Sei qui: Home > Leggi e banche dati > Resoconti consiliari > Archivio



Dettaglio seduta n.138 del 28/07/77 - Legislatura n. II - Sedute dal 16 giugno 1975 al 8 giugno 1980

Scarica PDF completo

Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SANLORENZO


Argomento: Urbanistica (piani territoriali, piani di recupero, centri storici

Prosecuzione esame disegno di legge n. 117 e proposte di legge n. 78 e n. 226 in materia di urbanistica


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Proseguiamo il dibattito sul punto quinto all'ordine del giorno: "Esame disegno di legge n. 117 e proposte di legge n. 78 e n. 226 in materia di urbanistica".
La parola al Consigliere Curci.



CURCI Domenico

Un intervento nel dibattito sul disegno di legge regionale "Tutela ed uso del suolo" impone tutta una serie di riflessioni sul significato della legislazione in materia di pianificazione del territorio.
Ormai l'urbanistica non è più un campo di semplice normazione legislativa: certo il ruolo del legislatore è sempre fondamentale, perch fondamentale, soprattutto per l'incidenza sulla realtà, è la sintesi che egli deve compiere tra le tante sollecitazioni che gli giungono dalle tante scienze che si interessano al problema. Anche in precedenza le leggi erano emanate valutando gli studi compiuti sul problema della città al di fuori del campo legislativo, ma questi studi erano meno ponderosi sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo ed l legislatore aveva un rapporto più diretto con i problemi da risolvere. Oggi, invece, dibattere approfondire e proporre soluzioni riguardo al problema della città. è divenuto uno degli argomenti centrali della produzione intellettuale e se ne interessano la sociologia, l'economia, l'architettura, la politica. Chi deve creare strumenti giuridici d'intervento, non può sottrarsi a queste influenze; si è detto che anche la politica si interessa alla pianificazione urbana: e come non potrebbe, visto il cumulo di problemi che la città riporta dietro? Problemi che si possono chiamare inquinamento carenza di abitazioni, periferie dormitori, crisi di trasporti e tanti altri con, tuttavia, un'esigenza comune: quella di una soluzione globale che non può che essere politica. Posto ciò, posto che il legislatore attui una scelta politica a prescindere dalla veste particolarmente tecnica della norma che investe questioni amministrative oltre che urbanistiche, sarà interessante dare alcune indicazioni sui suggerimenti, sugli spunti che dagli studiosi giungono al legislatore sul problema della città.
Vorrei ricordare come Le Corbusier, sottolineato il rapporto diretto tra esplosione urbana ed accelerazione dei ritmi di produzione e trasporto di cose e persone, rilevava l'esigenza di conciliare la funzionalità della città con i valori di una vita più umana e naturale. Per ottenere ci lanciava un appello a tutte le risorse tecniche, per la formazione di un'attrezzatura adeguata al nuovo stadio raggiunto dall'umanità, nonché un appello alle energie spirituali, ai valori che sono anzitutto umani, "prima d'essere nazionali, regionali, comunali". Questo per soddisfare il desiderio di vivere in maniera diversa, di uscire dall'equivoco generale che mortifica gli atti quotidiani di ciascuno, cercando invece la gioia di vivere: un desiderio diffuso in tutto il mondo, "Tutte le risorse della tecnica e tutte le energie spirituali, compattamente ordinate in una armonica gamma e tutte facenti capo al solo centro che ci preme, l'uomo l'uomo come corpo e come spirito, come ragione e sentimento: ecco l'esito che auspichiamo nell'assurdo conflitto di punti di vista tra la tecnica e la spiritualità" L'esigenza di porre l'uomo come centro di una pianificazione urbana viene maggiormente posta in risalto dalla constatazione che lo sviluppo industriale, e quindi urbano, ha distrutto le sue abitudini secolari e creato nuovi comportamenti riguardanti in particolare le condizioni di lavoro e di riposo. Posta questa premessa di metodo, si deve tenere presente il rapporto tra l'evoluzione delle abitudini di vita e le nuove tecniche di costruzione: in particolare l'utilizzazione del cemento e dell'acciaio con conseguente sviluppo dell'altezza delle abitazioni. La rivoluzione architettonica deve essere posta, oggi, al servizio dell'urbanistica: utilizzando singole conquiste tecniche l'uomo potrà organizzare l'ambiente in cui vive con uno stile adeguato ai tempi e metterlo al servizio del proprio benessere e della propria soddisfazione tecnica.
A questo scopo, in quest'ora di sconvolgimenti, occorre risalire agli stessi principi dell'uomo e dell'ambiente: l'uomo inteso come organismo biologico, valore psicologico; l'ambiente riscoperto nella sua essenza permanente; la natura... Ritrovare la legge di natura e studiare l'uomo e il suo ambiente: l'uomo essenziale e la natura profonda. L'opera umana deve diventare solidale con l'opera della natura: seguire le leggi naturali: "biologia" è termine quanto mai appropriato per l'architettura e l'urbanistica. L'edilizia si definisce come complesso di elementi associati in vista di finalità utili che costituiscono altrettanti organi connessi tra loro come in un organismo naturale. Bisogna affermare che l'architettura e l'urbanistica sono lo specchio fedele di una società partendo da questo pensiero il ricercatore procede in maniera particolare alla soluzione del problema dell'insediamento umano.
Nel nostro paese una risposta globale ai problemi dell'ambiente è sempre stata sconosciuta, sia per l'incapacità politica e la scarsa capacità di previsione di chi da tanti anni amministra il potere, sia perché, ed i due fatti sono strettamente collegati, si era creata una legislazione che favoriva l'intervento atomizzato e superficiale, privo di prospettive e di risposte ai problemi perché non riformava in modo generale i rapporti tra cittadini e Stato nella pianificazione territoriale. Il dibattito sul regime dei suoli ebbe origine con la sentenza n. 55 della Corte Costituzionale. La sentenza dichiarò illegittimi quegli articoli (parte del n. 7 ed il n. 40) della legge urbanistica del '42 "nella parte in cui questi non prevedono un indennizzo per l'imposizione di limitazioni operanti immediatamente e a tempo indeterminato nei confronti dei diritti reali, quando le limitazioni stesse abbiano contenuto espropriativo".
In sostanza venivano dichiarati incostituzionali i vincoli imposti dagli strumenti urbanistici quando, pur prevedendo l'esproprio di un'area (per esempio, per farne un parco pubblico), non veniva stabilita la data; e venivano dichiarati incostituzionali anche quei vincoli che, pur non ponendo in discussione la proprietà di un suolo, erano "tuttavia destinati ad operare immediatamente una definitiva incisione profonda, al di là dei limiti connaturali, sulla facoltà di utilizzabilità sussistenti al momento dell'imposizione" (è il caso dei vincoli di inedificabilità).
Così, la sentenza 55 annullò alcuni dei fondamentali poteri che i Comuni avevano esercitato dall'unità d'Italia in poi - e nessuno aveva mai contestato - e mise in crisi ogni possibilità di attuare la pianificazione urbanistica. Nel novembre del '68, risultata impossibile ogni definitiva soluzione del problema, si approvò la legge 1187, che rinviò la questione di cinque anni, dando inizio alla serie storica delle proroghe. In questo frangente è nata la proposta Bucalossi per una riforma del regime dei suoli, fatta proprio dall'attuale Governo Andreotti ed approvata dalla Camera il 25 novembre 1976 con la legge "Norme per l'edificabilità dei suoli". Già molto tempo addietro si era affermato che la soluzione del problema "pianificazione urbanistica" passava attraverso "l'acquisizione in mano pubblica, di aree urbane e dei relativi poteri di redistribuzione e di condizionamento dello jus aedificandi' ".
Altri, come il d'Angelo, hanno affermato che la riforma avrebbe permesso di realizzare la difficile perequazione tra proprietari di aree.
Ciò consentirebbe di conseguire quell'indifferenza di proprietari rispetto alle scelte urbanistiche che è necessaria garanzia delle libertà dell'urbanista e di quella della pubblica amministrazione nella definizione delle soluzioni tecnicamente più valide e meglio rispondenti agli interessi della collettività. Vi è stato chi ha colto gli aspetti economici della riforma: porterebbe la soluzione del problema al recupero, da parte della pubblica amministrazione, delle plusvalenze fondiarie che la proprietà privata non ha contribuito a creare.
Il problema dell'uso del suolo è in realtà molto complesso: il dato di fondo che Io caratterizza è la constatazione, meglio l'acquisita coscienza che il territorio costituisce una risorsa, che questa risorsa ha la peculiarità di non essere rinnovabile e che il suo consumo è quindi definitivo; essa è progressivamente sempre più rara sia per il suo consumo sia per l'incremento delle esigenze in relazione alle quali è impiegata, e cioè l'aumento della popolazione, la trasformazione delle strutture economiche ed in particolare la crescita urbana, la nascita di nuovi bisogni. Nel quadro italiano la situazione si era fatta particolarmente grave perché la giurisprudenza, d'altra parte in l'idea con la normativa vigente, aveva frustrato ogni tentativo delle Amministrazioni comunali di trovare opportune soluzioni tecniche. Così è stata giudicata illegittima la richiesta di una somma dì denaro proporzionale alle spese di urbanizzazione sostenute dall'amministrazione (Consiglio Stato, sez. V, 3 ottobre 1973 n.
326; Tar Abruzzo 27 novembre 1974 n. 187; Tar Piemonte 25 marzo 1975 n.
74).
Più incisiva la decisione che ha giudicato illegittima la disposizione di una norma tecnica di attuazione di uno strumento urbanistico generale o di una sua variante che subordina la realizzazione di un qualsiasi insediamento edilizio all'esistenza di un piano particolareggiato (Tar Piemonte 28 maggio 1975; Tribunale Amministrativo Regionale 1289, 1975).
Il Consiglio di Stato ha recentemente affermato che è illegittimo il diniego di licenza edilizia fondato sulla rilevata carenza del piano particolareggiato o di lottizzazione convenzionata estesi all'intera zona in cui deve sorgere la costruzione nel caso in cui la zona stessa risulti quasi completamente edificata. In un sistema di leggi ove il diritto di edificare è l'espressione più caratterizzante della proprietà fondiaria niente altro che illegittime possono risultare norme che, senza alcuna contropartita, ne impediscono praticamente il disporne: ciò anche alla luce della già citata sentenza della Corte Costituzionale n. 55 del 1968. Al contrario, lo scorporo del jus aedificandi dal diritto di proprietà permetterà, eliminando il fondamento giuridico delle citate decisioni giurisdizionali, il coordinamento degli strumenti di pianificazione urbana.
Il proprietario del terreno non sarà più titolare anche del diritto di edificazione che, prerogativa pubblica, gli verrà ceduto mediante concessione: in questa nuova realtà il subordinare la concessione alla presenza di uno strumento attuativo del piano regolatore generale non sarà in contrasto con nessuna norma giuridica, ma, non risultando più un'abnorme compressione del diritto di proprietà, ne regolerà l'uso secondo il dettato costituzionale. Il nostro partito non vuole restare su posizioni di rigida difesa della proprietà fondiaria per una serie di motivi che partono dal rilievo che la difesa dell'area personale del cittadino nei confronti dello Stato che tutto tenta di assorbire, non passa più necessariamente attraverso la difesa del "fundus" come espressione di determinate strutture socio-economiche.
Certo la difesa della proprietà privata resta, ma deve sempre avere una proiezione sociale, nel senso che si deve rifuggire da posizioni da cui deriverebbero posizioni di privilegio e privilegio, sia chiaro non certo per il singolo cittadino, bensì per le grandi società immobiliari, i "palazzinari", il capitale anonimo che da sempre hanno fatto della speculazione edilizia il campo d'azione per i loro traffici con le Amministrazioni, rosse o bianche che fossero. E' poi da sottolineare come la legge sul regime dei suoli, introducendo l'istituto della concessione non cambia nulla nella sostanza in cui si trovano i piccoli proprietari in regime di licenza edilizia: non possono costruire ora senza concessione come non potevano costruire prima senza licenza edilizia. Cambia invece molto per le Amministrazioni che, depositarie dello "jus aedificandi" potranno meglio intervenire nel definire lo sviluppo del territorio.
Per cui accettiamo compressioni della proprietà privata nei limiti posti dal dettato costituzionale, ma pretendiamo un reale controllo dei cittadini, mediante la partecipazione diretta nella pianificazione territoriale, affinché tutto si svolga effettivamente alla luce del bene comune. La partecipazione dei cittadini e delle organizzazioni di categoria deve essere un controllo sull'operato degli Amministratori pubblici: non deve più succedere che un terreno dichiarato inedificabile e venduto di conseguenza per pochi spiccioli torni ad essere edificabile, mediante variante, non appena viene acquistato da un "amico degli amici". Per questo ci preoccupiamo quando rileviamo che "la partecipazione dei cittadini al processo decisionale e gestionale dell'uso del suolo urbano ed extraurbano", di cui al punto 8 dell'art. 1, è diventata "la partecipazione democratica" del testo che stiamo discutendo, quasi a dire che il cittadino non è abbastanza democratico o, ed è forse questo il motivo del mutamento per poter poi filtrare la partecipazione attraverso le cosiddette "organizzazioni democratiche" che poco hanno di democratico, mentre molto hanno di collusione con il potere socialcomunista che amministra la Regione. Alla luce delle considerazioni fatte, ancora più difficile diventa dare un giudizio preciso al progetto di legge regionale sull'assetto del territorio. In sé e per sé la legge ha ben poco di caratteristico ricalcando leggi regionali già approvate, come quella della Lombardia o quella dell'Umbria.
Ciò che avremmo visto come segno tangibile di una reale volontà politica tesa a risolvere i problemi legati al territorio e una maggiore operatività del piano territoriale regionale nei confronti dei piani di livello inferiore. E' essenziale armonizzare la pianificazione a tutti livelli, onde evitare disarmonie e contrasti: meglio sarebbe stato prevedere espressamente l'individuazione di aree su cui la Regione potesse intervenire direttamente con piani particolareggiati e subordinare un simile intervento all'inadempienza delle Amministrazioni comunali allungando così i tempi e scivolando in una burocrazia di rapporti che non è concepibile in un campo ove tutto si muove all'insegna dell'urgenza e della necessità.
Nel complesso si tratta di una legge che non riteniamo possa risolvere tutta la problematica che abbiamo cercato di riassumere e nei confronti della quale ci riserviamo di decidere il nostro comportamento quando verranno all'esame i numerosi emendamenti proposti dalle diverse parti.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Marchini. Ne ha facoltà.



MARCHINI Sergio

Sarò molto più breve di parecchi colleghi, anche perché questa legge è stata trattata e discussa analiticamente, come diceva il Consigliere Bianchi, punto per punto. Anzi, sarei a suggerire alla Presidenza, anche se un po' vicaria, di voler adottare, quando andremo ad esaminare gli articoli, la procedura magari non correttissima, ma abbastanza producente di dare spazio alla discussione, al di, là delle regole precise, perch probabilmente d saranno degli emendamenti che si sovrapporranno e delle zone lasciate in ombra, tutti quanti convinti che se ne occupasse qualcun altro. Siccome pare che questa legge dovrà ritornare in Consiglio nonostante il puntuale lavoro svolto in Commissione e la verifica in questo clima particolare dell'aula, dove siamo in grado anche di filtrare le espressioni e i sentimenti della collettività, l'intervento preliminare pu essere abbastanza breve.
Mi pare, tuttavia, di dover subito esprimere un giudizio diverso da quello che, per correttezza, colleghi ed amici già intervenuti hanno voluto esprimere all'Assessorato. Al contrario, questa legge non merita tutti gli apprezzamenti che sono stati fatti, o meglio, obiettivamente merita quel certo tipo di apprezzamenti in termini soggettivi, non all'Assessorato, ma alla comunità nazionale e alla comunità piemontese che hanno fatto maturare i temi al livello in cui li stiamo discutendo. Siamo nel 1977 e consideriamo che la comunità nazionale ha subito, tollerato, accettato voluto, dipende evidentemente dal punto di vista, la legge n. 10; sappiamo che su argomenti del genere gli ultimi Ministri democristiani ci han lasciato le ossa. La comunità piemontese, dopo aver voluto la politica dei parchi, è interessata al territorio, consapevole che è un bene irrepetibile, ed ha maturato la rinuncia a fare del territorio un certo tipo di uso. Sempre dal punto di vista soggettivo, alcune classi sociali da tempo particolarmente vituperate, hanno per esempio subito e accettato senza con questo bruciare nessuno, le leggi n. 167 e 865. Se le applicassimo ai piastrellisti o agli installatori di termosifoni, perché le case si fanno anche con i termosifoni e con le piastrelle, non solo con i terreni, non so dove saremmo andati a finire.
Mi pare che l'elaborazione di questa legge in un clima politico così favorevole, in un clima culturale così avanzato, poteva e doveva produrre un risultato molto più valido dal punto di vista legislativo, perché una legge in definitiva traduce in un documento degli imperativi in norme di comportamento e in sanzioni, fotografando la realtà attuale, con il dovere però di essere un poco anticipatrice della realtà futura. Ritengo che questa legge non rappresenti un grosso sforzo di fare ulteriormente progredire la coscienza civile e politica della nostra collettività addirittura, in una certa misura, è una legge di retroguardia che non tenta affatto di uscire da una serie di schemi. Per esempio non si è posto il problema se abbia ancora ragion d'essere o meno, alla luce della legislazione vigente e delle organizzazioni sul piano della Programmazione della nostra Regione, il livello regolamentare comunale. Ecco un problema per un dibattito politico, dibattito però che in quest'aula non pu avvenire, perché non esistono contrasti. Nessuno di noi è qui a difendere la rendita parassitaria, nessuno di noi è qui a difendere la speculazione in montagna.



BONO Sereno

Non apertamente, ma di soppiatto.



MARCHINI Sergio

Abbia pazienza, come al solito qui si è pluralisti fin quando conviene e poi basta. Qual è la forza politica così miope da ritenere che la nostra collettività tenda ancora ad un certo tipo di sviluppo economico? Ci sarà forse solo qualche personaggio tra noi che la pensa così. Ma ci vuole rispetto per le altre forze politiche. Si è voltata pagina; si è chiuso il libro; usi il termine che vuole, ma su questo punto di vista penso che non esista concorrenza. Non penso che siano maggiormente preoccupate dei problemi dell'ambiente e del territorio le sinistre rispetto ai democristiani, rispetto al sottoscritto, rispetto agli stessi appartenenti alla destra. Direi che è la coscienza civile che è cresciuta su questi argomenti. La legge n. 865 è passata, collega Bono, ma lei sa che cosa significa la legge n. 865? Significa terreni edificabili che, sino ad un certo limite, vengono pagati 40 mila lire al metro quadrato, al di là di quel limite vengono pagati 160 mila lire. Eppure non è successo niente, non si è dato fuoco a nessun palazzo. Ciò vuol significare che il nostro Paese sta maturando una certa coscienza.
Ritengo che la legge in esame tecnicamente non innovi, non anticipi e in questo senso, sia criticabile. E' chiaro che gli scontri saltan fuori alla lettura della legge, quando cerchiamo di comprenderla non come espressione di volontà politica, ma come strumento che deve operare nella collettività, che deve essere interpretato dai giudici, dai magistrati dagli avvocati, dagli operatori del diritto e della tecnica.
A questo punto ci sembra di dover dire che non è certamente una buona legge: prima di tutto perché risente di un vizio già evidenziato questa mattina cioè la presunzione di voler far tabula rasa dimenticando che il Piemonte, anche come erede di un antico Stato costituito un secolo fa nella nostra penisola, ha antichissime tradizioni in materia urbanistica addirittura anticipatrici a livello europeo. Quindi la volontà di voler fare tabula rasa sta a indicare quel brutto difetto del revanscismo che si nota in questa Giunta in relazione a parecchi argomenti, come ad esempio la viabilità internazionale. Inoltre notiamo il tentativo accentratore proprio laddove si vogliono dare poteri a tutti; per esempio ai Comuni si riconoscono dei poteri che, in realtà, si limitano al potere di dare l'incarico ad alcuni tecnici pagati con i soldi della Regione; in definitiva però tutto sarà accentrato nella mano dell'Assessore. Voglio dare all'Assessore Astengo lunga volontà di lavorare (non diciamo vita). Ma ci si guardi, per esempio, da certi appetiti assessorili che ci sono in quest'aula! Dal punto di vista istituzionale la legge è estremamente carente perch tende ad accentrare a livello regionale la decisione sul piano urbanistico.
Dal punto di vista tecnico, la legge risente di pressappochismo di elaborazione e di ignoranza, perché dimentica che essa in definitiva deve essere una norma di giudizio, non solo di comportamento. Certe slabbrature non sono tollerabili, per esempio, nel punto in cui si dice che tutti hanno il diritto di mandare lettere all'Assessore all'urbanistica: son cose queste, che non si scrivono in una legge.
Mi pare tuttavia che si sia fatto un notevole sforzo in una materia indubbiamente difficile, perché legiferare presuppone una maturità di legislatore che gli esperti che hanno assistito l'Assessore in questo lavoro non possiedono. Fa loro onore la modestia e l'umiltà con cui hanno avvicinato la materia e hanno accettato le nostre osservazioni. Peraltro proprio perché questa nostra decisione andrà ad impattare su una realtà socio-economica, soprattutto sarà l'ultimo momento di una vicenda di evoluzione legislativa, la legge n. 10, nel momento fondamentale (che per altro la comunità non ha ancora recepito in tutta la sua completezza perch gli effetti sono stati volutamente ritardati nel tempo), la nostra legge dovrà essere la più chiara possibile, non dovrà concedere troppo alla volontà perfezionistica nei contenuti, ma dovrà essere ineccepibile nella forma.
La non perfezione della forma il più delle volte finisce per concretarsi in una sua inattuabilità. Si sono fatte diverse polemiche sui Comuni tenuti o non tenuti al piano di attuazione. La realtà piemontese è estremamente diversificata e a questo proposito abbiamo presentato un emendamento per chiedere alla Giunta di scegliere i criteri per la presentazione o meno del piano di attuazione. Sono elementi di carattere particolare che evidentemente vanno visti di volta in volta.
Così come mi sono ripromesso, intendo concludere questa breve valutazione preliminare. Il discorso politico non era diretto alla legge ma al soggetto che ha elaborato questa realtà nuova, cioè la coscienza del Paese in generale, della Regione Piemonte in particolare; sono considerazioni che non riguardano il risultato del nostro lavoro, quindi non significano anticipazione negativa di voto o astensione sulla legge.
Ci auguriamo che la Giunta ritorni in aula ad affrontare con serenità tutta la somma di emendamenti che i colleghi e il sottoscritto hanno presentato: dall'esame di questi emendamenti probabilmente sarà possibile fare uscire una legge che certamente non sarà perfetta, perché nulla è perfetto, soprattutto per la difficoltà di elaborare una norma giuridica in tale materia. I nostri emendamenti non sono di tipo dilatorio, ma sono tipicamente tecnici e costruttivi per rendere meglio applicabile la legge.
Nella misura in cui la Giunta riterrà di valutare lo sforzo che i partiti di opposizione intendono ancora fare in aula, dipenderà in larga parte il giudizio finale che si darà alla legge.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Carazzoni. Ne ha facoltà.



CARAZZONI Nino

Il 28 ottobre 1975 (Consigliere Raschio, questa volta non faremo nessuna battuta maliziosa sulla data) la Giunta regionale istituiva con una sua deliberazione un'apposita Commissione, formata dal prof. Vittorini dall'ing. Todros e dall'architetto Piazza, per l'elaborazione di studi preparatori ad un disegno di legge sulla tutela e l'uso del suolo Commissione che concludeva i propri lavori l'11 gennaio 1976. In questa fase, la Commissione, ampliata successivamente con l'inclusione di due esperti giuristi, elaborava un testo di legge che la Giunta regionale approvava il 28 luglio 1976 e subito trasferiva per l'esame in sede referente alla II Commissione consiliare. Quindi esattamente un anno fa.
Abbiamo voluto, di proposito, ricordare l'avvio ormai lontano di questo iter, arrivato oggi ad un punto di conclusione, per dare atto che su questa difficile e delicata materia non è mancato certamente il tempo per un'approfondita riflessione; infatti il dibattito sul disegno di legge n.
117 è stato ampio e serrato, la consultazione largamente estesa e, come ricordavano altri colleghi stamane, gli apporti esterni numerosi e qualificati. Tutto questo, lo rilevava con una certa vis polemica il collega Benzi stamane, è sicuramente servito a migliorare il primitivo testo di legge.
Però dobbiamo dire che, purtroppo, giunti alla stretta finale, cioè al momento del voto, una tanto pacata e pur necessaria meditazione è venuta ad essere sovvertita dall'accelerazione abnorme che si è voluto imprimere ai lavori di questo Consiglio regionale, per cui oggi ci troviamo messi di fronte ad una normativa che, nel suo testo definitivo, abbiamo potuto conoscere soltanto lunedì mattina e stiamo qui a discutere di una relazione che ci è stata consegnata martedì mattina. Nella sostanza, crediamo che questo nostro appunto abbia una certa validità, intanto perché è pur vero che tutto questo è avvenuto mentre era in corso l'impegnativo dibattito attorno al Piano di sviluppo che, di fatto, ci ha costretti ad una presenza pressoché ininterrotta nel corso di questi tre giorni in aula consiliare.
Su questo modo di lavorare abbiamo già avuto modo di esprimere un nostro punto di vista; abbiamo rilevato che non riteniamo che tutto questo ritorni a vantaggio della serietà e della dignità dell'assemblea; in effetti da mesi a questa parte i Consiglieri regionali sono stati sottoposti ad un ritmo di lavoro davvero stressante, se è vero, come è vero, che settimana dopo settimana, senza pause, senza interruzioni, senza respiro, ci si è dovuti occupare dell'esame dei regolamenti comprensoriali come della riorganizzazione dei servizi socio-assistenziali, della politica del credito, come del piano dei trasporti, della legge sulle procedure della programmazione per finire poi in crescendo con il dibattito sul Piano di sviluppo e sullo schema di bilancio pluriennale.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Quindi non è vero che si vegeta.



CARAZZONI Nino

Non è vero che si vegeta, signor Presidente, come è stato dichiarato non da parte nostra, ma dal Segretario politico regionale di quel partito che lei, e più di lei i comunisti, andate corteggiando (ci pare che sia stata una dichiarazione dell'avv. Giordana), ma è la quantità di lavoro che conta, è anche la qualità, cioè il modo di affrontare tutto questo, lei ci ha stuzzicato davvero su questo piano. Rilevando questo abnorme ritmo accelerato dei lavori del Consiglio regionale, dobbiamo anche dire che ci sembra che tutto questo finisca con il perseguire scoperti obiettivi politici, ci sembra cioè che attraverso questo modo di lavorare, da noi contestato, si punti in sostanza al massacro dei Gruppi minori, di fatto invece, avvantaggiando e privilegiando altri Gruppi, per essere chiari, il Partito comunista e la D.C. che per la loro consistenza numerica sono messi in grado di potere monopolizzare il dibattito all'interno di questa assemblea. E' vero che, per temperamento, ci siamo anche adoperati per essere puntigliosamente presenti nell'arco di tutte queste settimane così da non disertare alcun appuntamento; ci pare, infatti, che i colleghi possono darci atto che siamo riusciti ad essere presenti su tutti gli argomenti trattati; ma è altresì vero che essendoci dei limiti obiettivi a tutto e, in questo caso, avendo noi dei limiti oltre che culturali, data la complessità della materia, anche fisici, il disegno di legge sull'uso e la tutela del suolo non ha potuto avere da parte nostra quell'esame basato sul rigore intellettuale, sull'impegno politico che certamente avrebbe meritato. Di questo siamo sinceramente rammaricati; lo siamo per l'obiettivo condizionamento che questa situazione di fatto pone alla validità dei nostri rilievi critici e lo siamo per questa forma di superficiale attenzione che certamente, non per colpa nostra, siamo obbligati a dedicare al tema, in questo costretti a non poter valutare con il dovuto impegno le scelte dell'Assessore Astengo, scelte dalle quali dissentiamo radicalmente, ma operate da persona cui vogliamo riconoscere competenza e passione; pertanto ci fa dire che riteniamo essere ingiusto o quanto meno ingeneroso non aver potuto approfondire i suggerimenti e le indicazioni che l'Assessore ha ritenuto di dover dare su questa materia che forzatamente impongono al MSI-DN di assumere una posizione non tanto di merito, quanto soprattutto di principio.
In questa luce dobbiamo per prima cosa rilevare che la normativa elaborata recepisce per intero il disposto della famigerata legge Bucalossi, che forse sarebbe più corretto definire legge Bucalossi-Gullotti Berlinguer, in quanto è uno dei primi indicativi frutti del "compromesso storico" sul piano legislativo, per cui siamo legittimati a ripetere nei confronti di questa legge tutte le critiche, tutte le riserve, tutte le opposizioni che abbiamo già fatto a livello nazionale. Si potrà contestare il nostro punto di vista, non si potrà certo contestarne la coerenza.
Dobbiamo rilevare che si vogliono riprendere norme in conseguenza delle quali: 1) la tassazione e i gravami, aumentando notevolmente i costi delle abitazioni, di fatto priveranno i cittadini, in particolare i lavoratori e tutti coloro che sono a reddito fisso, della possibilità di accedere alla proprietà della casa 2) la normativa sull'edificabilità dei suoli interverrà a colpire ulteriormente e in maniera estrema mente grave un settore portante dell'economia nazionale quale è quello edilizio e di conseguenza tutti i settori ad esso collegati, accentuando quella paralisi che già oggi ha raggiunto livelli notevolissimi e quindi agendo come fattore determinante per l'aumento dei tassi di disoccupazione di centinaia di migliaia di lavoratori occupati in questo settore 3) soprattutto, attraverso la formula della concessione, e questo in casi di espropriazione previsti non soltanto per opere pubbliche, di fatto si viene a consentire un'autentica rapina del diritto di proprietà privata che viene trasformato in diritto pubblico, per cui ne deriva che di questo diritto vengono ad essere spogliati coloro che hanno acquistato la proprietà con immensi sacrifici durati talvolta una vita intera; quindi si ha una ripercussione diretta della legge nazionale attraverso la legge regionale, con la conseguente condanna alla miseria di operai, di impiegati, di commercianti, di piccoli operatori economici. Dunque una normativa, dal nostro punto di vista, eversiva ed aberrante che peraltro dimostra a quale punto sia già arrivata la comunistizzazione del nostro Paese e quali siano i frutti, maturati non tanto sulle classi cosiddette capitaliste e privilegiate, ma sulle spalle delle classi più umili, sulle classi dei lavoratori, sulle classi dei dipendenti a reddito fisso; frutti in violazione degli stessi diritti sanciti dalla Costituzione, del compromesso storico che è in fase di attuazione tra la D.C. e il P.C.I.
La legge Astengo riprende totalmente questa normativa. Quasi con una punta di sadico compiacimento il relatore Calsolaro ha tenuto a farci sapere che addirittura le norme regionali possono vantare una specie di primogenitura nei confronti delle norme nazionali, perché la legge statale n. 10 del gennaio 1977 è venuta a posteriori ad avallare una normativa che già era presente come tratto delineante e qualificante nel disegno di legge regionale n. 117.
Quali saranno fatalmente le conseguenze frenanti e paralizzanti di una siffatta legislazione tutti avranno modo di facilmente avvertire. Intanto dobbiamo registrare quella che è stata una vera e propria sollevazione nei confronti delle nuove tabelle parametriche circa gli oneri di urbanizzazione che il Consiglio regionale ha votato il 26 maggio scorso tabelle dalle quali si evince che la legge Bucalossi, ma anche Berlinguer Gullotti, è trasfusa e trasferita nella legge Astengo. Ma tutto questo non basta, infatti la legge Astengo va oltre; accanto ai pesanti oneri della legge statale n. 10 interviene ad aggiungere tutta una serie di vincoli e di limitazioni che saranno il colpo di grazia per l'edilizia pubblica così come per l'edilizia privata. Ci permetta, prof. Astengo, di fare una considerazione, sicuramente non offensiva, di taglio squisitamente personale, nella quale profondamente crediamo. Nella formulazione di un testo legislativo cosî vincolistico ha molto giocato in negativo l'impostazione teorica del docente universitario prima, e più ancora, che il senso realistico dell'Amministratore regionale. Intendiamo cioè dire che nell'elaborazione di questo disegno di legge il prof. Astengo si è lasciato prendere la mano da una visione astrattamente dottrinaria, visione certamente rispettabile anche se opinabile, benché, di fatto, a noi sembra essere slegata e scoordinata rispetto alle realtà amministrative della nostra Regione. E' su questa considerazione di fondo che sostanziamo le altre nostre critiche. Non contestiamo, infatti, che sia tempo ormai di varare una legge urbanistica capace di correggere i meccanismi che nel passato hanno presieduto al processo di crescita e che hanno portato a macroscopiche distorsioni rispetto agli obiettivi di un equilibrato sviluppo; ma dubitiamo alquanto che questo risultato ottimale possa raggiungersi con una normativa la quale ci sembra non tanto destinata a controllare, quanto piuttosto a mortificare ogni ordinata espansione. La legge assume come traguardo finalistico la formazione del Piano regionale territoriale, ma è questo un obiettivo che rimane nell'astrattezza nell'indeterminazione temporale, mentre, al contrario, si vengono ad imporre stretti limiti di tempo ai Comuni per l'adeguamento alle norme proposte. A questo riguardo vale la pena di tenere presente taluni dati che troviamo esplicitati nella relazione. Al momento soltanto 822 Comuni su 1.209 sono provvisti di strumenti urbanistici: di questi quelli approvati sono solo 499, mentre dei restanti 323, 67 sono ancora in fase istruttoria presso gli uffici regionali, 37 sono stati restituiti per le controdeduzioni e 219 dovranno venire totalmente rifatti.
Tutto dimostra che già oggi l'attività edilizia in Piemonte è pressoch paralizzata. La legge Astengo interviene dettando scadenze imperative: 60 giorni per i 125 Comuni privi di perimetrazione; 24 mesi per questi 125 Comuni oltre che per gli altri 242 che hanno già una perimetrazione e infine per i 219 Comuni che si sono visti respingere il Piano regolatore.
Tutto questo al fine di raggiungere che cosa? Al fine di raggiungere un obiettivo politico chiaramente esplicitato come quello di dare ai 1209 Comuni del Piemonte un Piano regolatore; questo obiettivo che nella relazione è definito come politico, ma è anche nella realtà del momento una previsione accademica ed astratta essendo chiaramente impensabile che circa 600 Comuni, cioè il 50% del totale, possano provvedere a tutto questo nei limiti fissati dalla normativa, dovendo tenere conto della mancanza di mezzi, di personale specializzato e dello scarso successo che fino ad oggi hanno avuto le forme associative tra gli Enti locali, per cui dovendosi attendere l'operatività della legge, è una facile deduzione quella che porta a concludere che di fatto l'attività edilizia subirà un altro colpo e che si verrà ad accentuare l'attuale squilibrio tra domanda ed offerta sia di abitazioni che d'insediamenti produttivi.
Noi, Assessore, autolimitandoci, vuoi per riconosciuti limiti culturali, vuoi per dichiarate difficoltà anche fisiche che abbiamo avuto nel prendere in esame a tempi affrettati questo disegno di legge, abbiamo detto che la nostra era soltanto un'impostazione critica di larga massima ma, anche limitandoci ad una valutazione globale del problema, dobbiamo concludere che questa legge, che stiamo oggi discutendo dopo una lunghissima gestazione, risulta pericolosa nella sostanza anzitutto, visti i principi di diritto che avalla; risulta farraginosa e inapplicabile nella forma; risulta sostanzialmente dannosa per la conseguente drammatica impossibilità che comporta ad operare nel settore. Questi motivi, uniti al vizio di incostituzionalità, esistenti nella legge statale n. 10 e che vengono ad essere recepiti e trasfusi nella legge regionale proposta impongono alla nostra parte politica un'opposizione radicale che vuole esprimere non soltanto il "no" a quella che sembra essere una cattiva normativa, ma che intende essere altresì espressione di un più generale impegno politico a tutela di valori o di interessi che trascendono la stessa area del nostro consenso elettorale per occupare quella più vasta, e purtroppo oramai da tutti politicamente disertata, del buon senso e della produttività.
Tutto questo naturalmente se la Giunta di sinistra riuscirà a portare in porto questo disegno di legge, il cui rinvio in Commissione sarebbe auspicabile e sensato. Sentito l'intervento del collega Bianchi, che ha parlato non di rinvio, ma di prosecuzione in termini di continuità politica, lasciando intendere che questa continuità ci sarà anche alla ripresa autunnale, possiamo accedere a questa soluzione, ma crediamo che questa legge debba essere profondamente e seriamente ripensata, perché di essa si dovrà ancora parlare nel futuro, da parte dei cittadini della comunità piemontese. Grazie.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Bellomo. Ne ha facoltà.



BELLOMO Emilio

Signor Presidente, la legislazione urbanistica, o, con una dichiarazione di più ampia e moderna accezione (finalmente riconosciuta anche nella legge n. 382), la legislazione "sulla tutela e uso del suolo" non ha oggi, di fatto, significativi precedenti a livello regionale.
Ad eccezione della Regione Lombardia che ha fatto un po' da capofila con un testo organico, e non tenendo conto dei molti disegni di legge presentati in diverse Regioni, l'attività legislativa regionale in materia è stata piuttosto frammentaria, e tesa - secondo noi - sostanzialmente a riempire vuoti d'inoperatività e d'inefficienza vincolistica delle leggi nazionali, più che a sostenere, con articolati normativi, nuove politiche di gestione delle risorse territoriali.
La legge di tutela ed uso del suolo, la cosiddetta "117" che oggi siamo chiamati a discutere, vuole invece essere la tappa più significativa, di quella linea politica complessiva per la pianificazione e la gestione del territorio, quella linea, più volte enunciata dalla Giunta regionale in questo ultimo anno, e che ha avuto il suo pratico avvio operativo con la circolare sui "criteri per la redazione e l'approvazione degli strumenti urbanistici", ed ha avuto fino ad oggi espressione compiuta nell'attenta e coerente gestione amministrativa, da parte dell'esecutivo, degli atti di pianificazione degli Enti locali. Questa legge ha, dunque, forti connotati politici, ma è anche una legge di principi; essa non Si pone in termini astratti nella realtà regionale, ma si inserisce invece, in termini assai concreti, ove sono presenti forti squilibri economici e territoriali generali e particolari, caratterizzati da crisi d'identità tra istituzioni e cittadini; squilibri e crisi istituzionali che trovano manifesta espansione in piani urbanistici inattendibili, ingovernabili e non rispondenti alle reali necessità delle collettività insediative. Occorre allora, date queste premesse, fare chiarezza liberandoci dalle incomprensioni, dai falsi obiettivi, dalle terminologie sbagliate, che si sono accumulate in questi ultimi anni nel grande e impegnativo dibattito sulla pianificazione e gestione del territorio.
Si è spesso parlato di pianificazione sganciata dalla programmazione economica, di piani di settore che piani non erano; di pianificazione dell'ambiente diversa dalla pianificazione del territorio, diversa ancora dalla pianificazione dei beni culturali, diversa dalla pianificazione dei centri storici. Bisogna invece, secondo noi, affermare chiaramente, e senza nessun tentativo di dribblaggio virdisiano, che quando si parla di ambiente, quando si parla di territorio, di società e di problematiche associative, di lavoro e di occupazione, si parla sempre della stessa cosa significa cioè parlare sempre dello stesso problema di fondo, con il suo intreccio poliedrico, di sfaccettature, di esigenze e di realtà.
Le tensioni sociali si sviluppano sul territorio, e sul territorio naturalmente, hanno le loro inevitabili e fondamentali ripercussioni. Lo sviluppo economico, con i suoi effetti positivi e con le sue distorsioni talora drammatiche, è registrato sul territorio l'ambiente coincide con il territorio (lezione del prof. Astengo) la tutela della salute nella più ampia accezione, passa attraverso la tutela dell'ambiente e del territorio.
Bisogna inoltre riconoscere che il fallimento della programmazione nazionale è stato determinato certamente dalle vicissitudini politiche del nostro Paese (poiché, come tutti ricordiamo, alcuni giocatori, si fa per dire, che tenevano il mazzo, nascondevano le briscole dentro le maniche a kimono di un'esangue volontà programmatoria); ma il fallimento è stato cagionato anche per il fatto di avere essenzialmente prospettato e potenziato gli aspetti di lungo termine e di grandiosissimi rinnovamenti della società, tanto da suscitare dubbi e perplessità negli uomini più attenti e scrupolosi, e provocare mitragliate di sarcasmo negli uomini più scettici e increduli tanto da far dire ad uno di essi, scimmiottando il titolo di una canzone in voga, che la programmazione era un sogno nel cassetto. E a quel fallimento, giova ricordarlo, si lega strettamente il fallimento della pianificazione urbanistica. Un esempio: come allora i programmi economici nazionali e le loro proiezioni territoriali si allungavano, si distendevano sempre più nel tempo, così nei Comuni, invece i piani erano temporali, all'obiettivo di piena occupazione e di superamento di tutti gli antichi e di tutti i nuovi squilibri corrispondevano nei piani aree di sviluppo e infrastrutture gigantesche per una finanza pubblica dissestata e sviluppi occupazionali e insediativi che hanno assecondato la redistribuzione ineguale della modesta e limitata ricchezza del Paese.
Vogliamo dire, in altre parole, che, in termini territoriali, alla filosofia dello sviluppo si è fatto corrispondere il dissennato e progressivo consumo del suolo, come se fosse stata gruviera, facendo, anzi dello spreco del patrimonio esistente una specie di motore per l'espansione economica la cui crisi strutturale ed economica del Paese, le gravi calamità naturali avvenute in questi anni, hanno avuto ragione dei falsi obiettivi, richiamando tutti, istituzioni e cittadini ad un uso più oculato e parsimonioso programmato e pianificato delle risorse disponibili. In questo quadro l'attività legislativa della Regione deve trovare caratterizzazione in provvedimenti storicamente puntuali; provvedimenti voglio dire, che propongono con chiarezza tre cose fondamentali: direttive modi e tempi di superamento della crisi attuale. Con il Piano di sviluppo regionale si sono poste, a nostro parere, corrette premesse per l'avvio dell'indilazionabile processo di recupero di questa Regione così eloquentemente segnata,dal fallimentare modello di sviluppo sinora seguito.
In questo contesto, la legge sulla tutela e uso del suolo è legge di piano, cioè un efficace strumento operativo per perseguire la politica definita dal Piano regionale. Emergono allora con chiarezza le finalità della legge esposte nel suo primo articolo.
L'esercizio delle funzioni regionali in materia di pianificazione del territorio dev'essere improntato nell'attento e parsimonioso uso delle risorse territoriali nella consapevolezza della loro irrepetibilità.
Accanto all'attenta conoscenza del territorio, presupposto indispensabile a qualsiasi azione di programmazione economica, vanno perseguite anche alcune cautele generali: dalla tutela ecologica alla salvaguardia umana degli insediamenti, dagli aspetti storici a quelli paesaggistici. Ed è anche una forma di tutela, non più del territorio o dell'uomo come entità fisiche, ma del sistema complessivo di relazioni cui essi partecipano, l'utilizzazione intelligente e civile del patrimonio esistente: patrimonio abitativo produttivo e infrastrutturale. Occorre, cioè, in altre parole, ricercare nell'uso delle risorse territoriali quell'equilibrato e definitivo rapporto tra le diverse funzioni della vita soggettiva, collettiva, ricreativa e produttiva che dallo specifico insediamento risale fino all'interesse del territorio regionale.
Il territorio non è fatto di punti luce e di zone ombra, e la pianificazione non può e non deve privilegiare alcune funzioni rispetto ad altre, e tanto meno quelle funzioni che per loro natura, spesso, nella storia del nostro Paese, sono strettamente intrecciate alla rendita fondiaria. Si tratta d'invertire l'atteggiamento culturale nella pianificazione e gestione urbanistica, così come è ben definito nell'art. 1 della legge urbanistica nazionale del 1942, che ha finora riproposto in modo antistorico l'antinomia tra campagna e città, e in questa privilegiando attività cosiddette nobili, cioè la residenza e gli affari nei confronti delle attività produttive che non sempre sono decentrate; e nello stesso modo si tratta di recuperare il significato culturale del fare umano sul territorio spezzando l'identità, impostaci tra sviluppo, consumi e spreco; una linea che deve essere interrotta, negando altresì la maggiore accentuazione finora data al connotato economico dello sviluppo, intendendo alcuni che lo sviluppo economico sia per ciò stesso anche sviluppo sociale il che, invece, resta tutto da dimostrare. Uno sguardo, anche affrettato al territorio regionale ci convince invece che mai nella storia del Paese come in questi ultimi venti anni, si è verificato uno sviluppo così ineguale e socialmente ingiusto accompagnato da movimenti migratori biblici (che potrebbero sollecitare l'estro artistico di uno Zeffirelli) che ha impresso al territorio il marchio dell'accumulazione capitalistica nell'assoluta povertà di ampie fasce del Paese e della Regione; nella segregazione dei ceti sociali secondo la provenienza ed il censo nelle città, nel quadro di una generale carenza di quei servizi cui va riferita la qualità della vita di una collettività.
Il recupero dell'assetto territoriale, che corrisponde al recupero dell'assetto sociale, non può avvenire esclusivamente attraverso strumenti tecnici, ancorché perfetti, che indichino modelli e stati di sistemazione.
Occorrono, certamente, strumenti tecnici e amministrativi, ma chiaramente orientati e ancorati ad una strategia politica, espressa in un processo di risistemazione che nel tempo si sviluppa attraverso operazioni concatenate nel raggiungere, via via, gli obiettivi prioritari prefissati. Ed è questo un processo che la legge, attraverso meccanismi non sempre immediati, vuole porre in essere. Un processo, però, che deve avvenire nella massima chiarezza dei rapporti istituzionali, affinché Regioni ed Enti locali possano esprimere con pienezza i propri poteri e le proprie autonomie. I ruoli istituzionali sono precisati in un livello programmatico e strategico e in un livello di pianificazione operativa. Molto si è discusso, in Regione, in un dibattito a più voci, sulla definizione dei ruoli istituzionali. C'è chi ha voluto vedere nel modo in cui vengono definiti i ruoli e risolti i loro rapporti, il prevalere di volontà dirigistiche e di neo-centralismo regionale in contrapposizione ad autentiche istanze di partecipazione, ed al tempo stesso di autonomia, presenti nella collettività regionale. E non è certo questa maggioranza e non è certo il Gruppo socialista, nei fatti, nelle idee, nelle leggi e nei comportamenti a voler prevaricare l'autonomia locale e la partecipazione dei Comprensori alle grandi e meno grandi scelte di politica regionale. Questa è una decisione presa da tempo, irreversibile, inossidabile, sulla quale i socialisti non ritornano ad ogni stormir di foglia. Non volendo essere, la legge che discutiamo, legge di soli principi, ma legge puntuale e operativa, si tratta allora non già di prefigurare un modello di organizzazione della società per un futuro non comparabile all'oggi, ma di avviare quei meccanismi che ci avvicinano complessivamente a quel modello che perseguiamo; si tratta cioè di una "lunga marcia nelle istituzioni" che porti avanti l'obiettivo del loro risanamento e della loro ricucitura partendo da un tessuto amministrativo oggi troppo frammentario e disgregato e anche previo di strumenti efficienti.
Il processo che si vuole avviare non ammette ritardi né incoerenze, n tanto meno scollature tra le operazioni necessarie ai diversi livelli. E' con molta umiltà e concretezza che occorre contare le forze per disporre e studiare meccanismi e relazioni adatte a quelle forze; è allora chiaro che a fronte dei 1209 Comuni del Piemonte e dei 15 Comprensori che hanno appena avviato, con enormi difficoltà, la loro attività, la Regione, come istituzione, non può rinunciare a farsi guida e promotrice del processo momento unificante di un tessuto frammentario, e di istituti, ancora non a regime; attività di guida fondamentale - per altro già sancita con la recente legge sulle procedure della programmazione - nel coordinamento e nella razionalizzazione della spesa pubblica, che, provenendo da diverse parti e promossa da diversi soggetti, va rapportata ad un quadro complessivo di coerenza con le risorse e di priorità con gli obiettivi. Se questo è il quadro di riferimento, le certezze politiche cui va riferito il processo di pianificazione, sono: 1) assicurare un ruolo pieno della Regione e dei Comitati comprensoriali nel coordinamento e nell'indirizzo dell'attività di pianificazione degli Enti locali 2) aprire spazi giuridici significativi alla partecipazione della collettività nelle sue forme organizzate e nelle sue individualità, non solo alla definizione delle scelte, ma anche alla gestione delle stesse alla realizzazione e all'attuazione dei piani; occorre restituire al cittadino la certezza di contare, di controllare, di gestire le opere e gli interventi che i suoi rappresentanti eletti hanno la responsabilità di compiere a tutti i livelli 3) promuovere la riaggregazione e in essa la riqualificazione dell'apparato amministrativo della Regione, affinché lo stato delle autonomie che proclamiamo si affermi veramente con quella piena efficienza ed operatività che solo una sana amministrazione può garantire, e questo non solo in termini di programmazione e di pianificazione, ma anche nella gestione operativa e nella realizzazione degli interventi 4) garantire l'operatività degli strumenti di pianificazione, e cioè la loro capacità di tradursi in opere, e l'incisività dell'azione amministrativa nel raggiungere gli obiettivi programmatici in un quadro di certezze giuridiche che subordinino ogni interesse particolare e settoriale all'interesse pubblico e generale.
I fondamenti giuridici di tali "certezze" politiche sono nello Statuto regionale per quanto riguarda, in particolar modo, la partecipazione popolare; nella legge regionale 41/75 istitutiva dei Comprensori e testa di ponte verso i sub-comprensori; nella legge 41/76 istitutiva delle Unità locali dei servizi; nella recentissima legge regionale sulle procedure della programmazione e nella legge nazionale del 28/1/77, n. 10, nota come riforma del regime dei suoli.
Si tratta dunque di un retroterra legislativo regionale e nazionale assai ampio e articolato che, tenendo conto della legge n. 382 e della riforma della legge comunale e provinciale e della finanza locale, su cui oggi ampiamente si dibatte nelle apposite sedi politiche e parlamentari, un retroterra, dicevo, che consente di avviare il processo di pianificazione con profonde innovazioni e con qualche ragionevole ottimismo. La legge che oggi discutiamo opera negli spazi istituzionali, giuridici e tecnici affinché il nuovo modello di sviluppo e il nuovo modo di governare i processi di trasformazione si affermi sul territorio e diventi patrimonio della coscienza amministrativa. La pianificazione operativa non può essere un mero esercizio esasperato dell'autonomia locale, nella polverizzazione amministrativa comunale della nostra Regione, con una grandissima quantità di Comuni di piccolissime e microscopiche dimensioni. Occorre allora promuovere un processo di riaggregazione e di riordino, affinché la pianificazione e la gestione del territorio vengano affrontate su una scala territoriale, coerente con la scala cui si riferisce la domanda sociale di servizi, di abitazioni e di lavoro.
Per questa riforma istituzionale qualificante già esistono in Piemonte le premesse legislative e di volontà politica: le premesse legislative sono nell'apertura alla creazione di sub-comprensori contenuta nella legge n.
41/1975 e nell'istituzione con legge 41/1976 delle Unità locali dei servizi sociali, che occorrerà portare avanti a coincidenti ambiti territoriali; la volontà politica emerge già, con significativa chiarezza, dall'ampio processo spontaneo di pianificazione intercomunale, avviatosi con il solo marginale incentivo di più alte contribuzioni regionali, alla formazione dei piani.
L'obiettivo che questa legge si propone è di arrivare, in prospettiva negli anni, ma in futuro il più possibile breve, ad un piano regolatore unitario e omogeneo, che disciplina aree intercomunali di gestione consortile del territorio, degli interventi e delle attrezzature che non possono essere garantite al minuto livello comunale. Allo stato attuale della pianificazione comunale non ci si può permettere attendismi, né è lecito immaginare processi perfetti e discendenti. Per questo la legge propone un processo continuo e dialettico, tra i diversi livelli, chiamando l'intera compagine amministrativa, burocratica e tecnica ad un intenso impegno operativo, per dare al Piemonte, in teoria già da domani, un ordinato assetto urbanistico.
Ci pare in ultimo di poter dire che le procedure sono sufficientemente veloci, mentre gli adempimenti comunali sono definiti in un preciso scadenziario, affinché i piani ed i programmi non restino nei cassetti sono per altro definiti con chiarezza i tempi in cui la Regione deve provvedere ad emanare i provvedimenti definitivi sugli atti di pianificazione. Stando cosî le cose, possiamo tranquillamente smentire coloro che ad ogni costo vogliono vedere una pianificazione a cascata, con rigide gerarchie e conseguenti blocchi amministrativi e operativi al livello inferiore. Li possiamo smentire tranquillamente, perché francamente questi obiettivi non sono perseguiti da questa legge, che mira invece, come abbiamo ripetutamente sentito anche stamane, a dare al nostro Piemonte un assetto urbanistico ordinato e funzionale, con l'apporto di tutti i piemontesi.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Besate. Ne ha facoltà.



BESATE Piero

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, condivido l'opinione del collega Bianchi sull'importanza della natura e del livello di questa legge come condivido il giudizio del Consigliere Benzi sul fatto incontestabile ma importante, delle rilevanti modificazioni intervenute in seguito al processo partecipativo costituito dai dibattiti che hanno costellato il Piemonte. Poche altre leggi hanno avuto la fortuna di vedere una simile iniziativa, non promossa dalla Giunta né da questo o quel Gruppo politico ma promossa da associazioni professionali, dai Comuni, quindi dalla base con un'attenzione ed un approfondimento conseguente all'importanza che il collega Bianchi ha precedentemente sottolineato e in forza del lavoro di rielaborazione svoltosi in decine e decine di riunioni in Commissione oltre che nelle consultazioni tenute in tutto il territorio regionale con la partecipazione degli esperti della Giunta regionale e dei Gruppi consiliari.
Qualcuno ha criticato il fatto che c'è stata una profonda rielaborazione della legge. Credo debba essere riconosciuto lo spirito aperto della Giunta e della maggioranza al contributo delle forze politiche e delle forze sociali, dai produttori ai sindacati, dal Collegio dei costruttori agli ordini professionali. Il disegno di legge 117, il suo impianto, il suo orientamento e la sua ispirazione hanno costituito un termine valido di confronto sul merito, sui principi, sulle scelte, sugli obiettivi e sul rapporto dei vari livelli istituzionali, dalla Regione ai Comuni, ai Comprensori, alle Comunità montane; e tutto questo per riuscire ad arrivare alla definizione del ruolo degli strumenti del piano territoriale ed al raccordo con la legge delle procedure, dopo che questa è stata approvata dal Consiglio, nei momenti del piano socio-economico e del piano territoriale e quindi a un complesso di interventi e di modificazioni che hanno visto il contributo non solo della Giunta, dell'opposizione e delle forze sociali, ma anche delle forze della maggioranza, che si sono poste davanti a questo strumento non come avvocati difensori d'ufficio, ma dialetticamente pronti a cogliere quanto veniva prospettato dalle opposizioni in termini critici e propositivi.
Intendo esprimere a tutti i colleghi della II Commissione, alla Giunta regionale, ed in particolare all'Assessore Astengo, un sincero apprezzamento per l'atteggiamento ricettivo tenuto nel corso dei lavori per lo sforzo tecnico e politico che l'Assessore ha costantemente messo in atto per tradurre quasi istantaneamente in norme e linguaggio giuridico le proposte di modifiche che la Commissione veniva via via prospettando. La Commissione ha lavorato con spirito encomiabile ed ha prodotto un testo che deve essere altamente apprezzato non solo per gli aspetti giuridici messi in discussione, ma soprattutto per gli aspetti concernenti la difesa e lo sviluppo dell'ambiente e della natura.
Lo sviluppo del dibattito ha apportato notevoli contributi. Non si pu dire che tutti i colleghi intervenuti non abbiano portato importanti elementi di approfondimento e di chiarimento, dal Consigliere Bianchi a Benzi, a Calsolaro, a Bellomo, definirei in contro luce gli interventi dell'opposizione, anche se più duri. Ma questo lo vedremo più avanti.
Tirando le somme, per un componente della maggioranza quale sono io, mi colloco, se si può dire cosi, con entrambi i piedi all'interno della relazione Calsolaro, che condivido completamente. Non è semplice intervenire con l'efficacia che si vorrebbe dopo la grande partita del Piano regionale di sviluppo, in una altrettanto grande partita quale la legge n. 117, che ha avuto un inizio felice per il tono e la razionalità del dibattito. Pur nei limiti delle mie capacità, non ho intenzione di liquidare il mio intervento in una pura e semplice parafrasi della relazione. Mi pare di poter rilevare che non esistono più dubbi sulla necessità di provvedere organicamente ad una politica e agli strumenti del governo del territorio. Sfido chiunque ad individuare qui dentro l'untore della proprietà fondiaria parassitaria; forse un cenno, non come untore ma come oppositore, è venuto dal Consigliere Carazzoni che è partito, lancia in resta, bardato di un certo non so che di medioevale nella sua argomentazione, anche se ha espresso con una certa verve il suo pensiero differenziandosi notevolmente dal tono di Curci di Democrazia Nazionale.
Gli sprechi, le speculazioni selvagge e le deturpazioni hanno investito in misura e in modo tale tutto il territorio nazionale, dalla metropoli al piccolo Comune, dai centri industriali alla montagna, da suscitare un'unanime domanda d'intervento della mano pubblica per governare il territorio e il suo sviluppo strutturale nell'interesse della comunità e a fini sociali. Il vecchio meccanismo di espansione economica, fondato sui bassi salari e quindi sulla conseguente facile esportazione e sui consumi indiscriminati, è entrato in crisi; l'uso del territorio di vecchio tipo è stato un momento essenziale e portante: ricordiamoci soltanto gli insediamenti della Fiat a Crescentino, a Verrone, a Rivalta, il Piemonte era divenuto riserva di caccia della Fiat. Vi è un documento di questi giorni della Fiat Progetti per il raddoppio della fonderia di Crescentino che riguarda ben 200 mila metri quadrati coperti; se qui c'è qualche professionista, come c'è sicuramente (non voglio insinuare che i professionisti presenti costruiscono soltanto pollai), saprebbe che se presentasse un progetto di quel tipo, gli sarebbe respinto dal Sindaco del più piccolo e sperduto Comune d'Italia. Questa era la situazione e questo è il modo con il quale certi soggetti hanno inteso e intenderebbero continuare ad usare il territorio, magari in nome dello sviluppo della produzione e della ripresa economica. Quando si è in crisi certuni dicono: "Non toccateci, lasciateci fare perché non dovete disturbare chi si impegna a investire"; quando il meccanismo funziona e il tubo tira, essi dicono: "Non toccateci, perché ci otturate il tubo e il fumo, invece di andare su per il camino, vien fuori dalla stufa e allora impregna l'ambiente"; in altre parole: "lasciateci fare sempre ed in ogni situazione quello che vogliamo". Si è voltata pagina a livello nazionale - mi pare che l'abbia detto anche il Consigliere Marchini - e occorre voltare pagina a livello regionale. A questo punto si tratta di operare con chiarezza di idee, di scopi, di analisi, di scelte e di strumenti per superare gradualmente, ma decisamente, lo stato di difetto territoriale e urbanistico per contribuire ad attuare le previsioni del Piano, proiettandole nei piani socio-economici e territoriali di Comprensorio, mediante la pianificazione comunale e quella comunitaria montana. Una politica di espansione produttiva qualificata per lo sviluppo economico dell'occupazione è impossibile senza una nuova politica territoriale nelle città e neppure è possibile l'attuazione della programmazione, anzi la stessa politica del territorio ne è un momento essenziale e fondamentale. Il fonda mento dell'intera programmazione è costituito dal recupero della funzione della pianificazione urbanistica, dello sviluppo edile, della localizzazione dell'industria, dello sviluppo dell'agricoltura; dal controllo e difesa delle risorse idriche; dallo sviluppo dei trasporti e dei servizi che devono guidare lo sviluppo territoriale; quindi non devono più essere variabili e in dipendenza dalle scelte dell'insediamento, con le prevedibili conseguenze di squilibri, di spopolamenti, di congestioni, di dissesto delle finanze locali, situazioni che costringono a perseguire gli insediamenti abitativi e industriali selvaggi guidati soltanto dall'interesse privato. E' inevitabile che il privato scelga la propria programmazione individuale dominata dal tornaconto: non può essere diversamente, non deve essere diversamente.
Nella legge ci si propone di riqualificare decisamente il ruolo dell'Ente locale, con una funzione di promozione, decisione, gestione partecipazione. Qualcuno ha detto che l'autonomia degli Enti locali non è sufficientemente difesa. La nostra opinione, la nostra ispirazione è quella del massimo di autonomia nell'interazione dialettica delle funzioni. Se nella legge le parole non corrispondono a questi criteri ispiratori, siamo aperti alle proposte di modifica, intendiamo qualificare soprattutto il ruolo del Comprensorio. Mi pare che il Consigliere Carazzoni avrebbe voluto che il Comprensorio fosse talmente sovraordinato, in termini amministrativi, da rendere i Comuni puri e semplici passacarte delle decisioni del Comprensorio. Non siamo di questa opinione, ma intendiamo qualificare la funzione del Comprensorio proprio per le scelte strategiche fondamentali costituite dal piano socio-economico e dal piano territoriale poi, per quanto riguarda le procedure, i problemi se certi atti devono andare alla Regione o al Comprensorio e via di seguito, siamo decisi a risolverli insieme, soprattutto per quanto riguarda i programmi pluriennali di attuazione. Con questo intendiamo dire che vogliamo dare al Comprensorio la sua esatta qualificazione, il suo esatto profilo. Se ci sono cose che non corrispondono a questo concetto si dica dove, come e quando: siamo disponibili ad esaminare le proposte. Non apparteniamo alla schiera degli illuminati, oligarchie talentate o presunte tali, alle soglie del 2000, per i quali le masse sono per definizione ignoranti, per cui il centro regionale si sostituisce ai Comuni e al Comprensorio e io stesso si sostituisce ai Comuni. Nient'affatto. Vediamo tra questi livelli il processo di circolarità e pari dignità. Il Consigliere Benzi questa mattina diceva che il Comune, anche il più piccolo, deve essere in grado di reggere il confronto con Torino; credo intendesse dire con la Regione. Di questo ci preoccupiamo e vogliamo che sia così. Questa legge chiama in causa il rapporto tra istituzioni e società, tra intellettuali e società, per la funzione che viene data ai progettisti, alle istituzioni, a coloro che lavorano nelle istituzioni, per la funzione che viene individuata nella professionalità pubblica, con ampi spazi alla professionalità privata senza la quale - lo affermiamo - riteniamo impossibile affrontare l'insieme dei piani regolatori, comunali, intercomunali, territoriali, dei programmi pluriennali di attuazione, dei piani particolareggiati. Occorre il contributo di tutte le componenti professionali, urbanisti, architetti ingegneri, geometri, ma anche sociologi, intendo tutte quelle formazioni intellettuali e professionali che sono venute avanti nella creazione di una nuova intellettualità che si esprime, magari confusamente, lottando per affermare un proprio ruolo non più in una professionalità privata grettamente intesa, ma in funzione di una scelta sociale e culturale che va nella direzione dibattuta negli atenei, nelle scuole, nelle istituzioni e nelle assemblee elettive. Sotto questo profilo, le stesse condizioni e le stesse modalità dello sviluppo dell'equilibrio tra uomo e natura, tra uomo e produzione, tra uomo e tipi di consumo, tra produzione, consumo e risorse, deve essere tutto regolamentato e previsto: come diceva Marchini si debbono creare le condizioni perché lo sviluppo vada nella direzione nuova, che ormai costituisce la nuova cultura del dopo 20 giugno 1976 e del dopo accordo programmatico nazionale di cui ci facciamo carico e che trova tanti riconoscimenti anche su scala internazionale, a livello delle massime potenze, lo vediamo quando un rappresentante dell'Italia vi si reca a trattare i problemi politici ed economici. In questa legge abbiamo riservato un grande ruolo alle forze sociali, alle singole categorie, ai cittadini. Miriamo ad una partecipazione non formale, non consultiva, ma una partecipazione vera alla formazione delle decisioni e al controllo, con procedure garantite per l'individuo ed anche per la società. Non mi dilungo sugli aspetti toccati dalla relazione, che ha elencato gli impegni, le tappe, la natura organica del disegno di legge, le sue trasformazioni nel rispetto dei principi, degli scopi, delle finalità, in poche parole la filosofia della legge, il raccordo con la legge Bucalossi e poi con la legge n. 10. La legge Bucalossi è stata il fondamento della legge n. 10 e giustamente il legislatore regionale, tenendo conto delle vicende nazionali, aveva già predisposto un progetto di legge largamente ispirato ai principi e alle norme di quel disegno di legge fatto da questo governo e modificato in parte dal Parlamento.
Ritengo utile dare un quadro sintetico dell'attuale situazione istituzionale, o meglio del dissesto istituzionale in urbanistica.
Nel 1875 viene approvata la prima regolamentazione urbanistica con la legge n. 2359 che si occupò dei piani regolatori edilizi e dei piani di ampliamento, viene approvata anche la disciplina delle sanzioni per la violazione delle previsioni del piano. Si deve però arrivare alla legge 640 del 1935 perché il privato sia tenuto a richiedere l'autorizzazione a costruire, norma poco applicata perché in pratica fu sostituita da leggi speciali. Solo nel 1942, in piena guerra, viene emanata la legge urbanistica n. 1150, tuttora vigente, con modifiche apportate in varie riprese. Essa si da per conosciuta, ma non sempre è così, come mi è capitato nel corso della discussione del disegno di legge in esame.
L'Assessore mi faceva rilevare che una certa norma è contenuta nella legge n. 1150, evidentemente mai applicata, se anch'io, che pure sono stato Consigliere comunale per 25 anni e mi sono occupato di queste cose, non mi ero mai accorto dell'esistenza di quella norma. La legge esprimeva buone intenzioni, ma rivelava carenze fondamentali nei mezzi finanziari e soprattutto negli strumenti di coazione per il rispetto delle sue previsioni, tanto che sotto il suo dominio si è potuto verificare il dissesto universalmente deprecato. C'è stata la sentenza n. 55 del 1968 della Corte Costituzionale, già ricordata da Curci; dopo la guerra si torn alle leggi speciali di settore; quella di ricostruzione, la n. 145 del 1945, ed altre confluite poi nella 1402 del 1951; di sviluppo industriale la 634 del 1957 e altre confluite nella 1523 del 1967; quella per l'edilizia economica popolare, la n. 67 del 1962; la legge n. 246 del 1963 istitutiva una speciale imposta sugli incrementi di valore delle aree fabbricabili.
La legislazione era così frammentaria che venne facilmente travolta dall'ondata selvaggia di urbanesimo, dalla concentrazione urbana, dalla speculazione dilagante, dall'impotenza dei poteri locali. La legge ponte n.
765 del 1967 costituì un primo freno, ma che scempio di licenze ci fu in quell'agosto di fuoco per gli uffici tecnici dei Comuni divenuti soltanto macchinette che stornavano licenze con il ciclostile! Nel 1960 interveniva la legge n. 55; a tamponare la falla della sentenza della Corte Costituzionale ci fu la legge n. 1187 del '68, con norme che ponevano un limite temporale per l'efficacia dei vincoli posti dai piani regolatori generali. Infine la legge n. 865 del 1971 nota come "legge della casa" che segna un ulteriore passo in avanti in tema di intervento pubblico e di indennizzo per le espropriazioni.
Ho fatto tutto questo elenco (potrei citare inoltre la 247 del '74 integrativa della n. 865; la legge n. 291 del '71, per l'accelerazione delle procedure; la 1902 del '52, di salvaguardia; la 847 del '64, per gli oneri di urbanizzazione) per sottolineare che di per sé rende l'idea, direi quasi il desiderio, della necessità di un coordinamento organico della normativa più volte tentato, più volte fallito. Non dico che da una parte ci sono tutti i buoni che difendono gli interessi della collettività, del territorio, dell'ambiente, e dall'altra parte i cattivi che sono le lunghe mani mascherate della proprietà fondiaria parassitaria, della rendita urbana. La verità è che c'è una cultura che ruggisce dietro di noi, che blatera nei nostri cervelli sulla cosiddetta libertà di esercizio di un diritto.
Una prima risposta viene dalla legge n. 10 del 28/1/1977, nota come legge Bucalossi. La legge si è ispirata a quel progetto.
L'On. Gusso, relatore del disegno di legge n. 10, disse: "Il fatto legislativo attuale va inteso come transizione tra la farraginosa legislazione urbanistica vigente, e quella di un futuro che non potrà non essere prossimo. Essa è comunque un consistente passo avanti che si dà per conosciuto". Intanto nel gennaio del 1972 era stato emanato il D.P.R. n. 8 che aveva trasferito alla Regione dei poteri in materia. Ora con la legge n. 382 si completeranno notevolmente quei poteri.
Diverse Regioni si erano date intanto una legislazione urbanistica contribuendo a porre la questione in termini non più rinviabili e soprattutto da un'angolatura del tutto nuova. Ecco perché il disegno di legge n. 117, così come viene proposto oggi, costituisce appunto quel punto d'approdo che l'On. Gusso alla Camera dei Deputati auspicava in un prossimo futuro, pur con tutti i limiti a cui ancora sono vincolate le Regioni dall'attuale legislazione statale. Questo costituisce uno sforzo immane che recupera, riproduce, coordina e da una lettura più avanzata, positiva evolutiva nell'insieme come unico sistema di intervento per il governo del territorio e dei suoli. Ma permettetemi anche di esorcizzare alcuni fantasmi che qui sono stati evocati (si evocano fantasmi di comodo per poi colpirli molto facilmente); uno di questi è quello del cosiddetto "perfezionismo professorale" che ispirerebbe la legge. E' una legge che ha avuto un filtro popolare di base ed è una legge che arriva in Consiglio con una vasta partecipazione e con larghi contributi di categoria, da parte di artigiani, di agricoltori, di tecnici, oltre che dl Comuni, di amministratori, di uomini di cultura, di associazioni in difesa della natura; è una legge politica. Per caso Astengo è anche architetto e professore di urbanistica: questo ci torna molto comodo. Senza di lui, con ogni probabilità, non avremmo avuto una legge così completa e così organica: è un mio parere personale che intende, esprimere in Consiglio. Se si intende fare una critica ad un illuminismo, bisogna dimostrarla; invece se la critica si rivolge ai principi, agli orizzonti di fondo, dobbiamo respingerla, perché quegli orizzonti e quei principi di fondo ci stanno bene, come ha detto il Consigliere Bianchi e tutti gli altri intervenuti nel dibattito.
Un altro fantasma di comodo è quello del realismo che viene portato in campo quando non n vogliono chiamare con il loro nome i fatti e le cose. Il fatto è che non siete d'accordo su una legge di governo del territorio.
Cos'è questo richiamo al realismo? Un realismo che, magari paradossalmente per vendetta delle cose, si incentra nella critica e perde di vista le cose. Il collega Marchini ha parlato di senso comune. Se si tratta di nuovo senso comune, della nuova cultura, della nuova consapevolezza dei problemi ben venga. Ma se si intende nel senso di conservatorismo (non quel conservatorismo elle molte volte è auspicabile nella continuità ;-dello sviluppo), diciamo no: quel buon senso è un'arma di comodo che non pu essere accettata. La soluzione sta nell'intendere la politica come processo di partecipazione, e di scelte che coinvolgono nel processo decisionale Enti, organismi, cittadini, culture ed esperienza: questo mi pare sia avvenuto. Ci saranno certamente delle carenze, forse in tutto questo processo ce ne saranno ancora, ma siamo qui appunto per correggerle. La stessa legge è una legge processo, mette in atto piani processo che devono essere verificati dal Comune e dalle comunità di base locali, devono essere verificati dai cittadini con una continuità che non deve ingannare, perch c'è una continuità che non cristallizza e nello stesso tempo dà quel tanto di certezza necessaria agli operatori e agli amministratori per operare in ogni momento.
Non farò l'esame della legge articolo per articolo: accennerò ad alcuni principi tradotti in norme. Prima di tutto si propone l'uso e il recupero delle risorse esistenti, sia che si tratti degli abitati dell'agricoltura dell'industria e del terziario che dei valori ambientali (art. 21). C'è stato un articolo sulla "Stampa", in terza pagina, che ha dato il segnale di certe situazioni esistenti. Quell'articolo, per quanto non appartenga soltanto alla dottrina e alla cultura, dovrebbe essere riletto poiché parla di strumenti in atto a Bologna, a Verona, a Firenze, in Amministrazioni cioè di colore diverso che, per, quanto riguarda la gestione delle città e del territorio, dimostrano che l'uso e il recupero dell'esistente nei centri abitati e nei centri storici costa meno della costruzione nuova produce più abitazioni, soprattutto permette la permanenza nei centri storici di fasce sociali che non vengono così espulse nelle periferie, non obbliga a costruire sobborghi squallidi, oltretutto privi di servizi, non costringe i Comuni a spendere e spandere fondi nell'inseguire con opere di urbanizzazione le periferie che si allargano a macchia d'olio; ciò vale per l'agricoltura come per l'industria, per il terziario come per il commercio.
Un altro principio fondamentale è quello della difesa dell'agricoltura (artt. 26, 52, 86, 87). Ne abbiamo discusso a lungo. Mi corre l'obbligo e il dovere di dire che forse è la prima volta in Italia che si tratta del problema agricolo in termini di intervento nell'uso del territorio e di urbanistica. Molto si è scritto e fatto per quanto riguarda l'industria, il commercio e la distribuzione, ma nulla si è fatto per l'agricoltura. Posso affermare che è stato per merito dei colleghi democristiani Franzi Lombardi e Chiabrando, soprattutto della Coldiretti, che hanno presentato la proposta di legge n. 78, ma anche grazie al contributo delle associazioni agricole e dell'Assessore, se oggi ci troviamo di fronte ad una normativa sulla quale - penso - concordiamo. Se ciò che è scritto nel progetto non corrisponde esattamente alle idee e ai concetti, siamo aperti alla discussione ed al confronto perché l'agricoltura è stata la prima a pagare lo scotto dell'espansione indiscriminata a macchia d'olio dei centri abitati e degli insediamenti industriali. Ci troviamo pure d'accordo sul fatto che, in agricoltura, le attrezzature non fanno cubatura perché si deve dare la possibilità all'agricoltore di avere tutto quanto gli è necessario nella sua residenza, con il limite condiviso da tutti (da Chiabrando e dagli altri).
Altro elemento fondamentale riguarda la rilocalizzazione dell'industria e degli impianti produttivi.
Va riconosciuto che il governo del territorio appartiene alla comunità ed è regolato dal Piano regionale di sviluppo, dal piano socio-economico di Comprensorio, dal piano territoriale comprensoriale e dai piani regolatori comunali, intercomunali, delle Comunità montane, che vedono esaltato il loro ruolo nell'ambito della pianificazione territoriale, dopo la pianificazione socio-economica. In questo progetto di legge la partecipazione non è un meccanismo artificioso e preordinato del consenso ma è una sollecitazione critica di contributi autonomi che confluiscono in livelli dotati di decisioni potestative sottoposte al controllo della democrazia reale, rappresentativa e partecipata Farò brevemente alcune osservazioni sui piani pluriennali e sulla questione degli esoneri. Ci sono due momenti: quello transitorio attuale e quello dì regime. Come già detto nella relazione, siamo pronti ad esaminare la questione per quanto riguarda le approvazioni. E' però importante che tutto questo sia raccordato con la spesa pubblica e la sua finalizzazione.
Per quanto riguarda gli esoneri il collega Bianchi si è soffermato sui criteri del punto g) della relazione. E' un punto che abbiamo discusso a lungo in Commissione.
Mai la maggioranza si è presentata, e mai si presenterà, chiusa in queste discussioni. Non credo di dover spendere parole sul cosiddetto "blocco dell'edilizia", quella: che chiamo il "terrorismo edile" e "terrorismo della disoccupazione". Il collega Benzi ha fatto considerazioni che approvo appieno perché sono oggettive e non confutabili; per il resto la relazione rende conto di tutti questi momenti, in merito agli standards dipende molto dalla gestione dell'urbanistica, soprattutto per quanto riguarda gli strumenti non rinviati per totale e sostanziale rifacimento quelli cioè che sono all'esame dell'Assessorato e che, se vengono approvati prima dell'entrata in vigore di questa legge, permetteranno ai Comuni di fare subito il programma pluriennale di attuazione senza aspettare i fatidici sei mesi.
Per quanto riguarda i piani regolatori intercomunali è giusto tutto quanto è detto nella relazione. Però, secondo me - e questo lo dico alla Giunta - è necessario un potenziamento dell'intervento. E' giusto che i Comuni paghino, però teniamo presente che non esiste ancora la cartografia che ci sono mappe catastali non confronta bili: quindi occorre un certo potenziamento dei contributi ai Comuni; l'Assessore Simonelli veda di allargare la borsa altrimenti si fermeranno molte cose.
Per quanto riguarda la questione del silenzio-assenso, ritorna in ballo il problema del personale. Ci vorrebbe molto più personale per poter esaminare e approvare tutto questo. Abbiamo piena fiducia che l'Assessorato nella gestione urbanistica e nell'esame dei programmi pluriennali di attuazione non adotterà soltanto il silenzio-assenso, soprattutto non rinvierà per allungare artificiosamente i termini, ma farà uno sforzo particolare per dare un avvio serio all'attuazione e all'applicazione di questa legge. Faccio i necessari e doverosi riconoscimenti ai colleghi della II Commissione e a quelli esterni che hanno dato un notevole contributo: questa legge è stata possibile per l'impegno solidale della maggioranza, ma anche per l'impegno che vi hanno profuso i membri e i colleghi della Commissione, in particolare l'Assessore Astengo. Dobbiamo questa legge soprattutto all'Assessore che ha dato un contributo essenziale nel volerla, nel concepirla e soprattutto nell'emendarla, via via che veniva richiesto dalle consultazioni e dai lavori della Commissione.



PRESIDENTE

Signori Consiglieri, con l'intervento del collega Besate si è conclusa la discussione di carattere generale. Il mio suggerimento sarebbe di concedere un po' di tempo all'Assessore Astengo e al Presidente della Giunta per preparare la replica. Il dibattito che ha impegnato il Consiglio questa mattina, per la qualità degli interventi, al di là della quantità non è stato certamente inferiore a quello dei giorni precedenti sul Piano di sviluppo. La mia proposta è di proseguire i lavori domani fino alla conclusione del dibattito. Si potrebbe ipotizzare una ripresa dei lavori in merito a settembre con la determinazione di dedicare alla trattazione e all'esame degli articoli il tempo necessario perché il dibattito abbia il rilievo e il confronto che la legge merita, il che comporta un certo numero di riunioni dedicate esclusivamente all'urbanistica e tempi ben precisi per cui le sedute consiliari di settembre potrebbero essere rigorosamente definite.
Vi sono obiezioni? Chiede di parlare il Consigliere Calsolaro, ne ha facoltà.



CALSOLARO Corrado

Presidente, siccome non condivido la sua proposta e ritengo invece che la discussione sul disegno di legge debba continuare fino alla sua conclusione, chiedo la riunione dei Capigruppo affinché ciascuno assuma le proprie responsabilità in ordine al problema.



PRESIDENTE

Nessuna difficoltà, mi pare anzi del tutto corretto che ci sia uno scambio di opinioni fra tutti i Gruppi.



OBERTO Gianni

Se sarà accolta la sua proposta, la preghe rei di fornire tempestivamente ai Consiglieri tutti gli emendamenti presentati.



PRESIDENTE

E' sottinteso. Ho avanzato un suggerimento, una proposta e null'altro che questo. Al termine della riunione dei Capigruppo si prenderanno le deliberazioni conseguenti. La seduta è da considerarsi sospesa.



(La seduta, sospesa alle ore 17,30 riprende alle ore 18,35)



PRESIDENTE

Signori Consiglieri, ho una brevissima comunicazione da fare. La seduta è aggiornata a domani mattina, alle ore 10, per il proseguimento del dibattito all'ordine del giorno.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 18,40)



< torna indietro