Sei qui: Home > Leggi e banche dati > Resoconti consiliari > Archivio



Dettaglio seduta n.159 del 03/11/77 - Legislatura n. II - Sedute dal 16 giugno 1975 al 8 giugno 1980

Scarica PDF completo

Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SANLORENZO


Argomento: Interventi per calamita' naturali - Calamità naturali

Prosecuzione dibattito sui danni causati dall'alluvione del 7 ottobre u.s. in Piemonte


PRESIDENTE

La seduta ha inizio con la prosecuzione del dibattito introdotto nella precedente seduta, sui danni alluvionali.
La parola all'Assessore Fonio.



FONIO Mario, Assessore alla tutela dell'ambiente

Di fronte agli eventi alluvionali eccezionalmente luttuosi e rovinosi che ancora una volta si sono abbattuti su tante zone del nostro Piemonte il 7, 8, 9 del mese di ottobre, farei torto alla Regione - come ho già avuto occasione di dire una volta - e non già all'Assessorato alla sistemazione idrogeologica e forestale, se non dicessi quello che - oltre alla relazione del Vicepresidente sui danni - di questo specifico settore va detto spiegato e ricordato.
Quando propugnavamo sette anni fa un Assessorato alla sistemazione idrogeologica e forestale, indicando la protezione del suolo, la congiunta regolazione ed utilizzazione delle acque, nonché la difesa da tutti i tipi di inquinamento, come un compito fondamentale della Regione nella realtà di oggi, insistevamo per una visione ampia del problema, sulla necessità di coordinamento tra difesa del suolo e assetto urbanistico economico del territorio, e l'interdipendenza con tutti i settori connessi con la difesa la tutela e l'utilizzazione delle acque.
"Non si può avere una visione - scrivevamo - ristretta del problema al punto da dimenticare che è un problema connesso col rapporto naturale che esiste tra l'uomo, la terra e le acque".
E' una delle tante nostre vecchie affermazioni indicative dei principi ai quali ci siamo sempre ispirati.
L'attuale Presidente del Consiglio regionale un giorno ebbe a dire che attraverso la lettura dei commentatori più competenti e qualificati in materia regionale risultavano particolarmente apprezzate le iniziative prese dall'ecologia nella prima legislatura.
Leggi programmatiche, piani pluriennali, impostazioni organiche e di ampio respiro.
Al di là dei grossi piani di risanamento per le acque, per i rifiuti solidi ecc., e di tante leggi (basterebbe quella che anticipava le legge statale Merli), noi siamo sempre stati convinti che il lavoro più grosso è quello che si riferisce all'impostazione di un piano generale delle acque con l'annesso e connesso piano per la sistemazione idrogeologica del Piemonte.
La nostra concezione aveva portato infatti alla costituzione di questo Assessorato secondo le materie che risultano affidategli, ritenendo assurdo considerare separatamente il problema dell'utilizzazione delle acque (e quindi anche degli inquinamenti) da quello della sistemazione idrogeologica e forestale.
Così mentre i bacini imbriferi dei principali corsi d'acqua venivano visti come "unità idrografiche" ai fini della ricerca, individuazione e studio di utilizzazione delle risorse idriche sia superficiali che sotterranee, abbiamo pensato che sempre a dimensione degli stessi bacini imbriferi andavano correlativamente redatti i piani dettagliati di sistemazione idrogeologica e forestale articolati nelle seguenti fasi: opere di prevenzione: intese a raggiungere la stabilità del suolo attraverso il rimboschimento e la riforestazione opere necessarie: considerate in un programma pluriennale di interventi che possano garantire un relativo equilibrio ecologico opere urgenti: indispensabili per risanare le situazioni in pericolo.
E non ci siamo stancati in mille discorsi in tutte le maniere di ribadire che pure il suddetto programma, visto in tale ampiezza, non sarebbe comunque sufficiente e definitivo in quanto il carattere delle opere e la loro validità è subordinata poi a costanti opere di manutenzione.
E' su questo punto che lo Stato ha sempre finito per vanificare anche opere che, sempre con leggi speciali e quindi con stanziamenti straordinari, ha fatto in periodi diversi sotto la spinta soprattutto delle ondate emozionali derivanti dalle grandi catastrofi verificatesi nel Paese vedi Polesine, Firenze, Biellese, ecc.
Ma se è vero che anche i problemi ecologici che fino a non molti anni fa erano ancora riservati agli iniziati e agli esperti sono stati fatti calare dall'Assessorato regionale sul piano legislativo, organizzativo e degli interventi concreti, riteniamo che anche in merito della sistemazione idrogeologica e forestale non ci siamo limitati a fare della teoria e dell'accademia.
Ed è questo ciò che più mi preme ricordare e dimostrare e che soprattutto è giusto e doveroso che la gente del Piemonte sappia in questi frangenti da parte della sua Amministrazione regionale.
E permettetemi di ricordare che non era facile in questa materia arrivare a cose concrete e operative perché fino a ieri: 1) non c'era pendente e tanto meno realizzata la 382 e lo Stato era ancora sulla posizione più intransigente e negatoria di qualsiasi competenza alle Regioni. L'avv. Oberto ricorderà con quanta delusione, dopo certe telefonate a Roma, mi diceva che era inutile insistere con la mia proposta che doveva, poi, dopo tanti tentativi, diventare invece la legge regionale n. 54.
2) Per fortuna non c'era neppure lo stato eccezionale derivante da grandi calamità per smuovere un'attività di emergenza che è proprio quella sui cui aspetti negativi si sono versati fiumi anche di inchiostro facendone una delle colpe principali dello Stato.
3) Quando si disaggregano materie tradizionali (prendendo come nel caso nostro un pezzo di lavori pubblici, un pezzo di agricoltura e un pezzo di sanità) ci sono sempre anche e naturalmente delle difficoltà interne da superare. E' cosa ovvia e ancora oggi per un'impostazione razionale e omogenea è aperto tutto un discorso sul pronto intervento che da solo sulla sua natura, sulla sua consistenza, sui suoi fini, sui suoi effetti sulle sue correlazioni varrebbe tutto un dibattito.
Al di là di tutto ciò, dopo un lungo braccio di ferro col Governo arrivavamo alla fine del 1975 ad avere approvata la legge regionale 19 novembre 1975 n. 54 "Interventi regionali in materia di sistemazione di bacini montani, opere idraulico-forestali, opere idrauliche di competenza regionale", che partendo dalle indicazioni del "Rapporto sulla difesa idrogeologica in Piemonte", nel frattempo elaborato in collaborazione con l'Ines, organizza complessivamente tutti gli interventi regionali in materia di difesa del suolo, assumendoli a totale carico (opere idraulico forestali nei territori montani, opere idrauliche di quarta e quinta categoria e non classificate, lavori di difesa di abitati e di strade provinciali e comunali da frane, corrosioni di fiumi e torrenti, opere di consolidamento e trasferimento di abitati, ecc.).
Soprattutto la legge prevede la predisposizione di programmi annuali di intervento divisi in programma per nuove opere e programma per opere di conservazione e manutenzione (della quale abbiamo prima sottolineato l'importanza per la salvaguardia delle opere nuove) e determina che tali programmi debbano essere formulati organicamente per bacino idrografico.
Com'é a tutti ormai noto le opere possono poi essere progettate e realizzate o dagli uffici regionali periferici o dagli Enti locali intermedi (Province e Comunità montane) sempre a totale carico regionale.
Finora sono stati predisposti i programmi per gli anni 1975 e 1976 e le relative opere sono in avanzata fase di realizzazione. Per ciascuno degli anni 1975 e 1976 nel bilancio regionale è stata impegnata una spesa di L. 5 miliardi all'anno.
Per il 1977, il rifinanziamento della legge è previsto per soli due miliardi, attraverso la variazione di bilancio che si dovrebbe approvare oggi, parte dei quali andranno certo ai problemi della sistemazione forestale, ma ci sono intanto sia le opere di competenza regionale sia quelle di competenza statale legate agli specifici programmi e leggi ancora una volta di natura straordinaria e contingente dei quali ha riferito il Vicepresidente.
Riprendendo invece il discorso sulla politica generale di difesa del suolo della Regione, ricordiamo che alla fine dello scorso mese di luglio il Consiglio regionale ha approvato il Piano di sviluppo regionale fino all'anno 1980 e nell'ambito dei problemi generali della gestione e assetto del territorio ha approvato uno specifico programma per la sistemazione idrogeologica e forestale che, basandosi sull'esperienza acquisita nell'attuazione della legge, n. 54/1975, da una parte determina le somme annue necessarie per gli interventi di sistemazione idraulica e di difesa del suolo nel territorio piemontese (12 miliardi nel 1978, 12 miliardi nel 1979, 13 miliardi nel 1980), a prescindere dalle situazioni di contingenza che si sono create, riferiti sempre alle competenze regionali ante legge n.
382, e dall'altra precisa che almeno metà delle suddette disponibilità finanziarie dovranno essere orientate ad interventi programmati nell'ambito di bacini che presentano il maggiore dissesto ambientale e nei quali sono in avanzata fase gli studi per giungere alla formazione di "piani di bacino" complessivi che tengano conto delle esigenze di intervento dalla fonte alla foce del corso d'acqua.
E sempre per la concretezza dei nostri discorsi ricordiamo che sono già pronti i piani di bacino del Sesia e della Dora Riparia che saranno verificati in questo mese di novembre in apposite riunioni con tutti gli Enti locali e gli organismi tecnici interessati (Comuni, Comunità montane Comprensori, Province, uffici periferici della Regione, Magistrato per il Po).
Inoltre stanno per essere avviati - tenuto anche conto degli ultimi eventi alluvionali - i piani di bacino dello Scrivia e Curone, del Bormida del Toce.
Io sento di poter affermare che la 382 arriva già scontata per quello che sono sempre state le nostre specifiche rivendicazioni in tema di difesa del suolo e opere idrauliche e che ci trova preparati con impostazioni che solo chi avesse delle ragioni strumentali potrebbe osare di ritenerle superate.
Strumentalmente si può tutto, si può anche arrivare a sostenere che è superato un Assessorato che ha avuto i riconoscimenti di cui ho parlato in premessa.
In un dibattito come questo bisogna non limitarsi al contingente, anche se l'immediato e il concreto ci deve trovare impegnati allo spasimo, ma certo bisogna saper guardare anche in prospettiva, al futuro.
E' dal 1970 che ragioniamo per il contingente, sì, ma soprattutto per la prospettiva e proprio da questo Assessorato non possiamo non considerare la 382 e le competenze che in materia ci attendono sulla soglia del 1 gennaio 1978.
L'articolo 89 al suo ultimo comma dice che con tale data passano alle Regioni anche le opere idrauliche di terza categoria.
Bisogna però tenere presente che la 382 sempre all'articolo 89 precisa che entro un anno dalla sua entrata in vigore lo Stato dovrà procedere alla delimitazione - sentite le Regioni - dei bacini a carattere interregionale per i quali dovrebbe permanere inalterato l'attuale regime di competenza esclusiva da parte dello Stato stesso, mentre i bacini a carattere regionale dovrebbero passare alle Regioni.
Per il Piemonte che fa interamente parte del bacino padano c'è perci il timore che neppure la legge in discussione possa costituire l'atteso momento di decentramento, se nella sua applicazione dovesse prevalere un'ottica accentratrice.
Ragioni di funzionalità dovrebbero invece portare a considerare la necessità che le Regioni possano direttamente provvedere ai bacini locali pur riconoscendo la necessità di un coordinamento interregionale che potrebbe essere esercitato dallo stesso Magistrato per il Po, in collaborazione con le rappresentanze delle Regioni padane.
Supponendo che nell'applicazione del citato articolo di legge venga seguita questa ragionevole impostazione si vedrebbe così ampliato il campo delle competenze regionali a tutta la difesa idrogeologica, ivi comprese le opere idrauliche di terza categoria, e allora sempre più di importanza fondamentale diventerà la nostra impostazione che passa attraverso lo studio e la formulazione dei piani di bacino per l'individuazione e l'organica impostazione di ogni opera necessaria per l'assetto, dalla forestazione alle opere idrauliche.
Rimaniamo convinti dell'attualità e dell'insuperabile bontà della soluzione attraverso i piani dei bacini idrografici.
Il concetto tecnico a cui essi si richiamano è stato affermato ormai da lungo tempo: esiste un rapporto di causalità abbastanza stretto fra i vari fenomeni idrogeologici che si manifestano lungo un bacino dalla sorgente alla foce, conseguentemente gli interventi sistematori ed ogni attività che presupponga un impatto su tali fenomeni, vanno considerati secondo un quadro coerente.
Tali principi appaiono ben lungi dall'essere superati, vengono anzi dimostrati per contrario ad ogni evento alluvionale e dovrebbero anche costituire una prescrizione assai netta contro certi interventi di ripristino piuttosto disordinati e convulsi che si eseguono dopo ogni sinistro, così come rispetto ad ogni utilizzazione del suolo.
I piani di bacino devono pertanto servire, oltre che a fornire indicazioni per un programma coerente di opere, anche per individuare i vincoli circa l'utilizzazione del territorio, sia dal punto di vista agrario e forestale che sotto il profilo urbanistico.
Si instaura perciò un rapporto fra piani di bacino e piani agricoli zonali e piani territoriali di coordinamento a livello comprensoriale.
In pratica le prescrizioni che esso può fornire riguardano - per quanto concerne l'agricoltura - la scelta delle colture per un'adeguata difesa del suolo dall'erosione e per una sistemazione idraulico-agraria razionale.
Per quanto concerne l'urbanistica riguarda le modalità di costruzione e i limiti di edificabilità in rapporto alle caratteristiche del suolo, la localizzazione e le modalità costruttive di edifici e manufatti in rapporto all'equilibrio idraulico.
I piani di bacino non sono solo strumenti per rendere coerenti le politiche rispetto a vincoli ed esigenze di ordine puramente fisico, ma vanno considerati come veri e propri piani economici, scaglionati nel tempo, tenendo anche conto delle risorse finanziarie disponibili.
E' ovvia perciò la necessità di scegliere la soluzione di intervento più economica e più favorevole allo sviluppo socio-economico dei territori interessati.
Va in proposito ribadita la necessità di superare certe impostazioni tipiche della Commissione "De Marchi" che giunse ad effettuare valutazioni iperboliche del fabbisogno di intervento per la difesa del suolo (questo forse è stato un motivo per accantonarle), scoraggiando le possibilità di intervenire in modo organico che sarebbero invece potute scaturire da una più realistica valutazione dei problemi.
Oltre tutto è bene ricordare che molte delle valutazioni della suddetta Commissione non nascevano da sufficienti conoscenze del territorio.
Ma ribadita la validità dei piani di bacino rimane il grosso problema dell'organizzazione regionale del settore.
Il momento politico-decisionale deve essere sorretto da un'adeguata conoscenza delle situazioni e delle esigenze d'intervento.
Tale conoscenza può provenire, come si è già accennato, dalla generalizzazione, sia pure con diversi livelli d'approfondimento, dello studio organico dei bacini.
Uno strumento per migliorare tali conoscenze può essere offerto dalla recente legge sull'occupazione giovanile secondo quanto diremo più avanti.
Entrambe le esigenze potrebbero venire coperte dalla costituzione di un gruppo regionale interdisciplinare di esperti (studiosi di scienze del suolo, idraulici, forestali, ecc.).
Un secondo problema riguarda la raccolta di alcuni dati di base che devono costituire, anche in presenza di un adeguato apparato di rilevatori l'indispensabile premessa.
Il riferimento più ovvio, in argomento, riguarda, ad esempio, i dati pluviometrici ed idrografici. Si tratta di sostituire lo Stato in funzioni come quella del servizio idrografico - che, di fatto, possono essere considerate ormai abbandonate.
La legge n. 382 mantiene gli uffici idrografici nell'ambito statale.
Ciò pone grossi problemi che vanno comunque affrontati con strutture integrative da parte delle Regioni.
Inesorabilmente si pongono poi altri due grossi quesiti: quale articolazione dare agli interventi, o meglio, come individuare le singole unità idrografiche? Quale struttura tecnico-amministrativa deve presiedere alla gestione della politica idrogeologica di bacino? Dal punto di vista tecnico il problema dell'individuazione delle unità idrografiche non presenta soverchie difficoltà.
I problemi sorgono invece in rapporto agli aspetti politico-gestionali.
Tali problemi sono di duplice natura: funzionali e giuridici.
Dal punto di vista funzionale vi è l'esigenza di raccordare la politica di bacino a quella di Comprensorio.
Si possono fare due ipotesi da approfondire con successive indagini: la prima è quella di considerare gli organismi di bacino alla stregua di altre strutture specialistiche settoriali (zone omogenee agrarie, distretti sanitari), tutte riconducibili nell'ambito del Comprensorio che ne costituisce il momento unificante a livello politico e programmatorio.
Bisogna d'altro canto tenere conto che i bacini, oggi, spesso non coincidono con i Comprensori, né sono riconducibili a questi.
L'altra ipotesi sarebbe allora quella di articolare gli interventi al solo livello di Comprensorio, coordinando con un'azione di governo regionale le politiche dei diversi Comprensori, nel caso di bacini policomprensoriali.
La soluzione, sotto il profilo funzionale non appare agevole anche perché i Comprensori sono stati costruiti con criteri territoriali afferenti l'attività antropica, trascurando in modo forse eccessivo gli aspetti fisici del territorio.
Dal punto di vista giuridico ogni possibile soluzione funzionale del problema deve tenere conto che esistono leggi tuttora vigenti - quelle sulle opere idrauliche, risalenti, come è noto, ai primordi del secolo che prevedono strutture semi privatistiche, rappresentate dai consorzi idraulici. Questi, come si ricorda, sono formati dai proprietari dei fondi interessati alle opere di difesa, oltre che dai Comuni ove queste hanno sede.
La legge prevede una classificazione per opere, anziché per corsi d'acqua.
Inoltre il sistema di finanziamento e di gestione da esso previsto è del tutto privo di funzionalità.
Senza dilungarsi in critiche già assai note, si può comunque concludere che si tratta di un sistema di governo del tutto inadeguato, come conclude la stessa Commissione De Marchi, per cambiare il quale sarà opportuna una legge quadro nazionale.
Si tratta di una vasta materia de jure condendo alla cui elaborazione è però opportuno che partecipino anche le Regioni con proprie motivate proposte.
Il quesito sul come operare a livello regionale in attesa di tali modifiche legislative nazionali, può essere forse affrontato cercando di creare strutture operative che superino i consorzi idraulici e creando inoltre un raccordo con la difesa montana messa in atto attraverso le Comunità montane.
Un primo passo in materia potrebbe essere quello di una diversa articolazione degli attuali uffici del Genio Civile.
Tale articolazione dovrebbe avvenire anche settorialmente creando degli uffici delle acque operanti al livello territoriale ritenuto più idoneo (come si è accennato prima, per Comprensorio o per unità idrografiche).
Tali uffici dovrebbero inquadrare l'attuale personale del Genio Civile addetto ai problemi delle acque ed i tecnici forestali.
Essi dovrebbero inoltre incorporare anche nuovi ruoli tecnici, ad oggi del tutto mancanti, riguardanti il settore geopedologico.
Colleghi Consiglieri, poiché è vero che il discorso in rapporto a questi problemi alluvionali diventa colpevole quando si limita all'oggi e alle calamità in atto, quanto ho detto era doveroso da parte dell'Assessorato alla sistemazione idrogeologica e forestale e andava aggiunto, in vista delle competenze che ci arriveranno con il 1° gennaio prossimo (questa è l'ultima occasione per dibattere il tema da qui ad allora), non solo ai discorsi, ma ai fatti, alle leggi, ai piani e ai programmi operativi svolti nei sette anni passati che non sono stati certamente di attesa, ma di anticipazioni.
Con questo noi crediamo di offrire una sicura garanzia alle nostre popolazioni, garanzia di prova provata che va al di là di ogni discorso portato dall'onda emozionale che inesorabilmente segue gli eventi alluvionali, che va al di là delle improvvisazioni e delle strumentalizzazioni, per affondare le sue radici nell'esperienza, nello studio, nella razionalità e organicità delle soluzioni.
Nel frattempo crediamo di dovere anche noi un ringraziamento, oltre che a tutto il personale degli uffici periferici della Regione, al personale del nostro Assessorato per tutto quello che ha saputo produrre negli anni pur nell'impari condizione numerica, e anche per tutto quello che ha fatto sullo stato di emergenza dal mese di maggio in qua in collaborazione con tutto l'altro personale della Regione anche per cercare di rispettare i tempi programmati già dopo le piene di primavera. Le difficoltà sono superiori al previsto, pur sul piano delle norme e dei provvedimenti di emergenza e di carattere eccezionale.
Meno ancora ovviamente lo è stato per noi nell'avvio dell'attuazione della legge regionale n. 54 in ordine alla quale vi era stato qualche rilievo di lentezza da parte di qualche Consigliere.
Ci sembra doveroso ricordare che già quando approvammo la legge nel novembre 1975, di fronte alle osservazioni che qualcuno faceva secondo cui sembrava assurdo stanziare 5 miliardi a novembre per lo stesso 1975, noi facevamo rilevare che inesorabilmente questi programmi si svolgono da un anno per l'altro e che non era il caso di perdere un inverno per la programmazione e progettazione.
Nell'ambito di opere di sistemazione si tratta infatti di programmare razionalmente gli interventi scegliendo le priorità (e da oggi sulla base anche dei piani di bacino), progettare seriamente le opere da parte degli Enti concessionari e degli uffici periferici (Geni Civili e Ispettorati forestali), passare, per le opere superiori ai cento milioni (e questo limite è da elevare), all'approvazione dell'apposita Commissione tecnica nominata dal Consiglio (e se ai fini della fretta questa non sembra positiva, quanto lo è apparso invece ai fini della validità delle opere!) ed infine ci sono stati tutti i tempi tecnici insuperabili (pubblicazioni avvisi, inviti, gare) per l'esperimento degli appalti veri e propri previsti dalla legge.
Può aver influito anche il fatto che già prima ricordavo, e cioè che essendo nato l'Assessorato con l'aggregazione originale di materie prese da altri settori, ci si è trovati senza persino quelle strutture tradizionali che altri Assessorati hanno invece ereditato, ragione per cui si è sentito il passaggio dalla fase della creazione delle leggi e dei piani a quella dell'attuazione, date le pochissime persone che eravamo fino a qualche tempo fa.
Crediamo comunque di aver superato ormai anche la fase di rodaggio della legge n. 54 e che le calamità di questa eccezionale annata che si avvia al suo termine siano almeno servite per dare una spinta per superare i problemi della scarsità di personale legata a questo settore.
Proprio ieri la Giunta ha approvato due bandi di concorso per geologi applicati e per tre ingegneri idraulici che dovranno anche collaborare alla progettazione delle opere di sistemazione idraulica e di difesa di abitati di maggior impegno e difficoltà.
L'orientamento, infatti, che si è confermato anche in occasione degli eventi alluvionali di maggio e ottobre è quello di affidare agli Enti locali (Province, Comunità montane, Comuni), in delega o in concessione, la progettazione e l'esecuzione delle opere di normale impostazione (difese di strade comunali e provinciali e di abitati, lavori idraulico-forestali opere idrauliche minori, ecc.) e di assumere a carico regionale, attraverso gli uffici periferici e con il coordinamento di un ufficio tecnico centrale adeguatamente attrezzato, la progettazione delle grandi opere idrauliche (specialmente di terza categoria) e dei grandi lavori di consolidamento e di protezione degli abitati.
In tale contesto ci preme ancora sottolineare l'importanza che pu rivestire, nell'ambito dei problemi dell'occupazione giovanile, il progetto "Sistemazione idrogeologica e forestale" - predisposto dalla Giunta approvato dal Consiglio e su cui il CIPE dovrebbe decidere favorevolmente a tempi brevi - che prevede di impegnare 100 giovani tecnici, tra laureati e diplomati, per una parte in un complesso lavoro di censimento di tutti i dati geologici, geomorfologici e pedologici esistenti e di rilevazione sul terreno di tutte le situazioni di dissesto, e per l'altra parte in un'attività di controllo geologico sul territorio e di collaborazione alla progettazione e direzione lavori delle opere di sistemazione necessarie.
Il tutto in un quadro di riferimento comprensoriale che porterà ad operare in ogni Comprensorio un gruppo interdisciplinare di 4-5 tecnici (geologi, ingegneri, geometri, ecc.), opportunamente istruiti con un corso di formazione presso l'Università, il Politecnico e il C.N.R. e coordinati dagli Assessorati competenti della pianificazione territoriale e della sistemazione idrogeologica e forestale.
Riteniamo di poter concludere dicendo che, anche nell'infausto accadere delle piene del maggio e dell'ottobre scorsi, la nostra gente ha potuto constatare che la Regione Piemonte non solo è partita per prima e nel modo più specifico e razionale sui problemi della difesa del suolo e della sistemazione idrogeologica, ma si sta dedicando nel modo più concreto e fattivo per il superamento della tragica situazione in atto e per garantire un domani più sicuro e più sereno a tutta la popolazione.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Petrini. Ne ha facoltà.



PETRINI Luigi

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, prendendo la parola in simili circostanze, si vorrebbe sfuggire, almeno una volta, dalle espressioni purtroppo ormai consuete, di cordoglio alle famiglie dei deceduti, di solidarietà alle popolazioni colpite e di appello a tutte le autorità competenti perché provvedano al ripristino della normale situazione nelle zone colpite.
Tuttavia, anche oggi ci troviamo in queste condizioni, di fronte all'alluvione che ha colpito parte del Piemonte ed in particolare la Provincia di Alessandria.
Attività paralizzate, case distrutte, raccolti perduti e, quel che è più grave, morti e feriti, sono il catastrofico bilancio di situazioni che purtroppo si ripetono a scadenze quasi regolari.
Un'altra pagina dolorosa nella storia del nostro Piemonte, purtroppo, è stata scritta anche se lo slancio di solidarietà e di collaborazione della popolazione ha avuto modo di esprimersi nuovamente con varie manifestazioni di generosità e di reciproco aiuto: in ciò si deve riconoscere lo spirito ed il concreto valore dell'iniziativa di un quotidiano piemontese che ha promosso una pubblica sottoscrizione, che nel suo significato va ben al di là del pur cospicuo risultato raggiunto.
Le drammatiche vicende di questi giorni ripropongono all'attenzione di tutti una serie di problemi gravi e di interrogativi angosciosi.
E' vero che ci troviamo spesso di fronte ad eventi nei quali esiste molto di imprevedibile e di inevitabile.
Basti pensare all'ondata eccezionale di maltempo, al volume intenso delle piogge, alla frequenza delle precipitazioni perdurate anche nella stagione estiva e che hanno praticamente ridotto a zero il fattore di permeabilità del terreno; precipitazioni che hanno aggravato una situazione di disordine idraulico tuttora persistente.
Ma tutto questo non significa che siano totalmente assenti le possibilità di difesa e che l'uomo e le istituzioni debbano rassegnarsi solo ad intervenire nell'opera di soccorso.
E' invece necessario operare, almeno oggi, in due direzioni: quella del pronto intervento per la sicurezza delle comunità locali e per la salvaguardia delle vite umane e quella della prevenzione attraverso lo studio, la progettazione e la realizzazione concreta delle opere necessarie.
E' innanzitutto necessario ed indispensabile l'intervento del Governo che ci auguriamo venga nella seduta di questa settimana del Consiglio dei Ministri, per estendere alle zone colpite dall'alluvione i benefici della recente legge statale 639 di cui, è ovvio, andrà effettuato un congruo rifinanziamento.
Parallelamente vanno tenute presenti le possibilità offerte, secondo quanto si è appreso in questi giorni, di un decreto governativo immediatamente operativo e quindi più rapido ed efficace, che accomuni nell'intervento di sostegno, rispettate le obiettive proporzioni, tanto le tre Regioni colpite quanto i settori che necessitano di opere di ripristino ed in modo particolare l'economia agricola che è la più colpita e che deve essere messa in grado non soltanto di sopravvivere, ma di organizzarsi più efficacemente.
L'attuale regime giuridico pone ancora sotto la competenza dello Stato la dichiarazione di zona colpita da eventi calamitosi di particolare gravità ed entità e, in attesa dell'entrata in vigore della normativa conseguente alla 382, mi sembra legittimo agire ancora in una direzione che, tra l'altro, ha già gli strumenti legislativi regionali pronti ed una traccia operativa recente da seguire per gli altri organismi interessati.
Ciò che deve essere chiaro è che non si ricerca uno scarico di responsabilità, ma che si richiede un aiuto al Governo indispensabile ed insostenibile per le finanze regionali.
Di fronte ad una valutazione di danni per il solo Piemonte di circa 150 miliardi necessari per ricostruire opere pubbliche per la stessa economia industriale, agricola ed artigianale delle zone colpite, è indispensabile il supporto finanziario dello Stato, che non dovrà limitarsi ai settori di mera competenza (ANAS, Ferrovie, Magistrato per il Po, altre materie residuate), ma dovrà comprendere, alla stregua di quanto già avvenuto per l'alluvione di maggio, anche le opere di competenza regionale.
Chiediamoci ancora: "cosa deve fare concretamente lo Stato per la sistemazione idrogeologica e del suolo?". La situazione credo sia in questi termini.
Un disegno di legge denominato "Piano Gullotti" prevedeva una spesa di 1.100 miliardi da effettuarsi nell'arco di un decennio (1973 -1982) secondo un preciso piano finanziario di priorità. Il disegno di legge del giugno 1973 si fermò in sede di discussione parlamentare e decadde per l'anticipata fine della legislatura.
La riedizione del piano Gullotti dovrà essere approvata dal Consiglio dei Ministri: per la parte finanziaria lo stanziamento salirà a 3.000 miliardi di lire nell'arco di un decennio (1978-1987) da utilizzarsi in una logica che superi il discorso delle misure di emergenza adottate per tamponare le singole situazioni. Il Ministro dei lavori pubblici ha già trasmesso alla Presidenza del Consiglio lo schema del disegno di legge concernente il "programma decennale per la difesa del suolo", affinch l'argomento possa essere esaminato in una prossima seduta del Consiglio dei Ministri.
Certo è che in questi giorni ho voluto rileggermi attentamente il testo integrale del recente accordo stipulato tra i sei partiti dell'arco costituzionale - la cosiddetta intesa programmatica - e, senza voler criticare alcuno, non ho trovato nulla (al di là della necessità di una politica di forestazione nel capitolo dell'agricoltura) che faccia riferimento alla sistemazione del suolo.
Senza entrare nel merito, c'é da sperare, anche sotto la spinta emotiva dei fatti recenti, che i tempi legislativi del piano Gullotti siano ragionevolmente brevi.
Uno spunto interessante, potenzialmente foriero di positivi sviluppi ci è venuto in questi giorni da un provvedimento CEE, di per se stesso limitato come entità economica, ma utile per la futura impostazione del problema.
In altre parole, essendo il problema del far fronte alle calamità naturali una questione non solo nazionale, ma internazionale (e, oltre a ciò, un momento di solidarietà che non conosce confini), sarebbe interessante verificare l'ipotesi di un più ampio dimensionamento di studi e ricerche volti ad analizzare il territorio e ad escogitare gli strumenti più idonei per eliminare il dissesto.
Data la "rilevanza" delle Regioni nell'ambito comunitario, credo non sarebbe male - e giro la proposta alla Giunta - prendere gli opportuni contatti per approfondire i termini della questione specie negli aspetti delle evoluzioni climatologiche che sono in atto.
La comunità piemontese deve tuttavia essere consapevole che la Regione nei limiti delle sue possibilità e delle sue competenze, fa la sua parte dignitosamente e con serietà.
Come farla, dunque, la nostra parte? Diamo innanzitutto atto alla Giunta di aver già stanziato 5 miliardi per interventi urgenti; al contempo approviamo la ventilata istituzione del servizio geologico regionale.
Abbiamo sentito dall'Assessore Bajardi la relazione introduttiva sui danni del maggio e del recente ottobre e nel complesso ne approviamo l'impostazione e le conclusioni, salvo verifica nel dettaglio in sede di II Commissione.
Con ciò si vuole riconoscere un impegno operativo della Regione, anche se, nell'emergenza, all'assenza di un centro operativo regionale, hanno ampiamente e con merito sopperito le Prefetture interessate e gli Enti locali, che hanno saputo alleggerire i gravi disagi di ordine materiale.
Molto resta ancora da fare, a mio giudizio, ferma restando la verificabilità concreta delle proposte, occorre innanzitutto raccogliere tutte le risorse disponibili in bilancio nell'ambito dei lavori pubblici e non, e destinarle alle opere di ripristino e di riattamento delle infrastrutture danneggiate, unendo a tale operazione, beninteso, un'azione di tipo assistenziale a sostegno delle popolazioni colpite.
Ne consegue che, almeno per quest'anno, occorrerebbe rinunciare eccezion fatta per gli acquedotti e le fognature - al consueto riparto di fondi per opere pubbliche di interesse degli Enti locali: ma il sacrificio e non vi è chi non lo capirebbe - andrebbe in nome del superiore interesse collettivo.
In secondo luogo, e qui mi riallaccio ad una precedente richiesta, si tratta di rendere efficace subito uno strumento di legge già esistente: la legge n. 54 del 1975, recante: "Sistemazione idraulico forestale di competenza regionale" e la successiva legge 36 del 1976.
Senza entrare nel merito di quanto dirò più appresso c'é da osservare che il modo di utilizzo di queste leggi - lo ricordava Fonio - è risultato quanto meno estremamente protratto nel tempo e privo, nella sua esplicazione pratica, del necessario coordinamento con altri interventi regionali, particolarmente prezioso in questi frangenti, nell'attesa che subentrino i nuovi termini d'azione ed il nuovo riparto di competenze a seguito della 382.
Perché, a ben vedere, ecologia è una politica, è una coscienza, non solo una struttura. I suoi campi di azione, le sue prospettive operative sono assai vaste ed investono l'assetto del territorio, i lavori pubblici l'agricoltura, l'industria, il tutto necessariamente coordinato con l'attività degli Enti locali.
Senza trascurare, pertanto, una valutazione su ciò che, come Regione già andava fatto, preoccupiamoci di fronteggiare l'avvenire con idee chiare e proposte concrete, senza le quali non è fantasia pensare che ci ritroveremo a primavera a ridire le stesse cose.
Si parla spesso e volentieri di nuovi studi, di nuove analisi da sviluppare.
Personalmente, sono dell'avviso che non abbiamo più bisogno, a monte di molte ricerche. Si tratta, semmai, di aggiornare quanto è già disponibile, coordinando e creando anche in questo settore nuovi rapporti con il Magistrato del Po, i centri di ricerca universitari, il Consiglio Nazionale delle ricerche e con gli ordini professionali interessati.
Ci troviamo infatti di fronte a parecchi studi in materia.
Da quello dell'Ires del 1969 con le prime indicazioni sui problemi della difesa idrogeologica nel Piemonte, a quello del 1970, sempre dell'Ires, "Aspetti dell'assetto idrogeologico della Regione piemontese" edito dall'Unione delle Province piemontesi, aggiornato con i risultati di un'indagine condotta presso i Comuni della Regione, per giungere al settembre 1975 al rapporto sulla difesa idrogeologica in Piemonte compilato dall'Ires, su commissione della Giunta regionale, che propose delle linee per un razionale intervento nella difesa del suolo, linee che possono riassumersi nella necessità di operare gli interventi per piani di bacino che tengano cioè conto della situazione del corso d'acqua dalla fonte alla foce. Ho ascoltato con interesse anche l'intervento dell'Assessore Fonio. Proprio le sue dichiarazioni programmatiche e tecniche e di validità delle strutture create ci inducono a ricordare che con la legge regionale n. 54 del 1975 sono stati stanziati 5 miliardi ed è stato conseguentemente formulato il programma delle opere di sistemazione idraulico-forestale per l'anno 1975.
Con la legge regionale n. 36 del 1976 è stata autorizzata per l'anno 1976 la spesa di ulteriori 5 miliardi ed è stato formulato il programma per l'anno 1976.
Nel 1977 il capitolo 11.400, relativo alla legge 54 del 1975, viene inserito nel bilancio per memoria, e in un recentissimo disegno di legge della Giunta in materia finanziaria per la parte della spesa: all'ecologia vanno in più 2 miliardi e 117 milioni per la sistemazione idrogeologica e forestale.
Ma la realtà é, contrariamente a quanto dichiarato a più riprese alla stampa quotidiana dalla Giunta, che dei 10 miliardi stanziati nei due anni e adesso 12 miliardi, pagate per interventi giungono oggi neppure al terzo della disponibilità e cioè 2.457.975.190 su 12.
Non vorremmo che i 50 miliardi annunciati dal Piano di sviluppo nel programma per la sistemazione idrogeologica vengano ad essere soggetti agli stessi condizionamenti temporali (e quindi a scemare di efficacia), come successo per gli stanziamenti fin qui disposti.
Purtroppo ci sono altri esempi della lentezza esasperante e della macchinosità del sistema.
Il 21 dicembre 1976, la Giunta regionale deliberava di promuovere lo studio e la redazione dei piani di sistemazione idrogeologica e forestale in alcuni bacini idrografici piemontesi, individuati in linea di massima nei fiumi o torrenti Scrivia-Borbera e Curone in provincia di Alessandria e di autorizzare per l'attuazione dei suddetti piani la trattativa privata previa gara ufficiosa tra almeno tre società e studi professionali di ricerca che operano nella materia e di stanziare, conseguentemente, 87 milioni in via di prima ipotesi.
E' passato quasi un anno dalla delibera, ma non abbiamo visto assegnare alcun incarico o stipulare alcuna convenzione con società e studi professionali.
Tra l'altro, proprio in quelle zone ove disgraziatamente si sono poi verificati i recenti fatti alluvionali.
Non voglio diffondermi oltre sull'attuale stato di scoordinamento dell'operato regionale in materia cui, mi pare, pongano mano diversi Assessorati con iniziative di cui è spesso difficile identificare il comune denominatore: l'istanza di coordinare la materia fu fatta dal Gruppo D.C.
in sede di esame del Piano di sviluppo ed oggi la riprendo col maggior vigore consentito dalla situazione contingente.
Guardiamo dunque, una buona volta, ad un modo per operare con unità di intenti, studiamo lo strumento che codifichi l'operato regionale prima e dopo il fatto calamitoso.
La presenza del pronto intervento che dal 1972 al 12/7/1977 ha visto da parte regionale uno stanziamento di 12 miliardi e 805 milioni in un progressivo accentuarsi dell'impegno regionale, postula la necessità di un provvedimento proprio della Regione Piemonte, che "regionalizzi" la materia, inserendosi nell'ottica che aveva originato il decreto 1010 e valuti le nuove competenze della 382, interpretandone lo spirito alla luce dell'esperienza e delle esigenze più recenti.
Vi è la contemporanea necessità di un coordinamento tecnico fra organi regionali, provinciali, comunali, Anas, Magistrato del Po, Ferrovie soprattutto in funzione degli eventi calamitosi di più vasta portata.
E credo che ciò si potrà ottenere non solo con un unico Assessorato o in un'unica "agenzia" che operi a livello regionale, ma soprattutto con una normativa legislativa regionale per interventi in caso di calamità normativa che il Gruppo D.C. si impegna a presentare entro brevissimo tempo e che sarà aperto a tutti i contributi delle forze politiche impegnate in Consiglio.
Se è vero che, come abbiamo letto, "La Regione ha un piano", mi pare quanto meno logico che sia un unico centro operativo, un unico Assessorato o agenzia a farsene carico, disponendo tanto per gli interventi di immediata necessità, quanto per quei lavori a più ampia scadenza.
Non dimentichiamo inoltre che, con la 382 ed il decreto 616, per ci che concerne l'assetto del territorio e la sistemazione dei corsi d'acqua circa 2.000 km di fiumi e torrenti classificati di terza categoria passeranno alla Regione, in aggiunta alla quarta e quinta categoria e corsi d'acqua non classificati, che già le sono assegnati, con i problemi conseguenti. Alla Regione competeranno alcune di quelle funzioni già dello Stato: una decisione diventa necessità inderogabile di fronte al ripetersi periodico di disastri e calamità naturali.
Nel campo della prevenzione sono d'accordo, perché da tempo chiediamo le stesse cose, con il periodico "Edilizia" che in un suo recente numero scriveva: "La redazione ed il periodico aggiornamento di una carta dei fiumi e dei torrenti, che ne registri tutte le caratteristiche (regime, portata scarichi, opere di difesa, ponti, sbarramenti, strade di accesso, ecc.) permetterebbe di tenere sotto controllo la situazione dei fiumi e dei ponti e consentirebbe i conseguenti interventi.
Le condizioni dei ponti, muri d'argine, difese, briglie potrebbero essere ispezionate metodicamente e con regolarità per evitare che l'alternarsi del regime del corso d'acqua ne determini il danneggiamento quando non la distruzione.
Un razionale e controllato disalveo potrebbe talora risolvere (tra l'altro, senza costo per l'amministrazione pubblica) i problemi di deflusso, che invece criticabili concessioni e poi indiscriminati dinieghi di permessi di estrazione hanno nei tempi passati aggravato. Ma tutto questo può aversi solo partendo da una conoscenza approfondita e sistematicamente aggiornata della situazione reale, che meglio si acquisisce se è un solo organismo ad occuparsene.
La realtà è che gli interventi di ripristino prima e di successiva organica sistemazione di difesa idrogeologica vanno coordinati in un quadro organico programmato con progetti di risistemazione a medio e lungo termine.
Intervenire preventivamente vuol dire operare in modo più avveduto e tecnicamente razionale, graduando nel tempo i lavori, sopportando un onere diretto certamente minore ed evitando l'onere - indiretto ma pesantissimo conseguente a distruzioni e lutti" A ciò aggiungerei soltanto una considerazione. Per prevenire il dissesto del territorio è senz'altro necessario che i singoli interventi non vengano più impostati secondo un'ottica settoriale: in altre parole, le opere da insediare sul territorio devono essere viste secondo criteri di interdipendenza l'una dall'altra, sulla scorta di una preliminare indagine idrogeologica.
Solo così potrà essere evitato il rischio di insediamenti o di infrastrutture collocate in zone o porzioni di territorio ad elevato rischio idrogeologico.
Mi rendo conto che il discorso è vasto e porta lontano. Per il contingente, ribadisco l'opportunità di mobilitare tutte le forze umane e materiali e porsi nella prospettiva della ricostruzione e delle azioni che come Regione, dovremo intraprendere nell'ambito delle nostre competenze.
Ragionando in quest'ottica, vorrei fare infine alcune considerazioni di carattere pratico.
L'esigenza di ripristino di alcuni manufatti e di risanamento dei corsi d'acqua si pone con la massima urgenza con il sopravvenire dell'inverno e non indifferente è il problema della fornitura di massi per le opere idrauliche: ne saranno necessari milioni di quintali, sarà quindi necessario un attento controllo delle cave perché non si arrechino altri danni, turbando, una volta di più, il naturale assetto dei corsi d'acqua.
Al tempo stesso è indispensabile accelerare la fase delle progettazioni per il ripristino, utilizzando anche le strutture tecniche dei Comuni ma soprattutto delle Province, che hanno validi uffici tecnici chiamati oggi ad una ridotta attività concreta.
Lo spunto introduce un discorso di portata più generale, quello delle deleghe.
Infatti è sempre più sentita l'esigenza che la Regione deleghi l'attuazione delle opere alle Province, ai Comuni, alle Comunità montane.
La Regione non deve certo estraniarsi dai problemi, anzi deve esercitare uno stimolo costante sull'attuazione dei lavori responsabilizzando tuttavia gli Enti locali interessati. Infatti oggi più che mai deve essere questo della delega un principio cui l'Amministrazione regionale deve ispirarsi se davvero si vuol far crescere le comunità locali con quella regionale.
Una considerazione di carattere generale, infine, si impone: spiace, in occasioni come queste, che meglio dovrebbero muovere uno spirito di solidarietà e di comune operare per il bene collettivo, vedere tentativi di inserire motivi di risentimento o di inasprimento della coscienza civile.
Non altrimenti sono interpretabili lo stile ed il tono di taluni servizi giornalistici o dichiarazioni, a gara nella ricerca del "clamoroso" per evidenziare la famosa "colpa".
Il senso della misura, oltre che della logica, impone una visione diversa delle cose.
E' accettabile in una società che si definisce pluralistica, lo scarico di responsabilità in un'unica direzione, sia pure con riferimento temporale prolungato a ritroso, nei confronti dell'operato di altri governi? Con un po' più di obiettività, di fronte a fatti così disastrosi, anche dovuti all'imprevidenza, si cercherebbe di contrapporre l'immagine di un popolo deciso a rimediarvi, e non un tentativo di scaricare concentricamente un peso che, sia pure in diversa misura, è un po' di tutti.
Se il pluralismo non è un neologismo di comodo, se questo termine viene inteso nel suo significato profondo, allora occorre accettare l'immagine di una società estremamente articolata cui l'attributo si intende riferito.
Società che non solo demanda ad una miriade di organismi rappresentativi i compiti operativi, in tema di "governo", ma essa stessa si esprime come organismo vivo e pensante attraverso un infinito numero di strumenti.
Se tutto ciò è vero, il problema del dissesto idrogeologico potrebbe essere affrontato anche a livello di nazione e si direbbe con chiarezza che esso può essere risolto con una politica di sacrifici, fondata sull'esigenza di imponenti accantonamenti delle risorse; ma una politica i cui indirizzi dovrebbero giungere dal basso per salire ai vertici governativi.
Proprio a questi vertici non sarebbe più possibile sottrarsi con tali premesse - alle proprie responsabilità o cadere in ritardi ed omissioni pena un giudizio politico e morale negativo, formulato questa volta legittimamente in direzione univoca.
Se oggi rivolgiamo al Governo e al Parlamento una critica per quanto non è stato fatto, ne vogliamo accettare tuttavia serenamente l'impegno ad operare con costrutto per il futuro.
I termini della questione mi paiono così presentati in chiave corretta e realistica.
Infine, e chiudo rammentando a me stesso e a tutti i colleghi, che un quotidiano piemontese, in un servizio dall'Alessandrino, ricordava recentemente come nella zona si fosse abbattuto un mare d'acqua e di fango e che dopo pochi giorni un'altra valanga, questa volta di parole minacciava di far naufragare gli sforzi degli Enti locali e delle popolazioni interessate, concludendo: "Troppe le chiacchiere, poche le cose concrete". Facciamo tutti in modo, dal nostro posto di responsabilità, che i cittadini piemontesi confermino la propria fiducia nelle istituzioni nelle quali crediamo e nelle quali cerchiamo di operare con fermezza onestà ed alacrità.
Credo che il miglior servizio da rendere alle popolazioni piemontesi provate da ore di angoscia e dalla perdita di affetti e di beni, consista proprio, al di là ed al di sopra di pretestuose ed alienanti ricerche di responsabilità, nel rafforzare in esse il senso di solidarietà del Paese e delle istituzioni, più che mai impegnati in uno sforzo comune per far fronte a questo nuovo disastro naturale.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Bellomo. Ne ha facoltà.



BELLOMO Emilio

Signor Presidente, ho ascoltato attentamente oggi e la settimana scorsa le relazioni che gli Assessori hanno fatto a nome della Giunta e ho apprezzato lo sforzo che è stato fatto per garantire un primo e significativo intervento a favore delle popolazioni colpite. Su queste relazioni si potrebbe discutere a lungo, lo ha già detto il collega Petrini, ma credo sia più realistico dire che la Giunta ha fatto del suo meglio per assolvere a un compito immediato, mentre più ampio e profondo è il problema che dovremo esaminare.
Occorre constatare che lo sforzo fatto dalla Giunta per reperire quei pochi o tanti miliardi, togliendoli da altre voci di bilancio rappresentano purtroppo un aiuto modesto rispetto all'entità dei danni cagionati dal maltempo. E' un intervento immediato proprio per fare fronte alle primissime esigenze dell'urgenza operativa a favore delle popolazioni colpite. Probabilmente non si poteva fare di più di quanto è stato fatto.
Formuliamo un vivo apprezzamento per le decisioni assunte e per la tempestività con la quale la Regione Piemonte si è mossa. Se per dannata ipotesi si mettesse a piovere oggi per altre 24 ore e si verificasse una nuova alluvione o inondazione in qualche altra parte del territorio regionale, la Giunta sarebbe capace di trovare un'altra manciata di miliardi per un altro tempestivo intervento di emergenza? Probabilmente la Giunta sarebbe capace di trovarli, certo a scapito di altri interventi già previsti a bilancio e quindi con una sempre maggiore ipoteca sulle linee di azione del programma di sviluppo che, a furia di alluvioni, correrebbe il pericolo di essere soltanto un'enunciazione problematica e non invece una politica concreta a favore della collettività piemontese.
Qualcuno potrebbe dire che l'ipotesi formulata è astratta e anche inconsistente, mentre, a ben vedere, è una cosa piuttosto reale, basta ricordare che non più tardi di sei mesi fa siamo stati chiamati a discutere qui e a decidere su un altro disastro che ha colpito un'altra parte del Piemonte che era ed è indifeso di fronte alle calamità naturali.
Come difenderci dalle calamità naturali? Che cosa fare per ripristinare le difese naturali del suolo, per garantire l'incolumità alle popolazioni per preservare le coltivazioni agricole, quindi il reddito di buona parte della popolazione piemontese? In questi giorni abbiamo visto i giornali "inondati" a loro volta dalle opinioni dei singoli, magari diverse tra di loro, ma tutte protese alla ricerca delle ragioni concrete che stanno alla base di ogni evento calamitoso. E' stata una gara tra tanta gente, una panoramica di pareri e di indicazioni, suggerimenti e consigli che dimostrano come la coscienza della gente viene brutalmente urtata dalla constatazione di impotenza di fronte all'evento, un'impotenza, però, che si respinge perché non è provocata dall'inesorabilità e dal fatalismo, quanto invece dall'incapacità di creare o ricreare quelle condizioni di fatto contro le quali si sono infranti tutti gli eventi alluvionali della storia piemontese e anche della storia nazionale. Soprattutto lo dicono gli studiosi, i geologi. In concreto piove oggi come è sempre piovuto da che mondo è mondo, ma oggi i danni sono maggiori di quelli di ieri perché i disastri hanno altra natura e altra dimensione. Da uno studio fatto negli ultimi 174 anni (quindi del secolo scorso e di quello in corso), risulta che si sono verificati 75 fenomeni alluvionali, mediamente uno ogni tre anni. Questo dato è molto importante perché ci impedisce di essere fatalisti (comunque sarebbe sempre un fatalismo piuttosto colpevole) e di fare affidamento sulla Divina Provvidenza. Sapendo che la nostra Regione ha una stabilità incerta, che è soggetta a frequenti eventi calamitosi, è inutile limitarci a sperare nella benignità di un temporale o cercare di esorcizzarlo come facevano i contadini del mio Paese che portavano i ferri del camino in mezzo al cortile e facevano suonare lamentosamente le campane quando il temporale si affacciava da occidente, e dopo vedevano i loro raccolti colpiti inesorabilmente. E' inutile sperare in questi elementi astratti e in alcune convinzioni medioevali che hanno fatto il loro tempo.
Dobbiamo invece sperare nell'opera dell'uomo, di quell'uomo che con la sua miopia ha offeso la natura, magari riempiendosi la tasca. Quest'uomo deve ridare alla natura quello che le ha tolto e, secondo me, non certamente in virtù di un presunto diritto proletario.
Gli studiosi ci avvertono che non sarà tanto facile ridare alla natura ciò che le è stato asportato: sarà un lavoro di ingegno e di impegno e qui torna in ballo la tanto vessata e ormai approvata legge per la tutela del suolo. Sarà un lavoro di forti costi che si dovrà programmare nei bilanci dello Stato e in quelli della Regione.
In sostanza le spese per la difesa del suolo debbono diventare spese ordinarie del bilancio dello Stato, al pari di quelle, per esempio, della difesa nazionale o della pubblica sicurezza, anche se su questo ultimo aspetto si potrebbe aprire un lungo discorso tra l'altro di bruciante attualità. Se pensassimo per un solo istante a quanto si sarebbe potuto fare dalla Liberazione in poi programmando annualmente una spesa significativa per la difesa del suolo, non ci troveremmo qui oggi a piangere le vittime dei disastri alluvionali e a spendere centinaia e migliaia di miliardi per pronti interventi, probabilmente non sapendo neanche con precisione quali saranno le spese reali per una concreta opera di riassetto e di recupero dell'integrità e della normalità difensiva del nostro suolo. Purtroppo lo diciamo con sincera amarezza. A queste cose la classe politica e lo Stato non hanno mai dato la necessaria attenzione.
Valga per tutti l'esempio del rapporto De Marchi che, a dispetto della sua chiarezza e della sua perentorietà, è praticamente rimasto lettera morta nei cassetti del Ministero.
L'iniziativa è mancata anche per quanto riguarda lo studio e la conoscenza precisa del suolo. Non esiste un servizio nazionale geologico adeguato alla necessità di una vera tutela del suolo e di una sua vera e precisa conoscenza. Non esiste un presidio tecnico scientifico come esiste in altri Paesi europei certamente più evoluti e forse meno disastrati o disastrabili del nostro. Non esiste una mappa idrogeologica e pedologica come affermano i tecnici. Il nostro territorio non è un libro aperto sul quale tutti possono leggere i dati che ci riguardano e sui quali va impostata un'organica politica della difesa del suolo, dai quali poter capire dove stanno i nostri mali, dove stanno certi vincoli e dove stanno le risorse naturali.
Per poter fare una lettura efficace del territorio bisogna poter disporre di una cartografia che non esiste. Esiste invece, e va sottolineata come decisione lodevole,l'iniziativa presa dalla Regione Piemonte di incaricare alcuni geologi professionisti per redigere una carta regionale della propensione al dissesto del nostro territorio. Esiste invece un Assessorato all'ecologia istituito ancora prima che venissero definite le competenze da parte dello Stato, un Assessorato che punta sullo studio di piani di bacino, sulla prevenzione idroforestale; esiste insomma, una chiara volontà di impossessarsi dei problemi che pesano e travagliano il nostro territorio per poterli affrontare organicamente.
Esiste infine la volontà della Giunta di istituire un servizio geologico regionale con regolare organico e con la minima strumentazione necessaria. Dunque, secondo me, la Regione, pur nell'ambito delle sue competenze che oggi si allargheranno fino ai corsi d'acqua cosiddetti di terza categoria, ha fatto e sta facendo qualche cosa di positivo e di concreto.
Se anche lo Stato avesse fatto altrettanto di positivo e di concreto,forse oggi ci troveremmo in condizioni diverse da quelle che obiettivamente tutti quanti lamentiamo.
La politica del suolo e della difesa idrogeologica della conoscenza dei fenomeni naturali non è mai stata in cima ai pensieri di nessuno, come direbbe un noto e anziano senatore piemontese; è stata invece una politica di interventi sempre posteriori all'evento calamitoso, interventi di emergenza, di ripristino, di tamponamento (molte volte il "tacon", come dicono i veneti, è stato peggiore del "buso"); spesso gli interventi promossi sotto la sferza dell'urgenza e anche della pubblica opinione sono stati spazzati dal successivo evento calamitoso.
Non c'é stata una politica organica del suolo ma dobbiamo dire che da parte delle forze politiche non sono mancate le proposte. Tuttavia sono state vane come il rapporto della Commissione interministeriale del prof.
De Marchi.
Lo Stato si è comportato come quel venerando Liutprando da Cremona che davanti a un somaro selvatico, invece di esaminare le caratteristiche di quella specie animale, si scervellava perdendo del tempo prezioso per cercare di capire il significato allegorico della bestia, anche se le allegorie sono sempre legittime, come ha detto Benedetto Croce. Lo Stato ha preferito indagare sui fenomeni meteorologici compilando dottissime tavole sinottiche sui millimetri delle precipitazioni piovose, sulla periodicità degli eventi disastrosi, sui costi provocati all'erario, sulle comparazioni statistiche con gli altri Paesi, anziché impostare e realizzare sistematicamente e incessantemente una politica di difesa del suolo, di rimboschimento della montagna, di spurgo dei canali, di difesa delle sponde dei fiumi torrentizi, di difesa contro la rapina sistematica di sabbia e ghiaia.
E' venuto il momento di invertire la marcia e mi pare giusto che sia la nostra Regione a fare i primi passi in questo senso, ma è chiaro che lo Stato deve dire che cosa vuol dare. Lo Stato che è impegnato in mille altre urgenze non deve mantenersi distaccato e lontano da eventi gravi come le alluvioni. Da questa sede deve partire un appello allo Stato perché si faccia vivo, perché dica se vuol fare un decreto, se vuole estendere la precedente legge speciale per il Piemonte, lo Stato deve dare un contributo a questa situazione perché da soli non riusciamo a tirarci fuori.
Questa volta il Vercellese è stato risparmiato dall'alluvione, tuttavia devo dire che sono almeno tre miliardi i danni nel solo sistema viario provinciale. Ci sono poi i danni del sistema viario comunale e intercomunale e poderale. Ci sono i danni alla risicoltura che qualcuno dice essere del 25%. Ci sono altri danni dell'alluvione del maggio scorso come quelli dell'anno 1968. Il Biellese è muto testimone accusatore. Poi ci sono i danni del 1974, quelli del 1956. Sono tutti disastri che abbiamo sempre dovuto riparare destinando denaro pubblico impegnato per altri interventi. Magari per riparare una sponda di un fiume non abbiamo potuto costruire una scuola o una corsia di ospedale o qualcosa di socialmente utile.
Non è solo causa del destino. Il destino va anche aiutato e prevenuto con oculata e adeguata opera dell'uomo la cui intelligenza e capacità creativa sono certamente in grado di creare condizioni di una certa sicurezza.
In sostanza è sempre l'uomo con la sua capacità e con la sua volontà che deve restare al centro di questo problema.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Debenedetti. Ne ha facoltà.



DEBENEDETTI Mario

Signor Presidente e colleghi, farò un brevissimo intervento per avanzare una proposta. In occasioni come questa è facile indulgere in considerazioni di carattere generale che riguardano i problemi della sistemazione idrogeologica del territorio e può anche essere facile indulgere nella tendenza opposta - che è stata ricordata dal collega Petrini riferendosi a quanto hanno scritto certi giornalisti -, insomma a introdurre un discorso diretto alla ricerca di responsabilità che possono esserci, ma che possono anche non esserci.
Non voglio affrontare questo discorso anche perché correrei il rischio di ripetere tante cose già dette e che ci trovano ovviamente consenzienti.
La politica di lungo respiro per arrivare all'organizzazione, attraverso i piani di bacino e la sistemazione idrogeologica e forestale e per dare un assetto al territorio è sicuramente un obiettivo che ci trova tutti impegnati. Per staccarmi un poco dal coro a me preme mettere in evidenza un aspetto particolare del proble ma che mi è suggerito da un'osservazione personale che ho fatto in occasione di quest'ultima alluvione in una zona dove è stata particolarmente violenta. In questi casi si introduce volentieri il discorso o il processo all'attività dell'uomo che altera il territorio, ma mi pare che si dimentichi - forse il collega Fonio l'ha accennato senza tradurlo poi in proposte operative - l'aspetto del problema che riguarda l'inattività dell'uomo.
Nelle zone collinari particolarmente toccate dal fenomeno disastroso oltre il fenomeno dell'abbandono delle terre, si verifica anche quello di un'economia agricola strettamente marginale ed antieconomica e in queste condizioni la manutenzione normale dei fossi e delle strade poderali, dai quali incomincia spesso il fenomeno di alterazione e di dissesto, viene completamente trascurata.
Pare ragionevole ritenere che occorre trovare uno strumento per incidere anche in questa direzione: con la normativa in atto, per ottenere aiuti e finanziamenti (anche quando si tratta di piccoli lavori di manutenzione), i contadini debbono affrontare l'iter laborioso della concessione di mutui. Mancano invece strumenti adeguati ed efficaci di intervento specifico.
La proposta che oso presentare alla Giunta è assai modesta ma, se non altro, ha il pregio della concretezza e dell'operatività immediata. Perch non si considera l'opportunità di dotare le Comunità montane, Comuni o Consorzi di Comuni di attrezzature meccaniche minime e lasciando agli Enti locali la responsabilità di organizzare gli interventi di cui trattasi? Sarebbe un'iniziativa di non grande momento ma che potrebbe sicuramente avere effetti utilmente positivi.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Bontempi. Ne ha facoltà.



BONTEMPI Rinaldo

Signor Presidente, signori Consiglieri, un dibattito di questo tipo non è purtroppo nuovo nel nostro Consiglio, più in generale nelle assemblee elettive del nostro Paese, che, a periodi ricorrenti, viene colpito da eventi disastrosi causati dal maltempo. Quindi molte delle considerazioni che sono purtroppo ormai diventate rituali possono essere tranquillamente omesse. L'ultima grave alluvione che ha colpito l'Alessandrino con particolare gravità anche sotto il profilo delle perdite umane, ci induce ad alcune riflessioni che non sono scontate, anzi se appartengono ormai in larga misura al patrimonio culturale delle forze politiche, sociali e dei cittadini, vale la pena riprenderle perché costituiscono una base seria ed utile per innescare le nostre azioni e i nostri comportamenti.
Ci sono tre ordini di considerazioni da fare, innanzitutto dò per scontata la posizione molto positiva che è stata espressa nelle relazioni degli Assessori che danno il quadro di una Regione che si è mossa subito e bene, considerando gli eventi specifici e le caratteristiche generali dello sviluppo del nostro Paese. Questo è utile per riaffermare un elemento che non deve impedirci di vedere la complessità e la storicità del problema soprattutto analizziamo correttamente le situazioni per intravedere le possibili vie di uscita e i terreni sui quali le istituzioni pubbliche, lo Stato, le Regioni e i Comuni debbono muoversi, quindi un nesso molto stretto che intercorre tra gli eventi specifici e le caratteristiche generali dello sviluppo. Albert Schweitzer diceva che abbiamo perduto la capacità di prevedere e di prevenire. Mi sembra che questa affermazione abbia purtroppo un larghissimo riscontro nella realtà. Il tipo di sviluppo e i meccanismi che lo hanno contrassegnato confermano largamente che negli anni trascorsi, nel nostro Paese le accentuazioni negative sono state maggiori, all'uso corretto delle risorse, all'uso che fosse in funzione anche delle previsioni di ciò che poteva accedere si sono sacrificati valori che in ritardo scopriamo essere stati falsi perché hanno aggregato attorno al concetto di sviluppo guidato dal profitto tutta una serie di altri processi. Sarebbe sbagliato vedere negli eventi alluvionali l'occasione per una risposta solo sul terreno specifico.
La protezione idrogeologica, la tutela del suolo, la protezione dei corsi d'acqua delle zone impervie e pericolose, collinari o montane sono gli specifici del problema; c'è un ventaglio di fatti costanti nella storia degli eventi alluvionali che non possono che confermare la necessità di realizzare politiche di sviluppo in un concetto più ampio di tutela e di equilibrio del territorio e delle risorse umane, sociali, culturali. Se ci fermiamo allo specifico non vediamo gli effetti negativi di certe scelte che hanno posto in secondo o terzo ordine la tutela dell'agricoltura e della montagna.
L'esempio della montagna con una panoramica molto sommaria ci conferma che negli anni scorsi l'attenzione a certi interventi di tipo vario e di tipo insediativo erano quasi deliberati e non erano altro che delle variabili molto meno importanti dello sviluppo: le strade hanno tagliato molto spesso montagne e colline cambiandone addirittura l'assetto per insediamenti che anziché rispondere alle esigenze di una programmazione dell'uso del territorio teneva conto soprattutto dei valori in esso presenti portando cause non secondarie in questi disastri.
Se è vero allora che un ripensamento deve muovere il corpo politico del Paese e le istituzioni sulla necessità di governare, di orientare diversamente lo sviluppo, intravediamo subito uno degli elementi di fondo su cui basare le politiche. E arrivo al secondo ordine di considerazioni: che cosa debbono fare oggi le istituzioni, che cosa deve fare oggi la Regione? Da un lato occorre ricordare la protezione idrogeologica e i fondi che a questa protezione vengono destinati da parte dello Stato e della Regione. Nella discussione sul Piano di sviluppo venne richiamata dal Gruppo repubblicano l'esigenza di priorità a questo settore e io penso in effetti che la Regione debba dare a questa voce carattere di priorità assoluta. Abbiamo le scadenze del bilancio annuale e del bilancio pluriennale che possono essere delle occasioni, ma se ci fermassimo a questo, non solo non sarei coerente con il mio discorso iniziale probabilmente ci limiteremmo a fare degli interventi prioritari e indispensabili, ma non colmeremmo comunque il divario che si è creato tra squilibrio e dissesto nel profondo del territorio e possibilità di risposta concreta.
Il discorso allora va fatto sul complesso delle politiche che occorre avviare per guidare ed orientare lo sviluppo. Passi significativi in questi anni ne sono stati fatti, ne ricorderò soprattutto due: la legge per la tutela e l'uso del suolo. Mi riallaccio al discorso che ho fatto in occasione della discussione: quale sviluppo viene a bloccare? Se viene a bloccare lo sviluppo che ha determinato il dissesto del territorio italiano tale che ogni evento piovoso di una certa entità si trasformi in dramma, allora la legge urbanistica è stata un atto perfettamente centrato, essa pone alle forze politiche, agli Enti locali e agli operatori l'esigenza di ripensamento non solo teorico ma concreto sul modo di agire, di adottare gli atti urbanistici in conformità al valore del territorio, definito dagli economisti "risorsa scarsa", ma ritenuto anche e soprattutto risorsa prioritaria per tutti gli altri ambiti dello sviluppo.
La legge istitutiva dei parchi è quella oggi all'esame delle Commissioni. Vorrei richiamare l' attenzione delle forze politiche sul problema.
Non abbiamo mai definito né con la legge sui parchi né durante le varie discussioni la politica dei parchi come uno specifico cautelativo per alcune aree come se dovessero quasi essere messe sotto campana di vetro, al contrario, abbiamo definito la politica dei parchi come un modo di essere dell'istituzione di fronte ai complessi valori faunistici, naturalistici e ambientali, addirittura come un modo di essere dell'istituzione di fronte alla guida e all'orientamento dello sviluppo. E' una politica che non pu che essere assunta gradualmente: dobbiamo in primo luogo sapere che è una politica giusta che qualificherà largamente la Regione Piemonte: è una politica iniziata con una legge approvata nella precedente legislatura e oggi si continua ad attuare. Spesso non facciamo sforzi sufficienti per vincere certe resistenze locali, a volte avanzate in buona fede, ma spesso dettate dal vecchio tipo di sviluppo non equilibrato e non guidato da un contemperamento sufficiente degli interessi della collettività che vede esclusivamente il profitto e l'appropriazione indebita delle risorse del territorio.
Ricordando la legge della tutela del suolo dobbiamo anche parlare di politica strutturale per l'agricoltura che ponga fine agli interventi a pioggia, capace anche di assicurare un'evoluzione e una crescita positiva della risorsa "territorio" sotto il profilo economico e sotto il profilo sociale. In questi momenti quando ci troviamo di fronte a tali eventi, la nostra coscienza, la nostra consapevolezza devono essere molto attente perché solo intervenendo con un complesso di politiche adeguate sarà possibile dare una risposta, sia pure a tempi lunghi, alla domanda dei cittadini.
Erano evitabili questi eventi? Penso che ormai tutti i cittadini rispondano che in larga misura erano evitabili. Concordo con il Consigliere Petrini: non farei grossi discorsi sulla caccia al colpevole.
Parlerei piuttosto di responsabilità che hanno accomunato le classi dirigenti nel portare avanti con troppa accelerazione un certo tipo di sviluppo. Se non parliamo di caccia al colpevole, dobbiamo ricordarci delle responsabilità, dobbiamo pensare tutti e ciascuno alla funzione che viene ad avere l'istituzione pubblica per un governo del territorio che risponda alle risorse e alle istanze fondamentali che devono essere di non spreco.
Il terzo ordine di considerazioni riguarda ciò che in concreto potremo fare. Sono state fatte alcune proposte interessanti dal Consigliere Petrini, in particolare per quanto riguarda l'apporto scientifico e l'esigenza della rapidità dell'azione. Non si tratta di reinventare, sotto la pressione di questi fatti, nuovi strumenti o di avviare nuovi studi. Gli studi già esistono, forse non completi e, dove non fossero completi, si tratterà di completarli.
L'Assessore Bajardi ha già dato una risposta, specificando come la Regione intende muoversi per quanto si riferisce al servizio geologico regionale.
Si tratta di riportare ad un uso pubblico gli studi e gli apporti scientifici che sono stati forniti in questo settore, il che vuol dire anche recupero dell'opera degli studiosi ad una funzione immediatamente operativa. Non dimentichiamo che la categoria dei geologi è una di quelle che più si è sentita frustrata perché non è stata mai utilizzata appieno (da questa situazione derivano molte sue difficoltà).
Il Consigliere Petrini ha sottolineato anche il principio della delega delle responsabilità in questo campo agli Enti locali. E' una strada che è già stata imboccata e che mette immediatamente a confronto le esigenze delle popolazioni con la possibilità decisionale degli Enti locali.
Con questo principio possiamo più autorevolmente spezzare quella catena di palleggiamento di responsabilità tra i vari organi dello Stato o non dello Stato che tanto danno ha portato in passato. La legge n. 46 è uno dei punti fermi che qualificheranno l'operato della Regione in futuro.
Dopo aver dato atto alla Giunta del suo comportamento incisivo, rapido e corretto, dopo aver dato atto ai Comuni e alle popolazioni di un comportamento altrettanto rapido e coordinato tale da far superare senza particolari drammi i problemi che si sono posti all'indomani dell'esplodere degli eventi, penso che vada fatto un richiamo al Governo perché il provvedimento sia il più celere possibile affinché significhi oggetto di credibilità delle istituzioni e più in generale della democrazia e diventi strumento efficace per le popolazioni tale da permettere l'immediata realizzazione degli interventi riparatori richiesti nell'ambito delle procedure iniziate dalla Regione.



PRESIDENTE

E' iscritta a parlare la dottoressa Castagnone Vaccarino. Ne ha facoltà.



CASTAGNONE VACCARINO Aurelia

Ho ascoltato con molto interesse gli interventi degli Assessori e dei Consiglieri. Potrei centrare il mio intervento su pochissime considerazioni. Il problema che più vigorosamente è emerso, oltre a quello della situazione disastrosa dell'assetto territoriale piemontese, è quello della difficoltà di coordinamento degli interventi dei numerosi Enti e la difficoltà di operare con rapidità e con intelligenza non solo nel pronto intervento ma anche in quello a medio e a lungo termine.
Questo fatto è talmente all'attenzione di tutti che non lo sottolineo ulteriormente anche perché la Giunta,proprio su di esso,ha tentato di operare.
Ringrazio per altro il Capogruppo del Partito comunista che ha sottolineato e ci ha dato assicurazioni in questo senso, il fatto che il progetto per la sistemazione idrogeologica, che non era stato ritenuto fra le priorità della priorità, viene ora, dopo la seconda alluvione considerato uno dei progetti prioritari.
Attendiamo di vedere, nel programma pluriennale, la concretizzazione di questa intenzione.
Vorrei fare una seconda osservazione in merito a quello che potremmo chiamare il sinergismo degli interventi. E' già stato ricordato che la legge sulla tutela e l'uso del suolo e la legge sui parchi, sono appunto inquadrate in una politica complessiva del territorio e tale impostazione vede i repubblicani completamente consenzienti.
Ci ha invece preoccupati, e non possiamo fare a meno di sottolinearlo una certa polemica all'interno della Giunta.
Sottolineiamo questo fatto perché non vorremmo che costituisse una remora al sinergismo degli interventi fra il Vicepresidente della Giunta e l'Assessore alla sistemazione idrogeologica e forestale. Avevamo sentito voci su un'eventuale eliminazione di questo Assessorato e questo ci è stato riconfermato nell'intervento dell'Assessore.
Noi repubblicani siamo contrari a questa ipotesi, riterremmo invece necessario un maggiore coordinamento tra questo Assessorato che, come giustamente si è detto, è stato costituito sommando competenze di un Assessorato e competenze di un altro senza raggiungere quella capacità e incisività necessarie a causa del modo stesso con cui è stato creato, e gli Assessorati all'agricoltura e all'assetto territoriale.
Si dovrebbe revisionare e rivedere il modo con cui questo Assessorato può e deve funzionare migliorandone le strutture e migliorando soprattutto i collegamenti con gli altri Assessorati.
Sottolineiamo questa nostra preoccupazione perché i fini della Giunta e del Consiglio siano perseguiti con quel sinergismo che riteniamo necessario per ottenere, se non nel breve termine, almeno a tempi lunghi, risultati che non abbiano più come conseguenze di ogni alluvione, disastri immani.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Fonio.



FONIO Mario, Assessore alla tutela dell'ambiente

Devo delle doverose precisazioni, soprattutto al Consigliere Petrini che ha parlato della deliberazione del 21 dicembre 1976. E' una di quelle deliberazioni che a fine anno si approvano per non lasciar cadere perenti somme a disposizione.
Un tempo l'Assessorato disponeva del capitolo per le consulenze che era di 400 milioni, sul quale vi era un residuo di 87 milioni, che erano stati impegnati,come si è sempre fatto, a fine anno. Con i piani di bacino della Dora Riparia e del Sesia (per le valli Sesia, del Biellese e di Susa) abbiamo maturato un'esperienza profonda, unica, che ci ha fatto tremare le vene.
Un piano di bacino idrografico, realizzato ai fini di una sistemazione organica con quell'ottica alla quale si richiamava il Consigliere Oberto in previsione delle autostrade del Frejus, é un'opera così importante e tale da costituire un tesoro per le future esperienze. Abbiamo avuto l'impatto con quelle larghe messe di studi di cui parlava Petrini e Bontempi ribadiva, che sono venute a galla nell'ambito delle ricerche, delle indagini, degli approfondimenti che i consulenti andavano facendo. Cioè non eravamo a conoscenza come è successo per la Valle Mosso dopo le alluvioni del '68, di stanziamenti da parte dello Stato che avevano già ottenuto un sacco di decreti di proroga, che non avevano prodotto niente, ma che da altre parti avevano prodotto qualche cosa.
Si erano elencati Scrivia, Borbera, Curone, Varaita e Toce; pensiamo al Toce e a tutta la Val d'Ossola alle esperienze del Sesia e della Dora Riparia, all'emergenza di tutti questi studi che erano in corso e alla necessità di integrare il residuo di 87 milioni. Abbiamo avuto delle discussioni sulle consulenze e l'Assessorato era stato citato come uno di quelli che ne richiedeva parecchie, non considerando che formava piani e leggi programmatiche.
La nostra volontà non era di spendere a tutti i costi gli 87 milioni.
La dimostrazione della diligenza sta nel fatto che siamo arrivati entro il termine stabilito (la legge è uscita nel novembre '75) e si sono realizzati i piani di bacino del Sesia e della Dora Riparia. Volevamo non solo fare tesoro dell'esperienza, ma volevamo coordinare gli studi pendenti, e le somme necessarie al di là dell'impegno per non lasciare andare perenti gli 87 milioni, cosa che, nella situazione particolare del bilancio di quest'anno che era collegato al Piano di sviluppo, viene a galla soltanto in questo momento attraverso la variazione di bilancio che prevede appunto 2 miliardi per il rifinanziamento della legge 54 e 200 milioni per i piani di bacino.
Le somme necessarie quindi non saranno disponibili che con la variazione di bilancio. Questa è una spiegazione sulla quale potremmo dilungarci.
Consigliere Petrini, non possiamo parlare di 2 soli miliardi spesi su 12, perché 5 miliardi erano solo per il '75 (abbiamo spiegato che per recuperare del tempo siamo arrivati con gli appalti a fine '76); al massimo sono 10, e non 2, che addirittura devono ancora essere finanziati con la variazione di bilancio che approveremo oggi. So che tutte le opere sono state appaltate e mi sembra persino strano, pur non avendo in questo momento i dati, che siano stati pagati solo 2 miliardi, non fosse altro per il fatto che tutte le imprese si sono avvalse della legge Malagodi che dà diritto, appena avuta l'assegnazione del lavoro, all'anticipazione del 50 quindi i 5 miliardi dovrebbero essere già giustificati. Penso, e sono presuntuoso, di avere dato anticipatamente la risposta a molte osservazioni fatte da Petrini.
Avevo anticipato persino la teoria del superamento dell'ecologia, nel senso che non è mai stato un settore considerato come noi lo abbiamo considerato. Siamo partiti per affrontare, attraverso un'esperienza trentennale che ci vedeva ogni giorno impegnati in questi discorsi, la sistemazione idrogeologica e forestale che non volevamo considerare separatamente dall'utilizzazione delle acque e quindi dalla questione degli inquinamenti. "L'ecologia" è diventata un termine riassuntivo.
L'Assessorato era questo. Si è creato uno stato psicologico (dovendo forzatamente tagliare delle fette) dell'ex Assessore ai lavori pubblici.



PETRINI Luigi

I dati sono forniti dalla ragioneria. E' sufficiente leggere il rendiconto.



FONIO Mario, Assessore alla tutela dell'ambiente

Non ho contestato questo punto. Ho detto che mi sembrava strano, perch gli appalti sono stati fatti e tutte le imprese chiedevano il 50%.
Probabilmente non è ancora stato pagato neanche il 50%. Si avvalgono tutti della legge Malagodi, quindi è automatico. Comunque l'argomento fondamentale non è questo, ma è sui miliardi che non sono 12, ma sono soltanto 10, non sono 10, ma sono soltanto 8, perché il 10% viene accantonato in base alla legge e, degli 8, quelli del '75 sono stati appaltati nel '76 e quelli del '76 sono stati appaltati nel '77.
Desidero dare una risposta all'avv. Debenedetti in riferimento all'inattività dell'uomo. Questo rientra nel merito di un grosso discorso tecnico; c'e l'inattività e c'è l'eccessiva attività con la meccanizzazione. Una volta c'erano gli aratri di legno, adesso ci sono i trattori il cui vomere smuove il suolo a 50-60 cm di profondità. Il concetto di "ecologia" espresso da Petrini a me non importa, mi importa invece il concetto di un Assessorato nato appositamente per affrontare in modo diverso da come sono sempre stati affrontati in Italia questi problemi e cioè: "sistemazione idrogeologica e utilizzazione delle acque". Se poi per utilizzare l'acqua bisogna anche depurarla è un aspetto aggiuntivo.
Secondo me era molto omogeneo per poter vedere veramente in modo organico dalla fonte alla foce quel tanto di forestazione e tutto il resto. Dato che si era accettato e si era impostato, si trattava di portarlo fino in fondo.



PRESIDENTE

La parola al Vicepresidente della Giunta Bajardi.



BAJARDI Sante, Vicepresidente della Giunta regionale

Vi sono quattro ordini di problemi. Tutti, non solo il Gruppo della D.C., dobbiamo essere preoccupati del ritardo del provvedimento nazionale.
Sappiamo benissimo quale peso avrà questo ritardo anche per il bilancio del 1978 e degli anni futuri (se e come sarà il provvedimento). In questo ambito noi dobbiamo giustamente constatare che abbiamo pronta la nostra base operativa, la legge regionale, sulla quale potremmo anche riflettere perché essa uscì da una situazione diversa, e quindi potrebbe essere corretta per eventuali carenze.
In giornata le forze politiche, oltre che le Regioni interessate possono compiere un ultimo sollecito. E' auspicabile che il Consiglio dei Ministri domani mattina decida considerando l'entità dei problemi, ma non solo per le questioni di competenza statale (queste non necessiterebbero nemmeno di un provvedimento di legge nazionale: lo Stato ha il dovere di finanziare l'Anas e il Magistrato del Po), ma per le questioni di competenza regionale. Noi sottolineiamo l'impossibilità di fronteggiare ancora (l'altra volta l'abbiamo fatto per il 50% dell'ammontare della spesa con le nostre risorse) questa nuova situazione con le risorse regionali.
Questa è la sottolineatura. Un'iniziativa delle forze politiche, oltre che delle Regioni, può e deve essere sviluppata ancora nella giornata.
C'é inoltre il problema dell'emergenza che non coincide solo con i fatti alluvionali e vorrei che considerassimo questo aspetto in senso più lato e non faccio esempi per non diventare uno iellatore. Dobbiamo darci una struttura anche per quegli aspetti che non saranno mai risolti in un corretto rapporto con l'ambiente, coinvolgendo la politica ecologica e idrogeologica. Il problema dell'emergenza ci sarà ancora.
Il sottoscritto ha già avuto occasione di sottolineare che il problema non è solo di regionalizzare la legge n. 1010, ma è di partire da un discorso più generale per cui l'emergenza va oltre all'erogazione di risorse. E' una politica, è quel tipo di rapporto nuovo con le strutture dello Stato rifacendosi alla legge del 1972 per gli interventi di fronte alle pubbliche calamità. Questo capitolo ha certamente una stretta connessione con il problema alluvionale e sottopone alla nostra attenzione l'esigenza di una sistemazione più generale della materia, l'esigenza di un provvedimento legislativo da oliare ogni tanto e da utilizzare nel momento in cui ce ne fosse bisogno. Ed è questa una grossa questione che pone il problema del coordinamento all'interno e all'esterno in termini legislativi regionali tali da produrre uno schema organizzativo. E' evidente che all'interno dell'emergenza ci sono questioni specifiche. Credo che il rilevare ancora, come ho fatto nella mia introduzione, elementi di frizione e di attrito nell'organizzazione del coordinamento non ci possa fare ignorare che una puntuale azione di coordinamento c'é stata da parte della Regione, c'è stato un supporto che, in carenza di atti legislativi, si è avvalso anche dell'autorità dei Prefetti per avviare con loro le iniziative. Non vorrei andare sulla scia delle polemiche giornalistiche posso dire che la Regione con gli Assessorati all'agricoltura, all'ecologia e ai trasporti è stata presente in loco fisicamente con i suoi responsabili, con i suoi funzionari e con i suoi organi periferici; posso dire che il Prefetto di Alessandria non ha assunto nessuna decisione in quei giorni senza chiedere il parere al sottoscritto e nessun atto è stato compiuto dal sottoscritto senza coordinarlo sistematicamente sempre con il Prefetto di Alessandria con il quale, nel corso di quei giorni, abbiamo avuto centinaia di telefonate, oltre ai molti contatti personali. In questo lavoro non si cerca di dare il nastrino colorato, ma si cerca di risolvere i problemi. Abbiamo verificato le ruggini e anche le possibilità di superarle per ritrovare il mezzo che affidi ad ognuno il proprio ruolo. Di fronte a calamità di una certa rilevanza e in carenza di atti legislativi regionali, i primi atti spettano allo Stato, in quanto questi compiti non sono stati delegati o trasferiti alle Regioni. Si tratta anche di non andare a sottilizzare a chi compete di operare per passare ad un livello superiore.
In relazione alle questioni di pronto intervento deve essere riaffermata l'esigenza di passare con coraggio alla delega. La legge 46 che abbiamo approvato nel passato stabiliva un collegamento per fatti calamitosi principali. Credo che il discorso della delega debba essere introdotto in generale per i pronti interventi e in modo particolare per quelli di nostra competenza. Certo c'è il problema del supporto tecnico c'é il problema di mettere le strutture tecniche periferiche al servizio della volontà politica. Dobbiamo dare un ordine alla prassi esistente, ma lo dobbiamo dare dando più fiducia alla periferia. Nessuno di noi è in grado di stabilire esattamente dove finiscono certi confini: sarà il rapporto fraterno tra i singoli Comuni che creerà nell'ambito del Comprensorio una condizione di controllo reciproco e di gestione corretta.
La proposta avanzata dal Consigliere Debenedetti è pertinente. Non vorrei avanzare nessuna primogenitura, vorrei soltanto ricordare che ho già posto questa questione precedentemente, che con il rifinanziamento della legge 28 potrebbe essere ripresa. Molti amministratori comunali nel corso dell'assemblea dei Comuni di Alessandria hanno dichiarato di volersi fare carico delle spese per mano d'opera e per le materie prime (petrolio benzina), al fine di affiancare alle apparecchiature tecniche della Regione una manutenzione sistematica specialmente per le opere minori. Gli strumenti tecnici alla periferia devono essere utilizzati secondo piani e programmi predisposti: una pala meccanica può fare del bene, ma pu arrecare danno se non utilizzata bene; si tratta quindi di andare con prudenza, creando delle condizioni e dei vincoli tali che ci garantiscano una crescita periferica di maggiore responsabilità e non invece uno strumento per fare altre cose. I mezzi meccanici a disposizione delle Province e delle Comunità montane sono oltre 50; rappresentano un potenziale enorme e potrebbero essere uno strumento utile. Si tratta per di non fermarsi a questo punto e a tale proposito abbiamo richieste specifiche di consorzi che intendono farsi carico in questo ambito. La proposta di legge in elaborazione che riguarda questo capitolo ritrova la Giunta d'accordo: sarà una buona occasione per mettere a confronto le autonome elaborazioni per andare ad una sintesi capace di poter corrispondere a queste esigenze sul piano legislativo.
La terza questione riguarda la politica ecologica e idrogeologica in generale. Sono dell'opinione di utilizzare la massa di ricerche esistenti.
Lunedì scorso si è tenuta una riunione con rappresentanti dell'Università del Politecnico, del C.N.R., nel corso della quale si evidenziava la necessità prima di individuare le cose da fare, di mettere a punto quelle fatte, al fine di metterle a profitto con un'azione di coordinamento con l'esterno ma anche all'interno in modo che le autonome competenze dei singoli Assessorati non si esprimano in contraddizione, ma siano tanti tasselli di un unico mosaico.
Al di là degli studi di cui il collega Fonio ha riferito e che rappresentano una scelta operativa della Regione, vorrei sottolineare la necessità dell'accumulazione di materiale di base diffuso sul territorio: materiale di base e progettazione concreta sono due elementi sui quali si innestano i singoli interventi degli Assessorati competenti.
La quarta questione riguarda le notizie della stampa dalla quale possono venire a volte elementi di informazione non completi. Tuttavia abbiamo bisogno che su que sti argomenti si scriva, si discuta, si dibatta. Credo che pochi abbiano delle verità assolute in questo campo, specialmente quando si arriva a proposte concrete che sono sempre discutibili e lasciano sempre un largo margine di errori. Se mettessimo a confronto dieci tecnici ognuno esprimerebbe un'opinione diversa, con questo,però, non voglio dire assolutamente che non si debba decidere. Su queste questioni la conoscenza è ancora in ritardo. Basti pensare che in Piemonte ci sono 42-43 geologi: è sufficiente questo dato per capire quali limiti e quali ritardi abbiamo in questo campo. Abbiamo bisogno che la stampa riferisca, che ponga l'accento sui problemi, anche se a volte non sono quelli centrali. E' un cammino graduale lungo il quale progressivamente superiamo i margini di incertezza e i possibili errori. Noi presentiamo una proposta che, in quanto pubblica è discussa da tutti e non mette nessuno nella condizione di essere depositario della verità assoluta, ma mette la collettività in condizione di discutere sulle questioni facendosi sempre carico della responsabilità di chi deve dire sì oppure no senza avere la pretesa che quel sì ottenuto sia la parola definitiva. Vedremo dalla pratica se al sì corrisponderà la realtà. Grazie.



PRESIDENTE

La discussione è conclusa. Data l'ora possiamo interrompere i lavori e riprenderli alle ore 15.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 13.00)



< torna indietro