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Dettaglio seduta n.134 del 26/07/77 - Legislatura n. II - Sedute dal 16 giugno 1975 al 8 giugno 1980

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SANLORENZO


Argomento: Piani pluriennali

Prosecuzione dibattito sul Piano regionale di sviluppo 1977-1980


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Riprendiamo il dibattito sul Piano regionale di sviluppo 1977-1980. Ha chiesto la parola il Consigliere Beltrami. Ne ha facoltà.



BELTRAMI Vittorio

Signor Presidente, signori Consiglieri, non sto a riproporre le considerazioni d'assieme, né intendo ridefinire i contorni di una valutazione che si rifà alle diverse fasi, ai molti momenti di un processo che, oggi, in questa galoppata di fine sessione, trova una maturazione sulla cui squisitezza è ugualmente aperto il discorso politico.
Altri lo hanno fatto. Io tento, con la cautela e la prudenza che la delicata materia suggerisce, di inserirmi nel discorso con qualche considerazione su una fascia di previsioni che investe l'area di intervento n. 4 "Servizi sanitari e sociali". Mi sono sforzato di affrontare il problema con la preoccupazione di poter anche essere contro per quel tanto che è necessario, non certo pregiudizialmente... "contro, ma non troppo" per le intuibili considerazioni che si rifanno alla complessità della materia "contro" per quel tanto necessario che mi porta coerentemente alle conclusioni alle quali sono pervenuti i colleghi del Gruppo. E' una materia in continua fase di evoluzione; un quadro legislativo, che investe la gestione regionale e che oggi può trovare più ampi e tormentati riferimenti nella legge 382, ma i cui contorni troveranno quiete di definizione solo attraverso le invocate leggi quadro. Né sto a ripetere le argomentazioni già usate in aula il 30 giugno, allorquando, iniziando questa corsa finale affrontammo il disegno di legge 104 sui servizi socio-sanitari. Il pericolo di questi slanci, di queste corse è che taluni provvedimenti possano trovarsi superati o sconvolti il giorno appresso la loro approvazione oppure, per quanto attiene alle previsioni di piano, proprio per non incappare in questi trabocchetti, il pericolo è di essere costretti ad attestarsi su generiche dichiarazioni di fondo, di principio, che potrebbero appartenere di più a una dichiarazione programmatica di Governo che non a un "Piano di sviluppo", addirittura a un dibattito consiliare, al confronto tra le diverse tesi politiche. A mio avviso è questa la sottolineatura, il giudizio critico che mi sono costruito con scrupolo man mano che mi sforzavo di assimilare il documento, cercando di collegare la definizione di programma alle sue traduzioni di specificazione e quindi alla parte progetti. Vi si legge, "I progetti sono definiti spazialmente temporalmente, finanziarmente": diciamo quindi l'essenza del piano.
Di fatto nell'area di intervento n. 4, alla grossa proposta fatta di "principi e di linee", riconducibili peraltro a una grossa somma di intenzioni non esplicitate, non calate entro un'area di presunta concretezza (si può riandare al famoso processo "concreto-astratto concreto" tanto caro all'Assessore alla sanità), quindi ancora nella sfera del "tanto astratto", troviamo 5 progetti che, ovviamente, pur tanto importanti, appena sfiorano i supporti di un robusto processo di piano e l'intera materia socio-sanitaria: quello delle unità di base (peraltro già in esecuzione, varato 3/4 anni or sono dal Consiglio regionale) quello delle IPAB (che progetto non è.. e sul quale dirò qualcosa in prosieguo) quello della formazione del personale socio-sanitario (da anni richiamato e sul quale la Regione si era impegnata nei diversi provvedimenti, nelle leggi regionali, asili nido, Consultori, assistenza domiciliare agli anziani) quello della prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione della uremia cronica (già deliberato dal Consiglio regionale sin dal '76) quello dei dipartimenti di emergenza (deliberato dal Consiglio regionale nel '75).
Quindi, tranne quello delle IPAB, che a mio avviso sta a cavallo tra il programma e il progetto, e quello della formazione del personale, ci troviamo davanti a una macchina in moto da tempo su 3 delibere già in fase di attuazione. Direi che per una materia così complessa, per le ambizioni di un piano, siamo un po' scarsi. Capisco anche che è difficile proporre dati minuziosi nella parte programma, ma il niente è un po' troppo poco..
almeno dei quadri di riferimento dei fabbisogni in genere, dei valori indici, collegabili ovviamente nella loro traduzione pianificatrice con la flessibilità dei piani socio-sanitari zonali, agli apporti che offriranno i diversi livelli di consultazione e di partecipazione. Nella relazione invece, a pag. 8, sembrerebbe addirittura che tacere queste esplicitazioni queste indicazioni concrete, sia addirittura un problema di dignità. L'ho letto in tal senso. Però anche lì, come ovunque, si parla di Piano di sviluppo regionale e un piano, per essere tale, qualche contenuto minimo che si rifaccia a indicazioni precise e non alle sole definizioni scolastiche deve pur averlo.
Ieri ho ascoltato con attenzione a tal proposito un discorso a favore del documento, nel quale con sottile abilità, che onora il Consiglio, ma che non aggiunge sostanza alla costruzione e alla definizione del piano alle sue individuazioni, è stata esaltata non solo la flessibilità, ma attraverso l'elasticizzazione del concetto di "piano aperto" è stata impostata una teoria della relatività che effettivamente può relativizzare tutto, così anche il risultato finale può essere veramente il tutto, ma anche il contrario di tutto.
Sono andato a rileggermi scrupolosamente i rapporti preliminari ai Piani di sviluppo della Regione 70-75 e 74-78 e la proposta che ha accompagnato il Piano dell'anno scorso e quello attuale. Nei primi due ho trovato elementi di riferimento, quadri di fabbisogno ottimale, a loro volta legati a indici, non inventati, certamente costruiti attraverso la ricerca ancorata alla realtà sociale. Qui nel piano, al di fuori dello schema di bilancio pluriennale che esprime valori riassuntivi e quindi non facilmente verificabili o accessibili, legati a ipotesi di entrate che ieri è stato detto - possono anche ritenersi controverse o incerte, gli unici dati recuperabili sono: a pag. 32: l'individuazione in 250 posti letto del livello ottimale dell'Ospedale esterno alle città e però non se ne traggono conclusioni di sorta in proiezione programmatica operativa a pag. 40/4 viene fotografato il risultato del censimento e gli indici attuali nel rapporto posti-letto popolazione; si avverte che è disomogeneo, non corrisponde alle reali esigenze della popolazione, né a criteri validi e uniformi. Non dice quali sono i criteri e tace le indicazioni previsionali a pag. 83 sul personale si accenna al rapporto popolazione personale infermieristico e si prevede in 1500 il massimo numero degli iscritti ai corsi a pag. 98 sugli handicappati si rileva che nel Piemonte il loro numero è superiore del 25% alla media del centro-nord Italia.
La richiesta di maggiori indicazioni, di qualche dato al quale legare poi le singole animazioni dei piani zonali e di comprensorio, non certamente il contenimento delle istanze, ma la definizione delle dimensioni limite ottimali proprie della politica regionale, potrebbe riguardare tra l'altro: 1) La consistenza delle strutture socio sanitarie assistenziali già della Regione e di quelle potenzialmente trasferibili alla stessa (es. gli ambulatori delle mutue), anche in virtù di leggi recenti, la distribuzione territoriale per aree omogenee, il rapporto popolazione-strutture territorio.
2) Gli indici di fabbisogno ottimale per le diverse politiche di intervento riconducibili a carattere di unitarietà (dai posti letto negli ospedali per fasce diverse, ai presidi pre-post e extra ospedalieri, ai fabbisogni assistenziali raccordati al momento deistituzionalizzante e all'ospitalità che ancora avviene nelle cosiddette "Istituzioni chiuse" e quelle che dovrebbero avvenire nelle cosiddette "Istituzioni aperte", per anziani, minori, handicappati, ecc.).
Taluni di questi dati, ad esempio la stima delle occorrenze, dovrebbero appartenere già alla Regione e non devono essere suggeriti o ricercati tra valori offerti da esperti o consulenti, essendo riferibili a leggi regionali operanti (l'assistenza agli anziani, asili nido, ecc.).
3) i dati sul personale 4) i costi analizzati e legati alle anzidette indicazioni.
Sono rimasto impressionato confrontando i rapporti al piano 70-75 e 74 78 nelle minute previsioni, magari spregiudicate, non so quanto azzardate o frutto della semplice intuizione, con la enunciazione di principi, ma confortata da individuazione di standards, di parametri, ecc.
Talvolta, poi, si ha l'impressione leggendo il documento dell'area di intervento n. 4 che la costruzione del documento abbia risentito, per la somma dei singoli apporti di Assessorati o di gruppi di lavoro, esperti consulenti, della maggior attenzione che chi ha lavorato ha rivolto alle singole materie; il che non può essere imputato o ascritto al semplice lavoro di collazione o semplicemente di collage. Mi riferisco ad esempio al progetto "Infanzia", da pag. 94 a pag. 108 (1/6 dell'intera area di intervento n. 4) dove si parla del programma infanzia, ma si spazia agilmente su principi e impostazioni generali, con pronunciamenti che investono, scavalcano, entrano in altri settori, che appartengono a tutto il piano e che per coerenza noi dovremmo di volta in volta nelle singole zone di progetto ricordare; il che fa pensare a uno slegamento, al mancato coordinamento dei singoli apporti; il trattare per esempio dell'articolazione territoriale, dell'unità locale dei servizi limitatamente a questo settore, oppure del sistema informativo che non pu appartenere al solo progetto "infanzia", oppure ancora alla presentazione di lineamenti di piano dei servizi ospedalieri, localizzazione ospedali di base, standards assistenziali, schede, attrezzature, operatori ecc. Sono argomenti che evidentemente appartengono alle singole voci o addirittura ad altre voci che non siano semplicemente queste. Mi si consenta ora qualche brevissima considerazione, attraverso anche ad uno sforzo di immaginazione nel tentativo di dare corpo, volto a questo documento (l'anima l'avete gia messa voi coi richiami ai principi).
Sui servizi sanitari e socio-assistenziali siamo d'accordo su tantissima parte del contenuto; sono affermazioni di principio che hanno già formato oggetto di dibattiti, di confronti. Siamo d'accordo sull'unitarietà, sulla globalità, sul privilegio del momento preventivo siamo contro il carattere chiuso, contro il superamento delle vecchie concezioni, D'accordo su tutto. Appartiene al patrimonio culturale della Regione Piemonte. Siamo anche d'accordo che l'ospedale va inteso non solo più come Ente di beneficenza, il solo strumento di sanità pubblica, ma colto in una visione globale dei tre momenti: preventivo, curativo riabilitativo. Va rivalutato, esaltando la tendenza a renderlo sempre meno luogo di degenza e sempre più complesso di servizi legato alla dimensione territoriale. Semmai se c'é un vuoto che può apparire espressione di destrutturazione, genericità e indifferenza, questo va legato alla trascuratezza che si rileva verso il raccordo fra le strutture della Regione e quelle in corso di trasferimento e tra le strutture pubbliche e quelle private (le case di cura che rappresentano una grossa realtà alle quali abbiamo recentemente conferito riconoscimento con fasce funzionali con oneri economici non indifferenti per la spesa della Regione).
Da pagina 11 a pagina 44 (quindi un terzo del documento) è un succedersi di richiami, di principi, investenti anche largamente la spesa sanitaria. Se ne è parlato ieri prospettando l'esigenza, se non di rendere attivi i bilanci degli ospedali, almeno di pareggiarli. E' un discorso che se da un lato tocca leggi economiche, come quella del profitto, investe però altri criteri che si rifanno ai costi sociali che non sono semplicemente riferibili agli ospedali o ad altri interventi pubblici, ma sono anche riconducibili al discorso dei trasporti e ad altri settori di intervento, dove il problema non può essere racchiuso, limitato o ricondotto semplicemente al pareggio del bilancio.
A pagina 9 del programma pluriennale di attività e di spesa 77-80, si legge: "Così, oltre al già citato quadro generale di sviluppo 1977-80, sono in corso di elaborazione: il piano dei trasporti, il piano dei servizi sanitari e socio-assistenziali e il piano delle acque. Tali piani sono già sia pure indirettamente, presenti nel programma pluriennale di attività e di spesa: ove infatti la loro elaborazione è in fase già avanzata gli interventi programmati (programmi di settore e progetti) sono coerenti con le linee generali di sviluppo dei settori da essi indicati".
Quindi se un piano socio-sanitario c'è, magari riservato a pochi "iniziati" e le spese previste sono in linea col piano di settore, perch non confortare il Piano di sviluppo regionale con maggiori indicazioni superando le semplici e pur autorevoli enunciazioni teoriche? D'altro canto questo Piano regionale deve fissare le linee, gli ambiti, le specificazioni atte a proporci la migliore ed efficiente struttura sui territorio. Sulla "Stampa" del 15.10.1975 parlando di una fase che poteva coincidere coi primi di luglio '77, si affermava, concludendo, che due anni di lavoro dovrebbero consentire di realizzare un organico sistema unitario efficiente e democratico, di sicurezza sociale, obiettivo qualificante dell'intera legislatura regionale; allora sapremo, per esempio, se a Lucento potrà sorgere una nuova sede dell'Ospedale S. Giovanni, se il Maria Vittoria potrà essere trasferito, se sarà necessario ed opportuno ampliare il Martini o se invece le zone in cui si trovano sono già servite e se non sarebbe necessario dirottare gli interventi in altre località carenti. Sono ipotesi. I nomi degli ospedali indicati sono quelli di cui si parla, il problema non riguarda soltanto quelli: è evidente che attendendo una specificazione del Piano regionale non esiste neppure a grosse maglie l'indicazione sul piano previsionale e il piano di sviluppo non sa dare una risposta a questa problematica sollevata ed aperta fin da allora.
Evidentemente non siamo ancora in questa fase, anche se sono stati assunti fuori della politica di Piano provvedimenti che incidono sulle strutture sul tessuto socio-sanitario e potrebbero stravolgere impostazioni previsionali di largo respiro. Ad esempio, abbiamo approvato la spesa di 35 miliardi per l'edilizia ospedaliera sul pacchetto La Malfa, anche per opere che non erano di semplice completamento di lavori ma che rappresentavano scelte innovative, e le stesse delibere sull'unità di base, sull'uremia cronica, sui dipartimenti di emergenza non sono intervenute in nome di un piano: sono nate prima e oggi divengono supporti "progetto", quasi i soli del Piano.
A pagina 35 con poche righe si liquida l'argomento psichiatrico: "Per il problema dei lungo degenti e cronici e per l'assistenza psichiatrica il problema è aperto, tuttavia si tratterà di promuovere la creazione di strutture di servizio di tipo riabilitativo inserite negli ospedali generali piuttosto che orientati verso presidi specializzati". Dovrei rilevare che nella 104 il termine "assistenza psichiatrica" è stato tolto per dare luogo al termine di "igiene mentale"; un rilievo che non ha in questo momento importanza. Se ne accenna a pagina 52 e a pagina 76 del bilancio. e fine! Ritengo, non dico in coscienza, ma bonariamente, che non si possa liquidare un problema di tale rilevanza con due battute, anche per una materia che se non è ancora passata alle Regioni, lo è almeno potenzialmente e per grossi contorni, collegati anche alle leggi 349 e 386 quanto meno per quanto attiene al rapporto con il personale dipendente.
Quando noi pensiamo che nei rilevamenti fatti in sede di passaggio alle Regioni ci siamo accorti che su 40.000 posti letto nel Piemonte, 10.000 erano di carattere psichiatrico, quindi un quarto della dotazione, ritengo che questo discorso abbia una certa serietà, soprattutto perché investe un aspetto di carattere culturale e scientifico che ha segnato fatti di una certa rilevanza e di una certa pesantezza nel dibattito culturale in Piemonte e in Italia. E' un argomento che forse è facilmente scantonatile ma che è costituito da un grosso terreno di scontro che ha visto conflitti che hanno dato vita a contrasti stridenti e a posizioni controverse e che da ultimo hanno dato vita a situazioni paradossali; mentre da un lato le correnti scientifiche, quelle così dette d'avanguardia, proponevano la smobilitazione degli ospedali, nel '68, con una legge varata alla vigilia delle elezioni si dava luogo all'impinguamento della presenza del personale negli ospedali creando grossi problemi per cui quella mobilità, che stamattina ho sentito richiamare dalla dottoressa Vaccarino, dovrebbe essere decisamente compromessa.
In effetti si svuotano gli ospedali psichiatrici per arrivare al risultato di ritrovare queste persone ospiti della strada o scaricate nelle case di riposo. E' un discorso serio, non appartiene ad alcun aspetto del programma. L'altro giorno sentivo le lagnanze di un'assistente di una casa di riposo, una donna che da sola manda avanti un istituto con 35 persone di queste, 12 sono state scaricate dall'istituto manicomiale. Abbiamo salvato la faccia, l'aspetto esterno, una certa pulizia della società che si muove, però abbiamo trasferito il manicomio in grande nel manicomio in piccolo, tanto più che la domanda che perviene a questa istituzione è del 50 richiamabile a gente spedalizzabile, il resto è richiamabile per metà e metà, 25 + 25% all'assistenza geriatrica e generica.
C'é un problema dei laboratori di igiene e profilassi provinciali, c' un problema farmaceutico e a pagina 54 viene sottolineata la necessità di potenziare la rete delle farmacie comunali. Costruttivamente, per quel poco di conoscenza che si può avere del problema, anche in ordine alla complessità della macchina economica, sono portato a suggerire un programma ispirato alla prudenza. E' inutile tentare di pareggiare i bilanci degli ospedali da una parte, aprendo poi delle grosse falle per questi tipi di gestione. Trascuro necessariamente il progetto sull'unità di base, sulla uremia cronica e sull'emergenza, rinviando agli interventi svolti in sede di deliberazioni consiliari. Mi permetto, però, di ricordare all'Assessore alla sanità l'impegno fissato con l'ordine del giorno del 17.3.1977 dal Consiglio regionale circa l'istituzione dei tre dipartimenti a Ciri nell'Alessandrino e a Domodossola (impegno temporalmente già maturato, che certamente sarà onorato dall'Assessore). Penso che sia utile questo piccolo richiamo per il fatto che non se ne trova traccia in un Piano che certamente, è impegnato su argomenti così interessanti.
In merito al personale, mi rifaccio al richiamo generico iniziale e non vado più in là, ma il discorso è comune a tutto il Paese e tocca la preparazione e la mobilità. Basti pensare che in Italia abbiamo 144.000 medici contro i 63.000 dell'Inghilterra, 242.700 operatori non medici contro i 791.000 dell'Inghilterra, Paese largamente richiamato per la sua esperienza in questo settore, mentre bussano alla porta delle Regioni 66.000 dipendenti delle mutue. Sarebbe stato interessante conoscere nel Piano le cifre di riferimento circa la consistenza della presenza del personale.
Sull'aspetto tipicamente assistenziale dei servizi socio-sanitari, non è facile addentrarsi per liquidare con due parole problemi dalle dimensioni impossibili e che toccano principalmente minori, handicappati, anziani emarginati, con argomentazioni che già abbiamo sentito in sede di discussione sulla 104. Anche qui il documento di piano si rifà alle dichiarazioni di principio, ci ripete argomenti che puntualmente ricorrono nei dibattiti e nei confronti politici. Si possono condividere, o meno queste impostazioni; manca invece come per la prima parte l'esplicitazione la specificazione del piano, la quantificazione, la previsione.
L'Assessorato che pur ha vissuto e vive una sua ricca esperienza, ha potuto constatare in sede di impatto tra la linea politica e la realtà del Piemonte, fatta anche di cifre, di possibilità di spesa, di molti bisogni quanto è difficile e delicato "calare" nella concretezza le aspirazioni, le scelte, le idee. Per questo può anche essere consentita e addirittura accettata quella parte di non richiamo che c'é nel Piano. I risultati della gestione per l'assistenza domiciliare agli anziani che ha avuto una larga diffusione, cospicua adesione dei Comuni, tenuità percentuale della risposta della Regione sulla spesa incontrata dai Comuni; l'entusiasmo che accompagnò il programma per la costruzione e la gestione degli asili nido oggi non più pari a quello iniziale - anche se nel documento si riparla con enfasi di socializzazione per l'infanzia, dovrebbero invitare alla riflessione, suggerire che il "Welfar State", tipico dei paesi scandinavi è tanto lontano da noi per modello e per possibilità economiche e che il "delenda" per quanto attiene al passato può essere suggestivo, ma che non può darsi luogo alla demolizione di una struttura ritenuta superata, senza che se ne sia predisposta altra alternativa più consona alle nuove esigenze e ai nuovi bisogni. Il richiamo che ho fatto prima al settore psichiatrico può essere calzante anche su questa affermazione di principio.
Concludo riferendomi per un momento al progetto I.P.A.B. relativamente indeterminato. Per correttezza ammetto che non può essere diversamente.
Parte dalla premessa che le I.P.A.B. sono una realtà nel tessuto assistenziale italiano e piemontese: sono circa 9.000 in Italia, di cui 1643 nel Piemonte, per segnalare che è in atto un censimento e si rileva la necessità di procedere alla estinzione di quelle inattive. Ne parla "non con inimicizia", ma con prudenziale distacco . "giocherella", direi come fa il gatto col topo, pregustando il giorno nel quale riuscirà a catturarlo .
(non dico a farne un sol boccone). E' un difficile tema che non può essere circoscritto oggi alla "Cinta daziaria del mondo cattolico e parrocchiale" ma va oltre, perché è di sostanza civile. Dovrebbe poter essere sottoscritto da chiunque creda nel pluralismo e nella partecipazione. Sono strutture nate quando il vento "sociale" ancora non era sorto e avvertito o meglio si identificava colla tradizione, il volontariato, la presenza cattolica, provocando la stimolazione più viva e generosa a operare, a dare e a donare senza sosta, proiettandosi nel tempo, permeando uomini e cose tanto da far supporre che gli attuali uomini di punta della "socialità" non dico l'Assessore - siano, forse anche involontariamente, i figli o il prodotto di quell'azione vivificante.
Certo è materia da riordinare, da rivedere, da armonizzare entro una visione organica della presenza assistenziale e di sicurezza sociale sul territorio. Le I.P.A.B. attive a operare hanno rappresentato una forma originale, pulita di "autonomia locale". Direi paradossalmente - e sottolineo questo termine - pur con diversità di formazione degli organi di gestione, quasi più compenetranti nel processo di autonomia degli stessi Comuni, legati da norme uniche e uniformi (Legge Comunale e Provinciale) mentre queste opere si sono date e sono vissute con liberi Statuti differenziati, nel solo rispetto della legge Crispi del 1890.
E' un discorso aperto e troverà la sua maturazione nella traduzione operativa della 382. Qualcuno ha scritto: "Siccardi, quello della famosa legge dell'incameramento, può assopirsi nella tomba cessando di rigirarsi: è stato battuto da successori nettamente più brillanti di lui". Non so se questo è vero o meno e non ho la possibilità fisica di poterlo controllare.
Ma attenzione a bloccare tutto quel che è privato!, a non stimolare la generosità di chi ancora può dare..E' un discorso che può essere fatto qui perché rimbalzi agli amici di Roma.
A pag. 23 del bilancio pluriennale c'è l'entrata per trasferimenti eredità, donazioni..ed è in bianco. Penso che coll'aria che tira sarà difficile vederci nel tempo qualche cifra. E' un discorso che è tanto impegnativo. Ieri l'altro ero in un paesino di campagna dove una donna tanto semplice e che merita tutta l'attenzione umana da parte di qualsiasi forza politica, voleva conferire una somma di 200 milioni per costruire una casa per una trentina di anziani.
Forse è necessario rendere giustizia a tutte le I.P.A.B., non riguardarle con sufficienza, sia quelle nate dalla semplice filantropia di fondatori magari atei, ispirati al romanticismo sociale di Victor Hugo come a quelle costituite da cristiani tutto d'un pezzo. Non vado più in là.
E' un pensiero personale, ed e una convinzione profonda che mi sono permesso di esternare. Stiamo a vedere. Il che non comporta revisioni di scelte o cambi di orientamenti anche nella fase conclusiva. E lo stare a vedere almeno questo ci sarà consentito tra le fasce di qualche rilevata insofferenza alla critica, vale per questo aspetto, vale per tutto il Piano, convinti come siamo di trovarci davanti a un documento che nonostante la buona intenzione, e lo dico con grande apertura umana, piano a mio avviso non è.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Cardinali. Ne ha facoltà.



CARDINALI Giulio

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, si conclude il discorso iniziato certamente non oggi e che dovrebbe dare un'indicazione di programmazione alla nostra Regione Non so se arriviamo per primi o secondi o in altra collocazione d'ordine, ma è certo un fatto che ha a la sua importanza anche perché la programmazione negli ultimi dieci anni diventata la spina nel cuore del nostro Paese, ha avuto degli iter tormentati e risultati non soddisfacenti, se pensiamo che sul fallimento della programmazione nazionale è crollato l'esperimento di centro-sinistra sul quale il sottoscritto ha ripetutamente avuto modo di richiamare l'importanza fondamentale e storica che aveva e che, ahimè, non ha più.
Questo discorso che stiamo per concludere merita ciò che stamattina il collega Besate diceva in termini estremamente patetici, riferendosi ai primi generosi tentativi, alle esperienze degli istituti di ricerca, degli istituti della programmazione, a tutte le esperienze che si sono vissute e che fino a questo momento non hanno avuto delle grosse concretizzazioni.
D'altra parte credo che nella nostra Regione i soggetti possibili per fare una programmazione erano solo due: la Fiat o la Regione. E' evidente che la Regione è il soggetto che deve fare la programmazione ed è altrettanto evidente che tutto il resto va subordinato a questo principio.
La prima presentazione del Piano di sviluppo di qualche mese fa arrivava dopo una serie di grandi operazioni e di impostazioni non sempre riuscite, non sempre valide: la tendenza a portare avanti la programmazione in termini che definirei granducali dall'allora Vice Presidente Libertini (si badi bene che era un concetto da me in gran parte condiviso, anche con una certa invidia per il fatto che se non altro aveva la possibilità di portarlo avanti), evidentemente si scontrarono con una realtà che solo la Regione nella sua unità, nella sua umile consistenza e nella sua costante verifica insieme con tutte le forze che la compongono poteva portare avanti. Questa umiltà che è stata ritrovata dalla Giunta ha potuto consentire una formulazione già allora di una previsione di Piano che, a mio modo di vedere, cadde o fu ritirata sulla base di alcune previsioni che avevano scarsa attinenza con i risultati e i programmi concreti del Piano e che comunque implicavano, per ragioni che non stiamo qui a rispolverare una serie di errori che noi tecnici chiamiamo di secondo grado, cioè in realtà trascurabili ai fini dei risultati finali. Ebbene, questa umiltà questo modo di procedere attento, meticoloso, puntiglioso, di gente che vuole a tutti i costi tenere chiaramente i contatti e non perdere una certa bussola, ha consentito di portare a conclusioni e a proposte che sono quelle che oggi valutiamo.
Sia il Presidente della Giunta che l'Assessore alla programmazione eviteranno quello che invece toccò al generale americano comandante dei servizi metereologici che, premiato alla fine della guerra per l'apporto dato alle operazioni, si sentì dire nella motivazione del premio che le sue previsioni così importanti ai fini operativi erano valse per il 48%. Quel comandante spiritosamente disse: "Se avessi detto il contrario avrei evidentemente fatto previsioni azzeccate per il 52% ". Questo evidentemente è stato evitato perché questa umiltà e questo modo di accompagnare sistematicamente il Piano e la sua costituzione ha dato certamente i suoi frutti. E' anche stato comprensibile il ritiro fatto a suo tempo della prima proposta, presentazione che aveva già avuto da parte del partito, che ho l'onore di rappresentare, una attenzione superiore alla pura e semplice considerazione di un avvenimento squisitamente formale, ma con un ingresso nel merito e con opportuni riconoscimenti. Fu ritirato per le ragioni che tutti noi conosciamo, per la politica che viene portata avanti da uno dei partiti che rappresentano la maggioranza nell'intento di ricercare con la D.C. valutazioni comuni e possibilità di incontro. Questo non ha nuociuto certamente perché ha consentito non soltanto il perpetuarsi di un confronto certamente utile fra le forze presenti in Consiglio, ma ha permesso di riaprire un discorso con le forze sociali e produttive della Regione dalle quali è emersa obiettivamente una attenzione ben maggiore di quanto non ci fosse stata in epoche precedenti; il che dimostra che il concetto della programmazione, pur nella fatica della sua penetrazione, era riuscito a permeare strati, settori della vita pubblica e della vita privata che riconoscevano la necessità di un punto di riferimento chiaro. Questo è dato dalla programmazione che la Regione si accingeva a fare, anche se bisognava fare i conti con la variabile indipendente costituita dalla collocazione di ogni iniziativa privata all'interno di un sistema in un regime di economia come il nostro, che rimane un regime ad economia mista e su cui ogni esperimento di programmazione coercitiva evidentemente implicherebbe la modifica di un sistema di vita e di un sistema di rapporti politici.
In quella circostanza, cioè al momento della prima presentazione, noi socialdemocratici indicammo alcuni settori di fondo che ritenevamo dovessero essere privilegiati dalla politica di Piano, ed erano settori che si rifacevano alle affermazioni da noi portate avanti già al momento dell'insediamento della Giunta e del varo del suo programma, nelle quali con molta serietà avevamo sottolineato l'esigenza di sviluppare quei settori dove emergenti, dove fondamentali, dove assolute fossero le competenze regionali e indicammo l'agricoltura, i trasporti, l'istruzione professionale, la politica industriale non intesa nel senso granducale a cui mi riferivo, ma come una politica coerente che offrisse occasioni in senso indotto ad una riorganizzazione, ristrutturazione e rilancio dell'attività industriale, e il riassetto territoriale. Erano posizioni che oggi si ritrovano nei progetti che accompagnano il Piano di sviluppo e sui quali credo non si possa, da parte nostra, entrare nel merito specifico nell'analisi singola di questo o quello o del tantum o il quantum che si possa togliere od aggiungere. Ho preso atto questa mattina dell'intervento del collega Petrini in cui ha messo in risalto con notevole attenzione aspetti positivi che vi sono in questa presentazione, anche se ha apportato alcune critiche che possono essere benissimo accettate e ripetute da noi.
Quando si parla di fondamentale tendenza del piano al riequilibrio territoriale non può sfuggire che c'è nei meccanismi di ciò che è proposto nei progetti qualche cosa che può realmente entrare in contraddizione e la contraddizione è quella che permanentemente abbiamo davanti, cioè il riequilibrio territoriale che non può privilegiare l'area torinese, ma deve privilegiare le aree periferiche della Regione. A questo punto, anche se nella proposta di Piano della Giunta c'é l'attenzione a questo obiettivo vi sono degli interventi, degli indirizzi immediati soprattutto nel settore dei trasporti, che non possono che avere influenze indotte, i quali possono contraddire con l'obiettivo che dicevamo. E' evidente che i progetti che si riferiscono alla valorizzazione delle aree, agli assi nord-sud per le province di Alessandria, di Novara o all'asse est-ovest per le province di Cuneo e Asti devono essere particolarmente portati avanti anche in termini di provvedimenti immediati e concreti. Ci troviamo quindi di fronte a tutta una serie di proposte per le quali, come ho premesso, non intendiamo entrare nel merito col criterio del bilancino.
Il collega Petrini questa mattina ha fatto una affermazione che ho sentito ripetere anche da altri, che probabilmente voleva essere una critica: egli dice che, più che altro, è uno schema operativo per un programma pluriennale di spesa. Credo che, tutto sommato, questa ambizione è quella che è alla base di un Piano di sviluppo che possiamo chiamare con nomi diversi, ma che tende a un razionale e intelligente convogliamento delle risorse regionali addebitando all'Ente pubblico il compito di mettere in movimento tutti gli aspetti indotti attraverso la possibilità che l'Ente pubblico ha di valorizzare le risorse stesse. Sono critiche valide, che rimangono, che potremmo fare anche nostre, ma che molte volte sono contraddittorie, perché mentre stigmatizzano l'eccessiva polverizzazione degli impegni di Piano, lamentano settori scoperti o settori non sufficientemente valorizzati. Oltretutto, in questo ambito, occorrerà tenere conto esattamente dell'ammontare delle risorse e non potremo certamente permetterci il lusso di avere un programma pluriennale di spese che parta con un passivo che non sapremmo obiettivamente da quale parte potrebbe essere colmato e con quali fondi essere coperto. Questo quadro operativo, con le carenze, con le critiche che possono essere accettate rimane un quadro di riferimento non soltanto per la nostra Regione, ma anche per tutti gli operatori sociali che vivono nella nostra Regione che possono, attraverso esso, avere l'indicazione operativa per portare nuovi programmi, verificare quelli che sono congruenti con determinate finalità e quindi arrivare ad inserirsi nella programmazione che noi intendiamo.
Questo è il Piano che è stato elaborato successivamente alla prima presentazione che ha certamente assorbito molte delle critiche che erano emerse, questo vale soprattutto per il documento previsionale, dove sono state accantonate ipotesi sulle quali ovviamente prevaleva l'accentuazione politica rispetto a quella programmatica e a quella obiettiva da tenersi nell'ambito della Regione. Questa integrazione, soprattutto gli apporti anche se talora negativi, anche se talora molto critici da parte degli operatori può dare la configurazione a questo Piano di sviluppo.
Qual è la collocazione del Partito socialdemocratico di fronte alla proposta di Piano? Avevamo anticipato nello scorso inverno che la nostra sarebbe stata non una politica di mera opposizione, anche se non voleva e non vuole essere una politica di ribaltamento di posizioni; ma la credibilità dei vari atteggiamenti politici non si commisura dalle collocazioni di comodo che possono essere comunque assunte, collocazioni di comodo che i recenti avvenimenti nazionali hanno dimostrato essere ancora ben artificiose e ancora tutt'altro che convalidate e tutt'altro che verificate al punto che un atteggiamento può essere determinato (per esempio i collegai della Democrazia Cristiana lo hanno addirittura anticipato prima che iniziassero i lavori del nostro Consiglio regionale) può essere fatto in una funzione, in una visione di carattere politico che evidentemente coinvolge le responsabilità di ciascun Partito. Noi che Partito colosso non siamo, noi che siamo un Partito di carattere intermedio, un Partito sul quale gravano le ipotesi più fantasiose crediamo che l'atteggiamento da assumere nei confronti del Piano di sviluppo non sia quello di dare una delega di fiducia ad una maggioranza di cui non facciamo parte. Noi non chiediamo nulla a questa maggioranza, non lo chiederemo, non riteniamo di fare un ribaltamento di posizioni (questo ci sembra si debba dire in termini molto chiari soprattutto ai colleghi della stampa, piuttosto generosi di anticipazioni che non hanno nessun significato), ma intendiamo assumere un atteggiamento responsabile in un momento in cui, a nostro modo di vedere, non avviene un fatto occasionale o un provvedimento regionale, su cui sia estremamente semplice assumere posizioni di opposizione alla maggioranza, ma avviene la messa in moto di un meccanismo dal quale saremo tutti influenzati; poiché non sono emerse situazioni alternative a tutto questo, poiché non sono obiettivamente comparabili soluzioni antitetiche e soluzioni diverse, riteniamo che ci sia non soltanto una responsabilità nei confronti delle forze politiche che rappresentiamo, ma che ci sia una responsabilità nei confronti dell'intera comunità regionale, la quale non attende da noi il ribaltamento di posizione, non attende da noi che una maggioranza si ingrandisca o che si rimpicciolisca, ma attende da noi la tutela e la garanzia che nelle linee di un Piano, sostanzialmente accettato dalla Regione Piemonte, possano essere obiettivamente seguite e perpetrate quelle linee che il Piano stesso indica.
La nostra collocazione intende essere a garanzia di questo tipo di ipotesi. Noi rappresentiamo un Partito minoritario nel Paese, ma rappresentiamo anche un'idea che è largamente maggioritaria nell'ambito del territorio europeo e forse anche nell'ambito di grande parte della coscienza delle nostre popolazioni italiane. Noi riteniamo che rappresentando questa coscienza, non possiamo non distinguerci o chiudere gli occhi di fronte ad una ipotesi che ci porta a seguire strade che sono state battute in Paesi dove i socialdemocratici hanno avuto responsabilità di governo in termini di efficacia e in termini di risolutezza. Colpa nostra se le nostre idee sono fatte proprie da altri, ma è evidente che questo non ci esime dal non riconoscerle nel momento in cui compaiono e si presentano. Questo è quanto io intendevo dire a nome del mio Gruppo in merito alla posizione che abbiamo nei confronti della proposta di Piano.
Certo ci sono ancora dei punti notevoli da risolvere, delle risposte da attendere. Riteniamo che le scelte prioritarie che riconducono il bilancio pluriennale di spesa nell'ambito del pareggio, quelle che sono state chiamate le scelte prioritarie delle priorità debbano essere indicate e riteniamo che non si possano far passare senza una valutazione diversa. In questi termini, avendo chiarito qual è la nostra posizione che non è solo di ieri né dell'altro ieri, che non intende perfezionare gradini né per l'autunno, né per l'inverno, né per qualsiasi altra scadenza futura, noi abbiamo voluto chiarire nei confronti di questo documento la posizione del Partito socialista democratico.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bontempi.



BONTEMPI Rinaldo

Signori Consiglieri, ieri Ferrero, in un intervento che ho particolarmente apprezzato e che condivido per intero, ha centrato con efficacia il significato proprio della programmazione; diceva che la programmazione è guida per l'azione di governo. Credo che coerentemente a questa definizione generale non si possa prescindere dal giudicare il Piano, presentato dalla Giunta e discusso in questi giorni, soprattutto alla luce di questo criterio di fondo. In altre parole, visto che l'asse portante della discussione è stato, almeno da parte di alcuni interventi del Gruppo della Democrazia Cristiana, la questione se questo sia o non sia un Piano, se realizzi davvero un momento concreto di programmazione, se, in altri termini, ci si avvii a varare la programmazione regionale, occorre intenderci sul significato della programmazione; per noi il Piano e la programmazione sono, in quanto capaci di costituire una guida per l'azione di governo, una politica e non una tecnica, quindi elementi primari obiettivi politici, grandi direttrici dell'azione di governo. Certo, mi rendo conto che contano anche altri criteri: la congruità delle cifre, le compatibilità finanziarie tra risorse e spese, l'operatività delle politiche, l'omogeneità stessa del disegno, la coerenza degli indirizzi e dei metodi, l'architettura scientifica, la somma di informazioni, di dati di analisi a disposizione o reperite. Sono criteri che non vanno sottovalutati, anzi vanno attentamente considerati, verificati e controllati. In questo senso colgo degli elementi di riflessione dall'intervento del collega Paganelli che si è particolarmente soffermato su alcuni di questi aspetti. Però ritengo che questi criteri, nel momento in cui li riconosciamo validi e quindi supporto di interpretazione e di analisi di un documento che si presenta come Piano, rispetto al significato politico che richiamavo prima, non possono essere messi allo stesso livello; soprattutto ritengo che non si possa partire da una considerazione delle insufficienze e dei limiti relativi a questi aspetti neanche combinandoli assieme per giungere ad una valutazione conclusiva di rifiuto categorico di quanto, invece, di positivo c'é nel Piano. Non mi riferisco tanto alle repliche sugli aspetti specifici che si potrebbero dare o che sono già state date negli interventi di Bellomo, Rossi, Ferrero, Bono Besate. Mi riferisco soprattutto al fatto centrale su cui richiamo l'attenzione; fatto nuovo, di grande peso politico e istituzionale che l'operazione "Programmazione del Piemonte" rappresenta nella vita politica della comunità regionale e anche della comunità nazionale. Il Piano di sviluppo regionale è innanzitutto una manifestazione di autonomia, cioè di volontà della Regione di mettersi al governo e non al servizio delle spinte provenienti dai singoli gruppi sociali e dalle scelte delle grandi imprese.
Penso che la storia ci ammonisca con quelli che sono stati esempi del passato ove spinte e dettami di grossi gruppi economici e sociali hanno determinato scelte che si sono rivelate perdenti e che hanno portato al fallimento del modello di sviluppo in questione. Parliamo quindi di autonomia come manifestazione di volontà: in altri termini, possiamo dire che questo Piano è un primo passo concreto nella realizzazione del nuovo rapporto tra Stato ed economia, tra istituzioni democratiche e processi economici e produttivi, che abbiamo più volte richiamato in una definizione di sintesi molto espressiva: governo democratico dell'economia come grande obiettivo strategico per affrontare la crisi, per uscire dalla crisi e trasformare la società. Che cosa significa questa definizione? perché oggi diventa inscindibile il nesso esistente tra superamento della crisi, ruolo e riforma delle istituzioni? L'intervento dello Stato nell'economia è un processo che parte da lontano, è un processo di lungo periodo che ha portato radicalmente, nel giro di questo secolo, soprattutto in questi ultimi cinquant'anni, ad un cambiamento delle funzioni dello Stato, a un intreccio nuovo rispetto al passato, rispetto al vecchio schema di Stato liberale, tra economia e politica, tra pubblico e privato. I grandi fatti che hanno segnato la storia di questi ultimi 50 anni, dalla grande crisi del '29 al new deal rooseveltiano, allo stesso fascismo nel suo dirigismo economico alle politiche di guerra, alle tecniche keynesiane sono storia che nei giorni nostri sono diventati elemento di riferimento, elemento centrale del dibattito allorché sulla scena politica sono entrate sotto la spinta delle lotte dei lavoratori, dei contadini, di tutte le categorie sociali, le grandi masse, prima emarginate dai processi politici. Questa pubblicizzazione del processo produttivo ha reso acuta la domanda di fondo sul ruolo dello Stato, sui fini, sui poteri, sul chi decide. Ecco dunque che si pone in questi termini il problema delle istituzioni, oggi, nel momento in cui parliamo di economia e produzione. Non è tanto la questione del problema dell'estensione delle funzioni dello Stato e dell'estensione materiale del suo intervento, ma è il problema delle funzioni che deve assolvere, delle logiche a cui deve obbedire, degli interessi che, in ultima analisi, mira a ricomporre e a tutelare. Dando uno sguardo retrospettivo sugli errori di fondo dello Stato che, man mano che si faceva più estesa la sua azione e man mano che si occupava di tutto, sempre meno riusciva a dare ordine e finalizzazione al suo intervento (ne è esempio la politica di incentivazione i cui cascami ricadono su di noi), si devono oggi radicalmente mutare gli elementi di ragionamento: quindi non estensione materiale dell'intervento, ma nuove funzioni, intreccio nuovo di fattori produttivi e di iniziativa pubblica. Questo è l'unico modo per poter rimuovere il carattere diciamo "spastico" dell'azione statale. Questo vuol dire intendere in tutta la sua portata l'elemento su cui il discorso sulla riforma dello Stato, sull'organizzazione del potere esce oggi dal generico e diventa un discorso qualificato; la democratizzazione delle grandi decisioni che rientrano nell'economia elevando il potere contrattuale, il potere politico di masse di produttori, ancora oggi subordinate. Questa è la carta vera di cui dispongono le assemblee elettive, cioè la carta che coinvolge in una programmazione consapevole un largo arco di forze: per costruire quindi anche e soprattutto fra le masse quel consenso che produce autodisciplina, convinzione, azione ed iniziativa politica. Questo è il nodo cruciale che non può non ripercuotersi anche nella discussione che facciamo sul nostro Piano di sviluppo. Ribadiamo con energia che nell'imboccare una strada od un'altra di programmazione, di attuazione di criteri validi, non solo per noi ma anche per le forze democratiche, occorre stare attenti a non cadere in rischi di contrapposizioni errate tra efficienza e democrazia: in questo senso una programmazione burocratica, dirigistica non è una programmazione efficiente, lo è invece una programmazione profondamente democratica perché, non è solo uno slogan ma è la verità, "l'efficienza della democrazia è e rimane la democrazia". Sotto questo profilo mi sembra che vada ricordato che, proprio nel momento in cui abbiamo di fronte questi compiti e quindi si configura così come processo di mobilitazione di forze di consenso attorno ad un progetto di trasformazione della nostra società e di trasformazione che tenga in conto i patrimoni esistenti, la continuità con tutto quello che costituisce la storia in positivo del nostro Paese, di fronte a questo momento, riteniamo di dovere collocare in maniera organica e non minimale il discorso sul Piano di sviluppo. E' un tema suggestivo che avrei potuto sviluppare di più, ma mi rendo conto che occorre oggi, dopo aver dato alcuni riferimenti che riescono ad illustrare meglio una nostra concezione di programmazione, passare a una analisi di questo Piano, anche di verifica, di corrispondenza con le cose che dicevo prima perché non è ancora scontato.
In questa esigenza generale di un modo nuovo di essere dello Stato e della sua intera articolazione istituzionale, dalle Regioni ai Comuni anch'essi soggetti di programmazione, attraverso lo svolgimento di un ruolo di governo e di coordinamento della strategia di sviluppo, noi possiamo collocare l'esigenza di questo Piano che costituisce e costituirà uno strumento di governo della pubblica amministrazione al fine di accrescere innanzitutto l'efficacia sociale ed economica dell'intervento pubblico con una qualificazione dell'uso delle risorse tale da fornire orientamenti e certezze (e certo questo è un processo di affinamento, di conquista non ancora perfettamente raggiunto) agli operatori privati.
Di qui allora il motivo di una nostra concezione di un Piano non inteso come disegno finale e nello stesso tempo un semplice impegno programmatico di intenti o di aspirazioni, ma di un Piano di indirizzi coordinati definiti sufficientemente senza rigidezze od astrattismi, tendente al massimo di organicità, meditato, confrontato, partecipato, discusso orientato in modo preciso verso situazioni, che però ci tocca disegnare e correggere permanentemente nel cammino. E' la concezione del piano processo, in base alle forze che si possono mettere in gioco e sul piano della maturazione e sul piano dell'egemonia esercitata, un Piano cioè che si intreccia intimamente lungo il cammino tracciato da queste direttrici politiche che si qualificano con i processi di partecipazione, con il confronto con le forze economiche in un'azione politica permanente che non astrae certamente dai rapporti di forza, ma anzi tende a modificarli; un Piano che si collega con la riforma delle strutture pubbliche, e in questo senso la legge 382 è un collegamento che dà ancora più forza a questo nostro discorso perché cade in direzione della creazione di nuove condizioni istituzionali ed operative in modo da garantire la massima finalizzazione sociale ed economica dell'intervento pubblico. Questa è la concezione presente nel Piano e sulla quale abbiamo anche l'umiltà di dire che non è compiuta e che è appunto oggetto di un processo di affinamento e di conquista.
Ebbene, che questo sia un Piano lo indica tutta una serie di fatti.
Farò alcuni esempi che rafforzano questo concetto e cercano di esplicare le nostre idee. Voglio rispondere all'amico Benzi che nel suo intervento ha posto alcuni elementi reali. Innanzitutto mi riferisco alla conferenza sull'occupazione. Se in termini di effetti pratici, monetizzabili geometrizzabili è difficile sfuggire da una valutazione minimale di quella conferenza, in realtà invece fu un punto di partenza importante per aggregare attorno all'idea di programmazione e alle proposte nascenti di programmazione tutta una serie di forze che, in maniera alterna ed anche attraverso a momenti di critica, hanno contribuito largamente a far sì che oggi uscisse questa proposta di Piano. Pensiamo allo stesso rapporto nuovo più avanzato che si è stabilito tra le forze politiche, al lavoro di sottocommissione, alle consultazioni con le forze sociali e agli apporti che esse ci hanno dato con carattere a volte critico ma certamente con finalità e intenzioni costruttive rapportate al tipo di proposta fatta pensiamo agli Enti locali, ai Comprensori che nei limiti del possibile del tempo ristretto hanno anch'essi conferito un contributo importante pensiamo ancora all'attenzione delle forze sociali esplicitata in alcuni documenti, mi riferisco a due casi diversi ma entrambi emblematici, da un lato il documento degli imprenditori e dall'altro il documento della Federazione dei Coltivatori Diretti, documento di grande interesse che certo, alla fine dà certi giudizi negativi, ma non senza evidenziare uno stacco logico tra il giudizio finale delle ultime tre righe rispetto al modo con cui si è collocato internamente a questa proposta di Piano facendo rilievi e approvando anche alcune linee.
Tutto questo è, a mio avviso, il Piano e l'esistenza del Piano è provata da questa mobilitazione di forze che c'é stata, certo non ancora sufficiente per portare a termine il processo di pianificazione, ma che è un primo dato politico da cui non possiamo assolutamente prescindere.
Questo è il motivo per cui crediamo profondamente nel Piano, questo è il motivo di un atteggiamento che nel seguire con attenzione ogni proposta ed ogni critica, anzi nel sollecitare (in questo la Giunta è stata esplicita) ogni apporto migliorativo, da qualunque parte venga, è fondata sulla piena consapevolezza della necessità dell'approvazione di uno strumento di cui siamo profondamente e sinceramente convinti e in cui crediamo prevalgano elementi di novità rispetto a limiti e ad approssimazioni non soddisfacenti. Questo mi sembra che abbia colto con particolare puntualità il Consigliere Cardinali. E' questo il senso di un atteggiamento che dovrebbero avere, in ordine a questa discussione, le forze politiche. Si è parlato di limiti. Ne ho parlato anch'io; si sono sentite varie critiche e varie osservazioni. Ebbene, credo che non ci si debba assolutamente sottrarre al confronto su questo terreno. A questo proposito vorrei fare alcune considerazioni. Ho già richiamato quanto di stimolante c'era nell'intervento del Consigliere Paganelli sui limiti del bilancio pluriennale e in interventi di altri Consiglieri della Democrazia Cristiana che purtroppo non vedo qui mentre parlo; per esempio gli interventi di Martini, di Petrini, dello stesso Lombardi, hanno portato degli elementi che, in chiave sostanzialmente critica, si sono collocati all'interno di un disegno che non è stato smentito e si sono collocati con una serie di rilievi anche importanti, non tutti condivisibili, ma certi alcuni di portata reale Credo che il modo migliore per arrivare a recuperare con la maggior fretta possibile i limiti, le insufficienze e gli errori compresi in questa proposta sia quello, da un lato, di approvarla e di approvarla con lo spirito più aperto e più costruttivo possibile, e dall'altro di mettere in moto con la partecipazione reale di tutti il processo di pianificazione; perché - ripeto - la concezione di piano processo vede correzioni, aggiustamenti, approssimazioni successive in tutta la sua vita, oltre che per previsioni di Statuto, anche per realtà di una concezione quale ho espresso in precedenza.
Altro discorso è stato quello delle priorità. E' stato un discorso svolto da alcuni in maniera più generica e in maniera molto più precisa dalla dottoressa Castagnone Vaccarino, la quale peraltro ha anche toccato altri aspetti del documento. Ritengo che sulle priorità vada fatto anzitutto un discorso preliminare: noi non ci troviamo oggi di fronte a questo documento come ad una pura e semplice elencazione di tutto il possibile da parte della Giunta regionale, di tutto il possibile da parte della Regione. In questa scelta, che è ancora molto distante dalle reali disponibilità, c'é una programmazione di priorità; è un arco di priorità che la Giunta ritiene di attuare con i suggerimenti, con le modifiche, con gli accoglimenti, se vogliamo con le correzioni che emergeranno dal dibattito: questa è la chiave di lettura di questo documento. Si tratta di elementi di programmazione, di elementi di priorità, si tratta già di un modo di manifestarsi nell'attività regionale attraverso quelle che verranno ritenute le priorità all'interno della Giunta e poi con l'apporto del Consiglio. E' vero che questo è ancora molto distante da quelle che sono le risorse disponibili. Non faccio il richiamo a quanto è già stato detto cioè agli appuntamenti successivi che comunque costituiscono una tappa d'obbligo di verifica e di confronto: il bilancio pluriennale; m'importa solo di ricordare il concetto che comunque bisogna andare ad una scelta ancora interna. In questo senso voglio soffermarmi su quella che è stata l'osservazione di alcune consultazioni: che la Giunta non ha scelto. No, la Giunta ha già scelto, certamente il grado di affinamento della scelta dovrà essere maggiore stante quelle che sono le risorse di disponibilità, ma questo non esclude un'attenzione continua a tutto il complesso dei programmi e dei progetti. Sappiamo però che il discorso delle disponibilità ci limita e ci porta a dovere arrivare presto e comunque entro l'autunno ad una prima netta indicazione delle priorità. Sotto questo profilo ritengo che alcune osservazioni fatte e posizioni assunte in alcuni interventi vadano riconfermate anche da parte del nostro Gruppo, proprio perché queste priorità sono le architravi di tutto il disegno di Piano, il riequilibrio territoriale, la diversificazione produttiva, il sostegno all'agricoltura la politica dei trasporti, la formazione professionale allo stato in cui e dirò poi qualcosa anche su questo, il programma di organizzazione e di informazione; ieri Bono citava la difesa idrogeologica, anche questo è un aspetto quanto mai importante. Sono questi i grandi settori, gli altri sono settori di altrettanta importanza ma, in una scelta, i punti portanti della politica dovranno essere questi. Stamattina c'è stata un'osservazione da parte della dottoressa Castagnone Vaccarino per quanto riguarda gli interventi sostitutivi dello Stato. Da questo lato la nostra posizione è tale da cogliere l'elemento di realtà che esiste in una simile posizione.
Ci sono limiti e priorità da definire, qualcuna in parte definita, altre da rimandare all'appuntamento autunnale. Io credo che comunque un concetto vada ribadito, sul quale c'è da insistere, cioè il Piano con i limiti richiamati è lo specchio efficace di quello che noi siamo, lo specchio fedele di quanto siamo in grado di fare, oggi nel 1977, qui in Piemonte ciò che è in grado di fare la struttura dell'Ente pubblico nel momento in cui vuole, con coraggio, misurarsi in termini concreti e politici e non solo culturali con l'appuntamento della programmazione. Sotto questo profilo allora è molto importante insistere sulla positività della scelta operata dalla maggioranza e andare a questa verifica reale ponendo l'accento sulla volontà politica che ha permesso e permetterà di giungere presto a portare in aula il Piano per l'approvazione.
Farò ancora alcune considerazioni di carattere generale che mi sembra siano coerenti con il discorso fatto finora. Innanzitutto, ed è un tema già richiamato in altri interventi, consideriamo il valore di proposta nazionale che assume il Piano, nel senso che il sistema economico regionale è fortemente condizionato dai processi e dalle decisioni che vengono assunte ad una scala più generale; molti obiettivi e programmi sono soggetti a variabili largamente esterne al Piemonte e alla competenza della Regione. Partendo da ciò appunto il Piano definisce con chiarezza i suoi limiti (questo è un pregio), all'interno avanza la proposta che si riferisce soprattutto alla gestione coordinata dei poteri, delle risorse della Regione e dell'intero sistema delle autonomie locali, postula in un secondo tempo il passaggio ad una politica di programmazione nazionale, ma soprattutto, mi pare che il carattere nazionale del Piano - è stato detto anche da altri - deriva dal fatto che esso si fa carico dell'assieme degli obiettivi, dei vincoli ed in primo luogo del nuovo rapporto tra Nord e Sud e della relazione tra industria ed agricoltura che è necessario assumere per far fronte alla grave crisi che colpisce il Paese. Questo è il valore delle scelte operate dalla Giunta piemontese, e la profondità e l'aspetto della crisi mostrano la necessità di un disegno programmatorio di tale portata. Dalla crisi infatti non si esce se non si battono quelle forze che puntano ancora sull'illusione tipica degli anni passati, che sia cioè possibile affrontare prima l'emergenza e poi il risanamento. Fare un piano quindi e organizzare sulla base di esso l'attività di una Regione come il Piemonte significa prima di tutto reagire alla crisi in modo giusto, in modo corretto, contribuendo alla battaglia per assicurare al Paese una prospettiva di rinnovamento in cui alle istituzioni democratiche sia attribuita una assunzione effettiva di guida dei processi economici. La strategia di politica economica che esce dal Piano è quella del superamento degli squilibri territoriali, di quelli settoriali, è soprattutto il grande segno meridionalista: questo segno meridionalista va sottolineato con forza, anche perché rappresenta il segno più importante ed evidente di una vera e propria rottura rispetto al tipo di crescita che è stata imposta al Piemonte dalle grandi concentrazioni industriali e finanziarie, con in testa la Fiat, anche rispetto all'impostazione che caratterizzava i tentativi di programmazione degli anni '60. Dall'ideologia del Piemonte area forte della C.E.E., collegata all'asse Rodano-Reno, oggi si arriva al Piano come fatto meridionalista: la chiave di volta del futuro del Piemonte, addirittura la condizione a cui viene subordinata la possibilità di attuare una diffusione e una riqualificazione dello sviluppo regionale è individuata in uno sviluppo programmato dell'economia nazionale che affronti prioritariamente la questione del Sud: quindi Piano come proposta nazionale e Piano come impegno collettivo per tutti.
Questo è un altro concetto che vorrei esporre brevemente e che riguarda il significato del Piano come quadro di impegni ad un comportamento collettivo per costruire il processo di attuazione. Sotto questo profilo dichiaro che il compito che ci attende è notevole, attende noi, ma attende tutto il sistema democratico, innanzitutto delle assemblee elettive, delle forze sociali del Piemonte. Non è pensabile, sotto questo profilo rapportarsi al Piano come a qualcosa su cui leggere in maniera analitica il destino singolo di una località, di una zona, e via dicendo. Certo alcune indicazioni ci devono essere, forse anche qualcuna di più di quelle che ci sono. Ma è molto importante che il Piano apra questo processo di attuazione attraverso l'iniziativa e la politica concreta che parte dagli Enti locali dalle forze sociali. In molti casi si tratterà di iniziative di lotta per raggiungere certi obiettivi che nella realtà non sono ancora così facili così scontati, che, invece, giustamente il Piano anticipa come obiettivi da raggiungere e da conquistare.
Dal ragionamento che ho esposto penso che possano derivare alcune precise considerazioni di ordine politico. Se il Piano è questa manifestazione di autonomia che dicevo, se è un passo importante nella realizzazione del governo democratico dell'economia, se è un modo reale e nuovo di fare protagoniste larghe masse di cittadini nei processi economici; se è vero che questo Piano ha un carattere di esemplarità agli effetti nazionali perché è il primo che viene approvato da una Regione e comunque il primo in assoluto vista la carenza di una programmazione con carattere globale a livello nazionale; se è vero che una tale concezione del piano postula il concorso pluralistico di tutte le forze che, nelle proprie capacità di proposta e di rappresentazione di interessi, esaltano il valore democratico della programmazione e ne permettono il cammino concreto nella realtà, nei fatti e nelle conseguenze; se è vero ancora che abbiamo bisogno di tutti nella battaglia per le istituzioni, ebbene io chiedo ai colleghi della Democrazia Cristiana se non sia stato per lo meno prematuro ed avventato decidere a priori un atteggiamento negativo attraverso una conferenza stampa e attraverso i primi interventi soprattutto quello del Consigliere Alberton, svolti in Consiglio.
Permettetemi una parentesi sulla conferenza stampa, non tanto riguardo al fatto in sé, ma riguardo a ciò che è emerso sulla Gazzetta del Popolo, Devo qui rispondere perché quando le critiche e le motivazioni sono fondate ci si confronta, ma quando le cose vengono dette in una certa maniera è d'uopo rispondere anche duramente. Spero che si sia equivocato da parte del giornalista, ma non credo. Il Segretario regionale della Democrazia Cristiana afferma nell'intervista: "Il Piano è la dimostrazione che questa Giunta continua a vegetare". Mi chiedo se un giudizio di questo tipo abbia un benché minimo diritto di cittadinanza. E' una Giunta che ha una intensa attività (troppo intensa, dite voi), attraverso la realizzazione delle grandi leggi di Piano, attraverso la proposta del Piano di sviluppo attraverso (è un esempio) un processo di accelerazione della spesa su cui sappiamo quanto il Presidente Viglione sia personalmente impegnato. Mi chiedo se questo è vegetare. Credo che neppure voi lo possiate pensare e comunque non è con tali banalità che vogliate giocare il vostro ruolo di opposizione. Dicevo allora se non sia stato prematuro ed avventato e in qualche misura riduttivo e sterile fondare un atteggiamento negativo aprioristico su una puntigliosa, attenta e, sotto certi punti di vista encomiabile elencazione di elementi negativi; a parte che su alcuni di essi non credo si possa concordare, senza che emerga nell'atteggiamento e nella sostanza la forza di una serie di proposte. Ho rilevato con piacere che alcuni interventi svolti da altri colleghi della Democrazia Cristiana invece hanno cercato di collocarsi all'interno di un atteggiamento certamente critico ma che faceva emergere alcuni elementi reali di proposte e di osservazioni alternative. Questo è un nodo importante su cui invito i colleghi della Democrazia Cristiana a riflettere perché un Gruppo che rappresenta un grande partito credo che abbia il compito di fare l'opposizione contribuendo al governo e lo fa se è capace, come in altri casi è stato capace, di proporre delle sue scelte, di fare delle sue proposte; se invece si limita ad una analisi minuziosa con taglio chiaramente e solamente distruttivo e negativo, allora non è più opposizione che si fa contro una prospettiva di governo, ma è minoranza e non credo che sia questo il destino a cui voi stessi, per l'impegno che date, possiate relegare il lavoro del vostro Gruppo. Mi chiedo se sia sufficiente andare a motivare alla larga massa dei cittadini che si riconosce nel vostro partito, ai contadini del Cuneese, agli operai delle grandi fabbriche, agli artigiani, ai piccoli imprenditori, un atteggiamento rigido, aprioristico, negativo sul Piano perché l'ha fatto questa Giunta.
Questo mi sembra il succo di un atteggiamento di carattere politico fragilmente basato su una serie di motivazioni anche di carattere tecnico.
In questo senso non è facile e soprattutto non è sufficiente per voi spiegare un atteggiamento di questo tipo. Ancora vi chiedo se non ci sia invece la consapevolezza che dicendo questo no secco e deciso al Piano non diciate anche in qualche misura no alle battaglie che alcuni di voi hanno condotto nel passato per la programmazione e allo stesso impegno, agli stessi apporti ricchi, costruttivi - lo riconosciamo - che avete dato all'ultima stesura della relazione generale in sede di sottocommissione.
Ebbene, colleghi della Democrazia Cristiana, penso che con la conferenza stampa e con alcuni interventi svolti in questa assemblea abbiate compiuto un errore. Come Gruppo più numeroso di questa assemblea mi sia permesso di rivolgere un invito (anche per il modo con cui si è svolto il dibattito e per il modo con cui correttamente ci si è collocati tutti cito Cardinali, cito la signora Castagnone Vaccarino, che hanno avuto un atteggiamento sostanzialmente diverso sul Piano), a non commettere questo errore anche in sede di votazione di Piano e ad assumere un atteggiamento diverso. Non ci sono, sia chiaro, esigenze di maggioranza: questa maggioranza c'è, esiste, è la maggioranza dei socialisti, dei comunisti dell'Unione liberale democratica e, nel corso del dibattito, la maggioranza è stata rafforzata da un atteggiamento e da consensi venuti da altre forze è invece un invito che deriva dalla consapevolezza piena di un Partito che è forza di governo dal governo e che si rivolge al principale Gruppo di opposizione perché sia davvero Partito di governo pur stando all'opposizione.
Concluderò facendo un riferimento d'obbligo. Ci attende il fatto che usciamo con il Piano in concomitanza con i compiti che la Regione si troverà ad attuare in applicazione della legge 382 e con il clima nuovo che si è sviluppato in Italia a seguito dell'accordo programmatico. Credo che sarebbe un grosso errore compiere delle trasposizioni meccaniche di un accordo nazionale a situazioni locali. Però credo che sarebbe dall'altra parte altrettanto grave errore non cogliere i fatti oggettivi che hanno reso non solo possibile questo accordo, ma necessario. I fatti oggettivi soprattutto la crisi, la gravità della situazione del Paese non sono diversi in Piemonte che a livello nazionale e, in aggiunta a questi abbiamo davanti un altro tipo di fatto oggettivo: quello della nuova fase costituente che si apre per la Regione con l'applicazione della 382 e con l'attuazione del Piano di sviluppo. In questo senso, partendo da questi elementi obiettivi credo che non possa non essere fatto un invito alle forze politiche perché il massimo sforzo unitario da oggi in poi ci veda impegnati da un lato nell'attuazione di questa nuova fase costituente e dall'altro in una corretta interpretazione ed attuazione dell'accordo programmatico di governo.



PRESIDENTE

Con l'intervento del Consigliere Bontempi si conclude la discussione generale. Propongo di regolare così i nostri lavori per l'immediato: esaminare fino alle 18 una serie di deliberazioni e di provvedimenti che possono essere rapidamente risolti; rinviare a domattina le repliche della Giunta, le dichiarazioni dei Capigruppo e il voto relativo al progetto di deliberazione che la Giunta presenterà a conclusione del dibattito sul Piano regionale di sviluppo; al pomeriggio riprenderemo i lavori proseguendo l'esame degli altri punti all'ordine del giorno.
I Consiglieri sono d'accordo con questa procedura? Vi sono obiezioni? Non ve ne sono.


Argomento: Comunita' montane: Statuti - Piani pluriennali

Esame piano pluriennale socio-economico di sviluppo della Comunità montana Valle Stura di Demonte


PRESIDENTE

Suggerisco di passare all'esame del punto nono all'ordine del giorno: "Esame piano pluriennale socio-economico di sviluppo della Comunità montana Valle Stura di Demonte".
Relatore è il Consigliere Dadone, che ha facoltà di parlare.



DADONE Pietro, relatore

L'esame del piano di sviluppo della Comunità montana della Valle Stura di Demonte è stato svolto approfonditamente dalla I Commissione con la collaborazione tecnica dell'Assessorato all'agricoltura. Ci troviamo ad esaminare ed approvare il terzo piano di sviluppo di una Comunità montana.
E' un caso singolare, ma quanto mai significativo il fatto che discutiamo l'approvazione del piano di sviluppo di una Comunità montana in concomitanza con il nostro Piano di sviluppo regionale, fatto che forse pu segnare la fine di una piccola contraddizione nella quale ci venimmo a trovare esaminando i precedenti piani della Val Sesia e delle Valli Monregalesi. Infatti alcune Comunità montane avevano già portato a termine una proposta di piano e la Regione, non avendo ancora portato a termine il proprio, non poteva rapportarli alle sue scelte. Tutti d'accordo decidemmo di approvare questi piani con una deliberazione che cercava di valorizzare quanto era contenuto al loro interno e nello stesso tempo cercammo di non pregiudicare quelle che sarebbero state le scelte che la Regione avrebbe fatto con il suo Piano.
Il metodo di lavoro per l'esame dei piani successivi dovrà essere inverso, in quanto essendo già in presenza del nostro Piano di sviluppo potremo fare un esame più approfondito e più puntuale sulla compatibilità delle scelte delle Comunità montane rispetto alle nostre. La presente deliberazione viene proposta unanimemente al Consiglio dalla I Commissione in accordo con la Giunta.
In merito a questo piano dobbiamo dire che lo sforzo fatto dalla Comunità montana della Valle Stura di Demonte è stato notevole, sia nell'analisi della situazione locale, sia nel cercare di delineare alcune prospettive di intervento che fossero prima di tutto realistiche e non avventate, e questo emerge chiaramente dalle scelte contenute nel piano. Ci troviamo in un campo in cui nessuno ha mai operato, in cui si comincia solo ora ad operare e non possiamo pretendere che le Comunità montane siano all'avanguardia rispetto alla Regione. In ogni caso, e nonostante vi siano dei limiti evidenziati in alcune parti della relazione tecnica, la I Commissione propone al Consiglio di approvare questa deliberazione inerente al piano di sviluppo della Comunità montana Valle Stura di Demonte.



PRESIDENTE

Non vi sono richieste di parola sull'argomento, passiamo alla votazione per alzata di mano della deliberazione: "Il Consiglio regionale visto il parere favorevole espresso in merito dalla I Commissione permanente delibera di approvare il piano pluriennale di sviluppo economico-sociale della Comunità montana Valle Stura di Demonte, redatto ai sensi delle leggi n.
1102 del 1971 e n. 352 del 1976 nonché delle leggi regionali n. 17 del 1973 e n. 9 del 1975 fatto salvo le esigenze di variazioni, aggiornamenti ed adattamenti da effettuarsi in sede di piano stralcio, derivanti dalle prescrizioni e dalle indicazioni del Piano regionale di sviluppo, del piano comprensoriale territoriale di coordinamento di cui alla legge regionale n. 41 del 4/6/1975, dei piani urbanistici comunali ed intercomunali, dei piani settoriali, al fine di realizzare la necessaria compatibilità tra le previsioni e le indicazioni di intervento gli interventi previsti nel piano di sviluppo ed il relativo onere sono da intendersi come indicazioni di larga massima per le competenze della Regione, subordinate alle linee programmatiche e di spesa degli Assessorati, e degli altri Enti all'infuori della Comunità montana le osservazioni e le indicazioni di merito formulate dalla Giunta nell'allegato, visti ed esaminati gli elaborati del piano formati da una relazione e da n. 6 tavole concernenti l'acquisizione conoscitiva l'indirizzo degli obiettivi generali, la determinazione degli interventi di settore nella delimitazione temporale di 5 anni di validità del piano e l'individuazione dei metodi, mezzi e strumenti di attuazione".
Chi approva è pregato di alzare la mano.
La deliberazione è approvata all'unanimità dei 32 Consiglieri presenti in aula.


Argomento: Bilanci preventivi

Esame disegno di legge n. 208: "Integrazione straordinaria del capitolo n. 5360 dello stato di previsione della spesa per l'anno finanziario 1977 per la realizzazione di interventi assistenziali"


PRESIDENTE

Passiamo al punto decimo all'ordine del giorno: "Esame disegno di legge n. 208: 'Integrazione straordinaria del capitolo n. 5360 dello stato di previsione della spesa per l'anno finanziario 1977 per la realizzazione di interventi assistenziali' ".
Relatore del disegno di legge è il Consigliere Ferrero, a cui dò la parola.



FERRERO Giovanni, relatore

La relazione sarà molto breve. La Commissione aveva esaminato questa materia e all'unanimità aveva ritenuto, sulla base delle indicazioni e delle illustrazioni dell'Assessore Vecchione, di accogliere il provvedimento e di sottoporlo all'approvazione del Consiglio regionale. Il provvedimento peraltro è motivato da alcune necessità di capitoli differenti rispetto a quelli in cui si trovano attualmente impegnati i fondi, i quali verrebbero sottoutilizzati o non avrebbero la collocazione opportuna.



PRESIDENTE

La parola alla dottoressa Vietti.



VIETTI Anna Maria

Come abbiamo dichiarato in Commissione, riteniamo che anche sul capitolo di bilancio per i contributi straordinari agli Enti comunali di assistenza fosse possibile impegnare fondi per contributi da concedersi in seguito alle calamità naturali; ma poiché la Giunta ha ritenuto invece di impegnare il capitolo n. 5360 di bilancio per gli interventi straordinari a favore di Enti o di cittadini danneggiati e poiché ora tale capitolo è carente di fondi per gli interventi della normale attività, non possiamo che prendere atto di questa esigenza e votare in modo favorevole.



PRESIDENTE

Non vi sono altre dichiarazioni. Si passa alla votazione della legge e quindi iniziamo con l'articolo 1.
Articolo 1 - "Per la realizzazione degli interventi assistenziali di cui alla legge 22/3/1945, n. 173 ed alla legge 30/10/1955, n. 1067 è autorizzata per l'anno finanziario 1977 l'ulteriore spesa di L.
150.000.000.
All'onere di cui al precedente comma si provvede mediante una riduzione di pari ammontare dello stanziamento di cui al capitolo n. 5360 dello stato di previsione della spesa per l'anno finanziario 1977 e mediante l'integrazione di L. 150.000.000 dello stanziamento di cui al capitolo n.
5360 dello stato di previsione del medesimo.
Il Presidente della Giunta regionale è autorizzato ad apportare, con proprio decreto, le occorrenti variazioni di bilancio".
Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico l'esito della votazione: presenti e votanti 39 hanno risposto SI 39 Consiglieri.
L'articolo 1 è approvato.
Articolo 2 - "La presente legge è dichiarata urgente ed entra in vigore nel giorno successivo della sua pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione Piemonte ai sensi dell'art. 45 dello Statuto".
Non vi sono richieste di parola, passiamo all'appello nominale.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico l'esito della votazione: presenti e votanti 43 hanno risposto SI 43 Consiglieri.
L'articolo 2 è approvato.
Passiamo alla votazione dell'intero disegno di legge.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico l'esito della votazione: presenti e votanti 45 hanno risposto SI 45 Consiglieri.
Il disegno di legge n. 208 è approvato.


Argomento: Nomine

D.M. 15 gennaio 1977. Regolamento di esecuzione della legge 19/5/1976 n. 398 concernente la disciplina del commercio ambulante. Nomina dei membri supplenti della Commissione regionale ambulanti


PRESIDENTE

Passiamo al punto dodicesimo all'ordine del giorno: "D.M. 15 gennaio 1977. Regolamento di esecuzione della legge 19/5/1976 n. 398 concernente la disciplina del commercio ambulante. Nomina dei membri supplenti della Commissione regionale ambulanti": "Il Consiglio regionale considerato il D.M. 15 gennaio 1977 - Regolamento di esecuzione della legge 19/5/1976, n. 398, concernente la disciplina del commercio ambulante attribuisce alla Regione, tra i vari compiti, anche quello di provvedere alla nomina dei membri supplenti della Commissione regionale ambulanti. (Al riguardo l'articolo 13 - quinto comma del Regolamento medesimo statuisce 'con la stessa procedura di quelli effettivi sono anche nominati i membri supplenti'). Richiamata pertanto la propria deliberazione n. 168 del 7/4/1977 con la quale sono stati nominati i membri effettivi della Commissione di cui sopra, ci si propone l'adozione di analoghi criteri comparativi per la valutazione del grado di rappresentatività delle organizzazioni sindacali di categoria esistenti individuando conseguentemente la competenza a designare i tre rappresentanti dei commercianti ambulanti ed i due del commercio in sede fissa ai sensi dell'articolo 9 della succitata legge n. 398.
Uno dei criteri adottati dalla citata deliberazione, per valutare il grado di rappresentatività delle organizzazioni di categoria, è stato quello di tenere conto dei risultati delle elezioni svolte per le nomine dei delegati degli esercenti le attività commerciali all'assemblea delle Casse Mutue provinciali; identico criterio è stato stabilito, 'nei casi in cui sia possibile', dall'articolo 13 - secondo comma del Regolamento della legge n. 398.
Pertanto, sulla scorta dei dati forniti dalla Cassa Mutua di Torino comprendente i risultati delle ultime elezioni anche nelle altre province e dalle valutazioni effettuate nella deliberazione su richiamata, si ritiene di poter riconfermare che le organizzazioni sindacali di categoria competenti a designare i tre rappresentanti dei commercianti ambulanti sono, in ordine di rappresentatività: l'Anvad, l'Ascom-Fiva, l'Uil.
L'altro criterio adottato, sempre nella propria delibera di Consiglio per valutare il grado di rappresentatività delle organizzazioni di categoria dei commercianti in sede fissa, è stato quello di verificare l'attuale numero degli iscritti alle rispettive organizzazioni, tenuto conto del fatto che una delle organizzazioni notoriamente tra le più rappresentative anche in campo nazionale, precisamente la Confesercenti non era ancora costituita al tempo delle ultime elezioni della Cassa Mutua.
Accertato che il numero degli iscritti attribuito rispettivamente all'Ascom e alla Confesercenti prevale su quello degli iscritti alle altre organizzazioni, si è ritenuto e si ritiene tuttora, di poter riconoscere alle medesime la competenza a designare i due rappresentanti dei commercianti in sede fissa.
Considerato altresì che sono state fornite le designazioni dalle organizzazioni sindacali di categoria di cui sopra, nonché quelle degli altri Enti cui spetta la designazione dei rispettivi rappresentanti per la nomina a membri supplenti della Commissione regionale ambulanti.
Al riguardo devesi porre in evidenza che l'Ascom ha insistito per la designazione del sig. Adriano Sartore non operatore economico, in considerazione della competenza del designato nello specifico settore commerciale. Si propone eccezionalmente la nomina del suddetto a membro supplente conformemente al disposto dell'articolo 13 - sesto comma del Regolamento di esecuzione della legge n. 398.
Pertanto il Consiglio regionale delibera A) di nominare i membri supplenti della Commissione regionale ambulante secondo le designazioni fornite nelle persone di: 1) 3 rappresentanti dei commercianti ambulanti: a) signor Alfredo Gallo - designato dall'Anvad b) signor Ugo Cabria - designato dall'Ascom-Fiva c) signor Giuseppe Calandri - designato dalla Uil 2) 2 rappresentanti dei commercianti in sede fissa: a) signor Adriano Sartore - designato dall'Ascom b) signor Franco Moro - designato dalla Confesercenti 3) un rappresentante designato dall'Unione Camere Commercio regionale: a) signor Claudio Colombo 4) un rappresentante dell'Anci: a) signor Vladimiro Suriano 5) due Consiglieri regionali di cui uno della minoranza: a) Luciano Raschio b) Michele Colombino (rappresentante di minoranza) B) di dichiarare la presente deliberazione immediatamente eseguibile ai sensi dell'art. 49 della legge 10/2/1953, n. 62".
Si distribuiscano le schede.



(Si procede alla votazione a scrutinio segreto)



PRESIDENTE

L'esito della votazione è il seguente: presenti e votanti 45 favorevoli 45 Consiglieri.
Pertanto i suddetti signori sono nominati membri supplenti della Commissione regionale ambulanti.
Possiamo ora esaminare la deliberazione presentata dall'Assessore Marchesotti per l' "Integrazione della Commissione regionale ambulanti con esperti". In sostanza il progetto di deliberazione integra la Commissione con apposito provvedimento di Giunta, con tre esperti dei problemi della distribuzione, in relazione ai particolari aspetti di carattere legale urbanistico e commerciale. Si tratta inoltre di dichiarare la deliberazione immediatamente esecutiva ai sensi dell'art. 49 della legge 62/53.
La parola all'Assessore Marchesotti.



MARCHESOTTI Domenico, Assessore al commercio

La legge n. 426 prevede che la Commissione al commercio possa essere integrata da esperti nominati dalla Giunta. Per quanto si riferisce invece alla Commissione al commercio ambulante la legge e il regolamento non prevedono la nomina di esperti, ma, come Assessorato vi sono oggettivamente delle difficoltà di carattere tecnico, per cui si chiede al Consiglio la possibilità di nominare alcuni esperti, essendo la Commissione composta esclusivamente da elementi nominati dalle Associazioni di categoria e dal Consiglio regionale.



PRESIDENTE

Vi sono richieste di parola? Opinioni in materia? L'avv. Oberto chiede di parlare, ne ha facoltà.



OBERTO Gianni

L'Assessore ha detto che la legge non prevede queste nomine. Ritengo che si debbano ancora discutere.



PRESIDENTE

La richiesta di rinviare ad altra seduta è accolta.
Non mi pare ci siano le condizioni per svolgere ulteriori punti e pertanto la seduta è aggiornata a domani mattina alle ore 9,30.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 17,50)



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