare le coscienze e gli intelletti di tutti gli uomini democratici e di buona volontà per conseguire quelle condizioni sulle quali possono saldamente essere innestati quei processi di sviluppo civile e sociale che la nostra società richiede.
Credo che l'iniziativa della Giunta e dei partiti che la sostengono e che hanno voluto questo dibattito su un chiaro documento di intenti politici e programmatici, credo che questa iniziativa sia da salutare con convinta adesione al di là delle valutazioni che ogni singola forza politica vorrà fare sui contenuti del documento stesso. Credo anche di ravvisare nell'impostazione politica che ha fatto il Presidente Viglione l'assenza di qualsivoglia tonalità celebrativa spropositata, nessun timbro di fastidioso autocompiacimento per le cose fatte e quelle da fare, nessun "inno al sole" per la costanza e coerenza dimostrata nell'incessante lavoro di questi primi 32 mesi. Ho sentito invece accenti di limpida responsabilità politica e di equilibrato ed accettabile giudizio nell'attribuire e nel riconoscere chiaramente il ruolo svolto dalle forze politiche in Consiglio e perciò nel riconoscere i preziosi contributi e gli apporti critici e dialettici che sono venuti a caratterizzare positivamente questa prima fase di attività della Regione Piemonte. Una Regione che - sia detto senza falso orgoglio o inopportuna jattanza - ha lavorato sul serio al di là di ogni conta delle leggi varate; ha lavorato sul serio in senso politico e sociale collocandosi in mezzo alla gente del Piemonte assumendo sempre più chiaramente la funzione di ente legislativo e non solo amministrativo, ponendosi efficacemente e correttamente nel rapporto che deve caratterizzare il legame fra Stato e le sue periferie legislative e diventando - lo riconoscono ormai tutti - sempre più un preciso punto di riferimento a tutta la vita sociale della popolazione piemontese.
E' una Regione che ha lavorato al cospetto della collettività in presenza della sistematica partecipazione e collaborazione di tutti i livelli, gli organismi, i gangli produttivi e deliberativi che formano il tessuto socio-politico e culturale del nostro Piemonte. Un lavoro che ha colto alcuni obiettivi sostanziali sulla proiezione di un'attività imbastita in precedenza e che si è estrinsecato, via via, sulle linee del programma a suo tempo presentato da questa Giunta con il conseguimento di alcuni obiettivi quadro, al di là dei quali ci potremo muovere con maggiore scioltezza e con una maggiore coerenza decisionale verso i traguardi che abbiamo messo a fuoco nel Piano di sviluppo regionale. E' l'impegno di questa Giunta per la seconda fase della legislatura. E' un impegno a riempire il quadro di contenuti reali , ancorché le risorse siano modeste attraverso una oculata politica della spesa e degli investimenti possibili la selezione delle leggi coerenti con gli obiettivi del Piano di sviluppo la scelta rigorosa delle priorità degli interventi, la fedeltà irreversibile alla linea della programmazione.
Mentre il Presidente Viglione illustrava e ribadiva questi impegni giovedì scorso, non ho potuto fare a meno di riandare col pensiero a quella seduta consiliare del 24 luglio 1975, quando venne presentato dalle forze di sinistra il "documento di proposta al Consiglio delle linee politiche e programmatiche per l'elezione del Presidente e della Giunta regionale".
C'era molta attesa per quell'evento e non solo in quest'aula. C'era molta attesa di conoscere quella proposta che, come ebbi l'onore di dire, per conto del mio Gruppo, era una realtà vera e concreta, e poi si è dimostrata la sola proposta politica fondata su una corretta analisi; un'analisi realistica della situazione in quel momento che fosse in grado di raccogliere il senso e l'attesa delle popolazioni scaturita dal voto del 15 giugno.
Ricordo ancora molto bene, che, sempre a nome del mio Gruppo, dissi che l'intenzione dei socialisti piemontesi che avevano sinceramente ricercato una convergenza di tutte le forze politiche e democratiche sui contenuti e sulle priorità degli interventi necessari per uscire dalla crisi in atto la nostra intenzione era di fare di questo Consiglio un organismo sensibile e puntuale alle attese delle popolazioni piemontesi.
Ricordo, infine, che dietro le mie spalle, colsi il commento mormorato, di un collega Consigliere, certamente in buona fede, che si andava sempre più convincendo che questa Giunta si sarebbe bruciata le ali al primo vero impatto con la realtà lancinante del Piemonte e del Paese.
Questo ricordo personale si trasforma oggi in una domanda precisa alla quale, naturalmente, la mia parte politica ha già dato una risposta precisa.
Ci siamo davvero bruciati le ali in questa prima parte di legislatura? Siamo stati incoerenti, inefficienti, immobilizzati dall'impatto con la realtà bruciante - e che brucia sempre più preoccupantemente - del Piemonte? Dei suoi problemi? Delle sue attese? Delle sue aspirazioni? Io credo che, se non per partito preso, non si possa rispondere affermativamente a questi interrogativi, senza violentare in tutto o in parte una realtà che è invece visibile e palpabile, controllabile e commentabile da ognuno di noi e da tutti quanti i Piemontesi. Io credo invece che, con il contributo di tutte le forze politiche democratiche presenti in quest' aula, si sia davvero determinato un modo diverso e nuovo, sia pure nella distinzione dei ruoli, di governare la cosa pubblica di nostra competenza e ciò malgrado l'aggravarsi della crisi economica del Paese e del Piemonte,la crescita dei bisogni sociali delle nostre popolazioni, l'incertezza del quadro politico nazionale, lo scollamento e la caduta di alcuni fondamentali valori tradizionali, l'aggressione metodica alle nostre istituzioni, il senso di provvisorietà quando addirittura di incredulità che rappresenta una caratteristica negativa dei nostri tempi. Io credo che, sia pure tra passaggi difficili e impegnativi la navigazione della Regione Piemonte, anche al raffronto con altre Regioni d'Italia, sia stata rettilinea e coerente con le carte programmatiche che a suo tempo sono state assegnate all'Esecutivo. E mi pare di ricordare che lo stesso Presidente Viglione, nel suo discorso di giovedì, abbia sostanzialmente affermato che la navigazione ha potuto essere corretta lineare e coerente con le carte, perché timonieri e vogatori sono restati responsabilmente attaccati al proprio lavoro e al proprio dovere, in modo di consentire, appunto, il superamento di questi passaggi difficili e di bassi fondali che ne avrebbero arrestato inesorabilmente il moto e la progressione. Mi piace ripetere perché concordo e perché lo ritengo eloquente nella sua scarna terminologia quanto affermato dal Presidente della Giunta, laddove dichiara che "seppure consapevoli delle carenze e delle numerose imperfezioni, la Giunta regionale, facendo un bilancio della sua attività in questa prima fase della seconda legislatura, pu responsabilmente affermare di avere governato il Piemonte nel senso di non avere tradito i piemontesi e neppure se stessa".
So bene che più di uno di noi non si sente di sottoscrivere quest'affermazione - ed è questo appunto uno degli scopi della verifica e del nostro dibattito - ma so anche che per vantaggi politici particolari si può anche vestire la verità, che è e deve essere nuda, con panni e scampoli che si prestano alla bisogna; ma so, infine, che si può correre il rischio di ritrovarci una verità vestita come l'ha vestita in un sonetto famoso la fantasia e l'inventiva del compianto Trilussa. Battuta a parte, ci dobbiamo chiedere responsabilmente se l'iniziativa di questa Giunta è stata pari alle attese suscitate al suo insediamento, oppure no; se è stata coerente con il programma impostato, oppure no; se ha creato condizioni e strumenti che specchiano le esigenze della collettività piemontese, oppure no; se, in buona sostanza, l'attività svolta e gli obiettivi ora indicati sono di segno positivo, oppure no. Vediamo, sia pure rapidamente, perché è inutile e dispersivo ripetersi, gli elementi sui quali noi fondiamo un giudizio positivo e le prospettive che sono davanti a noi e che dobbiamo trasformare in traguardi concreti per l'evoluzione della nostra Regione.
Il governo regionale si è costituito in un momento di grave deterioramento della situazione economica e sociale in presenza di sintomi sempre più chiari ed eloquenti di una crisi che toccava le stesse istituzioni democratiche ed il modo stesso del nostro vivere civile.
Difendere le istituzioni dagli attacchi eversivi ma cercando di andare alla radice delle cause, prima fra tutte il distorto ed ineguale e incontrollato sviluppo economico, che accanto ad oasi di benessere relativo ha creato intere distese di malessere e di fermenti sociali, è stato il primo impegno della Regione e delle forze democratiche che hanno avvertito la necessità di mutare rotta attraverso una reale partecipazione della collettività regionale, l'esaltazione dei contributi delle forze politiche e sociali, la definizione quindi di un programma in grado di controllare tutti i processi di crescita, che stanno alla base di ogni effettivo sviluppo sociale. Su queste basi si è assicurata la stabilità del governo regionale ed a dare alla collettività un'immagine piena e totale dell'Istituto regionale stesso. Un'immagine che nei momenti cruciali è diventata il punto di riferimento e talora di raccordo per ogni iniziativa volta a consolidare, a difendere, a promuovere, a coordinare ogni momento significativo della vita pubblica, sia con la sistematica presenza al fianco dei lavoratori nelle loro lotte di progresso e di avanguardia sia contro le offensive terroristiche che hanno insanguinato il Piemonte e Torino, sia attraverso il confronto metodico con le forze sociali sui grandi problemi aperti nella nostra Regione; sia infine con l'azione incessante tesa a valorizzare l'impegnativa battaglia per le cosiddette autonomie.
Io credo, che pur con le cautele del caso e senza cedere a nessuna tentazione egocentrica, possiamo a buon diritto affermare di avere accresciuto la nostra capacità di iniziativa e la nostra capacità di essere governo attento e sensibile alla crescente domanda della comunità.
Questa constatazione ci sprona a continuare la nostra battaglia perch il rapporto con lo Stato si faccia sempre più stretto e proficuo e perch la presenza delle Regioni nei confronti dello Stato per un'effettiva riorganizzazione degli assetti (produttivo, del lavoro, dei servizi, del territorio ecc.) sia sempre più coordinata e fertile di risultati concreti.
In questa considerazione generale assume un peso specifico la scelta della politica di programmazione che noi abbiamo concretamente avviata con l'approvazione del Piano di sviluppo regionale e con le leggi quadro sulle procedure, sui trasporti, sui servizi socio-sanitari e sulla tutela del suolo.
In questo quadro, la Giunta ed i partiti che la sostengono, intendono muoversi nella seconda parte della legislatura. Qui ! ci dobbiamo, come si suol dire "verificare"; qui ! dobbiamo controllare l'indice di coerenza qui ! dobbiamo verificare la validità di una scelta politica chiaramente fatta da questa Giunta fin dal momento della sua costituzione. Noi riteniamo che si debba rapidamente attivare la programmazione e la pianificazione dei Comprensori con la costituzione dei consorzi di Comuni perché queste sono le condizioni necessarie per affrontare i problemi e le scadenze (collegate all'attuazione del nostro Piano di sviluppo) della normativa statale e regionale. Questo del resto è l'adempimento che discende alla Giunta dalla stessa deliberazione con la quale abbiamo approvato il Piano di sviluppo; un impegno che comporta un grande sforzo di rinnovamento che si specchia a sua volta nel D.P.R. 616 e che porta sempre più, in uno con l'esaltazione dell'autonomia regionale, a fare della Regione un soggetto di legislazione e di programmazione dei servizi, mentre i Comuni diventano sempre più pieni titolari delle funzioni attinenti ai servizi stessi, in una visione complessiva di massimo decentramento delle funzioni e verso un riassetto efficace dei pubblici poteri per una valutazione complessiva del processo di sviluppo della collettività piemontese in tutti i suoi aspetti economici, sociali e territoriali. Non è che non veda, in attesa che venga definito il nuovo ente intermedio, la necessità di mettere i Comprensori (una esperienza altamente positiva per il Piemonte) in piena attività chiamandoli ad operare sui compiti loro assegnati e che saranno oggetto di prossimo dibattito (una verifica anche quella) in questo Consiglio regionale. Questo Consiglio che deve essere sempre più significativamente il momento veramente centrale e veramente decisivo per la scelta e per le decisioni che si andranno a fare, e sulla cui esigenza non indugiamo un momento di più, essendo ormai convinzione consolidata in tutte le forze politiche presenti, che il Consiglio è il passaggio obbligato, dentro il quale avviene correttamente e proficuamente ogni sorta di confronto e ogni sorta di verifica.
Il dettagliato documento presentato dalla Giunta e fondato evidentemente sull'intesa politica dei partiti che la sostengono mi fa rendere superflua, in questo momento, un'analisi specifica per i vari obiettivi indicati, per settore, all'attività del Consiglio in questa seconda parte del nostro mandato. La volontà e gli obiettivi indicati risultano chiari e specifici e non comportano ulteriori illustrazioni, che sarebbero in questo caso semplicemente ripetitive. Dal settore agricolo a quello energetico della politica industriale a quella del personale, del lavoro, del suolo, dell'occupazione, del terziario, dei trasporti, della sanità, della cultura, della sicurezza sociale, sono rapportate in un quadro d'insieme al centro del quale intende muoversi la Giunta con la sua iniziativa propositiva e in coerenza con le linee direttrici del Piano di sviluppo.
A tutti gli obiettivi che qui ho soltanto richiamato, resta da aggiungere un obiettivo dichiaratamente politico e da valere per tutti: di fronte al continuo ripetersi di fatti che tendono a destabilizzare l'ordine democratico, la lotta per il più completo isolamento di queste frange eversive e violente deve rappresentare il primo e comune impegno di tutte le forze democratiche.
Con questa angolazione e da questa trincea di lavoro, la Giunta intende affrontare i problemi del Piemonte nel quadro della situazione nazionale oggi, forse, più serena di ieri.
Nessuno si nasconde le difficoltà e gli ostacoli concreti che bisognerà superare per dare successo alle nostre iniziative, nessuno si nasconde voglio dire, che oggi è forse più facile ottenere una creatura in provetta fatta a immagine e somiglianza del suo genitore, che ottenere un risultato concreto e definitivo fatto a immagine e somiglianza dei suoi propugnatori.
Per queste difficoltà obiettive e reali sono falliti i precedenti tentativi di politiche programmate e pianificate. Ma questa Giunta, e la maggioranza che la sostiene, non si fa terrorizzare dai precedenti negativi. Non si fa scoraggiare dalle difficoltà prevedibili, perché questa Giunta ha la volontà politica necessaria, la tensione, la consapevolezza e la decisione di continuare sulla strada intrapresa, e attraverso la costante ricerca dei contributi delle altre forze politiche e sociali perché ha la convinzione che su questa strada si incontrano, si affrontano e si risolvono i problemi fondamentali che travagliano il nostro Piemonte.
Al mio paese - un paese di civiltà contadina - si dice che una pianta carica di frutti è quasi sempre bersaglio di coloro che tirano le pietre.
Non vorrei che l'immagine fosse irriverente verso il governo della Regione.
E' una pianta che ha dei frutti, parte dei quali li abbiamo fatti germinare da lontano, insieme, con altri metodi, con altre forze. Vogliamo tirare le pietre contro questi frutti o vogliamo aiutare la loro maturazione completa, che andrà a beneficio di tutta quanta la collettività piemontese? Se vogliamo far maturare i frutti allineiamoci in questa disposizione.
Credo che in questo caso il governo piemontese abbia ampiamente meritato il sei politico.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PAGANELLI

La parola al Consigliere Marchini.



MARCHINI Sergio

Mi pare che la Giunta abbia impostato correttamente questo dibattito prima di tutto perché ha cercato di espropriare all'opposizione la funzione di critica, arrogandosi la paternità del dibattito consiliare.
Questo non è vero: la minoranza chiede un dibattito da molti mesi.
Quando eravamo ragazzini ci dicevano che sono le scuse non richieste la dimostrazione della colpevolezza. La maggioranza si è sottratta al dibattito nelle sedi proprie ritardando i documenti finanziari e programmatici e la nostra impressione è che l'aver rifiutato il dibattito al momento in cui era stato richiesto significa che esso avrebbe potuto provocare le naturali conseguenze che una sede assembleare può provocare ossia la verifica dell'esistenza della maggioranza intesa come numero, ma anche come volontà politica di proseguire su un disegno. La maggioranza ha sfuggito il dibattito in quella sede e cerca di strangolare la volontà di verifica del Consiglio regionale con un documento trionfalistico fuori dalla logica del dibattito di cui eravate stati richiesti. Questa è la prima correttezza che la maggioranza non ha rispettato e che mette l'opposizione in una oggettiva difficoltà di rispondere come è suo dovere.
Un'altra scorrettezza è rappresentata dai limiti di tempo rispetto alla proposta che ha fatto la Giunta: una settimana per esaminare un documento che contiene tutta una serie di interrogativi per il quale la maggioranza ha impiegato mesi di riflessione e di elaborazione. L'illustrazione stessa del Capogruppo socialista ne ha dato la prova. Egli si domanda: "Abbiamo noi risposto alle attese della popolazione e in quale misura?".
La maggioranza doveva dire, rispetto al programma posto due anni e mezzo or sono, quali risposte concrete è in grado di dare.
Ovviamente, con questi limiti logici, politici, temporali e di contenuti il contributo dell'opposizione, soprattutto di quella limitata che io rappresento, non può che essere altrettanto limitato e cercherà di ricondursi a quei contenuti che comunque il documento, nella sua genericità, permette di individuare.
Il documento va apprezzato come prodotto della Giunta, non come argomento di dibattito. Va sottolineata la volontà della Giunta di indicare il metodo di lavoro che dice di aver instaurato o che intende instaurare.
Mi pare di individuare nel documento uno sforzo per dare una norma di comportamento di lavoro a una struttura giovane com'è quella del governo regionale. Anche se non lo condividiamo completamente, certamente lo apprezziamo. Tuttavia dove si vuole andare nei contenuti viene fuori il grosso limite di una parte almeno della Giunta, non di tutta.
Con un provincialismo di maniera si indicano con bollettini tipo "battaglia del grano" gli obiettivi perseguiti da una Regione industrialmente avanzata, come la mensa per i dipendenti (pare non ci sia più la gavetta, c'è proprio una mensa regolare), i Vinincontri, che finalmente hanno fatto giustizia dell'Ente Moda e quella di Torino che negli anni 50/60 era una delle città più mobili, più giovani e più vitali del Piemonte! Vinincontri, Signor Presidente e Signor Assessore, è una manifestazione validissima, ma certamente non può essere indicata in un documento così presuntuoso e così narcisista come una delle quattro iniziative concrete della Giunta. L'altro aspetto provincialistico si individua nel modo di porsi nei confronti della crisi dell'auto. Non si pu dire che la crisi del Piemonte sia rappresentata dalla crisi dell'auto perché il complesso industriale automobilistico ha saputo diversificarsi certamente non ha aspettato i quaderni della programmazione regionale: chi deve preoccuparsi di 150 mila posti di lavoro si impegna con più serietà e con maggiore immediatezza di quanto non facciamo noi politici.
Per quanto riguarda il problema del Sud, pare che non si possa ignorare quanto la Regione abbia fatto in termini di risorse finanziarie nei confronti del Mezzogiorno e allora l'autorità di governo ha il dovere di chiedere i rendiconti allo Stato per sapere che cosa ha fatto delle risorse che il Piemonte ha versato facendosi carico di una serie di problemi accettando, anzi gradendo, tutto il peso demografico che si è scaricato su Torino da una parte e sulle altre zone in genere e promuovendo il trasferimento di risorse nel sud. L'autorità di governo, che è di opposizione rispetto al quadro politico che esisteva fino a ieri, perch non presenta i conti? Queste forze politiche non chiedono i conti perch esiste una situazione politica di carattere generale che non rende più proponibile questo tipo di contrattazione.
Mi pare invece di dover rimarcare un contenuto positivo in quegli interventi che indicano i modi di comportamento che si vogliono adottare come, per esempio, nei confronti dei problemi turistici che non sono più visti soltanto come occasione di promozione di fiere, mostre, mercati e balli di majorettes, ma come occasioni di utilizzazione del tempo libero.
Questo indirizzo ci trova concordi. Così come non possiamo non capire lo sforzo che sta facendo l'Assessorato all'istruzione per superare il mare di parassitismo e di clientelismo che esisteva nella scuola professionale. E' anche questo un indirizzo positivo dal punto di vista qualitativo. Dove la serietà del lavoro è pari al linguaggio, l'opposizione si può confrontare verificare e discutere, ma dove il linguaggio è del tutto sproporzionato alla serietà del lavoro, come nei discorsi di carattere generale, queste considerazioni sono più difficili da fare. Altrettanto positivo è il giudizio nei confronti della realtà comprensoriale, seppure criticabile nella misura in cui non è diventata promozione dell'autonomia locale dobbiamo però dare atto alla maggioranza di aver visto i comprensori in una dimensione istituzionale più corretta rispetto ad altre Regioni e certamente avrà meno problemi rispetto ad altre Regioni quando passeremo al livello intermedio di governo.
Pure positiva è l'azione della Giunta nei confronti dei beni culturali ed ambientali e della tutela del patrimonio paesaggistico laddove dice di non usare lo strumento del vincolo come forma di lottizzazione delle bellezze storiche, e anziché creare forme di ghettizzazione, promuovere la partecipazione dei cittadini nei confronti di quelle realtà.
Si dice che la Giunta ha governato il Piemonte. Governare non è regnare, Presidente Viglione. Penso che questa Giunta abbia soltanto regnato. La Giunta ha dichiarato di avere dato un contributo positivo perseguendo la scelta del precedente Consiglio regionale nei confronti delle cosiddette opere faraoniche. Quelle indicazioni erano forse il momento ultimo di una concezione superata del Piemonte, inteso come area forte, privilegiata, privilegianda, polo prioritario della realtà socio economica del settentrione italiano nell'occidente europeo. D'accordissimo quando si dice di non fare la seconda pista a Caselle; d'accordissimo quando si dice "no" all'autostrada nella Valle di Susa; d'accordissimo quando si dice "no" all'autostrada di Pinerolo, alla città di Borgaro.
Allora, autorità di governo significa anche poter rispondere dopo due anni e mezzo puntualmente nei documenti, non lasciando all'opposizione di andare a cercare se e come avete risposto.
Agli interrogativi che la realtà in Piemonte aveva posto cinque o sei anni fa, una certa maggioranza aveva dato un'indicazione. Il Consiglio regionale era ritornato su di essa ma questa realtà esiste tuttora e va affrontata. Come autorità di governo non avete ancora risposto sufficientemente agli interrogativi che voi stessi vi siete posti nel momento in cui avete rifiutato le proposte che venivano da quelli che c'erano prima di voi. Autorità di governo significa porsi di fronte a questi problemi, soprattutto, Presidente Viglione e Assessore Alasia significa essere momento di sintesi e di valorizzazione e non di strumentalizzazione del problema.
In questa sede era stata anticipata un'interpellanza sull'atteggiamento tenuto dal Presidente Viglione (non dall'Assessore Alasia perch l'Assessore sa quanta ammirazione ho per la lotta impari che svolge come persona e come istituzione nei confronti di un certo problema ) in relazione al problema della "127": ci è sembrato un atto di non governo neanche di regnanza, ma un atto di re di un certo sud, trattato in certe poesie di fine ottocento per attaccare e cercare una facile popolarità su quel problema perché il Presidente della Giunta regionale, non pu intervenire pesantemente nella dialettica sindacale nell'ambito di un contratto sottoscritto dalle parti che prevede l'utilizzazione di un certo numero di ore di straordinari e dire che non si devono utilizzare quei margini di produttività insperati; non può dire alla Fiat di appesantire il parco auto che, finita la congiuntura particolare, andrà a farsi benedire: sono slabbrature che l'opposizione non può non sottolineare soprattutto quanto si utilizzano termini come: "autorità di governo". Autorità di governo significa anche riflettere sull'opportunità di dare come Presidente al nostro partner più significativo e forse più delicato, l'Ires, un degnissimo parlamentare comunista le cui esperienze specifiche, però, non conosco.
C'è un passo della relazione che ritengo debba essere ascritto alla Presidenza della Giunta, o alla Giunta, il che sarebbe più grave, che è estremamente pericoloso dal punto di vista politico; esso dice: poich l'opposizione nel suo complesso non ha proposto un disegno alternativo significa che ha fatto, proprio il disegno politico e il programma della Giunta.
Sono passi che vanno sottolineati e approfonditi nell'interesse di tutti, perché se questo è il modo di interpretare seriamente e correttamente l'azione delle forze politiche nei confronti della maggioranza, c'è da pensare che non si fa un buon uso dello sforzo di tutti in questa particolare congiuntura del Paese.
Qualcuno ha rilevato che non dobbiamo dimenticare quanto è avvenuto sul piano nazionale. Non indichiamolo come un fatto trionfalistico l'aver ottenuto un certo risultato di potere o meno, ma sottolineiamolo per significare certi valori. Nessuno deve uscire vincitore. Mi pare non serio soprattutto per una forza come la mia, cercare di privilegiare la nostra coerenza rispetto ad altri valori altrettanto validi quali sono stati gli sforzi di approfondimento dei problemi da parte della sinistra e soprattutto la responsabilità nei confronti del Paese da parte della Democrazia Cristiana: tutte note positive che i partiti usciti dal grande momento storico che ha costituito la Repubblica hanno approfondito e verificato. Evitiamo di dire che la metà del Consiglio regionale meno uno non propone un disegno alternativo e che per questo diventa addirittura succube della maggioranza: questo non è vero; questo significa non avere ancora capito che cos'è il gioco maggioranza-opposizione. La maggioranza si pone come alternativa in sede elettorale, si pone come forza di critica costruttiva all'interno della gestione nei cinque anni che le competono: questa è la visione che il nostro partito cerca di portare avanti puntando sulla coerenza. Ribadisco la serietà e l'impegno con cui la Democrazia Cristiana ha fatto fronte alle sue responsabilità storiche nei confronti del Paese e non posso non cogliere l'occasione per condividere, anche se qualche grande esponente del mio partito e qualche giornale di Milano non saranno d'accordo, l'analisi della sinistra in Italia che ha fatto l'on. La Malfa, che non ha potuto non sottolineare il diverso livello di approssimazione soprattutto ai problemi economici esistenti nella sinistra italiana rispetto a quella europea.
Questo fatto deve farci guardare positivamente al futuro. Qualche giornale, ritenendo che la storia si sia fermata, dice che per i liberali e per la classe politica si è ripetuto il '63. Credo che non si ripeterà mai più il '63 con la fine di certe epoche e la nascita di certi steccati. La coerenza liberale, il senso di responsabilità della Democrazia Cristiana l'approfondimento culturale e politico della sinistra hanno bisogno di una valutazione serena ed obiettiva a tutti i livelli, soprattutto da questi banchi, caro Presidente Viglione, perché dal dibattito che avviene in queste aule potremo pretendere dal Paese comprensione nei confronti dei nostri atteggiamenti e maturazione della nostra società che, ahimè, è ancora troppo massimalista e troppo intollerante, è ancora una società in cui lo spirito, dice Eusebio di Cesarea, è ancora più presente di quanto non sia quello di Sant'Agostino.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PAGANELLI

La parola al Consigliere Rossotto.



ROSSOTTO Carlo Felice

Signor Presidente, Colleghi Consiglieri, il riconoscimento contenuto nel documento della Giunta al nostro ruolo ed alla nostra funzione di oggettiva intermediazione di interessi specifici esistenti in una società pluralistica e che ideologicamente non coincidono con quella che sostiene ed alimenta i partiti alleati in questa maggioranza che governa il Piemonte, ci onora, ma non ci esalta in primo luogo perché proveniente da amici e come tale v'è da dubitare di un eccesso di benevolenza; in secondo luogo perché la validità di questa intermediazione dovrà trovare conferma positiva nei fatti prima e nei consensi poi ed in ogni caso proprio per le caratteristiche della originale e recente funzione politica di rigorosa estrazione ideologica liberale, riteniamo che abbiamo troppa poca vita per già indugiare sul nostro passato a giustificazione della nostra presenza.
Più dei nostri alleati sentiamo la necessità di guardare, in ciò favoriti dal positivo evolversi della situazione politica nazionale che pare non debba sconfessare le dolorose intuizioni da noi compiute due anni fa, al futuro e alle nuove prioritarie realizzazioni che il contesto regionale attende con una certa impazienza.
Concentrerò pertanto, il mio intervento su tre argomenti: la politica del territorio, quella del credito e la necessità di avviare contemporaneamente processi che da un lato diano segno positivo di un'azione di guida programmatoria nella caotica area metropolitana torinese e nel contempo, anche in modo autonomo, inneschino in concreto processi di effettivo riequilibrio regionale e territoriale.
Nell'area torinese credo che si possa incominciare a dire che è terminata la fase della politica dei no, iniziata dalle opposizioni durante la prima legislatura e perseguita con tenacia dall'attuale maggioranza.
Essa ha evitato alcuni scempi economici ed ecologici, parte di un disegno che concentrava tutto sull'espansione a macchia d'olio della megalopoli torinese. I nomi di quei no sono noti e per un rapido esame rimando alla lettura di pag. 62 del documento di Giunta: ora è tempo che si parli e si giudichi l'avvio dei sì.
L'interdipendenza tra concreti interventi di politica del territorio e dei trasporti balza subito evidente e specie per la seconda è chiara l'ampia visione strategica che in poco tempo ha, ribaltando situazioni quasi compromesse, rivitalizzato le strutture aeroportuali di Caselle senza opere faraoniche ed inutili quali la seconda pista; avviato un rapporto di indirizzo e di stimolo collaborativo con le Ferrovie dello Stato sia per il concreto piano di recupero della viabilità ferroviaria minore (definita un tempo rami secchi), sia per una più sollecita realizzazione dei lavori dello smistamento di Orbassano, ponendo con ciò le premesse per una rivoluzionaria soluzione dei problemi più urgenti della mobilita delle persone e delle merci nell'area metropolitana. Nel contempo con la responsabilizzazione dei Comuni interessati e con un ampio dibattito a livello comprensoriale, si è dato inizio a quella politica di riqualificazione del tessuto urbano, d'arresto dell'espansione a macchia d'olio dell'area metropolitana, di cui l'insediamento a Candiolo del Centro direzionale Fiat insieme alla Torino-Pinerolo e alla città satellite di Borgaro, erano capisaldi di irreversibilità.
L'aver affrontato nella logica delle linee di attuazione della convenzione quadro per la rilocalizzazione industriale, approvate dal Consiglio unitamente al Piano di sviluppo, lo spinoso ed annoso problema del riutilizzo a fini sociali della aree Fiat a San Paolo, bloccate in parte dalla variante 17, ma non disponibili concretamente anche per mancanza dei relativi mezzi finanziari, è segno di quell'efficienza che la partecipazione, la discussione fra tutte le componenti politiche e sociali non solo non riduce, ma esalta perché, oltre a consentire di costruire rapporti e consensi con un dibattito aperto ad ogni apporto, impedisce o per lo meno grandemente riduce l'incidenza di errate valutazioni che sono proprie dei disegni che calano dall'alto.
Risolto, se sarà risolto, o avviato a concreta soluzione stralcio questo problema peculiare, troppo carico di valenze politiche, psicologiche ed emotive, che deve fare riferimento in ogni caso agli indirizzi di cui sopra ho parlato e che le linee della convenzione quadro prevedono, deve essere impegno prioritario della Giunta formalizzare la stessa così come peraltro precisato e prescritto dalla legge regionale n. 56 del 1977 all'art. 53.
Le valenze politiche ed emotive e psicologiche di cui ho fatto cenno devono consentire il più approfondito dibattito a garanzia della correttezza amministrativa e politica della soluzione, non possono per essere motivo di speculazione strumentale contro le istituzioni che in regime democratico devono operare, con valutazione politica nel rispetto dei singoli diritti che possono essere condizionati ma non stravolti e di ciò non può solo farsi carico la maggioranza, ma coinvolge e responsabilizza ugualmente l'opposizione, a meno che la stessa voglia e scelga la strada della negazione prioritaria..
Voler vedere questi comportamenti d'indirizzo solo ed unicamente rispondenti alle logiche ed agli interessi di Torino e del ristretto nucleo di Comuni su di essa gravitanti, sarebbe un grave errore perché i processi che nella logica di piano si sono mossi o stanno per muoversi in quest'area avranno interazioni positive per tutta la Regione, ma è pur vero che il resto del Piemonte attende molto di più di queste interazioni ed è in questo senso che sentiamo la necessità di proporre precisi stimoli che agiscono in termini di riequilibrio e di diversificazione.
Prioritario è in materia un riferimento al problema del credito agevolato ex DPR 902 e la nostra sollecitazione è che dal bilancio finale del dibattito emerga in modo chiaro ed inequivocabile che se si vogliono realmente innescare processi alternativi al polo torinese, compito prioritario di questa Giunta deve essere la concentrazione di mezzi sostegni ed interventi in quelle aree già individuate dalla vecchia legge n. 21 del 9.4.1975 e che stentano, nonostante la caparbietà e lo zelo degli Assessori competenti, a divenire vero momento di crescita alternativa.
Se lo strumento del credito agevolato è una leva indispensabile per ovviare a situazioni di evidente degrado socio-produttivo tramite l'avvio di processi industriali sostitutivi di altri ormai superati, anche per rispetto al più grave sforzo che il paese tutto deve compiere a favore del Mezzogiorno, sarebbe grave errore non limitare alle aree industriali attualmente individuate, le previdenze di cui al DPR 902. Agire in modo diverso, così come in parte la Giunta ed il CIPI lasciano intendere sarebbe ripercorrere la politica degli interventi a pioggia, che non solo non producono effetti positivi, ma, stante la limitatezza dei mezzi disponibili, anche per i problemi di connessione con la politica di effettivo rilancio del Mezzogiorno, creano pochi privilegiati e molti scontenti.
Fin qui ho parlato di credito agevolato, con esclusivo riferimento al credito industriale; in occasione del dibattito sulla revisione delle leggi riservo più puntuali riferimenti a quello sempre agevolato e dispersivo a favore dell'agricoltura, turismo e dell'artigianato, precisando fin d'ora che il poco disponibile deve realizzare strutture e non sovvenzioni e sussidi a pochi di molti.
Ognuno sa che un'economia sana non chiede e non deve vivere di agevolazioni, salvo il pericolo di ridursi ad un'economia assistita e perciò gracile ed esposta a tutti i contraccolpi del mercato quanto un quadro di riferimento e di compatibilità che non muti e si modifichi a capriccio del momento e dei governanti.
In questo senso le linee di programmazione regionale quali da noi indicate, sono carenti di un elemento indispensabile perché possano in concreto costituire quel quadro di riferimento preciso ed articolato di cui ho fatto cenno. Uno è la carenza di un disegno programmatorio nazionale, e ci si augura che la nuova formazione di Governo, sostenuta dal largo consenso delle forze politiche dell'arco costituzionale, avvii la soluzione di questo problema e l'altro è indubbiamente l'accenno ad un indispensabile rapporto con il sistema del credito. Manca e dobbiamo crearlo, poiché i mezzi esistono, un corretto rapporto tra il sistema del credito ordinario e linee di programmazione regionale.
Il sistema bancario, pur controllato anche direttamente dal potere politico, o ha agito in relazione a logiche prettamente aziendalistiche che possono anche non trovare riferimento con quelle programmatiche o peggio è rimasto uno strumento di condizionamento in mano ad un ristretto gruppo di interessi, se non addirittura di persone, quasi sempre slegate da logiche generali ed oggettive.
Questa amara constatazione, se non riusciremo ad invertire la logica con una chiara impostazione politica, può solo generare recriminazioni polemiche o fumose dichiarazioni di principi etico-economici, il tutto con scarsa incidenza innovativa sul contesto dei rapporti sociali.
Non è solo problema di uomini, ma di linee politiche che sono mancate ed ancora oggi mancano.
Nell'individuare i problemi da portare a soluzione prima della fine della seconda legislatura bisogna che ogni forza politica di maggioranza o d'opposizione si convinca che solo attraverso un chiaro confronto, tendente a realizzare una precisa politica del credito, la Regione, non come governo di questo o quel partito, ma come istituzione, perderà molta di quella credibilità che è interesse di ciascuno dei suoi cittadini che essa abbia.
Nel passato il problema del credito è stato visto e valutato solo in funzione degli uomini chiamati dopo lotte fra partiti, correnti e fazioni a dirigere le banche e così ancora nel recente passato il dibattito in questa materia è iniziato e si è esaurito con le exatae questiones delle nomine. Questo è però l'anello ultimo ed in ogni caso meno risolvente di tutta la questione Essenziale e prioritaria è la determinazione concordata di una politica del credito in rapporto alla politica di programmazione; gli uomini, che si devono poi designare, dotati di professionalità, sapranno, in funzione di questa, esprimere le loro capacità di autonomia della stessa loro ideologia politica che non può essere colpa e motivo di emarginazione.
Senza una precisa indicazione di linee politiche gli uomini più capaci cederebbero al meglio ad una logica aziendalistica, che nel mondo bancario vuole in sostanza dire rastrellare il risparmio dei piccoli per darlo in prestito a tassi remunerativi a chi è già forte: il che in parte contrasta con quelli che sono gli obiettivi di una politica di piano volta proprio a colmare gli squilibri esistenti.
Pensare di sostenere una politica di piano che sia effettivo sostegno dell'agricoltura, dell'artigianato, delle piccole e medie industrie tessuto connettivo della nostra organizzazione produttiva, senza risolvere in modo preciso od oggettivo il rapporto con il sistema bancario è e sarà una pia illusione.
Di questo problema, proprio per non essere responsabile delle conseguenze delle carenze altrui, che in questo specifico ed essenziale settore sono bene evidenziate, la Giunta deve non solo prendere atto della necessità, ma a sua volta sollecitare, già partendo dalle conclusioni di questo dibattito, un responsabile confronto in merito con tutte le forze politiche, sociali ed imprenditoriali, con particolare riferimento a quelle minoranze che potrebbero veder accresciuti in questo modo i loro poteri di controllo ed il loro impegno partecipativo non solo nelle istituzioni elettive, ma, forse, quello che più conta ad un'opposizione ed a chi governa, nel tessuto reale della Regione.
Nell'ampio ventaglio delle proposte della Giunta meritano particolare attenzione l'impegno di fare dell'Ires, un efficace strumento di studio ed in merito non può passarsi sotto il silenzio il dinamico impulso, che, nel rispetto dei ruoli istituzionali, il nuovo Presidente e l'attuale Direttore hanno in poco tempo saputo esprimere, così come particolare importanza ed urgenza riflette l'attuazione dell'Osservatorio della manodopera; elemento di chiarezza e di riferimento oggettivo in una materia ove gli interessi contrapposti impediscono una esatta percezione dei fenomeni, che poi le forze politiche sono chiamate a governare.
Infine, nel concludere queste note espresse come stimolo, non rinunciando ad indicare i capisaldi essenziali del nostro impegno di governare secondo programmazione, il mio gruppo sollecita la Giunta e per essa gli Assessori competenti a dare la massima priorità ad un'organica normativa a favore delle aree attrezzate artigiane da collocarsi o negli stessi centri urbani o in quelle zone ove la localizzazione sia sussidio valido all'esistente e nascente struttura industriale.



PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE PAGANELLI

La parola al Consigliere Bianchi.



BIANCHI Adriano

Riteniamo sia nostro compito e nostro dovere contribuire a far sì che questo dibattito non ricada in genericità ripetitive, ma assuma un suo carattere specifico, necessario e funzionale all'ulteriore corso della vita regionale, alla produttività dei rapporti tra le forze politiche all'interpretazione e sviluppo del loro ruolo nell'istituzione e nella società.
A questi fini il mio Gruppo ha ritenuto di sacrificare l'apporto di più voci ed io me ne rammarico per la minore ricchezza di analisi ed anche perché avverto la difficoltà di essere insieme essenziale ed esauriente.
L'occasione ed il momento dell'analisi sono, del resto, prossimi con la discussione del bilancio '78 e del bilancio pluriennale. Né il soffermarsi in via incidentale, sui brevi cenni esemplificativi di una linea che il documento consegnatoci riporta nella sua seconda parte, con il riferimento per memoria ad alcuni settori ed a materie in sé rilevanti, poco poteva aggiungere ai recenti dibattiti sul Piano di sviluppo e sulle fondamentali leggi affrontati nel '77, né poteva correttamente e compiutamente anticipare il confronto puntuale che é, su tali argomenti, imminente.
Ci sarebbe inoltre spiaciuto che, nel parlare un po' di tutto, si appiattisse l'argomento centrale e si smarrisse il significato di questo appuntamento, che non è soltanto motivato dal saggio proposito di sostare a metà del cammino per fare un bilancio, per compiacersi degli ostacoli superati, legittimo compiacimento, e per trarne rinnovato slancio e guida per l'ulteriore corso, ma è soprattutto lo sbocco e la conclusione di una lunga fase di travaglio che riguarda tutte le forze politiche, ma principalmente le forze politiche di maggioranza, la loro esperienza all'interno della stessa, il modo di concepirne la funzione ed i rapporti con l'opposizione; una fase che comporta un giudizio sulla funzionalità degli organi in cui la responsabilità della maggioranza è più direttamente impegnata e cioè la Giunta ed il suo modo di lavorare e di proporsi; la condizione stessa in cui versano alcuni Assessorati e l'esame della rispondenza delle vocazioni e delle attitudini assessorili e dei ruoli delle stesse persone. Di questo si è parlato o sussurrato per mesi. Vi tranquillizzo subito, non farò ricorso a nulla di sensazionale; non dar corpo alle ombre; so che il sensazionale può fare cronaca, ma non fa n storia, né politica; così come avverto che questo concentrare l'attenzione sulla Giunta e sulla maggioranza non costituisce un espediente per defilarci a nostra volta, né ci sottrae ad un esame rigoroso ed autocritico sulla funzione che svolgiamo e sulla sua produttiva corrispondenza tra i propositi che enunciamo ed i risultati che vengono ottenuti.
Il fare qualche richiamo agli argomenti che si sono sviluppati ed hanno avuto eco e significato politico nel corso della verifica, del confronto della disamina e che diviene, da ultimo, "prassi di governo", ci serve per non dare risposte elusive a temi seri e centrali. I possibili disagi, le insofferenze, le stesse divergenze tra i partiti di maggioranza, non sono in sé motivo di scandalo, non sono assunti in ogni caso come tali, in quanto riflettano o sappiano riflettere la problematicità, l'ambiguità, la stessa perplessità che è presente nel reale, mentre è motivo di preoccupazione lo sforzo di far apparire tutto coerente, tutto riconducibile ad un disegno che viene da lontano e che è preesistente e che si proietta quasi necessitato nel futuro, tutto orientato, levigato con la trionfale conclusione che abbiamo pur sentito in aula giovedì scorso, di un forte esecutivo che sa governare.
E poiché, di rinvio in rinvio, questa discussione cade nel momento culminante di pronunciamenti nazionali che paiono sbloccare la crisi di Governo e che hanno, anche in sé, un forte impatto e significato politico non ignorerò che il Piemonte, se è, geograficamente, marca di confine, non aspira ad esserlo dal punto di vista politico e, per quanto ci riguarda sente invece tutta la propria centralità rispetto alle varie questioni nazionali: dalla questione comunista a quella democristiana; dalla questione dell'occupazione, del lavoro, del suo costo e della sua mobilità produttiva, a quella dell'impresa; dalla funzione della scuola, alla questione giovanile; dalla difesa delle libertà, al terrorismo, che vede oggi un significativo coincidere tra il fare ed il discutere. Ma torniamo ai temi della verifica, annunciata a maggio, iniziata a giugno e protrattasi fino ad oggi con innegabili conseguenze di incertezza politica ed operativa, di disagio e di attesa. Noi più volte abbiamo chiesto, pur non rifiutando gli incontri ed i confronti tra i partiti, che si sono tenuti e che, per la qualità dei dibattiti, sarebbero stati utilmente seguiti, in diretta, dall'opinione pubblica, noi abbiamo chiesto che la discussione venisse portata nella sede naturale ed istituzionale, dove sotto il controllo dell'opinione pubblica, i comportamenti e le parole si possono trasformare in responsabilità concrete ed in fatti. Per dare una risposta che sia la più pertinente possibile al senso del documento consegnatoci giovedì scorso, cominceremo dunque con il parlare delle cose che vi sono totalmente ignorate. Spero di non essere impertinente attenendomi alle dichiarazioni virgolettate ed a giudizi che ritengo corretti e che chiamano in causa tutti i protagonisti.
Quali sono dunque le preoccupazioni, le critiche e le aspirazioni che sono state espresse dall'area del partito socialista? Affermare preservare, conquistare all'interno di un'alleanza un ruolo veramente autonomo, nel quale l'unità non si trasformi in "subalternità"... Conferire a questa autonomia una riconoscibilità, una originalità esterna, al di là dello spazio formalmente occupato sui piani del potere e delle responsabilità formali, onde realizzarne, se possibile, un proporzionato corrispondente effetto politico e sociale. Correggere le situazioni di minore efficienza e di ruoli dimostratisi non congeniali, mettendo o spostando l'uomo giusto al posto giusto per conseguire una maggiore credibilità sul piano operativo, per la cosiddetta delegazione, per la Giunta e per la sua collegialità. Conservare, infine, un ruolo determinante che, insieme, respinge o teme ogni diretto confronto fra altre pur rilevanti forze politiche e ricerca di esercitare una tacita alternativa rappresentanza o garanzia nella sede di governo per le forze che, attorno ad una certa continuità, si sono avvicendate all'opposizione.
Il Partito comunista, con attenzione e cautela si è proposto di rispondere a queste inquietudini, cercando di assorbirle nella sua strategia globale che dovrebbe contemporaneamente fornire una risposta alle esigenze di pluralismo interclassista, poste da una marcia verso le posizioni centrali della società e del governo, ed a quelle di una politica della "classe operaia" che si fa carico della continuità, dell'identità della crisi e di molte altre cose. Sappiamo ormai che il termine "classe operaia" ha un significato emblematico e culturale più che fisico.
Se un accordo a sei, che pur sarebbe in questa strategia e secondo le valutazioni del Partito comunista, atto a garantire la governabilità dei più importanti processi in atto, dalla tenuta dello Stato, anche nelle sue istituzioni periferiche, all'economia e all'ordine democratico, se questa soluzione non è accettabile dalle altre forze politiche, occorre allora insistere in un confronto non occasionale sulle cose e sui temi più emergenti per attenuare ogni spinta centrifuga, coordinare la metodologia e concordare, se non sulle soluzioni specifiche, almeno sulle priorità, sulla scelta delle questioni da affrontare e sui tempi relativi.
Lo stesso Partito, mentre s'interroga sulla sufficienza di questa maggioranza, che è in quest'aula di 31 e di questi equilibri, che nella società sono ancora più precari e forse oggi diversi, ha pur avvertito che sul piano della funzionalità collegiale della Giunta e sull'efficienza di settori ricollegati ad Assessorati, che paiono versare in stato confusionale, si imponevano modifiche, spostamenti, riduzione o rifusione organica, secondo la stessa logica che ha guidato le Regioni nel rapporto dialettico con lo Stato sul trasferimento organico delle funzioni.
Attraverso la struttura dipartimentale, rimasta in gran parte una vuota cornice, si è forse rimediato, da questo punto di vista soltanto, un riequilibrio delle influenze e del peso politico.
L'Unione liberale democratica, infine, ha premuto per accentuare il carattere determinante del proprio ruolo o nella conservazione dello "status quo" nobilitato da un'attenzione doverosa, anticipatrice costruttiva verso l'opposizione e la sua proposta o in una confluenza più ampia di forze politiche, quasi legittimante a posteriori una scelta repentina che aveva consacrato una maggioranza numerica.
Tutte cose piacevoli, ma le dico con prospettiva e taglio esclusivamente politico e col pieno rispetto, anche conquistato nei comportamenti, di questa esperienza, almeno nei confronti delle persone.
Questa decisione, motivata con il realismo e sostanziata di un radicale pessimismo che non ci sfiora, si collocava nella logica di un nuovo corso di una nuova leadership e di un'autentica egemonia culturale ritenuta irreversibile. E' certo che, dal punto di vista obiettivo, colora di necessità, offre una giustificazione pragmatica che alleggerisce il peso di atteggiamenti, rapporti e comportamenti altrimenti meno facili da far assimilare o da spiegare alla base.
Ci spieghiamo così come il documento di cui discutiamo si apra con questa stupefacente affermazione, che in questi 32 mesi la ricerca del dialogo e del confronto politico "ha dato quale frutto più immediato nel tempo e politicamente più significativo, la determinante adesione alla maggioranza dell'Unione liberale democratica...".
Se questo fosse il giudizio centrale e sintetico sarebbe liquidato ogni discorso fatto con il Consigliere Ferrero nel confronto con il Partito comunista, ogni dignità di dibattito politico e di confronto al cospetto delle grandi tematiche che agitano la vita della nostra società e della nostra comunità regionale.
Va invece qui detto, ribadito il significato della nostra collocazione all'opposizione e del modo di esercitarla. E' stato giustamente ricordato che le difficoltà crescenti, la crisi, l'interesse a difendere ed a rafforzare le istituzioni, la volontà di corrispondere democraticamente ed efficacemente al bisogno di cambiamento e di stabilità che ci viene dalla gente, dal nostro intimo e dalla nostra esperienza, ha fortemente influito sui comportamenti e sui modi di essere delle forze politiche responsabili in maggioranza o all'opposizione.
Convengo e concordo, mi pare persino di riconoscere lo stile e il modo di pensare di chi ha introdotto queste indicazioni. In questa situazione un dato è però certo ed è che noi non abbiamo mai inteso, né vi è un solo atto che ci possa essere addebitato a questi effetti, destabilizzare l'assetto delle forze politiche, o della maggioranza, ostacolarne in qualsiasi modo anche legittimo dal punto di vista procedurale, l'azione, profittare di debolezze contingenti o proporre linee di opposizione pregiudiziale. Se la maggioranza non compie al suo interno operazioni che ritiene necessarie questo non può essere addebitato neppure alla ristrettezza della maggioranza o all'incalzare dell'opposizione che non si misura in questa direzione, ma nella direzione dei contenuti politici.
Questo comportamento non ambisce a riconoscimenti sul piano etico e del costume, ma è la conseguenza di una scelta profondamente sentita razionalmente motivata e che riguarda gli esiti di un'accurata autocritica di quel che occorre per conferire piena credibilità ad una forza politica per ricostruirne il ruolo ed il rapporto con la sua base popolare e di qual è la via più efficace, secondo la collocazione, la forza anche morale, in questo senso sì, di cui si dispone, per tradurre principi, valori ed esperienze nella realtà.
Noi ci offriamo alla vostra critica, ma voi ci siete testimoni di quale accanimento migliorativo, di elaborazione, di apporto sia stata caratterizzata la nostra azione in quest'aula, nelle Commissioni, di fronte alle leggi più impegnative e destinate ad incidere maggiormente sulla comunità regionale.
Non vi sono quindi state giustificazioni obiettive o tentazioni trasformistiche, né stati di necessità, avendo la, nostra linea ricercato uno spazio ed un ruolo preciso, ma avendo nello stesso tempo corrisposto alle altrui esigenze di autonomia e di identità ed alla preoccupazione di risposte legislative e politiche tempestive ai più gravi problemi della società regionale.
Se le inquietudini centrali e periferiche per i ruoli che si appalesano subalterni sussistono e con queste convivono le preoccupazioni per l'omogeneità, la credibilità, il realismo delle risposte operative e politiche, parrebbe utile un discorso più critico di quello che abbiamo ascoltato, posto che gli equilibri della maggioranza sarebbero tanto precari da non potersi operare neppure gli aggiustamenti tecnici che parevano ovvi o scontati e che rientrano nel silenzio. Perché noi non siamo all'agguato, ma siamo interessati alla massima funzionalità della Giunta e di tutti gli organi regionali, perché siamo interessati ad un confronto, ad una lotta politica che non sia confusa, o turbata, o fuorviata da elementi accidentali o spuri o irrazionali.
Voi, dunque, riproponendo il discorso delle difficoltà oggettive, della crisi e dell'emergenza in cui viviamo, constatate che tutto questo ha condizionato il modo di essere e di operare delle forze politiche ed ancora più dovrebbe consigliarle a far convergere non solo gli sforzi e l'impegno ma a rendere comuni le responsabilità. Ma se vi è molto di vero e di opportuno e di attuato nelle premesse, vi è qualcosa che suscita allarme dissenso, distinzione, necessità di chiarezza nelle conclusioni, che non sono ovvie.
Questo sforzo, questa necessità quasi fatale, per non dire deterministica di consociazione o di accettazione di un disegno esistente in cui iscrivere il proprio ruolo e con questo il proprio destino discenderebbe da una duplice constatazione e verifica.
Da un lato l'atteggiamento della maggioranza aperta, il suo progetto di governo, il suo rapporto con le altre forze politiche, si sarebbe sviluppato in questa legislatura, dal 15 giugno ad oggi, secondo un'unica ispirazione ed un costante approccio e non avrebbe conosciuto modifiche qualitative; dall'altro, la riluttanza ad accettare questo corso e questa realtà sarebbe in sostanza artificiosa e velleitaria, perché incapace di rappresentare un'autentica alternativa, un programma, una proposta alternativa, essendo chiaro alla Giunta "sin dall'inizio che si intendeva amministrare questa comunità sulla base di un progetto politico complessivo che si imponesse come necessità". Su più di 100 leggi, soltanto 7 approvate col ristretto voto della maggioranza! Ma le cose non stanno così, o non possono essere correttamente interpretate in questo modo, salvo che si ceda alle suggestioni di una propaganda di dubbio effetto. Si sono dimenticate le valutazioni, i giudizi contenuti nel documento preparatorio delle elezioni del 1975, i discorsi di Vittorelli e di Minucci, l'iniziativa di Libertini (cito i nomi per ricordare i toni e per dare dei riferimenti mnemonici e puntuali), lo spazio, il ruolo e la sorte nella società e nelle istituzioni esplicitamente od implicitamente assegnati alla Democrazia Cristiana rappresentante di ceti avviati all'obsolescenza, interprete della parte parassitaria della società, anzi struttura di potere distaccata da un rapporto e da una rappresentanza effettivi, chiamata ad aderire ad un accordo, il cui disegno politico, la cui motivazione culturale, le cui finalità storiche non soltanto prescindevano da essa, ma ne contraddicevano sostanzialmente i valori, la storia, le ragioni di presenza.
Nella cortesia e nel rispetto anche troppo grandi riservatici dagli interlocutori, ho vissuto questa fase, come ho sentito e sofferto la necessità di una riflessione, di una ricerca priva di presunzione delle ragioni essenziali del fare politica e del tipo di servizio che legittima un partito politico nella società.
Il dibattito sul pluralismo, ripreso e richiamato da Bobbio, è venuto dopo quei giorni, come la scoperta del carattere organico che caratterizza un popolo ed una società e la funzione non necessariamente contrastante del lavoro e dell'impresa, e la ragione storica e la legittimità e la provvidenzialità di una collocazione internazionale del Paese, ed i valori ed i costumi ed i rapporti e la concezione della vita e dell'uomo che possono scongiurare la violenza fanatica, distruttiva e ritardatrice di ogni progresso effettivo, di ogni riforma.
Nessun rifiuto senza una proposta, nessuna opposizione senza una motivazione razionale e discutibile, nessuna strumentalizzazione. Questa riconversione, sollecitata dalla mentalità e dalla metodologia del potere e della gestione a quella della interpretazione politica, della critica della proposta, ha modificato progressivamente, credo, al di là del comportamento formale, il giudizio di merito della maggioranza sulla consistenza e lo spessore di una realtà politica e sociale, insieme di un equilibrio, di una equivalenza che non si esauriva nel dato elettorale, ma che questo rivelava.
I discorsi sulla continuità, non ovvia e temporale, ma di sostanza e di merito e di necessità per la qualità delle proposte studiate, avviate od approvate nello scorcio della legislatura, abbiamo dovuto attendere ben più di un anno per sentirli risuonare come prova di serenità e di storicistica saggezza e per avvertire che prendevano il posto del globale "nuovo politico" rientrato. Mi pare contraddittorio rivendicare a proprio merito il rispetto e l'assunzione come valide di una continuità costituente, di politica e di legislazione generale, addebitando ai principali portatori di questa linea e di questa proposta di non essere capaci di proporre un'alternativa. A chi? A se stessi? Sappiamo bene, inoltre, come la metodologia della programmazione sposterebbe a monte, nelle fasi di ricerca, studio ed individuazione degli obiettivi, il momento dialettico ed alternativo, portando poi a soluzioni obbligate ed omologhe le deliberazioni attuative; e così una ricerca sistematica della consociazione, dell'assimilazione realistica e pragmatica sfuma le differenze, attenua la clamorosità dei conflitti.
Vogliamo andare a fare una ricerca strutturale e semantica sui provvedimenti che abbiamo concorso a far approvare col nostro voto favorevole per verificare quale apporto e quale ispirazione vi risulti prevalente? Dai Comprensori, alla Finanziaria regionale ed alle leggi alle quali il nostro voto è stato contrario.
Noi non ci sentiamo autosufficienti, né ci pare producente questo terreno per una polemica a posteriori, che per forzatura ed amor di tesi getta una luce antipatica ed equivoca sul significato dei rapporti e delle nostre reciproche azioni in quest'aula, a cospetto degli interessi e delle attese della gente.
Del resto la Giunta e la maggioranza dispongono delle strutture e dei mezzi, ricorrono a consulenze di prestigio ed onerose ed hanno il compito e il dovere istituzionale, che non contestiamo, d'istruire, preparare documentare e proporre le materie e le ipotesi, i progetti di soluzione.
Noi non ci proponiamo come opposizione alla Regione, ma come opposizione all'interno di un'istituzione in cui ci riconosciamo.
Se ricerchiamo l'esistenza di un'alternativa o meno, invece che in alcuni numeri grezzi, leggi approvate e non, nei contenuti o nelle qualità oltreché nel significato generale di una presenza politica, vedremo che la situazione è diversa ed opposta da quella suggerita come una constatazione neutra e non opinabile.
Non c'è bisogno di guardare contro luce la filigrana delle leggi principali, dei dibattiti più significativi, non trascurando tra questi quelli sull'antifascismo, sui rapporti fra Stato e Regione, sulla violenza giovanile e scolastica, sulle brigate rosse e sulle culture o pseudo culture legittimanti ed assolventi; non occorre tornare ad analizzare le leggi e le discussioni sull'assistenza scolastica e socio-sanitaria, sulla 382 e sul pluralismo istituzionale, sul Piano di sviluppo e sulle sue vicende, sulle procedure della programmazione e sulla tutela ed uso del suolo, per vedere se vi è una coerenza e un'alternativa o, se vogliamo meglio un apporto originale, autonomo e riconoscibile.
Se tale non fosse, quale valore avrebbe lo stesso pressante appello, il discorso intessuto nel confronto fra partiti, il riconoscimento positivo sull'esperienza condotta in Piemonte, caratterizzata dalla trasparenza del confronto politico in questa Assemblea, che garantisce una risposta politica ai problemi, la migliore che le forze qui presenti siano in condizione di offrire, in virtù di una dialettica serrata che non sopisce i problemi, ma ricerca le soluzioni più valide; la più comprensibile, perch espressa nella chiarezza dei ruoli, nella prospettiva di possibili alternative, nella distinzione riconoscibile delle responsabilità.
Né distinzioni preconcette, né confusioni mimetiche, né trasposizioni artificiose dal centro alla periferia che concorrerebbero, a nostro avviso a forzare i limiti dell'accordo in corso a Roma, indebolendone l'operatività nell'emergenza.
Considerato che non è in gioco un'alleanza politica che presuppone un modello politico e sociale, delle finalità generali comuni che non esistono, questa specificità della situazione piemontese, costituisce il miglior contributo che possiamo dare alla produttività di un mondo che presuppone un'emergenza ed il suo superamento.
Del resto il discorso dell'emergenza, al cospetto della storia, è un discorso pericoloso perché il nostro Paese, da cent'anni, vive nell' emergenza, dal '98 alla guerra di Libia, alla guerra mondiale, alle condizioni del dopoguerra, alla tragedia del fascismo, alla Resistenza, al cammino per dare unità sociale e culturale a questa Nazione. Ogni giorno i problemi hanno incalzato con l'emergenza e questa per l'eternità dovrebbe giustificare un rapporto totalmente diverso o travolgente le regole essenziali e fondamentali per noi della democrazia? Emergenza superata nella recuperata capacità delle forze politiche di perseguire gli interessi generali di assicurare il rafforzamento e la difesa delle istituzioni, nella funzionalità fisiologica degli istituti democratici.
L'emergenza non deve risiedere, annidarsi nel modo di essere, di concepire l'azione politica e l'azione dei partiti e delle organizzazioni di massa. Certamente la diversa articolazione dello Stato, la complessità degli strumenti e delle tecniche di governo, l'esigenza delle programmazioni e delle scelte fondamentali a lungo termine (vedi i problemi energetici), comportano nuove modalità per lo svolgimento della necessaria dialettica, per lo sviluppo e l'alimento del pluralismo delle istituzioni e nelle istituzioni - discorso questo da riprendere in altra sede.
Ci sta dunque sostanzialmente bene, e sta bene per gli interessi della comunità regionale e nazionale, come abbiamo visto, il modo con cui si svolge il rapporto politico in quest'aula. Ma la riserva, la concezione che ci contesta la capacità di alternativa e di originale proposta, la tentazione egemonica e la contraddizione tra la teoria e la prassi noi la verifichiamo nella sua crudezza obiettivamente machiavellica, tra il dire l'enunciare una politica, il modo di discutere, di ascoltare e di recepire in Consiglio, ed il fare, tra il proporre e il gestire, tra il legiferare e l'interpretare e l'applicare alla periferia.
Centrale è dunque la preoccupazione di identificare, di evitare l'identificazione delle forze politiche e l'utilizzazione delle istituzioni per l'esercizio di funzioni e di ruoli che i Partiti devono direttamente sviluppare all'interno della società.
Il passaggio necessario dell'attività regionale ad una più accentuata operatività, la traduzione della legislazione nazionale e regionale in atti amministrativi concreti che conferiscono dimensione, forma e sostanza alle istituzioni, assumono una delicata rilevanza politica.
Le modalità, infatti, e lo spirito di questa attività, che formalmente appare di gestione, ma che sostanzialmente completa in modo determinante la fase costituente, richiede strumenti per un più efficace controllo, da intendersi non in senso burocratico, ma nel suo significato partecipativo e politico. Questo controllo deve consentire la tempestiva verifica degli esiti che discendono dalle leggi e dagli atti che il Consiglio ha elaborato ed approvato.
Al riguardo deve essere messa in rilievo l'esistenza di una sensibile contraddizione tra il livello del confronto che avviene in assemblea, nella fase enunciativa e di impostazione delle leggi, e quello che comporta rapporti periferici, momenti di gestione e rapporti diretti con le autonomie locali, le categorie, la società civile.
Questa da noi rilevata pesante situazione, l'esigenza di un adeguato controllo in cui si realizza la reale centralità del Consiglio ed oggetto del dialogo che ha preceduto e preparato questa conclusione, è stata la linea dichiarativa e di principio recepita laddove si dice che "la Giunta ribadisce la sua disponibilità a sottoporre all'esame delle Commissioni e del Consiglio, ove necessario, tutti gli atti di governo rilevanti o di interesse generale, anche se non di natura legislativa o deliberativa nonché a confrontare nelle sedi idonee programmi di attività o importanti momenti attuativi di leggi già approvate".
Noi ribadiamo che questa dichiarazione sarà oggetto di verifica e di proposta operativa. Ma in questa fase non possiamo, pur con animo disteso e sereno, non sottolineare alcuni punti di contraddizione. Più volte, ogni giorno, in qualche modo diretto o indiretto, ancora questa mattina risuonano le riserve, le critiche e le apprensioni in ordine al modo di gestire la politica del personale. Si insiste molto sulla legge che riguarda le strutture. Noi ci sentiamo fortemente impegnati anche nell'ipotesi di una proposta alternativa, però ribadiamo la richiesta della necessità di garanzie imparziali nelle assunzioni e nella gestione e direzione del personale. Il problema delle trasfusioni, sempre in qualche modo in atto, permane come motivo di preoccupazione, ma non possiamo sottolineando questi aspetti - dimenticare che vi sono i problemi della valorizzazione professionale e del trattamento economico del personale il quale può svolgere più efficacemente il suo ruolo, che rivendica anche una giusta autonomia pur nella duttilità a servire gli indirizzi che la Regione, con i suoi organi, indica dal miglioramento della propria condizione.
La formazione professionale e l'adeguamento dignitoso del trattamento economico sono problemi che ci trovano corresponsabili e cordialmente collegati alle proposte e alle indicazioni sotto questo profilo della Giunta.
Nel documento si ribadisce la scelta della politica della programmazione e la decisione e la capacità di riservare decisioni importanti ad un confronto che avviene nella società e nelle istituzioni.
Rileviamo delle contraddizioni che in alcuni casi sono clamorose proprio perché trovano le vie della soluzione nel caso per caso e nel rapporto personalizzato secondo il costume del principe. In ordine ai problemi della localizzazione industriale e dei centri direzionali, ricordo il Consigliere Berti che ci incalzava sulla necessità di arrivare in pochissimo tempo, entro mesi, a stabilire almeno un piano di coordinamento che costituisse un momento di salvaguardia, un arresto alla politica delle localizzazioni che privilegiasse l'area centrale metropolitana e guardasse all'esterno, non solo per non fare attendere da un indotto a lunga portata ma far derivare da iniziative direttamente collocanti le attività economiche e produttive alla periferia.
Noi avvertiamo che, in mancanza di un piano territoriale, per vie rapide, attraverso archi, ponti di rapido collegamento si arriva alla rilocalizzazione entro l'area di Torino, in Corso Marconi e in Borgo S.
Paolo, all'Aeritalia, dei centri direzionali. Questo, ci pare, sacrifichi aspettative di una diversa diffusione, di una diversa e più coerente risposta alle preoccupazioni che erano comuni.
Ma, al di là del merito, è il metodo che in questa sede rileviamo e che non possiamo approvare.
Per ricollegarmi all'indicazione del collega Rossotto, noi abbiamo rifiutato, quanto alle aree sottosviluppate, la dispersione delle localizzazioni proposte dal Cipe, ma non siamo neppure d'accordo per una restrizione, una collocazione che identifichi solo le aree attrezzate o per una dispersione che identifichi soltanto i Comprensori. Non sono il più atto a puntualizzare questi aspetti. Ricordo un'intervista di "Nuovasocietà" in cui si metteva in evidenza la conseguenza richiamando per esempio, il caso di Alba di una soluzione che andasse in questa direzione. Ci pare che un accorpamento e una giusta distribuzione per aree bene identificate per dare una risposta ai punti di crisi di fondovalle sia la più rispondente.
Ed ancora una particolare attenzione, un richiamo soltanto, collegato alla linea ed al significato politico dell'intervento, è quello che riguarda l'anticipazione e l'enunciazione dei dati di bilancio.
I dati sono sostanzialmente esatti, ma non è da quel tipo di dati che si ricava la capacità di spesa e di gestione dell'Ente Regione.
L'efficienza e la capacità della Regione emergono dal rendiconto del 1976 già discusso, ed emergeranno dalla discussione del rendiconto 1977. I dati forniti sono quelli che fanno ritenere per il progetto Piemonte, di qui all'80, che vi siano a disposizione 2 mila miliardi: è un dato che alimenta equivoci e che deve essere chiarito in questa sede e lo sarà meglio in quella nella quale noi abbiamo collocato e rimandato gli interventi.
Su 1.866 miliardi di spesa, indicati nel bilancio pluriennale 1978/80 ben 903 sono un puro trasferimento per l'assistenza ospedaliera e circa 129 riguardano l'area di attività, la pura spesa gestionale della Regione. I miliardi per le aree di intervento, cioè per le vere spese che incidono nella realtà regionale, sono poco più di 830 e possono forse salire, con ulteriori stanziamenti, attorno ai 1.000.
Per quanto riguarda la predisposizione del bilancio 1978 e del bilancio pluriennale, si può dire che solo sostanzialmente è stato recepito lo spirito della legge 335 che detta le norme di coordinamento in materia di bilancio e di contabilità delle Regioni. Mentre sostanzialmente si è continuato alla vecchia maniera ed il bilancio risulta informato alla logica della difesa di fette di spesa per Assessorato: ecco il discorso della verifica, ecco il discorso della collegialità della Giunta, che abbiamo affermato nello Statuto, che abbiamo cercato di perseguire e ci rendiamo conto delle difficoltà, anche funzionali, per giungere a questo traguardo.
L'opposizione non è - ripeto - qui per creare difficoltà od ostacoli per rendere difficile la navigazione in mezzo al guado; possiamo parlarne in ogni sede per favorire questo adeguamento dell'organo direttivo e di governo alla necessità esigente dell'istituzione. Si è dimenticato che la legge 335 vuole si tenga conto che l'obbligazione deve scadere entro il termine dell'esercizio di competenza dando alle dotazioni finanziarie l'esplicito valore di realizzabilità nel tempo di riferimento.
Ed ancora, solo per richiamo, il discorso che è diventato quasi trionfalistico come fosse il toccasana risolutore di ogni problema, in ordine ai residui passivi, che invece sta in questo più corretto modo di applicare la legge dello Stato, il problema della revisione delle leggi.
Non vorrei che, per quanto attiene all'agricoltura, constatando una naturale prospettiva di spesa allungata nel tempo, non ci portasse ad una revisione che in sostanza sottragga risorse al settore.
Ci sono motivi ulteriori di perplessità, di critica e di dissenso, che speriamo trovino soluzione, sull'Ires, sulla sua emarginazione e sulla necessità, che mi sembra profilarsi, di un rilancio e di una rimessa a disposizione della funzione di questo istituto nei confronti dell'intera comunità regionale; sulla gestione della stessa legge urbanistica, che sta incontrando gli impatti che avevamo previsto durissimi con la realtà e che già vede predisporsi chi era troppo sicuro della perfezione di un disegno a una serie di modifiche.
Ringraziamo per il documento che è stato predisposto che ci pare una dimostrazione di come si possa procedere in ordine ai Comprensori e dichiariamo la disponibilità e sollecitiamo a condurre avanti il discorso e gli apporti comuni per la soluzione del problema dell'Ente intermedio. Non possiamo restare in una situazione che vede la Provincia messa in mora e il Comprensorio che non realizza un'autonomia, con gli effetti congiunti di una discrasia e con le tentazioni che abbiamo verificato di utilizzare da parte dell'esecutivo i Comprensori come piattaforme di raccolta del consenso, come vie, non sempre corrette, per la presentazione di progetti accreditati o lasciati accreditare già come volontà operante o come conclusione necessaria delle soluzioni indicate e predisposte.
Non siamo qui per tirare i sassi all'albero carico di frutti: siamo qui anche per collocarci in modo che tutti i raggi del sole li colgano per farli maturare e perché la comunità regionale li possa raccogliere e gustare.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SANLORENZO



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Ferrero.



FERRERO Giovanni

Di fronte ad una Giunta che "ha regnato", così è stato detto, nasce un problema di collocazione: chi parla si considera suddito o feudatario rispetto ad essa? Il collega Bianchi ha suggerito un'altra ipotesi, cioè che ci si possa collocare come principe o come principini, non dico che questa ipotesi non sia allettante ma certamente pare poco realistica. Su questo terreno, d'altra parte, si è a lungo addentrato il collega Marchini: temo si possano fare interessanti studi di cremlinologia o di araldica , ma pochi passi avanti.
Per fortuna mia e dei Consiglieri la discussione che si è aperta stamane verte invece sul documento della Giunta regionale, ma ancor più sulle linee programmatiche prioritarie per la seconda parte della legislatura regionale; problema che comunque in tutta la sua complessità sta di fronte alle forze politiche del Consiglio regionale e che ha radice nella prima parte della legislatura e nella legislatura precedente. E le linee programmatiche per la seconda parte della legislatura non solo si legano strettamente al bilancio dell'attività passata, ma si misurano rispetto alla natura e alla finalità dell'Ente Regione.
La Regione è nata con, e per, un'ipotesi di programmazione e di decentramento che riaffermava nello stesso momento l'unità dello Stato e la certezza e l'unicità del diritto. E' nata anche come risposta, dovuta, sì ai sensi della Costituzione, ma richiesta rispetto ai gravi segni di deterioramento e di impotenza dello Stato centrale. Le Regioni quindi sono sorte nell'ipotesi di rilanciare l'unità dello Stato, la certezza del diritto, le ipotesi di programmazione e di decentramento in una fase politica del nostro Paese che non vedeva unità e chiarezza di programmazione e di volontà dello Stato.
La strada che abbiamo imboccato con la costituzione delle Regioni è ormai per tutti una strada di non ritorno.
Come si può allora giudicare l'attività di una maggioranza? Si pu essere tentati di equiparare la Regione ad un Ente locale, a un grande Comune, e quindi tentare di dare risposta alle attività della Regione attraverso le deliberazioni, gli atti, all'attività esecutiva che per un Ente locale può anche essere criterio di valutazione? Oppure leggere la Regione in una chiave esclusivamente parlamentare, un'assemblea legislativa, ma con un carattere di decentramento e di programmazione che le consente di aprirsi? Credo che, al di là di qualche suggestione - e - ne fanno fede i dibattiti costitutivi della Regione e anche le riprese di interventi nella seconda legislatura da parte di molti Consiglieri - c'è stato il trasferimento largamente meccanicistico nel nuovo ambito regionale dell'esperienza realizzata nei minori Enti locali negli anni passati, nelle province e in alcuni grandi Comuni. Crediamo che questo condizionamento che era anche naturale al sorgere di un ente, debba essere nel tempo più breve possibile accantonato, certo con la necessaria gradualità, perché il giudizio che va dato sulla Regione va impostato almeno su due criteri: sulla gestione attiva sulle funzioni generali di programmazione, di rapporto con le forze sociali, con gli Enti locali.
Siccome credo che la gestione attiva sia in qualche misura fase transeunte, fase non stabile, fase che deve essere mantenuta soltanto per il tempo nel quale sono indispensabili le misure di delega, di decentramento, di riorganizzazione, il giudizio su questa parte è più facile. Credo che il nostro Gruppo possa tranquillamente esprimersi su questa parte dell'attività regionale e dare un giudizio nettamente positivo senza equivoci. Si potrebbero rincorrere materia per materia, Assessorato per Assessorato non solo le leggi, le deliberazioni e gli atti, i riparti per l'edilizia scolastica o per l'edilizia pubblica, le innovazioni in materia di sanità ecc. Non vorrei soffermarmi sull'elencazione delle realizzazioni positive e delle dimostrazioni di capacità e di buon governo di efficienza. Penso, per esempio, alla politica dei parchi (per quanto riguarda La Mandria), agli elementi di ripensamento o di dubbio sulla lentezza con la quale altre forze invece hanno proceduto. Certo quando si dà un giudizio complessivo che tenga conto del complesso delle attività della realizzazione delle iniziative e della gestione attiva non possiamo soltanto farci vincolare da singoli aspetti o da singoli ritardi.
Credo che non sia fondamentale soffermarsi in questa sede su questo tipo di argomenti perché sono quelli nei confronti dei quali lo stimolo che viene dall'opposizione, la possibilità di concretizzare delle posizioni alternative o collaterali precise rendono anche più facile la discussione e l'eventuale accoglimento delle proposte.
Deve anche essere detto con fermezza che non vogliamo essere giudicati con metri che non condividiamo. Questo è implicito nelle discussioni avute in Consiglio regionale negli anni passati. Esistono sicuramente delle concezioni diverse dello Stato, ma anche la realizzazione concreta di uno Stato con forti caratteri corporativi, di uno Stato in cui i rapporti tra gli eletti dal popolo e i cittadini avviene su base ambulante, attraverso la sollecitazione e la richiesta di consensi in sedi locali; esistono anche meccanismi ampi e generali di appalto nel settore dell'economia, della sanità e in molti altri settori che oggi hanno un disavanzo pubblico grave.
Queste cose non sono soltanto questioni del governo o dello Stato centrale ma sono ripetute, sono gemmate anche a livello degli Enti locali. Nello sforzo che abbiamo fatto abbiamo teso a non rincorrere delle categorie sociali, a non cercare facili consensi o immediate acquisizioni attraverso iniziative e concessioni di stanziamenti, ma vogliamo modificare in modo stabile gli obiettivi e lo stesso disegno istituzionale dello Stato.
In realtà, la concretezza della Regione è di carattere eminentemente astratto e non risiede nei singoli atti amministrativi, sia perché le leggi sono generali e astratte, sia perché non è solo attraverso lo strumento dell'esecutivo che si può pensare di dare attuazione alla volontà politica che nel Consiglio si esprime.
Esiste quindi la necessità non di ricopiare gli schemi parlamentari non di subire una concezione comunale e provinciale, ma di trovare delle forme di rapporto e delle concezioni generali e astratte che abbiano una caratteristica innovativa rispetto al passato.
Forse ad altri partiti questo interessa meno di quanto interessa al nostro, perché, una parte dei Consiglieri possono anche ritenere accettabile la formula attuale dello Stato e in qualche misura ritenere immutabile, almeno nel periodo storico della lotta politica, la forma attuale dello Stato. Personalmente, per quanto riguarda il nostro Gruppo non possiamo che rilevare distorsioni profonde rispetto alla Costituzione condizionamenti di carattere culturale provenienti addirittura dal regime precedente (penso ad esempio all'IRI, alla politica dei mutui, penso ad elementi che sono strutturanti nel settore delle opere pubbliche o della politica industriale). Queste forme generali non riguardano soltanto l'attività che si può esprimere su mandato anche del Consiglio regionale alla Giunta regionale e che si concretizzano in sede di Giunta in atti esecutivi, ma in generale riguardano i rapporti fra forme e istituzioni tra loro autonome e che devono essere coordinate: il problema del governo dell'economia non può essere risolto dalla Regione attraverso le sue deliberazioni, è momento invece che si risolve nel complesso sistema delle autonomie locali, ove queste vengano, sulla base di indicazioni discusse e decise dal Consiglio regionale, attuate e concretizzate dal complesso delle autonomie locali che pure hanno nella situazione attuale una fase di trapasso e che quindi nella Regione e nei Comuni trovano i loro punti di forza.
Il documento della Giunta nelle prime pagine dice queste cose: "il bisogno nuovo e profondamente autentico di ricercare come unica e possibile risposta alla crisi, all'urgenza dei bisogni sociali, modelli e forme nuove, anche istituzionali, capaci di incidere sulla realtà complessa e rapidamente mutevole, nella consapevolezza piena del peso della nuova esperienza politica amministrativa del Piemonte sul quadro politico nazionale".
E quando riprende: "ciò che ha caratterizzato infatti la nostra azione politica e di governo è stato il tentativo di ricondurre scelte iniziative, atti amministrativi non solo al programma operativo che avevamo proposto, ma a un progetto politico più complessivo in cui potesse riconoscersi una società sotto molti profili composita come quella piemontese, dandoci un fine, una politica di programmazione con le sue conseguenze istituzionali".
Non credo che questo possa essere considerato un discorso trionfalistico perché nel momento in cui lo si enuncia e in cui si cerca di concretizzarlo, come già è stato fatto, si enuncia anche chiaramente la problematicità, l'apertura che queste nuove forme istituzionali devono avere.
La nostra posizione si riassume nello sforzo, non corporativo, di rendere unitari e tra di loro collegati tre elementi fondamentali: 1) un rapporto vero e reale - e Bianchi già lo raccoglieva con i lavoratori, con la classe operaia intesa nella sua più generale e culturale accezione. Da ciò consegue un'ipotesi esplicita di decentramento, di maggiore rapporto tra la politica dello Stato e le iniziative dei cittadini. Le stesse esperienze di riorganizzazione della struttura sindacale all'interno delle aziende, non sono altro che uno sforzo di diminuzione delle istanze corporative e di aumento della capacità generale e istituzionale di rapportarsi ai problemi 2) un secondo punto è il legame tra decentramento e programmazione sul quale il nostro Partito è sempre stato netto ed esplicito 3) vi è un terzo punto che riguarda la ricostruzione e la riaffermazione dello stato di diritto, in sostanza della certezza delle leggi, in una situazione nella quale l'inapplicazione legislativa, la disubbidienza legislativa e la inconciliabilità e la confusione di altra parte della legislazione possono farci correre dei rischi estremamente gravi.
Mentre il Consigliere Bianchi parlava, mi venivano in mente questioni che non appartengono direttamente al nostro patrimonio culturale, ma a cui data l'ampiezza di orizzonti in cui egli si è collocato, vorrei riprendere.
E' stato scritto che "il regime tirannico non è giusto perché non è organizzato per il bene comune, ma per il bene privato di chi governa perciò il perturbare tale regime non ha carattere di sedizione se non per caso quando il regime tirannico viene modificato in modo così disordinato che la moltitudine soggetta soffre più detrimento della perturbazione stessa che dal regime tirannico. Infatti è assai più sedizioso il tiranno che nutre discordie nel popolo a lui soggetto per poter dominare con maggiore sicurezza. In ciò infatti consiste l'essere tiranno, l'ordinare le cose a proprio favore e con danno delle moltitudini".
Il problema dello stato di diritto, come difesa degli interessi dei cittadini che presuppone anche una valutazione razionale e coerente della subordinazione degli interessi dei singoli agli interessi della popolazione, che presuppone anche una certa concezione della morale, è problema largamente calpestato, al quale invece si può dare una risposta con un rapporto con la gente e con una riorganizzazione decentrata dello Stato. Questa è una risposta nella quale risulta particolarmente chiaro come non è soltanto di atti esecutivi e di controllo di atti esecutivi che in questa sede si può parlare, ma è in generale di coerenza tra questa sede istituzionale e le altre sedi istituzionali, tra le dichiarazioni qui rese e le dichiarazioni e le iniziative che vengono avanzate nelle altre sedi istituzionali e sociali.
Questa problematica, che ha carattere generale, forse richiede una certa esemplificazione. Mi pare che i punti fondamentali siano due: il rapporto tra la Regione e gli Enti locali il rapporto tra gli organi della Regione, tra la Giunta e il Consiglio regionale.
Il rapporto tra la Regione e gli Enti locali vede un bilancio estremamente attivo di questa maggioranza, capace di innovare in un ragionamento di continuità rispetto alla passata legislatura: la legge regionale 41/75 che riguarda i Comprensori, la legge regionale 41/76 che riguarda la definizione delle ULS, la legge 39 che riguarda la riorganizzazione dei servizi sociali e sanitari, la legge n. 43 che riguarda le procedure della programmazione. Una parte di questi argomenti darà luogo a specifici dibattiti, ma vale la pena di ricordare gli elementi fondamentali coerenti a questo disegno.
Queste leggi vedono il rilancio del ruolo delle Amministrazioni comunali e elettive in generale. Non si tratta di costruire enti nuovi, ma di ridare il ruolo che già le leggi passate e le nuove leggi danno agli Enti locali e che la situazione storica di formazione degli ambiti territoriali e dello Stato non hanno mai permesso agli Enti locali di sviluppare: quindi presenza diretta degli Amministratori comunali, e non di loro delegati, nel processo di riorganizzazione generale. Il rilancio avviene innanzitutto rispetto allo Stato decentrato. Decentramento non è spostamento verso la periferia di uffici o di strutture che mantengono la loro dipendenza gerarchica e funzionale da momenti centralizzati: questo può anche essere momento (e la concezione napoleonica ne era una prova e ne abbiamo le conseguenze in Italia), di un potenziamento del potere centrale e di un eventuale potenziamento delle erogazioni finanziarie, ma di diminuzione successiva delle possibilità autonome di riorganizzazione e di decisione.
Quindi esiste un problema politico che non si gioca solo qui dentro, ma che qui deve trovare indicazioni nette di scelta esplicita a favore delle assemblee elettive che rappresentano la volontà del popolo e che devono essere messe nelle condizioni di operare pienamente. Quindi una energica iniziativa, anche se graduale e calibrata, di spostamento sulle assemblee elettive di competenze, di potere, di capacità di decisione che oggi in altre sedi risiedono.
Questo non è un problema semplice da risolvere, ma è stato affrontato da questa Giunta ed è uno dei problemi del rilancio delle amministrazioni.
Il secondo punto che non va dimenticato è il rilancio delle funzioni delle assemblee elettive nei confronti della struttura amministrativa dello Stato e il ricupero alle assemblee elettive non più in modo peregrino ed ambulante o della ricerca di voti, ma in sede istituzionale e collegiale della dignità e del peso che queste debbono avere nell'affermare volontà politiche e finalità e nella conseguente autonomia che ne deve derivare nell'ambito realizzativo (ma in questo e non in altri ambiti) alle strutture amministrative. L'altro elemento grave di commistione tra potere politico e struttura dello Stato è cosa che richiede una più netta definizione. In terzo luogo rilancio delle amministrazioni comunali attraverso i compiti che le amministrazioni debbono sviluppare e che sono l'unica carta che la democrazia e lo Stato possono giocare nei confronti di tentativi di loro esautorazione. Questo presuppone un altro elemento di carattere meno politico, ma di rilievo, ed è la riorganizzazione dell'apparato statuale e, di conseguenza la riorganizzazione dei servizi o delle altre singole attività.
La legge 39 e altre legislazioni in materia non sono leggi di riorganizzazioni degli assistenti sociali, con tutta la dignità e il ruolo che queste categorie possono rivestire, sono leggi di riorganizzazione dello Stato, delle funzioni amministrative, dei rapporti istituzionali, dei rapporti di potere all'interno di questo e, come conseguenza naturale anche di riorganizzazione dei servizi della psichiatria, degli assistenti sociali, degli ospedali e delle mutue. Perché se ci si limita solo a quell'altro aspetto, se si tratta soltanto di definire standards o criteri diversi dei servizi, certamente nasce la convinzione che alcuni atti amministrativi della Giunta possono risolvere il problema.
Ruolo nuovo delle autonomie locali, riorganizzazione generale dello Stato, significa non avere enti in più, non avere spese in più, significa sviluppare la programmazione.
Abbiamo votato una legge di zonizzazione piccola, con un elenco. In nome di questa legge, siamo nelle condizioni di poter scegliere rispetto a quei grandi temi nel modo in cui la maggioranza delle altre Regioni non è in grado di scegliere. Ci troviamo di fronte al più grande trasferimento di funzioni che si sia mai verificato, il trasferimento delle funzioni delle mutue.
Le mutue sono una struttura caratteristica dello Stato. Non credo che sia il caso di insistere sugli aspetti specifici di peculiarità e di non funzionamento che i cittadini conoscono, non voglio nemmeno fare un discorso sulla gestione. Voglio fare un ragionamento tecnico. Ci troviamo come ostacolo concreto, ruoli e regimi diversi del personale delle mutue rispetto al personale degli Enti locali. In quali tempi e con quali modalità il Governo e in quale modo la Regione attivamente spingerà perch vi sia un'unificazione di ruoli, di parametri retributivi e di condizioni di carriera? Se questo non si verificherà è dimostrazione grave della non volontà di procedere nel rilancio delle funzioni delle autonomie locali perché non è pensabile che dattilografe possano lavorare nello stesso ufficio con retribuzioni molto diverse.
Ma c'è un altro aspetto che riguarda le mutue e che non ha nessuna attinenza sanitaria. Sapete che le strutture mutualistiche per anni hanno avuto il rapporto diretto con gli imprenditori per la rilevazione dei contributi che derivavano dagli assistiti. Chi ha pensato questo sistema di rilevazione non era certamente uno sciocco, ma era una persona che sarebbe interessante venisse qui a rendere conto delle scelte che ha fatto. Il sistema funziona benissimo a meno di un particolare: che i dati che arrivano dalle aziende e che riportano contestualmente le aziende e gli occupati, in sede di elaborazione, vengono distinti in modo da creare due strutture fra di loro non più collegabili; una delle aziende e una degli occupati. Talché tutto il discorso sul mercato della forza lavoro, sulla situazione occupazionale, che almeno per l'INAM potrebbe essere, con aggiornamenti trimestrali relativi alla qualifica e alla mansione, rilevata e localizzata sul territorio nelle singole aziende, è tecnicamente impossibile. E' un problema che non ha carattere tecnico perché deriva da una concezione politica settoriale nei confronti della quale, le leggi regionali, l'attività della Giunta e la nostra attività sono state ferme e decise e, anche rispetto a questi parametri, chiediamo di essere giudicati.
Qual è la proposta che oggi in Piemonte è possibile, per quanto attiene le strutture mutualistiche? E' possibile non già subire la riorganizzazione dei servizi che le mutue avevano imposto con le loro sedi provinciali, ma è possibile - e chiedo che nella misura del realizzabile lo si faccia procedere nella riorganizzazione dei servizi unificati a livello delle singole ULS.
Tutti i cittadini iscritti all'Enpas, ad esempio, dovranno fare la scelta del medico e nei prossimi mesi si dovrà garantire una struttura amministrativa che sia capace di vedere soddisfatto il loro legittimo diritto di avere assistenza mutualistica.
La legge 39 è canone di interpretazione e ha carattere discriminante perché permette in Piemonte di riorganizzare le strutture mutualistiche negli stessi ambiti territoriali in cui noi riorganizziamo le funzioni comunali e quindi permette, in concreto, di dimostrare che nei confronti delle vecchie strutture dello Stato si procede ad una riorganizzazione legata alla volontà delle assemblee elettive.
Esiste un altro canone politico, fondamentale: utilizzare le anagrafi dei comuni, e non già dei duplicati di anagrafe, e di collegare per la prima volta il più efficiente strumento di indagine sulla popolazione sullo stato dell'attività lavorativa, sulle abitazioni e sulla salute che sia mai esistito nel nostro Paese. Anche quest'operazione di collegamento con le Amministrazioni comunali è resa possibile, dal punto di vista giuridico, dalla legislazione da noi approvata ed è resa possibile dalla volontà che questa maggioranza ha esercitato.
In questa fase è necessaria una funzione particolare del Consiglio regionale, una funzione che sia capace non soltanto di dare generici mandati e di delegare la loro realizzazione, ma che sia anche capace di seguire nella fase di costruzione e di indirizzo quelle scelte e quelle problematiche che hanno in qualche misura funzione legislativa e non soltanto funzione di mera esecutività di atti decisi.
Da questo ragionamento è possibile trarre una conclusione: il ruolo del Consiglio regionale deve essere potenziato e sviluppato al di fuori di questo ragionamento, l'accentuazione del ruolo del Consiglio regionale diventa esclusivamente l'accentuazione di dualismo di potere, di conflittualità e di gioco politico non realizzativo nei confronti dei cittadini.
Che cosa significa privilegiare il Consiglio? prendere atto dell'artificiosità della distinzione tra l'organo deliberante e quello di amministrazione e/o esecutivo, cui consegue l'esasperazione nella divisione dei ruoli: quello della maggioranza - che governa - e quello dell'Assemblea di frequente chiamata a ratificare maggioritariamente o meno, le indicazioni della Giunta. Ciò comporta anche che la Regione, con le modalità previste dalla Costituzione, si spogli di competenze meramente gestionali, la cui funzionalità, a livello centrale, è oltremodo discutibile porre rimedio all'inconsistenza delle strutture di cui il Consiglio dispone, deputate, attualmente, al mero funzionamento dell' organo, senza reali capacità di predisporre quell'elaborazione, anche di merito, che un'azione più incisiva dell'Assemblea presuppone riferire al Consiglio ed alle sue articolazioni anche tutta la fase preparatoria dell'attività, ivi compresi i rapporti con gli Enti coinvolti nell'attività stessa o ad essa interessati, nonché assicurare al Consiglio stesso, per l'espletamento delle sue funzioni legislative e di indirizzo politico, la collaborazione di tutti gli Enti strumentali, al fine di evitare la riproduzione a livello regionale, del meccanismo in atto a livello nazionale, che assicura al Governo, in dipendenza dell'effettiva disponibilità di risorse finanziarie, l'esclusivo potere di indirizzo rivedere la fisionomia e le funzioni delle attuali Commissioni a carattere "parlamentare", senza effettivi poteri di controllo (in tal senso appare interessante la soluzione lombarda), il potenziamento della funzione di controllo politico del Consiglio, nonché dei relativi strumenti di informazione, sono altresì la condizione per assicurare alla Giunta la sua funzione promozionale, anche nell'amministrazione attiva, in direzione del potenziamento delle capacità dei Comuni.
Dall'applicazione di tali principi ci si può attendere derivi il superamento del ruolo deteriore - e riduttivo - svolto dal Consiglio nel disegno politico ben caratterizzato nella passata legislatura.
Non c'è dubbio che la scuola di pensiero di Calleri ha condizionato i rapporti tra la Giunta e il suo Presidente, tra la Giunta e il Consiglio.



MARTINI Mario

Sarà l'ora di uscire da quella logica.



FERRERO Giovanni

Questa tua considerazione non va accolta. Non credo che sulla formulazione che ha fatto il Consigliere Martini vi sia da parte del nostro Gruppo alcuna difficoltà a procedere in concreto e istituzionalmente. Si tratta di valutare se esiste la volontà unitaria e la sufficiente capacità di definizione perché in materia di strutture, di rapporti con i Comprensori, nell'utilizzazione degli strumenti delle ULS si realizzi conseguentemente questo.
Se vi sono soluzioni soddisfacenti possiamo tutti insieme prenderle in considerazione.



PRESIDENTE

A questo punto sospendiamo i lavori li riprenderemo oggi alle ore 15.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 12,50)



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