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Dettaglio seduta n.157 del 28/10/77 - Legislatura n. II - Sedute dal 16 giugno 1975 al 8 giugno 1980

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SANLORENZO


Argomento: Comprensori

Interrogazione del Consigliere Menozzi: "Contributo di 4 milioni al Comprensorio di Asti per le feste comprensoriali; finalità dell'iniziativa in rapporto agli altri Comprensori"


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Il punto secondo all'ordine del giorno reca: "Interrogazioni ed interpellanze".
La prima interrogazione è quella presentata dal Consigliere Menozzi: "Contributo di 4 milioni al Comprensorio di Asti per le feste comprensoriali; finalità dell'iniziativa in rapporto agli altri Comprensori".
Risponde l'Assessore Moretti.



MORETTI Michele, Assessore al turismo

Il collega Menozzi si riferiva ad una decisione presa dalla Giunta per quanto riguarda i contributi sulla base della legge statale 702.
L'iniziativa è stata presa dalla Regione con i Comprensori. La Regione interviene con un contributo di L. 3.300.000 per ogni festa comprensoriale.
Sono stati considerati tutti i Comprensori e ogni Comprensorio ha fruito del contributo. La ragione del contributo è stata di evitare di dare il contributo ai singoli Comuni al fine di far scegliere dal Comprensorio il luogo in cui tenere la manifestazione avendo presenti scopi di carattere culturale. Presso la V Commissione è ferma una proposta di legge per cercare di regolamentare l'intervento della Regione in questo settore. A tutt'oggi la spesa complessiva ammonta a L. 58.450.000. Siccome il contributo viene pagato alla presentazione del consuntivo delle spese con decreto del Presidente della Giunta, non appena a conoscenza della documentazione relativa, informerò il Consiglio.



PRESIDENTE

La parola all'interrogante, Consigliere Menozzi.



MENOZZI Stanislao

Mi è innanzitutto doveroso premettere che con la mia interrogazione non intendevo manifestare ostilità o posizioni preconcette nei confronti di un intervento che potrebbe avere una sua validità, come d'altro canto la validità viene manifestata da tutte quelle iniziative tendenti a salvare quanto di salvabile esiste in fatto di tradizione e di folclore. Sotto un certo aspetto proprio in certi nostri Comuni, che accusano un notevole stato di abbandono, il rinverdire certe tradizioni significa ridare, anche se limitatamente ad una giornata, un alito di vitalità e di vivacità. La mia interrogazione invece intendeva e intende fare presente che, quanto meno, si poteva soprassedere, stante il momento in cui c'é estrema necessità di dosare ogni e qualsiasi intervento, finalizzandolo al raggiungimento di risultati che lascino un particolare segno e che incidano positivamente nella risoluzione dei più gravi problemi di cui all'attuale precaria situazione socio-economica.
Questa forma di intervento cade anche in contrasto con la più volte riaffermata volontà, da parte di tutti i settori, non ultimo il nostro, di superare gli interventi a pioggia, di contenere o addirittura eliminare gli interventi che assumono carattere dispersivo e, se non vado errato, a tal proposito, nel corso della prima legislatura, venne mossa una feroce critica, ammantata da un certo qual umorismo, circa interventi che in quell'epoca erano stati effettuati da parte dell'Assessorato all'assistenza e beneficenza nei confronti di istituti religiosi. Ricordo che saltò fuori tutta una litania e un rosario su quegli interventi. Ebbene, facendo un parametro tra gli interventi di allora e quelli di oggi, se criticabili potevano essere quelli della prima legislatura, non meno criticabili debbono essere questi. Là erano criticabili perché si concedevano somme assai modeste che non incidevano positivamente per modificare una determinata realtà, però c'era uno scopo chiaro e preciso in quanto andavano ad istituzioni che svolgevano quotidianamente attività essenziali allora, come sono essenziali ancor oggi. Gli interventi in discussione invece, non solo non sono essenziali, ma non contribuiscono minimamente a modificare e a spostare determinate realtà.
Ringrazio comunque l'Assessore per le cose dette. Ha risposto alla richiesta circa il numero delle feste finanziate, circa le somme impegnate a tutt'oggi, ma ciò non mi dispensa dal rivolgere l'invito a far sì che, in questo momento di notevole ristrettezza, ci sia la forza e la volontà politica di non ripetere quegli interventi, che, seppur contenuti, non assumono comunque un'impronta prioritaria tale da potersi e da doversi giustificare. Ciò nonostante, dal momento che i Comprensori e più propriamente i Comuni che con l'organizzazione delle feste in parola hanno già sopportato consistenti oneri, invito altresì l'Assessore a mantenere fede all'impegno di dare l'acconto del 70% della spesa sostenuta che, da quanto mi consta, non è stato a tutt'oggi elargito, venendo così a mettere in maggiori difficoltà le relative Amministrazioni le quali, a casse quasi esangui, si sono venute a trovare nelle condizioni di dover sostenere pure il balzello di quei 5 o 6 milioni che dette feste hanno mediamente, caduna comportato.



PRESIDENTE

L'interrogazione è discussa.


Argomento: Problemi del lavoro e della occupazione

Interpellanza del Consigliere Rossotto: "Problema dello straordinario alla Fiat: opportunità di andare rapidamente ad una discussione su questi problemi per evitare che si manifestino posizioni non sempre rispondenti agli indirizzi programmatici della Regione"


PRESIDENTE

Passiamo ora all'interpellanza presentata dal Consigliere Rossotto: "Problema dello straordinario alla Fiat: opportunità di andare rapidamente ad una discussione su questi problemi, per evitare che si manifestino posizioni non sempre rispondenti agli indirizzi programmatici della Regione".
Risponde l'Assessore Alasia.



ALASIA Giovanni, Assessore ai problemi del lavoro

La Giunta ringrazia il Consigliere interrogante per aver fatto in modo che questa questione, certamente rilevante e che va al di là dei confini di Torino, venga oggi in discussione in Consiglio regionale. Poiché da vari settori imprenditoriali, sindacali e politici, anche in sede nazionale è stata richiamata la questione della richiesta di straordinario alla Fiat si impone una verifica.
Stamattina, riprendendo l'argomento sulle colonne della Stampa, l'ing.
Benadì, Presidente dell'Unione industriali di Torino parla di un "caso emblematico". Ebbene, io credo che l'interrogazione del Consigliere Rossotto meriti una risposta attenta per tutte le sue implicazioni organica nel senso che tenga conto di tutte le interrelazioni che solleva tempestiva e puntuale perché domani, sabato, siamo di nuovo in ballo alla Fiat e non solo alla Fiat, poiché è indetto uno sciopero generale in Piemonte anche per tali questioni. La Giunta dà questa mattina la risposta tempestiva e puntuale. Colleghi Consiglieri, per prima cosa vorrei mettere in evidenza, dal momento che l'Unione industriali ne ha fatto oggetto della risposta alle dichiarazioni del Presidente Viglione e mie, che mai nessuno né del Consiglio, né della Giunta, né delle organizzazioni sindacali si è sognato di negare che esista (lo dico con le parole che sono state richiamate) "una reale obiettiva esigenza di incremento della produzione".
Su questo non ci piove. Questo è un assunto generale della nostra politica e mi pare superfluo ritornarci sopra in questa sede. Non lo faccio. Ma nella fattispecie, devo ricordare che proprio in relazione alla Fiat nell'incontro che abbiamo avuto alcune settimane fa con l'avvocato Agnelli per la legge sull'occupazione giovanile, presenti il collega Rossotto e Consiglieri dei vari Gruppi, io stesso posi al Presidente della Fiat il problema di certe "strozzature tecnologiche e produttive" e chiesi in quale modo si intende superarle. In quel momento non era ancora aperta la questione della vertenza dello straordinario.
Da molti mesi in sede sindacale si era rilevato come non venivano utilizzate appieno le capacità produttive della "127", ove a fronte di programmi produttivi che prevedono la produzione di 1.600 vetture al giorno, ne vengono prodotte, se non vado errato, circa 1.450. I Consigli di fabbrica hanno detto e scritto pubblicamente che, da quando essi hanno posto il problema, non sono state prodotte circa 5.500 vetture. Su questo punto da tempo si insiste per affrontare le modifiche impiantistiche, per eliminare strozzature produttive in particolare nel settore montaggio, per far fronte all'esigenza di incremento produttivo. Ciò che invece si vuole mettere in discussione oggi sono i modi con i quali si intende realizzare questo incremento produttivo cioè in termini tali che esso sia stabile e tecnicamente garantito e in termini tali che abbia un riflesso di carattere sociale e non sia conseguito (passatemi il termine) con una "frustata al cavallo". Noi dobbiamo intenderci una buona volta. Noi non abbiamo mai negato, e le dichiarazioni del Presidente Viglione e del sottoscritto sono state chiare, che esistono momenti del ciclo produttivo, tecnologico ed economico che esigono l'effettuazione di orario straordinario. Del resto questo è regolato contrattualmente. Lo straordinario però è "straordinario", ossia non è pratica sistematica e continuativa; se di questo si trattasse, sarebbe prova di irrazionalità, prima di tutto tecnologica e produttiva che accentuerebbe un divario già grave nel nostro Paese fra coloro che hanno un super-lavoro e coloro che lavoro non hanno per i quali, siccome non vanno alla camera a gas, intervengono dei meccanismi assistenziali che consentono di sopravvivere: nel caso della Singer sono stati gettati 15 miliardi dalla finestra per tenere per 26 mesi la gente seduta nel cortile.
Sta di fatto che l'attuale richiesta della Fiat, di orario straordinario che può valutarsi sulle 180-200.000 ore in aggiunta, e una delle più alte che si ricordino da molto tempo a questa parte. Questo è il punto purtroppo anche di altre aziende, poiché alla Lancia c'é una certa pressione perché non si utilizzino le 150 ore per il momento formativo. Io sono convinto che il problema non può e non deve essere circoscritto. E mi pare che il Consigliere Rossotto abbia ragione quando invita - se ho inteso bene l'interrogazione avendola letta dai giornali mentre ero in viaggio per Roma - a non chiudersi in un'ottica aziendalistica. Esatto. Allora noi poniamo un problema più generale. Ma, detto questo - mi consenta Consigliere Rossotto - quando le manifestazioni concrete di questi fatti di questi comportamenti avvengono a livello di singola azienda di queste dimensioni (non siamo nella bottega del ciabattino di Borgiallo), si ha il dovere di chiamare in causa i singoli comportamenti senza rincorrere un'astratta e generica economia e imprenditorialità dove nessuno capisce quali sono i soggetti veri di questa economia. Siamo ben lieti che certi settori siano in situazione di piena produttività, ma (non vorrei che questa sembrasse una battuta demagogica come scrive stamani sulla Stampa il Presidente dell'Unione industriali) non ci pare affatto un assurdo chiedere una dilatazione dell'occupazione laddove si verifica una certa dilatazione della produzione, piuttosto che il ricorso allo straordinario in modo diffuso e sistematico che diventa una forma di comodo e una formula elusiva. Quella produzione che invece vogliamo efficiente e programmata tale da permetterci di affrontare anche problemi di natura sociale.
Se la programmazione non vuol dire "questo", ridiscutiamo allora tutto il concetto di programmazione. Se non si fa questo gli stessi problemi esterni alla dimensione aziendale, come dimostrano i fatti degli anni '60 '70, finiscono per riflettersi sull'azienda stessa in termini molto pesanti: ricordiamo le vicende degli anni fra il '60 e il '70, allora non c'é contraddizione fra questo che diciamo e l'ispirazione e gli indirizzi programmatici che ci siamo dati. Se fosse possibile dire con una frase concisa qual è l'ispirazione del nostro progetto di programmazione, direi: "superamento degli squilibri": questo mi pare molto conciso. Gli squilibri vogliono dire difformità a tutti i livelli, precarietà, interventi che non si propongono una sostanziale e durevole trasformazione del ciclo produttivo e dei rapporti sociali esterni; isole tecnologiche avanzate coabitanti durevolmente con l'arretratezza, con il lavoro nero e precario lavoratori con occupazioni e lavoratori disoccupati. Esempi ne abbiamo in tutte le famiglie.
La nostra programmazione non vuole essere un libro dei sogni, ma vuole essere una carta di indicazione coerente, per comportamenti concreti (per usare una felice espressione del collega Simonelli), che noi indichiamo a tutte le parti sociali.
La realizzazione di questo piano non dipende solo da noi, ma dipende dal comportamento comune e concordato, all'interno del quale ognuno faccia la sua parte.
Un atto coerente è anche quello di rivedere una prassi che è fonte di disparità produttive, tecnologiche e sociali.



PRESIDENTE

Tenga conto, Assessore, che sta parlando da un quarto d'ora.



ALASIA Giovanni, Assessore ai problemi del lavoro

Voglio parlare di questo argomento.



PRESIDENTE

Il regolamento vale per tutti. Si deve dare anche la possibilità all'interpellante di rispondere e all'assemblea di svolgere anche altre interrogazioni.



OBERTO Gianni

E' un argomento che interessa tutto il Consiglio e che avrebbe dovuto essere presentato come comunicazione della Giunta, per consentire a tutti i Consiglieri di intervenire.



PRESIDENTE

Si può benissimo concludere a tempi giusti.



ALASIA Giovanni, Assessore ai problemi del lavoro

Il collega Rossotto, richiamando nella sua interrogazione il problema della mobilità, ci ha invitati a nozze, perché abbiamo portato innumerevoli volte questo problema in aula per situazioni ben concrete. Non mi piace fare dell'ipocrisia formalistica. Sono tornato questa notte da Roma dove ho discusso della Venchi Unica, della Singer, del Cotonificio Wild che interessa a Cuneo e Novara. Quanta mobilità abbiamo veramente acquisito in queste situazioni? Noi vogliamo la mobilità nella consapevolezza del ruolo che essa deve avere in un'economia da riconvertire; non siamo così rozzi da negare che di fronte a taluni categorici rifiuti che abbiamo avuto in nome dell'economia di mercato, ci sono poi altri sintomi, altri comportamenti come per esempio testimoniano certe disponibilità potenziali della Federazione regionale degli industriali a questo proposito. Noi lavoriamo con molto impegno, con tenacia e con pazienza rispetto alle poche ipotesi che sinora sono venute, e voglio assicurare tutti i Consiglieri, e l'amico Rossotto in particolare. Se il Consigliere Rossotto mi chiede quanta mobilità garantita e sicura noi abbiamo in tasca oggi, io gli rispondo che abbiamo le tasche vuote. Abbiamo voluto la mobilità con la legge della riconversione; subito dopo le ferie abbiamo discusso degli orientamenti sui quali intendevamo muoverci; abbiamo prospettato proposte formative con la legge sull'occupazione giovanile predisponendo 479 corsi di formazione lavoro, abbiamo registrato al proposito posizioni aperte e apprezzamenti positivi e posizioni di netto rifiuto; però a tutt'oggi non è stato prodotto un solo posto.
L'ingegner Benadì ritorna sull'argomento stamani rimproverando alla Regione un certo "esercizio demagogico". Per l'ingegner Benadì il rifiuto dello straordinario non crea un solo posto di lavoro; egli alcune settimane fa ci ha spiegato che la legge sull'occupazione giovanile non ci darà un posto di lavoro; nel corso della vertenza Singer, a cui ha partecipato anche il Consigliere Alberton, che è pronto a testimoniarlo, impegnandoci noi per la formazione professionale della quota ritenuta eccedente della Singer rispetto ad una certa operazione di.



PRESIDENTE

Le ricordo che questa è un'interpellanza, non un punto iscritto all'ordine del giorno. Più si allarga la discussione e più i Consiglieri possono essere indotti ad intervenire. Sono d'accordissimo di iscrivere all'ordine del giorno questo argomento in modo che tutto il Consiglio possa dibatterlo, ma, in sede d'interpellanza, ci vuole una domanda ed una risposta nei tempi regolamentari. Questo è il punto, non la gravità del fatto che merita tutta l'attenzione del Consiglio.



ALASIA Giovanni, Assessore ai problemi del lavoro

Ho quasi finito. Noi ci siamo impegnati a programmare i corsi che naturalmente sono finalizzati ad uno sbocco nell'industria. L'Unione industriali ci dice che si adopererà per collocare i lavoratori, ma che non può assolutamente impegnarsi in modo preciso. Che cos'è allora che fa posto di lavoro in questo Paese? La formazione? La contrattazione della mobilità? Si dica senza discorsi fumosi, chi ci ha dato un posto fino ad oggi, in relazione al problema della Wild che si apre a Cuneo e a Novara, in relazione al problema della Widemann a quello delle cartiere di Ormea, a quello aperto della Montefibre, della Mirsa e a quello del gruppo ex Egam.
Con questo intervento non abbiamo inteso ledere l'autonomia di nessuno abbiamo formulato un invito a riconsiderare un problema che ci pare doveroso riconsiderare e abbiamo adempiuto al nostro ruolo non interferendo nel campo di nessuno; non si può chiedere alla Regione di essere presente per il credito agevolato, non si può chiedere alla Regione di essere presente nel momento formativo, non si può chiedere alla Regione di essere presente nella Commissione di ristrutturazione prevista dall'ultima legge dello Stato e negarle poi di esprimere un'opinione e di formulare un invito a proposito di un problema così grosso.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Rossotto.



ROSSOTTO Carlo Felice

Signor Presidente, di fronte alla tempestività con cui l'Assessore ha voluto rispondere all'interpellanza e al riguardo che io sento, non come monello, nei confronti del Consiglio regionale, penso che sia opportuno iscrivere l'argomento all'ordine del giorno. La terminologia strutturale dell'interpellanza era stata studiata come stimolo e attenzione di fronte ad un problema che qualcuno ha già definito emblematico.
Ritengo che vanno colti degli elementi positivi: il primo è che la classe operaia torinese ha effettuato una lotta sindacale non su problemi corporativi, ma su problemi che si innestano in più ampi temi oggi in discussione nel Paese, è questo un tema che non va a vantaggio loro, anzi va a detrimento del loro immediato guadagno; il secondo è che gli imprenditori hanno collaborato con noi in modo attivo e proficuo alla stesura del piano di sviluppo, il terzo è che ci sono degli elementi positivi in tutte le notizie negative che conosciamo nel settore economico e che esistono delle possibilità di ripresa in comparti produttivi.
I problemi sulle strozzature tecnologiche e di fruibilità della manodopera; come dico nell'interpellanza, vanno regolate nelle forme, sono motivo di trattazione tra imprenditori ed organizzazioni sindacali, ma ritengo che la Regione, per la credibilità che essa deve avere come momento di governo e per il riferimento al Piano di sviluppo, possa e debba attivarsi perché sui singoli problemi che sorgono non si veda soltanto una configurazione generale ma anche la necessità di una soluzione di approfondimento esatto e preciso nel confronto delle parti. Alla domanda rivolta all'Assessore Alasia su che cos'è che forma la mobilità e su che cos'è che forma occupazione, mi pare che si possa rispondere con un dibattito che coinvolga tutte le forze politiche presenti nel Consiglio iniziativa che sollecito indipendentemente dalla cortesia con cui l'Assessore ha voluto rispondere all'interpellanza. Nell'incontro avvenuto ieri con i sindacati, nella sala Giunta della Regione, per i problemi della Montedison, sono stati richiesti alle forze politiche impegni e la necessità però che tutto questo non rimanga sempre al punto del discorso di 6 o 7 anni fa che si è trascinato a copertura. Mi pare che non si possa fare di tutto questo problema un solo fascio, ma si impone la necessità di dover analizzare i singoli problemi in un dibattito ampio e io vorrei pregare la Giunta e la Presidenza del Consiglio che questa interpellanza possa essere trasferita in un confronto chiaro.
Mi riallaccio alle parole del Ministro degli interni che dice: "Evitate cortei". Ritengo sia opportuno evitare qualsiasi cosa che si possa inserire come elemento di provocazione per far fare un passo indietro nelle conquiste che lentamente, in termini di democrazia e di dura battaglia democratica, si sono affermate.



PRESIDENTE

Siamo senz'altro d'accordo di sottoporre la questione alla prima riunione dei Capigruppo, in modo che il tema possa essere affrontato da tutte le forze politiche e con l'ampiezza che merita.


Argomento: Sanita': argomenti non sopra specificati

Interrogazione del Consigliere Cerchio: "Interventi in favore dell'Ospedale di Chieri"


PRESIDENTE

Passiamo ora all'interrogazione presentata dal Consigliere Cerchio: "Interventi in favore dell'Ospedale di Chieri".
Risponde l'Assessore Enrietti.



ENRIETTI Ezio, Assessore alla sanità

Oltre all'interrogazione del Consigliere Cerchio concernente l'Ospedale di Chieri, devo rispondere ad un'altra riguardante l'Ospedale di Caluso: per ora mi limito all'interrogazione sulla situazione dell'Ospedale di Chieri.
La situandone di notevole difficoltà finanziaria in cui si è venuto a trovare l'Ospedale Maggiore di Chieri è generale per tutta la Regione. Tale situazione, che ho illustrato in Consiglio regionale in data 29/9/1977 deriva dalle note inadempienze del Governo nazionale che continua ad erogare alla Regione ratei mensili pari a un fondo nazionale di 2.700 miliardi, mentre il fabbisogno per gli anni '75 e '76, già riconosciuto dal Governo con la legge 8/8/1977, è rispettivamente di 3.300 e 3.750 miliardi.
Per il 1977 il fabbisogno, non ancora definito con legge, é, al netto degli interessi per il ritardato credito dei fondi alle Regioni, di 4.745 miliardi. Ne consegue che nel 1975 sono stati ricevuti 198 miliardi contro i 242 previsti e necessari pari all'82% e nel 1976 204 miliardi contro i 283 pari al 72%. Nel 1977 contro una quota che dovrebbe essere al netto degli interessi di 362 miliardi, riceviamo mensilmente a tutt'oggi un acconto per un totale annuo di 204 miliardi.
A tale situazione la Giunta regionale ha deliberato di assegnare agli Enti ospedalieri nella Regione un'erogazione straordinaria di 9 miliardi in particolare all'Ospedale Maggiore di Chieri sono stati assegnati 108 milioni, di cui 30 milioni per lo specifico finanziamento del servizio dialisi.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Cerchio.



CERCHIO Giuseppe

Devo dire di non essere soddisfatto della risposta. L'interrogazione richiamava una grave situazione finanziaria dell'Ospedale di Chieri che come giustamente ha ricordato l'Assessore è un problema generale. Però non è sufficiente trincerarsi dietro alle inadempienze dello Stato per scaricare su di esso determinate responsabilità.
L'interrogazione aveva un significato molto più articolato e richiamava il problema particolarmente grave del servizio dialisi che attraverso una deliberazione del settembre sull'uremia cronica, la Regione incentivava con una serie di servizi e di strutture. Il reparto di emodialisi dell'Ospedale di Chieri ha rischiato in questi mesi di chiudere lasciando scoperta la cura di 20/25 pazienti che hanno rischiato l'esistenza sulla propria pelle.
E' un problema grave, soprattutto nel momento in cui, attraverso quella deliberazione, si era incentivato proprio a Chieri un servizio di questo genere. In quell'Ospedale vengono indirizzati non solo gli ammalati del Comune o della zona, ma gli ammalati di altre zone prive di presidi sanitari in quel settore.
L'interrogazione richiamava l'attenzione della Regione e dell'Assessorato alla sanità sul problema dei dipartimenti di emergenza non per fare una rivendicazione già sollevata negli anni precedenti dalle Amministrazioni comunali del Chierese e dell'Astigiano, non per una richiesta campanilistica, ma per una sollecitazione del problema poiché già nell'anno '75 le Amministrazioni comunali e le forze politiche all'unanimità avevano prospettato un'ipotesi per un dipartimento di emergenza di questa zona, dal momento che i presidi sanitari più vicini con dipartimenti di emergenza erano e rimangono quelli di Asti, di Moncalieri e di Chivasso. Un'interrogazione del sottoscritto presentata un anno e mezzo fa, aveva avuto come risposta l'assicurazione da parte dell'Assessorato regionale alla sanità di verificare in loco, una disponibilità ad esaminare questa problematica.
Ci rendiamo conto che su questo problema si è partiti per gradazioni e per tranches e ci sono discussioni attualmente in corso su alcuni ospedali.
Come forza politica, soprattutto testimoniando la voce di tutte le Amministrazioni comunali di ogni colore politico, riteniamo che questo problema ha da essere ridiscusso nell'ambito di un'ulteriore programmandone in questo campo. Le indicazioni dei fondi annunciati dall'Assessorato nelle settimane scorse e pubblicati sui giornali devono tenere conto del complesso della programmazione che non può essere fatta a livello puramente settoriale. La ringrazio.



PRESIDENTE

L'interrogazione è discussa.


Argomento: Pianificazione territoriale - Urbanistica: argomenti non sopra specificati

Interrogazione del Consigliere Oberto: "Destinazione di un fondo della Regione per la realizzazione di una scuola di istruzione superiore nel Comprensorio di Ivrea"


PRESIDENTE

Interrogazione del Consigliere Oberto: "Destinazione di un fondo della Regione per la realizzazione di una scuola di istruzione superiore nel Comprensorio di Ivrea".
Risponde l'Assessore Rivalta.



RIVALTA Luigi, Assessore alla pianificazione territoriale

Per la ripartizione fra i diversi gradi di scuola era stata formulata una prima proposta nel mese di febbraio scorso, sulla base dei dati fornitici dall'Ires di fabbisogno al 1980, tenendo conto quindi delle carenze attuali e dell'incremento di popolazione. Al Comprensorio di Ivrea veniva indicato l'1,46% dei finanziamenti per gli ordini di scuola fino alla media inferiore e l'1,34% per la scuola media superiore. Nel corso della discussione avvenuta dal marzo al 15 settembre, quando il piano di intervento è stato consegnato al Ministero, sono state apportate delle modifiche. Tengo a precisare che nella formulazione finale del piano non si è snaturato il lavoro svolto dai Comprensori: nella generalità dei casi si è tenuto conto delle loro indicazioni. Per il Comprensorio di Ivrea si è operato uno spostamento dei finanziamenti per la scuola dell'obbligo dall'1,46% all'1,92%, passando da 736 milioni a 965 milioni. Operazioni analoghe sono avvenute negli altri Comprensori con l'aumento dei finanziamenti della scuola della fascia dell'obbligo.
La tendenza generale infatti è stata quella di orientare i fondi sulla scuola dell'obbligo. Molte discussioni si sono avute nel tentativo di difendere i finanziamenti proposti per la scuola media superiore, riferiti nella quasi totalità agli istituti tecnici e ai licei scientifici di pertinenza delle Amministrazioni provinciali. Da valutazioni fatte sulla base della composizione demografica si è riscontrato il tendenziale aumento della scolarità nelle scuole medie superiori, molto accentuato e sensibile.
In generale per il Piemonte, e in particolare per il Comprensorio di Torino, la fascia di età che oggi frequenta la scuola media dell'obbligo è più ampia della norma; essa si sta spostando sulla scuola media superiore trasferendo il fabbisogno in questa fascia; fabbisogno che, rilevante oggi lo sarà di più nei prossimi anni.
L'Amministrazione provinciale di Torino, per quanto riguarda Caluso, ha destinato non solo quella parte di fondi che erano indicati nella proposta per la scuola media superiore al Comprensorio di Ivrea, ma anche altri fondi che la Provincia stessa avrebbe potuto destinare in altre località del territorio da lei amministrato (Comprensori di Torino, Ivrea e Pinerolo). L'intervento di Caluso è di 1 miliardo 615 milioni per la costruzione di 20 aule. La deliberazione della Giunta provinciale motiva le scelte effettuate, che riguardano Nichelino, Torino - quartiere Vallette Caluso e Susa, come operazione di decentramento, poiché dai dati forniti risulta una rilevante pendolarità dall'esterno verso Torino. Il distretto scolastico di Caluso ha una popolazione in età per la media superiore pari a 2.165 unità; i frequentanti la scuola media superiore che abitano nel distretto di Caluso sono circa 900; trovano posto nelle scuole del distretto soltanto 120, gli altri sono pendolari verso l'esterno. La destinazione prevalente di questa pendolarità è Ivrea, secondariamente Chivasso e Torino; vi è poi una pendolarità inversa, ma molto più limitata verso l'Istituto professionale di Caluso. Questo istituto dispone di sole 15 aule, mentre 900 studenti richiederebbero 36 aule. Nella prospettiva posta dalla riforma della scuola media superiore, con la quale dovrebbe realizzarsi una struttura unitaria comprendente vari indirizzi scolastici si giustifica l'intervento per Caluso che struttura il distretto in relazione all'attuale domanda di posti-alunno. Non mi dilungo su queste argomentazioni; voglio solo dire che sia la Giunta sia la Commissione hanno tenuto fede alle proposte della Provincia, riconoscendole il compito di svolgere l'attività di programmazione e di pianificazione in questa materia. Sono queste le ragioni che hanno consigliato, non già di togliere dei fondi al Comprensorio di Ivrea, ma di aggiungerne, rispettando l'indicazione della Provincia di Torino e comunque mantenendo l'aliquota che la Regione aveva indicato per le scuole dell'obbligo.
Abbiamo tenuto le riunioni conclusive per la formazione del piano un po' affrettatamente, perché il telegramma del Ministero, del 4 agosto, ci convocava per il 15 settembre. E' anche possibile rimettere in discussione questi programmi apportando delle variazioni. Faccio però presente che la definizione di questo riparto ha richiesto un lavoro di cesellatura delle varie vertenze presentate dagli Enti obbligati. Modificare uno degli aspetti di questo piano potrebbe voler dire provocare a catena ulteriori modifiche e, in sostanza, farci ritrovare in una situazione di completa indeterminatezza. Oggi, espletando un punto all'ordine del giorno, dovremo prendere atto dell'approvazione del Ministero del piano già approvato in Commissione consiliare. Dopo di ciò potremo dare comunicazione agli Enti obbligati, perché al più presto appaltino i lavori, tenuto conto che i lavori possono essere appaltati a partire dall'ormai vicino 1° gennaio 1978.
I tempi sono quindi ristretti e i tempi persi significano perdita di posti di lavoro e perdita di valore del finanziamento.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Oberto.



OBERTO Gianni

Prendiamo atto di questi chiarimenti senza dichiararci né soddisfatti né insoddisfatti sul merito della questione che per altro non era sollevato dalla nostra interrogazione.
L'interrogazione era stata determinata da un fatto abbastanza curioso e strano. Il 7 di ottobre leggiamo sulla Stampa, dalla quale riceviamo quasi sempre le notizie che si riferiscono all'attività regionale, che i Comprensori di Caluso e di Ivrea ad unanimità esprimono un voto di censura nei confronti del comportamento della Regione per quanto attiene alla destinazione di un certo fondo per costruire una scuola in un certo luogo piuttosto che in un altro. E' chiaro che i Consiglieri regionali più vicini, per ubicazione territoriale, siano insorti anche perché in quell'ordine del giorno era chiaramente detto che il Presidente del Comprensorio "ritiene tali da snaturare le funzioni per le quali il Comprensorio è stato creato". Il Comprensorio ad un certo momento è investito di una determinata funzione, fa una determinata proposta di scelta e se la vede completamente disattesa dall'organo regionale. Perch questo è avvenuto, Assessore? Se le tre precedenti convocazioni fossero state seguite, al momento decisionale, da una quarta, probabilmente il Presidente del Comprensorio, che non è della mia parte politica, avrebbe riferito agli altri componenti quali erano le decisioni e le determinazioni e avrebbe consentito al Presidente di dare delle delucidazioni che invece non sono state possibili. I motivi della nostra interrogazione non sono soltanto diretti al problema specifico, quanto piuttosto involgono un aspetto di carattere generale. I Comprensori, che abbiamo voluto e creato come organismi della Regione, che prendono delle determinazioni e le fanno conoscere alla Regione, apprendono dal giornale che le cose non sono andate come le avevano prospettate, si vedono mortificati e si trovano in una situazione di grosso disagio, disagio che poi si riflette sulle popolazioni perché il discredito che ne deriva dobbiamo considerarlo non come motivo di costruzione dell'istituto comprensoriale perché sapete come i privati cittadini vi snobbano, vi superano e come si portano oltre. Prendo atto delle comunicazioni fatte senza una dichiarazione di insoddisfazione o di soddisfazione, diverso essendo stato lo spirito che avevamo al momento dell'interrogazione.



PRESIDENTE

L'interrogazione è stata svolta.


Argomento: Tutela dagli inquinamenti atmosferici ed acustici

Interrogazione del Consigliere Carazzoni: "Informazioni circa l'esistenza di un deposito di scorie radioattive sul Lago Maggiore: garanzie ed assicurazioni sulla non pericolosità del deposito"


PRESIDENTE

Passiamo all'interrogazione del Consigliere Carazzoni in merito all'esistenza di un deposito di scorie radioattive sul Lago Maggiore: garanzie ed assicurazioni sulla non pericolosità del deposito.
La parola all'Assessore Fonio.



FONIO Mario, Assessore alla tutela dell'ambiente

La Regione Piemonte è venuta ufficialmente a conoscenza dell'esistenza di un deposito di scorie radioattive presso il centro Euratom di Ispra il 29 aprile u.s.,durante la riunione della Commissione interregionale italo svizzera per la protezione delle acque comuni.
Fra gli argomenti da discutere in quella sede era all'ordine del giorno su nostra specifica richiesta - l'ipotesi di insediamento di un deposito di scorie radioattive in Val Canaria, presso Airolo. Infatti precedentemente si era diffusa la notizia che il Governo Federale svizzero aveva autorizzato una ditta ad effettuare indagini geognostiche al fine di accertare le possibilità tecniche di un tale insediamento.
Durante la discussione i membri della delegazione svizzera, ed in particolare i rappresentanti del Governo Federale, hanno cercato di minimizzare il problema, facendo presente che, oltre ad Airolo, le autorità svizzere avevano autorizzato ad effettuare indagini analoghe in altre località della Svizzera.
I delegati svizzeri coglievano però l'occasione per fare notare che d'altra parte, in Italia, a Ispra,esistevano delle scorie radioattive quindi la Commissione era tenuta ad esaminare gli eventuali pericoli di inquinamento che tale insediamento poteva provocare.
La Commissione quindi, non avendo elementi di giudizio, sia per l'uno sia per l'altro problema, decideva di demandare ogni approfondimento alla sottocommissione scientifico-tecnica - che è lo strumento della Commissione politica - la quale ha già affrontato i due problemi nella riunione svoltasi a Pallanza il 27 giugno 1977.
Riguardo al problema di Airolo la sottocommissione ha incaricato alcuni propri membri di seguire attentamente gli sviluppi tecnico-amministrativi del problema e, qualora si rendesse necessario, perché lo stesso Canton Ticino si oppone al programma federale, suggerirà alla Commissione generale internazionale di costituire un gruppo di lavoro di esperti per esaminare l'impatto ambientale che un tale insediamento comporterebbe.
Per il deposito di Ispra invece la sottocommissione ha già costituito un gruppo di lavoro formato da alcuni suoi membri al quale è stato affidato il compito di effettuare a breve termine un'indagine seria e approfondita presso il centro di Ispra.
Il gruppo di lavoro riferirà alla prossima riunione della sottocommissione che dovrebbe tenersi entro la fine dell'anno.
Oltre ai risultati dell'indagine la sottocommissione fornirà eventuali proposte di intervento al fide di eliminare qualsiasi pericolo di inquinamento radioattivo esistente e potenziale e sarà nostra cura tenere informato l'interrogante e il Consiglio sugli sviluppi dell'indagine.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Carazzoni.



CARAZZONI Nino

Ringrazio l'Assessore Fonio per questa sua risposta dalla quale mi pare di dovere cogliere ed evidenziare un aspetto quanto meno curioso, ma che forse sarebbe più esatto definire mortificante per la Regione stessa. A conferma di un sospetto trapelato sulla stampa, si è detto che in sostanza andati per sostenere una legittima protesta nei confronti del previsto deposito di scorie radioattive da costruirsi in territorio svizzero, i rappresentanti italiani sono venuti a conoscenza in quel momento, 29 aprile, che forse era preferibile che guardassimo prima in casa nostra perché già esisteva sulla sponda del Lago Maggiore un deposito di scorie radioattive. Non ricorrerò all'abusata espressione dei pifferi che andarono per suonare e furono suonati, dico soltanto che c'è da restare un poco mortificati nel rilevare che i partecipanti a quella riunione non sapevano assolutamente niente dell'esistenza di questo deposito...



FONIO Mario, Assessore alla tutela dell'ambiente

Tutto è da accertare. Finora non risulta.



CARAZZONI Nino

Ma il deposito a Ispra c'é.
Mi sorprendo di questa risposta perché addirittura sono uscite informazioni abbastanza precise e dettagliate. E vengo all'altro aspetto dell'interrogazione. Della prima parte non ne faccio certo colpa all'Assessore o alla Regione, mi limito a rilevare che non esisteva la conoscenza di questo problema e che mancava completamente anche una forma di coordinamento tra la Regione Piemonte e la Regione della Lombardia dove risiede il centro atomico di Ispra. Per la seconda parte l'Assessore mi dice che non si è ancora accertata l'esistenza o meno di questo deposito.
E' tanto inesatto questo, che si è sentita addirittura la necessità di istituire una Commissione per accertare l'eventuale pericolosità del deposito stesso.



FONIO Mario, Assessore alla tutela dell'ambiente

C'è di mezzo la Regione Lombardia.



CARAZZONI Nino

Certo, c'é di mezzo la Lombardia ma c'é tutta la sponda piemontese del Lago che al problema è interessata. Quanto alla supposta esistenza o inesistenza del deposito, le notizie pubblicate dalla stampa parlano addirittura di una giacenza di 4 mila contenitori di scorie radioattive che sono depositati da 12 anni in attesa di una loro sistemazione.
Prendo atto che l'Assessore nella parte finale della risposta mi ha dato un'informazione di carattere interlocutorio, riservandosi di essere preciso sull'eventuale pericolosità che questa giacenza può rappresentare. Sotto questo profilo non credo di dover esprimere soddisfazione o insoddisfazione, ma soltanto raccomandazione che anche a fronte di questo problema, che indubbiamente ha avuto larga risonanza di opinione pubblica l'attenzione della Regione Piemonte sia vigile ed assidua anche più di quanto è stata nel passato. Grazie.



PRESIDENTE

Signori Consiglieri, abbiamo terminato le interrogazioni.


Argomento: Sanita': argomenti non sopra specificati

Richiesta di sollecita risposta ad un'interrogazione


PRESIDENTE

Chiede la parola il Consigliere Cerchio. Ne ha facoltà.



CERCHIO Giuseppe

Vorrei soltanto dire che in data 14 luglio il sottoscritto aveva presentato un'interrogazione su un problema estremamente scottante, oggetto anche di una pubblica manifestazione venerdì scorso, in riferimento all'Ospedale di Caluso. Capisco che il tempo è ormai scaduto per le interrogazioni, ma pregherei il Presidente del Consiglio di dare garanzia che la risposta possa essere formulata nel corso della giornata, data l'urgenza della materia.



PRESIDENTE

D'accordo.


Argomento: Difesa idrogeologica

Richiesta di risposta scritta ad un'interrogazione sul livello dell'acqua del Lago Maggiore


PRESIDENTE

La parola al Consigliere Cardinali.



CARDINALI Giulio

E' giacente una mia interrogazione sul livello dell'acqua del Lago Maggiore. Chiedo che venga data risposta scritta.



PRESIDENTE

La richiesta è accolta.


Argomento: Ordine pubblico e sicurezza

Sull'attentato terroristico al Consigliere comunale democristiano, Antonio Cocozzello


PRESIDENTE

Signori Consiglieri, ancora una volta da questa tribuna dobbiamo prendere la parola per rilevare la nostra condanna per il 123° atto di aggressione, di provocazione, di terrorismo politico che dal 1° gennaio ad oggi ha investito la nostra Regione. Ancora una volta è stato colpito un Consigliere comunale della Democrazia Cristiana, Antonio Cocozzello, uomo onesto e mite, insegnante, un cittadino che serve la democrazia militando in un grande Partito. Il Vicepresidente Bellomo e i Consiglieri Picco e Beltrami hanno portato l'espressione di solidarietà del Consiglio e della Giunta regionale. Rinnoviamo qui alla Democrazia Cristiana, che terrà al proposito una manifestazione questa sera, la partecipazione al loro dolore alla loro indignazione e alla condanna che è anche la nostra, per questa pseudo guerriglia spietata e vigliacca (sono sempre tre o quattro contro uno), condotta contro cittadini inermi, colpevoli non di essere servi di questi o di quelli, ma di fare il loro dovere in momenti tanto difficili per la vita del nostro Paese. Abbiamo detto a Cocozzello ciò che abbiamo fatto e faremo per isolare gli strateghi del terrore della nostra Regione e lo abbiamo detto anche al Ministro degli interni, Cossiga. Siamo andati ed andremo nelle fabbriche e nelle scuole a discutere, per capire e per elevare un muro di coscienza alto fino al cielo contro coloro che vorrebbero che crollassero ad una ad una le difese della democrazia. I loro obiettivi non saranno raggiunti, essi vogliono terrorizzare i quadri intermedi dei partiti politici, ma non c'é uno solo dei ventimila Consiglieri comunali del Piemonte che abbia rinunciato al suo mandato per paura di essere domani bersaglio dei killers. Essi volevano con l'escalation delle aggressioni e delle provocazioni innescare la rivolta operaia. Ebbene, oggi l'industria del Piemonte è in sciopero generale indetto dai sindacati, ma non si tratterà per nulla di ciò che coloro che tirano le fila dei killers sognavano: gli operai scioperano per difendere i loro posti di lavoro, per difendere la democrazia contro la violenza.
Nessuno abdicherà dalle sue responsabilità. E' ciò che abbiamo detto al Ministro degli interni, richiedendo nello stesso tempo che ogni parte dello Stato faccia fino in fondo, senza lassismi o ambiguità, ciò che loro compete. Coloro che si sono macchiati di tanti delitti e crimini vanno individuati, arrestati e condannati sollecitamente alla giusta pena. I processi vanno celebrati e non rinviati. Torino ed il Piemonte hanno in s le energie, la forza democratica e la volontà unitaria, non solo per isolare, ma per sconfiggere il terrorismo politico che vuole portare l'Italia alla perdita della libertà. Nessuno chiede di intervenire passiamo all'esame del punto successivo all'ordine del giorno.


Argomento: Industria - Commercio - Artigianato: argomenti non sopra specificati - Urbanistica (piani territoriali, piani di recupero, centri storici - Beni ambientali - tutela del paesaggio (poteri cautelari, vincoli

Prosecuzione esame disegno di legge n. 117 e proposte di legge n. 78 e n. 226 in materia di urbanistica


PRESIDENTE

Signori Consiglieri, il punto principale dell'ordine del giorno di oggi prevede le dichiarazioni di voto sulla legge urbanistica. Non ho ancora messo all'ordine del giorno l'approvazione del processo verbale, perché so che vi sono delle obiezioni, ma le dichiarazioni di voto possono prescindere da questo fatto.
La parola al Consigliere Curci.



CURCI Domenico

Signor Presidente, signori Consiglieri, nello scorso mese di luglio concludemmo il nostro intervento in sede di discussione generale anticipando che avremmo deciso il nostro giudizio finale in relazione alla misura in cui il disegno di legge sarebbe stato modificato nel corso dell'esame dell'articolato.
Questa nostra cautela fu allora determinata dalla considerazione degli effetti perniciosi della legge 28 gennaio 1977, che ha definitivamente stroncato ogni volontà di ripresa nel settore privatistico, mentre l'apparato pubblico, paralizzato dalla miriade di norme e procedure, ha dimostrato di non essere assolutamente in grado di rilanciare l'edilizia pubblica.
La legge che ora ci accingiamo a votare così come ci si presenta nel suo testo definitivo, ci sembra manifestare la volontà politica di appesantire ancora di più vincoli e norme che scoraggeranno definitivamente l'iniziativa privata, mentre con essa si viene ad instaurare una serie altrettanto pesante di procedure che paralizzeranno i Comuni i quali non saranno assolutamente in grado, per carenza di mezzi e di personale adeguati, di preparare i complessi strumenti previsti, sicché tra le norme dello Stato e le norme regionali si viene a creare una selva nella quale gli operatori pubblici e privati non sapranno come districarsi.
Questo disegno di legge contribuirà ad approfondire ulteriormente il baratro tra l'utopia urbanistica e la realtà operativa.
Per questi motivi voteremo contro.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bellomo.



BELLOMO Emilio

Signor Presidente, siamo giunti al termine di una lunga e assorbente fatica - alludo alla fatica intellettuale ed alla tensione che l'ha sostenuta - siamo giunti al momento del voto e quindi della conclusione di un lungo, animato e stimolante dibattito, che ha fatto del nostro Consiglio regionale una palestra di sapere tecnico e politico che forse non trova precedenti.
Merito soprattutto - bisogna dirlo con schiettezza e convinzione - di alcuni colleghi, primo in testa in prof. Astengo che ha portato quel "pizzico di fascino in più" dovuto certamente al suo costosissimo impegno culturale e professorale e ai colleghi che hanno saputo dare al dibattito per più versi negato alla maggioranza di noi - quel tono, quel calore, quel livello e quell'attrazione che mi portano a dire - come è già stato detto da altri - che si tratta forse del più impegnativo dibattito legislativo svoltosi fino ad ora in questa aula.
A questi nostri colleghi che con il loro impegno intellettuale, e certamente non senza sacrifici, hanno portato contributi migliorativi alla legge per la tutela del suolo, credo che dobbiamo della riconoscenza.
Il disegno di legge che stiamo per votare rappresenta indiscutibilmente un grosso impegno legislativo che ha fatto dire a qualcuno di noi, veterano del Consiglio, che questa è forse la prima vera legge fatta dalla Regione Piemonte, una legge dalle caratteristiche parlamentari che poteva benissimo essere varata dal Parlamento.
E' una legge che qualcuno di noi, sia pure senza motivazione, ha definito di retroguardia, mentre credo si possa tranquillamente dire e affermare, indipendentemente da come ognuno di noi l'ha intesa, sostenuta o avversata, che si tratta di una legge di chiara avanguardia; passata al vaglio di tecnici e politici, di economisti e di sindacalisti, di forze economiche e sociali, di esperti e di specialisti, è una legge che, come è stato riconosciuto da tutte le parti, rappresenta un primo e autentico articolato normativo per impostare una concreta politica di gestione delle risorse del territorio.
Ho avuto occasione di sentire da alcune parti critiche ragionate e da altri parti critiche piuttosto feroci, ma non ho sentito mai nessuna voce dissenziente negare la tensione ideale che muove tutto l'impianto della legge n. 117, il suo rigore rettilineo, la sua struttura democratica.
E' una legge il cui testo - come è stato riconosciuto dall'Assessore Astengo - è stato ampiamente rifatto nel suo farsi, nel suo esplicarsi e nel suo estrinsecarsi concreto; è stato arricchito da contributi significativi, smussato nelle sue angolosità, alleggerito nelle sue vincolistiche apparse non indispensabili.
E' stata - è sempre la definizione di qualcuno di noi - una lunga marcia che ci ha dato la possibilità di fare una legge regionale che assorbendo tutti gli elementi della legislazione nazionale, investe in modo razionale ed efficace la materia della tutela e dell'uso del suolo.
I principi generali di questa legge sono stati a suo tempo ampiamente illustrati dal collega e relatore Calsolaro. Non sarò certamente io a ripeterli in questa sede né ad elencare gli elementi fondamentali sullo stato della pianistica (é un altro termine usato dall'Assessore Astengo) e sull'insieme degli strumenti urbanistici che la relazione indicava. Mi preme invece ripetere che questa legge, ancorché legge di principi, ha una forte connotazione politica, ed è una legge che si inserisce in termini concreti nella realtà regionale dove sono presenti evidenti ed eloquenti squilibri economici e territoriali, caratterizzati da una specie di crisi di identità fra le istituzioni e i cittadini. E' una legge che viene puntualmente a confermare la volontà politica della Giunta per una linea complessiva di pianificazione e di gestione del territorio e che rappresenta, oggi, una tappa significativa di quella stessa linea politica a suo tempo enunciata e per due anni tenacemente seguita.
La crisi strutturale ed economica del Paese, le stesse gravissime calamità naturali sulle cui conseguenze dovremmo dibattere oggi stesso nella disperata ricerca di tamponi che servono almeno ad asciugare le piaghe che si aprono periodicamente, le vicende di tutti questi ultimi anni che hanno evidenziato una fame sempre più dolorosa di case, di servizi e di infrastrutture, facendo giustizia di tutti i falsi obiettivi e di tutte le mezze misure, ha richiamato vigorosamente uomini ed istituzioni alla coscienza sociale che impone un uso oculato, intelligente e parsimonioso delle risorse disponibili: prima fra tutte la risorsa del territorio e la sua gestione democratica, programmata e pianificata.
Con il Piano di sviluppo regionale si sono poste, a nostro parere, le basi necessarie per un reale processo di recupero delle nostre risorse, e quindi della nostra Regione, così visibilmente segnata dalle striature di un modello di sviluppo che è andato, si fa per dire, contro corrente, nel senso di andare contro gli interessi generali della nostra collettività, un modello miope e unilaterale. Da questo angolo visuale possiamo dire che la legge per la tutela e l'uso del suolo è una legge di piano, cioè uno strumento, un meccanismo operativo che si pone nella politica di piano e nel suo moto programmato.
Noi riteniamo che questa legge colga l'obiettivo della sua finalità, e cioè il recupero dell'assetto territoriale che corrisponde, secondo noi, al recupero dell'assetto sociale. Lo coglie non solo in virtù degli strumenti tecnici e amministrativi che la legge indica e definisce, ma soprattutto attraverso una chiara strategia politica, che si dovrà esprimere in un costante processo di risistemazione da svilupparsi con operazioni concatenate e tenacemente orientate verso gli obiettivi prioritari; ma un processo che deve avvenire, sempre, nella massima chiarezza dei rapporti istituzionali, affinché Regione ed Enti locali possano esercitare con pienezza e legittimità i propri poteri e le proprie autonomie.
La Regione si pone al centro di questo processo e nell'ambito dei Comuni piemontesi e nell'ambito dei quindici Comprensori - ormai in fase di lavoro - rappresenta un momento unificante in un tessuto ancora frammentario e non a regime, al centro del processo per svolgere una funzione, legittima e insostituibile, di guida e di promozione nel più scrupoloso rispetto delle autonomie locali.
Un compito, questo, certamente importante ed impegnativo, che presuppone un rapporto dialettico continuo tra i diversi livelli interessati ad un ordinato assetto urbanistico del Piemonte.
Il prof. Astengo, nella sua lunga e dettagliata replica agli interventi della prima fase dibattimentale di questa legge, ha parlato del lungo approccio che ha caratterizzato la marcia di avvicinamento ad una vera soluzione urbanistica del Paese. Ci ha parlato delle esperienze personali negli anni del primo dopoguerra, intese a modificare la legge urbanistica del 1942. Ci ha illustrato le prime idee per una legge urbanistica regionale, i primi scontri fra i regionalisti convinti e quelli tiepidi fra i vari interessi consolidati e divergenti rispetto ad una visione democratica e moderna della politica urbanistica; l'impatto rude con la rendita, con il timore di talune forze di intaccare un diritto atavico ritenuto connaturale al semplice diritto di proprietà del suolo.
Sono stati vent'anni e più di approccio, di travaglio culturale e politico per arrivare alla legge Bucalossi. Altri due anni - ha detto ancora l'Assessore - di intenso lavoro preparatorio di questa legge che stiamo per votare, con l'ausilio di tecnici, di politici, di giuristi per arrivare ad una normativa che come socialisti, ma anche come piemontesi riteniamo valida, ancorché sempre perfettibile per le esigenze della nostra Regione.
Il prof. Astengo ha fornito chiaramente la chiave di lettura di questa legge, complessa e difficile, avvicinandola a chi, come me, non ha nessuna preparazione specifica in materia e si regola soltanto sul buon senso che viene dalle dimostrazioni inoppugnabili oltreché, evidentemente, sulla convincente logica di un ragionamento tecnico, politico, sociale che è a mio modo di vedere la logica che attraversa longitudinalmente gli articoli del disegno di legge n. 117.
Il nostro Piemonte - ripeto totalmente il concetto del prof. Astengo è una Regione storica perché abitata in tempi antichissimi. La sua struttura si è venuta configurando a sbalzi e in tempi recenti. Non c'è stata in Piemonte una cultura omogenea, come la si può trovare, per esempio, nel Veneto, con le sue bianchissime ville, o anche in Toscana, che hanno un linguaggio chiaro e colto.
Il linguaggio piemontese lo dobbiamo ancora scoprire e - dico io nessuno più del prof. Astengo è in grado di capire l'immenso sforzo che si deve fare in proposito. Ma mentre l'Assessore Astengo parla di sforzo e di impegno che deve coinvolgere tutti, parla anche il linguaggio della fiducia che, come uomini politici, come pubblici amministratori e come piemontesi dobbiamo avere in noi stessi e nelle nostre possibilità.
Con questa stessa fiducia, noi votiamo il disegno di legge n. 117 perché vediamo in esso un efficace strumento di politica urbanistica e di tutela del suolo e quindi un efficace strumento per una politica di piano.
Questa prima fase dell'ampio dibattito ha confermato le nostre possibilità.
Oggi sono state impegnate le forze politiche, sociali, economiche e tecniche; domani saranno impegnati i più ampi strati sociali, a mano a mano che la legge dispiegherà la sua efficacia nelle diverse realtà sociali.
Credo ancora necessario sottolineare che questo nostro dibattito nasceva di fatto già uh anno fa, subito dopo il disastro dell'Icmesa e del Friuli, e si chiude oggi, dopo l'ennesima alluvione che ha colpito il Piemonte.
Il paese reale, quello della gente che vive e lavora, osserva con sgomento la sequenza delle calamità che ci colpiscono periodicamente, e vede con tutta evidenza la relazione tra tali eventi e il colpevole modo di governare il territorio.
Credo che stia proprio nell'attenta, inequivoca e puntuale definizione normativa degli usi del suolo, degli interventi su di esso ammessi, dei limiti e delle cautele fissate, nel profondo rispetto per l'ambiente che li ha ispirati, così a lungo dibattuti in questa aula, così controversi e oggetto e argomento di numerosi emendamenti; è proprio in questo che si pu cogliere il momento innovativo e progressivo della legge piemontese e l'impegno politico delle forze che la sosterranno.
In alternativa alla più facile via delle leggi stralcio, applicative del nuovo quadro giuridico proposto nazionalmente dalla legge n. 10, la nostra Regione propone un provvedimento organico, che colloca i principi della riforma del regime dei suoli in un discorso politico e insieme operativo, di chiarezza costituzionale, di definizione dei ruoli tra i diversi operatori, di reinterpretazione tecnica della pianificazione urbanistica, un provvedimento che colloca la legge piemontese in primo piano nel panorama legislativo delle Regioni.
Anche per queste considerazioni sosteniamo questa legge e ci auguriamo che la sua base di consenso politico sia la più ampia possibile in quest'ambito di forze regionali.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Cardinali. Ne ha facoltà.



CARDINALI Giulio

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, si conclude oggi il lungo iter del disegno di legge 117 che deve determinare l'assetto urbanistico e regolamentare la prospettiva futura in questo settore per la Regione Piemonte.
Sono trascorsi due anni dalla presentazione della prima bozza da parte dell'Assessore Astengo, sulla quale ci eravamo fin dall'inizio messi in posizione critica non tanto per il contenuto delle norme quanto per il modo e tempo di intervento che avrebbe potuto determinare conseguenze non utili per la vita e lo sviluppo regionale.
Non c'é nessun dubbio che durante il lungo iter sono state notevolmente modificate le impostazioni originarie, anche se bisogna riconoscere che l'Assessore Astengo ha difeso il tessuto generale della propria impostazione e occorre riconoscere che questo tessuto oggi riemerge nell'articolato così come ci accingiamo a votarlo. D'altra parte si è aggiunta in questo frattempo la legge n. 10, legge sulla cui importanza e sulla cui portata non si è sufficientemente approfondito. In Italia purtroppo c'é la perniciosa consuetudine che quando si fanno delle buone leggi in genere si applicano poco o non si applicano affatto. Bisogna riconoscere che la legge 1150 del 1942 non era una cattiva legge, ma nella carenza delle applicazioni o nella distorsione delle applicazioni avviene poi che, sull'onda di fatti per lo più emotivi, si fanno delle leggi le quali necessariamente sono leggi di vincolo, non leggi di prospettiva. Sono leggi che paralizzano, che fermano, che si preoccupano di tutelare situazioni che si ritiene siano state largamente compromesse. Questa, a mio modo di vedere, è la caratteristica che informa in modo particolare la legge n. 10, la quale ha una portata non ancora sufficientemente valutata e sperimentata.
Il disegno di legge n. 117 ha tenuto conto di ciò che è emerso dalla legge n. 10 e tutto questo è stato rappresentato da quel che è comparso alla fine del mese di luglio, in Consiglio. In quella sessione significativo è stato l'intervento dell'Assessore Astengo perché egli ha offerto un quadro non solo di interesse stilistico, ma un quadro di contenuti di cui dobbiamo dargli atto. Credo che l'Assessore avrebbe fatto il proprio intervento con maggiore efficacia se si fosse trovato nella Firenze dei Medici o nella Milano degli Sforza o nella Parigi di Napoleone III, ossia di fronte a una realtà sulla quale il legislatore o l'operatore pubblico è in grado di attuare e di intervenire senza tenere conto di nessun'altra realtà e attuando disegni di carattere proprio.
In quella circostanza il collega Benzi parlò dei rischi che erano insiti in questo tipo di legislazione, rischi automatici per una legislazione di tipo urbanistico; dovremo verificare in che misura questi vincoli potranno essere conciliati con il mantenimento delle esigenze di sviluppo, non ricercando mortificazione di esso, ma il suo ordine e la sua attuazione in termini di pianificazione e di programmazione.
Oggi ci troviamo di fronte a 92 articoli della legge n. 117, forse troppi per una legge urbanistica regionale. Su di essi potremmo forse riconoscere il difetto di aver voluto incidere eccessivamente nel particolare, non si è dimenticato nulla o si è cercato di non dimenticare nulla. D'altra parte i contributi venuti da altre formazioni politiche non hanno eliminato questo tipo di visione, ma, per certi versi, ne hanno accentuato l'aspetto di penetrazione. Abbiamo voluto dire una parola precisa nella normativa con riferimenti anche a cose di angolatura modesta.
Tutto questo probabilmente ha creato nell'articolato della legge un appesantimento che certamente renderà complicata la sua gestione. Gli articoli sono stati portati all'attenzione del Consiglio e sappiamo tutti che cosa è successo in questi due mesi: gli emendamenti, i contro emendamenti, le modifiche.
Mi domando: le norme, così come sono state presentate, potevano sostanzialmente essere diverse? Io credo che non potessero sostanzialmente essere diverse. Le norme di carattere urbanistico sono quelle che devono verificarsi nella nuova realtà istituzionale; ci sono vari livelli di pianificazione che investono l'Ente locale, il Comune, il Comprensorio e la Regione stessa i cui nuovi assetti istituzionali non potevano essere ignorati.
Il Consiglio ha provato a fare alcune modifiche e bisogna dargli atto che non sono state modifiche in senso rovesciativo della proposta urbanistica dell'Assessore, ma sono stati perfezionamenti che in grande misura hanno portato ad alleggerimenti del contesto delle norme stesse. Sia nella fase di luglio che in quella successiva c'é stato da parte dell'Assessorato un accoglimento delle proposte, anche di quelle venute dal mio Partito. Oggi nasce però il problema di quali conseguenze avrà questa legge in Piemonte e soprattutto il problema della gestione della legge regionale.
Credo che nella legge che ci accingiamo a votare c'é implicito tutto il criterio che ha animato negli ultimi due anni e mezzo di legislazione regionale la gestione dell'Assessorato all'urbanistica. Era già implicito nel modo in cui venivano amministrate le precedenti legislazioni. Tutto questo, a mio modo di vedere, ha dimenticato o fa correre il rischio di dimenticare un elemento di fondo che l'esperienza fatta dal sottoscritto in un breve periodo all'Assessorato all'urbanistica ha fatto mettere in evidenza in una regione come la nostra, che obiettivamente non è in ritardo per la disponibilità degli Enti locali ad aggiornare e a coordinare la propria visione urbanistica, ma credo che non dovremmo dimenticare un fatto che l'esperienza mi ha insegnato essere sostanziale, cioè che qualsiasi norma di legge non potrà prescindere da quella che chiamo la "pianificazione contrattata" con l'Ente locale; una pianificazione che l'esperienza mi ha permesso di considerare non soltanto valida, ma certamente proficua.
Ricordo, e l'ho citato anche in altre circostanze, che nel giro di tre mesi di Assessorato all'urbanistica sono riuscito, attraverso la pianificazione contrattata, ad approvare tre piani regolatori, quello di Cuneo, di Alessandria e di Vercelli con soddisfazione completa non soltanto dell'Assessorato, secondo i criteri che erano allora in vigore, ma degli Enti locali che si sono trovati degli strumenti ragionevolmente operanti.
Proprio perché la gestione sarà uno degli elementi di fondo per determinare la validità della legislazione che ci approntiamo ad approvare proprio perché sulla gestione riteniamo che l'aspetto che abbiamo appena citato debba essere prevalente anche nei confronti delle norme e che soprattutto debba trovare una predisposizione che non considera l'Ente locale come oggetto di pianificazione e non gli toglie, mortificandolo ogni possibilità di libera espressione, noi riteniamo, per l'ipoteca che la gestione pone su un articolato che sarebbe stato difficile prevedere in termini diversi, di doverci astenere sul disegno di legge n.117.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Rossotto. Ne ha facoltà.



ROSSOTTO Carlo Felice

Signor Presidente e colleghi Consiglieri, la legge, alla cui realizzazione è stata data la massima partecipazione da tutte le forze politiche, è indubbiamente una legge positiva. Voglio soltanto evidenziare alcuni pregi ed alcuni difetti, limitandomi a richiamare, per quelle che sono le funzioni istituzionali a cui sono chiamato, il rapporto corretto che si viene a stabilire per realizzare quegli obiettivi di politica di piano che vedono i Comprensori protagonisti dell'equilibrio regionale e come momenti per passare ad una logica sovracomunale nella gestione e nella realizzazione della politica urbanistica, specie per quelli lontani dal Comprensorio torinese, di cui conosciamo tutte le caratteristiche negative.
Questa legge ha subito un'accusa costante e martellante: si è detto che è una legge immobilista, una legge che blocca tutte le possibilità in un momento in cui c'é un calo occupazionale fortissimo nel settore dell'edilizia. Credo sia una accusa troppo particolare. E' una legge che presuppone un salto di qualità degli amministratori. E' una legge che, per la prima volta, va a regolamentare i corsi dei fiumi, i rapporti che ci sono nell'utilizzo dei beni del suolo; è una legge che rappresenta un salto di qualità anche con i vincoli di cui la si accusa essere portatrice.
Se si parla di immobilismo, si dimentica l'elemento di innovazione, lo strumento essenziale per risolvere i problemi della ristrutturazione e della rilocalizzazione industriale che il Piano di sviluppo piemontese presuppone, richiede ed impone.
Questo problema non può essere lasciato alle spinte o all'interpretazione autonoma dei singoli Amministratori comunali o comprensoriali. La convenzione quadro regolata e resa immediatamente operante dagli articoli specifici dà un corretto rapporto tra la programmazione che compete all'Ente Regione e la gestione che compete alle autonomie locali che dovranno applicarla in una costruttiva dialettica con gli imprenditori interessati ai processi di ristrutturazione e rilocalizzazione e con i sindacati in ordine ai problemi della mobilità.
Approvando integralmente le considerazioni molto più ampie e molto più specifiche che il collega Bellomo ha voluto presentare, desidero cogliere questi momenti. L'immobilismo e i vincoli sorgono in diretta conseguenza di quelle che sono le normative dello Stato. Non c'é stata nessuna volontà di punire quello che non va punito.
Questa legge, come quella delle procedure della programmazione evidenzia il momento comunale e quello dell'Ente intermedio che è il Comprensorio. Questo strumento impositivo, infine, realizzato e costruito nel pieno rispetto del pluralismo democratico ed economico che esiste nella nostra realtà sociale, lo vogliamo difendere, potenziare perché vede nella convenzione quadro uno strumento impositivo per la costruzione.
Per questo il voto, conseguenza di un giudizio estremamente positivo non sarà che di pieno assenso.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Carazzoni. Ne ha facoltà.



CARAZZONI Nino

Signor Presidente e colleghi, siamo stati spettatori silenziosi per tre sedute. Ci si vorrà consentire, adesso, un intervento di una certa relativa ampiezza, anche perché desidereremmo poter utilizzare questa dichiarazione di voto onde chiarire meglio il significato del "no" che puntigliosamente siamo andati pronunciando su ogni articolo della legge e che, con coerenza ci accingiamo a ripetere nella votazione conclusiva.
Non significa innanzitutto mancato riconoscimento dell'importanza di un provvedimento legislativo che, comunque lo si voglia giudicare (e noi già l'abbiamo giudicato in negativo), tuttavia risponde all'esigenza obiettiva di dare alla Regione una sua propria disciplina urbanistica; neppure significa arrogante sottovalutazione di una proposta che è certo la più completa e la più organica fra quelle finora presentate dalle Regioni a Statuto ordinario, anche se proprio nella completezza e nell'organicità del tessuto legislativo risiedono i presupposti per talune fondate critiche: n significa, infine, mancata considerazione del taglio diverso che alla loro opposizione hanno dato altri Gruppi politici, che anzi noi abbiamo riguardato con massimo rispetto, pur restando convinti che normative quale quella portata al nostro esame hanno da essere contrastate non tanto attraverso la presentazione di decine o di centinaia di emendamenti, ma (certo, quando ciò sia possibile, quando cioè si sia legittimati a farlo, e questo è per l'appunto il caso del Movimento Sociale Italiano) solo attraverso contrapposizioni frontali.
Il nostro "no" non è caricato in negativo da nessuna di queste considerazioni. E' invece il "no" cosciente, meditato, responsabile di una forza politica che, senza mai dimenticare la sua qualità di alternativa al sistema, ha sostanziato, anzi ha qualificato, la propria opposizione con ben delineate ragioni di principio e di merito.
Nel luglio scorso avevamo concluso il nostro intervento proponendo come misura sensata il ritorno della legge in Commissione per un suo più approfondito riesame. Pensiamo ancora oggi che sarebbe stato opportuno scegliere quella strada anziché ostinarsi in un estenuante braccio di ferro che, pur attraverso qualche momento di alta tensione ideale, per altro subito annullato poi da ore di discussione caotica e confusa, ha portato al varo di una normativa che è sì in molte parti cambiata rispetto al testo iniziale, ma che nella sua impostazione di fondo risulta inalterata e che pertanto noi possiamo anche adesso giudicare con il metro politico di tre mesi fa; per cui noi ci troviamo sollecitati a ripetere adesso che la legge va respinta innanzitutto in via pregiudiziale, in quanto è un provvedimento che riprende, che ribadisce, che riconferma, in qualche caso persino accentuandoli, quelli che sono i contenuti eversivi della legge statale n.
10, la famigerata legge Bucalossi, Gullotti, Berlinguer dal nome dei più qualificati rappresentanti dei partiti che l'hanno voluta e imposta, contro la quale il Movimento Sociale Italiano si è duramente battuto in Commissione e in aula, addirittura presentando una relazione di minoranza confutandola sulla base di un disegno di legge alternativo.
Orbene, quali sono questi contenuti eversivi? 1) La grave lesione del diritto di proprietà, regolato dall'art. 42 della Costituzione, che viene espropriato senza l'indennizzo del suo contenuto economico più importante, quello di edificare, trasferito dalla sfera privata alla sfera pubblica e subordinato alla volontà del Comune cioè del potere politico 2) l'imposizione forzosa di costruzioni delle aree private comprese nei programmi pluriennali di attuazione, pena l'esproprio dell'area e dell'eventuale fabbricato non costruito, non portato a termine, che viola i diritti costituzionali afferenti alla libertà di iniziativa economica.
Le conseguenze economiche sociali di una simile aberrante normativa sono: che le tassazioni e i gravami esosissimi, aumentando notevolmente il costo delle abitazioni, privano i cittadini, in particolare privano i lavoratori, privano i dipendenti a reddito fisso, della possibilità di accedere alla proprietà della casa che tutta la disciplina sull'edificabilità dei suoli colpisce ulteriormente, proprio in un momento di pesantissima recessione economica un settore trainante quale quello dell'edilizia che attraverso la formula della concessione si ha una autentica rapina di quella proprietà acquistata attraverso una vita intera e magari con il sacrificio di una intera vita.
Questa impostazione deriva sì dalla legge statale, ma caratterizza come impronta qualificante la normativa regionale. Allora, una forza politica quale il Movimento Sociale Italiano, che si è impegnata a livello nazionale nel contestarla e nel combatterla, non può poi, anche a livello periferico non attestarsi in una eguale, in una identica opposizione. Esattamente come questa scelta rimane invece preclusa ad altre forze politiche che essendosi comportate a livello nazionale in modo diverso, devono poi, per forza di cose, scegliere a livello periferico una strada differente. Infatti abbiamo visto che altri Gruppi, a cominciare dalla DC, in quanto responsabili diretti del varo della legge Bucalossi, non hanno potuto, per non cadere in contraddizione, sottolineare e denunciare questo aspetto specifico e particolare della legge Astengo, che è venuta appunto a parafrasare la legge Bucalossi. Sotto questo profilo l'opposizione del M.S.I.-D.N. risulta del tutto coerente e consequenziale, confortata adesso anche dalle numerose eccezioni di legittimità costituzionale che sono state portate avanti al riguardo della normativa nazionale e che, ove accolte non potranno non fatalmente ripercuotersi anche sulla normativa regionale che è poi esattamente quello che noi ci auguriamo che avvenga. Il discorso deve essere chiarissimo. Nessuno contesta l'ormai indifferibile necessità di arrivare a una legge urbanistica capace di correggere i meccanismi distorti che nel passato hanno presieduto al processo di crescita, ma fatta questa premessa, quello che non è accettabile è che, con il pretesto di tutelare l'uso del territorio, si vengano poi a contrabbandare principi ed interventi finalizzati tutti alla trasformazione della società in senso marxista o comunque collettivista.
Quanto poi ad un giudizio di merito sulla legge, abbiamo già detto che fondati motivi di riserva critica discendono proprio dalla concretezza e dall'organicità del provvedimento. A qualcuno l'affermazione potrebbe anche essere sembrata contraddittoria. Non lo è invece se il problema lo si affronta da questa angolazione. Una pianificazione urbanistica, per essere tale, deve innanzitutto essere credibile, ma tale non lo è più, tale non può risultare quando, come nel caso nostro, si pretende di normarla in modo uniforme, quasi che tutti i Comuni abbiano a presentare le stesse esigenze e le medesime necessità. Qui stanno i limiti oggettivi e frenanti della legge, che, anziché perdersi in un lungo, minuzioso, tortuoso dettaglio avrebbe dovuto presentare soltanto pochi, semplici e soprattutto chiari principì. E' accaduto invece il contrario.
L'Assessore Astengo, la cui competenza nella materia è fuori discussione, è giunto a dare alla legge da lui firmata un taglio di alto valore concettuale e culturale; ma, proprio così facendo, si è assunto la responsabilità di presentare una normativa che risulta fatalmente paralizzante oltre che di difficilissima attuazione. Ci sia consentita una brevissima autocitazione. Nel luglio scorso a questo proposito avevamo testualmente detto: "Noi pensiamo che nella formulazione di un testo legislativo così vincolistico abbia molto giocato in negativo l'impostazione teorica del docente universitario più che il senso pratico dell'Amministratore pubblico. Vale a dire, a noi sembra che nell'elaborare questo disegno di legge il prof. Astengo si sia lasciato prendere la mano da una visione astrattamente dottrinaria del problema, in assoluto certo rispettabile, anche se opinabile, ma di fatto slegata o scoordinata rispetto alla realtà amministrativa della nostra Regione". Semmai avessimo avuto qualche dubbio sulla validità di questo giudizio, ce lo siamo tolto ascoltando poco dopo la replica dell'Assessore Astengo: quella magnifica lezione universitaria che certo i colleghi ricordano e che abbiamo anche intimamente gustato, così come ci è stata presentata, arricchita da quelle gustose annotazioni sulle caratteristiche dell'architettura toscana o dell'architettura veneta; ma quell'intervento dotto, qualificato propedeutico, sul cui sfondo è stato poi collocato tutto il successivo dibattito, è venuto a confermarci il chiaro valore culturale del proponente la legge, ma non la concretezza, il realismo, l'efficacia della legge stessa; che, anzi, proprio per l'impostazione seguita, sono qualità che a noi paiono del tutto carenti. Si sta infatti per licenziare, nonostante qualche miglioramento introdotto, una normativa farraginosa, complicata rigidamente vincolistica, ingiustamente punitiva, di difficilissima operatività, le cui conseguenze saranno pesantemente avvertite dal settore già in crisi dell'edilizia, che a parole tutti dicono di volere rilanciare che poi nei fatti si continua a mortificare e a penalizzare.
Questa legge esce mentre in Piemonte, per stare ai dati del 1976, le abitazioni ultimate sono diminuite del 5,4%; nell'edilizia non residenziale vi è stato un calo del 17,2 % delle opere finite e del 7,8% di quelle iniziate; nelle opere pubbliche infine si è avuta una flessione del 32,2 nei lavori incominciati e dell'11,4% in quelli in corso; esce mentre le previsioni per la fine del 1977 e del 1978 sono state improntate al negativo; esce mentre sul piano occupazionale il settore edile ha perduto nel 1976 10.000 addetti circa rispetto al 1974.
Esce la legge Astengo e l'edilizia piemontese riceverà il colpo di grazia, mentre andrà ad accentuarsi lo squilibrio tra domanda ed offerta sia di abitazioni che di insediamenti produttivi.
Signor Presidente e colleghi Consiglieri, abbiamo riassunto evidenziandoli i motivi di principio e di merito che stanno alla base della valutazione negativa e quindi del voto contrario anticipato dalla Destra Nazionale, ma non possiamo ancora concludere non aggiungendo un'ultima considerazione. Questa legge sarà certo votata dallo schieramento maggioritario, anche se a noi è parso, per la verità, che la maggioranza che la Giunta, che qualche Assessore in particolare si siano dimostrati non calorosamente impegnati a sostenerla e a difenderla. Tutto il peso è ricaduto sulle spalle dell'Assessore Astengo, al quale va il merito - e noi vogliamo dargliene correttamente atto - di avere sostenuto anche con caparbietà, con rigore ideologico i propri convincimenti, evitando in larga misura quei patteggiamenti compromissori accettati invece in altre occasioni da alcuni suoi colleghi. Il risultato è che, in questo caso almeno, non si è potuti cadere nell'equivoco di quell'unanimismo che il Partito comunista si sforza di perseguire e che la Democrazia Cristiana spesso e volentieri subisce. Questa volta, vivaddio, le cose sono andate un poco diversamente. Anche se l'Assessore Astengo è stato lasciato molto solo in questa tormentata e tormentosa vicenda, ciò che deve essere ben chiaro è che, quando la legge comincerà a produrre le sue pesanti e negative conseguenze, non potrà e non dovrà essere soltanto colui che alla legge stessa ha dato il nome, come già oggi si incomincia a far credere, a sopportarne le responsabilità politiche, ma bene inteso sarà tutta la maggioranza, il Partito comunista e il Partito socialista, che oggi governano la Regione. E questo è, signori Consiglieri, non una maliziosa sottolineatura quanto invece un rilievo politico preciso formulato adesso a scanso di futuri e interessati equivoci. Grazie.



PRESIDENTE

E' iscritta a parlare la signora Castagnone Vaccarino. Ne ha facoltà.



CASTAGNONE VACCARINO Aurelia

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, dopo un lungo e animato dibattito sul disegno di legge n. 117, in cui ogni Gruppo ha portato in questo Consiglio le proprie valutazioni generali e specifiche, con un leale ed approfondito confronto delle posizioni, nei limiti delle rispettive capacità di convincimento a sostegno delle proprie tesi, siamo oggi pervenuti alla riunione conclusiva di questa prima fase operativa per un programma di intervento sul territorio.
Prima di esprimere un voto e di illustrarne i contenuti ed il significato, a nome del Gruppo repubblicano voglio e debbo esprimere un sincero riconoscimento, non formale, alla maggioranza, alla Giunta, al Prof. Astengo in particolare, per la grande mole di lavoro svolto e per lo spirito costruttivo che hanno saputo garantire nella gestione del dibattito sul disegno di legge regionale a tutti i livelli. Noi avevamo già espresso ed abbiamo in questa sede ricordato l'apprezzamento complessivo sul disegno di legge 117, che oggi si è ulteriormente affinato e migliorato, grazie all'apporto di tutte le forze presenti in Consiglio regionale (e particolarmente della Democrazia Cristiana e del Partito liberale). Le trasformazioni, anche profonde, subite dal testo originario sono una testimonianza concreta del contributo dei Consiglieri e delle forze politiche sociali ad ogni livello; in questo senso ci pare sia stato concretamente avviato il processo di crescita della sensibilità e della cultura urbanistica delle comunità locali; in questo senso può non essere illusoria la convinzione di poter approfondire e realizzare il progetto complessivo di tutela ed uso programmato del suolo, con ulteriori modifiche, anche profonde, al quadro legislativo proposto oggi al voto del Consiglio regionale, per adeguarlo alle esigenze operative, di metodo e di contenuto della programmazione e pianificazione del territorio della nostra Regione. Senza entrare nel merito dell'articolato proposto al voto di questo Consiglio, se pure alcune riserve avremmo ancora il dovere di esprimerle e le esprimeremo relativamente a quelle osservazioni che assumono, a nostro parere, un carattere strutturale, deve essere chiarito il nostro consenso alla maggior parte del testo proposto, senza volere con questo avere la presunzione di assegnare diplomi particolari a chi, per altro, non li ha nemmeno chiesti. Tralasciamo dunque la sottolineatura dei caratteri strutturali positivi della legge, così come rinviamo in altre sedi l'approfondimento del confronto su tematiche particolari, come il titolo X sulle norme transitorie, o assolutamente marginali rispetto alle direttive generali della legge.
Ci permettiamo di richiamare in questa sede alcune osservazioni, che già abbiamo svolto nel dibattito, per l'importanza che queste assumono non solo e non tanto rispetto al voto che dovremmo esprimere in rappresentanza del Gruppo repubblicano, quanto rispetto alla problematica più generale sull'assetto del territorio nella nostra Regione, in rapporto alla definizione dei momenti operativi immediatamente seguenti questo Consiglio e questo voto. Nella relazione sull'area di intervento 3, gestione e assetto del territorio del Piano di sviluppo regionale recentemente discusso in questo Consiglio, la maggioranza dichiarava - e qui cito l'intenzione di avviare un processo di programmazione capace di realizzare uno stretto e organico legame tra piano di sviluppo economico e piano di sviluppo territoriale alle diverse scale; dichiarava di voler concepire la pianificazione socio-economica, la pianificazione territoriale, la pianificazione finanziaria aspetti distinti di un unico processo; definiva compito fondamentale della pianificazione quello di creare condizioni affinché l'allocazione spaziale delle risorse potesse avvenire in modo da evitare od eliminare gli squilibri territoriali oggi esistenti fra aree ad elevata e crescente congestione fisica e sociale, ed aree ad elevata e crescente marginalità fisica e sociale; definiva i Comprensori come sistemi urbani programmatici, cioè come aree su cui organizzare sistemi urbani della Regione, nel quadro di una strategia di riequilibrio territoriale proponeva all'intero processo di pianificazione territoriale articolazioni secondo il livello regionale, comprensoriale, locale; riteneva indispensabile, a seguito di quelle articolazioni per livelli e per settori, la presenza di un quadro di riferimento globale a livello regionale, che doveva essere definito in prima istanza dalla Regione stessa, per trovare successivi aggiustamenti, integrazioni, approfondimenti attraverso l'avvio dei piani ai livelli inferiori (Comprensorio, Unità locali, Comuni) e dei piani settoriali, a tal fine riconosceva la necessità di avviare programmi di ricerca sulle metodologie per la formazione del quadro territoriale regionale e dei piani territoriali di coordinamento di Comprensorio. (Abbiamo citato le pag. 4-6-9-16-17-22 della relazione: Area di intervento 3 del Piano di sviluppo).
Noi vogliamo e possiamo solamente aggiungere che tutto ciò, se inteso come processo capace di garantire la più ampia e reale partecipazione delle comunità locali, se finalizzato a rendere concretamente operante il metodo della programmazione come metodo primario di gestione della cosa pubblica se basato sul presupposto che Regione, Comprensori ed Enti locali non possono e non debbono essere considerati entità separate, ma modi di essere dell'organizzazione di un'unica collettività regionale, ci trovava e ci trova perfettamente d'accordo.
A noi non pare sufficiente però definire un ruolo di coordinamento della Regione, della Giunta regionale, nella fase di formazione dei piani territoriali comprensoriali per garantire un quadro unitario esteso all'intero territorio regionale, se non si vuole definire il piano regionale come semplice sommatoria dei singoli piani comprensoriali; quando non vengono garantiti gli stessi tempi di formazione di tutti i piani territoriali, rendendo certamente più difficili e lontani la strategia e l'obiettivo di riequilibrio territoriale a livello regionale; quando le tendenze in atto sono di segno esattamente contrario a quella strategia e a quell'obiettivo; quando anche la sola difesa dei livelli occupazionali nell'ambito di un Comprensorio può assumere il carattere di una ipotesi di sviluppo se pure relativo ed a pagare il prezzo di una crisi o della carenza di un rigoroso quadro di riferimento finiranno per essere, ancora una volta, le aree e le zone con elevata e crescente marginalità fisica e sociale: basti pensare, ad esempio, come i 900 licenziamenti minacciati e probabili della Montefibre e di Verbania o i 650 minacciati e probabili della Wild di Novara possano equivalere, per gli effetti sociali ed economici che producono relativamente alle zone di competenza rispettivamente a 35.000 e 9.000 licenziamenti nella città di Torino. A noi non pare corretto e sufficiente avviare il processo di pianificazione territoriale comprensoriale sulla base degli indirizzi programmatici definiti dal Piano regionale di sviluppo quando gli indirizzi, le scelte e le proposte di questo sono definite con un arco di riferimento non inferiore a 3 anni (Art. 3 della legge sulle procedure della programmazione) e l'efficacia dei piani territoriali è definita invece a tempo indeterminato, se pure con verifiche che debbono essere realizzate almeno ogni 10 anni.
Se ci poniamo concretamente nella prospettiva di una ridefinizione istituzionale degli Enti amministrativi che veda il Comprensorio elevato ad unico Ente intermedio fra Regione e Comuni, pare giusta e corretta l'efficacia delle previsioni quantitative e qualitative dei piani territoriali nei confronti delle singole realtà comunali che parteciperanno comunque alla definizione di quelle previsioni; ma altrettanto giusta corretta e necessaria pare a noi una preventiva definizione, con il concorso dei Comitati comprensoriali, dei tassi di sviluppo quantitativo e qualitativo delle singole realtà comprensoriali della Regione Piemonte, nel rispetto delle linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale formulato dallo Stato con il contributo propositivo delle Regioni. Non abbiamo compreso e non comprendiamo le ragioni di un ripensamento, anche profondo, della maggioranza nella definizione della legge urbanistica regionale su questo terreno, rispetto alle dichiarazioni e alle volontà espresse nel Piano di sviluppo. Né vogliamo cercare di interpretare le motivazioni di tale ripensamento. Certamente la maggioranza ha giudicato in piena coscienza e responsabilità che le nostre osservazioni e i nostri emendamenti (e le sue precedenti posizioni, del resto) sono infondate; noi speriamo di dargliene atto. La storia però è un giudice più severo e più sicuro di noi.
Il nostro voto sarà un voto di astensione che vuole fondarsi sostanzialmente sulla volontà di fiducia, ma esige la sua puntuale e rigorosa verifica.
Il nostro voto di astensione in questo senso è una specie di sfida per la maggioranza e ancor più per noi, in una posizione che vuole essere tuttavia di modestia, per avviare con armi culturali adeguate un reale processo di rinnovamento nella gestione della politica economica, sociale e urbanistica della nostra Regione.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marchini.



MARCHINI Sergio

Signor Presidente, Consiglieri, il voto negativo al disegno di legge n.
117 trova, secondo noi, il supporto della sua motivazione su elementi di natura diversa, politica, tecnica e, per usare un termine diventato di uso comune, culturale. Del resto tutta la vicenda del disegno di legge 117, e massima la storia del suo dibattito in aula, tradiscono la sua matrice di conventicola riservata agli addetti ai lavori con esclusione totale dei profani. In primo luogo la stesura, affidata a valenti esperti che hanno tra l'altro rifiutato un preliminare dibattito su una materia così attuale ed oggetto di attenzione di vasta portata e di vasta natura a tutti i livelli della collettività. Quindi avvertiamo la manichea presunzione che questa proposta di legge sarebbe il limite ed il presunto punto di non ritorno tra un passato tutto errori, oscurantismo e speculazione ed un futuro tutto ordine e razionalità rispetto al raggiungimento degli obiettivi e tutto ovviamente, come è di consueto da parte socialista, senza un'oncia di autocritica sulle responsabilità politiche del passato che comporti una conseguente umiltà ed un minimo di realismo sulla previsione verso il futuro.
Il dibattito in aula ha confermato questa situazione, questo splendido isolamento in cui si è collocato l'Assessore che è la vittima ed insieme il protagonista del suo disegno.
Non abbiamo avuto un solo intervento dei colleghi Assessori, che certamente non possono ignorare le rigorose interdipendenze tra il disegno programmatorio e la normativa e la strumentazione urbanistica; non un solo intervento di rilievo da parte degli esponenti di maggioranza, se non qualche sporadico richiamo alla reciproca tolleranza per far approdare infine, al più presto, non certo un vascello vincitore, ma una tozza chiatta forse per scaricarla subito dopo (e questa è la mia preoccupazione) di quanto ha di scomodo e di sgradito.
L'opposizione ha lavorato molto seriamente nelle sedi proprie e nella società ed ha ottenuto, sia pure non attraverso i canali istituzionali (e questo mi spiace), sostanziali modifiche alla legge. Nel rispetto dovuto alle altre forze politiche mi astengo da giudizi sul loro atteggiamento in aula e sul loro voto. Non dubito peraltro, e ne esprimo il convincimento in questa sede, che tutti abbiano avvertito come nel dibattito in molti casi si sia giunti molto vicini al limite pericoloso fra la dialettica e il patteggiamento. Ne ha sofferto la chiarezza del dibattito così come non dimenticheremo presto la forsennata danza di testi a gettito continuo e di emendamenti, tutti, ritengo, predisposti nottetempo dall' "apprendista stregone".
L'importanza della materia esigerebbe una puntuale e dettagliata disamina, peraltro il rispetto per i colleghi e per il bene comune che è di tutti, il tempo, mi inducono a sintetizzare le ulteriori motivazioni del nostro voto contrario.
Il disegno di legge ci pareva e ci pare velleitario nella misura in cui lascia trasparire l'aspirazione a voler creare tutte le condizioni del nuovo modello di sviluppo e quindi porre in essere tutti gli strumenti della sua realizzazione in aperto contrasto con il principio, peraltro richiamato, secondo cui la pianificazione urbanistica è in primo luogo la proiezione orizzontale dei programmi di intervento e di impiego delle risorse pubbliche e private; è quindi velleitaria la proposta laddove non tiene nel debito conto i limiti di controllo gestionale della Regione e soprattutto di intervento per armonizzare nel tempo la crescita del sistema produttivo ed il processo di pianificazione. Inoltre non si considera che il recupero e la riqualificazione dell'esistente comportano oneri rilevanti e reperibili solo in presenza di un elevato tasso di sviluppo socio economico.
Il disegno di legge 117 ci pareva e ci pare sempre di più prefigurare un sistema rigido, se non bloccato nel suo nascere, e poco atto a gestire il controllo dello sviluppo sul territorio se questo non si identifica con il blocco dello sviluppo e con le conseguenze socialmente, economicamente ed immediatamente valutabili. In effetti il disegno di legge si propone di evitare (e in questo ci trova consenzienti) il ripetersi dell'esperienza del passato, quando le prescrizioni, anche le più innovative, furono oggetto di non applicazione, nell'intento di ottenere in concreto il risultato di un necessario equilibrio tra insediamenti e servizi.
Senza superare il criterio della pianificazione totale dell'uso del suolo e la dichiarata presunzione di prevedere con assoluta certezza i fenomeni sociali, politici ed economici, sottovalutando le componenti diverse per origine e valenza ed in relazione ai tempi diversi della loro realizzazione, il disegno di legge si pone come occasione di realizzazione a nostro avviso, di una pluralità nel tempo e nel territorio di barriere burocratiche ed amministrative che nulla hanno a che vedere con gli strumenti di controllo ed uso del suolo, ma che finiscono per essere, in ultima analisi, condizioni di segno negativo nella realtà socio-economica della nostra Regione. Ci pareva e ci pare sempre di più che il disegno di legge 117 non realizzi un equilibrio di pari dignità fra le autonomie locali, anzi ci pare il contrario. Infatti, in totale dispregio all'art. 3 dello Statuto regionale, il disegno di legge mortifica l'autonomia comunale ed esalta in contrapposto il ruolo della Regione con pesanti prerogative di indirizzo, di gestione, di sostituzione. Se i Comuni piangono, non ridono certamente i Comprensori. Infatti è loro concesso un potere di proposta e di esame di iniziativa del tutto marginale e certamente in un'ottica riduttiva rispetto all'art. 5 della legge n. 41 e soprattutto non in una visione che vede il Comprensorio in un effettivo livello di partecipazione e promozione economica e sociale. Tanti saluti quindi alla funzione promozionale dello sviluppo economico e sociale e del suo coordinamento attribuito in molte occasioni all'insieme degli Enti locali! Mi si consenta qualche ulteriore e marginale considerazione.
L'art. 1, a nostro avviso, ha conservato tutta la sua carica ambigua e la sua portata politica che trascende l'oggetto che abbiamo in votazione ed investe tutto il metodo di concepire il governo regionale, investendo tutta la Giunta e le sue scelte conseguenti. Si nega una prospettiva di sviluppo e soprattutto che un'ipotesi di sviluppo possa essere soprattutto di riqualificazione. Si ribadisce la trita e manichea contrapposizione - e qui, Assessore Astengo, la sua legge mi sembra qualitativamente e culturalmente una cosa superata - tra lo sviluppo che coinciderebbe con il neoliberismo e con il disordine e il riequilibrio e la riqualificazione che sarebbero concetti di alta matrice politica, come concetti assolutamente non conciliabili.
Il Partito comunista, che è un grande Partito attento alla evoluzione della storia e alla logica della realtà, ha superato questo concetto proprio in questi giorni avendolo dichiarato pubblicamente nella sua assise. In questo atteggiamento mi pare che lei, Assessore Astengo, sia solo e in questo senso superato.
Al contrario, secondo noi, il riequilibrio, il recupero e la riqualificazione del tessuto economico e sociale del territorio presuppongono la disponibilità e quindi la creazione di ingenti risorse che non possono prescindere da un processo di sviluppo e crescita dell'apparato produttivo nelle sue diverse componenti. Questa è una delle ragioni più serie del nostro "no" fermo e preciso. Non si può e non si deve, a nostro avviso, perché è immorale, significa frustrare le speranze di molti puntare alla stagnazione. Non possiamo, al contrario, venire meno al nostro dovere di esplorare con animo sgombro da pregiudizi e da reminiscenze scolastiche le vie per ricreare le condizioni di una ripresa dello sviluppo, della produzione e della produttività, condizioni necessarie e del riequilibrio territoriale e di quello sociale ed economico.
In caso contrario, Assessore Alasia, le sue espressioni di volontà e di speranza, che ancora questa mattina ci proponeva nei confronti dei disoccupati, dei giovani del sud, finiscono per essere una lamentazione sul cadavere della nostra economia.
Assessore Astengo, la volontà apprezzabile, sulla quale evidentemente concordiamo, di voler difendere il patrimonio agricolo non giustifica la sua mal celata insofferenza verso l'industria. Non si cita, per esempio tra le finalità del piano regolatore generale quella della tutela del patrimonio industriale. Non deve soprattutto ammantarsi di pressappochismo e di sottocultura, in questo caso, sino a scendere a scambiare - mi scusi il termine - l'agricoltura con il ruralismo.
Infine, non si può perseguire l'obiettivo, se non a livello sovracomunale e con la piena consapevolezza che la ristrutturazione dell'agricoltura non coincide con il congelamento dello stato attuale ed il ripristino della servitù della gleba, ma magari con l'abbandono di terreni a bassa produttività, al fine di garantire livelli di produttività analoghi a quelli dell'industria e ciò non già in una logica di settore, ma in una visione organica del sistema produttivo e nell'accettazione del postulato che una diversa qualità della vita, per cui tutti crediamo di operare presuppone elevati ritmi di accumulazione e quindi una corrispondente crescita di risorse.
Non si può accettare la filosofia del disegno di legge 117 che punta alla cristallizzazione delle destinazioni d'uso e quindi al blocco della mobilità. Se ciò avesse solo lo scopo di evitare trasformazioni speculative ci troverebbe consenzienti, Assessore Astengo, ma così posto, come lei ha posto il problema, ci pone forti perplessità e rischia di introdurre nel nostro sistema già così rigido altri elementi di rigidità e quindi ostacoli alla sua razionalizzazione.
E' logico, ad esempio, introdurre limiti quantitativi agli impianti per l'industria e per l'edificabilità in agricoltura in presenza di precisi vincoli attinenti agli standards e alle condizioni soggettive? La realtà Assessore Astengo, è che la sua linea è una linea puramente difensiva soprattutto in agricoltura. Come giustifica altrimenti le carenze in ordine alla previsione di collocazione di servizi in agricoltura allo scopo di realizzare un diverso e più avanzato tessuto socio-economico? Non solo non si è entrati in una logica di efficienza produttiva, ma neppure si è guardato ai problemi di carattere sociale di chi sulla terra vive e lavora onde realizzare un salto alla sua qualità di emarginato e garantendogli una più vasta, compiuta e articolata potenzialità di espressione.
Perché, ad esempio, dopo una generica previsione di utilizzazione dell'esistente in agricoltura, non più utilizzato, non si è ritenuto di privilegiare in tal senso la localizzazione della seconda casa, fenomeno che seppure in Italia abbia avuto una realizzazione distorta e discutibile non ha ancora raggiunto le soglie medio-europee? Forse questo sarebbe stato un modo di innestare un processo di integrazione tra città e campagna con grandi prospettive, non solo di carattere economico e territoriale, ma culturale nella misura in cui avrebbe dato a molti di noi la possibilità di riscoprire e coltivare le proprie radici ed i propri affetti.
Assessore Astengo, vorrà scusare se mi rivolgo sempre personalmente a lei, ma sono convinto che il disegno di legge n. 117 debba essere considerato una creatura estranea in molte parti al suo partito e alla maggioranza, anche se sia la maggioranza che il suo Partito si affretteranno ad esporre credenziali di paternità. Desidero anche in questa sede esprimerle il mio disappunto e, in una certa misura, la mia solidarietà, per il rinvio seguito alla sua replica. Dissento quasi totalmente da quanto ella ha detto in quella occasione, tuttavia è stata una esperienza ed una lezione di profondo significato politico ed umano; mi è sembrato, mi scusi il discorso personale, di cogliere nella replica la somma di tutta la sua esistenza: mi pare di aver visto i suoi entusiasmi giovanili, una rigorosa preparazione, una coerente malizia politica, infine la consapevolezza - e in questo lei, Assessore Astengo, può considerarsi un fortunato - che il tempo le è stato buon giudice e che la realtà le è di premio.
Voterò contro la sua legge, ma mi consenta di considerarla come una testimonianza di volontà di studioso e di coerenza di politico che certamente la onora.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Bianchi. Ne ha facoltà.



BIANCHI Adriano

Signor Presidente e colleghi, siamo dunque alla conclusione di un lungo e laborioso impegno al quale noi abbiamo partecipato con tutta la nostra azione, con tutta la carica costruttiva che ci muove ogni volta che ci accostiamo alle responsabilità politiche e con la consapevolezza che conducendo in un certo modo questo confronto, ne avremmo tratto per noi ed avremmo consentito agli altri di trarne, in ogni caso, conseguenze politicamente e culturalmente positive. In questa fase della dichiarandone di voto sarebbero dovuti intervenire, per logica proporzione di apporti, di impegno, anche altri colleghi del mio Gruppo: in particolare l'architetto Picco, Genovese e Chiabrando. Già nella discussione generale, che ebbe un taglio particolare e che riprenderemo perché fa parte del giudizio generale che ci apprestiamo a dare, il Gruppo è stato sacrificato per la logica eminentemente politica che aveva a quel momento il confronto tra la maggioranza e opposizione. Noi, del resto, abbiamo attribuito troppa importanza a questa legge, ci siamo dedicati con troppo impegno a questa legge per non assumere l'impegno ulteriore di documentare questo sforzo.
Penso che lo farà già il Consiglio regionale con una adeguata pubblicazione, così come è stato fatto per altre leggi, ma noi lo faremo in particolare, anche per verificare, per noi stessi, la bontà del metodo seguito, la coerenza e le contraddizioni in cui possiamo essere caduti in un'opera di così grande respiro.
Credo intanto, ed è uno dei dati che dobbiamo sottolineare, che questa vicenda abbia assunto significati e richieda alcune notazioni di carattere politico generale che vanno al di là della materia, pur così vastamente comprensiva degli interessi e della politica della Regione.
Ricorderò che il nostro impegno si è articolato in varie fasi, parte per scelta nostra, in buona misura invece per l'impostazione che si è data a tutta la questione. Già in Commissione vi fu una prima fase di deliberazione generale con un confronto sulle linee della legge, sui suoi scopi e sull'adeguatezza della sua strumentazione rispetto alle stesse finalità. Lì esprimemmo le prime riserve, lì verificammo i rischi, le carenze, i pericoli e il taglio non condivisibile, pur subito riconoscendo che ci si trovava di fronte ad una proposta culturalmente di livello elevato e politicamente significativa che non poteva essere sottovalutata e che, anzi, sotto questo profilo offriva l'occasione per misurarsi ad un giusto livello. A questa prima discussione generale (e dovremo in futuro meditare sulla validità o meno di questa seconda fase), seguì una fase, che va qui ricordata, nella quale il confronto in Commissione, senza togliere nulla a nessuno, avvenne, per una serie di sedute, quasi esclusivamente tra i rappresentanti del mio Gruppo ed il Gruppo degli esperti che la Giunta aveva utilizzato per gli studi preparatori e per la presentazione dello schema. In quella stessa fase l'Assessore, pur progressivamente sempre più partecipe e disponibile, fu quasi arbitro e speaker, pressoché soltanto assistendo per trarre poi le proprie valutazioni. Credo che per l'elaborazione successiva non sia stata inopportuna questa fase, anche se istituzionalmente discutibile, perché lo stesso Assessore si è trovato non coinvolto totalmente in alcune prese di posizione e quindi disponibile a valutare con saggezza politica i contenuti delle proposte e delle controproposte che venivano fatte.
Seguì una terza fase, e fu quella che ebbe per riferimento e miraggio la conclusione - costi quello che costi - entro il 31 luglio di tutta una serie di provvedimenti legislativi. Questo proposito gettò subito una sua ombra sui lavori della Commissione. Qualcuno ha lamentato che il lavoro della Commissione non sia stato esauriente o che comunque non si sia rinviata in Commissione la legge per una rielaborazione che avrebbe alleggerito i lavori del Consiglio. Non so se questo risultato sarebbe stato conseguito, perché ritengo che i momenti tecnici ed asettici non sono mai sufficientemente produttivi quanto lo è un autentico confronto politico, che avvenga nelle sedi in cui deve avvenire e questa sede del Consiglio regionale di 60 membri, che possono qualche volta apparire distratti, ma che sono attenti ed impegnati, è proprio la sede per il lavoro legislativo più valida ed efficace.
Il traguardo del 31 luglio svuotò dunque di significato l'ulteriore esame e approfondimento della legge e il mio Gruppo si limit sostanzialmente a porre in evidenza alcune critiche, con la presentazione di un disegno di legge, dovuto principalmente all'elaborazione dell'architetto Picco e di altri amici, per dare attuazione alla legge n.
10 e soprattutto per dare una risposta adeguata e rispettosa alle esigenze delle autonomie locali in materia di programma di attuazione: istituto nuovo, nel quale sboccano tutte le possibili contraddizioni e i contrasti di impostazione della materia.
Ripetiamo, con chiarezza, che non ci saremmo proposti e non ci proponevamo, neanche di fronte ad una forzatura, quale considerammo essere quella, di fissare un traguardo tanto rigido e stretto per una legge a contenuti di questa ampiezza, di condurre un'opposizione strumentale o di rottura. Guai per la legge, guai per gli interessi regionali, guai per i risultati tecnici al di là di quelli politici se ci fossimo lasciati piegare a quella logica. So del resto che il Presidente della Giunta, e non gli faccio torto a ricordarlo, ne ha tratto delle conclusioni: "Non mi far mai più promotore di traguardi limitati e di costrizioni entro binari ristretti, rispetto a provvedimenti di largo contenuto che necessitano di una profonda elaborazione".
Arrivammo, dunque, alla discussione generale, nella quale anticipammo le nostre posizioni e le nostre valutazioni. Essa diede l'occasione all'Assessore Astengo di fare una sintesi persino letterariamente pregevole dei motivi ideali, degli studi, delle prospettive che lo hanno separato nel proporre e formulare questo progetto di legge. Diciamo pure che questo impegno si avverte, ma diciamo anche che, proprio con riferimento alla sua applicabilità, alla sua capacità di rispecchiare, riconoscere e risolvere le contraddizioni e le diversità che sono nella realtà così vasta e molteplice come quella regionale, resta ancora un grosso passo da compiere.
Neppure la lunga elaborazione e la collaborazione dialettica, quale quella che c'é stata in questi mesi, non ha risolto queste contraddizioni. Fin dall'inizio noi esprimemmo in modo articolato la nostra posizione.
Innanzitutto non contestammo la validità di alcune finalità fondamentali che dovevano essere perseguite attraverso una valutazione di quanto era avvenuto di negativo nel nostro paese nella accelerazione storica ed economico-sociale di questi anni, attraverso la valutazione delle preziosità contenute in un Paese densamente popolato, ricco di storia, di tradizioni e di opere insigni dell'uomo. Non contestammo la necessità di preservare, in un Paese come questo, il più prezioso dei beni, il suolo, lo spazio, il territorio da intendersi non come carta nuda e bianca su cui scrivere tutta la storia urbanistica futura, ma come carta già fortemente impegnata, segnata e condizionante, salvo che la presunzione razionale voglia realizzare un'opera barbarica. E questa intenzione non potrebbe essere attribuita, credo, a nessuno di quanti si sono applicati alla legge in questi mesi. Vale, quindi, questo nostro impegno a vedere tutelati i valori ambientali e naturali, i valori culturali. Si spiega il nostro impegno, per il quale abbiamo rivendicato una qualche priorità, a vedere tutelato in modo dinamico il valore del territorio agricolo, pregiudicato dall'indifferenza rispetto ad esso di tutti gli interventi per infrastrutture, per opere pubbliche, per impianti industriali e per gli stessi impianti insediativi. Siamo stati però timorosi che una disciplina e una tutela necessaria non divenisse pretesa di pianificare ad un livello diverso da quello dovuto, di prefigurare in uno schema razionalistico lo stesso sviluppo agricolo che invece noi vediamo garantito dalla partecipazione della base, dall'assunzione di responsabilità diretta da parte degli operatori agricoli.
Diciamo ancora che le nostre critiche non si applicavano alle intenzioni, ma ai risultati derivanti da una determinata struttura della legge. La nostra preoccupazione è stata di salvare, sviluppare, costruire ed insieme preservare uno spazio per la creatività umana. Osservammo allora,i e restano forti dubbi a questo riguardo, come il proposito di dare disciplina rigorosa a tutti i momenti di presenza e di intervento sul territorio poteva finire obiettivamente per bloccare, eliminare, soffocare e contenere quel necessario spazio che doveva essere riservato alla creatività, non spontaneistica, ma consapevolmente e culturalmente sviluppatasi nella nostra comunità.
Il nostro consenso quindi sulla necessità di dare una disciplina urbanistica compiuta e vasta e non sommaria, la proposta di un disegno di legge per l'applicazione della legge 10 voleva soltanto consentire che si aprissero degli spazi di elaborazione che, in parte, abbiamo conquistato in questa vicenda di mesi nel confronto in aula, ma che, in buona misura, noi pensammo invece dovesse essere ottenuta con una prospettiva diversa ed un esame più approfondito.
Il nostro dissenso lo riassumiamo senza accentuare i toni. Notammo nel disegno di legge, e non del tutto ne è stato emendato, un pessimismo di fondo nei confronti delle autonomie locali, del loro impegno e del loro impiego. L'Assessore Astengo, nella sua bella replica, ad un certo punto si domanda retoricamente (non in senso proprio) se il problema dell'esonero di alcuni Comuni dalla formazione di programmi sia un discorso momentaneo transitorio, perché dice: "impedire perennemente la formazione di programmi di attuazione significherebbe confinare i Comuni esonerati in una situazione di debolezza permanente". Domandiamoci: l'autonomia comunale è da considerare come un'autorizzazione ad adozioni estemporanee sfuggenti a qualsiasi verifica o come un'azione responsabile dentro un sistema di obiettivi, di vincoli o di scelte? Noi, formulando quella critica e mantenendone in parte la validità, non ci siamo mai appellati alla conservazione di una situazione che in sostanza avrebbe perpetuato una debolezza organica e verificata nell'esercizio delle autonomie. Noi chiedevamo invece che queste autonomie venissero viste, nella loro debolezza, non per surrogarle con strumenti e interventi di carattere tecnocratico, burocratico e centralizzatore, ma con interventi atti a sostanziarle, a fornire gli elementi e gli strumenti, a integrare i contenuti dell'autonomia. Tutta l'elaborazione attraverso gli emendamenti ha teso a questi scopi: far partecipare, far concorrere le autonomie locali, valorizzandone tutto il peso, alla formulazione programmata orchestrata e finalizzata degli interventi sul territorio.
Rilevammo poi un razionalismo tendente ad una perfezione del quadro che, pur di ottenerla, sacrifica o tende a sacrificare obiettivamente la molteplicità, la diversità delle realtà sociali ed istituzionali. Molto si è modificato, molto si è reso più duttile e malleabile, ma restano fortissimi dubbi e preoccupazioni sulla modalità della gestione di questi strumenti, sull'impatto che questi avranno nei confronti della realtà alla quale ci andiamo ad applicare. Infine, la tendenza a costruire una struttura giuridica ed operativa che porta, in un meccanismo di vincoli e di procedure minuziosamente definite e rigide, ad una gestione burocratica al di là della volontà politica, perché tutta questa strumentazione ad un certo punto o viene abbandonata e viene ignorata, come è avvenuto spesso per leggi perfette che richiedevano perfezione anche nell'attuazione, o per renderla operante si impone l'accentuazione della potenza attribuita al motore centrale, perché dovendola trasmettere a grande distanza riesca a far girare tante ruote, tutte collegate. Questa impostazione, fatta per scelta, per necessità, per dovere di istituto o per supplenza anche di fronte alle debolezze della periferia, ci preoccupò.
Ci preoccupa una gestione del patrimonio edilizio e del territorio che porti a spegnere ogni apporto creativo, con effetti indiretti e bloccanti non accettabili per una società democratica, per una economia articolata e sensibile al mercato. Qui starà il punto dolente.
In vari modi è stata espressa una critica che in buona misura rimane valida. Una mancata risposta puntuale, una mancata ispirazione a monte volta a porre in primo piano le preoccupazioni attuali determinate da una crisi edilizia che pare tocchi in forma anomala, già respingendo fuori da un sistema, dall'Europa occidentale, dalla CEE, solo l'Italia, mentre altri Paesi sono in questo settore in attività di fervida ripresa. Questa crisi è sempre più grave, anche sotto gli aspetti economici generali, perché si tratta di un settore che dovrebbe essere tra i più facili da rimettere in moto e tra quelli che creano minori problemi in ordine agli equilibri della bilancia commerciale.
La preoccupazione della perfezione sistematica da conferire ad una legge che valga per il tempo; la volontà di rispondere a tutte le obiezioni, di evitare tutti gli errori di applicazione, che il passato ha fatto registrare, e per il quale abbiamo fatto anche le nostre autocritiche, ha portato a sottovalutare questo vitale problema che noi non possiamo non ricordare oggi e sottolineare con vigore.
La nostra posizione tendeva e tende ad una giusta sintesi tra la necessità di una più puntuale presenza pubblica in ogni fase della gestione del territorio, con le accresciute esigenze di autonomia e di partecipazione per le comunità locali e gli Enti minori. Nel momento in cui si accentua un processo di controllo, di intervento, di disciplina, deve parallelamente ad ancor più realizzarsi con determinazione, l'impegno a moltiplicare, a rafforzare le autonomie e le sedi intermedie, dove il controllo e la disciplina presuppongono l'iniziativa e le danno stimolo e non mortificazione con un quadro di certezza e di sollecitudine. Per questo ci sono stati alcuni momenti di particolare tensione laddove si sono affrontati i contenuti della pianificazione a livello comunale, molto restrittivi e probabilmente troppo cogenti rispetto alle capacità di recepimento e di attuazione, o le limitazioni transitorie alle attività costruttive che sono andate al di là delle stesse conseguenze previste dalla legge n. 10.
Vi è stata poi la ripresa del rapporto a livello del Consiglio regionale, il mutato atteggiamento della Giunta ed una nuova e rinnovata disponibilità dell'Assessore, che abbiamo sottolineato e al quale devo dare atto senza intenti adulatori e senza strumentalizzazioni. Credo, e l'abbiamo detto in altra sede, che l'Assessore abbia in questo rapporto trovato anche la soddisfazione di poter esprimere in pieno un ruolo dialettico, un ruolo di confronto, di verifica. Quando si hanno interlocutori di un certo livello si riesce anche ad esprimere il meglio di se stessi e noi lo ringraziamo di questo, perché la sua posizione ci ha costretti a portarci ai più alti livelli consentiti dal tipo di dibattito e dal tipo di elaborazione politica e legislativa che veniva richiesta. I colleghi che sarebbero dovuti intervenire ad integrare questa dichiarazione di voto per articolarla e renderla meno pesante avrebbero dovuto affrontare molti argomenti. Chiedo venia ai colleghi del mio Gruppo se, a quest'ora forse decido di trascurare una valutazione complessiva delle varie soluzioni ottenute. In materia di Comuni e di Comprensori sono state modificate molte cose, radicalmente, rispetto alle proposte originali.
Certo che non abbiamo ottenuto tutto: è rimasta quasi come bandierina indicatrice, o cartina di tornasole, qualche perla della volontà o del proposito del governo regionale di proporsi come elemento di propulsione di guida, di conduzione nei confronti dei Comuni, al di là di quelli che sarebbero i limiti istituzionali. La modificazione in ordine al problema dei programmi di attuazione con l'accettazione dell'esonero per i Comuni fino ad un certo livello, anche se non al livello che noi ritenevamo più giustamente si dovesse stabilire; l'accettazione della procedura di approvazione che responsabilizza e dà un contenuto ai Comuni, sono momenti di notevole interesse. Egualmente l'elaborazione in materia di tutela del suolo e di utilizzazione del suolo agricolo, anche se qui ci sono alcune limitazioni delle quali ci siamo dovuti dolere, che riguardano principalmente la riduzione di cubature rispetto a previsioni precedenti l'esclusione degli impianti di raccolta, conservazione e trasformazione dei prodotti di produttori associati ed alcuni altri momenti di impostazione restrittiva.
In materia di vigilanza e di sanzioni si sono ottenute modifiche ad una impostazione che partiva quasi come punitiva, che già prospettava e presentava, rispetto alla comunità, il legislatore come prevenuto: "i cittadini sono in questa materia tutti soggetti ad un giudizio negativo che si scioglie soltanto di fronte a comportamenti positivi". Abbiamo cercato di rovesciare questa posizione: i cittadini, fino a prova contraria, sono disponibili ad operare in senso positivo e possono essere dalle sanzioni solo ricondotti al rispetto delle leggi eccezionalmente violate. Vi sono state poi le difficoltà in ordine alla struttura del servizio urbanistico questa impostazione per cui si affida l'operatività della legge ad un servizio urbanistico senza prevederne i tempi, le modalità e le possibilità di attuazione. Questa critica permane. Noi abbiamo richiesto ed ottenuto che entro sei mesi si definiscano queste strutture con una legge, ma la possibilità di affinare questi strumenti, quali tempi comporterà, essendo questi essenziali alla funzionalità dell'intera legge? Il nostro atteggiamento e la nostra intensa partecipazione all'elaborazione con riferimento puntuale, puntiglioso alla conciliazione tra le finalità generali e l'interpretazione delle realtà sociali ed economiche ed istituzionali, Comuni e Comprensori, sono stati tipici della nostra posizione. Anzi questo ci ha consentito di mostrare, in un periodo turbato e anche questa dichiarazione di voto ne risente, poiché ogni giorno siamo turbati profondamente da fatti gravi che a volte ci fanno apparire come arcadia ciò che invece dovrebbe essere sostanza dell'impegno politico la serietà con cui ci vogliamo applicare all'esercizio delle nostre responsabilità. In questa occasione vi è una risposta implicita, che opera e deve operare nel tempo alle domande angosciose che sono presenti nella società. Non faccio in questo un appello alla stampa, ma un riferimento.
Certo che se i cittadini avessero completa nozione dell'applicazione, della serietà, della fatica dura che ha richiesto a tanti membri del nostro Consiglio l'elaborazione di uno strumento di questa importanza, credo che potrebbero anche essere indotti a diversi giudizi non solo sulla classe politica, ma sulla funzionalità delle istituzioni e sulla loro capacità di rispondere puntualmente alle domande che la gente propone.
Dal punto di vista politico generale credo che sia stata portata ad un grado, non trascurabile, di efficacia e di affinamento, una linea che dimostra come l'interesse generale dei cittadini e delle istituzioni, come la validità e la rispondenza delle leggi e degli atti politici, sia tanto più realizzata in un rapporto dialettico, quale quello che si è qui sviluppato. Consentimi, collega Marchini, la nostra parte non ha mai inteso o avvertito di poter cedere e scadere nel compromesso e nel patteggiamento.
Anzi, i migliori risultati si ottengono quando le parti, mosse dalla ricerca delle soluzioni più valide, guidate da propositi costruttivi decise ad esprimere il meglio della propria esperienza e cultura, non dimentiche della rappresentanza popolare che le ha espresse, si confrontano con reciproca disponibilità e rispetto, con vigile spirito critico.
Quindi questo modo di agire credo sia il più produttivo, anche rispetto ai fini del tempestivo e puntuale adempimento dei doveri verso la comunità e verso i suoi interessi. La stessa lotta politica - consentitemi - ne viene nobilitata , perché liberata nella maggior misura possibile dallo spirito di sopraffazione che la può esasperare, dall'intento di trarre i massimi vantaggi possibili, dal massimo discreditamento della forza avversaria con la quale si è in competizione e dalla tentazione anche del compromesso opportunistico che la svilisce agli occhi della gente e, in particolare, dei più semplici che sono portati facilmente a credere che quando si conviene troppo facilmente su un punto è perché a suggerire questa posizione siano interessi non facilmente denunciabili.
Noi troviamo in tutto questo grossi motivi di soddisfazione e di fiducia, per l'esercizio del nostro comune ruolo. Mi richiamo anche ai modi con cui si sono affrontati il Piano di sviluppo e la legge sulle procedure.
La fiducia per l'esercizio del nostro comune ruolo, per lo spazio che con la nostra azione e la forza che ci è stata data abbiamo ottenuto, per quello che ci è stato offerto per valutazione politica in positivo dalle altre forze, e per quello che noi stessi abbiamo offerto e garantito non accedendo alle scorciatoie facili per raggiungere i risultati, anche specifici, riguardanti la legge. Ad ogni parte protagonista abbiamo concorso a garantire questo ruolo senza ricercare l'isolamento dell'Assessore né strumentalizzandolo, né cercando mediazioni oscure, ma in un confronto che ha riguardato tutte le forze politiche, ma che non poteva non avere, anche per la sua personalità, un suo riferimento all'Assessore protagonista.
Tutto si potrà dire, ma non che un'atmosfera di patteggiamento, di compromesso o di preconcetta diversità di valutazione abbia abbassato il livello del dibattito e l'intensità dell'impegno per l'elaborazione dei testi. E' una fatica, ed è un impegno di mesi che sono largamente compensati, per tutti e non soltanto per noi. Se ci accingiamo a dare un voto negativo dobbiamo particolarmente spiegarlo, dopo che abbiamo sottolineato così ampi motivi di soddisfazione politica. La legge, nel suo complesso, non è giunta fino al punto di poter raccogliere la nostra approvazione. Nella sua articolata complessità essa lascia aperta tutta una diversa prognosi rispetto alle conseguenze dell'impatto che avrà e pur nella sua minuziosità e nella sua architettura comporta quasi un ampio mandato fiduciario per le modalità della sua gestione. Negli stessi piani territoriali sono previsti, con riferimento ai piani regolatori comunali e intercomunali, una serie di criteri, di indirizzi e di parametri che costituiscono un limite e un quadro di notevole restrizione per le autonomie locali.
Poiché a chi ha così profondamente partecipato, operato, innovato apportato modifiche, determinato, per la forza degli argomenti e per la volontà costruttiva, una così vasta riformulazione, l'astensione suonerebbe come atteggiamento agnostico e poiché permangono, anche se in misura ben diversa da quella originaria, le ragioni di critica fondamentale che ho ricordato all'esordio, allora più accentuate, perché la situazione lo richiedeva, noi, pur sottolineando ancora gli importantissimi risultati ottenuti, esprimiamo un voto negativo che significa attesa nei confronti della fase della gestione e rivendicazione di un ruolo per questa fase previsione della necessità di una rilettura di questa legge a scadenza breve, dopo il primo impatto con la realtà, quando vedremo cosa succederà con la caduta sui Comuni di questo complesso di norme che si sommano alle grandi innovazioni della legislazione nazionale.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bontempi.



BONTEMPI Rinaldo

Signor Presidente, signori Consiglieri, nell'esprimere il voto favorevole a nome del mio Gruppo, credo non sia opportuno entrare nel merito di questioni che sono peraltro state affrontate dal mio Gruppo con ricchezza di motivazioni e di argomenti e con giustezza e correttezza di linea nel dibattito di luglio dal collega Besate. Mi sembra però che valga la pena di ribadire alcuni concetti di carattere generale che il dibattito di questa mattina ha fatto affiorare ma che secondo me non ha svolto compiutamente.
E' il discorso che è ritornato negli interventi di chi non si è dichiarato d'accordo, come il Consigliere Bianchi che ha preannunciato il voto negativo della D.C., in quelli dei colleghi socialdemocratici e repubblicani, è il discorso che conferma un dato di fondo: la grande importanza politica della legge e la necessità di fare una legge di questo tipo. Questo argomento va ripreso perché finisce per dare per scontato quello che scontato non è affatto, come, per esempio, la volontà e il coraggio politico in una certa fase che, secondo me, era largamente matura ma in cui le resistenze, le indecisioni e le incertezze erano altrettanto forti, di volersi misurare concretamente con i rischi connessi a questa misurazione con una iniziativa legislativa. Dobbiamo avere il coraggio di dire questo in confronto a quello che è stato il meccanismo delle precedenti leggi e rispetto ai vuoti della legislazione in materia. Di qui l'importanza di questa legge e della volontà politica che ha preceduto la presentazione della legge. Il collega Cardinali ha parlato oggi in termini positivi della legge del 1942. Penso che abbia sostanzialmente ragione. C'è da chiedersi se non è stata forse la tragedia della guerra che distoglieva le attenzioni politiche da questi argomenti diversi, da permettere una legge che per molti versi era anche avanzata.
Dal 1942 ad oggi molto tempo è passato, i processi reali sono cambiati di quanto, per fortuna! E' intervenuta una Costituzione che ha fermato il concetto di proprietà, sono venute le Regioni, è venuto il sistema di partecipazione reale di larghe masse prima escluse dal governo e dalle decisioni del Paese. E' stata la legge del 1942 a normare le situazioni dell'età repubblicana e post Costituzione e non ha avuto poi delle tradizioni a livello delle necessità dell'oggi. E' bene dire, anche con molto orgoglio del movimento regionalista in genere, che questa legge viene a colmare un vuoto. E' la volontà politica che ha presieduto alla decisione di voler portare il voto anche quando gli atteggiamenti delle forze politiche sembravano più dilatori e incerti sull'opportunità di votare la legge o meno; è la volontà che risponde all'esigenza di colmare un vuoto legislativo e di dare delle risposte adeguate alla gravità dei problemi e in particolare alle carenze che si sono manifestate.
Il dibattito di oggi è stato largamente positivo perché ha confermato che non dobbiamo avere incertezze e riserve sulla bontà di una iniziativa di questo genere anche per il rilievo politico nazionale che essa ha. Altra caratteristica pregnante della legge è il richiamo di certi elementi che sono di grande innovazione (se non li rimarchiamo, forse abbiamo la memoria corta), elementi che sono diventati patrimonio della comunità politica ed istituzionale e che sono frutto di lunghe lotte per un diverso sviluppo per l'equilibrio e la tutela del suolo, per un diverso rapporto tra l'uomo e la natura. Ebbene, non dobbiamo mai dimenticare che queste cose in una legge non erano state ancora concretizzate. Mi richiamo al rapporto tra pianificazione territoriale e programmazione socio-economica. In Commissione c'é stata una lunga discussione sull'opportunità di dare questa apertura all'art.1 e agli altri articoli del Titolo I, però il fatto che tutti abbiano concordato sulla necessità di legare profondamente i processi della pianificazione economica e quelli più generali della programmazione è un dato positivo che occorre sottolineare e non dimenticare come se fosse scontato perché non lo era affatto e certo non lo è ancora in larga parte di chi dovrà gestire ed attuare la legge.
Un altro elemento di grande innovazione è il superamento del livello di pianificazione territoriale e comunale: intercomunalità, aggregazione dei Comuni, aree organiche ed omogenee che si propongono, attraverso la pianificazione urbanistica in collegamento con la programmazione economica di darci strumenti certi, di discussione e di dibattito prima e di indirizzo dello sviluppo poi. In questo campo ritroviamo uno degli elementi che hanno caratterizzato le lunghe lotte delle autonomie per uscire dal ghetto di pianificazioni formali, senza scelte come erano quelle limitate all'ambito comunale per andare invece ad un respiro che fosse veramente quello di non porre sulla carta un sistema di indicazioni a matita.
V i è un altro aspetto che qui non è stato ricordato e che invece vorrei ricordare con molta forza: la partecipazione. Se in un dibattito come questo non cogliamo le implicazioni rivoluzionarie delle norme che riguardano la partecipazione alla formazione degli strumenti urbanistici forse ci sfugge qualcosa, quando viene lamentata la compressione dell'autonomia dei Comuni. In realtà, l'autonomia dei Comuni, se vuole avere un valore sostanziale e non formale, va ritrovata soprattutto nei meccanismi di partecipazione, che permettano in maniera alternativa rispetto al passato di arrivare alla formulazione delle scelte attraverso un ampio dibattito e un grosso processo politico. Non si può dimenticare quanto le decisioni e le scelte in materia urbanistica del passato profondamente separate da qualsiasi processo di partecipazione di massa abbiano segnato il premio al profitto per gruppi ristretti di pressione che possiamo chiamare tranquillamente "le mani sulla città", la speculazione l'aggregazione attraverso sistemi chiari di privilegio e di interessi che hanno portato lo sviluppo distorto che ci troviamo oggi davanti. Ebbene, il processo di partecipazione che la legge stabilisce con molta chiarezza e che si avvale di diversi meccanismi alternativi perché sono molti i passaggi di partecipazione, permette di trasmettere alla gestione di tutti gli Amministratori un momento di enorme interesse e anche di fascino, se vogliamo, per gli Amministratori locali stessi e di uscire da quello che è stato il punto oscuro dell'esperienza degli Amministratori comunali, quello cioè di assumere determinate scelte, in genere limitative, oppure, quando non lo erano purtroppo per causa di responsabilità soggettive corrispondenti a certi altri interessi, senza che queste avessero il conforto della reale partecipazione di larghe masse. In realtà è dimostrato che i gruppi di pressione ristretti senza che a livello di legislazione si fosse previsto un meccanismo di partecipazione sulle scelte, hanno influito molto.
Questo elemento è anche una garanzia per l'autonomia dei Comuni, perch gli stessi Comuni in tutto il processo di pianificazione territoriale anche attraverso i correttivi e le modificazioni da noi approvati perch ritenuti giusti, hanno portato a far sì che in realtà le scelte generali danno la possibilità prima alla gente, poi alle autonomie stesse di esprimersi e di incidere. Quando parliamo di autonomia dei Comuni dobbiamo chiederci se i Comuni che correttamente si pongono nel disegno di riequilibrio del territorio e di tutela del suolo, secondo gli indirizzi generali e culturali che tutti abbiamo riaffermato, non abbiano ampia voce in capitolo. Io credo di si e questo è stato anche il frutto delle modifiche e degli emendamenti e frutto del dibattito, ma sono profondamente convinto che ciò era anche nello spirito della legge.
Per valutare questa legge è necessario parare qualche equivoco.
Mi pare che in qualche intervento ci sia stata una tendenza a caricare di valore tecnicistico un disegno di legge che, invece, si qualifica e deve essere giudicato soprattutto per il suo valore politico. In realtà, al di là del fatto che la legge sia perfettibile, c'é da chiedersi se il lungo dibattito culturale che ha impegnato la comunità nazionale, e in particolare la comunità piemontese, non sia sfociato correttamente nella volontà di presentare questa legge, soprattutto questa legge, fatta in questa maniera. In essa ritroviamo uno sforzo, un tentativo sul cui valore culturale tutti si sono soffermati; ma io vorrei soffermarmi in particolare sull'aspetto politico che ha portato a compimento nel modo più organico possibile un disegno culturale che viene da lontano, che è quello che si poggia sulla risposta delle realtà delle città. E' chiaro che lo sviluppo che ha portato alle distorsioni riconosciute da tutti, al modello che si è realizzato nelle città a servizio del profitto, allo spopolamento delle aree montane, delle campagne, sono elementi che hanno fatto stringere le forze politiche in un giudizio comune e sono elementi che non possono non farci riflettere quando lamentiamo che con questa legge si provoca un arresto dello sviluppo.
Io credo sia giusto chiederci quale sviluppo si arresta: se si riesce ad arrestare lo sviluppo distorto di questi anni, la legge è una scelta giusta; se parliamo delle possibilità dello sviluppo attraverso un sistema di programmazione e di pianificazione democratica, ordinata e finalizzata al recupero di quei valori naturali e culturali che tutti affermiamo di voler tutelare, nessuno di noi legittimamente può prendere la bandiera dell'arresto dello sviluppo per creare allarmismi o remore alla gestione della legge.
Al discorso sulla crisi edilizia e al discorso sui legami con l'attività economica credo che sarebbe molto pericoloso parlare di un disegno foriero di inattività e di ribaltamento su un disegno organico ordinato, programmato, delle cause di una crisi che ha radici ben più profonde e che comunque può trovare una via di uscita se ci lasciamo alle spalle con decisione (e questa legge è un mezzo e uno strumento valido) lo sviluppo che pesa su di noi e sulle popolazioni urbane, rurali e montane.
Credo che in questa legge, così come nella legge n. 10, c'è anche la volontà di dare capacità operativa ai piani regolatori: questo è un grande elemento che la cultura urbanistica e democratica rivendica da anni.
Scorrevo oggi un libro di cinque anni fa in cui si auspicava che i tre punti di fondo della pianificazione urbanistica nazionale dovessero essere l'intercomunalità, la partecipazione popolare e l'operatività degli strumenti urbanistici.
Attraverso l'operatività, i programmi di attuazione e anche le giuste modifiche che sono stati qui apportati di comune intesa, il Comune e l'autonomia locale escono come soggetti primi della programmazione attuativa e rappresentano finalmente un quadro di riferimento certo per operatori pubblici e privati.
Per rispondere alle garbatissime osservazioni di Marchini o di altri Consiglieri, dirò che è ben difficile separare la volontà complessiva della maggioranza e del nostro Partito.
Vorrei ricordare ai colleghi che nell'altra legislatura venne presentata una proposta di legge dal nostro Gruppo che era incentrata su alcuni di questi punti cardine: i programmi di attuazione l'intercomunalità, la partecipazione, i piani territoriali di coordinamento. Per arrivare infine a questa legge e essere noi intervenuti con tutta quella massiccia partecipazione che ci è caratteristica in questi casi: questo deriva innanzitutto dal fatto che desideravamo arrivare presto e bene alla votazione della legge, anche perché con essa si conclude in modo organico e corretto una iniziativa che appartiene alla nostra storia e alla nostra cultura politica. Questo va detto e rimarcato con molta fermezza e con molta chiarezza.
Una considerazione va fatta sul valore del complesso degli strumenti di piano di questa legge. Questo punto non è stato sviluppato e non lo svilupperò neanch'io per esigenze di tempo.
Dirò soltanto che con l'approvazione della legge urbanistica si viene a completare una serie di strumentazioni che la Regione si è già data per cambiare profondamente la gestione delle risorse del territorio considerato appunto come risorsa primaria: ricordo le procedure della programmazione il Piano di sviluppo, i Comprensori, ma desidero anche ricordare l'elemento di continuità con la precedente legislazione, anche perché, come ho detto prima, in queste proposte di riassetto e di strumentazione complessiva tanta parte l'ha avuta il mio Gruppo.
Ho sentito con interesse tutti gli interventi, in tutti, al di là delle diverse angolazioni che non ho condiviso, ho colto una sostanziale adesione allo spirito, alla logica e alla necessità del disegno di legge. Devo dire però, proprio perché c'é questa adesione e perché c'è stato un completo confronto, che i voti contrari e di astensione dovrebbero essere rimeditati coerentemente con le affermazioni fatte qui e forse potrebbero essere diversi.
Noi siamo consapevoli che esistono altre motivazioni, non strettamente attinenti alla legge, e possono anche esserci sufficienti le affermazioni che sono state fatte e che ci confermano della bontà di quella iniziativa che venne presa dalla Giunta e di cui va dato merito particolare all'Assessore Astengo.
Il nostro voto non è solo favorevole, ma è un voto di profonda e totale convinzione.



PRESIDENTE

La parola al Presidente della Giunta.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Signori Consiglieri, si conclude oggi il lungo iter consiliare del progetto di legge "Tutela ed uso del suolo".
Un anno di discussioni, nelle sedi più ampie e in quelle più direttamente interessate e ristrette; discussioni sovente accese, ma che abbiamo ritenuto idonee a portare contributi per una più corretta legislazione sui problemi territoriali.
Un anno di discussioni, nella collettività regionale, tra le forze economiche, sociali e politiche, nella Commissione consiliare nell'apparato amministrativo regionale; discussioni di cui in questa aula da settembre ad oggi si sono ritrovati i motivi conduttori.
Un anno però anche di ripensamenti e di approfondimenti, come risulta dai numerosi emendamenti proposti dalle forze politiche e dai 50 e più emendamenti presentati dalla stessa Giunta regionale.
Il voto che verrà espresso in quest'aula aiuterà a capire se il lungo e faticoso iter seguito dal disegno di legge ha corrisposto ad una reale progressiva presa di coscienza della Giunta riguardo ai problemi da risolvere, se ha consentito alle forze politiche esterne alla maggioranza di apportare contributi costruttivi.
E' lecito infatti sperare che non si riproduca in questa sede, come è avvenuto in passato in Parlamento, uno schieramento di forze fiancheggiatrici della rendita parassitaria, che hanno sovente ostacolato ogni processo di rinnovamento legislativo, tant'é che si dice che i Ministri che hanno proposto delle leggi urbanistiche sono tutti scomparsi dalla vita politica.
L'Assessore Astengo invece è forse uno dei primi che resiste a questo urto.



ASTENGO Giovanni, Assessore all'urbanistica

Non sono un Ministro.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Sei ministro di un piccolo stato, del Piemonte. L'Assessore Astengo è ben vivo e rendo grazie a quanti sono intervenuti con parole di apprezzamento per la sua opera.
Un disegno di legge tormentato, dunque, ma non poteva essere altrimenti, dato il segno che la legge in questione è destinata ad imprimere al territorio regionale, all'attività amministrativa degli Enti locali, allo sviluppo civile della collettività, oltre che nella sensibilità e cultura urbanistica della Regione.
Al di là del dibattito consiliare e delle modificazioni apportate al testo, mi pare necessario sottolineare come le finalità e gli obiettivi sottesi e denunciati nel disegno di legge proposto dalla Giunta nel luglio del 1976, prioritari nel programma politico della maggioranza, riemergono sostanzialmente immutati nel testo legislativo che va in votazione.
Finalità ed obiettivi che dal luglio 1976 ad oggi hanno trovato riconoscimenti giuridici in leggi dello Stato, tra cui richiamo la fondamentale legge n. 10 del 1977 e il decreto 616 di attuazione della 382 e, tra le leggi regionali, la legge regionale 19/8/77 n. 43; finalità ed obiettivi su cui, per quanto emerso nei precedenti dibattiti consiliari, si verifica una amplissima convergenza di forze, essendo il disaccordo più connesso ai modi ed ai tempi di attuazione che non ai contenuti.
Il testo che votiamo propone il miglioramento del quadro legislativo nazionale in materia urbanistica, con un'articolazione di cui vanno sottolineate l'organicità e la sistematicità; viene infatti riportata in un unico corpo normativo la complessa materia, e non viene demandata ad altri provvedimenti di legge la sua efficacia ed attuazione, se non per aspetti che richiedono diversi coordinamenti e sistematiche normative.
Dall'Unità d'Italia in poi grandi leggi erano scaturite dal Parlamento ricordiamo le leggi del 1865 e quelle dell'inizio del secolo; dopo quell'epoca il legislatore non fu più tale, dette luogo a una serie infinita di provvedimenti, ruppe la linea che dall'Unità d'Italia in poi aveva costituito una delle forze caratterizzanti del nuovo Stato.
La legge del 1865 e quella del 1904 sono ancora valide adesso, come tante altre leggi che, ad un secolo di distanza, sono valide, vere, vive e operanti. Questa legge si riannoda a quel momento proprio qui, in Piemonte che vide questa iniziativa andare avanti.
La legge, se da un lato è indispensabile per dare applicazione alla legge dello Stato n. 10 (ed in essa trovano puntuale adempimento i compiti fissati dallo Stato alle Regioni), è d'altro lato l'irrinunciabile supporto tecnico-amministrativo per consentire ai Comuni, ed alla stessa Regione, di avviare un efficiente processo di pianificazione e gestione del territorio.
La legge in votazione, infatti, definisce i contenuti, le fasi e gli strumenti del processo continuo di programmazione, pianificazione, gestione del territorio che, in coerenza con lo Statuto , costituisce il compito fondamentale della Regione e degli Enti locali cui la pianificazione stessa compete.
In ciò va colto il principale aspetto innovativo ed evolutivo della legge regionale nei confronti del quadro legislativo nazionale.
Nella continuità del processo, infatti, la pianificazione urbanistica: perde l'aspetto garantista e vede esaltati i contenuti gestionali ed operativi (art. 11, 12 e 33) raggiunge la stretta connessione tra programmazione e pianificazione (artt. 1, 4, 5, 11, 16, 26, 33) consente il coordinamento tra i diversi Enti operanti sul territorio (art. 16. 33).
Ma gli aspetti forse più significativi e caratterizzanti della legge sono quelli rivolti alla ricerca di una maggiore identificazione tra la collettività, l'apparato istituzionale e le forme di governo del territorio, quelli cioè che pongono le premesse per la costituzione di un vero governo democratico del territorio.
A ciò portano un sostanziale contributo, da un lato, la chiara individuazione dei ruoli tra Regioni, Comprensori ed Enti locali dall'altro il superamento della frammentarietà comunale nell'analisi e nella ricerca di soluzioni ai problemi delle autonomie locali, nella ricerca dell'efficienza amministrativa e di un reale rapporto di partecipazione democratica.
In un quadro politico e sociale segnato da profonde contraddizioni, da gravi squilibri e da una recessione ormai difficile da superare, la legge doveva necessariamente compiere scelte di tutela e pertanto proporsi come fatto culturale di grande rilievo. Tutela del suolo (art. 29 e 30), tutela dell'ambiente (art. 54, 55, 56), dell'uomo (art. 27, 28), delle risorse e delle attività produttive (art. 25, 26, 55): ma tutela attiva per cui prende pienezza di significato l'enunciato di "uso sociale delle risorse".
Su ciò la legge si propone come storicamente puntuale, in questo Piemonte in cui a trentacinque anni dalla legge urbanistica del 1942 ed a dieci anni dalla legge "ponte", troppi sono stati gli esempi di scempio urbanistico, di non corretto governo del territorio, di latitanza amministrativa, di sperpero di risorse preziose e spesso irripetibili.
E' dunque con il convincimento di proporre un testo legislativo di grande importanza politica e culturale, ma anche strettamente aderente ai bisogni della Regione, attuale nei propositi, concreto negli obiettivi ed in grado di promuovere l'ampia, indispensabile mobilitazione dell'apparato legislativo regionale, che la Giunta sottopone al voto di questo Consiglio la legge regionale, non dell'urbanistica, ma della "Tutela ed uso del suolo".



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare l'Assessore Astengo.
Ne ha facoltà.



ASTENGO Giovanni, Assessore all'urbanistica

Ritengo che, dopo mesi di discussione, dopo centinaia di miei interventi durante la discussione, non sia utile un intervento di consistente ampiezza (d'altra parte non avrebbe rilevanza dopo che tutte le posizioni politiche si sono manifestate); qualche piccola considerazione tuttavia desidero ancora farla in tempi molto brevi.
In primo luogo il ringraziamento, non tanto per le espressioni che sono state fatte verso di me (di quelle sono evidentemente molto toccato), ma il ringraziamento a tutti per l'attenzione prestata a questo disegno di legge dal Consiglio. E' un disegno di legge che ha impegnato tutti i Consiglieri in profondità, sia coloro che sono intervenuti nel dibattito, sia coloro che anche senza intervenire hanno svolto compiti di supporto, per verificare i collegamenti tra questa legge e le varie materie che si sono via via toccate. Ringrazio dunque tutti i Consiglieri e in particolare i membri della II Commissione, da quelli di opposizione a quelli di maggioranza, perché per essi la legge è stato il pane quotidiano per un lunghissimo periodo di tempo.
Tutte le posizioni di ogni parte sono state approfondite. Cosicché il testo finale è stato raggiunto con alcuni aggiustamenti, anche determinati dal precipitare di alcuni eventi, come la legge 43 e i suoi riflessi tradotti nel corpo del disegno di legge n. 117, il decreto presidenziale n.
616 in applicazione della legge 382 che ha creato una serie di raccordi e di verifiche, ma soprattutto l'attuazione della legge 10.
La completa attuazione della legge 10 non era poi così semplice, avendo il legislatore nazionale scaricato sulle Regioni una quantità di adempimenti notevoli, in tempi assai brevi. Credo che sia una grossa soddisfazione da parte della Regione Piemonte e del Consiglio regionale constatare che il Piemonte è la prima Regione che dà una risposta completa a tutti gli adempimenti della legge 10 (anche se abbiamo ancora da votare una deliberazione consiliare sulle aliquote dei costi di costruzione che è già all'esame della Commissione).
Nessuno di coloro che si sono espressi in termini favorevoli, o comunque di attesa, ritiene che questo sia un testo immodificabile: andremo alla verifica, all'impatto con la realtà. Abbiamo cercato di fare in modo che questa realtà non fosse presentata in astratto, ma che di essa si cogliessero tutte le diversificazioni, tutti i casi, numerosi e complessi ai quali abbiamo cercato di dare una risposta, e ciò nella fase a regime nella fase transitoria, nella fase di primo impatto, in quella immediata di transizione, con la possibilità di utilizzare al massimo anche gli strumenti ancora in atto. Abbiamo cercato di immaginare tutte le possibili situazioni e, nell'ambito di esse, di trovare le opportune collocazioni; se ci saranno ancora dei problemi reali insoluti li affronteremo con provvedimenti aggiuntivi.
Un elemento fondamentale emerge: trasmettiamo agli utenti della legge agli Amministratori locali una certezza di cose da fare. Questo è un fatto fondamentale. Si esce con questa legge da una congeria di interpretazioni discrezionali delle leggi statali, che consentivano tutte le possibili interpretazioni, per passare ad un nuovo quadro normativo basato su una serie di precisazioni, che qualcuno ha ritenuto eccessive, ma che ritengo invece, in questa fase di analisi critica della situazione di fatto assolutamente indispensabili, proprio per giungere ovunque alla consapevolezza delle situazioni reali colte in tutte le loro sfumature.
Da questa certezza che trasmettiamo agli Enti locali dovrebbe nascere un fervore di analisi critica che ci consentirà di evidenziare gli eventuali adattamenti che in seguito potrebbero essere suggeriti.
Un grosso problema sussiste, quello della messa in moto di questa iniziativa con strumenti adeguati. Gli impegni sono vari e molteplici, non si riferiscono soltanto alle strutture e alla preparazione degli uomini (per la quale abbiamo già delineato anche qualche ipotesi), ma si riferiscono ad una serie di operazioni immediate che vanno dalla circolare esplicativa ad un complesso di strumentazioni, di conoscenze e di diffusione che sono estremamente necessarie.
Alcuni chiarimenti, che sono venuti in aula durante il dibattimento e che hanno consentito di dare una spiegazione al significato delle parole contenute negli articoli, potranno essere opportunamente ricavati dai resoconti ed essere travasati nella circolare esplicativa, al fide di trasferire in essa una esatta comprensione dei vari significati dei termini.
Faccio un esempio. Il Consigliere Bianchi ha citato, egli pure a mo' d'esempio, la necessità di chiarire ciò che significano gli impianti per la raccolta, produzione e vendita dei prodotti agricoli, come esplicitazione degli "impianti di trasformazione" citati dalla legge. Posso dire che già nel dibattimento avevamo chiarito che in questo termine generale erano comprese tutte le fasi della trasformazione dei prodotti agricoli, che vanno dall'immagazzinamento, alla conservazione, alla vendita degli stessi così come avviene per qualsiasi impianto produttivo nel campo del secondario: nessuno di noi infatti può pensare che parlando di impianti industriali si debbano poi nominare tutti i reparti di uno stabilimento questa è una definizione che chiariremo in sede di circolare. Anche il riferimento alle aziende agricole, se solo singole o anche associate, potrà essere chiarito, in modo che sia di soddisfazione anche per gli utenti riuniti in forme cooperative.
Ho citato questo fatto soltanto per dire che la legge, così come si presenta, è ancora suscettibile di commenti autentici.
Aggiungo che con questa legge, oltre a dare una risposta organica e completa agli adempimenti di raccordo con la legge statale, noi compiamo un passo che è al tempo stesso politico e culturale.
Per qualcuno che volesse verificarlo suggerirei semplicemente questo esercizio: prendere gli articoli 5 e 6 della legge 1150, leggere cioè i contenuti dei piani territoriali e del piano regolatore e confrontarli con quelli dei nostri articoli.
E' vero che è passato un lungo lasso di tempo dal 1942, e i contenuti specificati nella nostra legge riflettono i problemi attuali, ma è anche vero che nessuna innovazione finora era avvenuta per essi da parte statale.
Se poi si volesse capire ancor più il distacco tra l'oggi ed il passato, si legga l'art.1 della legge 1497 del 1939, là dove si parla delle "bellezze naturali", dove c'é la parola "panorama", dove c'é il "punto di vista, il belvedere", e lo si confronti con le nostre definizioni.
Si tenga presente che fino ad oggi queste definizioni non sono mai state modificate. Mi pare, allora, che basterebbero i contenuti dei piani e gli art. 24, 25 e 26 sui beni culturali, storici e ambientali sull'agricoltura e sull'industria, per qualificare lo sforzo di avvicinamento alla realtà e di comprensione della sua complessità operato dalla nostra legge, per cogliere il senso del salto qualitativo e culturale che è stato fatto con essa.
Mentre fino ad oggi i piani regolatori erano considerati come la sommatoria di atti singoli, in larga misura di iniziativa privata, passiamo in questa legge a considerare i piani come qualche cosa di organico strettamente legato al programma di attuazione. La stessa procedura di formazione dei piani e dei programmi sollecita tutte le iniziative, fa sì che esse vengano valutate, scelte e coordinate tra loro in modo da formare un corpo unitario.
La programmazione della spesa pubblica esce dal limbo delle aspirazioni e diventa realtà. In questo senso, questa legge dovrebbe consentire di superare il punto morto in cui si trova l'economia pubblica e privata dopo l'enorme dissipazione delle risorse avvenuta nei passati vent'anni e di agevolare la ripresa di un processo, che non potrà essere certo né breve né semplice, ma che passando attraverso alla presa di consapevolezza ed alla profonda analisi delle situazioni di fatto, potrà far emergere nuove proposte operative, che si tradurranno successivamente in fatti concreti non più tra loro contraddittori.
Questo mi sembra essere il senso ultimo e più profondo della legge che stiamo per votare.



PRESIDENTE

Signori Consiglieri, prima di passare agli ultimi adempimenti, desidero fornire alcune cifre che possono testimoniare e confermare molte cose qui dette e che riassumono l'ampio lavoro che il Consiglio regionale ha svolto.
Sono state necessarie 55 riunioni di Commissione, 12 sedute di Consiglio compresa quella di oggi, oltre le due di luglio quando si è svolta la discussione generale; sono stati presentati 464 emendamenti, di cui 239 approvati, 157 ritirati e 68 respinti. L'analisi degli emendamenti presentati dai Gruppi ci dà l'idea della dinamica e della dialettica che si è svolta.
La Democrazia Cristiana ha visto approvati 93 dei 250 emendamenti presentati. I Gruppi del P.L.I., del P.R.I., del P.S.D.I. hanno visto approvati rispettivamente 2 su 27 emendamenti, 2 su 21 e uno su 13, ma la maggioranza degli emendamenti presentati non sono stati respinti, ma sono stati ritirati sulla base del dibattito e del confronto, il che sta a significare che avevano comunque influito sulla stesura degli articoli.
Credo che il Consiglio abbia dato complessivamente una buona prova di sé. Il dibattito conferma che le Regioni, forse più che il Parlamento hanno la possibilità di consentire un confronto e una collaborazione fra le forze politiche indipendentemente dalla collocazione di maggioranza o di minoranza in forme dirette, rapide, superando persino gli eccessivi formalismi e lavorando, come si è fatto in questi giorni, attorno a un tavolo per trovare insieme formulazioni più giuste.
Desidero, assieme a tutti gli altri ringraziamenti fatti ai membri della II Commissione, all'Assessore Astengo, alla Giunta e al Consiglio associare anche il personale della Commissione sul quale è piovuto una quantità di lavoro minuzioso e difficile, il che completa un giudizio positivo, al di là dei giudizi politici che si danno sulla legge.
Ma per arrivare alla fine e per non smentire che questa legge è complessa fino all'ultimo minuto, sono costretto a ricordare l'art. 40 del Regolamento il quale recita: "Prima della votazione finale, ogni Consigliere può richiamare l'attenzione del Consiglio sopra le correzioni di forma e le modificazioni di coordinamento che giudichi opportune, nonché sopra quelle disposizioni già approvate che sembrino in contrasto fra loro o inconciliabili con lo scopo della legge".
A questo proposito l'Assessore Astengo ha qualche cosa da aggiungere e pertanto gli dò la parola.



ASTENGO Giovanni, Assessore all'urbanistica

Chiedo al Presidente, in relazione a questa possibilità che ci viene offerta, di rivedere se possibile l'art. 64 che riguarda le sanzioni amministrative conseguenti all'annullamento della concessione, in quanto il testo presentato nella fase finale della discussione è stato modificato da un emendamento integrativo accolto che suona in disaccordo con la legge statale n. 10 riportata peraltro completamente nell'articolo. Siccome questo elemento integrativo verrebbe in pratica a ridurre i casi di applicandone dell'annullamento della concessione, chiedo di sopprimere l'inciso che era stato inserito.



PRESIDENTE

Non essendo ancora approvati i processi verbali, la soppressione è possibile, sempre che ci sia il consenso del Consiglio, la qual cosa si potrebbe realizzare con una votazione per alzata di mano dell'articolo senza l'inciso aggiunto che suona: "per la totale illegittimità dell'opera".
La parola al Consigliere Bianchi.



BIANCHI Adriano

Non sollevo obiezioni di fondo a che il lungo iter si completi nella forma più corretta e definitiva entro i limiti giuridico-politici. Voglio solo sottolineare che le modalità con le quali procediamo a questa correzione di un errore non devono assolutamente costituire precedente, nel senso che si possa tornare su votazioni che abbiano un carattere di definitività perché, in questa seconda ipotesi, ogni votazione sarebbe sempre parziale e approssimativa rispetto a qualche cosa che attende di consolidarsi.



PRESIDENTE

Accetto senz'altro la sua osservazione. In questo caso però faccio una questione inerente all'articolo del regolamento perché l'emendamento è inconciliabile con lo scopo della legge: infatti quelle quattro parole renderebbero illegittima la legge, che potrebbe essere respinta dal Commissario del Governo proprio per quelle parole.
Non vi sono altre osservazioni? Metto in votazione la soppressione dell'emendamento suddetto.
L'emendamento è approvato con 58 voti favorevoli e 1 astenuto.
Passiamo alla votazione per appello nominale sull'intero testo della legge.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico l'esito della votazione: presenti e votanti 59 hanno risposto SI 31 Consiglieri hanno risposto NO 23 Consiglieri si sono astenuti 5 Consiglieri.
Il disegno di legge n. 117 è approvato. Signori Consiglieri, il Consiglio riprende i lavori oggi pomeriggio alle ore 15,30, avendo presente che la seduta dovrà chiudersi prima delle ore 18 per permettere al Gruppo della D.C. di partecipare alla manifestazione indetta.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 13,30)



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