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Dettaglio seduta n.17 del 24/11/75 - Legislatura n. II - Sedute dal 16 giugno 1975 al 8 giugno 1980

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SANLORENZO


Argomento:

Sull'ordine dei lavori


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
I Consiglieri hanno preso visione dell'ordine del giorno, in parte svolto nella precedente seduta, in parte non svolto per accordi fra i Capigruppo.
Suggerirei di seguire questo ordine dei lavori: dopo le "Comunicazioni del Presidente", si potrebbe dar corso alla discussione sul punto quarto.
"Relazione della Giunta regionale sul piano speciale delle opere stradali realizzato dall'A.N.A.S. in dipendenza dei decreti di emergenza", che mi pare possa essere esaurita rapidamente; quindi si potrebbe passare immediatamente al dibattito che costituisce il nucleo fondamentale delle sedute di oggi e di domani, con l'obiettivo di provvedere entro domani sera alle altre nomine, sostituzioni o correzioni ancora rimaste in sospeso, per le quali si è ottemperato ad alcune condizioni che non erano state ancora sufficientemente formalizzate nella precedente seduta. Quindi, fra oggi e domani dovremmo poter svolgere l'ordine del giorno in tutti i suoi punti.


Argomento:

Sull'ordine dei lavori

Argomento:

Comunicazioni del Presidente


PRESIDENTE

Passiamo al punto terzo dell'ordine del giorno: "Comunicazioni del Presidente".


Argomento: Ordine pubblico e sicurezza

a) Giovanissima vita stroncata per i tragici incidenti avvenuti davanti all'Ambasciata dello Zaire a Roma


PRESIDENTE

Signori Consiglieri, una giovanissima vita è stata ancora stroncata.
Questa la conclusione tragica degli incidenti avvenuti l'altro ieri sera a Roma, davanti all'Ambasciata dello Zaire, dove alcune organizzazioni extraparlamentari avevano indetto una manifestazione per il riconoscimento della Repubblica popolare dell'Angola.
Esprimiamo, prima d'ogni altra cosa, il nostro dolore profondo per il sangue che ancora una volta è stato sparso, sangue di un ragazzo diciottenne, Pietro Bruno; e aggiungiamo subito che dovrà esser fatta luce sugli avvenimenti di piazza Mecenate, che suscitano gravi e pesanti interrogativi, la meccanica dei fatti dovrà essere stabilita con esattezza nei dettagli. Occorrerà conoscere quali disposizioni erano state date al drappello dei carabinieri, se è stato dato l'ordine di sparare, da chi è stato impartito questo ordine. Occorre dare risposta a queste domande nell'interesse stesso delle forze di polizia, le quali non possono e non devono essere coinvolte nel loro insieme in questa sconsiderata e sanguinosa iniziativa.
Noi siamo dell'avviso che per sostenere cause giuste come quella dell'indipendenza dell'Angola siano utili tutte le iniziative che mirano nelle forme e nei contenuti, ad estendere il consenso di tutta l'opinione pubblica del nostro Paese, e che con questo obiettivo contrastano a volte forme di manifestazione a base di bombe incendiarie e commandos, che operano con metodi che alimentano la tensione e lo scontro e non aumentano invece il consenso. Ma le forze di polizia devono saper evitare che si giunga a simili tragedie. L'opinione pubblica, già turbata da tanti gravi problemi, e dal ripetersi di atti di violenza, è risolutamente contraria ad ogni gesto che possa ulteriormente aggravare la tensione, quella tensione sulla quale puntano forze ben individuate per sconvolgere l'ordinato sviluppo della vita democratica italiana in un momento così delicato.



(Tutti i Consiglieri in piedi osservano un minuto di raccoglimento)



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Presidente della Giunta regionale.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Signori Consiglieri, stamane una delegazione in rappresentanza degli studenti delle scuole di Torino è stata ricevuta alla Giunta regionale.
Ha posto il problema dell'uso delle armi in occasione di manifestazioni, ha chiesto un deciso pronunciamento della Giunta regionale in ordine al grave fatto di Roma e l'adozione, da parte del Governo regionale, di una iniziativa tendente al riconoscimento della Repubblica popolare dell'Angola.
La Giunta regionale condanna decisamente i fatti di Roma, l'uso indiscriminato delle armi, ed ha assunto immediatamente una iniziativa tendente a rappresentare in sede di Governo nazionale la necessità che in occasione di manifestazioni per i diritti democratici civili, sia del nostro Paese che del mondo intero, la polizia non abbia ad essere armata cosicché fatti luttuosi come quello dell'altro giorno non abbiano più ad accadere. La Giunta regionale condanna decisamente questi fatti. Nello stesso tempo ha assunto iniziative presso il Ministero degli Esteri del nostro Governo per il riconoscimento della Repubblica popolare dell'Angola.



PRESIDENTE

Darò la parola a chi la chiede su questo argomento dopo aver completato le mie comunicazioni.


Argomento: Problemi energetici - Linee elettriche

b) Insediamento impianti centrali elettronucleari Enel in due aree della Regione Piemonte.


PRESIDENTE

La Regione Piemonte ha ricevuto dal Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato la seguente comunicazione: "Si trasmette copia della delibera in data 9 ottobre 1975 con la quale il CIPE, d'intesa con la Commissione consultiva regionale, in ottemperanza del terzo comma art. 22 della legge 2 agosto 1975 n. 393, ha deliberato che le Regioni interessate all'insediamento delle centrali elettronucleari predette sono la Regione Piemonte e la Regione Lombardia.
Com'è noto, l'art. 22 della citata legge n. 393 prevede per le centrali nucleari in questione un procedimento di localizzazione abbreviato rispetto alla normale procedura, riducendo i tempi in ordine agli adempimenti di competenza delle Regioni previsti dal secondo comma dell'art. 2 della legge 393.
Si invita pertanto codesta Regione ad indicare, a norma del predetto art. 2, a questo Ministero due aree del proprio territorio suscettibili di insediamento di centrali elettronucleari. Si ritiene opportuno far presente che, attesa l'urgenza di avviare a realizzazione il programma elettronucleare per la produzione di energia elettrica, e considerato che il procedimento di localizzazione e di autorizzazione di questi impianti è particolarmente complesso, i tempi previsti dalla legge devono trovare puntuale applicazione, per cui codesta Regione, entro l'8 dicembre prossimo venturo deve indicare le due aree per l'eventuale insediamento degli impianti.
Il Cipe, vista la legge 2 agosto 1975 n. 393, visto in particolare l'art. 22, terzo comma, della legge considerato che nella riunione del 7 ottobre '75 la Commissione consultiva interregionale ha espresso parere favorevole all'insediamento nella Regione Piemonte per due centrali elettronucleari e un insediamento nella Regione Lombardia, per ora per una centrale elettro-nucleare e in un successivo momento per una seconda; udita la relazione del Ministro dell'industria, commercio ed artigianato delibera le Regioni interessate all'insediamento delle centrali elettro-nucleari di cui all'art. 22, terzo comma, della legge 2 agosto '75 n. 393 sono la Regione Piemonte e la Regione Lombardia, nei termini di cui al parere della Commissione consultiva interregionale citato nella premessa".


Argomento:

b) Insediamento impianti centrali elettronucleari Enel in due aree della Regione Piemonte.

Argomento:

c) Assegnazione progetti di legge


PRESIDENTE

Sono stati assegnati alla IV Commissione, su richiesta della VI Commissione, in data 21 novembre '75, i seguenti disegni di legge: n. 19, relativo alla "Concessione dell'indennità per inabilità temporanea assoluta a favore dei lavoratori autonomi dell'agricoltura coltivatori diretti e mezzadri, colpiti da infortunio sul lavoro" n. 20, "Corresponsione dell'indennità giornaliera in caso di ricovero ospedaliero a favore dei coltivatori diretti e mezzadri residente in Piemonte" n. 25, "Contributo regionale per l'assistenza farmaceutica ed integrativa ai coltivatori diretti per l'anno 1976 e successivi".


Argomento:

c) Assegnazione progetti di legge

Argomento:

d) Congedi


PRESIDENTE

Hanno chiesto congedo per la seduta odierna i Consiglieri Alasia Martini e Zanone.
Ha chiesto di parlare il Capogruppo della Democrazia Cristiana Consigliere Bianchi. Ne ha facoltà.



BIANCHI Adriano

Signor Presidente, su di un fatto così grave, che ci ha, ancora una volta, profondamente emozionati; come quello che è stato ricordato poc'anzi, supponevo, anzi auspicavo di potermi dichiarare facilmente d'accordo con le dichiarazioni e le enunciazioni che sarebbero state fatte in aula, conoscendo l'impegno alla responsabile ricerca di un equilibrato giudizio. Mi è parso che su questa strada ci si potesse rapidamente inoltrare, mentre ascoltavo le caute, attente, soppesate parole del Presidente del Consiglio.
E' morto un ragazzo di diciotto anni - potrebbe essere il figlio di uno di noi. Una morte che si poteva e si doveva evitare, un fatto che turba la vita democratica del nostro Paese, un morto che pesa in qualche modo sulla coscienza di tutti. Ma di fronte a situazioni, quale è quella in cui si trova il nostro Paese, ritengo non possano essere ammessi atteggiamenti ironici o ipocriti. Dobbiamo invece chiederci dove stanno le principali responsabilità per la morte di questo ragazzo.
Il Presidente del Consiglio ha ricordato che non è ammissibile che in una democrazia che si fonda sulla Resistenza e sulla lotta contro il fascismo si possa attaccare la polizia, bruciandone gli automezzi, con atti di guerra, e con armi da guerra tra le più efficaci, quali sono le bombe incendiarie, che consentono di contrastare l'azione delle armi più sommergenti che sono i carri armati. E non si può pretendere che dei giovani, presso a poco della stessa età di coloro che li attaccano, che sono preposti alla tutela delle libertà democratiche, si lascino bruciare non abbiano paura: ogni uomo ha diritto di aver paura quando corre il rischio della vita. Non si possono definire questi episodi, come ha fatto il Presidente della Giunta - e mi spiace moltissimo doverlo rimarcare "manifestazioni per diritti democratici civili", di fronte ai quali la polizia deve trovarsi disarmata. Questo è un giudizio che noi non possiamo assolutamente condividere, perché per questa strada si finirebbe davvero con il portare la nostra democrazia in pericolose secche.
Di questa situazione forze politiche responsabili si vanno rendendo conto ogni giorno. Risuonano ancora in quest'aula le parole con le quali il Capogruppo Berti, l'altro giorno, ha stigmatizzato episodi analogi a questo ed è stato un caso fortunato che in quella occasione non sia morto nessuno -, certi comportamenti, fatti, azioni che si svolgono nelle zone marginali della vita politica, della vita dei lavoratori del nostro Paese.
Questo ragazzo è morto ingiustamente, perché a diciotto anni ci si pu lasciar armare facilmente le mani, a diciotto anni si può essere sospinti da persone ciniche, da gente che vuol innescare delle bombe, da gente che vuol turbare la vita politica del nostro Paese. Perché nessuna Nazione civile può consentire che vengano attaccate e distrutte le Ambasciate di Paesi con i quali intrattiene rapporti, perché in nessun Paese democratico può essere consentito che dei cittadini assaltino la polizia, ritenendo di poterlo fare impunemente. Dobbiamo avere il coraggio di dirlo, una buona volta.
E' morto certo ingiustamente, questo ragazzo. Forse l'inchiesta che dovrà essere fatta, profonda, attenta - perché è giusto che la polizia debba saper controllare i propri gesti, i propri atti, i propri comportamenti, ad evitare ogni conseguenza letale, ogni conseguenza atta a turbare l'opinione pubblica - potrà chiarire molti punti oscuri. Ma giustizia vuole, se democratici si vuol essere fino in fondo per davvero che non si rovescino i termini e non si consideri questo atto come un atto quasi di involontaria provocazione, di leggerezza, di indifferenza della polizia, che spara su inermi dimostranti. Le vittime, sì, sono incolpevoli ma dietro queste ci sono responsabilità politiche che vanno denunciate come si è cominciato a fare, in maniera dura, energica, inflessibile perché non si pensi che sia possibile disarmare, non la polizia ma lo Stato democratico, seminando il disordine nel nostro Paese e mettendo in forze le sue istituzioni.
Per questo noi piangiamo questo ragazzo, chiediamo che si conduca una rigorosa inchiesta sul comportamento della polizia, perché così vuole uno stato di diritto, chiedendo anche alla stessa Polizia eroiche capacità di controllo. Ma non possiamo non fare in questo momento una denuncia dura energica, delle violenze e un proponimento di difesa dello Stato democratico di fronte ai tentativi che ogni giorno si compiono per turbarne la vita, per usare argomenti che possono anche essere in certe misure condivisi, al fine poi di travolgere i rapporti civili tra i cittadini.
Quanto all'Angola, non so, per la verità, cosa ci sia di democratico in quello che vi sta avvenendo. Non è certamente democratico il modo provocatorio, vile, in fondo, dimissionario con cui si compie la decolonizzazione: si decolonializza l'Angola abbandonandola al suo destino lasciando che le tribù, gli interessi locali, i nazionalismi circostanti, i conflitti di potenza, le concorrenza tra le grandi potenze si sfoghino su un piccolo Paese. Io non so che cosa avvenga laggiù di democratico. C'è sicuramente soltanto una vaga, confusa, generica aspirazione di quel povero popolo a trovare una forma di indipendenza e di convivenza che noi auspichiamo sia autenticamente democratica. Ma non sono democratici, né gli interventi di potentati economici, né gli interventi con ponti aerei di Paesi dove non esiste neanche la più larvale forma di democrazia.
Concorriamo quindi ad indirizzare i giovani verso autentiche battaglie democratiche, e non verso mistificazioni pretestuose attraverso le quali si cerca di turbare la vita del nostro Paese, che ha bisogno di compostezza di ordine democratico, di civile confronto tra le forze politiche, di capacità di affrontare i problemi con gradualità e proporzione tra i mezzi ed i fini che si vogliono perseguire.



PRESIDENTE

La parola al Presidente della Giunta, che l'ha chiesta.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta Regionale

Signori Consiglieri, la Giunta non ha certo approvato il lancio di bottiglie incendiarie: la Giunta si è limitata, stamane, ad esprimere la sua condanna e l'orrore per i fatti quali li ha appresi da alcuni resoconti che i giornali, sia "La Stampa" che "La Gazzetta del Popolo", hanno dato dell'episodio.



BIANCHI Adriano

La Giunta deve attingere a fonti ufficiali, non a generiche descrizioni.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Mi consenta, Consigliere Bianchi, di leggere alcuni passi che mi hanno vivamente impressionato e mi hanno indotto ad assumere questo atteggiamento.
"Sulla morte del giovane Bruno ci sono in realtà molti punti oscuri soprattutto l'episodio gravissimo e sconcertante accaduto non appena Pietro Bruno è caduto per terra, centrato dalle rivoltellate.
Pietro Bruno, dopo essere stato colpito, è rimasto immobilizzato.
L'agente del V Distretto e alcuni carabinieri lo hanno trasportato nel piazzale del Colle Oppio e gli hanno messo una casacca sotto la testa. Per assicurarsi che fosse ferito (il giovane era ormai in stato comatoso) sebbene urlasse, un militare ha infilato la mano sotto il giubbotto e l'ha ritratta insanguinata". E' un fatto che mi ricorda tanto alcuni episodi di molti anni fa, durante la guerra partigiana, ma in altro modo. Se non impressiona il Consigliere Bianchi, a me impressiona molto. "C'è un testimone, una ragazza, che ha assistito alla parte finale della sparatoria dalla finestra della sua abitazione. Avrebbe riferito di aver visto un uomo armato, in borghese, avvicinarsi al ferito ed insultarlo. Secondo quanto ha riferito la ragazza, costui, puntando la rivoltella in direzione della testa di Pietro Bruno, avrebbe esclamato: 'Ti ammazzo!' e fatto scattare a vuoto il percussore, mentre il ragazzo si riparava la faccia con le mani.
Sull'episodio è comunque in corso un'accurata indagine del magistrato".
Io non aggiungo parola.


Argomento: Viabilità

Relazione della Giunta regionale sul piano speciale delle opere stradali realizzato dall'Anas in dipendenza dei decreti di emergenza


PRESIDENTE

Passiamo al punto quarto dell'ordine del giorno: "Relazione della Giunta regionale sul piano speciale delle opere stradali realizzato dall'Anas in dipendenza dei decreti di emergenza".
La parola all'Assessore Bajardi



BAJARDI Sante, Assessore alla viabilità, attuazione e gestione delle infrastrutture

La delibera a mani di tutti i Consiglieri riassume i fatti e consente di essere sintetici.
Pregherei innanzitutto di considerare l'ipotesi di alcune modificazioni per cancellare certe inutili ripetizioni del nominativo di chi vi parla non determinate da sua volontà e per attribuire la convocazione della riunione con il Direttore generale dell'Anas al Presidente della Giunta. Sono correzioni puramente formali, già apportate al testo ufficiale della Giunta.
Le proposte presentate sono il risultato di un processo positivo, che ci pare abbia corretto in meglio le proposte iniziali e suggerisca, al tempo stesso, alcune considerazioni.
Prima di passare ad illustrarle, mi preme sottolineare il valore dell'incontro avuto con il Direttore generale dell'Anas, il quale, posto di fronte ai due quesiti con cui ci eravamo lasciati nella penultima riunione del Consiglio regionale, ha confermato l'urgenza della presentazione di un elenco - visto che giovedì 27 il Consiglio d'amministrazione dell'Anas dovrà decidere -, senza fornirci elementi sufficienti relativamente all'importo che verrebbe assegnato al Piemonte. Si tratta infatti - e questo è il nostro compito - dì fornire un elenco di priorità regionali che contribuiranno, però, a formare un elenco nazionale dai quale emergeranno le priorità definitive sulle quali sceglierà insindacabilmente il Consiglio d'amministrazione dell'Anas.
Venendo al merito delle proposte, ci pare che esse interessino in modo più completo il Piemonte, poiché comprendono opere relative al Cuneese ed al Novarese che non figuravano. Riguardano però, come era previsto, solo opere di completamento ed alcune opere minori (l'inclusione di queste è conseguente all'incontro con i dirigenti nazionali dell'Anas) di sicurezza della viabilità che, richiedendo spese non rilevanti, potrebbero eliminare punti di particolare congestione nel sistema viabile regionale. L'assenza dei progetti, però, e i vincoli obiettivi di spesa (e nessuno di noi è garante, anzi, non vi è alcuna certezza che questo elenco diverrà parte integrante delle scelte nazionali) non hanno permesso di considerare opere che, certamente necessarie, dovranno essere tenute presenti per una fase successiva.
Su alcune opere indicate vi è stata una maggior discussione nelle varie occasioni, in relazione in primo luogo ai bisogni più generali delle comunità locali, ed anche per quanto riguarda le concrete soluzioni adottate per certe opere. Si è discussa e proposta l'inclusione di un'opera che non apparteneva agli elenchi di opere con progetti Anas, ma dotata di progetto dell'amministrazione provinciale di Cuneo per quanto riguarda il ponte di Alba come variante della strada statale n. 29, che consentirebbe completando un'opera primaria rimasta tronca, di dare un assetto nuovo alla direttrice Asti-Alba-Bra e di conseguenza con le altre valli del Cuneese.
Quanto alla Statale 565, tratto Castellamonte-Ivrea, la cosiddetta Pedemontana, si propone un riordino del progetto eliminando una galleria e l'utilizzo dell'attuale sede fra Colleretto Giacosa e Borgonuovo di Banchette; si è tenuto, in questo caso, nel giusto conto l'opinione della comunità eporediese, che aveva vivacemente criticato l'impostazione progettuale nel suo complesso.
Si è discusso anche della Statale della Serra, e si è tenuto conto, in questo caso, in primo luogo della posizione assunta dalla comunità biellese, che ne sollecitava con forza la conclusione; i lavori, infatti si protraggono da oltre quindici anni. Le riserve delle Amministrazioni comunali dell'Eporediese, emerse anche nel dibattito precedente in questo Consiglio, riguardavano sia il complesso dei problemi ambientali quanto il fatto che non venivano considerate le esigenze di comunicazioni tra l'Eporediese e il Biellese. Poniamo, quindi, con forza l'invito a considerare questi due aspetti nella fase esecutiva, anche se ciò non è sufficiente ad eliminare le preoccupazioni sorte - e non solo mie o degli eporediesi - e che investono la stessa impostazione dell'opera, il suo ruolo effettivo nel sistema delle comunicazioni in quella parte della Regione piemontese; e ci auguriamo che questo nostro invito a riflettere seriamente nella fase esecutiva sia raccolto e siano risolte e le preoccupazioni di tipo ambientale e anche queste altre esigenze di comunicazione tra l'Eporediese e il Biellese.
Seguono nell'elenco il complesso delle opere minori e ancora la variante della strada statale 445 Pontestura-Camino, sulla direttrice Asti Vercelli, opera utile, economicamente valida, ma a pochi chilometri da Casale, uno dei punti di massima congestione della viabilità piemontese per la cui soluzione esistono proposte, non corredate di progetti esecutivi, di una tale rilevanza, però, da indurre certamente ad una riflessione sull'opportunità, sulla utilità di andare a nuove scelte in futuro.
E ancora, il raccordo di Alessandria con la Moltri-Sempione, da completare, intesa come variante della strada statale n. 20.
L'avere richiamato questo elenco ci pare sia quanto mai indicativo: possiamo definirlo un concentrato del come oggi si sia costretti a spendere risorse anche ingenti senza avere la matematica certezza di affrontare i problemi essenziali delle rispettive zone, trascinati in alcuni casi da decisioni che si perdono nei decenni, assunte in condizioni radicalmente diverse, di ordine economico in modo particolare.
Il nostro dovere di scegliere in tempi brevi, anche dopo avere lungamente consultato e meditato, ci rassicura, forse, sul piano formale ma restano in noi, almeno in me, profonde perplessità che ci inducono a creare per il futuro le condizioni in cui decisioni di tale rilevanza finanziaria siano assunte con il massimo di garanzia per la complessiva comunità piemontese. Abbiamo bisogno, sì, di spendere, ma abbiamo bisogno di una spesa qualificata.
Ci pare giusto sottolineare, a questo punto, la necessità di proseguire nei contatti proficui stabiliti con l'Anas - mi riferisco anche ad un contatto e ad una conclusione di rapporti relativamente allo snodo di Pinerolo, ove il rapporto fra forze sociali ed istituzionali ha permesso una semplificazione dell'opera, una riduzione degli oneri e la riutilizzazione di queste somme per il complesso della zona pinerolese. Si trattava di opere, diciamo, ordinarie, ma sono anche questi problemi da affrontare, piemontesi e nazionali, utilizzandone al meglio la disponibilità, come è stato affermato. Pensiamo di costituire un gruppo di lavoro che vada oltre la stessa presenza dell'Anas nel Comitato regionale di coordinamento dei trasporti e di viabilità e di far partecipare a questo gruppo di lavoro anche l'Ires, che ha il compito di portare avanti gli studi per il nostro piano regionale e di alcuni piani comprensoriali, per il momento; ancora, di accelerare la formulazione dei piani di trasporto e viabilità regionale e comprensoriale, con un ampio coinvolgimento delle istanze locali ed in particolare accelerando in questo caso la costituzione dei comprensori; di approfondire, poi, tutto il lavoro dipartimentale, nel dipartimento organizzazione e assetto territorio, e di accelerare la riorganizzazione interna degli stessi Assessorati, in modo che possano con competenza affrontare tutti quanti i problemi che emergono da questa esperienza, abbastanza completa e travagliata.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Oberto. Ne ha facoltà.



OBERTO Gianni

Ho letto con molto interesse la relazione che accompagna la proposta di deliberazione, ed ho ascoltato con interesse anche maggiore le dichiarazioni illustrative fatte oggi dall'Assessore Bajardi.
Prendo la parola per puntualizzare molto concisamente due aspetti particolari del contesto della delibera, ai quali avevo accennato già, di straforo, in una precedente riunione, mentre qui lo posso fare in termini di assoluta pertinenza.
E' chiaro, e io non me lo nascondo, che quando un'opera è iniziata ed ha percorso praticamente i due terzi di quello che è lo sviluppo naturale come la strada che congiunge Biella alla Statale per collegarsi poi con la Valle d'Aosta, non può fermarsi a quel punto rimanendo inutilizzata, perch il denaro speso per i primi due tratti andrebbe così sciupato. Mi è parsa quindi opportuna questa presa di contatto con le rappresentanze delle forze canavesane della zona dell'Eporediese e giusta la sottolineatura che è stata fatta poi a matita, ma che dovrebbe essere invece corpo essenziale e sostanziale della tabella che verrà mandata, insieme al parere, da parte del Presidente della Giunta all'Anas, della esigenza, per la strada della Serra, che, in termini assoluti, nella fase esecutiva si esamini quella che dovrà essere la formula terminale della immissione della strada nel territorio del Comune di Settimo Vittone; soluzione che può presentare anche delle difficoltà (posso immaginarle, pur non essendo né un ingegnere né un architetto) ma che sarà senz'altro migliore di quella prospettata nel progetto, quanto di meno opportuno, quest'ultima, possa esservi non solo dal punto di vista ambientale ma anche dal punto di vista strutturale della integrità della comunità di Settimo Vittone.
Sotto questo profilo il mio voto sarà favorevole, con questa esplicita richiesta: che da parte del Presidente della Giunta e dell'Assessore particolarmente addetto a questo servizio si stimoli l'Anas a superare quelle difficoltà di ordine tecnico che, ripeto, non mi nascondo, per evitare che un'opera di questo genere possa essere motivo di turbativa dell'ambiente, anzi della struttura della stessa comunità di Settimo.
Così come apprezzo lo sforzo che è stato fatto nei confronti dell'Anas per la Pedemontana. E credo che qui il compito sia stato più agevole perché l'Anas stessa aveva in passato già previsto una diversificazione del tracciato nell'ultima parte della Pedemontana, al fine di consentire una utilizzazione concreta del terzo ponte di Ivrea, dando effettivamente uno sfogo, uno sblocco, che non resti motivo soltanto di concentrazione di uno sfogo sulla città di Ivrea e nella città di Ivrea ma che consenta invece quell'ampio respiro di una strada di comunicazione più ampia. E pertanto apprezzo che anche sotto questo profilo si sia prevista la diversificazione del punto terminale della Pedemontana, che, giunta in territorio di Colleretto di Parella, deve inserirsi su un'asta diretta alla zona di Banchette che consenta poi, girando attorno alla parte bassa di Ivrea l'innesto sul ponte.
C'è da augurarsi - mi pare che l'Assessore Bajardi abbia cautamente posto innanzi una specie di interrogativo, non esplicitato ma implicito nelle sue parole - che ci siano i denari sufficienti per fare queste opere con queste riserve che noi abbiamo indicato terminali, e che non costituisca soltanto un'altra attesa inutile.
Questo discorso con l'Anas è stato già in passato tante volte prospettato in questo Consiglio regionale. E' gran bene che finalmente si sia iniziato e che l'Anas si sia decisa ad avere come interlocutore - come del resto, vuole un decreto delegato - questo Consiglio regionale e la Regione tutta.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Gandolfi. Ne ha facoltà.



GANDOLFI Aldo

Signor Presidente, signori Consiglieri, come ha già ricordato l'Assessore, la Commissione II ha avuto tre occasioni di discussione con l'Assessore Bajardi in merito ai problemi sui quali oggi ci troviamo a deliberare, una delle quali è stato l'incontro già ricordato con la Direzione generale dell'Anas, accompagnata dal Direttore del Compartimento di Torino La Commissione si è trovata concorde sulla proposta dell'Assessore di arrivare ad una verifica delle opere e ad una indicazione degli ordini di priorità, tenuto conto di una serie di fattori che dovevano essere innanzitutto quelli di una distribuzione degli investimenti il più possibile ampia sul territorio regionale e una verifica di coerenza rispetto alle ipotesi di assetto del territorio fino ad oggi elaborate dall'Ires.
Abbiamo dovuto farci carico - l'ha ricordato l'Assessore Bajardi prima e poco fa il Consigliere Oberto l'ha rilevato - di situazioni ereditate dal passato, cioè di opere eseguite per due terzi, con impostazioni progettuali molto discutibili, ma che tuttavia in questa fase non erano più modificabili nella loro sostanza se non con proposte di ridimensionamento o di correttivi dei quali ci auguriamo vivamente che l'Anas voglia tener conto.
Credo dì poter interpretare il parere unanime della Commissione II ribadendo in questa sede la necessità di un rapporto più frequente e continuo con l'Anas sulla impostazione di questi progetti. Se ha avuto un senso l'avvio che c'è stato di questo incontro abbastanza proficuo, come già ricordava l'Assessore Bajardi, con la Direzione generale dell'Anas, è stato quello di impostare un metodo di lavoro che dev'essere assolutamente mantenuto. Questa volta ci siamo fatti carico di situazioni molto discutibili del passato, ma la Regione deve essere garantita dal ripetersi di situazioni di questo genere, essere non solo chiamata ad esprimere un parere ma ad entrare nel merito delle impostazioni progettuali delle opere che si faranno per il futuro. E quindi - l'Assessore Bajardi lo ha già dichiarato prima, come impegno della Giunta - la Regione dev'essere presente e partecipe alla impostazione dei piani stradali dell'Anas. Ci auguriamo che l'Anas non diserti quelle occasioni di discussione e di impostazione di piano che attraverso il Comitato regionale di coordinamento dei trasporti la Regione dovrà fare nei prossimi mesi.
Con questo augurio e questa indicazione di limiti e di riserve, noi riteniamo di poter licenziare il parere su questa proposta di deliberazione della Giunta e votarla in Consiglio.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Borando. Ne ha facoltà.



BORANDO Carlo

Signor Presidente, signori Consiglieri, debbo dichiarare di non essere molto soddisfatto di questo programma.
Ho sentito il Presidente della Commissione II, Consigliere Gandolfi accennare alla opportunità che gli impegni di spesa di questo genere siano distribuiti con equità sul territorio regionale. Ebbene, devo rilevare che per la provincia di Novara la somma prevista per opere di intervento è limitata a un miliardo e 200 milioni.
Questa cifra concerne, in sostanza: la ricostruzione del ponte di Cureggio, sulla statale 142, all'ingresso di Borgomanero, opera in attesa di realizzazione dall'epoca dell'alluvione del 1968, perché l'Anas non l'hai mai compresa fra i tanti lavori effettuati in questi anni, e si è decisa a metterla in cantiere solo ora in vista dell'intervento straordinario dello Stato la ricostruzione di tre ponti lungo la Statale 337 della Val Vigezzo per un importo complessivo di cento milioni (penso, tre ponticelli più il drenaggio delle acque dai muri di controripa) la sistemazione della progressiva dal km. 35 al km. 37 sulla Statale 34 la rettifica dell'innesto sulla strada provinciale di Castelletto Ticino, vicino al ponte di Sesto Calende, un punto cruciale, dove i morti si contano ormai a decine, probabilmente uno di quei punti neri che l'Assessore Petrini aveva fatto segnare l'anno scorso sulla carta, a seguito di uno studio del suo Assessorato la costruzione di un paravalanghe sulla strada per Macugnaga, ad evitare che con il sopraggiungere dell'inverno, in dicembre, e più ancora all'epoca del disgelo, in marzo-aprile, la cittadina rimanga isolata e debbano intervenire gli elicotteri svizzeri per collegarla con la restante parte della provincia.
Il Comune di Novara da ormai quattro anni, con l'approvazione unanime del Consiglio comunale, aveva fatto redigere il progetto della variante di Novara, che oggi può comportare una spesa di almeno 30 miliardi, ma che deve essere costruito per lotti, per il necessario collegamento della Statale 32, quella che viene dal Lago Maggiore, della 229, quella che viene dal Lago d'Orta, e della strada provinciale della Valsesia, con la Statale n. 11, la Padana superiore Novara-Trecate, che è poi la Torino-Milano. Dato che a quest'opera nel programma neppure si accenna, è probabile che chissà per quanto tempo ancora l'intero traffico delle succitate strade continuerà a riversarsi in una città di oltre centomila abitanti, creando gravi difficoltà di circolazione. A Novara quel poco che si è fatto lo si deve alle esclusive forze del Comune. Eppure, mentre non si provvede minimamente al problema di Novara, vedo programmate le varianti per Cavallermaggiore per Alba e per altre località, opere di cui non metto in dubbio l'importanza, ma che non credo siano più utili della variante novarese.
Poiché conosco abbastanza bene queste cose, mi viene il sospetto che certe decisioni in merito alle opere da mandare avanti, con giustificazioni di ogni genere, siano il più delle volte il frutto di sollecitazioni di Consigli e di pressioni magari di imprese locali le quali hanno interesse ad assicurarsi lavori a pie' di cantiere piuttosto che in zone lontane, e pertanto invito il signor Presidente della Giunta e il signor Assessore ad essere guardinghi per l'avvenire affinché si operi Veramente secondo giustizia distributiva ed obbiettive necessità.
Ho citato il problema di Novara, ma avrei dovuto parlare anche di quello di Omegna, dove la situazione è pure estremamente critica nell'impostazione di questi lavori sarebbe opportuno che si tenesse anche conto delle necessità di zone come questa, economicamente assai, in ribasso, dove i servizi terziari sarebbero importantissimi e industria e artigianato hanno un ruolo rilevante.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Picco. Ne ha facoltà.



PICCO Giovanni

Signori Consiglieri, penso che, al di là di valutazioni ed attenzioni su specifici problemi e casi particolari, il Gruppo della Democrazia Cristiana, avendo partecipato alle discussioni in II Commissione sul piano Anas, debba portare il suo assenso; indipendentemente da talune insoddisfazioni e limiti già ricordati e che mi preme riprendere, sia pure concisamente.
Limiti ed insoddisfazioni derivano sostanzialmente dalla inadeguatezza di documentazione sulle opzioni offerte, anche perché molto probabilmente la caratteristica del provvedimento, che viene a configurarsi come intervento di emergenza in un quadro di spesa tutt'altro che continuativa conferisce al provvedimento stesso rilevante interesse; pertanto avremmo desiderato di poter offrire un apporto tecnico e politico e più meditati giudizi e valutazioni con una documentazione più estesa.
Mi risulta che era stata impostata precedentemente - è già stato ricordato - una analisi sullo stato di fatto della situazione della grande viabilità; non v'è dubbio che anche per le scelte che dovremo operare successivamente sarà opportuno che l'Assessorato predisponga in proposito valutazioni pertinenti; anche senza i diagrammi della "trentesima ora" per ogni tratto, per lo meno si dovrebbe poter sintetizzare le rilevazioni di traffico che vengono effettuate, mi pare due volte all'anno, dalle Amministrazioni provinciali.
Sottolineo inoltre l'esigenza, già ricordata, di più frequenti confronti con l'Anas, che si dovranno collocare appunto in un quadro di maggiore consapevolezza delle opere da varare, dei contributi che si dovranno dare; ciò sia per le opere di grande viabilità, sia per quelle che usufruiranno dei contributi previsti da leggi regionali per una logica di raccordo rispetto a decisioni a scala superiore.
Un'ultima raccomandazione: la Regione ha chiesto i pareri su queste opere alle Amministrazioni provinciali, le quali hanno finito con l'eludere in larga misura le aspettative che noi probabilmente avevamo sulle loro indicazioni; ciò perché è prevalsa la logica della gestione di un compito istituzionale, cioè di un'attività della Provincia, quando invece sappiamo che queste opere evidenziano certe necessità e priorità nella misura in cui vengono valutate ad una scala forse inferiore, per esempio quella comprensoriale; purtroppo è stata del tutto ignorata nelle considerazioni e nei pareri espressi dalle Amministrazioni provinciali.
Per capire la realtà e la utilità di certe opere, è necessaria riferire alla effettiva scala alla quale sono state riferite le esigenze della progettazione.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Alberton. Ne ha facoltà.



ALBERTON Ezio

Il mio sarà un intervento molto particolare. Mi riallaccio a quanto già prima di me ha detto il Consigliere Oberto circa le opere cosiddette della Pedemontana e della Mongrando-Settimo.
Oltre alle caratteristiche ambientali della zona messe in pericolo da quest'ultima e che è importantissimo salvaguardare, sulle quali richiamo a mia volta l'attenzione, vorrei invitare l'Assessore, considerato che stanno per essere investite, nella zona Eporediese-Biellese, cifre molto consistenti in rapporto alle disponibilità attuali (arriviamo sui 7-8 miliardi di preventivo), a fare ogni sforzo perché, pur prendendo necessariamente atto di quanto già consolidato sul terreno; si possa ancora intervenire per ricondurre le opere stradali che si stanno realizzando in un quadro integrato di comunicazioni.
Più ancora che la questione ambientale, ci preoccupa il dubbio se la strada Mongrando-Settimo, così come progettata, corrisponda effettivamente al quadro di comunicazioni che dovrebbero esistere e coesistere tra le varie aree piemontesi. Il fatto che contemporaneamente si porti ad un certo grado di soluzione il problema delle comunicazioni fra l'Eporediese ed il Canavese occidentale attraverso il completamento del sistema viario di Ivrea verso ovest dovrebbe indurci ad intervenire, Consiglio e Giunta, per tentare in quanto possibile di modificare la progettazione attuale.
In questo senso, siccome esiste, a disposizione delle forze politiche delle forze istituzionali, già un patrimonio di consultazioni, con provincia di Torino, Enti locali, Anas, pregherei l'Assessore, prima di dare il via definitivo alle opere, di riprendere questa consultazione molto estesa, non limitando il confronto ai Comuni capoluogo delle due aree, Ivrea e Biella, ma coinvolgendo veramente tutti i Comuni di quest'area, in modo che in sede tecnica si possano ravvisare quei correttivi ai progetti attuali che meglio integrino le due aree e trovino una collocazione delle opere stradali in un quadro il più possibile completo.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Cardinali. Ne ha facoltà.



CARDINALI Giulio

Signor Presidente, parlo spogliandomi un poco della veste di Consigliere regionale per assumere quella di Consigliere del Comune di Novara.
Noi abbiamo visto disatteso dal piano Anas, e in primo momento accettato ma poi disatteso anche dall'intervento regionale, il problema della tangenziale di Novara. Siccome si tratta di un problema molto acuto per la città, la cui mancata soluzione ne condiziona lo sviluppo e che in realtà determina una strozzatura con la quale occorrerà fare i conti nei prossimi anni in maniera drammatica, per la salvaguardia proprio dello sviluppo della città, io chiedo all'Assessore l'impegno di mantenere nei confronti della questione della tangenziale di Novara non solo una viva attenzione ma una disponibilità per eventuali pareri che fossero richiesti alla Regione in questo senso, anche perché noi siamo convinti che i canali di finanziamento probabilmente si riapriranno, al di là di quelli previsti da questa fase del piano.
Solo se da parte della Giunta ci sarà questo impegno il mio voto sarà favorevole; altrimenti, dovrò necessariamente pronunciarmi in senso negativo.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Menozzi. Ne ha facoltà.



MENOZZI Stanislao

Condivido "toto corde" alcune riaffermazioni di principio e i richiami fatti alla necessità del coordinamento e della programmazione in riferimento all'attuazione di determinate opere perché le stesse non abbiano a dimostrarsi disaggregate, scoordinate e al limite inutili.
Mi compiaccio anche del fatto che nell'allegato sia stata inserita, nel piano, un'opera che, per quanto non preventivata, è apparsa talmente valida da imporsi per l'inclusione nell'elenco esecutivo.
Non posso però non dichiarare la mia delusione nel vedere disattese alcune opere, interessanti la Provincia di Asti, che a suo tempo erano state in gran parte progettate e, per alcune delle quali, anzi, era stato pronunciato, in linea di massima, parere favorevole. E' vero che Asti è una Provincia di modestissime dimensioni, m per quella giustizia distributiva che ha caldeggiato il Presidente della II Commissione e cioè cercare di interessare equamente tutto il territorio regionale nella esecuzione di certe opere, viene da chiedersi se per caso l'Astigiano non faccia più parte del territorio piemontese. Va anche tenuto presente che Asti, per la sua particolare collocazione, al centro di un triangolo che ha come poli Torino, Milano e Genova, registra un flusso di gran lunga superiore alle sue dimensioni, flusso che provoca intasamenti veramente notevoli: cito, a titolo esemplificativo, il tratto Asti-Isola, per il quale la progettazione presentata aveva ottenuto parere di massima favorevole, sulla Statale del Turchino, ove gli incidenti non si contano più. Di quelle cinque o sei opere, se non vado errato, due o tre avevano ottenuto parere favorevole oggi risultano totalmente ignorate. Vorrei che l'Assessore competente mi indicasse, se possibile, i motivi di queste gravi omissioni.



PRESIDENTE

Chiede di parlare il Consigliere Bellomo. Ne ha facoltà.



BELLOMO Emilio

Signor Presidente, prendo brevemente la parola anch'io, soprattutto in veste di Consigliere della Provincia di Vercelli, per dare atto del lavoro svolto dalla Commissione e dall'Assessore ai trasporti ed alla viabilità per dichiararmi d'accordo soprattutto su quanto ha proposto il Presidente della Commissione II, cioè che si decida di istituzionalizzare un rapporto con l'Anas permanente, continuo, costante, vorrei dire non soltanto ai fini della impostazione ma anche di un controllo. Forse così si riuscirà ad evitare che si verifichino casi come quello relativo alla 299 della Valsesia, in sponda destra del fiume, che è una strada senza paternità non si sa se è del demanio, dell'Anas, non è certamente della Provincia potrebbe essere del Consorzio di bonifica montana -, una strada per la quale sono stati spesi alcune centinaia di milioni, e che è ancora, oggi come oggi, allo stato di pista indiana, buona al più per il passaggio delle greggi, ma non certo in condizioni da favorire lo sviluppo della Valsesia raddoppiando l'attuale budello in sponda sinistra che si dimostra sistematicamente non rispondente alle esigenze degli abitanti della Valsesia, soprattutto del turismo domenicale di massa che si riversa in quella valle.
Ho visto che questa strada è stata collocata in graduatoria all'ultimo posto: chissà quando, allora, e se ci saranno i quattro miliardi e mezzo tra l'altro, una cifra non irrilevante - per realizzare questa strada, a monte della quale, oltre tutto, non c'è unità nella impostazione tecnica da parte delle popolazioni locali. Sarebbe opportuno riprendere le consultazioni e arrivare quanto meno a rendere funzionale questa strada così che possa svolgere nel quadro della viabilità vercellese la sua funzione precipua e singolare.



PRESIDENTE

Poiché non ho più iscritti a parlare, dò pertanto la parola all'Assessore Bajardi per la replica.



BAJARDI Sante, Assessore alla viabilità, attuazione e gestione delle infrastrutture

Mi pare che alcuni dei rilievi mossi derivino dal non avere a disposizione sufficienti elementi di informazione.
Noi potevamo lavorare solo sulla base dei progetti - quelli esecutivi non quelli di massima - approvati dal Comitato tecnico amministrativo.



BORANDO Carlo

Loro approvano quello che fa loro piacere.



BAJARDI Sante, Assessore alla viabilità, attuazione e gestione delle infrastrutture

Io posso oggi esprimere pareri solo - l'ha già constatato qualcuno - su quanto altri hanno precostituito all'esterno del Consiglio regionale.
La nostra discussione può spaziare fino ad affrontare le cause di questa scelta vincolata: resta però il fatto che la scelta è vincolata.
Secondo punto. La inclusione nel piano del ponte di Alba ha una spiegazione ben specifica: il progetto di massima esecutivo è pronto ed è persino stato discusso nel Comitato tecnico amministrativo dell'Anas, ma per ragioni di ordine giuridico non ha mai avuto l'imprimatur dello stesso Comitato ma solo quelli della Provincia di Cuneo e degli organi di ratifica nostri, regionali, in tempi più lontani.
Qualcuno degli intervenuti ha sottolineato la necessità di tener conto in modo particolare dei problemi del Novarese nel loro complesso. Siamo stati trattenuti anche dalla profonda convinzione che purtroppo questo sarà un elenco abbastanza velleitario (sul quale si abbatterà spietatamente la mannaia). Inoltre, ci si doveva occupare esclusivamente di opere di completamente, non di opere nuove, mentre opera del tutto nuova è la circonvallazione di Novara, opera indubbiamente necessaria, indispensabile.
E' stata mossa l'obiezione, più che legittima, che sono comprese nell'elenco, invece, alcune circonvallazioni di Comuni che rientrano nel campo di opere minori connesse alla viabilità. Ci si è limitati a scegliere nel modo migliore possibile all'interno di quell'elenco molto vincolante tutti sappiamo che cosa significhi per il traffico dover entrare in una città come Cavallermaggiore -, e considerando l'ulteriore vincolo delle opere di completamento. E queste decisioni sono il risultato di un lavoro condotto concordemente da tutta la Commissione. Mi rendo benissimo conto che possono non soddisfare tutti, ma è indubbiamente una delle soluzioni meno peggiori, considerato il complesso delle condizioni che ci sono state poste.
Sono pienamente d'accordo - elementi di questo genere erano già contenuti nelle mie proposte conclusive - sull'esigenza di darci un quadro di riferimento più corretto, ed è fuor di dubbio che il quadro di riferimento più corretto è quello regionale, e poi la dimensione comprensoriale sulla quale operiamo giorno per giorno. In questo senso abbiamo fatto uno sforzo, perché abbiamo convocato tutti i Sindaci dei Comuni capoluogo di comprensorio. Potrei dire che in una certa misura essi si sono comportati allo stesso modo delle Amministrazioni provinciali vedendo i problemi del capoluogo del comprensorio, e non i problemi del comprensorio nel loro complesso. Non si tratta di drammatizzare anche su questa constatazione: si tratta di prendere atto che il comprensorio è tutto da fare, e si tratta quindi di dare ad esso una identità con il nostro lavoro e di determinare una coscienza comprensoriale, ammesso che le dimensioni che sono state assunte non comportino nel futuro profonde verifiche. Questa dimensione, questo impegno di creazione di una coscienza comprensoriale, resta la strada sulla quale noi dobbiamo operare.
Vi sono stati dei suggerimenti in relazione ad alcuni comprensori. Voi mi incoraggiate in questa azione di ulteriore tallonamento dell'Anas nella fase esecutiva, particolarmente per quanto riguarda la strada della Serra.
Già nella mia introduzione vedevo nella conclusione cui siamo arrivati, il meno peggio, non certamente il meglio. Oso sperare che il fatto che tutte le forze politiche qui presenti siano unanimi nel considerare come una esigenza di ulteriore approfondimento nella fase attuativa di questo progetto esecutivo induca l'Anas a cogliere questo nostro stimolo ad andare a quella fase comprensoriale di consultazione non solo per alcune cose marginali ma per tener conto che il problema è più di fondo e che questo non è da considerare come un'opera che tenta di creare intoppi alla realizzazione ma è diretto, nel momento in cui sono acquisite le risorse, a realizzarla al meglio, nell'interesse di tutta quanta la comunità.
Queste le considerazioni di ordine maggiore che mi pare indispensabile fare, rinviando poi ai lavori del Comitato regionale di coordinamento dei trasporti e della viabilità, all'interno del quale è presente il rappresentante dell'Anas, anche il tentativo di portare avanti il discorso.
Permane in me la convinzione dell'opportunità che un apposito gruppo ristretto dell'Assessorato operi con l'Anas a verificare, giorno per giorno, a questo punto tutti gli altri progetti, già attuati e che non sono stati inseriti, ad accelerare la elaborazione di altri progetti che si considerano prioritari rispetto a quelli già pronti. Ma ciò sarà possibile nella misura in cui il discorso comprensoriale cresce in avanti, ci mette in condizione di poter decidere meglio in futuro rispetto al quadro che abbiamo proposto oggi, che certamente non è ottimale.



PRESIDENTE

Chiusa la discussione, passiamo al progetto di delibera della Giunta che recita così: "Il Consiglio regionale del Piemonte preso atto delle proposte di programma formulate dall'Anas in ordine ad interventi urgenti di completamento nel campo della viabilità statale da attuare con le disponibilità finanziarie di cui al decreto interministeriale Tesoro-Lavori pubblici per contrazione mutui, che prevede un finanziamento di L. 300 miliardi a favore del bilancio Anas;.
considerato che in linea generale si deve riconfermare il principio che ogni programma di interventi nel settore delle opere pubbliche deve tener conto di proposte di base, verificate e coordinate in un momento di sintesi regionale e solo successivamente nazionale considerato altresì che lo spirito informatore e attuativo del suddetto provvedimento impone programmazioni a tempi brevissimi, per cui corretto è stato l'iter istruttorio delle proposte avanzate dall'Anas visto l'art. 9 del D.P.R. 15.1.1972 n. 8 visto l'elenco di cui all'allegato C) delibera 1) di approvare l'allegato elenco programmatico di interventi nel campo della viabilità statale da realizzarsi a cura dell'Anas 2) di dare mandato alla Giunta regionale di comunicare ufficialmente al Ministro dei lavori pubblici - Presidente del Consiglio di amministrazione dell'Anas, l'elenco suddetto affinché ne venga tenuto in debito conto in sede di programmazione nazionale 3) di proseguire nei proficui contatti avviati con gli organi centrali e periferici dell'Anas, costituendo un apposito gruppo di lavoro, al fine di garantire una continuità negli studi informativi, tesi alla formulazione di un programma comune di interventi, uniformando alle necessità e agli obiettivi dei singoli programmi comprensoriali e regionali, nel quadro degli strumenti di piano che saranno allestiti".
Questo il progetto di delibera. Non essendovi più richieste di parola passiamo al voto, che avverrà per alzata di mano.
La delibera è approvata a maggioranza, con 3 astensioni e un voto contrario.


Argomento: Industria - Commercio - Artigianato: argomenti non sopra specificati - Problemi del lavoro e della occupazione

Dibattito sui risultati della Conferenza regionale sull'occupazione, gli investimenti e lo sviluppo economico


PRESIDENTE

Passiamo ora a quello che era l'ultimo punto iscritto e cioè: "Dibattito sui risultati della Conferenza regionale sull'occupazione, gli investimenti e lo sviluppo economico".
Introduce la discussione il Presidente della Giunta.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Signori Consiglieri, è trascorso circa un mese dalla Conferenza sull'occupazione, gli investimenti e lo sviluppo economico indetta dalla Giunta su mandato del Consiglio regionale.
La conferenza ha costituito l'adempimento ad un preciso impegno che le forze che compongono l'esecutivo si erano assunte nel momento stesso in cui venne redatto il programma regionale della nuova Giunta.
L'organizzazione di una conferenza rispondeva allora ad una esigenza di approfondimento sullo stato dell'occupazione e sulle possibilità reali di sviluppo, costituendo altresì una prima occasione di verifica con tutte le forze sindacali, sociali, economiche ed imprenditoriali che operano nella Regione.
Non ci illudevamo allora, né quello era l'obiettivo, che dalla Conferenza potessero scaturire gli elementi per il superamento della crisi perché profonde sono le radici di essa e complesse le ragioni che l'hanno determinata e che vanno ben al di là dei confini della nostra Regione.
Riteniamo tuttavia che della Conferenza si possa dare un giudizio globalmente positivo, per una pluralità di aspetti.
Si è trattato di una prima occasione di incontro fra forze numerose rappresentanti tutto il panorama politico, economico e sociale non soltanto della Regione Piemonte, ma delle più importanti componenti produttive e politiche nazionali.
Pur nella diversità e talvolta nella netta contrapposizione di impostazioni, si sono andati delineando, con chiarezza, interessi ed obiettivi da perseguire.
La complessità e diversificazione del dibattito ha offerto un contributo all'approfondimento dei problemi, se pure con tagli politici ed ideologici diversi.
D'altro lato è stato riconosciuto da tutte le forze democratiche intervenute e presenti, il ruolo della Regione, che ne è uscita rafforzata sotto il profilo politico. E' stato riconosciuto da tutte le componenti l'assemblea che la Regione Piemonte si colloca oggi, non soltanto come un interlocutore, ma come contesto valido, globale, in cui far convergere le problematiche; come momento politico-istituzionale non solo non sottovalutabile, ma indispensabile al superamento della crisi.
Come infatti hanno evidenziato la relazione introduttiva e lo stesso dibattito che ad essa è seguito, il Piemonte - Regione trainante nel momento dello sviluppo - è oggi, in fase di recessione economica e produttiva, particolarmente colpita, risentendosi in essa più gravi tutti i fenomeni di attacco ai livelli occupazionali e produttivi.
Questo quadro, che assume aspetti di imponente gravità, costituisce l'elemento di confronto e di condizionamento di tutte le scelte valutazioni ed iniziative politiche che andremo ad assumere.
Se come forze attualmente al Governo dobbiamo valutare la Conferenza come fatto politico positivo, registrare il consenso o quanto meno l'attenzione ed aspettativa verso il nostro operato, tuttavia la realtà occupazionale ed economica del Piemonte ci riconduce ancora una volta ad individuare nel contributo di tutte le forze politiche democratiche unitariamente considerate, l'unica reale possibilità di superare l'attuale grave, per alcuni versi drammatica, situazione di crisi.
La Conferenza ha offerto un dibattito ed un confronto stimolante, per la pluralità e la rilevanza politica ed economica delle forze presenti ribadendo il ruolo prioritario del sindacato per un rapporto con il mondo del lavoro che veda i lavoratori partecipi e protagonisti anche in questo momento di estrema delicatezza.
E' emersa altresì l'esigenza, per le stesse forze del mondo imprenditoriale, di un rapporto diverso, di un interlocutore pubblico valido, di un programma realistico entro il quale operare.
Tuttavia molti sono i problemi aperti, che la Giunta ha richiamato nel documento consegnato in previsione del dibattito odierno.
La crisi di grandi e medie aziende, le difficoltà in cui versano settori trainanti dell'economia piemontese e nazionale sono emerse in tutta la loro chiarezza Ma accanto a ciò è emerso un altro dato, confortante.
Le forze che si sono espresse direttamente e indirettamente hanno dimostrato che il Piemonte nelle sue diverse componenti è oggi una Regione viva e che le forze sociali che operano in essa intendono operare in senso costruttivo.
Vi è un rifiuto profondo dell'attuale modello che ha comportato uno sviluppo distorto sotto tutti i profili, umano, sociale, culturale, prima ancora che economico ed industriale.
La domanda che emerge è domanda di profonda trasformazione sociale.
Le istanze di partecipazione che hanno così radicalmente mutato l'assetto politico del Piemonte, consentendo un ribaltamento di coalizioni politiche, non possono soddisfarsi nel verificare soltanto rapporti numerici di maggioranze politico-amministrative modificate.
I lavoratori della Montedison, della Pirelli, delle fabbriche minacciate dalla disoccupazione chiedono, accanto al mantenimento del posto di lavoro e come parte integrante di esso, un nuovo modo di vivere nelle nostre città, un freno all'intervento attuato caso per caso disorganicamente, casualmente.
Questa maturità dimostrata dalle forze democratiche organizzate accresciuta dalle esperienze sociali, politiche ed amministrative della nostra Regione, dall'incontro di culture, di lavoratori, di esigenze umane diverse, costituisce un reale patrimonio di forze su cui far leva, perché è maturità che vuole alternativa riscontrabile in tutti i ceti sociali.
Pensiamo che cosa il Piemonte - anche negli ultimi decenni - ha significato in termini di unità per il nostro Paese, unità nel movimento dei lavoratori del Nord e del Sud, unità sindacale e democratica; pensiamo alle esperienze di alcune amministrazioni locali della nostra cintura torinese, che hanno superato problemi derivanti da un incremento di popolazione stravolgente, basandosi sulla sensibilizzazione e partecipazione democratica.
E' stato detto nel corso del dibattito che non vi sono indicazioni operative precise per raggiungere un modello nuovo e alternativo.
Ma ci sentiamo di rispondere che intanto vi è estrema chiarezza su ci che non deve più essere e che il voto del 15 giugno ha largamente dimostrato di non essere più voluto: un modello di sviluppo caotico, non programmato, non rispondente a nessuna logica, neanche più alla logica del profitto e dell'interesse privato.
La nostra logica, quella che qui oggi rappresentiamo, risponde a esigenze largamente condivise che non vogliamo deludere, a esigenze che non trovano più motivo né sociale né tanto meno politico di dilazionamento.
Se molti problemi la Conferenza dell'occupazione ha lasciato aperti, su uno ha fatto estrema ulteriore chiarezza; che non esiste oggi in Piemonte una diversa coalizione di Governo capace di raccogliere e rappresentare le istanze dei lavoratori, gli obiettivi del movimento sindacale, le aspettative sociali e culturali delle forze che oggi costituiscono l'impianto trainante e la base per una ripresa.
Riteniamo che le stesse considerazioni valgano per le forze imprenditoriali, economiche e finanziarie che hanno individuato nella Regione Piemonte oggi un interlocutore sufficientemente serio a cui prospettare piani e proposte, anche gravi e negative, che noi ci sentiamo di discutere e contrastare con fermezza, con la forza che ci consentono l'appoggio democratico ed il consenso dei lavoratori, che se possono divergere da noi su metodi e momenti di intervento, non possono tuttavia dubitare sulla volontà politica e sugli obiettivi comuni di lotta.
E' da questa base politica, improntata a volontà di confronto aperto con tutte le forze democratiche ed a realismo sulla gravità e lunghezza della crisi, che la Giunta regionale affronta oggi questo dibattito nel Consiglio regionale, ritenendo questa la sede idonea per avviare la fase successiva alla preparazione ed all'esame dei risultati della Conferenza la fase cioè dell'elaborazione del piano regionale di sviluppo, adempimento questo previsto nel programma della Giunta; piano che, vogliamo dire qui subito, non costituisce un mero fatto tecnico ma si colloca come "compito politico" che trova la sua base nelle considerazioni qui fatte.
Proprio perché non consideriamo il piano come fatto tecnico, né come "summa" delle buone intenzioni, riteniamo corretta la verifica politica avviata con la Conferenza e che deve oggi fare un ulteriore passo innanzi con l'esame di prime indicazioni e proposte contenute nel documento presentato.
La Giunta regionale ha fino ad oggi adempiuto agli impegni che si era assunta nel programma, ma certamente l'impegno di lavoro più gravoso è costituito dalla elaborazione di un piano regionale di sviluppo inteso come avvio di una reale fase articolata di programmazione economica e territoriale.
E come nell'adempimento degli impegni precedenti la Giunta ha sempre ricercato ed ottenuto il consenso e la collaborazione di tutte le forze politiche democratiche qui presenti, nello stesso spirito con cui ha impostato aspetti delicati e non irrilevanti, quali il rinnovamento di organismi direttamente e indirettamente regionali, così si accinge ad aprire il dibattito ed il confronto con le forze politiche, consapevole che la Regione si appresta infatti a compiere un passo innanzi come soggetto attivo della politica economica.
Dobbiamo ricordare che a ciò la Regione è richiamata in base alla sua funzione specifica di organismo istituzionale di natura politico legislativa che deve svolgere un compito prevalente di programmazione, così come è richiamato dal nostro Statuto sia nei principi generali che specificamente nel titolo VI inerente la programmazione regionale, la formazione ed attuazione del piano.
Si tratta pertanto di un adempimento anche di natura istituzionale e statutaria a cui sono richiamate tutte le forze politiche democratiche che già votarono unanimemente lo Statuto regionale.
Ma l'esigenza di dare corpo al piano è dettata anche da altri elementi in questo attuale momento di grave crisi economica, si avvertono con particolare evidenza le carenze, diremmo quasi il vuoto politico, a livello nazionale; i poteri pubblici centrali ipotizzano sempre meno interventi politici programmatori capaci di organizzare con concretezza e organicità una consistente domanda pubblica.
Già nel corso del dibattito svoltosi in Consiglio regionale, in occasione dei programmi che la Regione era chiamata a redigere per il pacchetto di interventi di emergenza, avemmo modo di esprimere il nostro dissenso da questo tipo di politica affannosa e disorganica.
In questo contesto la Regione deve avviare iniziative politiche di programmazione usando tutte le sue competenze e strumenti legislativi e di intervento, atti ad avviare processi di riconversione, capaci di incidere efficacemente, su alcuni settori produttivi, rispondendo così alle esigenze sociali, sanando con un intervento politico il conflitto crescente fra avanzata maturità sociale, domanda di interventi efficaci, contesto economico gravemente deteriorato.
Per far questo occorre coinvolgere tutte le forze politiche, chiarire e stimolare il rapporto con le forze sindacali, verificare, forti del consenso popolare su cui basa la nostra volontà politica di programmazione le possibilità di intervenire sulle scelte imprenditoriali e private utilizzare strumenti di intervento già esistenti, realizzarne di nuovi.
Per avviare un nuovo processo di sviluppo che collochi programmaticamente nel tempo obiettivi ed interventi, bisognerà tener conto di tutto quanto avviene a livello nazionale, essere attenti ai programmi delle altre Regioni, esercitare un'attività di pressione sul Governo nazionale.
E' necessario infatti ricordare ancora una volta in questa sede che lo svolgimento dell'attività legislativa e di programmazione è ancora gravemente condizionato dal quadro della politica economica nazionale politica al cui mutamento le Regioni devono impegnarsi, esigendo la pienezza delle competenze, il riesame della finanza regionale e di tutti i meccanismi frenanti attualmente esistenti, che condizionano operativamente l'attuazione delle leggi regionali.
A tal fine il dialogo, già in atto da parte delle Regioni con il Ministro per l'attuazione delle Regioni, deve essere potenziato facendo assumere al Governo posizioni e decisioni concrete, rifiutando il carattere di consultazioni ed incontri troppo sovente e troppo a lungo meramente interlocutori.
Sbloccare, attraverso l'intervento del Governo, alcuni nodi di carattere economico e finanziario inerenti il meccanismo della spesa pubblica, contribuirà a mettere in moto concretamente la possibilità di interventi.
Siamo infatti consapevoli che l'elaborazione di un piano regionale di sviluppo non si esaurisce con la mera indicazione di miliardi di spesa, ma va individuato come momento che colleghi operativamente l'erogazione e gli interventi, ai processi sociali in atto, scegliendo priorità di intervento per alcuni settori, richiedendo contrazioni e sacrifici per altri settori.
Anche per questo il piano è un momento di crescita politica che deve essere discusso, dibattuto ed accettato democraticamente nei suoi limiti dalle forze che hanno espresso verso di noi consensi ed aspettative.
Non vogliamo fare un documento fine a se stesso, non intendiamo promettere genericamente decine di miliardi, ma scegliere e realizzare concretamente, alcuni interventi inseriti in un piano organico, finalizzato alla realizzazione di un nuovo modello di sviluppo che va nella direzione di un diverso nuovo modo globale di vita.
Obiettivo prioritario del piano sarà certamente l'occupazione utilizzando tutte le risorse esistenti, facendo leva su tutti gli elementi di ripresa e di aggregazione.
Nel merito il documento presentato contiene un'ampia e più dettagliata indicazione.
Voglio qui richiamare, in particolare, un aspetto dell'occupazione giovanile e femminile su cui gravemente pesa la crisi economica.
Al proposito desidero ricordare che è in preparazione una Conferenza nazionale sul tema: "Sviluppo sociale ed economico del Paese ed occupazione femminile" cui anche la Regione Piemonte dovrà portare il suo contributo il fenomeno della disoccupazione femminile, in alcuni particolari settori assume infatti carattere di gravità sia quantitativi che qualitativi venendo ad investire tutto il sistema dell'assetto dei servizi e dell'organizzazione sociale.
Il Piemonte ha già partecipato ad un primo incontro a Roma, per la costituzione di gruppi di lavoro della Conferenza e la Giunta si riserva di definire i modi e le forme per proseguire tale presenza, con il contributo qualificante che può derivarne dalle numerose esperienze di lotta condotta dalle lavoratrici della nostra Regione.
La difesa del posto di lavoro ha infatti visto impegnati migliaia di lavoratrici e lavoratori, che hanno saputo condurre la loro lotta, non limitandola a mera rivendicazione, ma facendo emergere il contenuto sociale e politico della loro azione.
I lavoratori sanno che le forze che li rappresentano alla Regione stanno dalla loro parte, ma la classe lavoratrice della nostra Regione proprio per la concretezza e maturità che la contraddistinguono, sa che se pure non cominciamo dall'anno zero esiste, tuttavia, una enorme sproposizione fra la massa e la complessità degli interventi necessari e la possibilità, a breve e a medio termine, di alcuni tipi di intervento possibili.
Pure è necessario cominciare, non parlare soltanto più di attività di programmazione della Regione, ma avviare alcune scelte politiche in questa direzione, scelte fatte che dovranno inserirsi nel contesto nazionale tenendo conto del divario fra Nord e Sud, dei problemi e delle esigenze del Mezzogiorno, per dare spazio e realizzare gli stessi obiettivi sociali culturali, di crescita democratica per tutti i lavoratori, di eliminazione di sprechi pubblici e di speculazioni di ogni tipo.
Se il piano potrà dunque essere nuova occasione di confronto politico e nuova occasione di corretta amministrazione esso sarà anche momento di crescita istituzionale.
La Regione ha comunque alle spalle cinque anni di esperienze legislative.
Il discorso per la redazione del piano può essere oggi più maturo tenendo conto delle esperienze fatte dalle diverse regioni, per l'acquisizione di sempre più organiche competenze.
Usando di tutti i poteri istituzionali della Regione nella redazione del piano si dovrà tener conto del completamento di trasferimento di funzioni cui verrà data attuazione a seguito della legge delega al Governo così pure la redazione del piano non potrà prescindere dalla considerazione della realtà territoriale e politica dei comprensori, essendo in fase di attuazione, e sarà pure occasione per approfondire altri problemi aperti importanti, quali le deleghe di funzioni regionali e la stessa struttura degli uffici regionali.
Anche sotto questo profilo il piano è dunque momento di confronto politico.
Signori Consiglieri, il dibattito che si svolgerà in questi due giorni prende lo spunto dall'esame della Conferenza sull'occupazione, ma la Giunta ha voluto presentarsi in questa circostanza ancora una volta con un discorso politico chiaro, ritenendo che si debba affrontare ora la fase più propriamente operativa del piano.
Per questo il documento presentato è un documento di impostazione metodologica su come si intende procedere, ma anche di riepilogo sugli impegni adempiuti e sugli specifici impegni di settore.
E' ora necessario passare ad individuare obiettivi precisi di intervento, cominciando dagli strumenti già esistenti.
Innanzitutto la Regione Piemonte avrà alla fine del '75 circa 200 miliardi di residui passivi. L'impegno che la Giunta regionale si assume oggi è di mettere a punto, attraverso il piano, tutti i meccanismi operativi e, dove necessario, anche legislativi, per mobilitare rapidamente tutte le risorse della Regione.
Comprendiamo che il meccanismo che ha generato la rilevante entità dei residui passivi è dovuto ad una serie di condizionamenti reali ricollegabili alla stessa impostazione delle leggi statali e regionali.
Tuttavia, nell'impegno globale di utilizzare ogni possibile economia il problema dei residui passivi della Regione deve essere il primo degli adempimenti che la Giunta deve affrontare con decisione, indicando come obiettivo il 31 dicembre '76 per dar corso a tutta la spesa, eliminando tali residui.
Sappiamo perfettamente che questo nostro impegno ha il sapore di una sfida, perché di fronte a noi stanno antichi sbarramenti legislativi burocratici, di meccanismi finanziari non dipendenti da noi.
Ma la Regione con estrema rapidità deve superare la fase del puro controllo di atti di altri enti operanti nella Regione (vedi Comitati di Controllo), o di mera erogazione o di trasferimento di fondi, per diventare invece l'organismo di promozione di intervento diretto, di programmazione di stimolo per tutti i momenti economici e sociali della collettività piemontese.
Perché ciò non diventi una mera dichiarazione di buona volontà è necessario che la Giunta indichi tale scadenza per concretizzare di fronte alla comunità piemontese tale impegno.
Tutto ciò richiede che tutti gli uffici regionali siamo investiti di alte responsabilità e si sentano coinvolti, quali intelligenti operatori, a realizzare quanto è scritto nello Statuto regionale piemontese e nelle linee politiche che il Consiglio regionale ha discusso ed approvato.
Questo è il primo impegno a brevissimo termine, è la prima risposta che la Giunta intende dare per contribuire al superamento della crisi drammatica attraversata, in particolare, dalla nostra Regione.
Questo impegno al 31 dicembre si allarga, inoltre, all'adempimento di tutte le pratiche, cui l'esecutivo è chiamato a dare risposta, attualmente pendenti nei diversi dipartimenti.
E non si tratta nemmeno di impegno irrilevante, se si considerano gli strumenti urbanistici, i trasporti, l'agricoltura, l'ecologia, le opere pubbliche, la pianificazione territoriale.
La Giunta si propone altresì, a medio termine, di organizzare la spesa per progetti operativi di intervento, proponendo al Governo stesso una riforma finanziaria della legge 281.
Questo obiettivo dovrà essere perseguito, in un contesto generale unitamente alla altre Regioni.
Il Piemonte si accinge alla redazione del piano, consapevole dei limiti di partenza oggi esistenti, che orienteranno la Giunta a scegliere alcuni interventi programmatici volti alla realizzazione dei servizi sociali e delle infrastrutture, al potenziamento della imprenditorialità minore e dell'agricoltura, nell'ambito delle competenze specifiche della Regione.
Dal dibattito odierno scaturiranno obiettivi e proposte.
Quello che le forze responsabili oggi dell' esecutivo auspicano, è la volontà, da parte di tutte le forze, di dare il loro contributo, anche critico, ma costruttivo, che consenta di operare nella seconda legislatura con diversa impostazione di medio periodo nei settori scelti come campo di intervento.
In questo spirito di collaborazione e di operatività, la Giunta regionale si augura venga accolta da tutto il Consiglio la fase di programmazione di interventi che intendiamo avviare come contributo politico ed operativo al superamento dell'attuale crisi economico-sociale.



PRESIDENTE

Secondo oratore è l'Assessore Simonelli. Ha facoltà di parlare.



SIMONELLI Claudio, Assessore alla programmazione e bilancio

Cercherò di non dilungarmi eccessivamente, anche perché il documento che la Giunta ha elaborato e presentato contiene già in modo molto ampio ed analitico una valutazione sui risultati della Conferenza economica regionale, l'indicazione delle metodologie e della intelaiatura del piano regionale di sviluppo, ed un'ampia rassegna di politiche di settore, cioè di indicazioni operative che i diversi Assessorati vengono elaborando e che saranno evidentemente approfondite nel corso della redazione del piano.
Mi limiterò ad accennare ad alcuni di questi elementi, quelli che ritengo utile consegnare con un maggiore approfondimento al dibattito di oggi e di domani.
Per quanto concerne in particolare la Conferenza, mi pare che quanto diceva poc'anzi il Presidente sia stato in pratica il giudizio unanime delle forze politiche e sociali intervenute: cioè, gli aspetti positivi che sono stati evidenziati riguardano senz'altro l'ampiezza del confronto che in quella sede c'è stato tra le forze politiche e le forze sociali ed anche l'esplicito riconoscimento del ruolo politico della Regione, del fatto cioè di riconoscere alla Regione la funzione di guida nei processi di riconversione e di sviluppo che avvengono sul nostro territorio.
Anche l'analisi dei fattori della crisi, sia regionale che nazionale ha consentito di fare dei passi avanti, di acquisire elementi utili per il dibattito; così come ha consentito alle forze sociali e politiche intervenute di evidenziare gli aspetti macroscopici che rendono necessaria l'adozione da parte del Governo di una politica industriale, che rendono necessario un rilancio della programmazione, gli aspetti di crisi e di paralisi delle strutture della pubblica amministrazione, che rendono sempre più impraticabile l'uso della spesa pubblica ai fini di sostegno della congiuntura e ai fini di un'azione anticiclica.
Forse più carente, e anche questo gli intervenuti l'hanno rilevato, è stato il confronto sui temi propri dell'azione operativa dell'Ente Regione cioè, le considerazioni che sotto questo profilo erano pur contenute tanto nella relazione del Presidente Viglione quanto nella relazione introduttiva del Vicepresidente Libertini sono andate in gran parte perse nel dibattito che ha prevalentemente centrato la sua attenzione sui temi generali di politica economica e meno sugli aspetti legati alle capacità operative della Regione; anche se ci sono stati interventi incentrati particolarmente su questi temi, quali quelli svolti da alcuni colleghi del Consiglio (Gandolfi, per esempio, Paganelli, Rossotto). Vale forse la pena che in questo dibattito noi ci soffermiamo in modo particolare anche su questo lato del problema.
La Giunta potrebbe ritenere che la mancata indicazione di ipotesi alternative rispetto a quelle contenute nei programmi e nei propositi enunciati sia un risultato positivo, nel senso che non è emersa in sede di conferenza alcuna posizione antitetica, non è stato prospettato alcun progetto alternativo a quello che la Giunta ha esposto. E questo è indubbiamente vero. Ma pensiamo che non valga la pena di soffermarsi su queste considerazioni ma occorra approfondire per verificare nel confronto dialettico franco, aperto ed approfondito quali siano i nodi che abbiamo di fronte. Del resto, il Presidente Viglione poc'anzi è già entrato nel vivo di questa problematica, citando alcuni di questi problemi, che io riprenderò nel corso del mio intervento.
In effetti, sarebbe un errore macroscopico da parte nostra perdere l'occasione che ci viene offerta dalla elaborazione del piano regionale di sviluppo, non cogliendo questo momento in cui le tensioni e la preparazione di una classe politica, dopo vent'anni (perché sono vent'anni che si parla di un piano regionale di sviluppo, ancora da prima che ci fosse la Regione da quando alcuni di noi si sono esercitati in sede di Comitato regionale della programmazione economica, ad individuare quel primo schema di sviluppo regionale), arrivano a definire il primo piano regionale di sviluppo, per approfondire tutta la problematica che abbiamo di fronte, e quindi se non sviluppassimo tutte le potenzialità insite nell'Ente Regione tanto sul terreno legislativo quanto sul terreno dei contenuti di un'azione più propriamente politica degli impegni politici della Regione, quanto sul terreno della mobilitazione della spesa pubblica.
Da questo punto di vista occorre certamente raccogliere la spinta che è venuta da parte di tutte le forze politiche e sociali intervenute alla Conferenza verso una ripresa della politica di programmazione; e allora cogliere come dato che la Conferenza ci ha consegnato la necessità che è stata manifestata perché una politica di piano riparta. Da questo punto di vista la Regione deve raccogliere la spinta per quanto le compete, in tutta l'ampiezza delle sue possibilità di intervento, che sono evidentemente diverse a seconda dei livelli a cui si manifestano, di un apporto critico e costruttivo alla programmazione nazionale, di una rigorosa politica di opzioni prioritarie e di mobilitazione di risorse per quanto riguarda gli interventi diretti dell'Ente Regione, di sollecitazione, integrazione e coordinamento per l'azione degli enti locali, di confronto e di indicazioni programmatiche sul terreno delle scelte con il sistema degli operatori economici.
Dalla Conferenza emerge, come primo sbocco operativo, preciso e concreto, il piano regionale di sviluppo, con gli altri documenti della programmazione che a norma di Statuto devono accompagnare tale piano, cioè essenzialmente il piano pluriennale di attività e di spesa, che si dovrà tradurre in un bilancio pluriennale per obiettivi, e i piani di settore.
Ma certamente questo non è l'unico sbocco concreto ed operativo che nasce dalla Conferenza. Occorre ricordare, intanto, l'importanza che ai fini del ruolo che la Regione gioca è rivestita anche dalla azione quotidiana, amministrativa e politica, della Regione, specie con riferimento agli interventi a difesa dei livelli occupazionali e volti ad impedire l'ulteriore restrizione della base produttiva, che impegnano in una defatigante ma tuttavia indispensabile azione praticamente ininterrotta. E poi la produzione legislativa, che, in coerenza con l'impostazione politico-programmatica che presiede alla redazione del piano, si prefigge importanti interventi innovativi nei settori di competenza regionale.
Il documento che la Giunta ha predisposto indica una serie di interventi legislativi, che vanno nella direzione di soluzioni estremamente precise e concrete in diversi settori. Basti ricordare la legge urbanistica regionale, la legge-quadro sui trasporti, la revisione della legge sull'artigianato, il corpo legislativo indicato in materia di agricoltura i nuovi interventi nel settore socio-sanitario.
La politica della spesa, invece, non deve più essere considerata come uno dei possibili modi di operare della Regione, quasi che si trattasse di qualcosa di distinto e di diverso rispetto agli interventi di piano: con la redazione del Piano regionale di sviluppo, la politica della spesa dovrà essere ricondotta interamente, e cioè sia per la parte relativa agli investimenti prioritari sia anche per la parte che concerne la gestione ordinaria dell'ente, dentro la logica e al servizio della strumentazione della programmazione. Non è cioè più possibile immaginare che gli interventi di piano riguardino soltanto una parte della spesa regionale quasi una parte nobile, quella che viene destinata ad alcuni investimenti prioritari, che appartiene ad alcuni strumenti di intervento pluriennale, e tutto il resto del bilancio, quello che appartiene alla gestione ordinaria venga invece continuamente gestito secondo le regole tradizionali. E' una vecchia dicotomia che occorre superare per dare operatività, concretezza realismo all'attività di spesa della Regione, per farle assumere quella funzione anticiclica che noi vogliamo e che nella Conferenza si è evidenziato come possibile.
Al fine di realizzare questo obiettivo, il piano dedicherà, come dir più avanti, una particolare attenzione proprio ai problemi connessi al processo di formazione in senso lato degli impegni di spesa, alla gestione ed all'efficacia degli interventi regionali, alla definizione di progetti integrati e di programmi operativi di settore.
E' forse più facile dire che cosa il piano non deve essere. Il piano certamente non può essere il piano-messaggio tradizionale, ma deve essere insieme un documento e l'inizio di un processo: un documento che offra un quadro di riferimento certo e quantificato, e quindi indichi una politica precisa alle forze sociali; ma anche un processo, cioè un'occasione permanente di verifica e di aggregazione del consenso, al fine di garantire il massimo di efficacia a tutti gli interventi previsti, tanto degli operatori pubblici che di quelli privati.
Se è vero, come è vero, e come è certamente nelle nostre intenzioni che il piano deve riguardare l'insieme degli interventi realizzabili ai vari livelli, cioè non solo quelli propri della Regione come ente ma quelli che attengono ai livelli centrali di governo, quelli propri degli enti locali e quelli propri degli operatori, è anche vero che, salvo che per ci che riguarda direttamente la Regione, il piano non può essere coercitivo ma deve essere in varia misura indicativo di propositi, di azioni politiche di suggerimenti, di proposte sul terreno programmatico. E allora è chiaro che il piano dev'essere un processo attorno al quale verificare il consenso delle parti sociali, degli enti locali e delle forze sociali chiamati con la Regione a gestire questa politica di piano, che devono, quindi, essere responsabilizzati continuamente.
Quindi, il piano mon si esaurisce nel momento in cui viene proposto, ma diventa occasione di una continua e costante verifica, per saggiarne continuamente il consenso sociale, il grado di fattibilità, il tipo e il grado di impegno delle forze sociali del sistema regionale nella sua attuazione.
In questo quadro, che è delineato dalla rigorosa formulazione delle possibili ipotesi di evoluzione delle principali grandezze socio-economiche sul territorio piemontese, l'Ente Regione, però, non intende essere una sorta di testimone impotente delle naturali evoluzioni congiunturali e strutturali del sistema, ma vuole introdurre modifiche e correttivi rispetto a quelli che potrebbero apparire i naturali andamenti dell'occupazione, degli investimenti, dei tassi di attività, concordando il più possibile i propri interventi con le forze sociali.
Per far questo, il documento di piano non può essere una summa delle problematiche emergenti nel contesto regionale, con una generica elencazione di tutti gli interventi possibili, come erano gli schemi del CRPE, senza un riscontro di fattibilità, e senza individuare quali sono i diversi livelli ai quali si riconnettono le possibilità degli interventi.
Ma è indispensabile invece proprio individuare correttamente le sfere di competenza e gli ambiti di intervento che sono propri della Regione e quelli che attengono agli altri soggetti, e tra questi in particolare distinguere quelli della pubblica amministrazione centrale, Governo e Parlamento.
Questa distinzione non la facciamo come alibi per sottrarci alle scelte globali o per evitare coinvolgimenti. Siamo, anzi, consapevoli che proprio dalla possibilità di stabilire rapporti adeguati con il livello centrale, e quindi, in ultima analisi, dalla forza contrattuale della Regione, e delle Regioni, oltre che dalle scelte generali di politica economica del Paese come ricordava il Presidente poc'anzi, dipenderà buona parte della stessa credibilità del Piano regionale e dell'azione complessiva della Regione.
Cioè, noi siamo consapevoli. Quando diciamo che una serie di fatti non dipendono da noi ma da altri livelli di Governo, e li indichiamo per quello che sono, non lo facciamo per sottrarci alla necessità di andare anche in quella sede a formulare delle proposte, ma lo facciamo, anzi, sapendo che proprio se non muta il modo con cui il Governo ha affrontato finora i temi della politica generale e i temi della politica economica, anche i piani regionali, il nostro come tutti gli altri, non avranno concrete possibilità di operare, o ne avranno in misura molto ridotta. Per questo è importante il confronto costante con il Governo, la cui sopravvivenza, del resto, si sta giocando attorno ad un programma a medio termine che dovrebbe vedere coinvolte nella sua discussione le Regioni (che, a dire il vero, avrebbe dovuto anzi vederle coinvolte anche nella sua elaborazione), se non altro per il rilievo che in esso assumono gli impegni di difesa della occupazione, di riconversione dell'operato produttivo e di trasformazione dell'economia, cioè temi sui quali le Regioni sono già oggi, al di là di competenze formali, interlocutore necessario del Sindacato e delle imprese.
Dobbiamo dire che su questo terreno il confronto con il Governo è largamente insoddisfacente, tanto sul tema della politica istituzionale quanto in materia di destinazione di risorse finanziarie, quanto infine sullo scopo specifico della programmazione. Non è più possibile accettare la segmentazione per settori e competenze che il Governo tenta di imporre nei rapporti con le Regioni. E quindi non è più possibile continuare a discutere con i vari ministri i diversi aspetti della politica nei confronti della Regione, quasi che avesse veramente un senso che le Regioni si impegnino in una serie di bracci di ferro isolati: una volta con il Ministro per la Sanità, per chiedere l'integrazione del fondo sanitario ospedaliero, il giorno dopo per chiedere il piano dei trasporti, il giorno dopo ancora per chiedere di partecipare in altra sede diversa alla discussione del bilancio dello Stato, e poi ancora per farsi finanziare, in un'altra occasione, i programmi regionali di sviluppo. Non è possibile che si debba procedere in questo modo, anche perché questo tipo di frammentazione, di segmentazione delle competenze non deriva soltanto da una concezione distorta dei rapporti Stato-Regione, ma deriva in pratica da una generale inefficienza dell'Esecutivo, che sempre meno compare nella sua globalità come interlocutore capace di gestire la politica generale del Paese, e sempre più appare come un insieme di ministri che giocano ciascuno la propria politica di settore.
Se è vero come è vero che anche del programma a medio termine abbiamo visto più di una versione - abbiamo visto il memorandum di Colombo, poi quello fatto di La Malfa, poi quello di Donat-Cattin -, è chiaro che ogni ministro si gestisce l'ambito del suo dicastero come se fosse portatore di una propria, diversa, autonoma politica economica; ed ogni ministro quindi, riflette nei confronti delle Regioni una logica che nasce dalla natura del proprio dicastero e dal prestigio che egli affida al proprio piano.
Questa situazione, alla lunga, logora la stessa credibilità dell'Esecutivo, e rende difficile configurare i termini di un corretto raffronto con le Regioni. E allora, per quanto ci compete, attraverso il piano dobbiamo essere sollecitatori di una messa a fuoco complessiva della problematica generale Stato-Regione, far emergere nei rapporti fra Stato e Regioni gli elementi qualificanti, che consentano di giungere a confronti globali, non episodici, con il Governo. E questi confronti non li vogliamo sul terreno della filosofia, ma sul terreno operativo, là dove si decidono gli impegni di spesa e le procedure secondo cui spendere.
E da questo punto di vista non possiamo non rilevare la profonda insoddisfazione che il programma a medio termine lascia alla Regione.
Programma a medio termine che è, anche nella stesura certamente un po' più raffinata di quella che ha visto la luce, per lo più una mera elencazione di provvedimenti di spesa pluriennale, ma senza alcuna indicazione concreta sul modo in cui queste somme, queste risorse vengano reperite e come vengano spese. Si arriva da un lato a quantificare certi interventi, ma dall'altro a lasciare nel vago quale sia la fonte da cui promanano le risorse. Quando si dice: il piano per la riconversione produttiva coinvolge tremila miliardi in tre anni, di cui una parte a carico dello Stato evidentemente si formulano soltanto delle vacue parole, siamo sul piano della programmazione cartacea, come e peggio che per il passato, perché a questo punto non si fa un passo avanti nella direzione giusta, che è quella di quantificare le risorse, di definire a che cosa sono destinate, di indicare il terreno concreto sul quale si va a verificare le cose da fare le scelte da compiere nella politica di riconversione.
E così è per gli altri interventi, anche per quelli che attengono ai rapporti Stato-Regione. Quando nel programma a medio termine si rileva giustamente che con i provvedimenti di emergenza si è dato soddisfazione nel settore dei trasporti, soltanto ad una parte delle richieste delle Regioni, e cioè si è dato il via all'acquisto di diecimila - non trentamila autobus, si dice anche che il Governo ha intenzione di venire incontro a questa parte non soddisfatta del fabbisogno indicato dalle Regioni, e quindi è disponibile a verificare con le Regioni la possibilità di coprire il fabbisogno, questo cosa significa, quali garanzie ci offre? Che cosa mettiamo noi a bilancio, per arrivare al dunque? Come impostiamo i nostri programmi, volti a realizzare un piano autobus? Dobbiamo allora chiedere che su questo terreno si vada a confronti più serrati. E pare un paradosso che nel momento in cui ci imbattiamo, noi accusati ripetutamente di lasciare nel vago i nostri programmi, con i programmi del Governo, dobbiamo scontare un grado di indeterminatezza, di indecisione, di inattendibilità sui livelli globali delle risorse, largamente superiori a quelli della più inefficiente delle Regioni del nostro Paese.
In questo quadro non basta, poi, un confronto serrato su questi temi occorre anche affrontare tutta la problematica istituzionale, anche qui sul terreno preciso, concreto, degli adempimenti, e non delle filosofie. Io credo che le Regioni facciano bene, ormai, ad abbandonare le battaglie di tipo autonomistico tradizionale ed a collocare invece nel raffronto con il Governo i temi di una verifica precisa, puntuale, concreta. E allora occorre fare il discorso della legge di delega 382 sul completamento del trasferimento di funzioni alle Regioni, perché siano rispettati i tempi ed i contenuti. E, badate, dovremmo già cominciare a poter discutere qualcosa se i tempi fossero rispettati, perché la delega scade a luglio e non vorremmo essere chiamati il 30 luglio a discutere il progetto dei decreti delegati dal Ministro delle Regioni, così come la ridefinizione del sistema di competenze e di distribuzione di risorse fra i diversi livelli della finanza pubblica, e quindi riproporre ancora in questa sede il tema della riforma del testo unico della legge comunale e provinciale, del testo unico della finanza locale, la riforma della legge 281 della contabilità regionale e anche il riesame globale della finanza regionale, compresa anche la possibilità, almeno a livello di studio e di proposta, di verificare se non convenga ripristinare il sistema previsto dalla Costituzione, che era basato su una autonomia finanziaria delle Regioni, e quindi anche su forme di autonoma capacità impositiva delle Regioni.
Da questo punto di vista non può non essere salutato con profonda preoccupazione il fatto che stia scadendo il termine previsto dalla legge di delega della riforma tributaria, cioè della legge 9 ottobre '71 n. 825 che prevedeva che venissero emanate delle norme relative alla definizione delle funzioni e dei compiti che risulteranno assegnati per legge ai Comuni ed alle Province, cioè una delega per gli interventi di ridefinizione delle funzioni dei Comuni e delle Province. Quindi, in pratica, una riforma del testo unico della legge comunale e provinciale e del testo unico della finanza locale era prevista nella riforma tributaria. E questo termine della delega, che è il 31 dicembre '75, va ormai a scadere senza che si sia fatto alcun tentativo di intervenire su questo settore. E' un'altra occasione perduta.
Ma, al di là della delega, le Regioni di questo devono darsi carico.
Noi sappiamo che troppo legata è la finanza regionale a quella degli enti locali, troppo inscindibili sono i momenti attraverso i quali l'intervento avviene sul territorio a livello locale perché noi si possa prescindere dalla sorte dei Comuni e delle Province. Lo stesso discorso delle deleghe non può prescindere da interventi volti a modificare gli assetti, le competenze, la distribuzione di risorse a favore degli enti locali. Cosa potremmo delegare ad enti strozzati e condannati alla inefficienza dalla paralisi alla quale li costringono legislazioni inadeguate, mancanza di risorse, l'assommarsi della spirale dei debiti e del meccanismo attraverso il quale si devono far sempre nuovi debiti per poter pagare i debiti pregressi? Così come dobbiamo riproporre la necessità di un rapporto funzionale, e non meramente burocratico, tra programmazione nazionale e programmazione regionale, e in questa sede proporre il problema del finanziamento statale dei programmi regionali di sviluppo e dei progetti integrati di intervento regionale, una volta verificata la loro coerenza con le linee del programma e con le scelte di politica economica adottate per il Paese. E tornerò su questo discorso. Da questo punto di vista, la ripresa, non meramente verbale o epistolare, ma reale, della programmazione nazionale, si deve configurare come una precisa rivendicazione politica delle Regioni nei confronti del Governo.
Il piano regionale dev'essere un piano con una dimensione operativa.
Non crediamo, l'ho già detto, ai piani-messaggio, non crediamo alla elencazione di fabbisogni e alla elencazione di interventi possibili pensiamo invece che sia necessario aggregare per grandi obiettivi le possibili politiche di intervento, fino a configurare dei veri progetti integrati, che superino gli ambiti di competenza dei singoli Assessorati. E il programma pluriennale di attività e di spesa che dovrà accompagnare il piano di sviluppo sarà composto in gran parte proprio dalla indicazione dei progetti, dalle valutazioni sulla loro fattibilità, dalla quantificazione degli impegni finanziari per la realizzazione dei progetti e per la loro gestione. Ed è qui, nel quadro della verifica di coerenza di tali progetti con la programmazione nazionale, ed in particolare in sede tecnica con l'ISPE e in sede politica nella Commissione interregionale o in altri auspicabili livelli di partecipazione regionale, che è probabile che alcuni dei progetti integrati della Regione si configurino come una vera articolazione territoriale del piano nazionale, o quanto meno dei progetti in cui si traduce la politica di piano nazionale, o che comunque si pongano con tali caratteristiche di integrazione o di complementarietà rispetto ai piani nazionali da poter essere considerati in un'ottica particolare. Ora per questi progetti integrati della Regione, che rispondono ad una verifica di compatibilità e di coerenza con le scelte della programmazione nazionale, noi dobbiamo porre il problema di un finanziamento, totale o parziale, a carico del bilancio dello Stato attraverso i meccanismi previsti dagli art. 9 e 12 della legge 281, che erano meccanismi destinati a finanziare questi interventi. Ora, è vero che, in assenza dei piani regionali di sviluppo, il meccanismo dell'art. 9 si è configurato come una specie di mancia che il bilancio dello Stato dava alle Regioni, di pochi miliardi l'anno, per consentire di realizzare alcuni interventi. Ma nel momento in cui le politiche di piano delle Regioni decollano, ed è quindi possibile al Governo fare tutte le verifiche che crede, in sede tecnica ed in sede politica, sui programmi regionali e sui progetti integrati di intervento che le Regioni propongono, non vi è più alcun motivo per fare della finanza destinata a finanziare lo sviluppo, i piani di sviluppo regionali, soltanto una appendice trascurabile della finanza pubblica, ed è invece giusto chiedere finanziamenti adeguati, destinati a realizzare questi progetti integrati.
Noi siamo in grado in questo modo di dare corpo e sostanza politica a quella richiesta che le Regioni fecero due anni fa, chiedendo che il fondo per i programmi regionali di sviluppo passasse da 300 miliardi come ora a 1000-1500 miliardi l'anno; proposta che il Governo allora respinse argomentando anche che le Regioni non avevano programmi in base ai quali spendere in modo preciso e concreto quelle somme. Ma, proprio collocandoci su questo terreno, e quindi, se vogliamo, per usare argomenti cari al Consigliere Gandolfi, collocandoci sul terreno di questa verifica, di questa proposta di fattibilità di progetti precisi all'ambito di Governo però noi dobbiamo chiedere che se entrano in queste linee delle priorità nazionali i relativi progetti vengano finanziati dalla finanza straordinaria dello Stato, rientrino nei meccanismi attraverso i quali vengono erogati i fondi sugli articoli 9 e 12 della legge finanziaria regionale.
In questo modo le dispute sui rapporti tra programmazione nazionale e programmazione regionale uscirebbero dalla vacua ripetizione di luoghi comuni, si instaurerebbe una effettiva compenetrazione dall'alto e dal basso snellendo le procedure, migliorando il livello dell'informazione precisando e definendo nei loro rapporti le dimensioni dei fabbisogni e delle risorse, e si introdurrebbe ancora, anche se in modo evidentemente non soddisfacente ed ancora approssimativo, un primo correttivo rispetto alla tendenza in atto verso la progressiva limitazione dell'autonomia regionale attraverso il ricorso crescente alla destinazione di risorse vincolate, e, più in generale, a causa delle caratteristiche di una finanza sostanzialmente derivata com'è la finanza regionale Questo possibile rapporto individuato tra programmazione nazionale e programmazione regionale può anche offrire entro determinati limiti elementi utili per andare a verificare la sua possibilità di applicazione nei rapporti tra programmazione regionale e programmazione dei comprensori.
In questo senso il Piano regionale si pone sia come punto di riferimento per i comprensori sia anche come elemento di sintesi delle esigenze espresse nell'ambito delle diverse realtà territoriali. Questo processo programmatorio, democratico e funzionale, può consentire un effettivo coordinamento delle iniziative ed in particolare della spesa di tutti i soggetti che sono coinvolti in modo attivo, e non meramente burocratico nel processo di programmazione. Momenti essenziali di questo raccordo sono a norma dello Statuto, il piano di sviluppo comprensoriale e la redazione da parte dei comprensori del bilancio consolidato degli enti locali.
Il piano regionale definirà le linee portanti degli strumenti necessari per consentire agli organi comprensoriali di procedere alla aggregazione e al consolidamento dei bilanci comunali, così come delineerà la ripartizione per comprensori della spesa regionale, in modo da offrire gli strumenti indispensabili per l'attuazione e il controllo decentrato delle politiche di spesa regionale. In parallelo, l'attività di formazione degli strumenti urbanistici, comunali ed intercomunali, e dei piani territoriali di comprensorio consentirà di definire le esigenze degli interventi infrastrutturali, e più in generale di tutti gli interventi sul territorio in termini tali da poter giungere ad una immediata valutazione e verifica di compatibilità con il bilancio regionale e i bilanci consolidati, in modo da togliere alle previsioni di spesa dei diversi operatori coinvolte nel processo decisionale mosso dall'ente pubblico il carattere di estrema incertezza ed aleatorietà che hanno fin qui avuto.
L'introduzione, poi, di procedure di intervento snelle e rapidamente adattabili può rendere possibile l'utilizzo dell'attività programmatoria, e quindi delle capacità di impatto della spesa pubblica complessivamente manovrabile, tanto in funzione di un'azione volta alla necessaria conversione strutturale dell'apparato produttivo quanto in riferimento ad una tempestiva ed efficace azione anticiclica.
In altri termini, se si riesce a mobilitare, attraverso le procedure della programmazione e il coordinamento degli interventi della Regione e degli enti locali attraverso i bilanci consolidati dei comprensori, la massa di spesa pubblica manovrabile nel contesto della Regione, e introducono anche degli interventi per rendere immediatamente adattabile l'utilizzo di questa massa di denaro, sarà possibile utilizzare l'impatto che l'insieme della finanza pubblica, regionale e degli enti locali pu avere sulla realtà in modo tale da dargli una funzione e in senso anticiclico di sostegno della congiuntura e anche, in questo caso particolare, che è quello che sta vivendo il Piemonte in questi giorni anche in funzione di sollecitare la riconversione produttiva e lo sviluppo di nuovi comparti.
Al fine di fornire una esauriente e completa risposta alle domande di partecipazione della comunità regionale, il piano dovrà prevedere anche un progressivo raccordo degli obiettivi e delle politiche regionali con gli obiettivi e le politiche degli enti locali non solo attraverso i meccanismi di coordinamento rappresentati dai comprensori e dalla politica della spesa ma anche attraverso l'impostazione delle deleghe di funzioni. Anche qui tenendo conto che il discorso delle deleghe si deve raccordare ad un discorso di efficienza dell'Ente locale, ad un discorso di autonomia reale sul quale la Regione è impegnata in prima persona. Un'attività programmatoria come quella qui sommariamente definita, comporta la costituzione di adeguate strutture amministrative, attraverso la legge regionale sulle strutture in corso di formazione e l'utilizzo di un'ottica nuova anche degli enti strumentali, individuati in passato come momenti essenziali dell'azione regionale ed ora in via di costituzione, dall'ente di sviluppo agricolo alla Finanziaria regionale. Tali enti dovranno ispirarsi, fin dalla fase del loro primo avviamento, ad un più stretto collegamento con gli obiettivi del piano regionale, nella configurazione progettuale che esso andrà ad assumere, così da consentire di individuare il loro collocamento al livello operativo adeguato nell'ambito di attuazione dei vari progetti, cioè, gli enti strumentali hanno una funzione raccordata al piano e ad un piano che si muova per progetti occorre far corrispondere una funzione precisa, ossia, l'inserimento al momento giusto ed in modo adeguato, degli enti per la realizzazione del piano, enti che si costituissero come carrozzoni, come occasioni di attività a latere rispetto a quelle essenziali lungo le quali è impegnata la Regione sarebbero un'altra occasione fallita. Tutto questo processo di piano ha un senso se diventa un'occasione per coinvolgere tutte le possibilità di intervento che ha la Regione o che nascono dalla Regione, Non è possibile che si proceda a compartimenti stagni né nell'attività normale di gestione, né nell'azione degli enti strumentali della Regione. L'esperienza negativa che sotto questo profilo ha gravemente inquinato i pur positivi risultati conseguiti in passato da parte delle aziende a partecipazione statale e in genere della presenza della mano pubblica in certi settori dell'economia, della produzione e dei servizi, non deve essere ripetuta a proposito degli enti regionali, gli enti regionali sono stati configurati come strumenti per la realizzazione del piano regionale di sviluppo e devono, fin dall'inizio collocarsi in questa ottica e quindi adeguare le loro funzioni agli obiettivi di un processo di programmazione progettuale come quello che andiamo a configurare.
Indicazioni più dettagliate sulla metodologia e sulla intelaiatura del piano regionale di sviluppo sono contenute nel par. 4 del documento, quello che va da pag. 15 a pag. 24 ed al quale quindi rinvio. Vorrei soltanto rapidissimamente, ricordare che è indicato il metodo di lavoro attraverso Commissioni composte da funzionari regionali, da esperti dell'Ires e anche da esperti esterni, con un lavoro che avviene a tempi brevissimi, ci siamo dati delle scadenze per la fine di gennaio ed il piano dovrà arrivare al Consiglio per la discussione alla fine di gennaio. Del resto il carattere di piano operativo e non di piano messaggio che gli vogliamo dare, consente il rispetto di questi tempi, lo consente a prezzo di sforzi e di notevoli sacrifici, ma consente il rispetto di questi tempi ai quali siamo comunque, vincolati.
Non vuole essere un documento che facciamo elaborare all'esterno e che recepiamo per buttare sul tavolo del Consiglio, ma un documento che nasce all'interno delle strutture della Regione e che passerà attraverso tutti i vagli e tutte le verifiche delle Commissioni del Consiglio e attraverso una consultazione amplissima prima della sua approvazione.
E' un documento nel quale ci collochiamo non chiusi nelle dimensioni e nell'ottica regionale piemontese, ma aperti non solo alle realtà che ci circondano, ma aperti ai grandi problemi di riequilibrio generale del paese nel quale deve essere considerato il problema del Mezzogiorno, rispetto al quale non ci poniamo in una posizione nordista, anche se sappiamo che non è soltanto attraverso un meridionalismo facile, di tipo perequativo sulle gestioni ordinarie che si realizza in realtà il superamento del divario Nord-Sud, richiede uno sforzo globale, generale della politica economica del paese, e abbiamo l'impressione che sotto questo profilo si sia commesso anche qualche errore quale quello di immaginare che sugli interventi di singole leggi possano essere tranquillamente ripartite le scarse risorse a disposizione, sottodimensionando il riparto a favore delle Regioni settentrionali, in nome di una pretesa perequazione che non modifica in nulla l'arretratezza strutturale delle Regioni del Mezzogiorno e in più non consente alle Regioni del Nord di assolvere alle funzioni a cui quelle somme sono destinate. Ma vogliamo, invece, collocare il problema del rapporto Nord-Sud proprio all'interno delle grandi strategie di sviluppo e quindi della destinazione degli investimenti, della destinazione della localizzazione degli interventi attraverso i quali si realizza la riconversione dell'apparato produttivo.
Diamo al piano questo carattere certamente ancorato a delle previsioni quantitative, ma con un carattere di flessibilità, probabilmente arriveremo a definire delle alternative da discutere, abbiamo dinanzi a noi un'estrema difficoltà di prevedere quali sono le risorse che ci arriveranno, non siamo in grado di quantificare in termini esatti, perché non sappiamo neppure quello che ci arriverà nel 1975 e come possiamo prevedere quello che ci arriverà nell'80? Una delle conseguenze di avere una finanza derivata è proprio questa, finanza derivata attraverso provvedimenti legislativi o amministrativi estemporanei, che di colpo destinano una massa di risorse alle Regioni senza che sia possibile prevedere tre mesi prima che questa erogazione avviene, però, tenendo conto di questi limiti, formuleremo delle diverse ipotesi alternative di disponibilità di risorse alle quali adegueremo le possibilità di intervento.
Il piano conterrà misure di carattere prescrittive che riguarderanno la Regione e misure di carattere indicativo, sarà scorrevole, consentirà cioè, anno per anno, il suo adeguamento, anche perché sarebbe folle non prevedere in un arco di tempo dei cinque anni che ci stanno di fronte da adesso all'80, degli aggiornamenti del piano; all'interno del piano noi vogliamo collocare tutto quello che andiamo a fare, così le iniziative, nei confronti del Governo come l'indirizzo degli operatori, come l'insieme delle azioni che la Regione come ente operativo andrà direttamente ad assumere.
Le Commissioni che sono state insediate e che lavorano sul piano riguardano l'agricoltura, il commercio, la distribuzione, il turismo, il tempo libero, lo sport, l'industria, l'artigianato e l'energia, la pianificazione territoriale urbanistica, trasporti ed ecologia, istruzione e formazione professionale, i servizi socio-sanitari, la formazione del bilancio pluriennale programmatico e gli strumenti di politica della spesa.
Per ognuno degli argomenti che ogni Commissione ha al suo esame, verranno esaminate le valutazioni sugli stati di fatto e le considerazioni sintetiche sugli andamenti del settore, il che vale evidentemente per i settori per i quali non sono state formulate delle analisi conoscitive adeguate, l'individuazione dei problemi chiave che caratterizzano ogni settore, l'esame delle possibilità di politica di settore, tanto con riferimento a ciò che la Regione può direttamente fare, quanto con riferimento a ciò che viene indicato a livello statuale o a livello degli operatori. E sotto questo profilo vogliamo portare il discorso anche più in là, individuare lo stato di fatto, enucleare i problemi chiave, formulare le politiche di settore, indicare gli strumenti operativi; e crediamo che sia possibile indicare degli strumenti operativi per ciascuno dei settori che ho elencato, anche per quelli nei quali la competenza preliminare preponderante, è quella dello Stato, a cominciare dai problemi della politica industriale per i quali certamente vi sono delle competenze istituzionali che non appartengono alla Regione, di cui la gran parte delle competenze istituzionali non appartiene alla Regione, ma anche rispetto alle competenze istituzionali del Governo l'apporto che noi dobbiamo dare è anche quello di indicazioni di strumenti di intervento, non per assumerci il ruolo di grilli parlanti rispetto alle scelte che il Governo non sa compiere, ma perché riteniamo che il nostro contributo debba essere di questo tipo, su un terreno concreto, anche delle proposte e per quelle scelte che tocca al Governo di fare.
Infine, arriveremo a determinare la valutazione degli oneri finanziari che le diverse politiche comportano, precisando in particolare gli impegni di spesa che si riferiscono alla Regione. E questi impegni di spesa sono poi quelle cose che si dovranno tradurre nei progetti integrati di competenza della Regione che raggruppati insieme costituiranno il programma pluriennale di attività e quindi il bilancio programmatico che dovrà essere praticamente il documento pluriennale a cui si collegano i singoli bilanci annuali.
Un'operazione del genere è quella prevista dalla legge di riforma della contabilità regionale, che peraltro non è ancora approvata; noi desideriamo introdurre queste innovazioni, questi nuovi documenti anche prima dell'approvazione della legge di contabilità regionale, ritenendo essenziale che una politica di piano si articoli già fin d'ora su questa strumentazione anche prima che diventi obbligatoria per le Regioni. Anche in questo modo, tra l'altro, sperimenteremo anche questi nuovi strumenti prima che diventino una necessità e quindi saremo in grado, quando la legge di contabilità regionale sarà approvata, di avere già verificato il funzionamento di questi strumenti.
I documenti di piano dovranno anche affrontare una serie di temi che in questa sede non è possibile ultimare in termini ultimativi, cioè, noi crediamo che il piano farà anche una indicazione di problemi che resteranno aperti, siamo ben consapevoli, nessuna ispirazione titanica o velleitaria ci guida in questa azione, siamo anche consapevoli che una gran parte del materia)e che ci troveremo a discutere nei prossimi mesi, non potremo esaurirlo nell'arco di due mesi, ma crediamo sia utile, anche per i successivi lavori del Consiglio regionale, indicare una serie di problemi che resteranno aperti, una serie di nodi che non si potranno sciogliere rispetto ai quali avrà un senso anche soltanto indicare delle metodologie anche soltanto indicare che il problema c'è, o indicare delle metodologie per affrontare il problema.
Questo in particolare per quanto riguarda l'analisi delle procedure dì spesa dei vari Assessorati e del funzionamento delle leggi regionali. Già qui il Presidente Viglione ricordava l'importanza di un'azione volta a superare la situazione abnorme, anche se comune a tutte le Regioni, di residui passivi accumulati in passato e credo che si debba arrivare ad un'analisi puntuale ed approfondita sul funzionamento delle procedure di spesa e dei processi decisionali interni alla Regione, e quindi arrivare a verificare il funzionamento degli Assessorati e delle singole leggi regionali, perché noi dobbiamo francamente ammettere che una parte almeno delle cause per cui si sono formati i residui passivi, deriva anche dalle leggi che abbiamo fatto nella prima legislatura, che talora hanno riprodotto meccanismi propri della legislazione statale, cioè quei meccanismi che hanno consentito l'accumularsi di residui passivi a livello di pubblica amministrazione centrale.
Questa verifica, fatta senza polemica, perché in fondo siamo tutti coinvolti in questa attività, gran parte delle leggi che abbiamo votato sono leggi passate all'unanimità, quindi è il Consiglio nella sua interezza che ha pagato lo scotto di una prima legislatura, quindi anche l'inevitabile tentazione mimetica che abbiamo subito nei confronti della legislazione statale, pero è venuto il momento di verificare i limiti di questa attività legislativa e quindi di procedere a delle opportune correzioni, perciò anche immaginare la possibilità di introdurre delle procedure che consentano di controllare i processi decisionali e i processi di erogazione della spesa in modo tale da evitare la formazione di questi residui passivi.
Per quanto riguarda i residui passivi accumulati in passato - quelli che ricordava il Presidente Viglione - è in atto una procedura estremamente analitica di verifica, attraverso quelle riunioni di comprensorio a cui si è accennato, e che l'Assessore Bajardi sta facendo per incarico del Dipartimento, si arriva a definire, con un'analisi che riguarda Comune per Comune, ma opera per opera, qual è lo stato di avanzamento delle diverse opere e solo attraverso questa via è possibile arrivare a stabilire quale parte della spesa accantonata in realtà è da cancellare dai residui perch comunque non può essere impegnata, quanto meno per il passato, perché non sono intervenuti quegli atti decisionali da parte dei Comuni che ne hanno consentito l'impegno. E solo attraverso questa via si può evitare di cancellare, invece, come pure semplicisticamente talora si è proposto queste somme dai residui e di utilizzarle per altri scopi; solo alla fine di questa procedura defatigante, minuziosa, ma indispensabile è possibile quantificare le risorse che si liberano in questo modo, tanto quelle che si liberano per il passato, quanto quelle che si liberano negli impegni futuri e quindi procedere ad un'attivazione di queste somme con effetti immediati almeno per quella parte di opere per le quali i Comuni si sono già avviati sulla strada delle procedure per la loro realizzazione.
Un altro degli aspetti che il piano dovrà affrontare riguarda la formulazione degli aspetti istituzionali delle procedure, attraverso le quali sì provvederà al continuo e periodico adeguamento del piano, al coordinamento ed al controllo della sua esecuzione sia per Assessorati, sia per comprensori, sia anche attraverso quelle sedi di consultazione istituzionalizzata che si volessero realizzare, accogliendo le proposte emerse in sede di conferenza. Così come - e l'ho già detto - la definizione dei concetti operativi delle procedure di collegamento per i vari enti regionali e l'inquadramento delle attività del centro di calcolo e delle altre strutture della Regione.
Questa in rapidissima sintesi, per non togliere altro tempo al Consiglio, quelle che sono le linee portanti del documento di piano.
Io credo che se si riuscisse ad avviare un tipo di programmazione di questo genere, noi saremmo in grado di fare dei passi avanti significativi nella gestione delle risorse che abbiamo a nostra disposizione. E a questo punto si pone il problema di verificare anche gli effetti della nostra spesa ed è un altro degli ambiti sul quale dobbiamo esercitarci, anche qui tentando le vie, magari sperimentando qualche tentativo; dobbiamo cominciare a verificare quali sono gli effetti della spesa regionale, che capacità di impatto ha la spesa regionale sul sistema economico piemontese gli effetti diretti e gli effetti indotti, vedere, cioè, quali sono le dimensioni reali di quello che noi abbiamo indicato come uno dei nostri impegni programmatici che è quello di usare della spesa regionale e quindi della nostra capacità di aggregare la domanda pubblica, come uno degli strumenti per contribuire al processo di rilancio dell'economia e anche di diversificazione dell'economia piemontese.
Ebbene, tutto questo noi vogliamo andarlo a verificare attraverso un controllo degli effetti diretti e indiretti della spesa regionale, che poi deve essere collegata alla verifica costante dello stato di attuazione del piano, delle compatibilità che nelle sue varie fasi di realizzazione il piano ha con la politica di bilancio e di spesa della Regione, alla luce della situazione congiunturale, alla luce dell'opportunità di introdurre varianti e così via. Insomma il piano deve nascere come un qualcosa la meno rigida e la meno bloccata possibile, come un qualcosa di adattabile, di flessibile, come un qualcosa in grado di subire delle continue variazioni anche alla luce di un suo utilizzo a fini anticiclici da parte della Regione.
Altri problemi si porranno, e li cito soltanto perché non voglio farla più lunga, e si porranno in termini operativi e molto stringenti, per esempio quello del reperimento delle risorse per finanziare il piano; non è indifferente affrontare il problema delle possibili alternative di reperimento di risorse, ci sono delle Regioni che si stanno ponendo per esempio in questi giorni, non solo le Regioni, ma anche grandi enti locali il problema del lancio di prestiti obbligazionari con i quali finanziare i propri interventi. Il prestito obbligazionario è evidentemente un'alternativa rispetto ad una politica di contrazione di mutui. E' un discorso che non esce dal quadro delle verifiche che si devono compiere che sono verifiche sul piano dei costi delle diverse operazioni.
C'è il discorso, che ho già fatto, dei rapporti con la finanza dello Stato e quindi della necessità di integrare le risorse destinate alla Regione con la sollecitazione di interventi straordinari da parte dello Stato.
C'è il problema della scelta attraverso la quale erogare la spesa agli enti locali. Abbiamo discusso in quest'aula più volte sulla maggiore o minore opportunità di ricorrere al meccanismo degli interventi in conto capitale in alternativa al meccanismo degli interventi in conto interessi per i contributi da dare agli enti locali; è opportuno approfondire anche questo aspetto alla luce della congiuntura, perché in questo momento, con la cassa depositi e prestiti rifinanziata per alcuni interventi e quindi con la possibilità riaperta ai Comuni di accedere a prestito, almeno per quanto riguarda le opere indicate come prioritarie (per esempio le opere igienico-sanitarie) è opportuno dividere gli interventi della Regione privilegiando gli interventi in conto interessi per quel tipo di opere che possono essere assistite da un intervento in conto interessi a livello dei grandi istituti di credito e concentrando l'intervento in conto capitale per quelle opere per le quali, viceversa, i Comuni hanno meno possibilità di avere i mutui da parte dei grandi istituti di credito.
Come ultimo impegno che la Giunta si assume in corrispondenza alla presentazione del piano regionale di sviluppo, vi è la presentazione anche della legge sulle procedure della programmazione che avrà, in occasione del piano di sviluppo, anche il suo primo momento di applicazione.
Ho cercato, signori Consiglieri, di essere il più breve possibile e di non ripetere cose già contenute nella relazione, che per conto suo è assai ampia e consente quindi ad ogni Consigliere di verificare, anche nei dettagli, quali sono le indicazioni, in particolare nella terza parte che riguarda le politiche di settore che sono analiticamente esposte per ogni Assessorato, o per ogni Dipartimento.
Le indicazioni che ho creduto di dover dare attengono, viceversa, ad alcuni aspetti tra i quali ci sono alcuni dei nodi più difficili da sciogliere, i nodi della compatibilità tra i diversi interventi possibili dei rapporti con lo Stato, dei rapporti con gli enti locali.
Io credo che dal dibattito di questi giorni possano uscire delle indicazioni utili e costruttive su questo terreno, anche perché in sede di conferenza ci sono stati da parte di tutti ed in particolare dalle forze politiche di minoranza, degli stimoli e delle indicazioni concrete che la Giunta spera di poter vedere confermate in questa sede come contributi importanti al processo di elaborazione del piano regionale di sviluppo contributi anche da parte delle opposizioni, rispetto alle quali c'è come Giunta la massima apertura nell'accoglierli per quelli che certamente essi saranno, cioè dei contributi (come lo sono stati in sede di conferenza, del resto) positivi e costruttivi.
Noi crediamo che questo piano di sviluppo che nasce così, in tempi brevi, che nasce di corsa, ma che tuttavia deve segnare, anche nella rapidità della sua ultima gestazione, un punto di svolta della Regione sarà un momento importante se sapremo dargli quella complessità e quella unitarietà rispetto ai possibili interventi della Regione. Il piano, cioè non è un fiore all'occhiello che dobbiamo appuntare, deve diventare, come recita lo Statuto, il modo per realizzare la programmazione come metodo di funzionamento delle strutture amministrative della Regione.



PRESIDENTE

Avrei ora iscritti a parlare i Consiglieri: Rossotto, Alberton Gandolfi, Benzi e Picco.
Il Presidente della Giunta mi ha pregato di sospendere per pochissimi minuti l'assemblea. Se tutti sono d'accordo sospendiamo, ma per brevissimo tempo, perché abbiamo ancora cinque iscritti a parlare e si potrebbero anche esaurire tutti per un'ora non proprio antelucana.
La seduta è sospesa.
(La seduta, sospesa alle ore 18, riprende alle ore 18,15).



PRESIDENTE

La seduta è riaperta.
Ha chiesto di parlare il Consigliere Rossotto, ne ha facoltà.



ROSSOTTO Carlo Felice

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, il dibattito, secondo il metodo concordato per dare ordine ai lavori della conferenza sull'occupazione apertasi il 10/12 ottobre a tutte le forze economiche e sociali operanti in Piemonte, ha, in questa sede, il suo giusto e naturale momento di sintesi politica.
La carenza, a distanza di oltre 5 anni dalla nascita dell'Ente Regione di un organico piano regionale che sia punto di riferimento di azioni correttive e stimolatrici dello sviluppo regionale, fa, di questo attuale dibattito un fatto importante perché si possa, con giusto ed inequivoco confronto tra le forze politiche presenti in Consiglio, individuare già le linee fondamentali dell'azione politica, sia a livello amministrativo che legislativo, della Regione in questa fase di necessitata azione, che non può però esaurirsi in un attivismo disarticolato senza indirizzi programmatici e fine a se stesso.
Esposizione di linee e di obiettivi, confronto ed eventuale sintesi a livello politico sono i risultati necessari che possiamo trarre da questo faticoso ed anche entusiasmante momento che ha visto, dai primi di settembre ad oggi, il franco dialogo, la chiara esposizione di necessità ed aspirazioni da parte dei soggetti economici, privati o pubblici, e politici, operanti sul nostro territorio.
Dirò che l'individuazione fin da questo momento di linee d'intervento razionalizzanti i processi produttivi esistenti in Piemonte è oggi favorita in primo luogo dalla grave crisi economica che, congiunturalmente e anche strutturalmente, investe il nostro sistema produttivo: è questo l'unico elemento positivo della crisi e va° colto ed utilizzato.
E' infatti indubbio che è più facile intervenire, per modificarlo, su un processo produttivo in crisi, cioè debole, che su forze in via di espansione, gagliarde e irrobustite, nel loro spontaneo ed irrazionale dilagare, dai fenomeni collaterali ed indotti che ogni processo economico in espansione produce.
La crisi economica che coinvolge il Piemonte è, oltre che congiunturale cioè ultima catena della crisi nazionale e mondiale che colpisce i paesi ad economia di mercato come quelli di direzione centralizzata - anche strutturale: ritengo che nostra precipua funzione sia occuparci di questa e non tanto di quella.
Individuare come e con che finalità debba mutare il nostro assetto produttivo è il primo obiettivo programmatico che ci dobbiamo porre con questo dibattito e a questo scopo sarà diretto parte del mio intervento con precise proposte operative che spero ottengano la dovuta attenzione da parte di chi ha il governo e la gestione della Regione.
In secondo luogo, altro elemento "positivo" è il tipo di Giunta che oggi governa la Regione Piemonte, non solo perché diretta espressione di quelle forze produttive proletarie alle cui istanze ed alla cui ribollente azione degli anni passate si è usi addebitare parte della crisi del sistema economico italiano, ma essenzialmente perché la composizione paritaria della Giunta stessa e in pratica attuazione delle dichiarazioni di principio e di volontà di rispetto del pluralismo economico e socio politico, nobili e apprezzabili sempre, in quanto consente, come verifica alle opposizioni un reale svolgimento della loro funzione "costruttiva" così come tutti dichiarammo voler opporci alla Giunta, e impedisce essenzialmente quella arroganza del potere o quella irresponsabilità o genericità da impotenza che fu propria del centro-sinistra e che, nella nostra Regione, nell'ultimo anno e mezzo, proprio per debolezza non numerica, ma ideologica e programmatica di quella Giunta, vide un PCI, che senza responsabilità di governo, in effetti subgovernò con delega ad amministratori non comunisti: il 15 giugno ha anche, fra le tante cose che ha detto o gli si vogliono fare dire, condannato un tale modo di governare all'italiana.
Giunta paritaria necessariamente, come ho detto, aperta all'apporto delle forze politiche e sociali e questo apporto è doveroso portarlo secondo le proprie convinzioni e le proprie idealità politiche, quelle sulle quali si formò il consenso degli elettori che qui ci inviarono perché, se così non fosse, negando il nostro sforzo intellettivo a favore del Piemonte con giustificazioni di scontri ideologici, che pur sostanziando la nostra azione non possono esaurirsi quale unico fine dell'azione stessa, tradiremmo il nostro mandato.
Se questo apporto una volta dato viene recepito come elemento essenziale della sintesi politica che segue il confronto lineare e chiaro ove hanno svolto la loro funzione tradizioni e dignità non solo di posizioni politiche storiche ma anche individualità personali che il ruolo politico lo intendono come momento di serio impegno e non di emozionale e irrazionale blateramento di slogans, ebbene colleghi, nessuno, senza valutare fatti e problemi, dico nessuno può muovere accuse di tradimento così come ancora domenica mattina ho letto sulla "Stampa".
Se si vede accettato da parte del governo regionale, quanto proposto come opposizione, l'opposizione che deve fare? Pare, stando a certa stampa certi giornalisti e direttori, che non essendosi ancora chiarito il rapporto PCI-URSS, anche in questo caso bisogna votare contro? Se così fosse concepito il dibattito e la funzione dell'opposizione per evitare i linciaggi morali, ebbene forse faremmo meglio a restare tutti a casa a tirare così senza fatica alcuna due stipendi per il lesso.
Ciò premesso preciso che il mio intervento, come conseguenza dell'enorme mole di materiale acquisito affronterà i problemi prioritariamente esaminando i soggetti operanti sul territorio regionale e cioè: sindacati, imprenditori ed enti locali, per poi scendere all'individuazione delle linee d'intervento ritenute opportune come liberale.
I soggetti dell'azione Nel momento che la Regione intende porre ed individuare linee d'azione programmatiche è indispensabile che oggettivamente si individuino anche fisicamente gli opportuni contradditori e cooperatori del disfino, i quali nell'attuazione del pluralismo democratico, responsabilmente sappiano essere rappresentanti e portatori degli interessi in reale e non fittizio conflitto.
Libertà senza logico inquadramento è anarchia, logico inquadramento che premia il momento razionalizzante uccide la libertà: lavoriamo ed operiamo con questi limiti, ma ci incombe quando parliamo di lavoratori, di imprenditori, cioè dei protagonisti liberi ed attivi che animano e condizionano quell'iperuranico mondo che è dominato economia di mercato, di trovare il giusto soggetto fisico, sintesi di quelle molteplici realtà umane che vogliono e che devono essere rappresentate e che responsabilizzandosi nel loro interno con giuste contrapposizioni dialettiche, sappiano rappresentare la sintesi dei loro contrasti settoriali; momento o categoria poi della successiva sintesi logica che l'azione politica impone.
Se non accettiamo questo concetto hegheliano del divenire sociale c'è il medioevo, con le corporazioni e gli auto da fè.
Sindacati Credo con ciò di aver posto chiare le premesse ad un discorso che coinvolga i sindacati dei lavoratori e le forze politiche in un pragmatico discorso che, accertato il grave mancato impegno legislativo in ordine al dettato costituzionale dell'art. 39, con le conseguenze che oggi in Italia ognuno è autorizzato a parlare a nome dei lavoratori, veda come interlocutore valido degli organi di governo solo chi realmente sa rappresentare la sintesi di interessi generali e non quella settoriale. Non è questa la sede per accertare le responsabilità di chi ha lasciato o ha per interessi di partito, consentito una tale situazione: la forza politica, che io rappresento, di tale colpa è di certo esente.
Ciò detto e premesso è opportuno valutare il comportamento, forse dovuto essenzialmente a motivi di tattica per conflitti interni ai sindacati stessi, abbastanza negativo tenuto dai sindacati in questa conferenza: mi riferisco agli interventi dei rappresentanti locali delle tre organizzazioni più rappresentative.
E' giusto che il dibattito politico economico avvenga con questi uomini, ma se dobbiamo subire le imputazioni di inadempimenti mossi da costoro, nella necessitata condizione di stabilire con loro un dialogo che veda finalmente premiate le responsabilità di scelte univoche che presuppone il necessario accollo alle controparti dei vantaggi e svantaggi dell'accordo, è indispensabile parlare ai sindacati in termini molto precisi facendo, come politici, la nostra autocritica, ma ricordando e precisando a tutti le loro responsabilità inevase.
Non si può parlare di programmazione senza fare riferimento ad un sindacato serio, partecipato ed operoso; però è indispensabile ricordare che proprio il movimento sindacale ha sue colpe o carenze di azione con troppo soventi e facili evasioni dalla realtà dei problemi, rifugiandosi nel generico.
La politica delle riforme a cui il movimento ha dato sempre prioritario impegno di realizzazione, nel totale fallimento sul piano esecutivo, trova in parte gravi responsabilità sindacali ed è certo che se a livello politico molto si è detto, nel momento di azione concreta, oltre una dura lotta conflittuale, nulla si è fatto.
E' mancata quell'armonica azione del sindacato il quale, nel momento stesso che indicava i termini di una strategia generale, finiva settorialmente - ed il settore pubblico e parapubblico con la attuale situazione di ciò è confermare - in una logica che ha premiato le istanze corporative e ciò quasi quale conseguenza del timore di venire scavalcati dal sindacalismo autonomo portatore di vedute parziali, limitate e pertanto più emozionalmente appetibili dalla base.
Così nella commistione di azioni politico-sindacali e di politica generale, la libertà non regolata da democratiche leggi ha portato alla proliferazione dell'autonomia sindacale, così che questa e la concorrente triplice hanno sul terreno del più illogico e disarticolato rapporto tra Stato, enti pubblici e pubblico impiego, o quello del mondo produttivo e dei servizi, fatto saltare il disegno programmatorio innescando quel processo negativo che solo in parte è raffigurato e compreso nell'azzeccata definizione di "giungla retributiva".
Ho parlato della necessità che il sindacato sia disponibile a certi più seri impegni, vorrei ora dire che il sindacato nel momento stesso che si erge a giudice impietoso della classe politica, non può evitare che questa a sua volta, anche solo al nostro livello, gli chieda seriamente e concretamente il pieno adempimento di certi fondamentali doveri che per primi gravano proprio sul sindacato e ai quali egli deve dare risposta.
Non è lecito e non possiamo più tacere, se giustizia vogliamo, della scandalosa situazione dell'assenteismo negli enti pubblici, in quelli parapubblici, nelle aziende municipali e negli enti ospedalieri. Lo scandalo si evidenzia e matura quando i raffronti percentuali vengono fatti con il mondo della produzione privata ed il raffronto così abnorme dimostrazione di una incuria della classe politica evidenzia essenzialmente la carenza di una seria e responsabile azione sindacale nel settore, non solo per tutelare gli altri lavoratori, ma perché non possono esistere lavoratori di serie A e quelli di serie B. I primi, quelli che lavorano e producono, gli altri quelli che possono stare a casa, tanto paga Pantalone anche con punte del 50% .
Cosa ha fatto, in questa situazione, il sindacato? Per non perdere la simpatia di chi ha preferito seguire, a parole, i discorsi demagogici sulle grandi battaglie, ma nel concreto chiedere solo vantaggi personali, senza rendersi conto che ai diritti corrispondono i doveri, ha fatto nulla, premiando così i gravi scompensi e le nefande ingiustizie di cui ho parlato.
Colpe e carenze d'azione che i sindacati devono sentirsi rinfacciate perché il discorso esca dai binari paralleli e non comunicanti delle enunciazioni di principio e del disarticolato operare.
Sappiano i sindacati che se si deve operare per mutare il volto o l'aspetto socio-produttivo della nostra Regione e dell'Italia tutta, ciò lo si può fare se ognuno dei soggetti, ivi compresi ovviamente proprio loro compirà il proprio dovere, anche se amaro ed impopolare: una più seria politica contro le disfunzioni del sistema presuppone anche azioni impopolari che veda coraggiosamente sindacati a fianco degli amministratori pubblici per costruire e non solo essere portatori di generiche e vaghe denuncie.
Imprenditori Di contro è ovvio che altro fermo richiamo venga eseguito nei confronti del mondo imprenditoriale. Oggi nel generico e ancora superficiale esame delle cause di tanti errori, che hanno creato le premesse dell'attuale crisi si dimentica, da parte degli imprenditori, con troppa facilità che infinite sono le loro responsabilità, dei non corretti rapporti in gran parte da essi favoriti e non denunciati, tra vita politica e paese reale e che se oggi tanti valori essenziali alla sussistenza dell'imprenditorialità sono in crisi, ciò è anche conseguenza della non importanza che alla mancata difesa da parte di chi aveva i loro favori, di tali principi fondamentali si lasciò fare. perché il più delle volte si trattava di parole e non di fatti.
Abituati al pragmatismo dell'operare non si è, da parte loro, con sufficienza prestato attenzione alla velenosa filosofia che lentamente ha attanagliato, nel paese, menti ed azioni politiche: che il sociale sia o debba necessariamente essere in netto antagonismo con il privato.
Nè si è saputo evitare quella sempre più illogica e diabolica rete di vincoli e di oneri con cui, senza premiare il momento sociale,si è finito con il soffocare totalmente il sistema produttivo sia privato che pubblico quando, come pubblico, si fa riferimento al corretto rispetto delle regole del mercato e non a quell'indegno modo di gestire enti ed aziende a partecipazione statale di cui Scalfari, nel libro "Razza padrona", ha evidenziato scorrettezze e incapacità.
Oggi il discorso fra politici e imprenditori deve essere fatto su cose coerenti, oggettive ed impegnative.
Ad azioni e tendenze che l'Ente regione, per quanto di sua competenza dovrà fare e porre in essere per un lento ma costante e metodico avvio del processo che dia realmente una diversa articolazione del tessuto produttivo, sia a livello di localizzazione che di produzione, deve essere richiesto dal mondo imprenditoriale, un diverso clima di rispetto dei valori sociali dell'impresa e che si creino quelle condizioni di serena operosità che con investimenti, anche favoriti dal momento pubblico sappiano eliminare carenze che sono e costituiscono la base della crisi strutturale, ben più seria di quella congiunturale, di cui il nostro sistema produttivo evidenzia gravi sintomi e del cui processo attuativo solo gli imprenditori possono essere nell'oggi e nel domani i protagonisti.
Un nuovo e diverso rapporto pertanto che premi anche qui il momento generalizzatore degli interessi imprenditoriali, ove piccole, medie e grandi aziende nel partecipato rispetto delle singole utilità e finalità si propongano all'operatore pubblico come interessati collaboratori e suggeritori di iniziative ed esigenze e non come delusi assenti in un processo che volto o temuto volto contro di loro, li veda sempre più rinunciatari.
Molto dobbiamo fare noi politici per riacquistare una più feconda credibilità, molto loro perché il discorso acquisti quella ampiezza e profondità che oggi la gravità della crisi economica e del susseguente pericolo di sussistenza della stessa democrazia, richiedono.
Enti locali Una serie politica di sviluppo economico regionale che veda il piano come momento essenziale e quadro di riferimento di ogni ulteriore azione non può e non deve, non solo nella parte propositiva, eludere ad un nuovo più intenso e corretto rapporto tra enti locali e Regione ed enti locali con altri enti locali.
Ciò detto e riaffermata la piena validità di una politica comprensoriale, che veda la Regione impegnata ad articolare la propria funzione amministrativa in questa nuova realtà socio-economica ed istituzionale, occorre operare perché gli enti locali escano e possano iniziare ad uscire dall'attuale condizioni di ibernazione a cui la politica finanziaria dello Stato nei loro confronti li ha condannati.
Non vi è chi non senta e colga lo stato di grave malessere nelle strutture e nella vita della cellula fondamentale di vita amministrativa democratica che è il Comune.
Serrato tra esigenze di più ampie visioni di soluzione dei problemi che scavalcano gli angusti limiti territoriali del Comune stesso e quello di un più partecipato dialogo con i propri amministrati, il Comune deve poter riacquistare tutta la propria capacità di intervento, certi che sia nella logica di un diverso assetto socio-economico che in quella del superamento dell'attuale crisi congiunturale, l'azione degli enti locali rappresenta una funzione essenziale. In questo senso il tempestivo coordinamento dell'attività dei Comuni, la Regione può farlo attraverso i comprensori e la delega a questi enti di funzioni in materia urbanistica, di trasporto di lavori pubblici e con ciò si otterrà, oltre il vantaggio di realizzare un momento raziocinante degli interventi, anche l'inizio di quello sveltimento burocratico causa non ultima del realizzarsi dei residui passivi e della vischiosità della spesa di investimenti: cose queste di estrema importanza quando si devono risolvere gravi problemi occupazionali.
Linee d'intervento Il quadro politico quale confronto costruttivo e non succube acquiescenza o isterico tremendismo e l'individuazione dei principali soggetti dell'azione regionale consente, a questo punto, l'introduzione concreta di sintetiche linee d'azione.
Agricoltura Ritengo opportuno affrontare questo settore prioritariamente sia per la sua importanza economica, in quanto artefice di una ricchezza tutta nazionale e che aiuta a diminuire il grave deficit della bilancia commerciale, sia e specialmente per l'importanza sociale del settore.
Non mi dilungherò in molteplici indicazioni, osservo ed invito la Giunta a tenere conto nei suoi interventi di questi obiettivi che devono essere perseguiti.
1) Recupero al bene comune, anche avvalendosi, con delega ai Comuni interessati, dell'art. 9 della legge nazionale istitutrice delle Comunità montane, di tutto quel patrimonio terriero, spezzettato in porzioni di proprietà infinitesimali e di cui non si conoscono più neanche i proprietari, che le nostre montagne propongono.
Terre strappate da popolazioni affamate ed in miseria al bosco sono ora incolte: dobbiamo, magari con un demanio regionale, destinare quelle idonee a pascolo a sostegno di un rilancio della zootecnia e per le altre riportare sul loro tessuto il bosco. Non compiere tale azione vuol dire sperperare una enorme ricchezza che può dare nuovi qualificati e remunerativi posti di lavoro.
2) Abbandonare la paternalistica politica dell' assistenzialismo contadina; considerato non come protagonista del processo economico, ma come razza sana e non contaminata da modernismo, da salvare. Questa concezione che sa più dell'ecologico che dell'economico deve essere abbandonata. L'agricoltura, dove è momento fondamentale della accumulazione di ricchezza di un paese è essenzialmente imprenditoriale: perché sia la gente dei campi protagonista di questa rivoluzione, che deve avvenire occorrono poche cose e precisi intendimenti: cooperazione imprenditoriale e infrastrutture idonee senza inutili e corporativistiche limitazioni, sono gli strumenti essenziali per ottenere questo risultato.
3) Consentire all'agricoltura l'acquisizione di parte di quel valore aggiunto che le intermediazioni commerciali creano al prodotto agricolo.
Questo rapporto più equo tra primario e terziario è possibile con idonei strumenti realizzabili con l'aiuto regionale che colleghino la cooperazione di produzione e di vendita agricola con quella della grande distribuzione commerciale.
4) Consentire con una più efficiente utilizzazione, nell'ambito del comprensorio, dei servizi sociali di base di cui già si dispone, anche da parte della gente dei campi.
Come, con che norme ciò fare, lo si vedrà; oggi è indispensabile individuare le linee essenziali d'intervento.
Industria: Se il clima sociopolitico che presuppone "l'impresa" è fatto comune sia per la grande impresa come per la media e la piccola e in sostanza per lo stesso artigianato, i rapporti, per la salvaguardia dei diritti e dei doveri dell'imprenditore con la realtà sociale, devono trovare il loro momento in un corretto rapporto con il potere politico e con le istituzioni democratiche, ove sia premiato l'aspetto di generalità, chiarezza e oggettività, che in sintesi vogliono dire no all'arbitrio, da troppo tempo fatto sovrano in questo genere di rapporto. Se in concreto le linee programmatiche dell'ente Regione sono ugualmente impegnative per il grande come per il piccolo, sarebbe peccato di presunzione o di miopia ritenere e arrogarci la forza di poter mutare e intervenire efficacemente in processi produttivi di grande ampiezza organizzativa.
Il rapporto, con sistemi socioeconomici in via di profonda trasformazione, tra il potere politico e le grandi multinazionali è tutto da studiare: argomenti di seri ed approfonditi esami, specie per il decadimento di forme democratico - partecipativo, non può di certo essere trattato oggi a in questa sede.
Andare oltre all'enunciazione del problema sarebbe fatto velleitario.
Ne consegue, e la consultazione ha detto ciò chiaramente, che l'attuazione di una diversa e più moderna struttura imprenditoriale a livello regionale deve vedere premiato ogni intervento a favore del settore industriale medio, medio piccolo, piccolo e artigianale.
Peraltro proprio per fare nomi, Fiat ed Olivetti oggi sono in crisi non per carenze strutturali, ma per quelle cause indipendenti purtroppo dalla nostra volontà e che si richiamano alla congiuntura internazionale: con queste realtà è già molto tenere un corretto e dignitoso rapporto.
Interventi invece nel settore dell'industria piccola e media sono urgenti, vuoi per le gravi lacune strutturali dell'insieme, sia per l'impossibilità stante le limitate loro dimensioni, di dotarsi di quegli strumenti che presuppongono spese generali eccessive: alludo alla ricerca scientifica e tecnologica come e quella di mercato ed alludo essenzialmente alla deficienza cronica di trovare un costante flusso finanziario che non sia solo in funzione della logica bancaria, così onerosa proprio per il piccolo.
Ecco perché sia nella logica di un immediato ed essenziale avvio di una politica di difesa dell'occupazione, sia in quella di un più moderno e diversificato processo produttivo o, con una visione a tempi più lunghi per vedere la struttura industriale piemontese totalmente allineata, in ogni sua unità operativa, ai livelli tecnologici più alti dei paesi più progrediti, è mio serio convincimento che la ragione per e con le competenze di cui dispone in base all'art. 117 e 118 della Costituzione deve aiutare la piccola e media industria ad avere quelle dimensioni dì mercato dei prodotti finiti, di reperimento di finanziamenti, di disponibilità di tecnologia che solo sofisticate ricerche possono garantire.
Come operare? Anche in questo settore mi limiterò a indicazioni sintetiche, che mi auguro siano anche precise e passibili di più articolati interventi per divenire poi operanti.
1) Una finanziaria pubblica come filtro politico, ove ampiamente siano garantite, col sostanziale rispetto del pluralismo, le componenti socioeconomiche operanti sul territorio regionale e sia correttivo di quella grave penuria di capitali di rischio e di debito, che l'attuale e passata grave tensione sociale ha alienato dal mondo imprenditoriale piccolo e medio.
Volano e momento innescante di altre iniziative, inizio di un diverso rapporto che premi più corretti rapporti tra l'industria e la Regione.
Strumenti urbanistici che, muovendo nella logica delle aree industriali attrezzate e delle dichiarazioni dell'Assessore Astengo del 21.11.75, in risposta alla mia interrogazione sulla Variante 17 del PRG di Torino sappiano cogliere l'esigenza di aiutare la realizzazione di nuovi insediamenti, consentendo l'utilizzo o a favore dell'artigianato o di servizi privati o di bene pubblico di quelle aree abbandonate nei centri urbani, ove il valore di rendita ha raggiunto indici di tutto rispetto ed è crimine economico lasciare disperdere con vaghe affermazioni di socialità.
5) La totale revisione della materia impropriamente definita "istruzione professionale" che in un diverso e più razionale rapporto tra cultura e preparazione scolastica e realtà sociale ed economica del paese reale, realizza uno strumento che sia cassa di compensazione finalizzata agli obiettivi del piano per l'effettiva riqualificazione dei lavoratori che devono abbandonare un'attività obsoleta o in decozione e per i quali non esistono immediate soluzioni alternative.
Con questo strumento, oltre alla definitiva condanna ed eliminazione dell'attuale inefficiente, clientelare, scorretta o corrotta gestione solo a livello della nostra Regione sono disponibili ben 11 miliardi di lire, e che solo da un punto di vista di educazione civica producono effetti altamente disastrosi e forieri di tensioni sociali che vanno disinnescate e non aiutate quali si traducono le prolungate ed irrisolvibili occupazioni di stabilimenti.
I soldi che i vari Egam, Gepi, banche, privati hanno buttato al vento per difendere e garantire il salario a lavoratori di aziende decotte, che non lavorano più economicamente perché fuori mercato, sarebbero, con uno strumento quale sopra proposto, e che insieme alle forze sociali dobbiamo realizzare, già stati utili per un nuovo processo di diversificazione produttiva che, senza caricare all'operaio il sacrificio della disoccupazione, all'economia di mercato la grave umiliazione di vedere sperperate ricchezze, utili per far nascere industrie vitali e che oggi sono dissipate per mantenere in vita ciò che è morto e non rinascerà più.
Con questo strumento-si avrebbero, in poco tempo, forgiati soggetti idonei per tecniche e funzioni oggi richieste e non ricopribili con gravi perdite economiche di tutto il sistema.
Ecco in sintesi le proposte operative che nel travagliato sforzo di capire l'essenzialità dei problemi che ci sono stati posti, come liberale come fermo e convinto assertore dei principi di libertà economica fondamento delle libertà politiche e civili, io pongo all'attenzione dell'esecutivo.
Dalle sue risposte, che costituiscono il momento del confronto, sapr giudicare ed impostare il miei giudizio politico già nell'attuale con la mente rivolta al futuro.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Alberton



ALBERTON Ezio

Un giudizio non aprioristico e preconcetto, ma fondato su basi reali relativamente alla Conferenza regionale sulla occupazione, gli investimenti e lo sviluppo, non può che partire dalla constatazione di cosa la Conferenza stessa è stata e di cosa non è stata.
Possiamo allora dire che questa Conferenza è stata un momento indubbiamente ricco di interesse, di quel confronto intorno ai grandi temi della politica economica che in questi mesi si sta sviluppando nel paese sollecitato, oltre che naturalmente dalla recessione in atto, dalla scadenza di alcuni grandi contratti di lavoro (che coinvolgono quasi cinque milioni di lavoratori), dal dialogo in corso tra Governo e sindacati e ancora dalle iniziative assunte dal Governo Moro, prima con il piano di emergenza ed ora con l'approntamento del piano a medio termine.
Questi grandi temi hanno da un lato condizionato il comportamento dei vari interlocutori, per alcuni dei quali (penso alle organizzazioni sindacali e imprenditoriali) erano dominanti considerazioni e preoccupazioni tattiche di schieramento, e da un altro lato ha condizionato la stessa Conferenza, il modo cioè non solo di presentarsi ma anche di interpretarla da parte di tutti i partecipanti.
Nel clima della Conferenza, ci sembra, interessava assai più vedere in qual modo, ad esempio, il P.C.I. si poneva di fronte ai problemi di rapporto che viene ad avere sul duplice versante del sindacato e delle imprese, svolgendo quel discorso sul compromesso tra le classi sociali che è alla base della proposta di compromesso storico sul piano delle forze politiche, di quanto non interessassero le specifiche proposte della Giunta regionale.
Parimenti nei confronti del discorso del dr. Agnelli l'attenzione era rivolta più alla sua risposta al P.C.I. per un verso ed ai sindacati per un altro, che non a quanto egli poteva dire in riferimento alla situazione piemontese e ad eventuali iniziative della FIAT a questo riguardo.
Così anche per la D.C. era per tutti di gran lunga più rilevante come essa si atteggiava a fronte dello svilupparsi del discorso comunista ed ai problemi economico-sociali del momento, in riferimento alla ricostruzione della sua identità e di una sua definita linea politica, di quanto essa poteva dire sul terreno della politica regionale.
In altri termini, il quadro esterno, il momento politico e, a mio avviso, la natura stessa della Conferenza, hanno appiattito ad un riferimento d'obbligo la dimensione regionale, facendo nettamente prevalere su di questa il dibattito di politica economica e politico tout court di carattere generale.
La Conferenza quindi non è stata una fase di elaborazione del piano di sviluppo regionale, di costruzione di prime concrete iniziative, come invece aveva proclamato la Giunta regionale nel convocarla.
Vorrei a questo proposito fare un riferimento puntuale. Al dibattito organizzato nel luglio scorso da "La Stampa" sulla crisi e sulle possibilità di ripresa, l'on. Libertini ebbe testualmente a dire: "Proporremo la convocazione di una Conferenza sull'occupazione, sviluppo ed investimenti in Piemonte, che vediamo non come Conferenza di studio ma nella quale si dovrebbe andare alla definizione di scelte operative" ed aggiunse "Noi non progettiamo affatto una conferenza di puro confronto, di dibattito, che poi si chiuda senza una conclusione, ma una conferenza che termini con un' assunzione di responsabilità operativa da parte dei vari protagonisti della vita politica, economica e sociale del Piemonte".
Nella realtà la Conferenza è stata essenzialmente un momento di dibattito e vi sono state scarse assunzioni di responsabilità operative.
Non me ne abbia Libertini per questa constatazione, che non è polemica ma soltanto oggettiva e d'altra parte non credo avrebbe potuto essere diversamente.
Quando, infatti, si convocano convegni di tal genere, nei quali vi è estrema disomogeneità di livelli istituzionali, di funzioni e responsabilità politiche, non si può pretendere di trarne quelle conclusioni operative che vanno assunte e tratte nelle sedi appropriate.
Non è quindi colpa della cattiva volontà di nessuno se la Conferenza ha avuto queste caratteristiche e questo svolgimento: la logica politica ed istituzionale ha le sue regole che si impongono ad ogni forzatura volontaristica.
Quando da parte nostra, nelle settimane che precedevano la Conferenza si sono sollevate riserve e perplessità sulla idoneità e capacità di questa iniziativa di rispondere alle esigenze che si presentano oggi all'azione della Regione, non si obbediva a ragioni di partito o del ruolo di opposizione che svolgiamo, ma facendoci carico responsabilmente dei problemi di governo della Regione, intravedevamo il rischio dell'inadeguatezza della Conferenza - essendo prevedibile il suo esito alla necessità di individuare, in un serrato confronto con i diversi operatori, gli interventi e le politiche che la regione deve mettere in cantiere.
A scanso di ogni equivoco, voglio precisare di non ritenere inutile questo momento di dibattito che c'è stato: il confronto delle idee, delle posizioni, degli interessi è l'anima della democrazia ed ha sempre una sua utilità.
E' però difficile sostenere che dalla Conferenza siano uscite cose nuove (salvo in parte, purtroppo, l'orientamento della Montedison di smantellare la sua presenza in Piemonte e non è questa certamente una novità di segno positivo); piuttosto si sono avute alcune conferme e sono rimasti aperti molti interrogativi.
Non può preoccuparci - ed è già stato sottolineato da parecchi - ai fini di un'operatività regionale, l'esclusione larga, purtroppo, dal confronto, degli enti locali. Si è verificata la convergenza su molti dati di fatto, ma la Conferenza ha evidenziato anche contrasti nelle analisi nelle cause della crisi, nelle soluzioni da adottare e negli sbocchi finali, contrasti tra forze politiche, forze sociali; contrasti anche tra quella forza politica, il P.L.I. che in questo momento dice di sentirsi esonerato da corresponsabilità nella crisi. Le novità che il P.L.I. ha evidenziato oggi appaiono più indice della crisi di tale forza che non una logica derivazione dal dibattito della Conferenza Occorre riconoscerli questi contrasti e non pretendere di assorbirli per comodità, svilendo quasi, al limite, il significato positivo della Conferenza.
Il documento che ci è stato consegnato, infatti, afferma che non vi sono state alternative sostanziali all'impostazione della Giunta. Noi crediamo che non ci siano state sicuramente sul piano operativo immediato anche perché dì questo crediamo che poco si sia discusso, ma pensiamo non sia corretto non riconoscere come sul piano generale, sulle cause e sulle caratteristiche della crisi economica che stiamo attraversando, sul rapporto tra consumi privati e consumi sociali, sulle condizioni politiche da realizzare, questi contrasti siano, purtroppo, anche emersi molto profondamente.
Da parte della D.C. è stato rimarcato come non tutto sia risolvibile con gli strumenti regionali, quand'anche questi fossero utilizzati nella loro piena validità: il maggiore riconoscimento che il documento stesso fa di una necessaria integrazione tra programmazione regionale e programmazione nazionale, ci sembra un fatto sicuramente positivo, frutto appunto di quel confronto.
Abbiamo avvertito, nella Conferenza, che la giusta ripresa e sviluppo della domanda pubblica ai fini sociali, per acquistare al nostro sistema un grado maggiore di efficienza, per elevare la civiltà del nostro sistema non potrà assolutamente essere capace, da sola, di risolvere i problemi economici ed occupazionali. Rimane, ne siamo convinti, largo spazio alla produzione per consumi privati in una realtà di mercato aperto, nella misura in cui vogliamo ribadire il nostro "no" alla chiusura del sistema produttivo. Invece che tendere a dimostrare aprioristicamente che non vi sono grandi divergenze (e il documento tende ad affermare che da parte imprenditoriale e da parte sindacale nei confronti della Giunta vi sia una sostanziale identità di vedute, il che farebbe derivare che anche tra imprenditori e sindacati c'è questa sostanziale identità, la qual cosa ci sembra obiettivamente non vera) crediamo sia preferibile il rischio di proposte, sicuramente difficili, di sintesi, di giudizio politico ma necessarie per ritrovare, dopo di questi, giusti livelli di verifica e di contrattazione.
Si dice che gli industriali hanno accettato la Regione come punto di riferimento e noi - lo diciamo con tutta franchezza - ne siamo lieti perché anche a noi interessa il prestigio delle istituzioni. Quello che non crediamo positivo e che non accettiamo, è che le istituzioni siano utilizzate come momento diplomatico delle forze politiche.
Il tentativo di annullare o di nascondere le divergenze emerge ancora una volta anche dalla concentrazione dell'attenzione, che lo stesso documento ci sembra faccia riemergere, ai temi e ai filoni del discorso delle grandi imprese. L'analisi e le proposte relative al fenomeno della piccola e media impresa, che pur viene sottolineato nel documento come necessità di un maggiore ruolo di queste forze (e vogliamo ricordare alcuni dati che sono già stati ricordati nella Conferenza) dicono che l'87% delle aziende associate all'Unione Industriale ha meno di 100 addetti, come sul piano nazionale il 70% degli addetti della industria manifatturiera sia compreso tra le piccole e medie aziende, come purtroppo dal 1961 al 1971 gli addetti in questo settore siano in decrescendo. Non vediamo, dopo queste affermazioni di un giusto riconoscimento e di un maggiore ruolo di queste aziende, emergere dal documento proposte concrete di iniziativa regionale. Possiamo ricordare sotto questo profilo due temi che ci sembra dovrebbero avere, nei confronti di questo settore, una particolare rilevanza: il tema della formazione professionale e il tema dei progetti speciali.
Il tema della formazione professionale ci sembra affrontato in misura assolutamente non adeguata per portare almeno a inizio di soluzione i problemi che ci attanagliano. Non è sicuramente con la mera pubblicizzazione che si può pensare di risolvere la questione e non emergono delle metodologie di confronto corretto, con provvedimenti che dovrebbero essere di carattere legislativo, nel rapporto tra scuola e industria per questo fenomeno della formazione.
Vengono pur ricordate, dal documento, le contraddizioni tra programmi di gruppi e della Giunta; noi avremmo voluto che queste contraddizioni venissero rimarcate dal documento stesso, per verificare su quali temi specifici ci si deve confrontare. Ma di fronte all'assenza di queste indicazioni non si tenta una risposta politica, sicuramente rischiosa, ma che crediamo sarebbe stata altrettanto positiva. Ne vi è l'indicazione di corrette metodologie di superamento, nel rispetto dei ruoli, dei contrasti emergenti tra istituzioni, forze politiche e forze sociali. Eppure ricordiamo che siamo in presenza di una piattaforma contrattuale come quella presentata dalla Federazione dei lavoratori metalmeccanici, che questi problemi ce li presenta in termini estremamente pressanti; vogliamo ricordare le loro richieste per il controllo degli investimenti delle aziende, che abbiamo visto spostarsi da un piano di pretesa contrattazione a livello aziendale, ad un piano di contrattazione più generale. Siccome questo lo riconosciamo come una giusta e positiva evoluzione, crediamo che la Regione per lo meno debba emettere un giudizio nei confronti di questi problemi di fronte ai quali ci verremo sicuramente a trovare.



LIBERTINI Lucio, Vice Presidente della Giunta regionale

Vorrei ricordare che sulla F.L.M. abbiamo emesso un giudizio nella Conferenza, a priori e non a posteriori e crediamo che questo abbia contato qualche cosa.



ALBERTON Ezio

Certo, e siamo convinti che nell'evoluzione della posizione della F.L.M. abbia contato non solo il giudizio espresso dalla Giunta, ma il giudizio espresso da tutte le componenti presenti nella Conferenza. Il problema che poniamo è sulla necessità, essendoci questo documento della F.L.M., di individuare e di proporre urgentemente le giuste sedi di questi confronti.
Ci troviamo in presenza di affermazioni - come quelle fatte dal Presidente dell'Unione Industriale - di una disponibilità a garantire 50.000 posti di lavoro, ma non ci sono state presentate, nei 40 giorni che sono passati dalla Conferenza ad oggi, degli approfondimenti ulteriori sulle prospettive concrete di queste affermazioni. Ci troviamo di fronte a indagini che sono state ricordate, soprattutto dal Consigliere Gandolfi nella Conferenza stessa, condotte dalla SORIS sulle piccole e medie imprese, sulle quali vorremmo vedere innescare un processo operativo da parte della Regione. Ci troviamo di fronte anche al piano di riconversione industriale proposto dal governo nazionale, di cui si dice essere ancora molto mal definito. Noi non vorremmo solo correre il rischio che, quando esso fosse definito, la Regione Piemonte si trovasse nell'incapacità di utilizzarlo per un mancato approfondimento di tutti i fenomeni di crisi che essa attraversa.
Rispetto al giudizio che è stato espresso in termini estremamente duri nei confronti dell'iniziativa governativa, ci sia consentito dire a quella forza politica che rimarca il vuoto politico nazionale, che non è questo sicuramente il migliore dei contributi che quella forza politica può dare.
Se il governo è debole, lo è anche nella misura in cui le forze politiche di maggioranza, che pure questo governo sostengono, non compiono i dovuti sforzi per contribuire in positivo all'elaborazione di quei documenti.



SIMONELLI Claudio, Assessore alla programmazione e bilancio

Io qui parlo come Assessore della Giunta regionale



ALBERTON Ezio

Se permetti, credo che ci sia un confronto tra le forze politiche che ha tutto il suo spazio oltre al rapporto o confronto tra le istituzioni.



SIMONELLI Claudio, Assessore alla Programmazione e bilancio

Guai se noi avessimo questo tipo di sensibilità legata ai fatti nazionali e non al ruolo regionale che dobbiamo svolgere.



ALBERTON Ezio

Certo, e allora mi riaggancio alle stesse affermazioni fatte dall'Assessore Simonelli di non voler ridurre il confronto tra Regioni e Stato a puri fatti di contrapposizione, per ricordare l'inopportunità di iniziative che pongono il fronte degli Assessori regionali in dialettica con i singoli Ministeri.
Da queste considerazioni emerge ancora una volta il ruolo specifico delle forze politiche che non si esaurisce esclusivamente in un confronto fra le istituzioni.
Noi siamo favorevoli a che questo piano di riconversione non si riduca ad un puro rifinanziamento delle leggi esistenti e crediamo che esso debba essere legato a precisi piani di settore. Noi pensiamo che in questo processo si porranno, anche per le Regioni, dei momenti nuovi per la loro presenza nei confronti del governo nazionale, per questo gradiremmo sentire dalla Giunta un commento preciso di fronte a proposte emerse in questi giorni, come ad esempio quella del Presidente della Regione Emilia, circa la creazione di un fronte delle Regioni del Nord, chiamato Padania. Nessuno contesta il necessario collegamento per progetti interregionali, per affermiamo da parte nostra l'assoluta contrarietà a fenomeni di blocchi regionali, soprattutto tra Regioni forti, che finirebbero sicuramente per indebolire l'azione programmatoria nazionale.
Noi crediamo che attraverso il confronto - ed è per questo che diamo ancora un giudizio positivo per il ruolo politico che ha potuto svolgere la Conferenza - si sia preso consapevolezza anche da parte della Giunta della problematicità dei risvolti occupazionali che alcune proposte di settore presentavano.
Nel documento per esempio il discorso sull'elettronica o sulla chimica ci pare giustamente ridimensionato rispetto alle primitive enunciazioni contenute nel documento programmatico della Giunta, sulla base del quale la Giunta stessa ha ottenuto il voto. E questo pensiamo sia un fatto positivo perché, come abbiamo detto nella Conferenza, non crediamo che, pur con gli sforzi che devono essere fatti nei confronti di questi settori, da questi settori per il nostro Piemonte ci si possano attendere grandi contributi sotto il profilo occupazionale.
Sono stati allentati nel documento, ma purtroppo ci pare siano riemersi soprattutto nell'introduzione del Presidente Viglione, alcuni giudizi perentori da anno zero su una crisi frutto quasi di una congiuntura di altri, soprattutto di padroni e governo. Vorremo che su questo ci fosse maggiore chiarezza tra le forze politiche che compongono la Giunta.
Infine riteniamo che si tenda, nel documento stesso, a favorire ancora una volta l'illusione che la nuova Giunta di per sé stessa, come meccanica conseguenza della sua formula politica, sia capace di conciliare all'interno della Regione il massimo di tutti i massimi possibili, quindi il massimo degli investimenti, il massimo dei consumi, il massimo dei salari. A nostro giudizio la situazione è ben più complessa e sotto questo profilo i dibattiti portati avanti dallo stesso Partito comunista nella conferenza operaia di Milano ci sembra abbiano fornito delle risposte per lo meno più chiare.
Noi crediamo nella necessità di precise e chiare indicazioni di programma. Questo dibattito in Consiglio regionale avrebbe dovuto trarre non solo le conclusioni politiche di ordine generale della conferenza, che in parte sono mancate, ma insieme approvare un preciso pacchetto di interventi regionali in funzione antirecessiva.
Sotto il profilo più immediatamente operativo della politica anticongiunturale dalla Conferenza non sono certo emerse molte indicazioni e la Giunta, a sua volta, non ha colmato questo vuoto nei 40 giorni che ormai ci separano da quell'incontro. Nel documento che ci è stato consegnato venerdì scorso, infatti, non solo il collegamento con la Conferenza è quasi formale, ma soprattutto manca la formulazione di quel programma operativo di emergenza che pure, come ho detto, era una finalità invero non secondaria, della Conferenza stessa.
Siamo invece in presenza di un documento ancora abbastanza squilibrato e disomogeneo, in cui si passa da affermazioni politiche generali ad indicazioni programmatorie proiettate in un futuro più o meno lontano, a specificazione di interventi più circoscritti ed immediati, cioè, ci muoviamo su piani temporali anche molto diversi tra di loro.
La Giunta, dice di aver tracciato "un quadro degli impegni operativi assunti nei diversi settori in rapporto con un programma generale della Regione". Il fatto però è che tuttora questo programma non esiste ed il rapporto tra questo programma che non c'è e gli impegni di settore diventa allora assai labile ed in più di un caso non è affatto rilevabile.
Questo dato ha una duplice rilevanza politica, in ordine al rapporto tra Giunta e Consiglio ed in ordine alla stessa azione della Giunta diviene quindi un modo di fondamentale importanza che non può non essere sottolineato.
In mancanza, infatti, di un programma discusso ed approvato Consiglio quale significato dobbiamo attribuire alle indicazioni di indirizzo dei vari Assessori, quali ci sono presentati in questo documento e che in più di un caso - lo abbiamo già rilevato criticamente per l'operato dell'Assessore all'urbanistica, ma ciò vale anche per altri suoi colleghi sono state presentate alle amministrazioni locali senza che in Consiglio vi sia stato alcun dibattito al riguardo? E quando ci si dice che "il confronto con la FIAT è proseguito, anche dopo la Conferenza, su singole questioni di notevole interesse" è legittimo da parte del Consiglio regionale pretendere di saperne qualcosa di più.
Questa osservazione vale anche per altre iniziative, ad esempio iella del SAMIA, che parimenti vengono perseguite senza portare al Consiglio tutti gli elementi che consentono di esprimere dei giudizi compiuti.
La mancanza di un chiaro programma induce poi ad una seconda conseguenza, non meno grave, risolvendosi in un accentuato scollamento tra gli indirizzi seguiti dai diversi Assessorati. L'esempio più eclatante lo troviamo nel documento stesso, nel campo della politica territoriale dove tra pianificazione territoriale e pianificazione urbanistica, manca un disegno unificante e si ripropone quella logica settoriale e frammentata che, a parole, tutti diciamo debba essere superata.
Quando nella politica del territorio si insiste sul ruolo chiave dei piani territoriali di coordinamento, mentre nella pianificazione urbanistica a questi piani non si fa alcun cenno, riproponendo la logica dei piani intercomunali (senza chiarire peraltro in quale rapporto questi si collocano con i comprensori e la pianificazione comprensoriale) non siamo più solo in presenza di uno scollamento, ma di un vero e proprio contrasto di impostazione politica che occorre dirimere al più presto, con una precisa assunzione di responsabilità da parte della Giunta e del Consiglio.
Altrettanto necessaria, crediamo, una più precisa definizione del quadro istituzionale nel rapporto tra Regione ed enti locali. Vogliamo risottolineare anche, come già altri hanno fatto, la necessità che gli enti locali vengano quanto più possibile sostenuti, pena il rischio di un loro impoverimento di autorità che deriva già loro dalle gravi carenze di autonomia finanziaria. E sotto questo profilo desidereremmo avere maggiori garanzie sulla politica dei progetti speciali, circa il modo di coinvolgere in essa gli stessi enti locali.
Circa l'elaborazione del piano, ribadiamo anche la mostra convinzione sulla necessità di questo piano. Non possiamo non riconoscere la positività della metodologia proposta: chiediamo solo il massimo coinvolgimento del Consiglio regionale attraverso le sue Commissioni, e ciò non solo nella verifica finale delle scelte compiute dalla Giunta ma anche nella valutazione e analisi delle varie alternative possibili elaborate dalle Commissioni di esperti.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SANLORENZO



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Benzi, che considererei l'ultimo intervento della serata, se non vi sono opinioni contrarie.
Ha la parola il Consigliere Benzi.



BENZI Germano

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, la Giunta ha distribuito tre giorni fa una relazione con le considerazioni sulla conferenza sull'occupazione. In realtà non si tratta di considerazioni, ma di un programma generale che ogni Assessore ha preparato, qualcuno con una certa fretta, e che manca di dati di carattere economico; l'unica eccezione quella dell'Assessore Fonio il quale ha indicato quali sono le spese che prevede per il suo Assessorato, cosa molto corretta che io ho apprezzato molto.
L'Assessore Simonelli ha detto di avere pronta una programmazione, per per la parte economica non può dare dei dati precisi, non avendo avuti dal governo. Questo vuol dire che buona parte delle cose in programma possono anche non essere fatte per cui molte dichiarazioni sono come il famoso libro dei sogni che di quando in quando viene richiamato quando si parla della vecchia Giunta.
Vorrei ora dire brevemente qualcosa su coloro che non hanno parlato alla conferenza.
Abbiamo sentito la mancanza di un intervento delle donne che lavorano in Piemonte sono molte, ma nessuna voce si è alzata per denunciare il vero stato dell'occupazione femminile Anche i contadini, questi contadini che noi vogliamo aiutare, non hanno fatto sentire la loro voce.
Quanto poi ai piccoli e medi industriali della CONFAPI, che rappresentano oggi 17.000 aziende, con. 700 mila persone occupate non hanno potuto prendere la parola. Noi non abbiamo delegato né la Confindustria, n i sindacati e nemmeno la Regione a rappresentarci, mentre hanno parlato sette rappresentanti dell'Unione Industriale. E' stato dato un grosso spazio alla grande industria, che però ha detto pochissime cose che già non si conoscessero: abbiamo sentito che cosa vuol fare la Fiat e le tristi campane della Montedison che ha dichiarato che non vuole fare più niente.
A parte però queste considerazioni a carattere polemico, vorrei dire che io non sono dell'avviso che l'Assessore all'industria debba essere anche l'Assessore al lavoro, vi sono delle cose contrastanti, non si pu sedere sull'una o sull'altra sedia, indifferentemente, altrimenti perdiamo di credibilità. L'economia industriale è una cosa molto delicata.
Io ho per l'Assessore Libertini la massima stima, il lavoro che sta facendo è imponente, gliene dò atto, non c'è giorno che i giornali non pubblichino che cosa ha detto Libertini però Libertini si mette in una situazione tale che ad un certo momento non potrà far fronte alle cambiali che sta firmando e non per cattiva volontà, ma anche per l'attrezzatura stessa dell'Assessorato al quale appartiene che è talmente debole che non potrebbe, anche volendo, fare le cose che ha in animo di fare, che forse potrebbe fare, ma che sono in antitesi; il mondo del lavoro è una cosa e il mondo della industria è un'altra, magari camminano parallelamente, ma sono cose diverse.
Questa è la parte critica, ma io vorrei parlare di una cosa un po' diversa. Non è vero che la Regione abbia assunto il ruolo che noi vogliamo far credere, nelle contrattazioni a carattere nazionale le Regioni sono ignorate, le Regioni vorrebbero intervenire, ma nessuno le vuole. Questa è la realtà delle cose.
Ed ora vorrei fare delle proposte concrete, con spirito di collaborazione, per cercare di dare qualche cosa di nuovo, se è possibile al lavoro in Piemonte.
Prima di tutto vorrei parlare un po' dell'artigianato. Ieri c'è stato un convegno dell'artigianato e la cosa mi ha veramente fatto piacere perch in Piemonte vi sono 115.000 aziende con 300/350.000 addetti. E' una grossa forza.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta Regionale

Sono 408.000 gli addetti.



BENZI Germano

E' una cosa molto aleatoria perché ci sono molti che lavorano senza libretti, però accetto la correzione del Presidente.
E' una grossa forza e mi fa piacere che ci sia stato questo confronto però c'è una cosa che dovremmo fare per aiutare questa gente: vi sono compagnie di ventura, lavoratori che hanno già un posto fisso, molte volte sicuro, che nelle ore libere, o perché si mettono in mutua, vanno a fare altri lavori portando a casa due stipendi. E' un fenomeno da non sottovalutare.



BERTI Antonio

Ci sono tanti Consiglieri regionali che hanno due stipendi e guadagnano più degli operai!!



BENZI Germano

Questo è anche vero, però non mi riguarda. Il fenomeno dell'artigianato va attentamente studiato. Io ritengo che migliaia di artigiani non possano lavorare proprio per la concorrenza sleale che viene loro fatta da gente che non paga contributi, che non fa denunce di nessun genere.
Sempre nel campo artigianale un altro fenomeno riguarda il lavoro a domicilio. Spesso gli operai di certe aziende portano a casa del lavoro per la famiglia. Anche questo è un nodo che va risolto, per diversi motivi: per la sottopaga che prendono, per la non assicurazione dei familiari, per il lavoro che viene sottratto ai disoccupati.
Spesso il motivo che impedisce ai giovani di andare a lavorare nella bottega artigiana è il luogo di lavoro, insano, poco luminoso, con servizi igienici qualche volta rudimentali. Sarebbe bene parlare di questi problemi ed affrontarli non soltanto con le generiche affermazioni che siamo d'accordo, ma per esempio prevedendo una parte delle quattro zone industriali che la Regione ha creato, per l'artigianato, in modo da poter cominciare a fare qualcosa di sano e che incoraggi il giovane a prendere questa strada.
Un altro argomento è quello dell'apprendistato artigiano. Noi dobbiamo incoraggiarlo oltre che con le scuole professionali normali, dando una ricompensa agli artigiani che insegnano un mestiere ai ragazzi. Solo in questo modo potremo salvare certi tipi di artigianato, altrimenti il lavoratore preferisce la grossa azienda dove ha previdenze che nell'artigianato non ha.
A questo proposito dobbiamo promuovere delle mostre a carattere artigiano, mandare i nostri artigiani a vedere che cosa fanno all'estero perché imparino qualche cosa, perché riescano a vendere di più.
L'artigianato molte volte non può avere sussidi perché non ha niente da dare in garanzia, non ha case, non ha terreni, ha delle macchine che valgono poco. Questa è una cosa che la Regione dovrà affrontare con la Finanziaria.
Ed ora vorrei dire qualcosa sulla piccola e media industria. Si tratta di un settore particolare, ne parliamo tutti, tutti diciamo che vogliamo aiutarla, ma essa in realtà è schiacciata dall'egoismo delle grandi aziende e da richieste sindacali alle quali spesso non può far fronte.
Innanzitutto bisognerebbe definire che cos'è la piccola industria perché esiste un pericolo che abbiamo già riscontrato: molti sussidi dati alla piccola industria vanno alla grande industria, la quale costruisce aziende di comodo per ottenere soldi cha lo Stato dà. Io ricordo che 15 anni fa vennero dati dieci miliardi alla piccola e media industria, sette sono andati sotto forme varie alla grande industria. Ecco perché dico che è un settore delicato, dove è necessario che la Regione intervenga con i suoi finanziamenti.
La piccola e media industria ha dei tutori che si sono arrogati il diritto di decidere in vece sua, i quali firmano contratti capestro senza interpellarli. Noi vogliamo che l'artigiano sia pagato come l'operaio, non vogliamo nessuna differenza, ma vogliamo che il lavoro fatto dalla piccola azienda venga riconosciuto come tale, non si può sostenere che agli effetti tributari una azienda di dieci dipendenti è eguale a un'azienda di mille duemila, 10.000 dipendenti. Questo è uno dei motivi, per cui la piccola e media azienda stenta ad andare avanti.
In Piemonte c'è una carenza notevolissima per quanto concerne la ricerca scientifica della piccola e media industria; normalmente il piccolo e medio industriale non è in grado di fare delle grosse ricerche in campo scientifico. Noi dobbiamo creare qualche cosa in questo settore affiancandoci alle Università, facendo delle ricerche in settori specializzati (quelli del legno, del ferro, della plastica) in modo che vi si possa attingere per migliorare le nostre aziende.
Un altro settore da studiare è quello del commercio. Si parla da molto tempo dell'esportazione ma in realtà gli istituti del commercio estero attualmente servono a poco, questi centri di ricerche di mercato servono più o meno a mantenere degli impiegati, dei funzionari, ma non danno alle aziende che un aiuto modestissimo. Noi dobbiamo invece formare un centro di ricerche di mercato attivo, andando sul posto per organizzarlo e dare lavoro alle nostre imprese.
L'Istituto del commercio estero non serve a niente; per confessione del suo Presidente sappiamo che in quattro anni non si è mai riunito una volta perciò pensate come funziona. Sovente ci viene comunicato che certi Stati esteri fanno ricerche di dati che noi potremmo fornire, ma lo sappiamo dopo tre o quattro mesi, mentre le altre nazioni lo sanno dopo dieci giorni. La tempestività della notizia ci permetterebbe di ottenere del lavoro.
Ho letto nella relazione che la Giunta ha presentato, un'idea che io condivido, che sostenevo da anni: fare a Torino una mostra-mercato permanente. Bisogna però stare attenti perché alla lunga la gente si stanca, occorre fare una mostra che duri tutto l'anno, ma variando i prodotti in settori diversi. Io direi che almeno una volta al mese dobbiamo fare un nuovo tipo di mostra in cui siano presenti sia l'artigianato che la piccola e media industria. L'importante è farli conoscere all'estero, che la gente venga a vedere, perché se viene poi compera. Molte volte la gente non viene perché non sa; dobbiamo anche cercare di portare i nostri prodotti fuori, essere presenti all'estero con le aziende minori, portare i nostri migliori elementi a vedere all'estero che cosa fanno.
Vorrei ancora parlare brevemente delle scuole professionali. La scuola professionale è una cosa importantissima per la formazione della manodopera di domani, li si preparano gli elementi per la nuova industria (chimica elettronica, ecc.). Bisogna abolire i corsi che non servono a nulla scegliamo dei corsi dove ci sia la possibilità di instradare l'allievo che lo frequenta ad una sicura occupazione. E' inutile fare delle scuole per dattilografe quando le dattilografe sono tutte a spasso.



BERTI Antonio

Io sono d'accordo, ma non so che cosa ne pensa quello che ha parlato prima di te.



BENZI Germano

C'è una specie di scuola che possono fare le aziende (molte volte a queste cose noi non diamo l'importanza dovuta) e sono quelle aperte non solo agli operai interni, ma anche esterni; sono le scuole più attrezzate sia come macchinario, sia come insegnanti. E' una strada che va seguita.
Di quando in quando si dice che c'è una caduta dell'imprenditorialità.
E' chiaro che oggi stare nelle piccole e medie aziende non è facile perch esiste anche un contrasto sindacale, creato all'esterno e che non ha niente a che fare con noi. E' difficile che un piccolo industriale non paghi gli stipendi, i salari, però l'atmosfera creata nell'azienda fa si che molti industriali siano stanchi ed i loro figli non seguano più le orme paterne ma altre professioni. E questo è un danno, perdiamo un grosso patrimonio L'edilizia, tutti quanti siamo d'accordo che può essere in questo momento l'inizio di una ripresa, bisogna che la burocrazia, per quanto è possibile, venga eliminata, bisogna stanziare il più possibile per le infrastrutture, per le costruzioni, per le case, per le strade, è l'unico modo oggi esistente, secondo me, per poter dare una vera spinta alla ripresa occupazionale.
Io ho letto a pag. 80 della relazione una frase che mi ha colpito, la cito tale e quale: "L'occupazione non può essere difesa obbligando le aziende a chiudere in deficit i loro bilanci". E' una frase che tutti possiamo sottoscrivere, ma poi bisogna comportarsi in modo che questo sia vero, altrimenti rimane solo una bella frase, che però non viene applicata.
Vorrei ancora accennare brevemente alla faccenda degli autobus che si vogliono fare per incrementare l'attività delle aziende. Io pensavo che fossero 30.000, Simonelli ha detto che sono solo 10.000. E' una piccola cosa da niente, un piccolo trucco che inganna la gente. Se noi pensiamo che oggi, mentre siamo in crisi, la Fiat fa ancora centomila autocarri all'anno e 10.000 pullman, è una piccolissima cosa, se pensiamo che la FIAT fa 8000 macchine al giorno, i 10.000 pullman daranno lavoro per un anno, un anno e mezzo a tre o quattro aziende specializzate, ma non risolve il problema nel settore occupazionale, è soltanto un piccolo pallone che si alza e che non dà nessun aiuto.
Da anni in Piemonte facciamo una politica di aiuto del Mezzogiorno ed è una cosa veramente meritoria, l'avessimo fatta seriamente certi problemi che oggi abbiamo forse non li avremmo avuti. Il Piemonte ha dato in questi 20/21 anni alla Cassa del Mezzogiorno circa 10.000 miliardi di contributi in lire attuali; lo Stato ha stanziato 80.000 miliardi. Ebbene questi soldi sono stati male spesi, il fatto che noi continuiamo ad aiutare il Mezzogiorno va bene, ma con un altro controllo, con un'altra mentalità. Un posto di lavoro nel Mezzogiorno costa cinque volte più di quello del Nord.
Questo vuol dire aver mangiato l'80% della somma che abbiamo stanziato questo vuol dire che occorre un sistema diverso e sarebbe bene che le Regioni fossero presenti per vedere dove questi soldi vanno a finire. Non si può depauperare l'economia italiana in questo modo.
Sono ormai alla fine, mi sono dilungato e mi spiace molto.



PRESIDENTE

Continui pure con tutta tranquillità, Consigliere, perché l'argomento è molto serio ed i colleghi la stanno seguendo con attenzione. Non c'è nessun problema di tempo



BENZI Germano

Le cose che dico molti le conoscono già.



PRESIDENTE

No, non è assolutamente vero. Parli pure con estrema tranquillità.



BENZI Germano

Vorrei allora accennare ancora al problema della spesa delle famiglie.
Noi da anni andiamo sostenendo che la spesa della famiglia è troppo alta perché una parte di commercializzazione mangia i soldi strada facendo. Lo sappiamo tutti. Se la Regione affrontasse questo problema potrebbe portare dei risparmi notevolissimi sulle vendite. Bisogna fare una società con le banche, con gli enti locali e cominciare a fare degli acquisti, come società, alla base, all'origine, poi far vendere a prezzi controllati le merci che comperiamo. Noi abbiamo una rete di negozi sterminata, è facilissimo convincere il negoziante a vendere a prezzi controllati, perci se affrontiamo il problema in questo modo, al di fuori delle cooperative che vanno benissimo, la Regione veramente può dare qualche cosa di nuovo.
La Regione ha questa possibilità dell'acquisto sul posto di origine e della vendita al negozio che deve approvvigionarli.
Io ritengo che in questo modo si possa ottenere un risparmio del 30 ve lo dice uno che una volta faceva l'Assessore all'annona e che ha una certa conoscenza dell'Argomento. E' una cosa che va vista con calma, è un'indicazione che io dò al Consiglio Regionale.
La Regione sta facendo un tentativo di inserimento fra le forze produttive, le forze sindacali: è una cosa lodevole, io sono d'accordo l'unica preoccupazione che mi dà è che se noi manchiamo alle cose che andiamo dicendo perdiamo credibilità, perciò bisogna stare molto attenti a rilasciare delle cambiali, badate che le cambiali vanno sempre in scadenza e se qualcuno non le può pagare, fa solo una brutta figura.



PRESIDENTE

Il dibattito per questa sera si conclude.
Vorrei raccomandare due cose ai Consiglieri; la prima è la puntualità domattina alle 9,30; la seconda agevolerebbe molto l'eco che il dibattito che si svolge in quest'aula potrebbe avere sui giornali: consiglierei a tutti coloro che già si sono iscritti a parlare e che si aggiungeranno ancora, di riassumere in 15/20 righe il loro intervento, subito dopo averlo pronunciato, perché questo faciliterebbe alquanto il lavoro di informazione e di collegamento con la stampa. Se anche quelli che sono intervenuti questa sera lo facessero, sarebbe di grande utilità per le agenzie di stampa e per i giornali quotidiani.
L'assemblea è riconvocata per domattina alle ore 9,30 precise.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 19,30)



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