Sei qui: Home > Leggi e banche dati > Resoconti consiliari > Archivio



Dettaglio seduta n.137 del 28/07/77 - Legislatura n. II - Sedute dal 16 giugno 1975 al 8 giugno 1980

Scarica PDF completo

Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SANLORENZO


Argomento: Urbanistica (piani territoriali, piani di recupero, centri storici

Esame disegno di legge n. 117 e proposte di legge n. 78 e n. 226 in materia di urbanistica


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Signori Consiglieri, abbiamo esaurito il punto quarto dell'O.d.G. e pertanto possiamo passare al punto quinto: "Esame disegno di legge n. 117 e proposte di legge n. 78 e n. 226 in materia di urbanistica". E' relatore il Presidente della II Commissione, Avv. Calsolaro, a cui do la parola.



CALSOLARO Corrado, relatore

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, il documento di proposta delle linee politiche e amministrative presentato al Consiglio regionale per l'elezione della Giunta all'indomani delle elezioni del 15 giugno 1975 contiene, nel capitolo dedicato alla "Pianificazione e gestione del territorio" - uno dei più diffusi e certamente più importanti del programma una dichiarazione politica di indirizzo e l'indicazione di impostazioni criteri ed -interventi di carattere operativo e legislativo.
"Competenza primaria della Regione" - si dice nel documento - " l'esercizio, ormai con pienezza di poteri, di tutta l'attività d'indirizzo coordinamento, approvazione e controllo dell'uso del suolo - territorio insediamenti e infrastrutture - per garantire, nelle varie fasi decisionali e gestionali, una corretta utilizzazione e formazione del patrimonio insediativo e infrastrutturale che sia coerente con un razionale impiego, a fini sociali, delle risorse e che, evitando al massimo gli sprechi, valga anche a contenere ogni spinta speculativa ed ogni posizione di rendita".
Emerge, dall'ampio quadro prospettato dal programma, l'impegno per l'approvazione della legge per la disciplina urbanistica regionale.
Alcuni mesi dopo, nel gennaio-febbraio 1976, il Consiglio regionale affrontava, con uno specifico dibattito, la situazione urbanistica regionale, e degli strumenti urbanistici in istruttoria, e concludeva i propri lavori approvando all'unanimità un ordine del giorno in cui assumeva, come base per la formulazione della legge urbanistica regionale i principi: a) dell'esercizio delle modalità di controllo degli interventi sul territorio attraverso due livelli di pianificazione, quello regionale e comprensoriale, e quello locale, riferito al singolo Comune e ad aggregazione di Comuni b) della corrispondenza, al livello regionale e comprensoriale, dei piani territoriali di coordinamento, ai quali compete di definire le linee organizzative generali dello sviluppo e della distribuzione delle attività e delle funzioni sul territorio c) della corrispondenza, al livello locale - ove si attua la gestione operativa dello sviluppo - dei piani generali comunali ed intercomunali questi ultimi assunti come obiettivo da conseguire per aree di aggregazioni comunali di estensione conforme al primo livello di organizzazione e di integrazione funzionale dei servizi sociali, rimandando alla stessa legge urbanistica regionale l'ulteriore definizione e specificazione dei soggetti, dei contenuti e delle procedure di pianificazione territoriale e della gestione urbanistica. Il 28 luglio 1976, nel termine dei sei mesi al quale il Consiglio regionale aveva impegnato la Giunta "a presentare lo stato di attuazione degli indirizzi ed adempimenti enunciati", la Giunta regionale approvava il disegno di legge regionale n. 117 contenente le norme per la "Tutela ed uso del suolo". Il disegno di legge veniva trasmesso al Consiglio regionale ed assegnato per l'esame in sede referente alla II Commissione consiliare. Successivamente il 6 settembre 1976, la Giunta regionale adottava il testo coordinato del disegno di legge.
In precedenza, in data 2 marzo 1976, era stata assegnata alla stessa II Commissione e all'allora VI, ed ora III Commissione, la proposta di legge n. 78 contenente "Norme in materia di tutela, uso ed esproprio dei terreni agricoli" presentata il 28 febbraio 1976 dai Consiglieri regionali Bertorello, Bianchi, Chiabrando ed altri, del Gruppo della D.C. L'esame di questa proposta di legge veniva abbinato a quello del disegno di legge n.
117. La Commissione iniziava l'esame del disegno di legge promuovendo alcune udienze conoscitive al fine di approfondire e discutere i temi generali della normativa proposta con l'Assessore alla pianificazione e alla gestione urbanistica e con la Commissione di esperti a suo tempo costituita con deliberazione della Giunta regionale.
Si procedeva quindi alle consultazioni degli Enti locali territoriali e dei Comprensori, delle organizzazioni sindacali e imprenditoriali, delle associazioni naturalistiche, degli Istituti autonomi per le case popolari degli ordini professionali e di ogni altro gruppo operante nei settori interessati al provvedimento. Un considerevole numero di memorie è pervenuto alla Commissione dagli Enti, dalle associazioni e dalle organizzazioni consultate. Nel frattempo entrava in vigore la legge 28 gennaio 1977, n. 10, contenente "Norme per l'edificabilità dei suoli" conseguentemente la Giunta regionale provvedeva ad adeguare opportunamente il testo legislativo regionale alla nuova normativa statale. In data 13 luglio 1977 i Consiglieri regionali Bianchi, Genovese, Oberto, Petrini e Picco, del Gruppo della D.C., presentavano la proposta di legge n 226 contenente "Adempimenti della Regione Piemonte in attuazione della legge 28 gennaio 1977, n. 10". La Commissione, esaminate le tre proposte d'iniziativa legislativa e l'intero materiale raccolto nel corso delle consultazioni, rassegna con la presente relazione l'allegato testo legislativo per l'esame definitivo e l'approvazione del Consiglio regionale.
Per inquadrare il disegno di legge nella realtà piemontese è opportuna una breve descrizione dello stato degli strumenti urbanistici generali esistente al luglio 1977. Il totale dei Comuni provvisti di strumenti urbanistici approvati o adottati è di 822, di cui 499 sono quelli approvati. Degli altri 323 strumenti urbanistici la situazione è la seguente: 67 sono attualmente in istruttoria presso gli uffici dell'Assessorato regionale alla pianificazione e alla gestione urbanistica 219 sono stati restituiti ai fini della loro totale rielaborazione o per modifiche sostanziali. Si tratta in particolare: di 4 piani regolatori generali relativi a Comuni superiori a 3000 abitanti, e di 8 a Comuni inferiori a 3.000 abitanti; di 12 programmi di fabbricazione relativi a Comuni superiori a 3.000 abitanti, e di 195 a Comuni inferiori a 3.000 abitanti 37, di cui 27 relativi a programmi di fabbricazione di Comuni inferiori a 3.000 abitanti, sono stati ritrasmessi con osservazioni per le controdeduzioni.
Il numero dei Comuni che non sono dotati neppure della perimetrazione è di 125, di cui 122 inferiori a 3.000 abitanti. Al 31 luglio 1975 il numero di questi Comuni era di 286. I restanti 262 Comuni sono dotati della sola perimetrazione.
Da questi dati risulta in modo evidente che la grande massa dei programmi di fabbricazione ha dovuto essere respinta o rinviata per le controdeduzioni e che il numero dei programmi di fabbricazione approvati è abbastanza esiguo; e ciò non solo per una coerente severità di giudizio emessa in conformità dei criteri che furono oggetto della circolare del 10 giugno 1976 dell'Assessorato alla pianificazione e alla gestione urbanistica che conteneva, per l'appunto, i "Criteri per l'esame e per la formazione degli strumenti urbanistici comunali", ma soprattutto per il fatto che i programmi di fabbricazione si sono dimostrati uno strumento assolutamente inadeguato a fornire risposte precise per la localizzazione degli impianti industriali, per gli insediamenti residenziali, ai fini cioè, dell'assetto urbanistico e del territorio nel suo complesso.
Il quadro della strumentazione urbanistica generale non sarebbe completo se non si tenesse conto anche degli effetti che hanno prodotto le leggi regionali 23 maggio 1975, n. 34 e 7 giugno 1976, n. 31, relative alla concessione di contributi in conto capitale ai Comuni, ed ai loro consorzi ed alle Comunità montane per la formazione di strumenti urbanistici. Gli oneri derivanti dall'applicazione di queste leggi ammontano per l'esercizio 1976 a L. 1.570.212.425, per 537 Comuni e 204 piani urbanistici, di cui 48 intercomunali interessanti 237 Comuni; per l'esercizio 1977 a L 775.466.757, per 309 Comuni e 135 piani, di cui 31 intercomunali interessanti 125 Comuni Con un totale complessivo di spesa nel biennio 1976/77 di lire 2 miliardi 345.679.182 milioni, per 846 Comuni, di cui 362 interessati a piani intercomunali.
La necessità del rinnovo della strumentazione urbanistica nel Piemonte appare evidente sia per la totale inefficienza dei programmi di fabbricazione, anche a causa della loro intrinseca debolezza di contenuto a risolverei problemi urbanistici dei Comuni, sia per l'esigenza che i piani regolatori abbiano in futuro maggiori approfondimenti tanto sotto il profilo conoscitivo e analitico che sotto quello normativo. Troppo spesso infatti, i piani regolatori si presentano con classificazioni di destinazioni d'uso estremamente sommarie e con normative a volte eccessivamente approssimative e altre, invece, troppo analitiche e prolisse. Questi squilibri derivano essenzialmente dalla mancanza di una normativa regionale di guida per la formazione dei piani che fornisca direttive per la classificazione delle aree affinché i piani dei singoli Comuni possano essere letti in chiave omogenea, anziché costituire episodi a sé stanti non solo sotto il profilo della presenza degli strumenti urbanistici sul territorio, ma anche sotto quello dei loro contenuti.
Sembra opportuno considerare che il territorio nel suo complesso non è stato finora sufficientemente analizzato e che allo stato dei fatti la strumentazione urbanistica può essere sinteticamente espressa con l'emergere di alcune isole di pianificazione su:una piattaforma quasi del tutto priva di norme e di previsioni di intervento. Un'ulteriore osservazione è che molte delle previsioni dei piani regolatori e dei programmi di fabbricazione vigenti, soprattutto di quelli predisposti prima della legge-ponte, comportano previsioni di espansione edilizia estremamente dilatate. Questa tendenza di ipotizzare sviluppi demografici residenziali del tutto generici e di collocare dovunque ampie aree industriali, anche senza alcuna preventiva analisi sull'effettiva possibilità di realizzare nelle zone indicate insediamenti industriali tendenza rilevata sia nei piani più antichi sia in quelli presentati negli ultimi anni - è stata causa non ultima della disseminazione degli interventi sul territorio e di un suo eccessivo consumo a fini urbani. E' una tendenza che va certamente combattuta in quanto contraria al principio del corretto uso di un bene primario ed irriproducibile qual é, appunto, il territorio.
In sostanza, appare chiaro che la nuova legge urbanistica regionale non può occuparsi solo dei centri abitati e dei loro sviluppi, ma deve fornire una normativa che consenta di operare in modo omogeneo su tutto il territorio avendo come primo obiettivo la sua tutela. Questa proposizione era del resto contenuta nel documento di lavoro della Commissione territorio per il Convegno delle Regioni a Milano sull'attuazione della legge 382: l'opportunità, cioè, di sostituire al termine "urbanistica" usato oggi di preferenza per indicare la materia oggetto di disciplina scientifica - con quello di "tutela ed uso del suolo", adottato dal disegno di legge regionale in esame. E ciò, evidentemente, non per ragioni nominalistiche, ma per il significato più pregnante di tale dizione comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, propositivi, normativi e gestionali concernenti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo, con conseguenti effetti sul trasferimento delle funzioni amministrative che concernono l'approntamento e l'attuazione dei piani territoriali e dei piani locali d'intervento.
Il disegno di legge sulla tutela e l'uso del suolo si propone i seguenti obiettivi: 1) di essere una legge essenzialmente operativa; non basata, cioè, su vincoli di carattere statico, ma sulla individuazione degli interventi sul territorio anche al fine della sua conservazione, privilegiandone gli usi sociali. In tutto il disegno di legge l'aspetto operativo è messo in evidenza nei contenuti dei diversi strumenti urbanistici ai vari livelli generale ed esecutivo, e nelle procedure di approvazione 2) di garantire un graduale passaggio dallo stato della pianificazione precedente alla legge, già peraltro modificato con gli indirizzi contenuti nella Circolare assessorile del giugno 1976, verso una situazione a regime che non può tuttavia essere prospettata in termini assai ravvicinati.
A questa situazione, infatti, si potrà pervenire solo quando siano operanti sull'intero territorio regionale i due strumenti essenziali della pianificazione territoriale ed urbanistica, e cioè il piano territoriale inteso come piano contenente le scelte strategiche e i "quanta" di sviluppo economico e urbanistico sul territorio, e l'insieme dei piani regolatori comunali che a regime dovranno comprendere l'intero territorio.
Se questi due livelli sono essenziali per una corretta pianificazione occorre però tenere presente che non possono nascere contemporaneamente nella loro completa dimensione e nei loro completi contenuti. La pianificazione territoriale non ha avuto, fino al passaggio delle competenze alle Regioni, alcuna concreta formulazione: la Regione si appresta ora a definire i contenuti dei piani territoriali per poter avviare, subito dopo, gli studi conoscitivi e propositivi per la formazione di questi strumenti di strategia nei quali potranno confluire tutte le direttive regionali derivanti dal Piano di sviluppo regionale. Poiché la loro formazione non può essere ottenuta in tempi brevissimi, occorre prevedere una fase di transizione tra quella della strumentazione episodica e frammentaria precedente all'entrata in vigore della normativa regionale e quella in cui diverranno operanti, con piena efficacia, i piani territoriali. Questa fase di transizione sarà caratterizzata dall'adeguamento degli strumenti urbanistici vigenti ad indirizzi omogenei e dalla formulazione di nuovi strumenti urbanistici generali impostati in modo più corretto di quanto avvenisse in passato, e cioè con maggiore aderenza alla realtà di fatto. In questo quadro le basi cartografiche, di cui alla legge regionale di recente votata dal Consiglio regionale costituiranno uno degli strumenti tecnici necessari per la necessaria verifica di fattibilità dell'intero processo progettuale e gestionale.
Si delinea dunque un periodo in cui si vanno formando i due livelli di pianificazione, quello di competenza regionale e comprensoriale riguardante la pianificazione territoriale e quello di competenza comunale, e consorziale, riguardante i piani regolatori comunali e intercomunali. E' pertanto necessario che la legge preveda una completa casistica di avvio dei processi pianificatori affinché sia possibile raggiungere la fase a regime, costituita dalla presenza dei piani territoriali per l'intera Regione e di quelli comunali per l'intera mappa del territorio regionale entro i prossimi cinque anni. A regime, i due livelli sono destinati a interagire: il piano territoriale per fornire le indicazioni di carattere strategico, per individuare le dimensioni dello sviluppo articolato nelle varie aree territoriali, per dare ai piani comunali elementi di maggiore certezza e di coerenza al disegno generale del Piano di sviluppo regionale.
Contemporaneamente, i piani regolatori locali, comunali e intercomunali, interagiscono con il piano territoriale in quanto destinati a fornire elementi di precisazione e di concretezza sulle effettive situazioni di urbanizzazione del territorio: e ciò potrà avvenire tanto più quanto maggiormente saranno approfonditi gli studi di carattere conoscitivo ed analitico e quanto più precisa sarà stata l'individuazione delle scelte per la trasformazione e lo sviluppo. Verrà così a stabilirsi tra il livello regionale del piano territoriale e il livello comunale del piano regolatore un rapporto di circolarità che consentirà un processo di continua verifica di coerenza, dal generale al particolare, e dal particolare al generale.
Per giungere allo stadio "a regime" occorre operare sin d'ora, e non già proseguire secondo la logica sin qui seguita, senza attendere la pianificazione territoriale e gli schemi preliminari per poter procedere all'adeguamento degli strumenti urbanistici locali. Ciò comporterebbe tempi molto lunghi e continue incertezze. I due livelli devono essere avviati immediatamente: l'interazione sarà, nel momento iniziale, certamente debole e ridotta, ma andrà via via arricchendosi nel corso del processo conoscitivo e propositivo di entrambi i livelli. I piani a livello comunale vigenti devono pertanto essere rivisti a tempi brevi nella nuova ottica operativa ed essere arricchiti di quei contenuti oggi scarsamente presenti.
Emerge così la necessità che essi specifichino in modo sistematico i due elementi essenziali di ogni piano.
Il primo riguarda la destinazione d'uso, da individuare con classificazioni chiare derivanti da definizioni precise: le norme di attuazione dovranno indicare gli usi ammessi e compatibili, e quelli da escludere per ogni singola classe. Nel disegno di legge questo elemento emerge con una certa rilevanza: prendono infatti corpo con una certa cospicua presenza alcune destinazioni d'uso fino ad oggi ampiamente trascurate dai piani regolatori, come la classificazione dei terreni agricoli ai fini edificatori e quella relativa alle aree destinate ad impianti produttivi.
Il secondo elemento è quello della individuazione per ognuna delle porzioni di territorio rientranti nelle varie classi di destinazione d'uso dei tipi d'intervento urbanistico, intendendosi con tale denominazione la specifica operazione che nell'ambito di ogni classe di destinazione d'uso è prevista o ammessa. Le operazioni principali si possono ridurre ad alcune voci, ad alcune classi di base, che vanno dal mantenimento dello stato di fatto con possibilità di modeste operazioni, alle operazioni più complesse di ristrutturazione totale o parziale - e cioè di abbattimento o rifacimento degli edifici - di completamento di aree già parzialmente urbanizzate - con utilizzazione di lotti interclusi -, fino alle operazioni di nuovo impianto, e cioè alla trasformazione di terreni completamente liberi in urbanizzati con la dotazione di tutte le infrastrutture necessarie.
Queste classi d'intervento valgono sia per destinazioni d'uso residenziali, con tutte le specificazioni che possono derivare dalle situazioni particolari - come è nel caso, per esempio, degli interventi nei centri storici per i quali occorrono ovviamente particolari cautele, oggi mancanti nella stragrande maggioranza degli strumenti urbanistici vigenti sia, ed anche, per le destinazioni d'uso produttive, per quelle commerciali e turistiche. Il disegno di legge reca una articolata specificazione in questa materia con riferimento ai vari momenti della pianificazione generale e di quella esecutiva. Elemento fondamentale per l'operatività degli interventi previsti dai piani è il programma pluriennale di attuazione che fin dalla stesura originaria del disegno di legge n. 117 era previsto come quello che sarebbe poi divenuto uno degli elementi cardine della legge 10.
Attraverso il programma di attuazione il Comune organizza e programma nel tempo la realizzazione delle previsioni indicate dagli strumenti urbanistici generali. Non si tratta pertanto di uno strumento urbanistico in quanto esso delimita semplicemente le aree nelle quali deve darsi esecuzione a preesistenti previsioni urbanistiche. Esso presuppone, di norma, l'esistenza di uno strumento attuativo che costituisce il fondamento giuridico per l'acquisizione, anche coattiva, delle aree per le opere e gli impianti pubblici.
A regime, il programma di attuazione non può che essere generalizzato.
Se questo è il traguardo da raggiungere, ciò non potrà che avvenire con gradualità, con una prima fase di esclusione dei Comuni più piccoli, quelli cioè con una popolazione fino a 3.000 abitanti ed in una situazione di stagnazione demografica ed economica. I programmi di attuazione dovranno sviluppare la loro efficacia non solo come programmi di singoli comuni, ma soprattutto, come è previsto dal disegno di legge e come noti può che essere auspicato ai fini di una politica urbanistica realmente operativa ed efficiente, come programmi, per larga parte del territorio, intercomunali.
Il primo articolo della legge è dedicato alle definizioni generali delle finalità della legge e alla specificazione dei livelli di pianificazione, il livello regionale-comprensoriale e quello locale, e dei relativi strumenti di pianificazione. Particolarmente significative le finalità della legge, condensate nell'art. 1 in nove punti essenziali: la conoscenza del territorio, come atto preliminare di ogni serio intervento la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio naturale e dei beni culturali ambientali e la piena e razionale utilizzazione delle risorse naturali ed infrastrutturali esistenti, come premessa prioritaria ad ogni valutazione di merito degli interventi proposti; il superamento degli squilibri territoriali come obiettivo generale da tener presente nella ricerca delle scelte e degli interventi e una diffusa ed equilibrata dotazione e distribuzione dei servizi, come mezzo principale per il conseguimento di una reale "par conditio" di base per tutti i cittadini della regione per quanto riguarda l'offerta di un ambiente sociale civilmente strutturato; il conseguimento dell'interesse pubblico generale come norma di comportamento per tutti e come principio generale per la subordinazione degli interessi particolari a quelli pubblici generali; la programmazione degli investimenti e della spesa pubblica, come metodo irrinunciabile per garantire un rapporto costante di compatibilità tra scelte tecniche ed investimenti; la partecipazione democratica, come metodo di formazione dei piani e la periodica verifica dei piani e dei programmi pubblici per conseguire la necessaria coerenza interna fra i vari piani e programmi ai due livelli, senza la quale si perpetuerebbe lo stato di incongruenza, episodica e frammentaria, che ha caratterizzato lo sviluppo urbano e l'uso del territorio, su cui è risultato vano ogni tentativo di programmazione della spesa pubblica.
Definiti gli obiettivi di fondo, che costituiscono il sottofondo politico di tutta la legge, questi si ritrovano, come contenuti opportunamente specificati, in tutti gli strumenti di pianificazione ai due livelli, regionale-comprensoriale e locale, e, in quest'ultimo, sia negli strumenti generali, il piano regolatore generale comunale o intercomunale sia negli strumenti urbanistici tecnici ed amministrativi di attuazione.
Così, a livello regionale-comprensoriale, i contenuti del piano territoriale, di cui all'art. 5, strumento principe per le scelte strategiche di competenza regionale, riguardano: l'organizzazione complessiva del territorio, la tutela di specifiche aree, la definizione dei sistemi complessivi strutturali ed infrastrutturali, l'individuazione dei fabbisogni di occupazione, alloggi e servizi per ogni unità geografica costituente le sub-aree comprensoriali, le direttive per la formazione dei piani a livello comunale o di settore, e, infine, la competenza nel coordinamento dei vari programmi di intervento sul territorio. Questi contenuti dovranno permeare tutti gli elaborati del piano territoriale, che si pone come strumento-guida per la pianificazione locale e di settore, e che costituisce il "quadro di riferimento per la programmata attuazione degli interventi pubblici e privati sul territorio".
A livello locale, un unico strumento di pianificazione urbanistica garantisce una omogenea azione pianificatrice del territorio, sia essa promossa dai singoli Comuni, sia essa frutto di azioni concordate fra più Comuni, con l'aggregazione dei relativi piani regolatori in un unico piano regolatore intercomunale. Le finalità della pianificazione del territorio a questo livello si precisano all'art. 11: il riequilibrio territoriale opera necessariamente fra tutti gli elementi costitutivi degli insediamenti penetrando nei rapporti fra posti di lavoro, residenze e servizi; l'uso sociale delle risorse si manifesta nelle operazioni prioritarie di recupero del patrimonio edilizio ed infrastrutturale esistente, nella riqualificazione dei tessuti edilizi, nel soddisfacimento del fabbisogno pregresso dei servizi sociali e di quello da predisporre per lo sviluppo previsto. Ne consegue una arricchita gamma di contenuti che vale non solo a trasferire le finalità suddette in precise scelte tecniche e quindi in interventi topograficamente localizzati; ma anche a garantire un linguaggio comune, per tutti i piani locali , basato su chiare definizioni e classificazioni delle prescrizioni di piano che consenta di rendere effettivamente comparabili i contenuti dei singoli piani e che abbia inoltre un altrettanto chiaro e definito fondamento giuridico.
In questo spirito vengono definite le varie operazioni: a) di tutela e di valorizzazione delle risorse naturali agricole (con l'art. 26 che assorbe la materia di cui alla proposta di legge n. 78) e dei beni culturali ambientali b) le operazioni promozionali degli interventi nel settore industriale, nel settore residenziale ed in quello dei servizi c) gli specifici interventi di salvaguardia del territorio.
Questo stesso spirito di precisazione definitoria sotto il profilo tecnico e giuridico pervade la riformulazione in chiave operativa degli strumenti di attuazione dei piani regolatori generali. Ciò vale sia per i piani esecutivi tecnici, che, pur senza innovare la strumentazione classica formulata dalla legge nazionale 17 agosto 1942, n. 1150, ne rendono attuale il linguaggio; sia per il fondamentale strumento operativo, introdotto dalla legge 28 gennaio 1977, n. 10, ma già presente nel disegno originario della legge, che è il programma pluriennale di attuazione. Occorre qui richiamare il fatto che scade in questi giorni il termine di 180 giorni fissato all'art. 13 della legge 10 per la definizione, con legge regionale dei contenuti e del procedimento di formazione dei programmi pluriennali di attuazione, con l'individuazione dei Comuni esonerati e la previsione delle forme e delle modalità di esercizio dei poteri sostitutivi nei confronti dei Comuni inadempienti. Anche a questo adempimento ci si accinge a dare completa risposta con gli art. 34, 35, 36, 37 della legge, relativi alla situazione "a regime" e con l'art. 83 relativo alla formazione del primo programma di attuazione. Il motivo di fondo dell'inserimento di questi adempimenti nel corpo complessivo della legge sulla tutela e l'uso del suolo, e della conseguente non accoglibilità dello stralcio proposto con la proposta di legge n. 226, sta nel convincimento che solo nell'ambito di una complessiva, articolata e coerente trattazione della materia urbanistica possa radicarsi il programma di attuazione.
Questo programma, per essere compiutamente operativo, nello spirito e per le funzioni ad esso attribuite dal legislatore nazionale, deve attingere da tutta la complessa strumentazione urbanistica generale ed attuativa, ed a questa deve continuamente riferirsi. Innovare solo la strumentazione operativa e non quella urbanistica complessiva nelle finalità, nei contenuti, nel linguaggio tecnico-giuridico e nelle procedure di formazione, costituirebbe una innovazione povera di contenuti. Né una rapida approvazione dello stralcio degli adempimenti di cui all'art. 13 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, ed il rinvio dell'approvazione dell'intera legge sulla tutela e l'uso del suolo sortirebbe alcun esito positivo, ma provocherebbe solo confusione, dato che lo stralcio non prevede l'operatività degli strumenti urbanistici vigenti ai fini della formazione dei programmi di attuazione. L'unica soluzione corretta appare dunque quella dell'esame completo di tutto il disegno di legge, con le norme relative alla fase a regime e quelle di passaggio tra io stato attuale e quello a regime, in uno sforzo di chiarezza e di coerenza che lega tra loro le varie fasi di formazione e le strumentazioni generali e particolari. In questo quadro, il programma pluriennale di attuazione emerge come momento fondamentale di assunzione di responsabilità politica per la gestione del territorio da parte dei Comuni, singoli e associati.
Assunto l'obiettivo politico di dotare tutti i 1209 Comuni del Piemonte di un piano regolatore generale fondato su accertamenti attendibili della situazione di fatto e dei problemi locali , elaborato con una seria ed omogenea metodologia, e capace di effettiva operatività; definiti ai titoli III, IV e V i contenuti e le procedure dei piani generali e dei relativi strumenti tecnici e amministrativi di attuazione, così come si presentano a regime; si tratta di individuare i modi più idonei per un rapido ed efficace passaggio dalla situazione attuale a quella a regime. La prima fase prevista, per tutti i 1209 Comuni, è quella della dotazione di uno strumento urbanistico generale a tempi brevi, per passare successivamente alla seconda tappa: quella della dotazione, la più diffusa possibile, del programma di attuazione, come strumento chiave per avviare la programmazione operativa della spesa pubblica; per toccare, infine l'ulteriore traguardo dell'incontro tra la pianificazione urbanistica di competenza comunale con quella territoriale di competenza regionale e comprensoriale.
L'incontro tra i due livelli di pianificazione avviene, in un primo impatto, mediante l'adeguamento della prima pianificazione comunale formata a tempi brevi, con le scelte strategiche, dimensionali e strutturali della pianificazione territoriale che ne allunga la prospettiva. L'incontro tra i due livelli è stimolante per la definitiva messa a punto di un sistema, completo, coerente e dinamico, di pianificazione, m cui i due livelli sono destinati ad operare, in un processo caratterizzato da una continua interazione propria della fase "a regime". Fissato chiaramente l'obiettivo di una programmazione operativa basata su strumenti urbanistici certi, omogenei e coerenti, le tre tappe di avvicinamento alla fase "a regime" diventano ineludibili. Si tratta di definire con chiarezza i tempi e i modi delle varie fasi di approccio e di individuare con altrettanta chiarezza i tempi e i modi di ingresso nella prima fase. E' pertanto opportuno prendere l'avvio dall'entrata in vigore della legge regionale, dal momento cioè in cui tutti i Comuni piemontesi saranno posti di fronte alla necessità di mettere in moto il processo di pianificazione, partendo dalle varie e multiformi situazioni giuridico amministrative in cui si trovano in campo urbanistico.
I 125 Comuni privi anche di perimetrazione sono sollecitati a dotarsi di perimetrazione nel termine strettissimo di sessanta giorni, incorrendo nel caso di persistente inadempimento, nel provvedimento sostitutivo da parte della Giunta regionale. La necessità della fissazione di un termine molto breve ha il suo fondamento nel fatto che, con l'entrata in vigore della legge 10, in questi Comuni, ogni concessione edilizia è illegittima a norma del richiamo contenuto nell'art. 4, primo comma, della stessa legge 10, all'art. 41 quinquies della legge urbanistica nazionale n. 1150.
Eliminata questa sacca di totale inadempienza, i Comuni che, dovranno affrontare per la prima volta la formazione di uno strumento urbanistico saranno 387, e cioè i 262 Comuni attualmente dotati della sola perimetrazione più i 125 che dovranno dotarsene entro 60 giorni. Essi appartengono quasi tutti alla classe dei Comuni inferiori a 3.000 abitanti.
La legge regionale li pone di fronte all'obbligo di dotarsi entro 24 mesi di un piano regolatore che potrà essere formato sia singolarmente sia per raggruppamenti di Comuni fra di loro consorziati.
Per gli 822 Comuni già provvisti di uno strumento urbanistico approvato o solo adottato le situazioni sono differenziate a seconda dello stato in cui si trovano i relativi strumenti.
Per i 323 piani adottati si avrà il seguente prospetto: i 37 strumenti ritrasmessi ai Comuni con osservazioni per le controdeduzioni potranno passare rapidamente all'approvazione della Regione non appena i Comuni avranno provveduto alla presentazione degli incombenti richiesti, anche nel caso in cui si tratti di programmi di fabbricazione altrettanto avverrà per quelli dei 67 strumenti, attualmente in istruttoria presso gli uffici del competente Assessorato regionale, che saranno approvati direttamente e restituiti per le controdeduzioni i 219 strumenti restituiti per la loro totale rielaborazione o per modifiche sostanziali dovranno essere reimpostati ex novo come piani regolatori secondo i contenuti e le procedure di questa legge regionale.
Il numero dei Comuni che si trovano nelle condizioni di dover formare i piani regolatori assomma cosi complessivamente a circa 600 (sostanzialmente i 219 con strumenti restituiti più i 387 con perimetrazione adottata o approvata o in fase di formazione), corrispondente al 50% dei Comuni piemontesi.
Il dato, preso a sé, potrebbe assumere una dimensione tale da destare delle perplessità e delle preoccupazioni se non lo si confronta con quelli relativi alla gestione delle leggi regionali n. 34 del 1975 e n. 31 del 1976, già citati in questa relazione, a dimostrazione della effettiva volontà manifestata dalle Amministrazioni comunali con la domanda rivolta alla Regione per la concessione del contributo ai fini della formazione del piano regolatore. Per i 499 piani approvati e vigenti, ai quali se ne aggiungeranno circa un centinaio tra quelli attualmente in istruttoria e quelli ritrasmessi per le controdeduzioni, per un totale di circa 600 corrispondente all'altro 50% dei Comuni piemontesi, si prospettano soluzioni differenziate a seconda che si tratti di strumenti approvati anteriormente all'entrata in vigore della legge-ponte 6 agosto 1967, n. 765 e non successivamente adeguati ad essa o di strumenti approvati posteriormente alla sua entrata in vigore.
Per i primi, e cioè quelli anteriori non adeguati, che sono 194 dovranno predisporsi immediatamente le varianti di adeguamento agli standards, mentre per gli altri 305 si tratterà di una mera verifica che potrà anche condurre a dei rifacimenti, comunque non sostanziali.
Va comunque messo in evidenza che per i 600 Comuni provvisti di strumento urbanistico vigente, o che lo saranno in tempi assai ridotti, è possibile avviare subito il primo programma di attuazione e quindi, a breve termine, la programmazione operativa prevista dalla legge 10. In questi Comuni - che se rappresentano la meta, come numero, dei Comuni del Piemonte, rappresentano tuttavia circa i 3/4 dell'intera popolazione piemontese - non si prospetta dunque alcun arresto dell'attività edilizia nessun blocco edilizio come da qualche parte si è paventato. Nello stesso periodo di attesa per la formazione dei programmi di attuazione sono previsti sia la realizzazione dei piani di zona ex legge 167 e delle lottizzazioni convenzionate approvate dopo l'entrata in vigore della legge n. 765; sia il rilascio della concessione su aree dotate di opere di urbanizzazione o per le quali esiste l'impegno dei concessionari a realizzarle, oltre che per interventi di minore entità; sia, infine, la possibilità di predisporre la formazione di piani particolareggiati ovviamente solo nei Comuni dotati di piano regolatore generale, per risolvere problemi di rilocalizzazione industriale.
Nell'altra metà dei Comuni, interessanti il restante quarto della popolazione piemontese, l'attività costruttiva - nell'attesa della formazione crei piani regolatori -, sarà certamente contenuta in termini più ridotti: ma ciò accadeva anche prima, ove si consideri che in essi non sono mai stati fatti piani di zona ex legge 167, né lottizzazioni convenzionate, non potendo queste avere fondamento per l'assenza di base degli strumenti urbanistici. Si tratta, come è noto, di Comuni di minore ampiezza, privi di dinamica demografica ed economica, nei cui confronti la pianificazione urbanistica potrà agire, nel prossimo futuro, come elemento di stimolo per la ricerca di iniziative atte a promuovere, là dove possibile, l'uscita dallo stato di stagnazione. Si innesta a questo punto la problematica dei programmi di attuazione con la scelta tra la obbligatorietà generalizzata e la possibilità di esonero, e con quale ampiezza e durata. Il tema è stato dibattuto a lungo nella II Commissione ed ha portato, per il verificarsi di situazioni di divergenza, che potrebbero anche essere ritenute di non grande sostanza, alla presentazione da parte dei Consiglieri regionali del Gruppo della D.C., membri della Commissione, della già citata proposta di legge per gli adempimenti di attuazione della legge 10.
L'opinione prevalente in Commissione appare quella che, a regime, tutti i Comuni dovrebbero essere dotati di programma di attuazione e che i Comuni di minori dimensioni demografiche possano risolvere tecnicamente il problema con programmi consortili innestati su piani regolatori consortili, di dimensione, cioè, intercomunale. Intendendosi per "a regime" la situazione in cui saranno formati su tutto il territorio regionale i piani territoriali ed i piani a livello comunale si saranno adeguati ad essi, con l'attuazione di quelle aggregazioni intercomunali che i piani territoriali renderanno obbligatorie con la individuazione delle aree sub comprensoriali e delle "unità geografiche" di pianificazione, di cui all'art. 5 del disegno di legge, e che serviranno ad eliminare le residue sacche di assenza di strumenti urbanistici locali. A quel momento, il problema dell'incapacità strutturale dei piccoli Comuni a dotarsi di strumenti urbanistici generali e di strumenti attuativi, tra cui il programma di attuazione, dovrebbe essere risolto.
La domanda che ci si pone è quanto tempo ci separi dalla messa a regime: non meno di tre anni, con una ragionevole ipotesi di cinque o sei anni. E' certo però che i tempi in cui sono, contenute le tre fasi necessarie di approccio a quella "a regime" saranno tanto più brevi quanto più i Comuni strutturalmente deboli saranno facilitati dalle iniziative e dai contributi della Regione, dell'attività dei Comitati comprensoriali e delle Comunità montane. Si è posto, in questo quadro, il problema d'individuare la fascia dei Comuni esonerati dalla formazione immediata del programma di attuazione. Una fascia comprendente ovviamente i 600 Comuni che si sono di fatto autoesclusi essendo tuttora privi di strumento urbanistico: per questi, è chiaro che l programma di attuazione non potrà che essere formato se non dopo l'approvazione dello strumento urbanistico ancora da formare.
Ma si deve anche verificare se tra i 600 Comuni già provvisti oggi, o prossimamente, di strumento urbanistico non ve ne siano di quelli che, per esiguità di dimensioni o per assenza di caratteri di dinamica socio economica, siano temporaneamente da escludere dall'obbligo della formazione immediata del programma di attuazione. Si è così prospettata, all'art. 83 una griglia di parametri che servano a misurare la dinamica socio-economica da applicare ai Comuni inferiori a 3.000 abitanti.
E' opportuno precisare che questa soglia dimensionale raggruppa ben 1.013 Comuni, pari all'85% di tutti i Comuni del Piemonte, con un complesso di 1.007.634 abitanti, pari a circa il 22 % della popolazione piemontese.
La fascia comprendente questi Comuni interessa soprattutto le aree montane e collinari, nelle quali si sono registrati i maggiori spopolamenti, ma comprende anche aree di rilevante interesse turistico. In essa trovano collocazione proprio quei Comuni che nel passato hanno fatto uso massimo, e con effetti disastrosi, del programma di fabbricazione. Se è giusto, o piuttosto di buon senso, prevedere per questi Comuni inferiori a 3.000 abitanti un certo respiro affinché possano dotarsi di un valido strumento urbanistico, non potrebbe sensatamente giustificarsi l'esclusione del programma di attuazione a tempi lunghi, e soprattutto in una situazione "a regime", in quanto l'assenza di programmazione operativa diverrebbe, col tempo, anziché una agevolazione, un impedimento per interventi di sostegno alla loro debole economia.
La soluzione prospettata nel disegno di legge, che prevede l'esonero dal primo programma di attuazione dei Comuni inferiori a 3.000 abitanti caratterizzati da indici negativi di sviluppo, consentirà di avviare con maggiore gradualità il processo pianificatori, senza escluderli dai benefici di un riequilibrio territoriale perseguibile solo in un quadro di generalizzata pianificazione, e quindi di diffusi e non discriminati interventi. In questa visione prospettica e nell'insieme così delineato, la fase "a regime" non si presenta come meta irraggiungibile di buone intenzioni, ma come un complesso di operazioni differenziate nei contenuti e graduate nel tempo, ugualmente convergenti all'unico obiettivo di una programmazione operativa dell'attività pubblica e privata, nell'ambito di strumenti locali certi e chiari, coerenti ad un quadro di riferimento generale -il piano territoriale - strettamente connesso agli indirizzi programmatici contenuti nel Piano di sviluppo regionale e nelle sue articolazioni socio-economiche comprensoriali.
Il disegno di legge n. 117 presentato dalla Giunta regionale prevedeva fin dalla sua stesura originaria, alcune semplificazioni procedurali nella fase di approvazione degli strumenti urbanistici. Queste semplificazioni sono essenzialmente due: 1) la prima riguarda l'assorbimento della fase della pubblicazione dei piani e della presentazione delle osservazioni - opposizioni nella fase partecipativa della formazione del piano. Si tratta d'innovazione certamente importante - peraltro aderente alla generalizzazione del momento partecipativo, in alternativa al momento puramente "pubblicazionistico" coerente con l'impostazione garantista che ispirava la legge 17 agosto 1942, numero 1150 - con due conseguenze: a) la pubblicità si realizza durante la stessa formazione del piano ed anticipa fin dai primi momenti il rapporto fra cittadini e piano, che non è più reso noto solo a cose fatte b) l'assorbimento del momento contestativo nel momento partecipativo solleva la successiva fase istruttoria dalla pesantezza di riesame, quasi sempre solo formale, delle controdeduzioni comunali.
2) la seconda riguarda l'approvazione comunale dei piani esecutivi convenzionati, e cioè delle lottizzazioni, i quali non potendo essere che conformi ad un piano generale approvato e riguardando esclusivamente i rapporti fra Comune e privati possono, a giusto titolo, rientrare nella sfera delle competenze locali.
Era previsto, sin dalla prima stesura del disegno di legge, il passaggio dell'esame dei piani, che necessitano di una superiore approvazione, attraverso gli organismi comprensoriali. Sono stati posti in Commissione, a questo proposito, due problemi di fondo, e precisamente: la necessità di fissare tempi limitati per ogni passaggio, al fine di garantire i Comuni del pericolo della giacenza dei piani per tempi indefiniti nell'attesa dell'approvazione e il quesito se tutte, o almeno alcune, operazioni di approvazione non possano essere decentrabili ai Comitati comprensoriali. Pare che a questo quesito non possa essere data risposta del tutto positiva per un complesso di motivi che sono essenzialmente questi: 1) la natura dell'organismo comprensoriale, sorto con compiti di programmazione, non suscettibile di delega e privo di competenze di amministrazione attiva, almeno fino alla riforma della legge comunale e provinciale e all'istituzione del nuovo Piste intermedio 2) la natura degli atti di piano che, operando una discriminazione fra aree destinate ad usi pubblici e aree destinate ad usi privati, esigono non solo una omogenea verifica, ma anche una investitura di primo grado che non pu pertanto derivare se non dal governo regionale, collegialmente operante 3) la non secondaria riflessione che, pur ipotizzando una struttura comprensoriale che vada prendendo corpo ed irrobustendosi nel tempo, un decentramento immediato, di dimensioni molto diverse ed assai più pregnanti di quelle previste, cadrebbe in un vuoto strutturale di certo non colmabile a tempi brevi.
Sembra quindi meglio confermare la funzione intermedia dei Comprensori come organismo di prima verifica. Essi, operando al contatto dei singoli Comuni, si assumeranno il compito di stimolarne le aggregazioni funzionali ed esprimeranno pareri sui piani urbanistici locali, generali ed esecutivi pubblici, al fine di porre in luce concordanze e discordanze nella mosaicatura dei piani, di formare una prima collazione dei programmi di attuazione da cui fare emergere il quadro della domanda dei contributi regionali, di verificare le compatibilità degli interventi e della spesa pubblica con le linee del Mano di sviluppo regionale. Se questi compiti sono essenziali per un ordinato meccanismo di prima verifica, non sono tuttavia tali da esaurire tutte le esigenze tecniche, amministrative e giuridiche poste da un atto finale di approvazione formale che decida in modo definitivo, salvo gli eventuali ricorsi al Tribunale Amministrativo Regionale, sulla attribuzione dell'uso pubblico delle aree nei piani generali e sulla pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle opere e degli interventi contenuti nei piani esecutivi di iniziativa pubblica.
Individuate le attribuzioni dei Comitati comprensoriali, è possibile risolvere positivamente l'esigenza di tempi brevi e certi nelle varie fasi di passaggio, fissando termini contenuti anche all'istruttoria finale e alle decisioni della Giunta regionale.
Rimane aperto il problema dell'approvazione dei programmi di attuazione, che si vuole da parte di tutti sollecita, e da alcuni decentrata, anche in sede locale. L'introduzione del principio del silenzio assenso sembra assai significativo al riguardo della sollecitudine, come è certo che in prospettiva l'approvazione dei programmi d'attuazione che non prevedono richieste di contributi regionali né l'attuazione di operazioni di grande importanza sotto il profilo delle direttive programmatiche del Piano di sviluppo, come quelle di rilocalizzazione industriale, possa avvenire in sede decentrata. Sembra tuttavia che, almeno nella fase transitoria, di avviamento dell'intero processo pianificatorio, non sia del tutto opportuna né producente la totale sottrazione di una limitata verifica, quanto meno a livello di parere, da parte della Giunta regionale.
Premesse queste considerazioni, è facile constatare che nella stesura finale del testo legislativo, i tempi di approvazione dei piani, nonostante i vari insopprimibili passaggi, sono contenuti in termini assai ragionevoli, con dei massimi di 195 giorni per i piani regolatori generali definitivi, di 180 giorni per i piani particolareggiati e per i programmi di attuazione, a far tempo dalle deliberazioni consiliari di adozione.
La materia della vigilanza e delle sanzioni è contenuta nel titolo VII: le norme del disegno di legge riproducono per larga parte testualmente quelle della legge urbanistica nazionale numero 1150 e della legge n. 10 sulla edificabilità dei suoli. Le questioni che interessano la legislazione regionale sono sostanzialmente quelle relative ai soggetti destinatari delle sanzioni ed alla difformità dell'opera della concessione. Sul primo punto, senza pretendere di risolvere problemi sui quali lo stesso Consiglio di Stato e la dottrina hanno assunto posizioni opposte (come, per esempio se la responsabilità sia della persona che ha effettuato la trasformazione dell'insediamento illegittimamente, e quindi la sanzione possa colpire solo la persona, o se la sanzione inerisca al bene prodotto o trasformato dall'illegittimo comportamento e sia applicabile nei confronti di chiunque sia proprietario del bene, o ancora, per esempio, se la sanzione amministrativa posta a tutela dell'interesse pubblico di non alterazione del mondo fisico sia sempre applicabile, e non possa esistere per essa prescrizione, proprio in quanto più- che di sanzione si tratterebbe di misura che mira a ricostituire un ordine turbato), sembra non possano esistere dubbi su ciò: che la legge n 10 - pur nella dizione confusa e nell'ordine approssimativo dei vari commi dell'art. 15 - non ha abrogato l'art. 31, ultimo comma, della legge n. 1150, e che pertanto rimane fermo il principio generale secondo cui il committente titolare della concessione, il direttore dei lavori e l'assuntore dei lavori sono responsabili di ogni inosservanza delle norme di legge e di regolamento. La seconda questione è che può dare luogo a qualche difficoltà d'interpretazione la qualificazione, totale o parziale, della difformità.
Per questa ragione, trattandosi di valutazione che sicuramente rientra nella competenza sanzionatoria della Regione, si ritiene opportuno di collocare all'art. 63, relativo alle sanzioni amministrative per opere in parziale difformità dalla concessione, una norma che indica come totalmente, e non parzialmente, difformi le costruzioni che superino di oltre un quinto il volume o di un terzo l'altezza prevista nella concessione. Mentre si ritiene di poter aderire ad una soluzione intermedia per il caso in cui l'immobile abbia avuto un mutamento sostanziale della destinazione d'uso rispetto a quella prevista nella concessione. In questo caso si tratterebbe, a stretto rigore, di difformità totale: tuttavia pu sembrare opportuna la fissazione di un termine al concessionario o al proprietario, e a chiunque sia responsabilmente tenuto all'osservanza della normativa, per il ripristino della destinazione d'uso. Dalla possibilità che ciò avvenga o meno dipenderà il giudizio definitivo e coerente sulla qualificazione della difformità: è ovvio che nell'ipotesi negativa, e cioè che il ripristino non sia avvenuto, si procederà ai sensi dell'art. 62 del disegno di legge relativo alla difformità totale.
La II Commissione licenzia il disegno di legge n. 117, al cui esame come è stato detto, sono state abbinate le proposte di legge n. 78 e n.
226, senza che su di esso si sia potuta raggiungere l'unanimità dei consensi. E' tuttavia doveroso rilevare il prezioso contributo culturale di idee e di proposte, offerto da tutte le forze politiche rappresentate e presenti in Commissione che ha consentito un esame approfondito e puntuale dell'iniziativa legislativa. Si tratta di una materia complessa e difficile, di un provvedimento "portante" dell'ordinamento regionale destinato ad avere cospicue e determinanti implicazioni non solo sull'assetto del territorio, ma sullo stesso sviluppo socio-economico della Regione. L'effettivo governo del territorio passa certamente, come riconosciuto dai più ampi schieramenti di forze politiche e sociali attraverso la riorganizzazione e il consolidamento delle autonomie, dei poteri e delle strutture locali in "entità amministrative" coerenti con la dimensione territoriale in cui si esprime la domanda sociale. Questa riorganizzazione, tuttavia, non è condizione sufficiente per l'efficace gestione delle risorse del territorio, Occorre, infatti, rinnovare profondamente il quadro degli strumenti di pianificazione, nei contenuti e nei processi di formazione: da un lato, stemperando gli aspetti garantisti e coerenti con la privatizzazione delle risorse, propri delle normative fino ad oggi in vigore, e aprendo, invece, in un più generale snellimento delle procedure, autentici spazi giuridici alla partecipazione delle forze sociali; dall'altro, richiedendo alla pianificazione urbanistica aderenza ai problemi reali della collettività e promuovendone l'effettiva operatività e capacità di tradursi in opere.
A tali propositi va riferito il disegno di legge n. 117. Propositi ai quali la legge n. 10 ha successivamente conferito, nel sostituire la programmata attuazione dei piani al precedente regime vincolistico garantista, una maggiore chiarezza giuridica; e oggi pienamente assunti quali orientamenti delle Regioni nel documento unitario del 14 aprile 1977 per l'attuazione della legge n. 10.
L'approvazione del disegno di legge non e che il primo momento di questa nuova politica di governo del territorio. L'esperienza che si andrà maturando e la verifica delle scelte operate saranno i migliori giudici della legge.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bianchi.



BIANCHI Adriano

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, a quest'argomento abbiamo dedicato, fino ad oggi, non poco impegno, non poche energie e non poca partecipazione, anche affettiva; ci collochiamo quindi nei termini più positivi, anche se dovremo esprimere riserve, dubbi ed incertezze critiche.
Vorrete scusarmi se il seguito un po' tumultuoso delle sedute di questi giorni non mi consente di sviluppare l'intervento che avrei voluto fare: la vostra benevolenza colmerà i vuoti e intenderà dagli accenni le cose che potevano essere, altrimenti, più compiutamente espresse. Innanzitutto vorrei dire qual è l'atteggiamento del mio Gruppo, del mio partito e mio personale di fronte a questa scadenza, a questo impegno.
Vi è innanzitutto un aspetto positivo. Noi riteniamo che sia giusto opportuno e tempestivo affrontare l'argomento, non oggi a quest'ora, lo è anche a quest'ora, perché oggi è il 28 luglio, una scadenza prevista dalla legge n. 10 e quindi siamo ad un appuntamento. So che in sede parlamentare a volte fermano l'orologio e poi lo rimettono in moto, non so se si determineranno necessità di questo genere: comunque noi siamo qui puntualmente per affrontare anche la scadenza temporale. Il nostro atteggiamento è pure positivo sotto il profilo delle valutazioni culturali ed in termini politici generali, sulla necessità, sull'opportunità che la Regione affronti una delle materie più qualificanti delle competenze che le sono state trasferite.
Durante i lavori della Commissione, cui ho partecipato come ho potuto abbastanza frequentemente e spero nei momenti in cui si affrontavano i temi più significativi, ho avuto l'impressione che questa legge, di dimensioni parlamentari, richiedesse per il suo esame anche strutture di livello parlamentare. Credo che quando saremo giunti alla conclusione, al traguardo, avremo superato comunque, insieme e come istituzione, un grosso esame, perché dal punto di vista meramente legislativo, a mio avviso neanche il lavoro statutario, nel quale erano investite ragioni ideali profonde, in cui ciascuno portava la propria esperienza e tutto un bagaglio storico, culturale, giuridico della forza politica che lo aveva espresso neppure quel lavoro risulto cosi impegnativo dal punto di vista legislativo e politico quanto lo è questa legge, per i riferimenti che ha, per le conseguenze che determinerà nella realtà comunale e regionale, perchè è portatrice nel suo impianto di un'ambizione, sotto questo profilo legittima, di introdurre una disciplina in questa materia, quale è quella che può darsi uno Stato.
Diciamo quindi che noi condividiamo i propositi, le tensioni che sono espresse, come fini generali, da questo strumento, da questa proposta. La tutela del suolo, la predeterminaziore e di condizioni ambientali nelle quali la qualità della vita, di cui si parla e per la quale poi si riescono a fare cose molto inferiori a quelle che sr desiderano, sia veramente a livello della civiltà che ci preme di realizzare. Il problema della tutela dei valori estetici, culturali, nel paesaggio rurale e nel paesaggio urbano e l'instaurazione di una disciplina che solleciti la creazione di nuovi valori, non si risolvono o realizzano con una razionalizzazione tecnica una tutela economica, una predeterminazione razionalistica di situazioni ottimali, ma con la precostituzione di condizioni che siano di stimolo alla creatività, in un quadro di rispetto delle esigenze collettive.
Vogliamo quindi orientare le osservazioni, le critiche che abbiamo formulato, le alternative che abbiamo cercato di proporre in questo senso.
Naturalmente non abbiamo proposto un'alternativa globale, solo una grossa istituzione, con l'impianto e l'assistenza di strutture importanti, come quelle che ha mobilitato la Regione Piemonte, non ultima, mi sia consentito di dirlo, anche la personale qualificazione, eccezionale qualificazione dell'Assessore che ha atteso con tanta passione e tormento personale a questa vicenda, potevano consentire di offrirla, di offrire una proposta ed un quadro rispetto al quale tutti potessero misurarsi. La tutela di questi valori culturali, il raggiungimento di queste finalità, nella constatazione di un Paese come il nostro, sul quale la storia ha inciso profondamente e sul quale l'uomo ha operato concorrendo a dargli la sua fisonomia; in un Paese sovrappopolato, in un Paese pieno dì cose preziose e fra le quali più prezioso diventa, tra i beni preziosi, lo spazio, ecco, la necessità di una disciplina urbanistica, di una disciplina per l'uso del suolo esistente e diventata assolutamente decisiva ed assorbente anche in ordine alle possibilità di- avviare e di consolidare i processi di sviluppo economico e civile nel tempo. Ma questa condizione, tutte le difficoltà, gli errori, le insufficienze dei tempi passati, la sorpresa nella quale siamo stati coinvolti di sviluppi rapidissimi, dei quali verrà poi il momento in cui varrà la pena di ricordare anche gli aspetti positivi, quale il numero delle persone che sono pervenute alla proprietà della casa, le nuove condizioni in cui la gente è passata a vivere rispetto a quelle secolarmente conosciute. Le insufficienze sono più brucianti, ma per l'avvicinamento a certe nuove condizioni vi e stato un passaggio; non tutto è stato dunque negativo, ma ciò che è positivo sicuramente fu pagato anche in termini negativi, che noi riconosciamo.
Ricordato tutto questo, diciamo, precisiamo subito, poi specificheremo che ci poniamo in un'ottica non negativa, non, punitiva, non bloccante, in una prospettiva che crede che tutti gli aspetti positivi, dello sviluppo economico, dello slancio creativo di un popolo come il nostro, possano essere, in una civiltà politica, sociale e democratica avanzata, egualmente preservati, consolidati e garantiti.
La prospettiva dunque di uno sviluppo sicuro e non soltanto lo sviluppo, quasi mitizzato, quando è interamente guidato dalla mano pubblica, ma lo sviluppo in cui ci sia lo spazio per la creatività privata.
Certo, in un Paese come il nostro ci si può soffermare a considerare guardandosi attorno, quanto di meraviglioso è stato creato in funzione di una libera creatività delle comunità, degli Enti locali, delle persone della loro qualificazione.
Oggi abbiamo la preoccupazione gravissima della tutela del suolo destinato all'agricoltura, e rivendichiamo non delle priorità in questa direzione, sarebbe antipatico, ma credo che tra i primi abbiamo insistito per portare l'accento su questo problema; dobbiamo però anche ricordare che le nostre campagne per la struttura degli edifici esistenti, per la loro distribuzione, costituiscono un patrimonio meraviglioso, creato senza pianificazione, in virtù di una civiltà, di valori interiori presenti ed operanti nell'uomo e nella società. Nel momento in cui ci applichiamo a compiere delle operazioni razionalistiche, ad interventi in cui l'intelletto dovrebbe regolare tutto, teniamo presente bene che vi è qualcosa di più prezioso, che garantisce di più per le prospettive future e questo non è la norma nella sua rigidità, non è il meccanismo degli strumenti che siamo chiamati a predisporre, perché questo è il nostro dovere ed il nostro compito. Per essere espliciti diciamo che i giudizi che abbiamo variamente motivato su tanti punti convergenti, rispetto agli effetti rovinosi di natura sociale, umana ed economica di un uso del territorio, che gli strumenti giuridici esistenti non hanno potuto sufficientemente controllare ed indirizzare, non possono essere assunti a giustificazione, a pretesto per un nuovo corso, per un regime giuridico che, al di là di alcune enfatiche finalizzazioni verbali, si traduca in una semplice sovrapposizione di vincoli e di procedure ritardanti e scoraggianti, in una gestione che finisca per essere burocratica, del patrimonio edilizio e del suolo, capaci di spegnere ogni apporto creativo ed evolutivo, con effetti indiretti di ordine culturale, politico ed economico o non accettabili per una società democratica. Direi che se il risultato del complesso di norme nazionali e regionali, pur finalisticamente ben orientate, pur tecnicamente ben congegnate, fosse quello di un impatto tale sulla comunità regionale, sugli operatori privati, pubblici, semipubblici e semiprivati (mi riferisco alle elencazioni tentate nel testo della Giunta) da far ritenere che é iniziata l'epoca della passività, in cui tutto viene scaricato sull'Ente pubblico e su iniziative che provengono da lontano, il risultato sarebbe fortemente passivo.
Vorremmo invece che fosse finita l'epoca della speculazione, della deturpazione e della distruzione del suolo, ma non che fosse finita l'epoca in cui vi è anche spazio per l'iniziativa e per la creatività e sopravvenisse, per effetto diretto dr alcune norme bloccanti e, per indiretto effetto psicologico, una situazione di paralisi.
Se questo fosse l'esito, noi avremmo compiuto un'operazione politicamente poco saggia, sebbene sostenuta dalle migliori intenzioni: il fare politica non significa soltanto costruire strumenti, perfetti dal punto di vista logico e razionale, significa anche commisurarli alla capacità di recepirli e di attuarli, di farli propri da parte della comunità regionale. Abbiamo perciò un compito ed un impegno politico di rapporto, di informazione, di lievitazione culturale che si proietta al di là dell'approvazione di questa legge. Occorre riaffermare che sia la piena coscienza come l'accelerazione dei processi di sviluppo realizzatisi nel dopoguerra, con il ritorno alla democrazia e con la prorompente mobilitazione ed esaltazione di interessi particolari, ha trovato impreparato il Paese nel suo complesso e gli operatori del settore specifico a fornire un quadro culturale di valori e di comportamenti capaci di meglio controllare ed utilmente finalizzare le energie sprigionatesi. I ritardi ed i guasti, anche gravi, che sono sotto gli occhi di tutti, non giustificano, pero, pessimismi radicali sulla possibilità di correzione e di recupero; ne legittimano una concezione pessimistica e punitiva che avrebbe per unico sbocco una burocratizzazione indifferente ai processi di sviluppo civile e di autogoverno. In sostanza, la nuova impostazione legislativa e soprattutto la strumentazione amministrativa e i suoi raccordi con la società civile devono poter realizzare una giusta sintesi tra la necessità di una più puntuale presenza pubblica, in ogni fase della gestione del territorio, con le accresciute esigenze di autonomia e di partecipazione che salgono dalla persona singola per giungere alla comunità locale, agli Enti minori e, infine, alla Regione e allo Stato.
Nel momento in cui si accentua da parte del potere pubblico un processo di direzione di questa materia, deve realizzarsi fino in fondo e coraggiosamente l'impegno a moltiplicare le sfere di autonomia, e quindi il coraggio del rispetto della massima autonomia, locali ed intermedie, con la capacita di affrontare anche alcuni rischi sul piano dell'uniformità e delle perfezioni formali, purché non si spenga questa creatività partecipativa della comunità.
La debolezza degli Enti locali che, secondo i consulenti della Giunta se "hanno fatto cattivo uso della propria autonomia" non può essere assunta a pretesto per espropriare sostanzialmente i Comuni e le stesse aree omogenee, da prendersi a riferimento per una corretta pianificazione urbanistica, dei poteri (il accertamento e di approfondimento per la conoscenza delle realtà e delle esigenze dei rispettivi territori per sottrarre loro facoltà di scelta e decisione, oltre a determinare le condizioni del futuro. Il disegno di legge n. 117, pur con la nobiltà del suo impianto culturale, pur con la ricerca di un suo rigore e di un suo interno equilibrio, ci è parso, al primo esame approfondito, come viziato da una concezione che sembrava poter fare tabula rasa, quasi con fastidio dell'esistente, di ogni diversità vitale, per imporre uno schema rigido quindi, presupponente l'anno zero dell'urbanistica. A volte si accentuano le posizioni per rendere più chiaro il concetto, ma sembra proprio che vi sia quasi un rifiuto ad essere coinvolti nell'esistente, per non turbare la perfezione del quadro che si vuole costruire. Uno schema rigido, quindi presupponente la partenza da una superficie liscia sulla quale la fantasia e l'azione del legislatore possano prefigurare il futuro, Partendo dalla visione di una strumentazione centralistica, come si fa a garantirsi della perfezione di un quadro quando se ne deve affidare l'esecuzione libera a molteplici interpreti, che non possono essere rigidamente controllati? Allora ne deriva la conclusione: portiamo a concentrare il potere decisionale nella Regione, come autorità centrale e, per essa, nella Giunta regionale e, ancora, all'interno di questa, nell'urbanista programmatore tecnocrate illuminato, singolo o collegiale. Nella struttura del disegno di legge è prefigurata questa posizione e poiché le leggi licenziate vanno per la loro strada, non abbiamo neppure la garanzia che l'illuminato direttore di tutta questa vicenda possa essere sempre il prof. Astengo. Le vicende politiche sappiamo che fanno passare per questi ruoli anche personaggi che vi si applicano "en passant", e quindi uno strumento che dipenda per la sua funzionalità da una "superiore" direzione di vertice, sarebbe estremamente pericoloso...
Questo disegno si è corretto in parte perché la legge è stata elaborata in una certa fase in cui non erano presenti molti elementi che sono soppravvenuti, ma il disegno panurbanistico era preesistente: lo sforzo di riportare nella legge la programmazione del territorio, con tutti i suoi contenuti, con tutte le sue prospettive, con tutti i suoi strumenti di controllo e di stimolo dello stesso sviluppo, quasi tendendo a riaffermare il primato di questa disciplina, riassumendo in essa ed in una scala gerarchica le altre.
Questa caratteristica si è andata modificando e correggendo, ma ancora oggi, se esaminiamo, dopo le trasformazioni notevolissime avvenute, le norme che riguardano il piano territoriale di coordinamento, in relazione alla legge sulle procedure da poco approvata, vediamo che il coordinamento non è ancora perfetto, che vi sono ancora rischi di interpretazioni contradditorie, di fasi parallele, di possibili conflitti tra i vari momenti delle attività programmatorie e che le stesse gerarchie sono stabilite in termini non tutti omogenei e verificati. Questo è un aspetto molto delicato e mi pare necessario che il Consiglio regionale mediti le conseguenze ed assimili i contenuti della legge sulle procedure, senza farne uno statuto intoccabile, perché anche questa legge sarà soggetta a tutte le verifiche. E' necessario realizzare un coordinamento che non sia limitato alla trasposizione nella seconda legge di alcune delle definizioni accolte nella prima e nell'eliminazione delle contraddizioni più evidenti.
Uno dei vizi del disegno di legge era rappresentato dal tentativo, più o meno consapevole, di farne un nuovo statuto, un codice organico, in cui ritrovare tutte le finalità e tutti gli strumenti. Il nuovo, dunque, non deve avere il sapore antico di rigidità ideologiche, non corrispondenti all'attuale fase di sviluppo della nostra società. Noi, esprimendoci in Commissione, avevamo sintetizzato questo giudizio critico così: "la legge urbanistica non detta, ma recepisce le linee, i criteri e le metodologie della programmazione economica; non comprende, ma presuppone la legge sulle procedure della programmazione o alle stesse fa rinvio, non assumendone parte del testo, riaffermando una propria autonomia (anche questo metodologicamente non è del tutto accettabile, perché abbiamo appena concluso un duro dibattito sulla programmazione, e se vogliamo renderla seria sempre di più, ma non rigida, dobbiamo stabilire anche questi collegamenti e queste gerarchie); non stabilisce i livelli delle autonomie o non incide sui loro contenuti, che altrimenti vanno definiti, rispettati e valorizzati; non è un mezzo indiretto per modificare i rapporti tra le autonomie; non delimita i sub-comprensori, li identifica tecnicamente e cartograficamente nei piani territoriali, la definizione del sub comprensorio va effettuata nella sede della programmazione che investe la totalità dei problemi di cui poi la strumentazione urbanistica è soltanto uno dei momenti pur molto qualificante".
Riconosco però che l'urbanistica ha pure una sua propria validità ontologica - scusate il termine - vi sono dati ed elementi che preesistono che sopravvivono a queste attività perché legate alla storia, alla struttura del territorio, alla sua essenza, ad opere che non sono continuamente modificabili rispetto ad astratte esigenze dello sviluppo economico, nel tempo breve.
La nostra partecipazione all'attività della Commissione, come è stato riconosciuto, si è ispirata a queste posizioni, constatando "in itinere" che, nel frattempo, erano modificati molti elementi: sopravvenuta la legge 28/1/1977 n. 10, la Regione procedeva nello studio, nell'elaborazione e nel dibattito di progetti, iniziative e proposte per un Piano di sviluppo e si dava carico dell'approvazione di una legge sulle procedure; infine, la situazione economica e di crisi ci richiamava al senso del tempo che accentuava, l'esigenza di nuove previsioni riguardanti le rilocalizzazioni industriali. Ma vi è una preoccupazione di carattere generale, e cioè di non sommare agli effetti della crisi, nella quale l'edilizia manifesta i punti più gravi, quelli dovuti all'impatto non mediato, non graduato, di una legislazione urbanistica che potrebbe determinare effetti perversi che mal premierebbero le buone intenzioni. Dobbiamo quindi applicarci, in questa fase, ad estrarre dalla legge ogni elemento che non sia indispensabile ed utile ai fini della corretta disciplina urbanistica senza andare di proposito alla ricerca del perfezionismo, al di là delle prescrizioni e previsioni della legge n. 10. Abbiamo sentito poc'anzi dal relatore, avv. Calsolaro, che è presumibile un tempo di messa a regime che va dai cinque ai sei anni; chi ha fatto valutazioni approfondite, ritiene che si finirà per arrivare ai 10 anni. Quando si parla di strumenti urbanistici per oltre mille Comuni; quando si prevede la necessità dei programmi di attuazione per le stesse dimensioni; quando si consideri che questi ultimi, essendo una novità assoluta, anche dal punto di vista tecnico, richiederanno approfondimenti, ricerche e persino scuole per imparare a farli, e poi si guarda alla realtà, ci si accorge che non si pu costruire un motore di aviazione per applicarlo sulla carrozzeria di una piccola vettura, perché si fa saltare per aria tutto.
Ed allora, ci sono le condizioni culturali, la preparazione tecnica, la strumentazione per la messa a regime che consentano di realizzare l'avvio in tempi ragionevoli, di una legislazione così complessa, così organica e così perfetta? Anche su questi punti va applicata l'attenzione, non per svalutare, non per rinviare, non per sottrarre importanza a traguardi che possiamo ritenere in certe misure comuni ma per operare nel concreto, nel politico, nel reale e in tempi storici. Quante scadenze la legge ha subito? Ne ricorderemo la storia, quando affronteremo il testo, articolo per articolo. Credo che questa legge proponga un problema didattico e pedagogico. La gente è lontanissima dall'immaginarsi cosa l'attende, nel senso che in buona misura è lontana, anche culturalmente, rispetto all'acquisizione dei principi e meccanismi che l'informano. Abbiamo il dovere, quindi, di discutere questa legge, affrontando ogni singolo tema in modo da spezzare il pane per noi e per gli altri, in modo da far comprendere, fino in fondo, la portata e il significato di ogni norma e da spiegarne la maturazione e l'elaborazione. Faremo dunque questa storia, ma io passo ad alcuni punti essenziali.
La novità, ad esempio, della deliberazione programmatica, che prepara il piano regolatore che si realizza appunto in tre tempi: la deliberazione programmatica, il progetto preliminare e poi il piano finale. La previsione è degna di considerazione, ma vorrei soltanto che la deliberazione programmatica non divenisse, come inizialmente si prospettava secondo l'interpretazione se non nell'intenzione, come un mezzo per far discutere e votare documenti generici nei quali le forze politiche si sarebbero impegnate, per quindi passare al progetto e su questo far esercitare la partecipazione. Ma, una volta consolidato un generico consenso su una certa linea, da parte delle forze politiche, la partecipazione comincia a non avere più un valore determinante. Riteniamo quindi che debba darsi concretezza e obiettività a questo strumento evitando di far circolare per i tanti piccoli Comuni del Piemonte documenti già predisposti in cui si troveranno tirate ideologiche, magari di contenuto culturale discutibile atte a coinvolgere, e che verranno approvate pensando "tanto non sono cose concrete". No: già il testo attuale, come è arrivato in aula, è diverso, ma credo che il Consiglio debba applicarsi ancora per rendere la "dichiarazione" più obiettiva, concreta, politicamente significativa e non deviante.
Il fatto poi che, fino all'approvazione del piano territoriale di coordinamento, il piano regolatore intercomunale possa essere formato su semplice richiesta della Giunta regionale, mi pare introduca un ulteriore elemento dirigistico nei confronti dei Comuni che sono già premuti per la scarsezza dei mezzi, dipendendo per questi dalla Regione che li distribuisce e li convoglia attraverso i Comprensori. All'art. 21 si è parlato di effetti bloccanti. Noi ne proporremo la soppressione, salvo la possibilità di esaminare diverse formulazioni perché, così come si presenta, evidenzia il carattere di blocco generalizzato in attesa del piano territoriale di coordinamento, essendo riservati ai piani regolatori contenuti meramente conservativi e di riordino dell'esistente e di recupero. In materia di limiti per la tutela del suolo agricolo, rilevo l'esistenza di una formulazione che riterrei addirittura incostituzionale che discrimina le imprese, con l'indebita trasposizione di una normativa validissima in altre sedi. La qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale diviene condizione per ottenere la concessione per impianti di tipo agricolo, distinguendo tra l'imprenditore agricolo a titolo principale e l'imprenditore agricolo a titolo non principale.
Sugli strumenti urbanistici attuativi abbiamo presentato, senza pretese sostitutive e senza alternative culturali, una proposta di legge che consideriamo come emendamento, poiché oggi è il 28 luglio, adattando articolo per articolo di riferimento. In materia di programmi di attuazione abbiamo discusso a lungo, perché oltre il merito sono emerse una serie di questioni emblematiche, riprese nella relazione di Calsolaro ed oggetto di discussioni, intense ed impegnate, sul piano formale e contenutistico. Non vi è mai stato, da parte di nessuno, un atteggiamento di distacco o di superbia intellettuale anche di fronte ad osservazioni fatte da profani che a volte potevano indurre al sorriso; vi è stata però discussione vivace per l'affermazione di alcuni principi: abbiamo sentito il Consigliere Calsolaro motivare le ragioni per cui si propone, nella fase del passaggio a regime di esonerare una fascia di Comuni dal programma di attuazione. Ricordiamo che il disegno di legge non prevedeva alcun esonero, anzi, prevedeva l'obbligo per tutti i Comuni di farvi ricorso. I Consiglieri che vengono da tutti gli angoli del Piemonte e ne risalgono le valli conoscono le realtà della nostra Regione e sono molto preoccupati. La soluzione che ci viene proposta oggi è quella di riconoscere il principio dell'esonero, ma sostanzialmente di negarlo nei fatti. Non potendo cioè negare la validità dell'obiezione, la si raccoglie e poi la si svuota dall'interno con una serie di condizioni previste per la formazione degli elenchi dei Comuni esonerati. Non sono bravo a fare battute, ma consentitemi di dire che in questo modo gli unici Comuni esonerati dal programma di attuazione, li potremo trovare nella vicina Alta Savoia o in Svizzera. E' pur vero che devono essere inclusi nell'elenco degli obbligati tutti i Comuni, anche i piccoli, che sono stati o sono oggetto di iniziative determinate; lo sappiamo anche noi che muovendoci in Piemonte abbiamo sofferto di certi spettacoli, dei pregiudizi arrecati all'ambiente da iniziative pseudo turistiche o mosse dalla spinta alla seconda casa con creazione di ambienti semi-morti, per gran parte dell'anno.
La previsione dell'esonero però non è sufficiente per i Comuni fino a 3000 abitanti poiché sappiamo che la realtà politica riconosciuta non consente di avere un minimo di strumentazione. Se obblighiamo questi Comuni ad adottare i programmi rispetto ai quali non hanno alcuna preparazione tecnica e nessuna predisposizione di mezzi, li condanniamo a divenire vassalli totali della struttura centrale e piccoli clienti alla mercé di chi presta gli strumenti ed i mezzi: risultato questo che noi non vogliamo.
Se questo altri non vuole, occorre porvi rimedio. Il programma di attuazione non è uno strumento urbanistico, è un mezzo, è uno strumento amministrativo per realizzare la programmazione, per darle razionalità e concretezza, per commisurare i mezzi ai fini. Ebbene, ci sono già gli strumenti urbanistici che venivano richiesti per tutti i Comuni e a regime sarà giusto che si adotti il piano regolatore da parte di tutti i Comuni ma non che si preveda l'approvazione generalizzata dei programmi di attuazione.
L'ambito del Comprensorio è più che sufficiente per giudicare la congruità e la compatibilità di questa strumentazione rispetto alle linee della programmazione o rispetto alla disciplina obiettiva esistente negli strumenti urbanistici senza prevedere l'approvazione dei programmi addirittura da parte della Giunta regionale.
Avrei altri argomenti, ma ho tediato abbastanza il Consiglio, mi basta aver espresso alcune valutazioni, indicazioni e linee. I colleghi del mio Gruppo si soffermeranno su alcuni degli aspetti, che ho soltanto enunciato.
Questa legge, pur profondamente elaborata e rielaborata nella Commissione richiede un ulteriore esame, richiede una rielaborazione articolo per articolo, senza fretta, senza angosce e senza sollecitazioni. Noi siamo disponibili. Qui non vale il "si fa l'Italia o si muore", facciamo dunque la legge urbanistica, ma facciamola come si deve.
Crediamo di aver dedicato tutta l'attenzione all'argomento, con la puntualità della presenza in Commissione, con la continuità delle osservazioni, con un dialogo che, quanto meno per riferimento, sicuramente è servito all'Assessore anche per rielaborare, - per approfondire, per verificare la validità delle soluzioni. Crediamo quindi di avere tutte le carte in regola perché questo dibattito, senza equivoci, possa proseguire oggi e in altri giorni, senza soluzioni politiche di continuo. Non chiediamo interruzioni, non chiediamo rinvii a nuovo ruolo, come dicono gli avvocati. Questa legge è stata messa in discussione oggi davanti al Consiglio, e siamo qui, numerosi, impegnati, seri, malgrado la sovrapposizione di altre materie pesantissime, per dedicare tutto il nostro impegno e tutta la nostra attenzione perché si pervenga ad un risultato costruttivo, consapevoli come siamo che di questa legge si ricorderanno a lungo, speriamo solo in bene e solo in termini di promozione, i cittadini della Regione.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Benzi.



BENZI Germano

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, questa specie di giro d'Italia che stiamo compiendo in cinque giorni di dibattito mette a dura prova i Consiglieri e la Giunta. E' un peccato che una legge di questa importanza forse la più importante che si sia discussa dopo lo Statuto, ci trovi affaticati, in un momento in cui siamo ormai tutti in disarmo perch pensiamo alle ferie.
E' stata una legge con una vita lunga e travagliata, rifatta forse ex novo del 70% La prima stesura presentata dalla Giunta ci trovava nettamente ostili perché la giudicavamo una legge perniciosa per il Piemonte, una legge che avrebbe recato senz'altro più danno che vantaggio all'assetto del territorio.
Durante la consultazione dei Comprensori e delle associazioni interessate, abbiamo avuto il piacere di ascoltare i difensori ad oltranza di questo provvedimento e coloro che invece negavano ogni possibilità di suoi effetti benefici.
Oggi stiamo discutendo su un testo nettamente diverso che, grazie all'apporto venuto dalle consultazioni e dal lavoro in Commissione, è stato rifatto in buona parte, tant'è che possiamo discuterlo con un altro spirito.
Cos'è che ci preoccupava e che ci preoccupa ancora oggi? Secondo noi i piccoli Comuni, più indifesi, quelli che mancano di ogni struttura tecnica che molte volte hanno un Segretario comunale con altri tre o quattro Comuni, sono in difficoltà enormi per poter star dietro a ciò che chiede la legge, tant'é vero che avevamo chiesto di fare delle differenziazioni fra i grossi e i piccoli Comuni. Questo è stato fatto, però il limite di 3 mila abitanti per il Piemonte è ancora troppo elevato, poiché circa 600 sono i nostri Comuni al di sotto dei 1.000 abitanti, e sono quelli che effettivamente temono di dover pagare dei grossi scotti. Ho letto diverse relazioni inviate da piccoli Comuni: tutti quanti erano preoccupati per i vincoli e per non potere, in nessuna maniera, esaudire le richieste della Giunta.
Inoltre ci preoccupano i tempi di realizzazione. Facendo un conto approssimato, si era stabilito che, se tutto procedeva regolarmente, un piano regolatore impiegava dai 26 ai 30 mesi per poter essere approvato. E tale constatazione ci ha colpiti perché se tutti quanti i Comuni avessero immediatamente fatto quanto la Giunta richiedeva, avremmo avuto un tale ingombro di piani regolatori presso l'Assessorato per cui o si triplicava il personale addetto al loro esame o i piani sarebbero rimasti fermi per chissà quanti anni. Erano tutti timori che abbiamo esternato. A qualche incongruenza si è effettivamente ovviato, ma certamente non in modo completo. Nutriamo inoltre gravi preoccupazioni in merito al problema occupazionale. Tutti eravamo convinti che, applicando la legge come era stata formulata, avremmo avuto un arresto massiccio di quella poca attività edilizia che oggi ancora esiste; un arresto massiccio che avrebbe procurato altre disoccupazioni in un settore che già in questo momento non è molto brillante. Si pensava che circa 20 mila persone nel settore edilizio sarebbero rimaste disoccupate, in quanto la legge restringeva talmente la possibilità di fabbricazione che molti cantieri avrebbero chiuso.
Siamo tutti convinti che è necessario difendere l'uso del suolo impedire degli illeciti speculativi sulle costruzioni. Avendo tenuto per due anni l'Assessorato all'urbanistica, ritengo che se si applicassero certe leggi, una parte dei Sindaci darebbero le dimissioni in quanto hanno dato adito a grossissime speculazioni, rovinando effettivamente il territorio. Tuttavia non possiamo votare una legge talmente dura da soffocare totalmente i Comuni.
La prima parte del mio intervento ha voluto spiegare come era la situazione prima che la Commissione riprendesse in mano il provvedimento per riesaminarlo. Tutte le forze politiche hanno collaborato al miglioramento del testo apportando delle modifiche, a seconda delle capacità.
Come ha già fatto il collega Bianchi, vorrei rivolge re un ringraziamento particolare all'Assessore. Egli ha fatto il possibile per accogliere tutto quanto era accoglibile. Non sempre ci siamo trovati d'accordo, ma è tuttavia da mettere in rilievo la sua operosità continua il modo con cui ha cercato in tutte le maniere di venire incontro a ciò che la Commissione segnalava, non mandando suoi delegati, ma pagando sempre di persona. Al di fuori delle conclusioni, al di fuori di quello che sarà il nostro apprezzamento sulla legge, in questo momento va fatto un apprezzamento all'uomo, al suo impegno per cercare di salvaguardare la maggior parte degli interessi del Piemonte. Ritengo che una legge urbanistica non sia una legge di parte, non può essere una legge di parte deve essere una legge che rispetta le possibilità per i Comuni, per i costruttori, per i lavoratori, che deve cercare di impedire le cose abnormi che in passato sono avvenute, e deve cercare di migliorare le leggi nazionali. La legge nazionale è fatta per tutte n Paese, ma la nostra Regione ha delle caratteristiche particolari, diverse da quelle delle altre Regioni. Una legge regionale, partendo dal concetto nazionale, deve poi insistere sul proprio territorio, e noi abbiamo dei problemi che non sono certamente quelli presentati dai paesi rivieraschi o dai paesi del Meridione.
E' nostra convinzione che, data la realtà abitativa della Regione sotto il profilo della gestione delle risorse territoriali, sia necessaria un'operazione di ristrutturazione seria, in profondità, fatta con il convincimento che tutti debbano arrivare a questa conclusione, tale che non sia più possibile ad alcuno invocare la carenza di leggi per mascherare molte volte la carenza di volontà nell'applicarle. In Italia non mancano le leggi, anzi ce ne sono troppe, molte volte però qualcuno vuol superare "all'italiana" la legge.
La proposta di legge regionale deve avere come obiettivo la volontà di perfezionare, precisare, adattare le varie realtà contingenti e rendere univoca l'interpretazione di norme nazionali a volte troppo generiche. La formulazione di una legge regionale pertanto richiede di corrispondere ad alcune caratteristiche quali: 1) non contrastare con i principi informatori di leggi statali 2) delineare un piano politico programmatico 3) tenere conto delle peculiari caratteristiche sociologiche, topografiche ed economiche del territorio in cui si applicano.
Così come facemmo un profondo esame della prima stesura, nello stesso modo abbiamo proceduto ad un'attenta disamina di questo testo, articolo per articolo; soprattutto abbiamo esaminato il più ampiamente possibile le istanze di coloro che operavano nel settore, per cercare di potere esprimere anche le cose che non conoscevamo. Perciò, abbiamo impegnato tutte le forze politiche a nostra disposizione per intervenire non marginalmente ma profondamente e per cercare di portare a compimento quello che riteniamo uno degli adempimenti più importanti che la Regione Piemonte abbia mai varato.
In Commissione, anche tramite i nostri esperti, abbiamo chiesto all'Assessore alcune modifiche dettate proprio dalle consultazioni l'Assessore ha cercato di accontentarci, non per amicizia, ma perché lo riteneva giusto. Il dialogo con l'Assessore Astengo è stato molto cordiale egli ha difeso le cose che doveva difendere, cercando anche di capire perché facessimo certe opposizioni. In precedenza la nostra critica si accentuava in particolar modo sui significati e sulle implicazioni della legge n. 117 e sui contenuti che essa presentava nei confronti della legge urbanistica statale n. 10. Essendo la nostra legge nata prima della legge statale n. 10, era inevitabile che sorgessero dei contrasti. E' stato possibile ovviare a questo inconveniente e fare una legge che comprendesse ciò che lo Stato richiedeva.
Un'altra nostra critica riguardava i contrasti esistenti tra la legge n. 117 e le leggi istitutive dei Comprensori. Crediamo che i Comprensori abbiano una funzione diversa da quella che si dà loro in questa legge.
Capisco che si tratta di deleghe. I compiti affidati ai Comprensori sono molti, tuttavia essi continuano a rimanere senza uffici, senza impiegati senza fondi, senza possibilità di dare un aiuto effettivo. Direi che abbiamo creato qualche cosa che ci serve molto poco. Volevamo coinvolgere maggiormente i Comprensori al fine di farli intervenire non solo portando dei consigli, ma dando un contributo più fattivo, più specifico, anche perché in essi sono compresi tanti paesi, piccoli, medi, grandi, i cui problemi molte volte da Torino sono guardati con una visione non prettamente reale. Il Comprensorio deve avere più polso e una funzione chiaramente programmatica e promozionale in tutti i settori, perché è necessario che possa fare di più, oltre alle cose che l'Assessore ha già concesso in questo campo. A questa nostra creatura diamo troppa poca facoltà di intervenire sulla parte iniziale, la sua presenza è rappresentata dai messaggeri, dai corrieri che di quando in quando arrivano trottando a sentire ciò che vogliamo: non è questo il modo giusto di intendere i Comprensori, sono loro che devono elencare le loro proposte e noi dobbiamo in un secondo tempo elaborarle.
E' un'abitudine italiana quella di credere che le cose migliori vengano dal centro, forse nell'animo nostro pensiamo che Roma abbia sempre ragione ma è un errore e non vorremmo che Torino avesse sempre ragione, vorremmo che anche i Comuni più piccoli, i più umili fossero in grado di dire le loro opinioni con la stessa forza di Torino. Sulla parte comprensoriale infatti, avevamo dei dubbi che esterniamo ancora adesso: ossia manca la possibilità di dare a qualsiasi Comune la facoltà di reggere al confronto con Torino. Questa legge ha l'impronta della grossa città, pare essere fatta per i grossi centri ma, nella realtà, le conseguenze ricadono sui centri minori che molte volte non hanno alcuna colpa. Si deve considerare anche il caso del Comune dove sì costruisce non più di una casa all'anno perché è già molto se qualcuno riesce a costruirsi 4-5 camere, il Comune dove magari il Sindaco zappa la terra. Noi a questa gente imponiamo condizioni troppo dure. Vorrei sapere, collega Calsolaro, quanti sono i Comuni che non hanno fatto speculazioni, quanti sono i Comuni che, in realtà, non hanno recato danno al nostro patrimonio territoriale, quanti sono i Comuni che si dedicano solo all'agricoltura o alla pastorizia. In conclusione, questa non è una legge per i piccoli Comuni, bensì è una legge per impedire che i Comuni grossi, quelli medi e quelli turistici riescano in qualche maniera, a fare dei soldi a danno degli altri.
L'Assessore Astengo ha cercato di considerare tutte queste situazioni ma la valutazione è stata inferiore rispetto alle effettive necessità. E' chiaro che una delegazione torinese composta di sette architetti, cinque ingegneri e così via, ha molta più forza di quel povero contadino, o Sindaco, o Segretario comunale, che di fronte all'Assessore trema come una foglia perché forse ha costruito un fienile.



VIGLIONE Aldo, Presidente della Giunta regionale

Una volta succedeva questo.



BENZI Germano

Succede ancora adesso. Tu appartieni ad una grande provincia e le cose le vedi dall'alto. Abbiamo inoltre criticato i tempi della pianificazione che, secondo noi, erano molto lunghi a causa dei troppi passaggi obbligati perché, al momento dell'approvazione del piano, si poteva anche verificare che metà di esso era già saltato perché si erano presentate situazioni diverse. Se siamo stati capaci di togliere circa 200 giorni, vuol dire che la prima stesura era veramente troppo pesante e questo è un merito che riconosciamo all'Assessore. Molte punte sono state smussate, in molti casi si è recepito quanto le consultazioni avevano detto e quanto la Commissione aveva proposto, tant'è che i tempi si sono abbreviati e inoltre abbiamo quantificato il tempo entro il quale la Regione deve dare una risposta. Il Sindaco era obbligato entro un termine fisso a presentare un piano, mentre la Regione non aveva termini fissi. Direi che è vera democrazia avere impegnato la Regione fissando dei termini.
Ritengo inoltre positivo, ed è un altro punto importante che è stato modificato, il ritenere validi i piani regolatori e i piani di fabbricazione approvati, Questo era uno degli scogli maggiori, perché se avessimo messo il Piemonte all'anno zero per la parte urbanistica, avremmo dovuto fermare completamente l'edilizia: con la nuova stesura, invece abbiamo stabilito che i piani regolatori e i piani di fabbricazione conformi alle norme principali, con solo qualche leggera modifica continuano ad avere il loro effetto. Questo è importante, perché se è vero che i Comuni interessati non sono molti, riguardano però i 3/4 della popolazione piemontese e coloro che hanno presentato dei piani coerenti e logici hanno ancora la possibilità di lavorare anche se la legge entra in vigore.
Una particolare attenzione andava rivolta alle Comunità montane. La legge che obbliga i Comuni a consorziarsi per redarre i piani, in realtà non ha avuto per ora una grossa rispondenza, anche perché mancano gli uffici e i fondi. E' vero che abbiamo una legge che aiuta i Comuni a predisporrei piani regolatori, è anche vero che se i Comuni fossero diligenti, tanti piani sarebbero pronti, ma molte volte i Comuni non sono diligenti, altrimenti non si spiega il motivo per cui, dopo anni che chiediamo la perimetrazione, molti Comuni non l'hanno ancora fatta. Occorre anche tener presente che purtroppo l'Assessorato manca di uffici e di personale. Se in questo momento il collega Astengo ricevesse 500 piani sarebbe costretto a lavorare sulla piazza perché non disporrebbe di locali sufficienti. Se la Giunta vuole che questa legge abbia incidenza, deve darsi degli strumenti indispensabili per affrontare la revisione o provvedere a dei nuovi piani, altrimenti, anche con la maggior buona volontà dell'Assessore e del personale, sarà impossibile seguire come si dovrebbe tutta questa nuova fase. Si rileva ancora un eccesso di vincolismo, la tendenza italiana è di vietare questo e proibire quell'altro. Può darsi che molte norme siano necessarie, ma non sono convinto che tutte lo siano. Se potessimo permettere alla gente di esprimersi liberamente in campo urbanistico senza obbligarla a fare questo o quell'altro, daremmo più libertà in questo settore e forse faremmo una buona cosa. E' vero che vincoli e imposizioni vogliono salvaguardare il territorio, però su questo sarebbe opportuno discutere ancora in aula.
Il disegno di legge ha il merito di aver eliminato la tendenza a privilegiare determinati usi del territorio, discriminandone altri, ci comporta un miglioramento dal punto di vista tecnico. La quantificazione dei servizi sociali avverrà non tanto in funzione di una demagogia politica, quanto piuttosto in funzione di una composizione urbanistica documentata e varia. Riassumendo, le cose valide che questa legge contiene sono: 1) la validità dei piani regolatori generali e dei piani di fabbricazione vigenti ed approvati dopo la legge 765 con successivo adeguamento all'entrata in vigore dei piani territoriali di coordinamento 2) la diversificazione normativa rispetto ai grandi poli Ritengo tuttavia che, nonostante tutte le giustificazioni che l'Assessore darà, sarebbe opportuno ridurre ancora il limite dei 3 mila abitanti 3) la possibilità di una superiore espansione ed incentivazione per i Comuni dove non c'è stato un grosso interessamento turistico. I Comuni di Bardonecchia, Salice d'Ulzio, Sestriere, confondono la vera fisionomia della montagna, ma consideriamo che accanto a pochi Comuni che hanno ricevuto un beneficio dal turismo pagandolo con forti speculazioni, ne abbiamo moltissimi altri che non hanno avuto nulla, non solo, ma a poco a poco vengono abbandonati dalle popolazioni per mancanza del minimo vitale.
Ritengo che la legge, benché abbia dei lati buoni, presenti ancora dei lati che si possono migliorare, non so però ancora in quale forma. E' stata presentata una quantità enorme di emendamenti, credo un paio di quintali intesi in senso intrinseco, perciò, mentre ringrazio l'Assessore per le cose che ha ritenuto di recepire, per altre mi dichiaro, a nome del Gruppo ancora perplesso e insoddisfatto.



PRESIDENTE

La parola alla signora Castagnone Vaccarino.



CASTAGNONE VACCARINO Aurelia

A nome del Gruppo repubblicano devo esprimere il nostro rammarico per dover trattare un argomento così importante come quello della legge n. 117 definita dal collega Bianchi di importanza e di peso parlamentare, in immediata successione rispetto alla legge sul Piano, sia perché è evidente nei banchi dell'opposizione come in quelli della maggioranza l'esiguità dei presenti (non parliamo poi delle presenze nei banchi della Giunta), sia perché i Gruppi che hanno pochi rappresentanti, come appunto il Gruppo repubblicano, non si trovano nelle condizioni di adempiere al loro dovere e diritto di partecipare con il dovuto studio ad una discussione generale di questa importanza. Nella II Commissione il Gruppo repubblicano non è presente. Dobbiamo alla cortesia del Presidente della Commissione e dell'Assessore il fatto che abbiamo potuto assistere alle riunioni con uno dei nostri esperti così come altri partiti. Avendo dovuto studiare altre materie che erano all'esame del Consiglio fino a questo momento, non abbiamo potuto approfondire questo argomento in modo tale da partecipare alla discussione in modo proficuo. Devo quindi trattare di questo argomento con una dichiarazione brevissima, quella che mi è consentita dal mio grado di conoscenza della materia e che avrebbe potuto essere ben altro se questa materia fosse stata trattata alla riapertura dei lavori del Consiglio.
Il Gruppo repubblicano rileva la chiarezza delle finalità della legge e come le proposte innovative di metodo e di contenuto per la formazione e la gestione dei piani siano particolarmente sollecitanti, specie per quanto riguarda l'obbligo per i Comuni di dotarsi di piani regolatori generali comunali con relativa revisione decennale, la possibilità di un'ampia partecipazione di tutte le forze interessate alla formazione dei piani l'obbligo per tutti i Comuni di adottare un programma di attuazione pluriennale.
Rileva tuttavia come rimangano nel disegno di legge ancora alcune lacune di carattere normativo che verifichino e garantiscano un collegamento organico fra programmazione economica e.pianificazione urbanistica.
In particolare la legge configura il piano regionale come sommatoria dei piani territoriali comprensoriali, con previsione e prescrizioni verificate ogni 10 anni in rapporto al variare delle esigenze sociali ed economiche, mentre il Piano di sviluppo regionale, che specifica dette vari abili socio-economiche nelle sue varie articolazioni territoriali, ha una previsione progettuale limitata a un quinquennio.
Il Gruppo repubblicano ritiene quindi necessaria la predisposizione da parte della Regione di un piano territoriale di coordinamento regionale e un coordinamento dei piani territoriali comprensoriali, che definiscano la struttura e l'organizzazione del territorio attraverso piani di attuazione degli indirizzi definiti dal Piano di sviluppo regionale e comprensoriale con processi di programmazione e pianificazione quinquennale così come richiesto dai piani regolatori generali comunali.
In particolare i piani territoriali comprensoriali devono definire la delimitazione delle aree, sub comprensoriali per l'attuazione dei programmi pluriennali di settore e per la gestione coordinata dei servizi pubblici attraverso una sostanziale semplificazione e unificazione di Enti territoriali (Comunità montane, distretti scolastici, aree socio sanitarie consorzi, ecc.).
Inoltre riteniamo necessario che si faccia chiarezza sui tipi di intervento previsti dalla legge quali "risanamento, ristrutturazione trasformazione", termini spesso equivoci ed equivocati nella prassi pianificatoria ed amministrativa. Si ritengono inoltre non necessarie le analisi demografiche e socio-economiche retrospettive di vent'anni per la formulazione dei piani regolatori generali comunali, poiché non pare utile affidare valore oggettivo e scientifico a calcoli di proiezione delle tendenze in atto proprio quando si vogliono mutare, con detta legge e con il Piano di sviluppo regionale, dette tendenze.
Pare inoltre poco credibile che la Comunità montana si collochi come Ente di programmazione e di pianificazione del territorio, sino all'approvazione del piano territoriale comprensoriale, senza una ridefinizione dei confini nell'ambito delle delimitazioni sub comprensoriali. Nella legge non è prevista, come richiesto dal Gruppo repubblicano, la formazione dell'istituto dell'autorizzazione all'insediamento industriale e le indicazioni che emergono in merito dalla legge sono troppo ampie e poco efficaci (e questo bisogna poi raccordarlo con la convenzione fatta con l'industria).
Infine non è specificato chiaramente come vengano utilizzate le aree espropriate, come richiesto dall'art. 13 della legge Bucalossi.
Annuncio comunque che abbiamo già presentato una serie di emendamenti e che speriamo che su questi la discussione diventi più puntuale.



PRESIDENTE

Signori Consiglieri, i lavori saranno ripresi oggi pomeriggio alle ore 15 precise.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 12,30)



< torna indietro