Sei qui: Home > Leggi e banche dati > Resoconti consiliari > Archivio



Dettaglio seduta n.112 del 21/04/77 - Legislatura n. II - Sedute dal 16 giugno 1975 al 8 giugno 1980

Scarica PDF completo

Argomento:


PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE BELLOMO


Argomento: Esercizio delle funzioni amministrative trasferite o delegate dallo Stato alle Regioni

Prosecuzione dibattito sull'attuazione della legge 22 luglio 1975, n. 382


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Si riprende il dibattito sull'attuazione della legge 22 luglio 1975, n.
382. Il primo Consigliere iscritto a parlare è il dottor Gastaldi, al quale do la parola.



GASTALDI Enrico

Non intendo con il mio intervento fare esami completi sulle proposte di attuazione della delega alle Regioni nei singoli settori, ma soltanto ricavare dall'esame delle proposte per il settore agricolo alcune considerazioni che confermano i motivi esposti dalla collega Castagnone Vaccarino al giudizio critico nostro sullo schema di decreto nel suo complesso, il più importante dei quali è quello di presentare un'organizzazione degli Enti locali ed un'attribuzione di competenze diverse da quelle che noi repubblicani vorremmo realizzate, sia per motivi economici di gestione, sia per una logicità e completezza di funzionamento.
In questa parte si ritrova infatti l'intenzione non solo di mantenere in vita, ma di aumentare le attribuzioni dell'Ente Provincia, Ente che noi primi ma non soli, avversiamo perché antieconomico e inutile dopo la creazione dei Comprensori. L'attribuzione infatti alla Provincia dei compiti di diagnosi e di analisi per le malattie degli animali e della gestione della fecondazione artificiale presuppone l'intenzione di mantenerlo in vita e obbliga lo Stato ad un aumento di spese per la gestione in attrezzatura e personale. Tale compito è ora assolto, in modo più economico perché centralizzato, dall'Istituto Zooprofilattico (che la Regione intende perfezionare con una proposta di legge interregionale, già all'esame della Commissione interessata).
Non sono delegati alla Regione i compiti che riguardano le foreste e la montagna, la valorizzazione dell'ambiente naturale, l'individuazione dei parchi naturali, la difesa del suolo e la sistemazione idrogeologica che, a parte la discutibile collocazione nel settore agricolo, riducono la possibilità dell'ESAP, l'autonomia degli Enti locali e soprattutto delle Comunità montane, che dallo schema non paiono esistere perché non potranno avere in [illeggibile] dalla Regione compiti indispensabili per una completa ed esatta pianificazione regionale a livello di piani di zona, non solo in materia agricola ma anche per l'integrazione agricolo-turistica importante per l'economia della montagna.
Confermo quindi il giudizio non completamente favorevole già espresso dal Capogruppo repubblicano.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Oberto. Ne ha facoltà.



OBERTO Gianni

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, non prendo con molto entusiasmo la parola per dire alcune cose che potrebbero sembrare attinenti ad argomenti piemontesi, ma che sono invece di carattere nazionale come spiegherò. Non la prendo con soddisfazione perché, come già l'altra mattina, in questi atteggiamenti dispersivi, di assenze, di vuoti, ho rilevato elementi negativi, almeno a titolo personale. Sono convinto che gli Istituti si reggono anche per la forza degli uomini che ne costituiscono l'ossatura e l'essenzialità. E' perfettamente inutile dire che la Regione è un fatto nuovo nella costituzione dello Stato regionale ed è inutile dire che la Regione sarà qualcosa che dovrà proiettarsi nel futuro come elemento e momento nuovo di vita e di responsabilizzazione della vita, se gli uomini che sono stati chiamati non per consiglio o per suggerimento del medico, ma perché essi hanno accettato la candidatura sono assenti in un momento estremamente rilevante ed importante come quello della discussione della legge 382. Guai se fossimo veramente ed intimamente convinti che il nostro discorso è sterile ed inutile: allora potremmo benissimo rimetterci ad un documento scritto nel quale si sintetizzi il momento di approvazione o di non approvazione alla legge che ci è stata presentata.
Invece, come singoli e come organo assembleare e deliberante, assumiamo le nostre responsabilità nei confronti del domani, lo dico per tutti, per la mia parte e per le altre parti politiche. Mi perdonino questo sfogo, ma proprio l'altro giorno nell'intervento di replica del Capogruppo comunista estremamente corretto e rispettoso, ho inteso una adesione sostanziale a questa mia lamentela, fatta per l'esperienza del passato e fatta soprattutto per la realtà del momento che viviamo. O la Regione ha una sua credibilità, e allora può pretenderla e chiederla ad altri, o questa credibilità manca, e allora ci riduciamo al rango di una piccola cosa. Il legislatore ha pur messo fuori dal cantiere un qualcosa perché divenga operativo, e noi invece lo distruggiamo alle fondamenta, alla base.
Il mio intervento può sembrare particolarmente settoriale ed è invece di carattere largamente generale. Parlo con infinito rispetto e nella brevità del tempo che è consentito, non indulgendo a quella che può essere la suggestione di riprendere il discorso di carattere generale sulla legge 382; legge di delega che demandava a coloro che poi costituirono la Commissione di redigere il testo sul quale stiamo oggi discutendo. Vi sono stati interventi notevolmente interessanti, ad iniziare da quello del collega ed amico Martini, quello del collega Rossi e di altri che si sono succeduti, non ultimo certamente quello del Capogruppo socialista Calsolaro; resisto alla tentazione per fermarmi a due aspetti che, ripeto possono sembrare particolari, ma hanno un grosso rilievo, ed incomincio da quello che potrebbe apparire il minore, ma tanto minore non è.
Nell'art. 73 di questo disegno di legge si trova che è prevista l'estinzione e la riduzione di Enti pubblici. Nessuno più di me è d'accordo che alcuni Enti pubblici vengano soppressi, perché considerati come non utili alla generalità ed alla collettività. E' un'enunciazione di principio estremamente vera e valida. Nella tabella dell'allegato B, se non vado errato, però vi sono delle indicazioni con un contenuto al quale dobbiamo rivolgere molta attenzione, e mi rivolgo al Presidente del Consiglio e agli organi della Giunta che a questo proposito dovranno dire qualche cosa.
Quando leggo, per esempio, che tra le varie associazioni che dovranno essere ridimensionate, c'è l'Associazione nazionale famiglie caduti e dispersi in guerra, devo dire che, fortunatamente, il nostro Paese che ha avuto tante altre disavventure dal 1945 in poi, anche se di lontano si sente il rombo del cannone e non soltanto il rombo, ma la spietata guerra che in diverse parti del mondo si è propagata, fortunatamente la nostra Repubblica vive in pace e all'orecchio dei giovani soprattutto è alieno il significato che aveva per gli anziani una realtà come quella dell'Associazione nazionale famiglie caduti e dispersi in guerra.
Colleghi Consiglieri, sapete che cosa percepisce di pensione oggi nel nostro Paese una vedova di guerra della prima o della seconda guerra? Soprattutto della prima guerra, con 92 anni? Esattamente L. 59.600 al mese nemmeno 2 mila lire al giorno; con questa somma deve vivere e non ha la possibilità neanche di ottenere la pensione sociale, perché spetta soltanto a chi non usufruisce di altra pensione. Ecco allora che bisogna procedere con molta attenzione e con molta accortezza. Mi permetto di sollecitare l'attenzione della Giunta, del Consiglio, di chi redigerà un testo definitivo, di chi sarà chiamato ancora ad un colloquio davanti alla Commissione Giannini o ad altra Commissione che si vorrà fare, perch questa attenzione e questa considerazione si presenti. Si parla poi del ridimensionamento dell'Associazione nazionale mutilati ed invalidi civili l'Associazione che tutela coloro che non riescono a trovare un posto di lavoro proprio perché i posti loro riservati nelle aziende sono limitati nel numero.
L'art. 73 non dice fin da adesso che tutte le associazioni contemplate nella tabella B saranno soppresse, no, fa ancor peggio, a mio avviso, come si fa in Paesi "civili", ad esempio gli Stati Uniti, dove colui che sa di essere condannato a morte resta in vita in attesa dell'esecuzione per mesi e fors'anche per anni.
Nell'art. 73 è previsto che l'eventuale definitiva soppressione avvenga in uno spazio di tempo che non sarà più quello del 31 dicembre 1976/77 perché mancheranno evidentemente i termini, ma sarà di poco lontano e fra queste associazioni in predicato di soppressione vi è anche l'AVIS l'Associazione dei donatori di sangue. Insomma ce la vogliamo dire la verità, la realtà? Se fosse mancata questa associazione ed altre simili quanti ospedali del Piemonte e d'Italia avrebbero avuto la possibilità di prestare il soccorso della trasfusione di sangue? Sono Associazioni volontaristiche che non hanno assolutamente scopo di lucro, si mettono al servizio della generalità dei cittadini, e che oggi sono costrette a scrivere lettere ad ogni singolo Consigliere perché si faccia portavoce dell'esigenza di una valutazione delle ragioni peculiari per la loro sussistenza. Mi sembra che il primo dovere che abbiamo è quello di ascoltare le voci che ci vengono di fuori, non solo attraverso la consultazione, ma attraverso la conoscenza di quelle lettere di critica o di stimolo, di consenso o di dissenso dei cittadini, i quali si rivolgono all'Ente Regione, più che alle persone, dandogli credito e valore.
Tutto questo deve essere tenuto in conto nel momento dell'estensione del documento finale in relazione al dibattito che veniamo svolgendo. Un altro aspetto che voglio trattare, è quello relativo alle bellezze naturali e ai parchi, argomento che mi è molto congeniale, nessuno se ne sorprenderà, e che mi trova impegnato, mi auguro ancora per poco tempo, in prima persona. La legge 382, nella parte che riguarda le bellezze naturali ed i parchi, dà il senso dello sconcerto. In questo documento si legge: "gli interventi per la protezione della natura dovranno essere trasferiti alle Regioni anche in relazione alle riserve e ai parchi naturali attualmente gestiti da Enti autonomi o dal Ministero dell'agricoltura": una disciplina della materia che appare corretta perché dispone tale trasferimento e al contempo prevede interventi statali sufficienti a garantire le eventuali carenze delle autorità regionali (è quella proposta della Commissione Giannini al paragrafo 9 delle proposte normative). Il documento è carente di una valutazione critica della proposta normativa, ma soprattutto è carente di una valutazione del contenuto delle norme degli artt. 57 e 58 dello schema di disegno di legge. Bisognerà correggerlo perché altrimenti finiremo per darci la zappa sui piedi. Perché il legislatore centrale potrà dire che il documento presentato suonava in questo modo. Ecco perché mi pare che la rettifica o la precisione sia utile ed opportuna.
Il collega Calsolaro nel suo intervento di oratoria torrentizia o per lo meno ruscellante (sembrava che si mettesse in concorrenza con i servizi giornalistici alla radio o alla televisione: dove la pubblicità del formaggino Mio incalza la notizia dell'ultimo sequestro senza che si abbia un attimo solo di respiro), ha toccato questo argomento.
Ha detto delle cose rilevanti e sensate, difficili però da seguire. Ha anche accennato all'aspetto relativo agli ambienti naturali e che forse è sfuggito ai colleghi Consiglieri per difficoltà di acquisizione del concetto; la preparazione normativa trascritta al paragrafo 9 della relazione Giannini dice: sono trasferite alle Regioni le funzioni amministrative concernenti gli interventi per la protezione della natura.
Dove la collochiamo la protezione della natura? E' da collocarsi in tema di agricoltura o in altra sede? Non possiamo pretendere in questo momento che si addivenga alla riforma degli organismi ministeriali (riforma che dovrà essere invece il presupposto per creare un nuovo stato regionale). Perch di questi problemi deve occuparsi il Ministero dell'agricoltura e non per esempio il Ministero dei beni culturali o dei beni ambientali? Perché non dev'essere addirittura la Presidenza del Consiglio ad occuparsi di un problema multidisciplinare come quello dei parchi nazionali in genere? Il documento dei Presidenti postula "in connessione con gli accennati trasferimenti in funzione occorre sopprimere l'azienda di Stato per le foreste demaniali e trasferire funzioni, beni e personale alle Regioni". Se si vuole far questo bisogna dire chiaramente se la normativa di principio o di quadro non dovrà più essere indicata dal Ministero dell'agricoltura, ma dovrà esserci una competenza specifica demandata ai beni culturali, o ai beni ambientali; meglio a mio avviso, alla Presidenza del Consiglio proprio per la complessità dei problemi; altrimenti ad un organismo a livello governativo come formatore di principi e di norme quadro, di concerto con i vari Ministeri che sono interessati. Il collega Calsolaro ha accennato al grosso problema dell'ambiente, della tutela del territorio che si riferisce anche alla collocazione dei parchi naturali e in modo particolarissimo di quelli che sono parchi naturali cosiddetti nazionali dove dovremmo chiarirci le idee per renderci esattamente conto della differenza sostanziale dei due momenti; parco naturale e parco naturale nazionale per le diverse funzioni, non soltanto per la struttura topografica.
Fatta questa premessa e questa considerazione, mi riporto al documento e leggo, parlandosi di agricoltura, restando cioè incardinati nella valutazione fondamentale, si dice: "la protezione della natura, i parchi e le riserve naturali - compresa la gestione dei parchi nazionali - ma ferma restando la disciplina statale di principio dei vincoli e l'individuazione con legge statale delle zone vincolate". Mi trovo perfettamente d'accordo su questa valutazione, poiché è necessario che a livello nazionale, con norme di carattere generale, si determinino punti, fini, limiti, programmi del compito che deve essere demandato ad un parco nazionale; vedremo poi quella che sarà la gestione; ma innanzitutto è opportuno avere la legge quadro perché regionalmente si possa in maniera uniforme e concorde fare qualcosa di positivo e di concreto.
Colleghi Consiglieri, ho avuto occasione l'altra volta di dirlo e lo sottolineo per il complesso di lettere arrivate in questi giorni al Parco del Gran Paradiso, che ancora presiedo, da parte di Enti, cittadini e di studiosi di tutta Europa: l'Europa, gli scienziati, i tecnici, i naturalisti, le stesse organizzazioni guardano a quello che sta accadendo ai parchi nazionale nel nostro Paese.
L'argomento può sembrare limitato al Piemonte, ma non è limitato al Piemonte. Il problema nazionale del Gran Paradiso riguarda la Regione Valle d'Aosta e la Regione Piemonte. Il problema del parco dello Stelvio riguarda la Regione Trentino Alto Adige, e anche la Lombardia, per la parte che si riferisce alla zona di Bormio. Il problema del parco nazionale d'Abruzzo riguarda le Regioni Molise, Abruzzo e Lazio. Il problema del parco del Circeo riguardaun'altra Regione, il Lazio. Il problema del parco calabrese riguarda l'intera terra calabrese; quindi abbiamo.



BESATE Piero

C'è anche la Regione Crociani!



OBERTO Gianni

Nella geografia non l'ho ancora incontrata. Siccome mi riferisco alla conoscenza che mi ha dato la scuola, resto fermo a quella. Di Crociani magari ce ne sono tanti dappertutto. Fortunatamente non ci sono nei parchi.
Se debbo raccogliere l'interruzione, sempre molto garbata e niente affatto turbativa del collega Besate, se mi rappresento la realtà del parco nazionale d'Abruzzo e il crocianismo, non di Croce (Croce è dell'Abruzzo, e di Pescasseroli, il centro della vita del parco nazionale dell'Abruzzo), se debbo vedere lo scempio che si è compiuto là, trovo veramente dei Crociani di destra, di sinistra, di centro, di ogni parte. E' tutta una croce infissa e collocata in quel povero parco per recitare il De profundis o il requiem, destinato ad essere naufragato al più presto possibile. Chiedo scusa della parentesi che chiudo immediatamente per restare il più possibile oggettivamente pertinente all'argomento.
Dobbiamo tenere presente che ci sono due articoli, il 57 ed il 58 del disegno di legge presentato, che disciplinerebbero la materia; nell'art. 57 si demanderebbero alle Regioni gli interventi di protezione della natura comprese le istituzioni dei parchi e riserve naturali e la tutela delle zone umide. Si riferisce quindi ad un momento della vita del parco: l'istituzione pura e semplice. Può istituire e noi abbiamo con legge istituito dei parchi naturali nel nostro Piemonte. L'art 58 riserva allo Stato delle competenze: tra queste vi è la disciplina, l'individuazione e la gestione di parchi nazionali, riserve naturali e zone umide d'interesse nazionale, i provvedimenti concernenti le modificazioni nell'ambito territoriale dei parchi nazionali nonché quelli che individuano nuovi territori da sottoporre a tale forma di tutela adottati d'intesa con le Regioni.
Che cosa capita nel nostro Piemonte? Che cosa capita nel parco dello Stelvio? Nel nostro Piemonte può accadere questo: in base all'art 5 delle norme che sono in corso di discussione per l'approvazione dello Statuto della Regione Valdostana, si prevede che la gestione del parco nazionale del Gran Paradiso avvenga attraverso un consorzio che sarà fatto nel tempo (a somiglianza di quello che sta capitando per il parco dello Stelvio, con una legge di due anni addietro ed il consorzio è ancora di là da venire) con una gestione comune, consortile, fatta anche attraverso l'Ente attualmente costituito.
Il Consorzio lo si stabilirebbe tra la Regione autonoma Valle d'Aosta lo Stato, dimenticando totalmente, per quello che la riguarda, la Provincia di Torino che era stata pronuba per l'istituzione del Parco nazionale del Gran Paradiso nel 1920/21, e soprattutto dimenticando la realtà della Regione Piemonte, che, in questo momento, per norme dettate dallo schema di disegno di legge, dovrebbe essere titolare non soltanto nel momento dell'istituzione ma nel momento della gestione che interessa indubbiamente molto di più.
Non è il caso di far mente locale a questo fatto, magari con un documento che potrebbe essere stilato in aggiunta a quello conclusivo, che porti ad una chiarificazione, non esclusa quella relativa alla competenza dell'organo statale? L'esempio del parco dello Stelvio non è lusingante ed attrattivo, anche perché quella Regione è diversa dalla Regione Piemonte e dalla Regione Valle d'Aosta. Là abbiamo due province, Trento e Bolzano, che hanno capacità legislativa, ciascuna di esse legifera nel modo che crede per cui nel territorio che è chiamato Parco nazionale dello Stelvio vi pu essere una tripartizione di norme disorganiche ed addirittura conflittuali potendo essere diverse le valutazioni fatte a Bolzano e quelle fatte a Trento, da quelle fatte nel territorio che resta alla competenza dello Stato.
Direi che è opportuno prestare attenzione a questo fatto in maniera da evitare che, dichiarandoci del tutto soddisfatti del documento presentato dalle Regioni alla Commissione parlamentare, si sorvoli su questi aspetti.
Queste considerazioni, non dico che debbano essere accolte, ma sono riserve che ci consentirebbero di aprire e di coltivare un discorso. E' una cosa grande il Parco del Gran Paradiso, a me non ha dato altro che amarezze salvo la gioia di cancellare queste ultime, nel momento in cui avevo la possibilità deambulatoria di recarmi là e di godermi quei momenti di silenzio che in città assolutamente non si trovano e contemplare quella bellezza incomparabile, dinnanzi a quella fauna, a quella flora e dinnanzi alla realtà geologica; e soprattutto dinnanzi all'impossibilità di realizzare cose concrete: il centro di biologia montana costruito con grande fatica a Valnontey è chiuso, almeno temporaneamente, forse perch mancano i quattrini per tenerlo in vita. Mi perdonino ancora questo sfogo: ieri il Consiglio di amministrazione ha approvato, facendo salti di ginnastica non comune, il bilancio preventivo. Siamo sul filo di una promessa di aumento di 400 milioni da parte dell'organo centrale per portare in pareggio il bilancio. Siamo ancora debitori di 108 milioni nei confronti dei prestatori d'opera e siamo di fronte alla necessità di sborsare circa 600 milioni con un introito che si aggira sui 400. Ci dicono di ammazzare degli stambecchi. Ho scritto e detto che c'è stata l'offerta di 10 milioni per l'abbattimento di uno stambecco. Certe "incoronazioni" possono anche soddisfare, ma bisogna essere a livello di super miliardari gli altri però accettano le incoronazioni ad un prezzo anche minore, perch non tutti possono arrivare ai 10 milioni. Per cui violeremmo due volte in fondo il criterio del buon senso; la prima volta uccidendo la fauna che abbiamo il dovere di proteggere per compito di istituto, la seconda ammazzando 20/30 capi ed introitando una cifra che non è assolutamente sufficiente per le esigenze dell'Ente.
So che i Consiglieri mi hanno ascoltato con infinita pazienza e con grande attenzione e di questo sono loro veramente grato, badino, però, che non fanno soltanto una cortesia a chi parla, la fanno alla conoscenza di una realtà che purtroppo sfugge nella sua sostanza alla maggioranza dei cittadini piemontesi e valdostani. Abbiamo una ricchezza che ci è invidiata dal mondo, attraverso giudizi scritti che ci vengono sin dalla Cina e dal Giappone. Si dice che è uno dei più bei parchi del mondo e d'Europa; noi lo abbiamo in casa; è vero anche che tutto quello che abbiamo in tasca lo valutiamo poco.
Mi scuso del tempo sottratto nella discussione della legge 382, ma se nel momento finale della redazione del documento fosse fatto un accenno in questo senso, credo che tutti quanti avremmo compiuto un dovere che ci spetta come compito di istituto.



PRESIDENTE

Grazie al Consigliere Oberto. Dò ora la parola al collega Benzi.



BENZI Germano

Signor Presidente e signori Consiglieri, non so se avermi concesso la parola, dopo il collega Oberto è stata una finezza del Presidente, perch stanno parlando i meno giovani, quelli che ormai hanno visto molte cose.
Per molti anni il 21 aprile si commemorava l'anniversario della fondazione di Roma, oggi ho l'impressione che in tutta Italia si stia facendo la cerimonia alla 382.
E' una specie di rito quello che stiamo compiendo, dimostrando quanto poco le Regioni oggi pesano nello Stato italiano. Sette anni fa quando abbiamo iniziato il cammino delle autonomie regionali, pensavamo a qualcosa di nuovo che potesse portare le popolazioni vicino ai provvedimenti che si prendevano: in realtà siamo stati truffati noi, e le popolazioni, una truffa mascherata con un sacco di leggi, piccole cose che ci hanno sempre travagliato. La mancanza di denaro e di mezzi, tutto questo ha portato allo scadimento delle Regioni da parte della pubblica opinione che attendeva qualche cosa capace di fare veramente un salto di qualità. Abbiamo cominciato a fare dei piccoli provvedimenti per aiutare i polli a diventare più grossi; per aiutare qualcuno che soffre di mal di stomaco a non pagare tanto le medicine. Ma noi non abbiamo fatto nulla o poco di sostanzioso.
Spiace, soprattutto perché anch'io appartengo alla generazione politica regionale, una generazione politica regionale sottovalutata, specialmente da coloro che sono a Roma, che, nella maggior parte dei casi, sono al Parlamento grazie a noi. Sia chiaro che questi nostri colleghi, alla cui candidatura noi contribuiamo affinché possano diventare deputati, senatori ministri, sono quelli che, arrivati al potere, non ci danno nessun aiuto in particolare, anzi ci fanno morire giorno per giorno. E' vero che c'è la grande burocrazia romana che non vuole che le Regioni si affermino, gli ostacoli maggiori forse non sono i colleghi ministri o deputati, ma sono le grosse burocrazie romane contrarie alle Regioni, Lo hanno sempre dimostrato.
Lo stesso discorso che faccio oggi lo facevo vent'anni fa. L'Assessore Alasia, se ha buona memoria, si ricorda come nel '54 facevo una battaglia per le Regioni, accusando la nostra situazione che risale all'era napoleonica: ricordate quel famoso prefetto che alle ore 10 disponeva che tutti gli alunni si alzassero in piedi a fare ginnastica oppure che tutti alle 11 facessero i compiti di latino? Ci stiamo trascinando dietro gli ultimi residui di queste situazioni, ma ce li trasciniamo dietro perch siamo deboli, perché le Regioni non fanno altro che correre da una parte all'altra, a Bologna, a Milano o a Roma, fanno dei piccoli parlamentini senza peso, facciamo discussioni di 6 o 7 ore (moltiplicate per le 15 altre Regioni andiamo a cifre iperboliche) e poi tutto viene condensato in una paginetta dove si dice: "visto questo, visto quell'altro". Dobbiamo dare altre impostazioni alle Regioni, dobbiamo far sì che lo Stato abbia solo più da dirigere la politica estera e l'Esercito tutte le altre attribuzioni devono essere competenza regionale; solo in questo modo le Regioni hanno la possibilità di fare qualcosa di nuovo, altrimenti è solo una nuova burocrazia messa sulla testa dei cittadini, dei Comuni, delle Province, a volte anche malvista.
Un esempio di questa carenza è dato dalla situazione dell'industria parte motrice della civiltà moderna, nella quale però non abbiamo nessuna competenza. Questo grave fatto è sufficiente per dimostrare quali limiti hanno messo i legislatori alle Regioni, perché dove attualmente c'è la parte lavorativa che significa progresso, ricchezza, sistemazione degli operai e degli impiegati ecc., la Regione non c'entra: noi siamo osservatori dei fenomeni più avanzati della nostra civiltà e finch accettiamo questo stato di cose senza ribellarci, dovremo sempre chiedere l'elemosina dei due o tre miliardi per stare in piedi, con un avvenire che è chiuso. Questi nostri soliti papiri che mandiamo a Roma, più o meno accetti, con richieste di ogni genere, dovrebbero dire ai nostri deputati che se non smettono di agire in questo modo non li faremo più eleggere.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Borando. Ne ha facoltà.



BORANDO Carlo

Mi riferisco alle ultime parole del Consigliere Benzi il quale ha detto delle cose savie però è stato così tranciante nel volere trasferire tutto che ho paura che finisca con il pretendere d'essere più realista del re.
Sono io il primo a lagnarmi. Non si riesce a capire perché lo Stato abbia trattenuto e non abbia dato subito determinate funzioni alle Regioni quando sono nate, bisogna obiettivamente valutare se il trasferimento in sé e per sé, in merito ad alcune funzioni, possa avere conseguenze valide oppure se l'inevitabile dualismo che si può creare finisca con l'essere dannoso, non per la cattiva volontà o incapacità delle Regioni a gestire, ma per l'inevitabile confusione che ne deriverebbe nel momento in cui ognuno cercasse di tirare l'acqua al proprio mulino. E' un dato acquisito che il pluralismo istituzionale rappresenti l'elemento di novità dello Stato costituzionale e democratico. Pluralismo che si esprime nell'esigenza di partecipazione dei cittadini all'esercizio delle funzioni pubbliche e nella necessità di sottolineare la validità dei corpi intermedi per contribuire alla formulazione delle decisioni rilevanti per la comunità con l'attuazione dello Stato a base regionale: in questo modo il modello di democrazia pluralistica previsto dalla Costituzione si dovrebbe realizzare compiutamente. L'ordinamento regionale operando un imponente spostamento di potere tra il centro e la periferia rappresenta una grande occasione storica per un radicale cambiamento nell'azione, nei metodi e nei contenuti di Governo, e perciò costituisce un momento di rilevante impegno per dare risposte adeguate e tempestive alla domanda sociale della comunità nazionale.
Ma se le Regioni hanno tutte le potenzialità per essere strumenti essenziali, condizionanti per una profonda opera di rinnovamento, è pur vero che tali potenzialità non possono essere compiutamente espresse se contestualmente alla loro piena attuazione non si provveda a valorizzare in senso moderno e democratico il ruolo degli Enti locali. La Regione poggia sugli Enti locali, se la capacità o operatività di tali Enti è limitata limitata è la sua ragion d'essere. Il legislatore nazionale dovrà quindi procedere rapidamente a razionalizzare i sistema dei poteri locali che non si esaurisce nella ripartizione costituzionale dei livelli di autonomia territoriale ma tiene conto anche delle realtà socio-economiche presenti nella comunità regionale. La visione pluralistica infatti non può essere costretta entro schemi che facciano soltanto perno sulla rappresentanza politica a base elettiva. Alla formazione del pluralismo, accanto alle comunità politico-territoriali, debbono collaborare le formazioni operanti nel mondo della produzione e del lavoro, secondo la previsione dell'art. 2 della Costituzione.
Una serie di considerazioni di questo genere sono state fatte nell'ambito della IV Commissione entro la quale ho l'onore di operare con il Presidente Debenedetti, il Vicepresidente Rossi e gli altri amici che ne fanno parte. Uno dei temi toccati, per esempio, è quello delle Camere di Commercio che dovrebbero essere oggetto di trasferimento totale o parziale dallo Stato alle Regioni, perché sono Enti anomali nello stato in cui si trovano. Avendo fatto considerazioni sul problema delle Camere di Commercio abbiamo allargato la nostra visione sul tema dei trasferimenti delle funzioni anche di altri Enti.
Lo schema del D.P.R. concernente l'attuazione della delega legislativa di cui all'art. 1 della legge 382 del 1975 reca l'art. 82 sulla riduzione degli Enti pubblici, di cui hanno parlato ampiamente parecchi, che prevede per gli Enti pubblici di qualsiasi genere, i quali oltre le funzioni amministrative trasferite alle Regioni abbiano attribuzioni anche in altre materie, il divieto di esercizio di alcuna funzione nelle materie definite dal decreto medesimo. Detta ipotesi di norma attua un blocco funzionale indiscriminato delle attività fin qui esercitate dagli Enti pubblici nelle materie a qualsiasi titolo definite per lo schema legislativo di attuazione della legge 382. Tale divieto pone in essere una preclusione di carattere generale paralizzante di ogni intervento pubblico realizzato attraverso Enti di qualsiasi tipo nell'assetto territoriale, in quanto, avendo praticamente l'assetto del territorio formato oggetto di definizione nessun Ente pubblico operante sul territorio potrebbe ulteriormente agire dal momento che la competenza territoriale in tutto l'ordinamento è ripartita tra le Regioni.
Questa estrema conclusione risulta aberrante e quindi il testo della norma in esame va riveduto o esso in sede d'interpretazione sarà fonte di equivoci in quanto si rivelerà indispensabile da limitarne il significato in modo coerente alla struttura pluralistica garantita dall'ordinamento. Il problema di cui si tratta è specialmente rilevante per Enti come le Camere di Commercio, che operano tipicamente sul territorio con titolarità di funzione in parte ricadente nell'ambito delle materie regionali agricoltura, artigianato, in parte notevolissima nell'industria e nel commercio, non a caso si chiamano Camere di Commercio, estranee a detto ambito, essendo di competenza statale, solo eventualmente delegabile alle Regioni. A proposito delle Camere di Commercio, l'art. 82 dello schema ingenera l'equivoco che dopo aver perduto la titolarità di funzioni amministrative nelle materie regionali, agricoltura e artigianato, le stesse non possono esercitare più alcuna funzione nelle altre materie industria e commercio, che, in quanto esercitabili nell'ambito territoriale, sarebbero inibite dalla competenza territoriale delle Regioni. Questo esito interpretativo è indubbiamente errato. In primo luogo occorre tener conto che le funzioni assumibili dalle Regioni, sia per loro competenza sia per competenza altrimenti delegata, sono quelle che presuppongono un potere di gestione amministrativo, come manifestazione di volontà produttiva, di conseguenze concrete nell'ordinamento amministrativo. Mentre non rientrano in questo quadro le funzioni che sono espressione non di pura potestà amministrativa, ma di rappresentanza organica di interessi, di categorie, che solo dal collegamento istituzionale con la rappresentanza medesima ricevono significato.
Pertanto, anche nell'ambito delle materie regionali, dedotta la gestione amministrativa, le funzioni rappresentative possono si e no essere riconducibili alle Regioni, perché o si collegano ad Enti rappresentativi o spariscono in quanto tali, cioè come funzioni esercitabili distintamente.
La formula tradizionale dell'ordinamento italiano che impersonava la rappresentanza di categoria a livelli istituzionali e non di libera associazione volontaria nelle Camere di Commercio, o è destinata a sopravvivere nella garanzia costituzionale che garantisce il pluralismo sociale, o diversamente va perduta se si pretende di assumerle in capo ad Enti territoriali che per loro natura non rappresentano gli interessi produttivi, ma le ideologie politiche dei cittadini.
Ci troviamo di fronte a degli uffici che sono nati in un modo, si sono sviluppati a dismisura e sono diventati quegli uffici un po' anomali collegati con i Ministeri (come anche le Prefetture) e con altri uffici dello Stato per cui vi è una gara di interessamento, con compiti svariati tutti certamente utili, ma con una azione che il più delle volte addirittura si scontra con analoghe iniziative dello Stato, delle Province dei Comuni, oggi delle Regioni, domani inevitabilmente dei Comprensori. Il settore dell'industria, quello del commercio interno e del commercio estero, l'artigianato, l'agricoltura con una serie di sfumature che vanno dalla viticultura alla viabilità poderale all'agricoltura montana, al turismo, ai trasporti e alla viabilità, alla navigazione e addirittura all'istruzione e alla formazione professionale; tutti compiti in cui le Camere di Commercio trovando il vuoto o volendo intersecare la loro azione con quella di altri Enti hanno trattato e trattano tuttora; perché, oltre a quanto è derogato dallo Stato grazie ad una legge che consentiva l'applicazione di tributi (la cosiddetta ICAP), con il magico sistema delle addizionali alla Camera di Commercio diventa facile procurarsi il denaro e averne disponibilità allo stato fresco. Non parliamo poi delle forme di nomina, soprattutto di permanenza di nomina, basta pensare che il Presidente della Camera di Commercio, una volta nominato, rimane in carica senza alcuna scadenza. E' abbastanza ovvio che la democratizzazione del sistema anche in questo settore non può che trovarci consenzienti, ma anche qui bisogna stare attenti a non esagerare, da una situazione che aveva riferimenti estremamente centralistici non si può pretendere un decentramento totale senza condizioni, poiché assieme ad alcuni innegabili vantaggi potrebbe arrecare anche notevoli danni, trattasi di sceverare quali compiti e quali servizi secondo la logica e il buon senso debbono essere decentrati e quindi regionalizzati, e quali no. Intanto alcuni di essi non debbono sovrapporsi ad analoghi servizi assunti o di competenza di altri Enti. Per esempio nel settore dell'agricoltura ve ne sono quanti bastano per essere svolti da uffici periferici dello Stato, per il poco che è rimasto allo Stato, o delle Regioni mediante gli Ispettorati provinciali dell'agricoltura, l'ESAP, l'ufficio del Veterinario provinciale ecc. I trasporti, la navigazione, la viabilità, sul piano tecnico e come scelte politiche non possono che fare capo all'Assessore regionale competente. La formazione professionale non può che essere regolamentata dal competente Assessorato all'istruzione, salvo i corsi di preparazione e di perfezionamento del mondo degli artigiani, degli esercenti, dei piccoli imprenditori, degli agenti di commercio, che, fatti seriamente e a periodi ricorrenti, possono sempre tornare utili; così come il turismo è materia talmente specifica che non si vede come, di fronte al proposito addirittura di sopprimere gli Enti provinciali del Turismo, sui quali bisognerà anche discutere, debbano ancora interessarsene le Camere di Commercio, anche qui come per altri aspetti, se non solo sul piano statistico.
Va detto però che il grande merito delle Camere di Commercio è stato sempre quello di fare ottimi rilevamenti e formulazioni di diagrammi tabelle statistiche, adatti a rappresentare l'andamento del movimento socio economico, utile a chi governa per sapere come muoversi, per cui stiamo attenti a salvaguardare un patrimonio di esperienza e di capacità professionale non facilmente costruibile con la semplice creazione di nuovi uffici. Questo vale soprattutto nel rapporto con le associazioni di operatori, artigiani, piccoli e medi imprenditori, esercenti abituati, sul piano burocratico, a rappresentarsi in un'associazione come la Camera di Commercio e trovarvi servizi abbastanza soddisfacenti. Qui va rivolta la nostra attenzione, poiché i settori specifici dell'industria, del commercio, dell'artigianato sono quelle di precipua e specifica competenza delle Camere di Commercio di tutto il mondo, tanto è vero che anche Stati a regime politico relativamente pluralistico hanno sentito la necessità di creare la Camera di Commercio, come, per esempio, quella di Mosca.
Nuove Camere di Commercio quindi a servizio di tutti, Enti, cittadini e categorie in grado di fornire servizi agli operatori, dati statistici agli organi regionali. Però quei settori specifici che superano e sovrastano l'interesse di zona, della provincia, della regione, non possono che avere il collegamento con l'organo superiore, cioè lo Stato. Il trasferimento totale di fiere, mercati e mostre senza limiti di dimensioni e d'importanza può diventare un'arma a doppio taglio tale da promuovere, al di là di un certo livello (non mi riferisco, naturalmente, al mercato rionale), dei doppioni inutili, concorrenza ed antagonismo tra Regione e Regione ridicoli e dannosi. E' noto che per molti settori fra i più importanti della nostra produzione, per esempio, quello della calzatura, delle rubinetterie, del mobile, l'unico respiro è l'esportazione e, aggiungo io l'esportazione nei Paesi che pagano.
Queste operazioni non possono che avvenire attraverso la sintesi superiore del Governo centrale il quale ha la possibilità di tenere conto dei diversi interessi della comunità nazionale qualche volta non collimanti tra loro. Esempio indicativo è stato quello abbastanza recente dell'intervento diretto dell'on. Andreotti, presso il Presidente degli Stati Uniti, Carter, in relazione alla collocazione di contingenti di calzature prodotte a Vigevano ed a Bologna.
Per tante mostre che si organizzino dalla Regione Lombardia o dall'Emilia non si avrà mai la possibilità di collocamento di forti contingenti all'estero. Un corretto processo di regionalizzazione deve trasferire a livello regionale ciò che anteriormente era gestito a livello nazionale; relativamente alle Camere di Commercio non si tratta di trasferire alla Regione la funzione consultiva che si ricollega alla rappresentanza di interessi, ma la potestà di fruire di detta funzione cioè di avvalersi dei pareri e delle proposte delle istituzioni camerali nello stesso modo in cui se ne avvaleva l'amministrazione centrale dello Stato. In questa prospettiva sono parti integranti dei compiti delle Camere di Commercio non solo l'attività consultiva e quella proposta, ma anche le attività intimamente connesse e collegate alla funzione rappresentativa che interessa le categorie che si riassumono nei termini della promozione dell'informazione e dell'arbitrato, tutte attività dipendenti proprio dal carattere rappresentativo del soggetto nei settori economico-sociali nei quali operano le categorie rappresentate dalle Camere di Commercio; anzi, è necessario osservare che le attività di studio e d'informazione sulla situazione e sull'evoluzione economica sono per loro natura attività a dimensione complessa e non dissociabile, settore per settore, stante l'univocità e l'interdipendenza dei fenomeni economici, così come denota per esempio in questi tempi l'osservazione inevitabile sulla congiuntura che presuppone la conoscenza e la rilevazione del ciclo integrale dei fenomeni produttivi e delle loro ripercussioni globali sul sistema socio economico. Quando sarà il momento di affrontare il problema in termini più approfonditi è evidente che, prima in Commissione e poi in Consiglio saranno ribaditi i nostri concetti, indipendentemente dal contenuto dei decreti che saranno emanati.
Approfitto dell'occasione per accennare ad un altro problema che sembra marginale perché tocca le propaggini orientali della nostra Regione, non interessa quindi tutto il territorio, ma comporta una funzione amministrativa che prima o poi ci verrà demandata; mi riferisco al capitolo "Navigazione e porti lacuali" indicato al Capo V.
L'art. 53 dice: "le funzioni amministrative relative alla materia 'navigazione e porti lacuali' concerne la navigazione lacuale, fluviale lagunare, e sui canali navigabili e idrovie, i porti lacuali di navigazione interna e ogni altra attività riferibile alla navigazione e ai porti lacuali interni". L'art. 54 poi dice: "le funzioni amministrative di cui al precedente articolo, quando sono interessati i servizi in territori finitimi di più regioni (consentitemi questo rilievo per i miei precedenti di ammiraglio negli anni '71/'72) sono esercitate mediante intesa fra le Regioni interessate ovvero mediante gestioni comuni anche in forme consortili". Mi riservo di tornare su questo punto, rivolgendomi in particolare all'Assessore ai trasporti attuale o a quello che ci sarà nel momento in cui si deciderà la gestione per la navigazione dei laghi Maggiore, di Como e Garda.
L'art. 50 ai paragrafi 2 e 3 dice: "le opere idrauliche di prima seconda e terza categoria, nonché gli interventi sugli argini e le altre opere che possono direttamente ed indirettamente influire sui corsi d'acqua indicati nel testo unico, le opere per le vie navigabili di prima classe per quelle di seconda classe, interessanti il territorio di più Regioni".
Il lago Maggiore è costituito in realtà dal fiume Ticino che nasce in Svizzera attraversa il territorio piemontese, è regimato da paratoie e il deflusso delle acque non è libero. Queste sono materie che potrebbero benissimo essere trasferite alla Regione, o alle Regioni, così come sono state trasferite le funivie, e certe ferrovie. Mi preme sottolineare in questo momento, e richiamare l'attenzione dell'Assessore Bajardi, la situazione della gestione governativa dei laghi Maggiore, di Como e di Garda, poiché vi sono tre bilanci separati, ma in realtà costituiscono una gestione governativa unica; se l'Assessore esaminasse tali bilanci rileverebbe che l'unica gestione attiva in pareggio o perlomeno in lieve spareggio è quella del lago Maggiore, gli altri due laghi infatti sono decisamente in passivo. Che cosa significa ciò? Il trasferire una gestione governativa alle tre Regioni e andare a pagare i debiti del Lago di Garda e di quello di Como non gioverebbe affatto. Basterebbe guardare le statistiche del movimento del Lago Maggiore nella situazione congiunturale dell'anno scorso o di due anni fa. Mi pare opportuno fare questo discorso anche se sembra campanilistico. In altri termini si trasferisca la gestione governativa, ma quella del Lago Maggiore deve essere trasferita alla Regione Piemonte e alla Regione Lombardia, altrimenti finiremmo con interessarci di una gestione più vasta nella quale finiremmo per pagare anche passività enormi. Mi sono quindi permesso di richiamare e sottolineare l'attenzione anche su questo punto. Ringrazio chi mi ha ascoltato e con questo concludo.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Bianchi. Ne ha facoltà.



BIANCHI Adriano

Signor Presidente, colleghi, gli interventi dei colleghi del mio Gruppo, sobri per durata, ma densi di significati, hanno già delineato le nostre posizioni sui punti più importanti. Rinunciando ad esaminare analiticamente la vasta materia che riguarda l'applicazione della legge 382 del 1975, potrei anche tacere, perché è superata la preoccupazione che non venisse colto tutto il significato in positivo di certe proposte, che potevano apparire come ripresa di argomenti che suonano diversione rispetto ai contenuti specifici e agli adempimenti cui dobbiamo corrispondere in termini sufficientemente brevi. Non sarà comunque troppo il tempo che far perdere; essendo già facilitato il compito, mi limiterò ad alcune indicazioni, ringraziando innanzitutto il collega Martini per il suo intervento che assumo interamente, anche come dichiarazione conclusiva, e gli altri colleghi del mio Gruppo che, intervenendo su argomenti particolari li hanno correttamente collegati, esemplificando ad una linea ad una dottrina, a un'impostazione comune. Altri miei colleghi, con tutta modestia, mi hanno passato appunti sui problemi dell'assistenza scolastica della formazione professionale, del territorio e così via, a sottolineare l'interesse, il non disimpegno su questi punti. Io non farò un riepilogo che è già stato fatto dal collega Rossi, con un intervento molto pertinente e serio. Ricorderò soltanto come la legge 382 del 1975, sostenuta dal concorso di tutte le forze autonomistiche, è stata il risultato di un'iniziativa, di una volontà politica non trainata della Democrazia Cristiana, e affermo questo non per trionfalismo di partito, ma per introdurre una breve polemica che può apparire interna alle espressioni del vasto mondo che rappresentiamo, nelle differenziazioni delle sue responsabilità. La Democrazia Cristiana è dunque parte attiva nel proporre la via della riforma, dell'integrazione delle competenze regionali e delle autonomie locali, della fondazione dello stato regionale, inteso come stato delle autonomie.
Avvengono alcuni fatti, rimbalzati in quest'aula: non si spiegano cioè alcuni errori di metodo, che accomunano i vertici dello Stato e delle forze politiche e anche le responsabilità dei vertici regionali. La Commissione Giannini - si disse - lavorò con grande impegno e con risultati di alto rilievo. Non cito per buon gusto chi diede queste definizioni, ma ricordo che l'apporto di questa Commissione è stato considerato un documento culturale di altissimo livello; ricordo anche come, di fronte alla proposta di riprendere rapporti e contatti con questa Commissione per proporre l'integrazione di alcune lacune o di alcuni indirizzi che possiamo non condividere rispetto alla collocazione della Regione nei confronti delle autonomie e dello Stato, si è anche detto, con singolare definizione, che è bene non turbare la purezza scientifica della Commissione! Noi invece non ci turbiamo affatto se siamo coinvolti, anche se un po' tardivamente, nel vivo di una materia come questa in cui si esercita la più alta responsabilità politica. Il punto più debole della Commissione Giannini credo fu dell'insufficiente discorso sullo stato delle autonomie.
Sappiamo che Giannini, con scelta culturale che è oggetto di confronto, non vede la possibilità di realizzare quattro livelli di governo: lo Stato, la Regione, l'ente intermedio, il Comune. Per questa fase ipotizza quindi una soluzione, gravida anche di rischi che devono essere conosciuti; ipotizza la Regione non solo come ente dotato di competenze organiche, che concorre a realizzare lo stato regionale, quindi con l'esercizio efficace delle funzioni delegate, ma lo ipotizza anche come momento di trasferimento provvisorio, quasi di deposito, di parcheggio di competenze da ripartire e poi da governare nei confronti delle autonomie locali. Noi sappiamo cosa significa in queste materie il provvisorio o l'esercizio in via ipotetica di competenze.
Si arriva così allo schema di decreto che, con tutti i suoi limiti e difetti, ad esempio, non accoglie questa soluzione ponte che è implicita nel risultato dei lavori della Commissione Giannini, ma non accede neppure all'esigenza di un riassetto organico. Vediamo così lo schema di decreto costituire quasi un espediente tattico, contraddittorio per i contenuti rispetto alla stessa posizione delle forze politiche che avevano voluto la 382. Documento questo che, come è stato già detto e ripetuto, affida il giudizio di validità sul fatto che si presenta come puntuale rispetto agli adempimenti necessari a far percorrere l'iter fino alla delega e per il fatto che si presenta aperto a tutti gli apporti e alle sintesi finali come ha ricordato chiudendo il suo intervento il Consigliere Martini Ma così facendo, si è messa in moto, in modo artificioso, una dialettica tra Stato e Regione, quasi ad esaltarne i significati, attestando lo Stato sulle posizioni più lontane, sapendo che poi c'è da compiere una mediazione per giungere a conclusioni da tutti accettabili. Diciamo tranquillamente tocchi a chi tocchi, che questo modo pessimistico di impostare le cose non ha giovato a nessuno, non giova al raggiungimento dei risultati migliori.
Pensiamo invece che uno sforzo immediato di avvicinamento alle soluzioni ritenute più coerenti ed accettabili sarebbe stato positivo. A questo errore, quindi, che ha suscitato una dialettica artificiosa, si contrappone subito, tanto per bilanciarlo, un errore in cui sono egualmente cadute le Regioni, le quali (è un momento di critica e di autocritica perché noi non ci separiamo dalle responsabilità comuni) hanno perduto l'occasione di suscitare una discussione preparatoria, uno studio, una presa di posizione tempestiva su questi argomenti, sì da giungere alle riunioni dei Presidenti delle Regioni per tirare delle conclusioni e non per anticiparle.
Non coinvolgendo le assemblee a tempo debito, non si è coinvolta l'opinione pubblica, e neppure l'opinione qualificata, sicchè i dibattiti si sono sviluppati ai vertici da un lato o nelle sedi meramente culturali e scientifiche e cioè sulle riviste specializzate dall'altro, con esclusione della parte più viva dei movimenti politici e culturali presenti nel Paese.
Detto questo, non indugiamo in atteggiamenti polemici e non perdiamoci, ad esempio, a sfondare porte aperte (qualche tentativo di questo genere l'ho colto) con le critiche nei confronti dello schema di decreto governativo che paiono fin troppo ben accette. Non misuriamoci rispetto a questo documento se non per coglierne gli aspetti e momenti positivi di natura procedurale.
Soffermiamoci invece molto sul testo del 22 marzo, redatto dai Presidenti delle Regioni, perché non ci sentiamo per nulla chiamati ad una ratifica, né ci sentiamo chiamati a ricercare motivi di dissenso pretestuosi. Tutta la materia, nel momento in cui viene approfondita ai giusti livelli, ci offre delle aperture per prese di posizione quali quelle che hanno fatto intessere un dialogo questa mattina che è passato attraverso una triangolazione di posizioni tra Martini, Rossi e la collega Vaccarino per il PRI. Questo discorso, che riguarda lo stato delle autonomie, ha registrato sforzi di convergenza e di comprensione. Il collega Calsolaro ha spaziato su una quantità di argomenti pure interessanti. Andremo a rileggerli, non essendo riusciti, nel vorticoso procedere della lettura, a cogliere che alcune affermazioni che vedono una coincidenza, mi è sembrato, tra l'impostazione di Martini e la sua.
Il discorso sullo stato delle autonomie e sulla risposta da dare alle attese che vengono dalle autonomie locali è pertinente dal punto di vista del tempo e dello spazio; non è un discorso evasivo e non è da parte nostra un discorso che facciamo a fini elusivi della necessità di pervenire, nei tempi previsti, alla conclusione dell'iter messo in moto dalla legge 382 collega Martini e altri hanno risposto a questo interrogativo sul significato delle prese di posizione della DC. Non tendiamo a far slittare nulla, l'occasione importante offerta dalla legge 382 non può essere lasciata trascorrere invano senza ribadire alcuni punti fondamentali. Il discorso sulle autonomie va reso esplicito Martini lo ha già fatto ottenendo una risposta da Rossi che è molto avanzata ma non è sufficientemente chiara su un punto che è decisivo, l'ente intermedio, sul quale invece c'è stata una presa di posizione precisa, ma senza motivazione da parte della collega Vaccarino. Possiamo ipotizzare la soppressione della Provincia, certo ciascuno di noi, se considera la Provincia così com'è attualmente con le sue competenze, con le sue dimensioni, con la sua definizione territoriale, vede un ente che non ha più la possibilità di sopravvivere e di svolgere un ruolo efficace nel concerto delle istituzioni.
Nel momento in cui si parla della soppressione delle Province, noi riaffermiamo la validità dell'istituzione dei Comprensori e ricordiamo come in tutto l'iter di approfondimento, di studio e di approvazione di questi istituti, abbiamo constatato una debolezza ed una povertà, nella vita delle autonomie locali e dei Comuni, che impone di dare uno spazio nuovo a queste autonomie, di completare organicamente queste competenze e di assumerle a partecipare alla programmazione regionale, alla gestione, domani, dei servizi in modo organico o unitario. Ci siamo resi conto che, attraverso il Comprensorio, temporaneamente noi, trasferendo l'esercizio di competenze facendo partecipare i Consiglieri comunali, andavamo in soccorso delle autonomie comunali, ma che proseguendo in questa direzione noi avremmo compiuto progressivamente un'espropriazione delle competenze dei Comuni della loro autonomia politica e dell'organicità della loro funzione. Nel momento in cui si propone, tout-court, la soppressione di un ente intermedio, nel quale la rappresentanza attraverso l'elezione diretta assume ruolo di autentica alternativa autonomistica, per salvare questa stessa concezione dello Stato, bisogna proporre una riforma così radicale dell'Ente Comune da divenire probabilmente illuministica, napoleonica e irrealizzabile.
Noi riteniamo che l'esperienza ci debba suggerire di salvare anche le più piccole istanze autonomistiche, identificandone anche i livelli minimi un ambito che sia organico, sufficiente, strutturato in modo da risolvere le questioni affidate in termini accettabili. La meditazione che facciamo di fronte al Comprensorio ci dice che, o esso costituisce uno sbocco per un ente intermedio, con alcune competenze ben definite di programmazione socio economica e di gestione del territorio e tali però da essere esercitate in un ambito di autonomie e di partecipazioni dirette, di impegno delle popolazioni in un quadro quindi di autonomia politica, o noi andiamo verso la totale espropriazione di tutti e due i livelli, perché i Comuni saranno svuotati della loro autentica autonomia attraverso l'azione tecnocratica dei Comprensori e i Comprensori non realizzeranno un momento di partecipazione autenticamente democratica e quindi autonomistica, ma finiranno per essere un momento tecnocratico gestito sostanzialmente dal centro razionale.
Ecco come, con le migliori intenzioni, si parte dal principio di voler fare uno Stato delle autonomie, uno Stato regionale e si riporta il centralismo statale al livello della Regione, da un lato trasferendole tutte le competenze, anche quelle che dovrebbero andare direttamente ai Comuni, con tutte le discrezionalità per delegarle e coordinarle e dall'altro, riportando competenze dalla periferia al centro.
In questo momento di assunzione di responsabilità, noi vogliamo far sentire tempestivamente questo rischio perché si è in tempo a dare una risposta efficace e valida agli interrogativi posti dalla legge 382. Questa risposta ci sarà: Rossi non ce l'ha data. Riteniamo che è tempestivo parlare del problema delle autonomie locali, che è più proprio parlare dello stato delle autonomie che non di uno stato regionale. Il punto su cui ci si misurerà sarà la definizione dell'ente intermedio, il ruolo del Comprensorio-Provincia o della Provincia-Comprensorio o semplicemente del Comprensorio: non facciamo del nominalismo, ma il punto discriminante sarà l'elezione diretta, la creazione di un ambito di autonomia politica, la definizione organica delle competenze.
Abbiamo detto che rispetto al documento dei Presidenti delle Regioni non ci collochiamo in posizione subordinata e di ratifica, né di pura polemica. Non entriamo nella parte specifica dove si trovano una quantità di questioni opinabili, ma vi sono alcuni motivi ispiratori che noi vogliamo ribadire, perché non sia equivoca la posizione che intendiamo assumere. Quando si parla della necessità di identificare le materie da organizzare per settori, questo vale non soltanto per il trasferimento di funzioni o l'attribuzione di delega alle Regioni, ma anche per il contestuale contemporaneo trasferimento diretto delle competenze che riguardano le autonomie locali. C'è poi il problema dell'accentuazione della forza, del prestigio, dell'efficienza dello Stato, che è alla base dei discorsi che abbiamo fatto sulla creazione dell'istituto regionale attraverso l'assunzione, in concreto, da parte dello Stato, delle funzioni di indirizzo e di coordinamento e riconoscendo la maggiore capacità di attuazione alla periferia. Qualche accenno è stato fatto ad una visione quasi confederale dello Stato, per cui le Regioni avrebbero pienezza di poteri politici e totale autonomia. Questa deve però essere intesa nel senso più corretto, più positivo, perché quando proponiamo uno Stato delle autonomie pensiamo che questo sia uno stato più unitario, nel senso della capacità di aggregazione sociale e di risposte tempestive ai problemi della comune convivenza. Non lo vediamo come un momento di indebolimento della comunità nazionale, mentre un'accentuazione autonomistica in senso politico, in senso quasi confederale dell'azione delle Regioni, non adempirebbe correttamente a questa funzione. L'esigenza quindi che si proceda contestualmente alla riforma delle strutture centrali dello Stato non soltanto procedendo a deleghe e a trasferimenti, ma contemporaneamente eliminando i vuoti che sarebbero facilmente riempiti, secondo una legge che credo Pareto aveva ben descritto, sulle tendenze delle burocrazie.
Vi è poi il problema delle leggi quadro o di principi, delle leggi di riforma. Non trinceriamoci dietro la prospettiva dell'immediata scadenza per l'adozione di riforme, quale quella che interessa la sanità o la formazione professionale dicendo: "trasferiamo intanto tutto poi questo lo faremo". Stiamo attenti poiché i fatti provvisori diventano definitivi. Si è forse ancora in tempo per insistere affinché si approvino queste leggi fondamentali di riforma: si vada avanti e non si rinunci all'esigenza della formazione delle leggi di principio senza le quali anche il miglior trasferimento ottenibile delle competenze non avrà un quadro di riferimento che consenta alle stesse di essere esercitate. Infine, collegata alla linea ideologica che emerge da questi nostri interventi, credo sia importante l'impostazione che riguarda la soppressione di enti e la questione del pluralismo istituzionale.
Riaffermiamo, infatti, ancora una volta, che non basta garantire il pluralismo all'interno delle istituzioni, occorre non avere pregiudizi, non avere timori, occorre considerare in termini positivi l'esigenza di un pluralismo tra le istituzioni.
Ci sono le competenze specifiche previste dall'art. 117 della Costituzione e ci sono attività diverse che hanno visto affluire su iniziative promosse da libere associazioni i contributi dello Stato: si deve dunque procedere ad un riordino di grande ampiezza, ma occorre che tutto questo patrimonio, questa ricchezza d'iniziative, di gestioni garantite da criteri di economicità, finanziate addirittura con mezzi non direttamente attinti alle casse dello Stato, vengano viste senza pregiudizi aprioristici o con lo schematismo che crede, riconducendo tutto nell'ordine di un unico quadro, di dare migliore soluzione ai problemi della pubblica amministrazione. Questa varietà, se ben considerata e ben collegata nel quadro delle riforme, garantisce la libertà e la gestione nei termini migliori, valorizzando energie e non solo tradizioni e benemerenze storiche. Non faccio citazioni, perché non sembri una captazione di benevolenza o un modo di vincolarsi nei confronti di questo o di quell'ente, di questo o di quel gruppo di cittadini benemeriti, ma mi limito all'enunciazione del principio. Le conclusioni, consentite dal complesso di apporti, di documenti che sono stati elaborati in questi mesi vengano ora tratte con realismo e chiaro riferimento ai principi senza i quali si fanno soltanto delle operazioni di pseudo riforma involutive; si proceda rapidamente nei mesi che ci aspettano, che sembrano pochi ma non lo sono. Possiamo ricordare che nei tempi di maggiori difficoltà storiche, le riforme più valide, più efficaci, a volte anche espresse in termini formali e letterali più perfetti, sono state realizzate in tempi estremamente brevi. L'importante è di non voler conciliare ideologie, posizioni o dottrine totalmente contraddittorie.
Se si realizzano vaste convergenze in ordine al concetto di Stato, di democrazia, di pluralismo, sul modo di utilizzare le risorse di personale e finanziarie, in termini moderni e di efficienza (si è detto che non si tratta di fare uno stato socialista o uno stato borghese, ma uno stato avanzato, pluralista, democratico); se si realizza una sufficiente convergenza in questa direzione, in pochi mesi si possono prendere le decisioni importanti di cui il Paese ha bisogno.



PRESIDENTE

Ringrazio il Consigliere Bianchi. E' iscritto a parlare il Consigliere Bontempi. Ne ha facoltà.



BONTEMPI Rinaldo

Signor Presidente e signori Consiglieri, mi sembra che la pacatezza e il senso di assunzione di responsabilità hanno caratterizzato positivamente il dibattito. Il che suona anche a conferma di una tendenza verso un superamento degli atteggiamenti regionalistici in senso ristretto. Questo mi sembra un salto di qualità non da poco e mi pare giusto sottolinearlo.
Il dibattito per molti versi ha identificato e fotografato questa tendenza positiva ed è giusto richiamarlo come fatto positivo. Infatti non ci si pu accingere ad un'iniziativa e ad una grande battaglia ideale e di enorme portata quale la realizzazione della riforma dello Stato, con accentuazioni di tipo, come si dice oggi, rivendicazionista, di parte, seppure legittimate da tante ragioni oggettive e sostanziali come quelle che potrebbero essere poste dalle Regioni in un'ottica di esclusivo e ristretto regionalismo. Fatto questo riconoscimento mi sembra anche importante dire dopo il positivo approccio, che il lungo e non ancora concluso processo di maturazione delle forze regionalistiche deve portare con la maggiore chiarezza possibile una nostra posizione su una tappa così importante del processo di riforma dello Stato in cui tutti diciamo di credere, sia pure con interpretazioni diverse.
Prima di introdurmi nel merito, desidero sottolineare il tentativo venuto da alcune forze politiche, con particolare accentuazione dalla stessa DC, di far emergere dal dibattito una collocazione originale dei vari Gruppi politici rispetto alla lunga, utilissima positiva fase di elaborazione unitaria delle Regioni, culminata nel documento conclusivo del convegno di Milano e poi nel documento dei Presidenti delle Giunte e dei Consigli regionali.
Il documento delle Regioni e quello stilato a Milano hanno il valore e le caratteristiche di un documento unitario, frutto di un accordo congiunto, ma "aperto", nel senso che non toglie la possibilità, il diritto e l'opportunità che si sviluppi sui contenuti, sulle proposizioni specifiche e concrete un'ulteriore riflessione.
Vi è un punto, affermato soprattutto nell'ultimo documento unitario che secondo il Gruppo comunista occorre cogliere e cioè che il decreto così come e stato scritto, va profondamente cambiato, va /iscritto. A questo si deve arrivare, e a questo si arriverà anche da parte del Governo al termine dell'iter che inizia in un certo senso formalmente oggi per la Regione Piemonte, ma che proseguirà nelle varie sedi delle Commissioni interparlamentari e via dicendo.
Sarà un punto d'arrivo a cui dobbiamo dare un contributo coerente con le nostre convinzioni, al di là di una serie di differenziazioni legittime probabilmente anche opportune, senza isterismi e senza strumentalizzazione di nessun tipo.
Fatte queste riflessioni, occorre vedere la realtà e la sostanza dei fenomeni che devono indurci a riflessioni politiche su ciò che deve essere e che potrà essere il decreto per il completamento dell'ordinamento regionale, e, in definitiva, per la riforma dello Stato.
E' il discorso del neocentralismo regionale in rapporto alla crisi dell'esperienza delle Regioni in questi anni, in fondo il tema introdotto dal Consigliere Martini e ripreso da Bianchi, cui dobbiamo dedicare tutti un'attenta riflessione. E' inoltre il discorso sullo sbocco della riforma delle autonomie, della riforma dello Stato delle autonomie e della risposta che possiamo dare al problema sollevato dal collega Bianchi in merito all'Ente intermedio? Cercherò di andare per ordine contenendo il mio intervento nei limiti accettabili della pazienza dei Consiglieri, anche per un riguardo a chi mi ha preceduto e che ha saputo mantenere le sue attitudini oratorie in termini estremamente stringati.
Mi soffermerò innanzitutto sul neocentralismo, sui pericoli che il decreto rappresenti, come momento di nuova manifestazione di una tendenza neocentralista. Ritengo che non si debba fare scandalo. C'è l'illusione in alcuni che la via di uscita possibile sia sostanzialmente una riproposizione in termini nuovi di un forte momento centrale di governo della società e dell'economia. Farei bene a parlare dell'altra parte che invece non intende così questo processo, ma lo intende in chiave di ritenzione pura e semplice di potere. Ma parliamo della parte viva che ritiene nel dibattito in atto nel Paese che la via di uscita alla crisi, la possibile risposta alla crisi sia la riproposizione in maniera nuova di momenti di governo centralizzato. A queste illusioni va data con molta pacatezza e con molta chiarezza una risposta: i termini stessi con cui si pone la crisi, il profondo sconvolgimento di valori, la profonda potenzialità di mutamento dei valori, di rinnovamento e di trasformazione non possono essere affrontati profittevolmente per quella strada, cioè attraverso la riproposizione dei vecchi meccanismi centrali.
In realtà che cosa emerge, sia pure a volte in maniera anche sbagliata e confusa, con certi pericoli che possono incombere all'orizzonte per eventuali sfilacciamenti e logoramenti? Che domanda emerge dal Paese in questi anni e a quale domanda cerchiamo di dar risposta con la nostra azione quotidiana, anche di Consiglieri regionali? E' quella della partecipazione alle scelte, è quella del mettersi da parte delle istituzioni democratiche rappresentative alla guida dei processi economici sociali, quindi è quella di non mettersi a rimorchio di questi processi.
Riproporre logiche centralistiche, anche se con l'illusione positiva di risolvere i problemi, è, secondo me, una via profondamente sbagliata perché non arriveremmo a soluzioni positive, perché ci accorgeremmo sempre che il potere di coordinamento (eventuale) maggiore che può raggiungere un potere centrale ha un disvalore infinitamente superiore a quello che è la possibilità di un coordinamento sostanziale delle volontà, negli elementi di partecipazione.
Vorrei ricordare il significato della programmazione democratica, il significato dei passi in avanti fatti dalle Regioni con l'esperienza di 6/7 anni ormai, l'elemento di continuità che ritroviamo, anche se c'è stata una specie di separazione tra un tipo di legislatura e l'altra, la costruzione di un Ente Regione che cercasse, nei limiti oggettivi dell'evoluzione dei poteri, di rappresentare un momento profondamente innovativo nel processo di riforma dello Stato, sulla strada della partecipazione, i passi fatti nella prima legislatura e nella seconda, sia pure solamente a metà o quasi passi significativi in cui abbiamo marcato degli insuccessi, degli zig-zag ma abbiamo anche marcato dei grossi momenti innovativi. Vorrei ricordare che il momento costituente della Regione non è finito. Vorrei ricordare il calore, la passione politica e civile in chi, prima di me, si accinse, lo ricordava anche il collega Rossi nel suo intervento di questa mattina, a dare un volto, un ruolo, un'incidenza, una figura riconoscibile alla Regione. E' uno sforzo che non è ancora finito, a cui dobbiamo dare ancora tutti un contributo. Il comportamento che abbiamo tenuto recentemente sul Piano di sviluppo, argomento ricco di implicazioni polemiche, è stato importante, così come è importante il comportamento riguardo ad altre leggi che proseguono in questa direzione, cioè quella dell'affermazione che le Regioni sono in grado di governare, che il sistema delle autonomie non deve essere depotenziato, bensì potenziato e sviluppato, che può rappresentare un autentico momento innovatore nello Stato. Non si può pensare che il nostro Paese, che lo Stato, possa affrontare gli enormi problemi della crisi economica senza una riforma, subito, una riforma profonda del meccanismo della sua amministrazione, quindi una riforma delle sue strutture.
Se l'azione e la volontà corrisponderanno all'azione parlamentare e governativa di riforma dello Stato, le Regioni sapranno porsi come momenti non unici, ma reali di governo dello Stato e della società. Ho detto non unici. Il discorso delle autonomie è stato fatto con precisione, è stato richiamato correttamente a coloro che sono intervenuti su questo tema, da Martini prima, da Bianchi e da Rossi poi, in particolare con un intervento in cui traspariva tutta la storia di un uomo che nelle istituzioni locali ha dato gran parte della propria vita politica, come tanti di noi. Il tema delle autonomie è un altro argomento su cui la riflessione nostra, e se possibile il nostro documento, deve andare ad una posizione unitaria. Il tema delle autonomie va richiamato con forza. Se facciamo un'affermazione di carattere generale sul rinnovamento, sulla trasformazione delle strutture dello Stato le quali poggino su un modo diverso di intendere il governo, il che vuol dire partecipazione, decentramento, programmazione sarebbe una contraddizione se nell'affermare questo in capo alle Regioni fermassimo il processo in atto e non cogliessimo tutte le implicazioni politiche, sociali ed economiche, ma soprattutto politiche e democratiche cioè il valore e il ruolo delle stesse autonomie locali. Il fine della nostra battaglia, il fine della battaglia dei comunisti, e penso e spero anche il fine della battaglia politica delle altre forze dell'arco costituzionale, è la realizzazione entro la legislatura dello Stato democratico adeguato alla Costituzione e adeguato alle grandi trasformazioni che questi anni di lotta, di discussione politica e di avanzamento democratico hanno reso possibile. Quindi impegno per lo sviluppo di questa azione, impegno per un superamento dello Stato che ci rendiamo conto essere vecchio, burocratico, largamente incompatibile con le esigenze reali e sostanziali della gente. Quindi programmazione decentramento e partecipazione rimangono alla fase del discorso della riforma dell'autonomia, riforma che non intendiamo in termini tecnicistici ma basate proprio sul metodo della programmazione democratica che è poi il governo partecipato ai processi che hanno luogo nella società.
In questo schema mi permetterei di avanzare le ipotesi del mio Gruppo.
Innanzitutto una riforma delle autonomie non può prescindere da una delineazione del complesso dell'ordinamento statuale in cui collochiamo lo Stato come titolare dell'intervento globale per leggi di principio e per la programmazione e il piano nazionale, le Regioni anch'esse titolari di intervento globale per attività legislative e per programmazione, il sistema delle autonomie locali titolari anch'esse di interessi globali generali, di istanze generali di governo con compiti di programmazione infraregionale e amministrativi, per conto proprio, per conto della Regione e per conto dello Stato.
Occorre ancora precisare che il Comune resta, per le sue caratteristiche di democrazia fondamentale e di partecipazione, l'istanza fondamentale del sistema delle autonomie, l'asse portante del nuovo ordinamento delle autonomie locali, l'ente di rappresentanza generale.
Certo, accanto alla definizione del Comune non possiamo nasconderci i problemi relativi alle dimensioni. Per esempio, la Regione, i problemi relativi ai rapporti fra il Comune e la Regione, il problema della figura di livello intermedio a cui tutti nella pubblicistica giuridica e politica ormai ci richiamiamo. Su questo vale la pena in primo luogo di esplicitare la posizione del Gruppo comunista, e, in secondo luogo, di procedere al confronto (spero che sia confronto) affinché non ci si sclerotizzi su formule ancora impregnate di giuridicismo, sia pure ricche di tante implicazioni, ma vada avanti sul terreno concreto della sperimentazione.
Stiamo facendo questa esperienza nei Comprensori e forse ricaveremo molti elementi per decidere in un senso o nell'altro per collocarci in un senso o nell'altro La posizione e la collocazione del livello intermedio, e rispondo al collega Bianchi che ha in fondo richiamato una risposta di questo tipo esplicando quella del suo Gruppo, e quella di programmazione di coordinamento e di propulsione delle funzioni associative, un ente non territoriale, con un'estensione corrispondente all'area di programmazione socio-economica, un ente anche che cerchi di recuperare il più possibile degli elementi di novità anche nella sua struttura; che, come stiamo cercando di fare nei Comprensori, metta da parte gli elementi di nuova concretizzazione burocratica, strutture ed organici, un ente che sia la prosecuzione, il prolungamento del potere dei Comuni. Da questo deriva anche una posizione che è per noi critica, allo stato delle cose oggi a livello della nostra elaborazione sulla previsione della sostituzione della Provincia con un nuovo e secondo livello forte fra i Comuni e le Regioni.
Per nuovo e secondo livello forte intenderemmo quello che intendeva Bianchi, cioè un nuovo Ente vero e proprio ad elezione diretta. Su questo abbiamo le perplessità che ci derivano dal fatto dell'intendere l'autonomia. Ci chiediamo se, in realtà, le esigenze di autonomia, che richiamava Bianchi, possano essere garantite meglio dalla presenza di una forma nuova anche nella struttura, una forma esponenziale del tessuto dell'autonomia locale o invece da un nuovo ente che rischia di sovrapporsi ai Comuni.
Nessuno scandalo deve fare il fatto che io dica oggi che la Provincia ha rappresentato un'esperienza anche importante nel nostro ordinamento amministrativo, ma la Provincia è da superarsi, è ormai inadeguata rispetto alle esigenze attuali. Non dobbiamo necessariamente legare alla Provincia tutti i nostri mali, certo dobbiamo dire che il superamento della Provincia è uno dei punti focali. Come? Con la riproposizione di un ente simile, un ente nuovo con analoghe caratteristiche o non invece con un ente che faccia riferimento nella sua struttura e nelle sue caratteristiche a queste funzioni di programmazione, di coordinamento delle forme infraregionali inferiori? Pongo questo interrogativo perché credo che la sperimentazione ci potrà aiutare molto a sciogliere questi nodi, ricordando anche che la sperimentazione va fatta anche sul resto del territorio italiano e che il modo con cui dobbiamo andare a questo confronto sia il più aperto possibile. Il mio partito, rendendosi conto delle implicazioni di carattere non solo costituzionale, ma istituzionale, ritiene che il confronto non possa essere affrontato che attraverso il dibattito, il confronto delle idee nella maniera più aperta.
Visto che vogliamo tutti tutelare l'esigenza di fondo dell'autonomia della partecipazione e della democrazia, si tratterà di confrontarci sul modo con cui ritiene tutelarla, se con una soluzione o con un'altra.
Abbiamo espresso la nostra opinione, ho sentito altre opinioni, ritengo che su questo confronto debba partire anche in termini ravvicinati e partendo dall'esperienza comprensoriale.
Abbiamo affermato in varie situazioni, anche in relazione alla vita regionale, che in merito ai problemi di coordinamento tra le riforme (rispondo all'amico Bianchi) e gli atti regionali il discorso è quello che ho cercato di fare per quanto riguarda la riforma dello Stato e la riforma istituzionale.
Le grandi leggi di riforma al varo del Parlamento sono importantissime ma non possiamo pensare (l'esperienza dì questi anni ce lo ha dimostrato) di aspettare solo quel momento per avviare momenti esemplari significativi, di larga convergenza unitaria che vadano nel senso di costruire insieme, nel vivo della realtà, i momenti di riforma.
Un discorso del genere vale anche per un'altra suggestione richiamata negli interventi che mi hanno preceduto, cioè il pluralismo delle istituzioni. Passi in avanti ne abbiamo fatti tutti, ma forse dobbiamo farne ancora, non esclusa la mia parte politica. Mi pare di poter affermare che su questo tema sia importante affermare una legittimità di posizione sul pluralismo delle istituzioni, ma sia anche molto importante affermare il punto di arrivo che è il governo della società da parte delle istituzioni democratiche, la funzione di coordinamento, di governo, di programmazione rispetto alla pluralità di realtà sociali, politiche e civili sviluppate nel Paese che in molti casi rivestono una funzione obiettiva.
Chiudo, come si dice, in bellezza, o almeno spero, con un'ultima conclusione di carattere politico. Il mio partito, a vari livelli e in varie occasioni, ha ripetutamente dichiarato che l'attuale Governo è inadeguato alle esigenze del Paese, ha proposto sempre nelle varie e ripetute occasioni delle soluzioni più avanzate che vedessero una compagine governativa capace di affrontare la crisi con la forza dell'unità democratica di tutte le forze costituzionali. Mentre affermiamo questo e mentre continuiamo a condurre nel Paese la battaglia per questo nostro obiettivo, intendiamo anche affermare con molta chiarezza che non chiediamo, né cerchiamo lo scontro con il Governo che preluda alla sua caduta sulla legge 382.
Per noi è importante fare avanzare un processo reale tra le forze politiche che sia scevro di massimalismi da una parte e dall'altra, che sia capace di conquistare non solo casi esemplari di avanzamento del processo di riforma dello Stato, ma sia capace di cogliere questa grande occasione di portata storica che ci viene data per avviare nel concreto la trasformazione dello Stato. Però siamo anche consci che un processo del genere deve essere concluso con un decreto. In questo senso accolgo volentieri le sollecitazioni venutemi da chi mi ha preceduto.
Se ho messo un po' di passione in questo intervento è perché credo anch'io profondamente che una delle risposte più immediate da parte delle forze politiche che credono nella trasformazione, nel progresso, nella respinta delle tentazioni di andare all'indietro, sia quello di affrontare subito questa patata calda e bollente che ci troviamo da molti anni in mano e che ci sta scottando e facendoci capire sempre di più l'inadeguatezza dello Stato e la necessità di riformarlo.



PRESIDENTE

Con l'intervento del Consigliere Bontempi si sono chiusi gli interventi da parte dei rappresentanti dei Gruppi. Per la Giunta ha chiesto di parlare il Vicepresidente Bajardi. Ne ha facoltà.



BAJARDI Sante, Vicepresidente della Giunta regionale

Non compete certamente al sottoscritto trarre conclusioni dal dibattito perché non è nella prassi, né nella mia funzione. Non posso però sottrarmi dal dare un contributo alla discussione. Innanzitutto mi preme mettere in rilievo il contributo puntuale e puntiglioso presente negli interventi dei colleghi Calsolaro, Gastaldi, Oberto, Borando. Non posso inoltre non constatare che il dibattito si è prevalentemente orientato su aspetti politici di ordine generale, interessando argomenti che avevamo previsto di vedere contenuti nel decreto presentato dal Governo e altri di cui non sospettavamo la presenza.
Dal complesso degli approfondimenti particolari e generali è emersa la notevole lontananza, per usare la parola del collega Martini, tra il testo del decreto presentato e le aspettative delle Regioni e del sistema delle autonomie; lontananza dalle posizioni e dalle istanze autonomistiche e pluralistiche non solo della Democrazia Cristiana, ma anche degli altri partiti. E' proprio questo aspetto, questa maggiore lontananza tra il decreto, le istanze e le filosofie delle forze politiche che ha indotto tutti quanti ad assumere l'atteggiamento emerso sia in Consiglio che a livello nazionale.
In sostanza tale profondo divario tra le aspettative e la realtà ha fatto prevalere il discorso non tanto della qualità delle singole cose quanto della quantità, essendo consapevoli che il divario da colmare è in primo luogo quantitativo pur all'interno di un quadro qualitativo che non deve essere assolutamente sottovalutato.
A questa valutazione si e giunti anche nelle sedi nazionali. In sostanza le Regioni, nelle persone dei Presidenti dei Consigli e delle Giunte, anziché andare ad un contro decreto ripercorrendo puntualmente singoli articoli, con aggiunta di altrettanti articoli bis, ter, quarter hanno ritenuto invece di riprodurre in un documento politico lo stimolo alle forze politiche a prestare maggiore attenzione. Infatti è proprio alle forze politiche, nella più alta espressione del Parlamento, che è affidato il compito e la responsabilità dell'adeguamento della proposta alle aspettative. Si può porre certamente, con piena legittimità, il quesito se il comportamento sia stato pertinente e se si siano commessi degli errori.
Credo che ci siano stati dei limiti nell'azione delle Regioni; queste ultime infatti possono essere state indotte in un atteggiamento di frustrazione nel rilevare l'inadeguatezza del decreto a fronte delle puntuali proposte emerse dal serrato dibattito al convegno di Milano.
Ritengo, tuttavia, che si possa e si debba utilizzare il tempo che ci rimane fino al 25 luglio per sviluppare adeguate iniziative ai vari livelli, proseguendo la riflessione che è già in corso nelle Commissioni e che è emersa nella discussione.
Non mi pare però che, parallelamente al rilievo della necessità di un mutamento profondo del decreto sottopostoci, sia emerso un atteggiamento che ci porti ad uno scontro frontale tra Regioni e Stato; credo invece che dalla sostanza del dibattito sia emersa l'esigenza di un mutamento e che questo mutamento sia condotto con consapevolezza nell'ambito della visione unitaria complessiva che vede la Regione parte dello Stato e non forza che si contrappone ad esso. Ponendosi in quest'ottica la Regione rivendica parallelamente alla legge 382, altre leggi di riforma settoriale, che avranno una grossa incidenza nella nostra attività, oltre che leggi quadro.
Il fatto che tali leggi non ci sono ancora, non deve, però, portare all'immobilismo, anzi dobbiamo considerare che dopo l'attuazione della legge 382 una sistematizzazione più organica di tutta quanta la materia possa essere la premessa per la creazione di quello Stato di diritto all'interno del quale, pur in una concezione evolutiva, le Regioni potranno operare.
Mi pare di poter condividere un rilievo emerso in più occasioni nel corso della discussione, sulla non accettabilità del pretesto della discussione sulla legge della riforma sanitaria per non compiere già all'interno della legge 382 una scelta che vada nella direzione della riforma stessa.
Ribadisco qui il mio personale apprezzamento per le posizioni che tendono a collocare organicamente il nuovo ruolo delle Regioni all'interno della riforma generale dello Stato, non limitandosi cioè alla riforma delle funzioni centrali o dei Ministeri. Tra l'altro credo abbiano stupito tutti le affermazioni fatte dal Presidente del Consiglio all'assemblea nazionale dei GIP, di voler presentare a tempi brevi proposte di unificazioni ministeriali in ordine alle competenze. Sono particolarmente interessato alla proposta di unificazione dei Ministeri che operano nel campo dei trasporti, punto importante nella politica di riorganizzazione delle strutture centrali. Vorrei sottolineare che esistono due momenti all'interno della dimensione statuale: il primo, ancora in discussione, è la concreta collocazione delle strutture parlamentari che non sono parte secondaria del complessivo meccanismo statuale; il secondo è il complesso delle strutture periferiche statuali che in una certa parte resteranno ancora nella struttura organizzativa del nostro Paese. Si tratta di verificare tali strutture stabilendo un loro rapporto con la dimensione regionale che viene esaltata in ogni caso da una corretta applicazione della legge 382. Inoltre è da ritenere essenziale, in modo particolare, per il ruolo più diretto che noi abbiamo con il complessivo e restante sistema delle autonomie, l'esigenza di procedere rapidamente e con decisione alla riforma del sistema delle autonomie stesse a livello istituzionale, non arretrando di fronte ai problemi territoriali. Tale problematica è particolarmente presente nella nostra realtà piemontese, per le centinaia di piccoli Comuni. Si tratta di affrontare il nodo dei poteri reali e dei mezzi che dovranno essere messi a disposizione di questi livelli istituzionali, e ciò al di là di quello che ad esse potrà e dovrà venire da un modo di essere più autonomistico e più decentrato dello stesso istituto regionale. In sostanza al di là delle valutazioni che le singole forze politiche hanno ritenuto di adottare per esprimere queste esigenze, sono all'ordine del giorno e non più dilazionabili i problemi della legge comunale e provinciale e della legge sulla municipalizzazione, ossia della strumentazione attraverso la quale gli Enti locali si fanno carico della tematica di intervento sulle strutture dell'economia.
Nella discussione è emerso come problema centrale la nostra sperimentazione in tutta quanta la strumentazione dell'ente intermedio; mi riferisco non solamente alla dimensione comprensoriale ma alla stessa realtà delle unità locali, la cui legge è oggi in fase di avanzata consultazione. Tale strumentazione ha come struttura portante i Comprensori che rappresentano non solo una concreta sperimentazione sul piano istituzionale della nostra Regione, ma anche un modo di dialogare con la restante parte della collettività nazionale. Infatti circa il 50% delle Regioni italiane stanno compiendo un'analoga sperimentazione pur con differenziazioni talvolta sostanziali. In questa nuova situazione abbiamo la possibilità di un confronto tale da permetterci di formulare valide risposte da dare alla comunità.
Più di un collega, intervenendo nella discussione, ha sottolineato il pericolo che la sperimentazione possa avere come obiettivo l'espropriazione di funzioni degli Enti locali, in primo luogo del Comune.
Il problema mi pare vada rovesciato: si tratta, infatti, non di togliere, ma di aggiungere nuove funzioni al Comune considerandolo pilastro insostituibile all'ordinamento democratico, unico livello istituzionale che ha contatto diretto con la popolazione. E' attorno al Comune che noi dobbiamo organizzare la nostra sperimentazione. Certo si può anche correre il rischio di andare verso una strada di espropriazione di funzioni degli Enti locali. Vorrei però osservare che l'elezione diretta di un secondo livello anziché un suo modo di essere autorganizzazione dei Comuni, pu anche allontanarci da questa esigenza di rapporto diretto e di massima responsabilizzazione del Comune. Proprio la forma di autorganizzazione dei Comuni potrebbe essere un modo indiretto di espansione del ruolo degli stessi Enti locali.
Il dibattito politico non è compiuto, non si tratta di fare delle affermazioni quanto di confrontarci in questa determinata direzione e prendere coscienza che abbiamo bisogno di un ente intermedio, certamente diverso, al quale forse dovrebbe essere sottratto qualche cosa o qualche cosa dovrebbe essere aggiunto al Comune.
La 382 poteva approdare al risultato di dare qualcosa ai Comuni da parte dello Stato, delle Regioni, delle Province. A fianco della presa di coscienza di questa esigenza del livello intermedio vi è l'esigenza di un processo che tenda alla costruzione di una dimensione comunale tale da conciliare correttamente i momenti della socialità, dell'efficienza, della produttività, dell'erogazione di funzioni al più basso costo quale oggi noi non abbiamo ancora raggiunto sul territorio. Da questo punto di vista vi è l'esigenza della sperimentazione, oltre che di una completa e più ampia riflessione. In questo ambito si pone il problema di una maggiore utilizzazione delle stesse Comunità montane (ma il problema si pone anche per il territorio non montano) ad un livello inferiore dì aggregazione rispetto a quello comprensoriale in modo da trarre elementi utili.
Con l'UNCEM si è concordata l'ipotesi di andare in una direzione tale da far coincidere le dimensioni territoriali nel limite del possibile, o al massimo come sottomultipli dei distretti scolastici, delle unità locali anche se siamo consapevoli dei limiti, nella possibilità di intervento capace di produrre l'estensione della democrazia, della socialità dell'intervento, ma più ancora dell'efficienza ed il più alto livello di produttività. Non appartiene certamente al Consiglio la soluzione dei grandi problemi dell'ente intermedio, tema squisitamente appartenente alle forze politiche, ma ritengo che il discorso che abbiamo avviato nella Regione possa essere un valido contributo nel raccogliere dalla concreta sperimentazione suggerimenti e indicazioni tali da far decidere con consapevolezza di causa.
La Giunta accogliendo l'occasione del dibattito sulla legge 382, ha ritenuto opportuno di fare queste considerazioni sottolineando e ribadendo il rifiuto di ogni visione e pratica neocentralistica. L'impegno della Giunta è di lavorare coerentemente in tale senso, con tenace attenzione da parte del Consiglio, delle forze politiche e del complesso degli Enti locali. La Giunta non intenderà come mero controllo burocratico, ma come contributo politico per essere fedele al proprio impegno programmatico.
E' un terreno non semplice. Tutti i giorni emergono contraddizioni tra l'esigenza di rispondere in termini rapidi ed efficienti e il travaglio di non avere la certezza che queste decisioni rapide corrispondano ad un altrettanto rapida esecuzione, in coerenza alle aspettative della collettività; efficienza e rapidità molte volte non coincidono con l'efficienza complessiva dell'intervento. Ciò esige e sottolinea la necessità di un rapporto più ampio, democratico, che partendo dalla soluzione dei problemi entri nel vivo di un ripensamento istituzionale. La Giunta avrà cura di sollecitare un'accentuazione e una qualificazione dei rapporti con il complesso del sistema delle autonomie e le sue organizzazioni associative.
Certo non può essere considerato un fatto positivo quanto è avvenuto proprio ieri a Roma. Nella riunione degli organi centrali dell'ANCI dell'UPI e dell'UNCEM, a cui dovevano partecipare tutte le Regioni, erano presenti solamente le Regioni Piemonte e Emilia. Non è un esempio illuminante della responsabilità complessiva in senso autonomistico delle Regioni. Dovremmo riflettere su questi fatti e prendere atto che certe valutazioni di critica emerse nel corso della riunione romana non possono derivare solo dalle assenze di ieri, ma da un più generale esame delle questioni. A livello regionale ci pare giusto sottolineare l'esigenza di utilizzare appieno il Comitato di coordinamento recentemente costituito tra ANCI, UPI, UNCEM e Regione Piemonte al fine di avere non solo i chiarimenti necessari e di sciogliere eventuali equivoci, ma per puntare all'essenza delle questioni in un rapporto di collaborazione sistematico "certo", in una visione pluralistica istituzionale ma anche unitaria. La Giunta, per quanto le competerà, non avrà difficoltà ad utilizzare tutte le occasioni per colloquiare con la Commissione Parlamentare cui è proposto un più puntuale approfondimento delle questioni e alla quale forse sarà affidato il compito della presentazione di una proposta globale risultante dal confronto avvenuto in questi mesi nella società. Se ci sarà possibile e se ci sarà richiesto cercheremo di mettere a frutto il risultato (e una questione che compete in prevalenza al Consiglio) dei lavori ancora in corso nelle Commissioni consiliari, lavori che potrebbero ulteriormente continuare nello stesso modo come continuano a livello nazionale i contatti trai vari Assessori per riflettere, per ragionare, per prepararsi anche a gestire il dopo legge 382, che è sempre problema impellente al di là dei contenuti concreti della legge stessa.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SANLORENZO



PRESIDENTE

Signori Consiglieri, non essendoci altre richieste di parola, siamo di fronte al problema della conclusione del dibattito. La mia proposta è di sospendere brevemente i lavori del Consiglio per dare luogo ai Capigruppo di esaminare l'ipotesi di un eventuale documento conclusivo. Vi sono obiezioni? Non ve ne sono.



(La seduta, sospesa alle ore 17,45 riprende alle ore 18,20)



PRESIDENTE

La seduta riprende.
Signori Consiglieri, la riunione dei Capigruppo ha preso in esame l'ipotesi di documento conclusivo del dibattito che si è svolto oggi.
L'intesa sarebbe stata raggiunta, salvo obiezioni, sul seguente testo che adesso vi leggo: "Il Consiglio regionale del Piemonte chiamato ad esprimere le proprie osservazioni sullo schema di decreto attuativo della delega legislativa di cui all'art. 1 della legge 22 luglio 1975 n. 382 proposto dal Governo richiamate le posizioni unitariamente espresse dalle Regioni in materia ed in particolare: gli atti del Convegno di Milano del 28-29 gennaio sull'attuazione della legge 382 l'ordine del giorno conclusivo della quarta Conferenza delle Regioni meridionali svoltasi a Catanzaro il 18-19-20 febbraio il documento dei Presidenti delle Giunte regionali formulato a Senigallia il 14 marzo il documento presentato dai Presidenti delle Giunte e dei Consigli regionali a nome di tutte le Regioni, al Presidente della Camera e del Senato e alla Commissione parlamentare per le questioni regionali il 22 marzo rileva 1) le Regioni non rivendicano indiscriminatamente più funzioni e più poteri, ma rifiutano ogni prospettiva neocentralistica sia statale che regionale 2) l'attuazione della delega legislativa contenuta nella legge 382, nel pieno rispetto dei principi generali e dei criteri direttivi in essa indicati, costituisce occasione irrinunciabile per un'effettiva e non più rinviabile riforma della pubblica amministrazione e per il definitivo assetto dei rapporti fra Stato, Regioni e autonomie locali 3) insieme all'attribuzione delle funzioni deve procedere la realizzazione di una nuova organizzazione dei poteri locali per dare attuazione all'ordinamento costituzionale basato sulle autonomie: Regioni Comuni e il nuovo livello intermedio devono costituire i cardini del nuovo ordinamento autonomistico dello Stato da attuarsi con un organico decentramento qualificato di funzioni, strumenti e risorse.
Il Consiglio regionale del Piemonte invita la Commissione parlamentare per le questioni regionali ad elaborare le sue proposte affinché i contenuti dello schema di decreto siano radicalmente modificati accogliendo lo spirito e le indicazioni presenti nei documenti unitariamente espressi dalle Regioni.
Chiede altresì che la Commissione parlamentare mantenga nell'ultima fase dei suoi lavori stretti rapporti di consultazione con le Regioni.
Dà mandato al Presidente del Consiglio di trasmettere il presente documento al Governo ed alla Commissione parlamentare per le questioni regionali insieme alla sintesi del dibattito svoltosi in Consiglio che ne costituisce parte integrante".
Questo è il documento concordato. Devo comunicare che c'è inoltre un documento presentato dal MSI-DN in ordine allo schema del decreto delegato per l'attuazione della legge 22 luglio 1975 n. 382.
La votazione sarà su ambedue i documenti. Questione puramente formale perché la differenza è sostanziale per cui non c'è alcuna possibilità di intesa.
Metto in votazione il documento risultato dall'intesa delle forze politiche che hanno partecipato alla sua stesura.
Il Consigliere Carazzoni chiede di fare la sua dichiarazione di voto.
Ha facoltà di parlare.



CARAZZONI Nino

Visto che l'intervento di questa mattina si è svolto in un'aula non del tutto concentrata e attenta desidero chiarire i motivi della votazione dei due documenti.
Noi abbiamo detto che il lungo dibattito attorno alla legge n. 382 e allo schema di decreto delegato che ne concerne l'attuazione ha portato di fatto all'enunciazione di due posizioni divaricanti anzi contrapposte quella governativa da un lato e quella regionalista dall'altro.
Abbiamo altresì detto che il Movimento Sociale-Destra Nazionale non si riconosceva né nella posizione strettamente burocratica e conservatrice del Governo né in quella massimalista ed eccessivamente pretenziosa delle Regioni.
Abbiamo infine concluso che, proprio per specificare meglio questa nostra tendenza, avremmo riassunto il nostro punto di vista in un documento, che è stato appunto consegnato alla Presidenza del Consiglio. A questo punto, per logica e per coerenza noi voteremo contro il documento concordato dalle altre forze politiche e daremo invece ovviamente voto favorevole al documento da noi sottoscritto.



PRESIDENTE

Non vi sono altre dichiarazioni, quindi metto in votazione il documento di cui ho dato lettura precedentemente concordato dalle forze politiche.
Chi è d'accordo con questo documento alzi la mano.
E' approvato con 43 voti favorevoli ed un'astensione.
Passiamo al documento presentato dal MSI-DN: "Il Consiglio regionale del Piemonte preso in esame il testo della legge e lo schema di decreto del Presidente della Repubblica concernente l'attuazione della delega legislativa di cui all'art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382 proceduto ad una valutazione del contenuto politico e specifico del provvedimento rileva preliminarmente a) che la legge delegata 382 niente altro è se non una contingente prosecuzione della legge finanziaria del 1970 e - sotto più aspetti - un ritocco disorganico, spesso indeterminato, dei decreti delegati 14-15 gennaio 1972, relativi al trasferimento delle attribuzioni amministrative alle Regioni a Statuto ordinario b) che, in concreto, la legge delegata 382 è una legge stralcio o residua del più ampio disegno di riforma dell'amministrazione statale contenuto nell'originario disegno di legge n. 114 predisposto dal Governo nel gennaio 1974, il quale prevedeva il preliminare riordinamento della pubblica amministrazione ed il riordino dei Ministeri c) che, mancando finora la riforma degli Enti locali e prevedendo la legge 382 e lo schema di decreto delegato di attuazione attribuzioni di funzioni direttamente a Comuni, Province e Comunità montane, gli ordinamenti regionali e statali resteranno espressioni monche e gli Enti locali, per la crisi funzionale e finanziaria che li paralizza, non saranno in grado di assolvere alle nuove funzioni loro attribuite d) che l'assenza di indicazioni finanziarie proporzionate alle attribuzioni, sia pure frammentarie e disorganiche, della legge 382 e dello schema di decreto delegato di attuazione della stessa, renderà di fatto inattuabili le emanande norme delegate, generando per la Regione e per gli Enti locali un'ulteriore insopportabile lievitazione di spesa e) che, non essendosi contestualmente proceduto per varie materie alla revisione delle leggi sostanziali dello Stato - com'era pregiudiziale e com'è costituzionalmente previsto -, si creano le condizioni, sia in ordine ai trasferimenti di attribuzioni sia per le deleghe, per nuovi conflitti di competenze tra Stato, Regioni ed Enti locali nonché una maggiore indeterminatezza delle pubbliche funzioni, con grave danno per l'interesse generale e per quello dei singoli cittadini f) che, infine, il contrasto in atto tra gli Enti regionali - i quali con il documento comune sottoscritto dai Presidenti dei Consigli e delle Giunte in data 22 marzo 1977, hanno dichiarato non accettabili i contenuti del decreto governativo - ha riproposto il grave problema politico delle Regioni consorziate, di fatto, come potere opposto a quello sovrano e generale dello Stato tutto questo rilevato in via preliminare afferma 1) che il decreto delegato di attuazione della legge 382, anziché come elemento di riordino dell'amministrazione pubblica, svincolato com'è dalla riforma della pubblica amministrazione e dalla ristrutturazione dei Ministeri, in mancanza della nuova legge sugli Ent locali ed essendo assente una regolamentazione finanziaria proporzionata ad una ripartizione dei compiti per settori organici, è destinato a rendere ancora più confusa la già grave condizione dell'amministrazione pubblica a tutti i livelli e ad aumentarne l'inefficienza e l'incertezza operativa, in una fase di crisi acuta della Nazione in tutti i settori 2) che la legge 382 e in conseguenza lo schema di decreto delegato di attuazione prescindono da qualsiasi disegno programmatorio regionale, e ci in contrasto sia con le recenti norme sulla contabilità regionale ed in riferimento al metodo della programmazione, inserito anche nello Statuto regionale del Piemonte 3) che il rinvio in materia di sanità, assistenza ed istruzione alle annunciate, ma lontane ed incerte nell'attuazione, leggi di riforma, mentre da parte delle Regioni, o almeno di gran parte di queste, si è dato autonomamente l'avvio a processi di riassetto non organici né coincidenti minaccia di rendere ancor più caotici settori di primaria importanza, quali appunto la sanità, l'assistenza e l'istruzione 4) che, in ogni caso, lo schema di decreto delegato, nella sua sostanziale contingenza, ripete il ritaglio 'a fette e fettine' di attribuzioni tra Stato e Regioni 5) che, in un tale quadro, l'estinzione - ancorché non automatica prevista dall'art. 73 di decreto delegato con trasferimento dei rispettivi patrimoni alle Regioni, di 33 Enti di alto valore morale, di istituzioni assistenziali di categorie colpite da infermità, di opere costituite da attive categorie produttive, si configura come atto illiberale, lesivo del principio associazionistico, vera e propria rapina incostituzionale di beni, che va contrastato con ogni impegno per motivi civili e politici esprimendo nel contempo la solidarietà alle benemerite categorie interessate pertanto dichiara la propria opposizione allo schema di decreto delegato di attuazione della legge 382, ritenendo la legge stessa un momento riduttivo e contingente di un necessario più organico disegno di riforma e di riordinamento della pubblica amministrazione sia centrale che periferica ravvisando nello schema di decreto delegato un elemento di disaggregazione anziché di razionalizzazione ed organicità delle pubbliche attribuzioni di funzioni ai vari livelli la responsabilità delle forze politiche di potere, anzitutto di quelle di sinistra che - prima del 20 giugno 1976 - in Parlamento hanno imposto che dall'originario disegno di legge n. 114 fossero eliminate le parti relative al riassetto generale della pubblica amministrazione ed al riordino dei Ministeri ed introdotta la sola parte concernente l'ulteriore trasferimento di attribuzioni regionali la gravità, nella crisi in atto delle istituzioni e nella sovrapposizione di poteri di fatto ai poteri legittimi e costituzionali che si riscontra nel Paese, della concentrazione delle Regioni in consorzio quale nuovo potere opposto a quello generale dello Stato ritiene indilazionabile la riforma della pubblica amministrazione, il riordino dei Ministeri,l'adeguamento delle leggi sostanziali dello Stato alle nuove realtà regionali e la riforma degli Enti locali, come premessa per un'organica ripartizione di attribuzioni ai vari livelli della pubblica amministrazione e per l'efficienza delle istituzioni di fronte alla crisi politica, economica e sociale dell'Italia in conclusione chiede che la Commissione interparlamentare per le questioni regionali esprima parere negativo in ordine allo schema di decreto delegato in attuazione della 382 e che il problema venga, in modo organico e razionale, rimesso nuovamente al Parlamento".
Chi è d'accordo alzi la mano.
E' respinto con 43 voti contrari ed uno solo favorevole.
Signori Consiglieri non sono in grado di darvi notizie precise tuttavia ci sono pervenute notizie molto gravi circa alcuni fatti successi a Roma oggi pomeriggio. Non ho notizie particolari; i colleghi apprenderanno la notizia dai giornali e dalla radio.
La mia esortazione è in riferimento ad un'altra manifestazione: domani sera a Torino si terrà una grande manifestazione regionale, che avrà un significato anche più rilevante alla luce degli eventi di Roma. L'invito che rivolgo ancora questa sera a tutte le forze politiche è di adoperarsi da oggi perché la manifestazione di domani sera sia un appuntamento organizzato, serio, unitario di tutte le forze democratiche che intervengono in un momento così delicato della vita nazionale.
La seduta è tolta, il Consiglio regionale verrà riconvocato per il prossimo giovedì. L'ordine del giorno sarà recapitato a domicilio.



(La seduta ha termine alle ore 18,30)



< torna indietro