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Dettaglio seduta n.111 del 21/04/77 - Legislatura n. II - Sedute dal 16 giugno 1975 al 8 giugno 1980

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Argomento:


PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE BELLOMO


Argomento:

Comunicazioni del Presidente


PRESIDENTE

La seduta è aperta Passo subito a leggere le "Comunicazioni della Presidenza del Consiglio regionale" A 50000 a) Attentato terroristico al Consigliere comunale democristiano Dante Notaristefano



PRESIDENTE

Come è ormai a tutti noto, ieri, il Consigliere comunale democristiano Dante Notaristefano è stato bersaglio di un criminale attentato terroristico.
Un commando di tre persone lo ha atteso sotto casa al rientro dal lavoro sparandogli otto colpi di rivoltella fortunatamente andati a vuoto.
Notaristefano è Consigliere comunale ed è segretario capo alla Procura generale della Repubblica.
Si tratta, come è evidente, di un altro grave episodio di criminalità politica che nella sua forma più violenta sta caratterizzando questa sua ultima fase nella nostra città.
Eleviamo una volta ancora la nostra condanna e il nostro sdegno esprimiamo all'esponente democristiano la nostra solidarietà ma soprattutto chiediamo che questi gruppi criminali siano individuati ed arrestati perch troppo comodamente possono continuare, si può dire ogni giorno, ad aggredire, provocare, delinquere.
La risposta civile, unitaria e democratica a tutto il terrorismo politico che ha imperversato negli ultimi tempi nella nostra Regione, la darà domani sera in Piazza S Carlo a Torino la popolazione piemontese quando le forze democratiche e anfifasciste ricorderanno il XXXII Anniversario della Liberazione con rinnovato impegno a sconfiggere ed a stroncare il terrorismo politico che mira a distruggere le istituzioni democratiche.


Argomento: Rapporti con altre Regioni

b) Conferimento della cittadinanza onoraria di San Daniele del Friuli al Presidente del Consiglio regionale


PRESIDENTE

Alla Presidenza del Consiglio regionale del Piemonte è pervenuto dal Comune di S. Daniele del Friuli, capoluogo della Comunità collinare l'invito alla cerimonia, che avrà luogo il 25 aprile, anniversario della Liberazione, in cui sarà conferita al Presidente del Consiglio regionale la cittadinanza onoraria di San Daniele. Il Presidente Sanlorenzo ha risposto al Sindaco di San Daniele con il seguente messaggio che vi leggo integralmente: "Caro Sindaco, cari amici friulani, interpreto nell'unico modo possibile l'onore che mi fate: come il ringraziamento per lo slancio generoso che ha ispirato il contributo dato dalla comunità piemontese e dalla nostra Regione per la rinascita del Friuli. Cittadini onorari di tutti i paesi della vostra Comunità collinare sono coloro che vi furono vicini nei giorni di maggio e di settembre, operai e tecnici delle cooperative e delle imprese che hanno lavorato a ricostruire le scuole, le maestre e le assistenti venute ad assistere i bambini e i vecchi, i mille e più che partirono per portarvi le roulottes quando ne avevate bisogno; i 300 000 che offrirono ore di lavoro e denaro, le associazioni di differente orientamento ideale che si unirono nell'azione comune, gli artisti ed i progettisti che hanno offerto le loro opere, i vigili del fuoco, i funzionari dei Comuni e della Regione che non hanno contato le ore per fare ciò che si poteva e si doveva.
L'onore lo meritano i giornali ed i giornalisti che hanno organizzato e saputo tenere vivo il valore ideale e morale che ha destato una crescente e lunga ondata non estinta di solidarietà umana che va oltre l'occasione che l'ha destata per rimanere fraternamente perenne fra i piemontesi e i friulani.
L'impegno che vi rinnovo è quello di fare tutto ciò che è ancora necessario e possibile per mantenere la nostra parola data di fare ciò che abbiamo promesso e perché tutto sia fatto scrupolosamente, onestamente senza mollare mai come sanno fare i nostri operai ed i vostri contadini.
Con il più commosso ringraziamento".
Ritengo che mi consentiate di interpretare il sentimento di tutto il Consiglio nell'esprimere al nostro Presidente le felicitazioni più vive per questo riconoscimento, che è un riconoscimento da allargare all'intero Consiglio, per non dire addirittura all'intera comunità piemontese che si è dimostrata veramente all'altezza in una situazione tanto tragica.


Argomento:

b) Conferimento della cittadinanza onoraria di San Daniele del Friuli al Presidente del Consiglio regionale

Argomento:

c) Congedi


PRESIDENTE

Hanno chiesto congedo i Consiglieri Cerchio, Fiorini, Franzi e Moretti.


Argomento:

c) Congedi

Argomento:

d) Presentazione progetti di legge


PRESIDENTE

Sono pervenuti alla Presidenza numerosi progetti di legge, sia da parte della Giunta regionale, sia da parte dei Consiglieri: proposta di legge n. 197: "Istituzione del Museo Ferroviario Piemontese" presentata dai Consiglieri Calsolaro, Gastaldi, Cardinali Picco, Soldano, Marchini, Rossotto, Benzi, Graglia Artico, Bellomo Bontempi in data 1° aprile 1977 disegno di legge n. 198: "Norme per la tutela dell'ambiente naturale" presentato dalla Giunta regionale in data 13 aprile 1977 disegno di legge n. 199: "Proroga alle norme provvisorie di salvaguardia all'istituzione di nuovi istituti privati di diagnosi e cura" presentato dalla Giunta regionale in data 13 aprile 1977 disegno di legge n. 200: "Adeguamento dell'indennità di residenza fissata dalla legge statale 8/3/1968 n. 221 a favore dei farmacisti titolari di farmacie rurali" presentato dalla Giunta regionale in data 13 aprile 1977 disegno di legge n 201: "Variazione al bilancio di previsione per l'anno finanziario 1977" presentato dalla Giunta regionale in data 15 aprile 1977 proposta di legge n 202: "Modificazioni alle leggi regionali 13 ottobre 1972 n. 10 e 10 novembre 1972 n. 12" presentata dai Consiglieri Bianchi Bontempi, Calsolaro, Carazzoni, Cardinali, Curci, Marchini, Rossotto e Castagnone Vaccarino in data 19 aprile 1977.


Argomento:

d) Presentazione progetti di legge

Argomento:

e) Apposizione visto Commissario del Governo


PRESIDENTE

Il Commissario del Governo ha apposto il visto alle seguenti leggi regionali: alla legge regionale 17 marzo 1977: "Interventi regionali per il finanziamento dei lavori più urgenti necessari a ripristinare opere pubbliche danneggiate dalle alluvioni del settembre, ottobre e novembre 1976" alla legge regionale 17 marzo 1977: "Integrazione della legge regionale 25/6/1976 n. 32 'Istituzione dell'azienda regionale per la gestione della tenuta La Mandria'" alla legge regionale 17 marzo 1977: "Mantenimento di Nunzia Ciotta figlia di Giuseppe, vittima dell'attentato avvenuto il 12 marzo 1977".


Argomento:

f) Mancata apposizione visto Commissario del Governo


PRESIDENTE

Il Commissario del Governo non ha apposto il visto, rinviando a nuovo esame, alla legge regionale 17 marzo 1977: "Partecipazione della Regione alla società azionaria gestione Aeroporto di Torino (Sagat)" per il seguente motivo: "Premesso che in base alla legge 21/7/1965 n. 914 abilitato all'esercizio dell'Aeroporto di Torino-Caselle è il Comune di Torino mentre la Società Sagat opera in via soltanto contingente e di fatto in contrasto con la legge medesima, il Governo ha rilevato che la legge regionale, non concretandosi in un mero apporto finanziario alla gestione aeroportuale e prevedendo poteri di indirizzo sul citato aeroporto di interesse statale, esula dalla competenza regionale ai sensi degli artt.
117 e 118, secondo comma, della Costituzione, nonché degli artt. 2, lettera h), e 8, lettera c), del D.P.R. 15/1/1972, n. 8".
Le comunicazioni pertanto sono esaurite. I Consiglieri vogliono chiedere la parola? Mi pare che altrimenti l'intesa sia di passare oltre.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SANLORENZO


Argomento: Personale del servizio sanitario

Comunicazioni dell'Assessore alla sanità Enrietti sulle vertenze dei dipendenti ospedalieri


PRESIDENTE

L'Assessore Enrietti chiede di fare alcune comunicazioni sulle vertenze dei dipendenti ospedalieri.



ENRIETTI Ezio, Assessore alla sanità

Ritengo doveroso svolgere al Consiglio una breve comunicazione circa le vertenze che i dipendenti degli Enti ospedalieri hanno aperto nei confronti del Governo per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro. La Giunta regionale ha incontrato l'altro ieri i rappresentanti delle organizzazioni sindacali; oggi pomeriggio sul tardi si terrà un'altra riunione in merito e di questo vorrei informare il Consiglio.
Rispetto alle precedenti esperienze il rinnovo del contratto di lavoro per i dipendenti ospedalieri, già scaduto il 31/12/1976, si prospetta in modo diverso per una serie di situazioni nuove e per una più avanzata concezione politica sanitaria.
Le situazioni nuove si identificano: nella presenza attiva delle Regioni nel loro acquisito ruolo di naturali interlocutori degli organismi rappresentativi del personale ospedaliero nel coinvolgimento imprescindibile nella trattativa contrattuale del Governo e delle Confederazioni dei lavoratori in quanto parte e controparte politica reale rispettivamente a fianco delle Regioni stesse e dei sindacati di categoria nel momento congiunturale connotato da ben note difficoltà economiche e dall'incertezza del quadro politico generale e dai riflessi negativi che il momento congiunturale ha esercitato ed esercita sulla gestione degli Enti ospedalieri attraverso il mancato adeguamento del Fondo Nazionale Ospedaliero da parte del Governo e sulla gestione degli Enti mutualistici nel particolare momento storico che, mentre vede, seppur tra incomprensione e difficoltà, affermarsi il ruolo delle Regioni in adempimento dell'art. 117 della Costituzione per l'attività di tutela della salute (legge 386/1974 - legge 382/1975, proposta di legge di istituzione del servizio sanitario nazionale), coincide con i termini di scadenza dei contratti di categorie sanitarie operanti nel settore pubblico (medici generici, specialisti ambulatoriali e esterni convenzionati con gli Enti mutualistici, personale sanitario degli Enti locali).
Le Regioni, appunto per le prospettive loro aperte dall'istituendo Servizio Nazionale, hanno elaborato per i rinnovi contrattuali delle categorie sanitarie operanti nel settore pubblico una comune strategia che si incentra su una linea finalizzata all'organizzazione delle norme contrattuali per le diverse categorie in modo che si possa: assicurare la massima mobilità del personale nell'ambito regionale nel rispetto della professionalità dell'operatore assicurare un unico rapporto di lavoro (di impiego o convenzionato) con l'istituzione preposta alla gestione dei servizi delineare le incompatibilità onde evitare aspetti concorrenziali con il servizio e disparità di trattamento tra le categorie mediche assicurare un trattamento economico sostanzialmente analogo in relazione alla qualità e quantità di lavoro reso al servizio.
Se questa è la strategia adottata dalle Regioni per i rinnovi contrattuali, una particolare attenzione è stata posta nel formulare una piattaforma per il contratto degli ospedalieri sia in relazione al numero dei dipendenti interessati alla vertenza, sia per l'importante e vitale funzione che essi esercitano nel settore pubblico, sia per il più diretto e immanente interesse delle Regioni per le questioni attinenti all'assistenza ospedaliera, sia per il ruolo fondamentale che ancor oggi l'ospedale esercita nella tutela della salute.
La posizione delle Regioni è stata concordata, appunto nella prospettiva della riforma nazionale, di intesa con la FIARO che rappresenta sia il braccio tecnico delle Regioni e, allo stato della vigente legislazione, la rappresentanza legale delle Amministrazioni ospedaliere.
I punti salienti della posizione regionale possono essere qui sintetizzati in: unitarietà dell'accordo nel senso che il trattamento economico e gli istituti normativi di carattere economico di tutto il personale ospedaliero dovranno unitariamente essere discussi e risolti: tanto in omaggio all'esigenza di omogeneizzare i trattamenti economici e normativi del personale sanitario operanti nel settore pubblico definizione in sede nazionale delle scelte economico-normative evitando qualsiasi trattativa o interpretazione a livello periferico provinciale o regionale circoscrizione della tematica contrattuale al trattamento economico e agli istituti normativi di carattere economico, lasciando a protocolli aggiuntivi la definizione di tematiche riguardanti l'organizzazione interna degli ospedali conformità delle norme contrattuali alle disposizioni legislative in vigore, pur nella necessità di un continuo colloquio con le rappresentanze parlamentari per una proposta di modifica a norme di legge che bloccano l'introduzione di nuovi istituti contrattuali enunciazione della normativa contrattuale in termini chiari ed univoci, evitando così la possibilità di interpretazioni eterogenee, fonte di tensioni e vertenze locali compatibilità dell'accordo sotto il profilo finanziario; questo per le Regioni è punto fermo ed irrinunciabile: qualunque sia la soluzione in termini economici alla quale la contrattazione approderà, è assolutamente necessario che il Governo, comunque e senza remore, provveda all'adeguamento del Fondo Nazionale mediante provvedimenti di legge.
Disattendere tale condizione costituirebbe un pericoloso ed esiziale motivo di ingovernabilità degli Enti ospedalieri con danno grave della salute degli utenti.
I contenuti qualificanti della proposta regionale riguardano: la qualificazione della spesa ospedaliera nel senso di un aumento della produttività del lavoro, evitando la parcellizzazione delle competenze la formazione e aggiornamento professionale di tutti gli operatori la mobilità all'interno ed all'esterno dell'ospedale il privilegio del tempo pieno per i medici ospedalieri e dell'attività libero professionale intramuraria opportunamente regolamentata la scelta organizzativa dipartimentale, quale momento qualificante sul piano della produttività ed efficacia assistenziale e sul piano della formazione professionale degli operatori la necessità di costituire i Dipartimenti di Emergenza.
Per quanto riguarda il trattamento economico la posizione delle Regioni appare del tutto chiara.
Poiché le Regioni amministrano il Fondo Nazionale Ospedaliero, il cui ammontare è fissato dal Governo e dal Parlamento, emerge l'assoluta necessità, di ordine sostanziale anziché procedurale, di conoscere il limite di spesa che il Governo può consentire alle Regioni, assicurandone contestualmente la copertura.
Le Regioni hanno recepito in positivo l'accordo per il pubblico impiego intervenuto tra Governo e Confederazioni sindacali dei lavoratori il 5/1/1977.
Tuttavia le Regioni hanno affermato nel loro documento propositivo: la necessità di privilegiare le attuali qualifiche economicamente più basse, con ciò postulando una perequazione interna dei trattamenti l'opportunità di una migliore remunerazione per il personale che, per capacità e preparazione professionale, costituirà la struttura portante del servizio sanitario sul territorio la necessità, ai fini di omogeneizzare le varie categorie del pubblico impiego, di comprimere in sette od otto livelli le attuali qualifiche.
Allo stato attuale, in attesa di un incontro tra Governo e Regioni sindacati di categoria e Confederazioni sindacali, previsto per il 22/4/1977, il Governo ha proposto il seguente accordo: L. 50.000 mensili per ciascun dipendente dall'1/10/1978 con eccezione: dei medici a tempo definito per i quali è previsto nessun incremento economico dei dipendenti con stipendi annui superiori a 8 milioni dei dipendenti con stipendi annui compresi tra 6 e 8 milioni, per i quali è previsto un incremento mensile a regime (dall'1/10/1978) di L.
25.000.
La decorrenza giuridica è stata proposta dall'1/1/1978; dall'1/1/1977 vengono erogati incrementi eguali per tutti di L. 10.000 mensili, aumentati a L. 25.000 dall'1/2/1977.
La FLO (Federazione Lavoratori Ospedalieri) a maggioranza e con diverse posizioni critica nelle proposte soprariportate: le decorrenze economiche e giuridiche l'uniformità dei trattamenti in contrasto con l'esigenza di perequazione interna la metodologia di contrattazione nel senso che, stabilito il quantum di spesa che il Governo ritiene compatibile con le esigenze generali, la distribuzione all'interno delle categorie e nel tempo doveva essere oggetto di specifica contrattazione tra Regioni e sindacati di categoria.
La Giunta regionale, di fronte alla situazione creatasi in alcuni ospedali del Piemonte a seguito dell'agitazione del personale, che lamenta anche la tendenza a dilazionare la vertenza contrattuale, valutate attentamente le posizioni, ritiene di: intervenire presso il Coordinamento interregionale e il Governo al fine di sensibilizzarlo ad una rapida conclusione della vertenza, almeno per i punti relativi al trattamento economico ribadire le posizioni desumibili dalle linee di intesa Regioni-FIARO relative al privilegio delle qualifiche economicamente più basse promuovere presso il Coordinamento interregionale gli opportuni passi al fine di giungere, mediante una metodica contrattuale nazionale, ad una perequazione economica all'interno dei livelli tener fermo il principio di un contestuale aggiornamento ed adeguamento del Fondo Nazionale Ospedaliero in ordine ai risultati raggiunti sui punti economici dell'accordo nazionale ritenere estensibile agli operatori dipendenti delle Case di Cura Private e degli Ospedali psichiatrici l'accordo che sarà raggiunto con le rappresentanze delle categorie degli Enti ospedalieri.



PRESIDENTE

La discussione e aperta sulle comunicazioni dell'Assessore Enrietti. Ha facoltà di parlare la signorina Vietti



VIETTI Anna Maria

Ringraziamo l'Assessore per la comunicazione riguardante le linee di intervento che la Regione intende assumere in merito; riteniamo che il problema dovrà essere esaminato a fondo. Per quanto riguarda invece l'intervento della Regione nella vertenza degli ospedalieri, concordiamo sull'esigenza di intervenire presso il Governo perché la situazione venga sbloccata e al più presto si giunga alla soluzione della vertenza sindacale e alla firma del contratto per i dipendenti ospedalieri, anche per evitare la situazione di disagio che oggi si verifica negli ospedali cittadini e della regione tutta.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare il Consigliere Bellomo.



BELLOMO Emilio

Sostanzialmente concordo con la linea di politica unitaria della Regione espressa dall'Assessore Enrietti, ma vorrei ribadire quello che ha già detto, anticipandomi, la collega Vietti. Ieri abbiamo avuto un incontro con i rappresentanti degli ospedali locali, non so per quale motivo non tutti i Capigruppo erano presenti, probabilmente vi sono stati dei contrattempi e l'assenza era quindi più che giustificata (nessuno distribuisce colpe, io stesso ho scusato l'assenza dei colleghi Capigruppo). Abbiamo preso contatto con i rappresentanti ospedalieri che ci hanno illustrato efficacemente, oserei dire con molto spirito di responsabilità, con molta coscienza, la situazione nella quale vengono a trovarsi, situazione che ora non illustro perché ritengo che la conosciate addirittura meglio di me. Gli ospedalieri, in chiusura dell'incontro, hanno chiesto un intervento di solidarietà dal Consiglio regionale che, secondo me, abbiamo l'obbligo morale di dare, perché domani, come già detto dall'Assessore Enrietti, si svolgerà a Roma l'ennesimo incontro fra le parti a livello nazionale. Si ritiene che il peso di un parere favorevole della Regione possa facilitare la soluzione di questa fase contrattuale certamente delicata, anche se non è l'unico aspetto nel quadro generale della problematica della sicurezza sociale.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Besate, ne ha facoltà.



BESATE Piero

Vorrei ribadire, pressappoco, quanto hanno già detto precedentemente la collega Vietti ed il collega Bellomo. Ieri abbiamo ricevuto una delegazione, folta e molto agguerrita di argomentazioni, dei lavoratori ospedalieri in rappresentanza della categoria su basi regionali.
Disgraziatamente, la collega Vietti che si era dimostrata la più sollecita perché si era presentata all'incontro per le ore 9, o almeno così mi pare perché poi ho avuto occasione di incontrarla nel primo pomeriggio, per disguidi evidentemente di informazione sugli orari non ha potuto essere presente, e all'incontro partecipava il funzionario del Gruppo della D.C.
Abbiamo avuto uno scambio di opinioni che mi pare sia stato ben recepito o quanto meno, bene espresso; la dichiarazione può apparire lunga perché la discussione è durata più di due ore dalla comunicazione, a nome della Giunta, dell'Assessore. Il nostro Gruppo si dichiara d'accordo con i giudizi e le indicazioni espresse dall'Assessore alla sanità e riconferma la necessità di far pervenire al Governo queste espressioni in appoggio alla vertenza, così come ha detto la collega Vietti, per eliminare, per quanto possibile, i disagi esistenti negli ospedali; domani infatti c'è l'incontro tra organizzazioni sindacali e Governo per tentare di comporre questa delicatissima vertenza; quanto seguirà dopo (anche gli ospedalieri ne sono perfettamente coscienti e l'hanno espresso chiaramente), quanto verrà dopo sarà di competenza regionale, e lo affronteremo tutti insieme unitariamente nelle linee in cui ci arriverà a conclusione di questa delicata vertenza



PRESIDENTE

Signorina Vietti, desidera ancora intervenire?



VIETTI Anna Maria

Desidero fare una breve precisazione. Siamo d'accordo con la Giunta di intervenire presso il Governo per il superamento di questa situazione vorrei precisare che il Capogruppo Bianchi mi aveva delegata a rappresentarlo alla riunione dei Capigruppo, in seguito alla convocazione dei sindacati, ma la convocazione era per le ore 9 presso il palazzo della Giunta in Piazza Castello. Sono andata in Piazza Castello, il Presidente Viglione non era per nulla informato dell'incontro; di lì ho telefonato all'Assessorato alla sanità dove nessuno sapeva nulla. A questo punto ho deciso di tornare alla sede del Consiglio, dove ho incontrato il Presidente Sanlorenzo, il quale ignorava totalmente la questione. La delegazione degli ospedalieri è arrivata in Consiglio regionale alle ore 12, quando ormai erano circa tre ore che stavo cercando la località della riunione. Pertanto siamo dispiaciuti di quanto è avvenuto perché siamo molto sensibili sia ai problemi contrattuali della categoria sia ai problemi dell'assistenza ospedaliera che talvolta è compromessa in maniera anche drammatica da determinate situazioni. Vi ho esposto i motivi per cui non abbiamo potuto essere presenti all'importante incontro.



PRESIDENTE

Confermo subito e del tutto le dichiarazioni della dottoressa Vietti di cui testimonio la diligenza, poiché è venuta nel mio ufficio più volte nelle svariate ore di questo strano incontro che poi è risultato non essere stato convocato da nessuno, per cui gli ospedalieri si sono autoconvocati.
Quindi alle 12 la dottoressa Vietti, dopo aver fatto più volte il percorso tra la Giunta e il Consiglio, fra il Consiglio e la Giunta, non ha potuto essere presente all'incontro.
La parola alla signora Castagnone Vaccarino.



CASTAGNONE Aurelia

Volevo soltanto avanzare un'osservazione che non riguarda esclusivamente questo caso. Capita più volte ai Capigruppo di ricevere delle convocazioni da parte dei sindacati; ora siamo tutti ben lieti di incontrarci con i rappresentanti sindacali, naturalmente in seguito ad accordi sull'ora dell'incontro, ma ricevere delle convocazioni mi sembra non sia corretto dal punto di vista istituzionale. E' ovvio che poi possono succedere le cose che sono successe in questo caso, cioè che siano informati i Gruppi e non il Presidente della Giunta e nemmeno il Presidente del Consiglio; bisognerebbe quindi, con estrema cortesia ed altrettanta fermezza, avvisare i sindacati che il Consiglio regionale non è disponibile a qualsiasi convocazione sindacale.



PRESIDENTE

Ci sono altri interventi? Mi pare sia assai opportuna un'osservazione di questa natura, per regolamentare anche i nostri lavori, nel senso che è diritto delle organizzazioni sindacali invitare a riunioni od a convegni di qualsiasi genere chiunque essi desiderano, ma per quanto riguarda le convocazioni dei Capigruppo che sono espressione del Consiglio, è necessario che la Presidenza del Consiglio ne sia informata, di modo che si possa procedere ad una disciplina dell'ordine dei lavori, poiché i Capigruppo, come tutti i Consiglieri, sono impegnati in svariate attività fra le quali i lavori delle Commissioni, che debbono essere per lo meno coordinate con tali appuntamenti Ci sono altre dichiarazioni? Non ve ne sono, possiamo quindi passare al punto successivo dell'ordine del giorno.


Argomento: Esercizio delle funzioni amministrative trasferite o delegate dallo Stato alle Regioni

Dibattito sulla legge 22 luglio 1975, n. 382


PRESIDENTE

Suggerisco di passare subito al dibattito sulla legge 382/1975, a cui debbo dare la priorità a causa dell'elevato numero di Consiglieri iscritti a parlare e per l'assoluta necessità di concludere la discussione nella giornata di oggi, ben sapendo che vi sono altre questioni che dobbiamo esaminare al più presto, ad esempio la variazione di bilancio. Ragioni di opportunità consigliano di esaurire in giornata dibattito sulla 382: gestiremo poi insieme i lavori del Consiglio in maniera da garantire lo svolgimento di tutti i problemi che vogliamo discutere. Vi sono obiezioni? Non ve ne sono, allora iniziamo il dibattito sulla 382 con questa brevissima introduzione che farò per ricordare le questioni fondamentali che sono state alla base del dibattito di oggi.
All'inizio di questo dibattito, al termine del quale il Consiglio regionale sarà chiamato ad esprimere il proprio parere sullo schema di decreto attuativo della legge 22 luglio 1975 n. 382, della legge cioè che nelle intenzioni delle Regioni doveva operare per il completamento dell'ordinamento regionale e per l'avvio di una riforma effettiva dello Stato, sarà opportuno ricordare le tappe fondamentali che sono state percorse dal giorno dell'approvazione di questa legge.
Comincerò quindi col ricordare che la legge n 382 ha due anni, essendo stata varata il 2.2 luglio 1975, e nacque da un disegno di legge governativo che si prefiggeva sia il completamento delle funzioni alle Regioni, dopo la prima fase, possiamo dire costituente, delle Regioni stesse (caratterizzata dalla redazione e approvazione degli Statuti regionali e dal primo trasferimento di funzioni avvenuto con i decreti del '72 in relazione alle competenze che le Regioni hanno per l'art. 117 della Costituzione) sia il riordino dei Ministeri e dell'amministrazione dello Stato.
Le Regioni intervennero in quella fase, nel corso della discussione in Parlamento, e attraverso un'ampia mobilitazione e pressione unitaria ottennero lo stralcio relativo al completamento del trasferimento delle funzioni con la parte a questo collegata della riforma della pubblica amministrazione. Intendo riferirmi a quella parte della riforma della pubblica amministrazione conseguente e derivante dal trasferimento di parte delle funzioni dello Stato alle Regioni e quindi alla necessità di soppressione di uffici statali le cui funzioni siano state trasferite o delegate alle Regioni o attribuite ad Enti locali.
La legge, entrata in vigore il 4 settembre 1975, dava al Governo sei mesi di tempo per attuare la delega relativa. A seguito delle elezioni anticipate l'attuazione della 382 ha subito un ritardo. Il Governo Andreotti ottenne il rinnovo della delega per altri sei mesi, che scadono appunto il 25 luglio 1977, quest'anno.
Cosa hanno fatto il Governo e le Regioni in questo periodo? Il Governo intendo il Governo che aveva, a suo tempo, già avuto l'iniziativa legislativa della 382, il Governo Moro - designò una Commissione di esperti, che ha lavorato dal settembre del '75 fino, praticamente, al gennaio del 1977: la Commissione Giannini.
Le Regioni hanno innanzitutto dato il loro contributo sia attraverso una serie di iniziative, di studi preparatori e integrativi, di sollecitazioni, di intervento, anche nei confronti della stessa Commissione Giannini. Ma se si vuol fare riferimento alle iniziative più recenti che le Regioni hanno concordato e attuato, si possono ricordare il Convegno di Milano, il Convegno di Senigallia e il Convegno di Catanzaro, dove sono state messe a punto, in un caso, le opinioni delle Regioni sul complesso delle norme di attuazione che si presumeva sarebbero state di li a poco emesse dal Governo, mentre a Senigallia e Catanzaro si sono messe a punto posizioni comuni rispettivamente riguardo alla ripresa di una programmazione economica democratica e alla questione sempre più centrale del Mezzogiorno.
La Commissione Giannini aveva lavorato in modo interessante, almeno questo fu il giudizio di quasi tutte le forze politiche e certamente di tutte le Regioni, giungendo a conclusioni non ancora soddisfacenti rispetto ad un disegno di completa attuazione dello Stato delle autonomie ma che costituivano tuttavia una buona base di partenza. E infatti le Regioni a Milano elaborarono le loro nuove posizioni partendo dai risultati della Commissione Giannini, che, ricordiamolo sempre, era stata istituita da un governo, non era un'iniziativa privata e nemmeno un'iniziativa delle Regioni. A questo punto il Governo, dopo il Convegno di Milano, rende noto lo schema di decreto di attuazione della 382. Quale sia l'opinione che immediatamente le Regioni, e anche la maggioranza delle forze politiche hanno espresso sul contenuto di questo decreto lo si può desumere dagli atti del Convegno di Senigallia e di Catanzaro, lo si può desumere dalla pubblicistica che è apparsa in queste ultime settimane.
Entrambi questi Convegni sono stati infatti anche occasione per puntualizzare, nel momento stesso in cui veniva reso noto il testo governativo, le prime impressioni delle Regioni in materia. A Catanzaro nel documento finale della IV Conferenza delle Regioni meridionali, le Regioni, richiamate le posizioni in materia assunte nel Convegno di Milano richiedevano "nel rispetto degli articoli 117 e 118 della Costituzione il trasferimento delle funzioni necessarie per poter assolvere il ruolo di Enti del Governo per la globalità degli interessi e la collettività regionale e del suo pluralismo" e si impegnavano "ad aprire insieme agli Enti locali ed alle rappresentanze delle forze sociali il confronto necessario per definire le loro posizioni secondo quanto stabilito dalla detta legge a suo tempo approvata dal Parlamento". Rilevavano altresì come con l'attuazione della legge 382 si aprisse "una nuova fase costituente alla quale tutte le forze sono chiamate a dare il loro contributo per perseguire l'obiettivo di attribuire alle Regioni ed agli Enti locali nello spirito originario della Costituzione, non più compiti di mera amministrazione, ma di Governo".
A Senigallia i Presidenti delle Giunte ribadivano la necessità che per la ripresa di un incisivo processo programmatorio in un sistema pluralistico venissero realizzate alcune condizioni prioritarie fra le quali: "la corretta e rapida applicazione della legge n. 382 che dovrebbe completare i poteri delle Regioni" e in merito aggiungevano: "La proposta di decreto delegato presentata dal Governo, oltre ad essere assurdamente restrittiva, non è accettabile quando invece di definire l'area di governo di competenza delle Regioni con la completezza dei suoi elementi costitutivi e cioè poteri, funzioni, strumenti finanziari e di personale, continua a segmentare e vivisezionare i poteri trasferiti in capo alle Regioni rendendo ridotta, accidentata ed impraticabile la funzione stessa di governo trasferita. Nella fase di consultazione sul decreto va decisamente recuperato il disegno unitario ed ispiratore della legge del trasferimento di complessi organici di materie, che dovrà completarsi con la soppressione degli Enti inutili già previsti dalla legge n. 70".
Si tratta di un decreto che appare sostanzialmente in contrasto non solo con ciò che le Regioni si aspettavano, ma antitetico anche ai risultati della Commissione Giannini, che pure era stata costituita dal Governo ed in contrasto ai risultati del Convegno di Milano, dove tutte le Regioni diedero il loro contributo a redigere posizioni precise e articolate su ciascuna delle materie, che dovevano e devono essere trasferite alle Regioni La posizione più recente che le Regioni hanno assunto è contenuta nei documenti che sono già stati consegnati, oltreché alla Commissione parlamentare per le questioni regionali, al Presidente della Camera Ingrao, e al Presidente del Senato, Fanfani, in un incontro che tutti i Presidenti dei Consigli regionali e delle Giunte regionali hanno avuto il 22 marzo u.s.
Non stupisce quindi che partendo da questi apprezzamenti già effettuati dalle Regioni in sede comune, i Presidenti delle Giunte e dei Consigli regionali abbiano dichiarato nel documento consegnato al Parlamento "non accettabili i contenuti del decreto governativo di attuazione della legge sul completamento delle loro funzioni". E questo giudizio riguarda non tanto la quantità, quanto la qualità dei trasferimenti proposti.
Siamo quindi di fronte ad una divaricazione piuttosto profonda fra i contenuti del progetto governativo e quelle che sono le aspirazioni delle Regioni. Questo spiega perché il documento elaborato dalle Regioni si concluda con queste parole: "Le Regioni chiedono infine di incontrarsi coi rappresentanti del Parlamento, del Governo, dei partiti e dei sindacati delle realtà economiche e culturali del Paese, per quell'opportuna azione di informazione e mobilitazione che il problema del nuovo ordinamento statale necessariamente pone". Queste parole stanno a significare in sostanza che ciò che le Regioni vogliono è un'applicazione coerente un'attuazione coerente della 382.
Ricordato questo iter, questo primo giudizio di massima che le Regioni hanno già espresso, ricorderò ancora, brevemente, il calendario che è già fissato di fronte a noi, al Parlamento e al Governo, circa l'iter che avrà adesso questa legge prima della sua definitiva attuazione.
Per quanto concerne la nostra Regione, noi abbiamo tenuto lunedì scorso la consultazione di tutto il sistema delle autonomie locali e delle forze sociali (sindacati, imprenditori, organizzazioni sociali, ecc.) nel corso della quale si sono espresse le varie componenti della comunità regionale che sono profondamente interessate al disegno di attuazione di questa legge. E oggi il Consiglio regionale esprime il suo parere tenendo conto anche della consultazione che ho ricordato e di tutte le prese di posizione nel frattempo assunte nei Comuni e nelle Province del Piemonte, e da parte di altre organizzazioni.
Il 25 aprile scade il termine per tutte le Regioni italiane per consegnare alla Commissione parlamentare per le questioni regionali i pareri, i giudizi che le Regioni, nei Consigli regionali, hanno redatto. La Commissione parlamentare che è chiamata ad esaminare i pareri delle Regioni si è ridotta il tempo a disposizione per compiere questo esame, dai 60 giorni previsti dalla legge a 45, che ha assunto come termine utile e possibile di lavoro.
In questa decisione c'è il tentativo appunto di accelerare un iter che è stato anche troppo lento e di ravvicinare il confronto con il Governo sui contenuti della legge. Dopo i lavori della Commissione parlamentare e tenendo conto di questi il Governo dovrà procedere ad un riesame dello schema di decreto. Dopodiché, sulla base, si spera, di un nuovo testo radicalmente diverso dallo schema di decreto di attuazione della 382 che ora stiamo esaminando, vi sarà il definitivo parere della Commissione parlamentare cui tornerà il giudizio del Governo.
In questa fase la Commissione parlamentare ha 30 giorni di tempo per esprimere il suo nuovo parere. Il tutto deve comunque portare, entro il 25 luglio, all'approvazione del decreto delegato per l'attuazione della 382 da parte del Governo perché per il 25 luglio scade la delega. Questo è il calendario e quindi lo spazio utile che le autonomie locali, le forze sociali hanno a disposizione per intervenire, nel modo che ritengano più opportuno, con i giudizi che ritengono più opportuni, nella fase finale di attuazione di quella che, ritorno a dire, è una tappa importante importantissima, della riforma dello Stato, avendo coscienza che se questa tappa dovesse concludersi negativamente per il sistema delle autonomie è assai probabile, anzi certo, che non si potrà facilmente riprendere questa fase di riforma dello Stato, a breve periodo. Insomma si gioca in questi mesi una partita, che non potrà avere nuovi, rapidi e prossimi appuntamenti.
La discussione è aperta. Ho già ricevuto da parte del Gruppo democristiano i nominativi dei suoi Consiglieri che intendono parlare sull'argomento; altri Consiglieri si sono poi aggiunti; vi è una preferenza nei nomi che sono stati indicati? Avevo ricevuto per primo il nominativo dell'avv. Oberto, che però preferisce parlare dopo. Chi chiede di parlare per primo ? Il Consigliere Martini, ne ha facoltà.



MARTINI Mario

Entrando nel merito della relazione introduttiva del Presidente del Consiglio, dobbiamo tutti fare una considerazione: ci troviamo di fronte ad una scadenza, il 25 aprile, che è ormai prossima, mi pare che cada lunedì e dobbiamo ricavare un giudizio di sintesi di un dibattito che avrebbe dovuto avvenire a livello regionale, ma dobbiamo anche constatare che questo dibattito ha avuto una risonanza meno ampia di quello che ci saremmo potuti aspettare o forse, se vogliamo essere più sinceri con noi stessi meno ampia di quanto le forze politiche avrebbero potuto stimolare. Fatta questa considerazione, per dare spazio alla discussione e anche per soffermarmi su un tema che, nella divisione dei compiti all'interno del mio Gruppo, mi sono proposto, darò lettura di alcune considerazioni.
Non sarà la mia parte politica a risparmiare critiche di fondo alla bozza del decreto governativo sulla 382. Lo abbiamo fatto in tutte le sedi in cui si è aperto il dibattito: a livello di istituzioni per mezzo di nostri qualificati esponenti nella consultazione del 18 aprile con prese di posizione ufficiali del partito della D.C., anche nei confronti del Governo, e ciò non per posizione di comodo, ma perché il decreto è lontano dal recepire quelle istanze autonomistiche e di pluralismo istituzionale che costituiscono, da sempre, l'ossatura programmatica della Democrazia Cristiana.
Altri colleghi del mio Gruppo interverranno nel dibattito per puntualizzare giudizi, evidenziare carenze e avanzare proposte sui vari settori organici nei quali la bozza di decreto sistema le funzioni che si propone di trasferire o delegare alle Regioni e agli Enti locali.
Per quanto mi riguarda, vorrei rifarmi ad un precedente intervento sulle dichiarazioni del Presidente della Giunta, prima dell'assemblea delle Regioni e Milano. In tale occasione richiamavo l'esigenza che le forze politiche, in quanto tali, si appropriassero in prima persona della tematica della 382 e non la delegassero, come di fatto era avvenuto fino ad allora, ai loro rappresentanti nelle istituzioni regionali. E questo per due motivi: 1) perché il trasferimento e la delega di funzioni alle Regioni è solo un aspetto della 382 e, isolatamente assunto, nemmeno il più rilevante 2) perché se non è pensabile la soluzione di un problema istituzionale così profondamente radicato nella lettera e nello spirito della Carta Costituzionale, senza confronti, consultazioni e incontri fra tutte le forze politiche, è però necessario che il dibattito politico sia il più ampio e articolato possibile e non falsato, almeno potenzialmente, da un'ottica regionalistica.
Purtroppo si deve constatare che questo tipo di dibattito politico è mancato e si è invece sviluppato a livello istituzionale, con il risultato che ci troviamo ora di fronte a documenti dell'Anci, dell'Uncem, dell'Upr e dei Presidenti delle Regioni, unitariamente approvati da tutte (o quasi) le componenti politiche, ma che, su alcuni temi di fondo, esprimono giudizi nettamente differenziati l'uno dall'altro. E se il discorso ai vari livelli fosse stato condotto con rigore logico si potrebbe anche accettare questa stratificazione, perché la dialettica fra le istituzioni può servire ad arricchire, articolare e meglio chiarire il discorso di sintesi politica.
Ma purtroppo si deve constatare che fra gli stessi documenti "regionali" a cui le forze politiche fanno riferimento, esistono contraddizioni che, almeno in questa sede, devono essere evidenziate per evitare che diventino strumentali per un discorso di pressappochismo politico che finirebbe per riversare ulteriore discredito su tutti i partiti.
Mi riferisco, in particolare, al tema dell'ordinamento degli Enti infraregionali ed al taglio nettamente differenziato con cui esso viene trattato prima nel documento delle Regioni, coordinato dalla Lombardia ed approvato nel Convegno di Milano, e successivamente nel documento del 22 marzo consegnato dai Presidenti delle Regioni alla Commissione parlamentare per le questioni regionali.
Il documento di Milano porta avanti una dettagliata analisi, in parte convergente e in parte critica; sui giudizi che la relazione Giannini esprime sui Comuni, Province e Comunità montane, e la "sopravenienza delle sperimentazioni dei Comprensori che, pur nella varietà delle configurazioni giuridiche, si riconosce rispondano all'istanza di riferimento di una dimensione ottimale per lo svolgimento delle funzioni sub-regionali". E riconoscendo alle Regioni un modo particolare "perché fin dal momento in cui elaborarono i loro Statuti ... si sono presentate con l'ambizione ...
di rappresentare il punto di riferimento e di sintesi di un rinnovato e potenziato sistema dei poteri locali", le invitava ad avviare un vasto dibattito, che affrontasse anche il nodo delle province e del riordino di un livello di governo locale, intermedio tra le Regioni e i Comuni E' evidente che su questa piattaforma accettata da tutti i Comuni, era poi possibile portare avanti un discorso politico articolato in cui le varie forze politiche potevano confrontarsi sia per chiarire meglio cosa pensavano in merito al superamento dei limiti oggettivi delle piccole comunità locali, dei piccoli Comuni, nella ricerca di forme associative che portassero all'individuazione di un livello territoriale e di popolazione idoneo per la gestione di determinati servizi, e nello stesso tempo per chiarire anche meglio qual è la posizione delle forze politiche nei confronti di un livello amministrativo intermedio tra i Comuni e la Regione che avrebbe permesso, quanto meno, alla D.C., di esplicitare in merito il proprio indirizzo politico che è quello di garantire comunque un livello intermedio democraticamente eletto .
Il documento successivo è molto più sfuggente su questo tema e comunque, non sicuramente sulla linea del documento di Milano. Difatti tende a minimizzare l'importanza dell'attribuzione diretta di funzioni ai Comuni, alle Province e alle Comunità montane, lamenta che non si prevedano contestuali poteri regionali di indirizzo e chiaramente propende verso la soluzione di attribuire alle Regioni anche le funzioni "di interesse esclusivamente locale", sia pure con l'obbligo della delega.
Se questa è l'interpretazione restrittiva che si intende dare al documento unitario delle Regioni, è bene che si ribadisca in questa sede che la Democrazia Cristiana, non è d'accordo neppure con quei Presidenti che hanno sottoscritto il documento, in quanto intende mantenersi fedele al disegno costituzionale e respinge le tendenze, più o meno esplicitate da altri partiti, a rivedere il sistema delle autonomie locali in una dialettica limitata tra Stato e Regioni, all'interno della quale i Comuni le Province-Comprensorio e gli Enti sub-regionali si troverebbero in una posizione decisamente subordinata alle scelte regionali, secondo moduli che richiamano la logora tradizione di subordinazione allo Stato degli Enti territoriali minori (si pensi alla posizione assunta in merito dal PRI e ad alcune recenti prese di posizione di uomini politici e studiosi del PCI).
Riteniamo che non si debba disattendere la legge 382, là dove alla lettera e) dell'art. 1 impegna il Governo ad "attribuire alle Province, ai Comuni e alle Comunità montane, ai sensi dell'art. 118 della Costituzione, le funzioni amministrative di interesse esclusivamente locale nelle materie indicate dall'art. 117 della Costituzione; nonché ad attribuire ai predetti Enti locali altre funzioni di interesse locale, che valgano a rendere possibile l'esercizio organico delle funzioni amministrative loro attribuite, a norma della legislazione vigente, provvedendo a regolare i relativi rapporti finanziari".
Giudichiamo questa una norma di grande rilievo. Essa, infatti, in primo luogo tiene fermo il principio, stabilito dalla Costituzione (alt. 118) secondo il quale è potere-dovere dello Stato sottrarre alle Regioni per attribuire invece a Province e Comuni (e Comunità montane, secondo la legge n. 382) le funzioni di interesse esclusivamente locale, impegnando di conseguenza il Governo a ridefinire i rapporti tra Stato e Regioni salvaguardando tuttavia, e quindi definendo, il ruolo delle Province, dei Comuni e delle stesse Comunità montane. In secondo luogo, e questo merita di essere sottolineato, impegna il Governo a trasferire a Comuni, Province e Comunità montane, in analogia con quanto è previsto per le Regioni, anche altre funzioni, estranee alle materie di competenza regionale, qualora esse si rendano necessarie per rendere possibile l'esercizio organico delle funzioni comunali, provinciali delle Comunità montane. In alti i termini, e per le ragioni suesposte, riteniamo che la 382 non possa configurarsi solo come legge per la realizzazione dello stato regionale, ma deve invece considerarsi come legge per l'attuazione dello stato delle autonomie che il costituente ha prefigurato e che non può, senza un sostanziale svuotamento del disegno costituzionale, essere ridotto ad un sistema che si esaurisce nella dialettica fra Stato e Regioni.
Su queste posizioni si sono attestati gli interventi di esponenti democratico-cristiani nella consultazione di lunedì 18, ma con altrettanta chiarezza essa è stata riproposta dal socialista Salvetti che ha parlato come Presidente dell'Unione Province piemontesi. Le precisazioni di Salvetti, di Gatti, di Santilli e in genere di tutti gli intervenuti hanno anche evidenziato quanto avrebbe potuto essere esplosivo a livello politico culturale e denso di interessi un più esteso dibattito che purtroppo, con responsabilità di tutti, è mancato o non è stato tale da coinvolgere la comunità regionale. Ma c'è ancora la possibilità di rimediare a questo non lieve inconveniente. La relazione introduttiva allo schema di decreto delegato governativo afferma che si tratta di un documento aperto che (cito contestualmente) "si avvarrà degli approfondimenti che verranno dalle Regioni nella fase di loro consultazione e si assesterà nella sintesi finale col conforto del parere della Commissione parlamentare per le questioni regionali".
E allora è necessario che nel documento o nei documenti conclusivi di questa discussione si riservi sì adeguato spazio alle critiche, peraltro in larga parte convergenti, su un trasferimento meccanico e inadeguato di funzioni alle Regioni, frutto di una lettura troppo letterale e rigida dell'art. 117 della Costituzione, ma occorre anche che il taglio del discorso critico sia tale da non ingenerare la sensazione che le Regioni siano soprattutto interessate a forzare lo spazio di loro competenza seguendo la logica errata di chi si propone di riprodurre in miniatura lo Stato a livello regionale. Qui si potrebbe aprire tutto un discorso, che peraltro è emerso appunto a livello di consultazione e di discorso politico culturale, sulle carenze che su questo terreno hanno evidenziato anche le stesse Regioni. Esse continuano a ignorare che, tutto sommato, la loro legge istitutiva parla chiaramente delle leggi-quadro entro le quali le singole Regioni dovrebbero avere un'ampia possibilità legislativa non più contestata e non più contestabile, sennonché, forse perché le leggi-quadro stabiliscono sì una cornice di riferimento certo ai fini di stabilire la capacità legislativa della Regione ma stabiliscono anche dei limiti, c'è stata la tendenza ad ignorarle e a cercare invece di assorbire spazi al di la dello spirito e della lettera della legge istitutiva delle Regioni.
La Commissione parlamentare che dovrà, in prima istanza, tenere conto delle indicazioni emerse dalla consultazione regionale, non deve avere dubbi sull'interesse primario delle Regioni a ricuperare la logica del disegno costituzionale dello Stato delle autonomie. I 60 giorni disponibili e direi che da parte nostra, visto che c'è stata la presa di posizione da parte della Commissione parlamentare di ridurre i tempi da 60 a 45 giorni da noi può partire l'invito a rispettare i tempi dei 60 giorni, ma non a ridurli, perché sono indubbiamente questi due ultimi mesi che possono permettere al decreto del Governo di assumere quella dimensione rivoluzionaria che tutte le forze politiche si attendono. Ecco perché ci auguriamo che i 60 giorni disponibili possano essere utilizzati a ridare vigore e più ampio respiro politico al confronto sulla 382.
E' interesse infatti di tutte le forze politiche che il decreto riscritto dal Governo ed ulteriormente condizionato da un successivo parere della Commissione parlamentare, definisca chiaramente i rapporti fra i vari livelli di Governo, dando quindi pienezza di funzioni alle Regioni in un corretto quadro istituzionale, ma determini anche l'avvio di un rapido processo di attuazione della riforma della pubblica amministrazione, di riassestamento (nel rispetto della struttura democratica) delle autonomie locali sub-regionali, di riordinamento della finanza pubblica. Se, al di là di un giudizio critico troppo condizionato da una lettura strettamente casistica dell'elenco delle funzioni dell'art. 117, sapremo concordare su alcune indicazioni politiche portanti, potremo dire di aver offerto un contributo politicamente valido al consolidamento della struttura pluralistica dello Stato, che è stimolo e strumento di partecipazione individuale e associata e garanzia di consolidamento delle liberta democratiche, anche nei confronti di eventuali tentazioni eversive che possono nascere nel suo contesto sociale.



PRESIDENTE

Alternerei adesso gli interventi, così da ascoltare le espressioni delle varie parti politiche.
La parola al Consigliere Cardinali.



CARDINALI Giulio

Il mio intervento, a nome del Gruppo socialista democratico, non sarà lungo poiché in questo particolare momento dobbiamo esprimerci sul parere che intendiamo dare alla proposta contenuta nel decreto del Governo in attuazione della legge 382. Siamo cioè in una fase di consultazione per così dire ristretta, per cui evidentemente c'è poco spazio per andare ad analizzare sinteticamente i vari elementi delle materie trasferite, gli articolati del decreto, mentre invece c'è spazio per una presa di posizione di carattere politico generale che, a mio modo di vedere, non giudico conclusiva. Non c'è niente infatti in Italia di conclusivo, ma è certamente un momento fondamentale della vita non solo regionale ma nazionale. Credo cioè che l'importanza di questo momento legislativo per le Regioni sia emersa non soltanto dalla relazione breve e necessariamente succinta del Presidente del Consiglio, ma da tutta una polemica che non è di oggi ma che fin dal 1972 è andata perfezionandosi. Non c'è dubbio che in tutto questo periodo abbiamo assistito ad una carenza degli organi di Governo e direi anche ad una discreta responsabilità concomitante del nostro Parlamento alle sue incertezze rispetto alle adempienze pur conclamate e credo che nessuno dubiti che molte delle iniziative prese dai vari governi in merito alla regolamentazione della vita regionale sono stati frutto più della vischiosità burocratica dei grandi Ministeri che della reale incidenza delle forze politiche. Sono mancate, come già sottolineava il collega Martini, le leggi-quadro nel cui ambito avrebbe certamente trovato corretta espressione la legislazione regionale, ad esempio la vicenda che viviamo in questi giorni della legge sulla caccia, che discuteremo la settimana ventura, rientra nella denuncia delle carenze che segnalavo, ma ci evidenzia soprattutto la riluttanza alla rinuncia di competenze da parte degli organi di governo e starei per dire anche dei nostri organi parlamentari, che in parte cerco di coinvolgere.
Questo momento delicato deve vedere le Regioni non tanto impegnate a pesare con il bilancino ciò che spetta loro ai termini della Costituzione quanto a ricercare gli strumenti idonei, indispensabili per attuare una corretta programmazione: solo attraverso questo canale si possono raggiungere i risultati per i quali invano ci battiamo da tempo. Ora non c'è dubbio che questo suona notevolmente a dispregio delle autonomie locali, non c'è dubbio che le Regioni si trovano nei confronti del Governo a dover in un certo senso richiedere pressantemente cose che, a mio modo di vedere, la logica dice dovrebbero essere automaticamente trasferite automaticamente delegate, proprio per l'efficienza del funzionamento della macchina dello Stato e il rilancio delle prospettive di sviluppo regionale.
Da questo punto di vista la disputa sul metodo e sul criterio per mezzo del quale e con il quale le Regioni si battono per realizzare i loro obiettivi è una disputa sufficientemente astratta poiché è evidente che le Regioni sono tendenzialmente portate a straripare dalle competenze loro assegnate dalla Costituzione.
Sono convinto di non sollevare scandalo verso il mio Gruppo affermando che la logica che sta dietro al tentativo delle Regioni di alzare il prezzo della lunga contrattazione non nasce da considerazioni astratte relative alla nostra Costituzione, ma nasce dalla realtà che è davanti agli occhi di tutti i cittadini e che oggi ci porta a considerare con estrema preoccupazione la carenza fondamentale dello Stato dal quale dovremmo dipendere e nel quale dovremmo inserirci per il corretto funzionamento dell'apparato dell'amministrazione. E' chiaro che in questi termini il documento elaborato dalle Regioni certamente può anche essere andato al di là delle obiettive esigenze, può anche contenere qualche elemento, che mi pare sottolineava il collega Martini, di straripamento a sua volta nei confronti delle legittime aspettative delle autonomie locali. Ma credo che in questo non ci sia motivo per una disputa di fondo, in quanto l'esperienza che ci viene dalla nostra vita regionale e dai rapporti con le autonomie locali ci ha dimostrato in termini estremamente chiari quali sono i rapporti e le aspettative reciproche e ritengo che da questo punto di vista il problema evidentemente richieda alcune soluzioni per quei settori quali l'assetto territoriale, che abbiamo individuato e correttamente direi, riconosciuto di competenza della Regione stessa. Non si arrabbi il collega Astengo, non è che ogni volta io ricerchi la lite, si tratta di settori in cui effettivamente, diciamo così, la competenza regionale è totale e può consentire di esercitare o interpretare compiti che le autonomie locali ritengono o pensano di dovere esercitare in proprio, senza subire nessun tipo di indicazione. Voglio dire in sostanza che si tratta anche qui di un'azione regionale nei vari settori, che non può mai prescindere dal fatto che ciò che emaniamo come leggi o esercitiamo come attività amministrativa ha dei riferimenti che devono essere sollecitati che devono essere valutali insieme con gli Enti locali, cosa che evidentemente non farà si che le autonomie locali, che molte volte diciamo di voler difendere a parole, vengano effettivamente difese e anzi valorizzate Inoltre c'è il nodo cruciale della spesa e direi che l'autonomia è proprio legata alla spesa: parliamoci chiaro, non c'è autonomia se non c'è possibilità di spesa ed è in questi termini che appare nella sua maggior importanza e nella sua maggiore gravità la carenza del decreto governativo. Non so se le Regioni si sono entusiasmate perché la Cassa militare "Umberto I" per i veterani della guerra e passata alle Regioni, e cioè un ente trasferito, non è certamente elettrizzante il trasferimento delle materie relative all'istruzione professionale, non tanto perché nel decreto governativo si pongono dei condizionamenti collegati alla riforma dell'istruzione secondaria, quanto perch l'istruzione professionale, come abbiamo riconosciuto in questi anni, è uno degli elementi di fondo, una delle leve fondamentali per impedire che la scuola non sia altro che una fabbrica di disoccupati. Quindi è chiaro che nel decreto governativo non c'è altro che la timidità di chi concede cercando di trattenere più che può, c'è la preoccupazione dei Ministeri di non perdere prerogative, possibilità, influenze e annessi e connessi appare chiara cioè la tradizionale timidità, che abbiamo sempre in Italia nel momento in cui le riforme si annunciano vengono strombazzate ai quattro venti, ma calate nella realtà o risultano minimizzate a causa delle disponibilità economiche o, peggio ancora, vengono praticamente modificate dall'attuazione pratica.
Ho voluto mettere in risalto alcuni di questi concetti per chiarire a me stesso, al mio Gruppo, che il problema di fondo oggi è quello di un reale riempimento di poteri delle Regioni e soprattutto di una reale possibilità per le Regioni di diventare non tanto organi di trasferimento di funzioni statali, quanto organi di elaborazione di leggi finalizzate a dare al nostro Paese un volto moderno, a dare al nostro Paese soprattutto la possibilità di riprendere la strada dello sviluppo, per il momento ancora assai compromessa. Questo ci richiama alle nostre responsabilità poiché spesso noi giustamente avanziamo critiche quando vediamo emergere dal contesto delle proposte di legge la difficoltà di incidere per modificare le incrostazioni burocratiche del nostro Stato. Non credo si tratti oggi di costruire uno Stato socialista o uno Stato di altro tipo, si tratta di fare uno Stato moderno e siamo ancora ben lontani da questo traguardo. Vorrei richiamare la vostra attenzione sul fatto che questo vale anche per noi, vale anche per le impostazioni che diamo alla risoluzione dei problemi della nostra burocrazia. Non possiamo rimproverare ad altri quello che magari poi finisce con il diventare un nostro difetto, ma in questo ambito, ripeto, il discorso per noi resta aperto: non abbiamo commesso in questo settore grossi errori nel senso quantitativo, ma abbiamo la necessità di verificare bene ciò che qualitativamente deve essere realizzato. Mettiamoci con le carte in regola per poter pretendere che gli altri a loro volta le abbiano.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare la signora Castagnone Vaccarino.



CASTAGNONE Aurelia

Non possiamo evidentemente nascondere che la legge 382 aveva suscitato grandi speranze e che dava forse l'illusione che il discorso del trasferimento delle funzioni dallo Stato alle Regioni fosse o potesse essere impostato in modo organico, senza quelle riserve e quelle chiusure che avevano caratterizzato i decreti delegati del '72. Non possiamo in questo momento sviscerare a fondo il problema della 382, dato che oggi siamo chiamati a svolgere le nostre considerazioni sui decreti di attuazione, quindi cercherò di non annoiare troppo i colleghi riservandomi appunto di portare avanti questo argomento. Le attese erano legittime e legittime erano le nostre aspettative, purtroppo la lettura dello schema di decreto predisposto dal Governo lascia del tutto scoraggiati sotto questo aspetto, al punto che dobbiamo concordare con chi ha affermato che di positivo questo decreto ha soltanto il fatto di aver dato l'avvio all'iter per l'emanazione delle norme delegate, e non riteniamo possibile che lo stesso decreto possa essere oggetto di miglioramenti o di aggiustamenti in sede di Commissione per le questioni regionali piuttosto lo si dovrebbe rifare totalmente. Lo schema predisposto dal Governo sembra infatti costituire l'espressione trionfalistica di una deteriore mentalità burocratica e centralistica a tal punto chiusa al discorso del rinnovamento delle strutture dello Stato e dimentica del significato politico e giuridico della delega concessa dal Parlamento al Governo con la legge 382 nonché dimentica dei risultati della Commissione Giannini e dell'elaborazione degli apporti forniti in varie occasioni dalle Regioni.
Si tratta pertanto di utilizzare appieno tutti i margini di azione e le possibilità che il meccanismo previsto dall'art. 8 della legge per l'emanazione delle norme delegate consente e di porre mano, in sede di Commissione parlamentare per le questioni regionali, con la partecipazione di tutte le forze politiche che si riconoscono nello Stato basato sulle autonomie e con il pieno e fattivo concorso delle Regioni e degli Enti locali, ad un nuovo testo di schema di norme delegate che, superando le manchevolezze di vizi logici, politici e costituzionali dello schema predisposto dal Governo, dia concreta attuazione alla delega contenuta nella legge 382 prendendo le mosse dalle risultanze della Commissione Giannini e dai documenti predisposti dagli Enti locali e dalle Regioni che sono già stati per altro ampiamente già ricordati.
Come Partito repubblicano vogliamo soprattutto sottolineare alcuni punti su cui occorrerà battersi più risolutamente: 1) recupero pieno dell'irrinunciabile principio per cui l'identificazione delle materie dovrà essere realizzata per settori organici, com'era già specificato nell'ad. 1 della legge 382, superando pertanto la logica dello schema governativo basato invece sul ricorso a criteri meramente formali nell'individuazione della sfera delle competenze regionali, direi quasi che si ripete la vecchia divisione in Ministeri mancando qualsiasi sforzo volto a dare un'interpretazione organica dell'elenco contenuto all'ad. 117 della Costituzione 2) valorizzazione dell'istituzione della delega prevista dall'ad. 118 della Costituzione, superando finalmente gli equivoci in materia attraverso il chiarimento delle differenze esistenti fra il trasferimento di funzioni proprie delle Regioni e il conferimento di deleghe per funzioni che restano statali. Tale ricorso alla delega deve avvenire in stretta connessione con quanto abbiamo esposto al primo punto e pertanto non può essere casuale come appare nel testo governativo, ma deve essere riferito invece ad una visione organica delle singole materie prese in considerazione e finalizzato alla realizzazione di quei risultati di efficienza, economicità e democraticità dell'azione amministrativa che, tra gli scopi della legge 382, devono considerarsi senz'altro da privilegiarsi in un momento di grave crisi economica e politica come quella che attraversa il Paese 3) riaffermazione della necessaria globalità dell'attuazione della delega e quindi dei trasferimenti al fine di porre termine alla fase transitoria dell'attuazione dell'ordinamento regionale di cui ormai è necessario realizzare l'assetto definitivo. In questa ottica occorre procedere a trasferimenti anche in quelle materie, come quelle dell'assistenza sanitaria e ospedaliera, per le quali nello schema governativo si è ritenuto di soprassedere in attesa dell'approvazione da parte del Parlamento della relativa nuova disciplina sostanziale 4) riaffermazione della necessità che la normativa delegata attui direttamente, senza ulteriori rinvii ad altre norme, un pieno e completo trasferimento delle funzioni, delle strutture e dei beni degli Enti pubblici nazionali ed interregionali operanti nelle materie di competenza regionale secondo l'ad 117 della Costituzione e comunque riconducibili a tali competenze a seguito di un compiuto ricorso alle deleghe (art. 118 della Costituzione), al fine di realizzare un organico sistema di attribuzioni regionali 5) revisione della parte relativa all'attuazione delle deleghe prevista all'art. 1, lettera e), della legge 382. Il discorso sull'attuazione di tale parte della delega va inquadrato nel contesto più generale del ripensamento dell'intero sistema delle autonomie locali ed ecco che qui rientriamo nel discorso già sviluppato dalla Democrazia Cristiana delle individuazioni dei vari livelli di governo locale nonché della sfera di attribuzioni da affidare ai singoli livelli. In proposito esistono nostre precise proposte volte alla soppressione delle Province, alla valorizzazione del Comprensorio quale Ente locale non territoriale ad elezione di secondo grado, con compiti di programmazione economica degli interventi pubblici sul territorio e di promozione ed indirizzo dei servizi pubblici comprensoriali esercitati mediante apposite aziende. Pertanto si deve procedere ad una generale revisione delle funzioni da attribuire agli Enti locali, e in particolare ai Comuni, in modo da rendere effettivamente possibile l'esercizio da parte di questi ultimi di un complesso organico di funzioni amministrative. A tal fine, tenendo conto dell'esistenza di una vasta convergenza di forze politiche sull'opportunità della soppressione delle Province, appare inopportuno il tentativo operato con lo schema di decreto di tentarne un rilancio con l'attribuzione di un disorganico complesso di nuove competenze. Pertanto, operando una chiara scelta politica consentita dalla legge di delega e rispondente alle reali esigenze del sistema delle autonomie incardinato sui Comuni e sulle Regioni, va affermata l'esigenza di attribuire le funzioni di interesse locale, da individuare con la maggiore estensione possibile, ad esempio in materia di tutela dell'ambiente ai soli Comuni, regolandosi con le Province analogamente con quanto fa lo schema governativo con le Comunità montane completamente ignorate, anche se formalmente vengono nominate ed equiparate ai Comuni nella previsione della lettera e) dell'art. 1 quali eventuali destinatari di funzioni locali 6) revisione accurata della parte relativa alle questioni del personale, il cui trasferimento deve avvenire rispettando anche le esigenze di autonomia organizzativa delle singole Regioni, nonché quelle dell'efficienza dell'azione amministrativa. Questo perché non vorremmo vederci piombare addosso una quantità di personale che difficilmente sarebbe poi assimilabile dalle strutture regionali. Soprattutto dobbiamo tener conto dei beni e delle risorse finanziarie da trasferire nei tempi e nei luoghi, ma anche nei tempi dovuti, perché evidentemente se lo Stato continua a trasferirci in tempi differiti risorse finanziarie, diventa estremamente difficile per le Regioni governare e diventa difficile godere quella autonomia di cui giustamente altri hanno già parlato. Naturalmente sarà necessario l'adeguamento di tutte quelle parti del bilancio statale che si, riferiscono alle funzioni trasferite alle Regioni e ai Comuni.
Ritengo di aver dato alcune indicazioni in materia: a questo punto del dibattito si può andare molto oltre, ma ogni forza politica deve precisare quelli che sono i nodi che, a suo avviso, possono essere risolti dalla nuova legge. Questo è il nostro apporto, sperando che possa essere recepito nel documento che il Consiglio regionale presenterà al Governo.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Rossi. Prego per la terza volta i funzionari di non disturbare avvicinandosi agli Assessori certamente per cose utili che possono però essere svolte a mezzogiorno: questo per consentire che il dibattito si svolga con le intese prese nella riunione dei Capigruppo.



ROSSI Luciano

Signor Presidente, colleghi del Consiglio, tutti o quasi tutti noi, che siamo stati eletti e chiamati ad operare in questa assemblea, proveniamo da una concreta esperienza di lavoro nelle assemblee elettive di base dello Stato: Comuni e Province. Molti dei colleghi, oltre ad essere Consiglieri regionali, sono contemporaneamente Consiglieri comunali e provinciali.
Da questa esperienza, e qui mi riallaccio all'intervento del collega Martini, intervento che ho assai apprezzato per l'importanza delle sue argomentazioni, e che dovrà essere ulteriormente approfondito, dicevo, da questa esperienza, seppure appartenenti a forze politiche diverse, abbiamo acquisito una sempre maggiore consapevolezza, che il nuovo Stato, sorto dalla Resistenza antifascista, si caratterizza per due aspetti innovatori: intervento pubblico per dirigere e coordinare lo sviluppo economico e vasto sistema di autonomie e di istituzioni democratiche per rendere effettiva la partecipazione delle popolazioni alla vita del Paese. In tale contesto, le istituzioni autonomistiche acquistano valore non solo come più efficiente sistema di amministrazione, ma anche e soprattutto come pilastri essenziali dell'ordinamento statale per il rinnovamento democratico della società nazionale.
Parte rilevante ancora dei colleghi presenti in questa assemblea hanno vissuto e operato nell'interessante momento della fase costituente delle Regioni, dando vita allo Statuto e ai regolamenti di questo Consiglio.
Avete dibattuto e vissuto le vicende dei decreti del trasferimento alle Regioni stabiliti dalla legge 281 del 1970.
Andando a rivedere i documenti riportanti i dibattiti di allora, un punto essenziale che unì nel giudizio tutte le forze democratiche, fu quello di considerare che il trasferimento delle funzioni alle Regioni veniva fatto con una prospettiva estremamente limitatrice delle attribuzioni, escludendo pienezza di competenza in capo alle Regioni ed operando un'artificiosa frammentazione in materie oggettivamente unitarie.
Mi pare di cogliere da quel dibattito che la reazione da parte delle Regioni, quindi anche dalla nostra, nei confronti dei suddetti decreti e degli schemi di riordino fu forte, ma a dire il vero non ebbe in quel momento risultati apprezzabili. Il potere centrale non eluse allora solo lo spirito degli artt. 117 e 118 della Costituzione, ma non accolse la grande spinta della gente che nel 1968-'69 e '70 chiedeva di partecipare proprio e anche attraverso la nascita delle Regioni, per costruire un miglior modo da governare lo Stato, l'insieme delle sue istituzioni, attraverso una reale programmazione democratica dell'economia e del suo sviluppo in senso sociale.
Tuttavia, alle lacune di chi non fu capace o non volle cogliere che l'avvento delle Regioni significava andare a quella indispensabile riforma democratica dello Stato, si contrapposero le forze autonomistiche che hanno operato per superare la situazione, contribuendo col dibattito politico e culturale, ed in primo luogo con una dottrina giuridica, che dall'istituzione delle Regioni ha tratto materia e motivo per un ricco fiorire di studi, che hanno diffuso la consapevolezza della necessità, in base alla Costituzione, di operare il completamento del trasferimento e della delega di funzioni alle Regioni.
Dal dibattito politico e culturale le Regioni sono passate ad un'azione sempre più incisiva, concreta e seria dei problemi che hanno imposto il confronto sul piano politico. Interlocutori più attenti e sensibili sono stati la Commissione interparlamentare per le questioni regionali ed il Ministero delle Regioni. Gli atti che al riguardo abbiamo letto indicano che il confronto ha fatto un significativo salto di qualità: il completamento del trasferimento si è imposto non solo per considerazioni di ordine costituzionale, ma soprattutto per esigenze di funzionalità nell'articolazione dei pubblici poteri.
Egregi colleghi, scusate se mi è parso giusto riandare alla storia degli anni 1970-'75 dei costituenti della legislazione regionale, ma ho voluto farlo perché l'atteggiamento politico costruito in quegli anni dalle Regioni ha permesso loro di crescere in termini di fiducia e di riconoscimento della capacità di governo ed ha consentito che si arrivasse all'elaborazione ed all'approvazione da parte del Parlamento della legge 382 del luglio 1975, che detta le norme sull'ordinamento regionale e dell'organizzazione della pubblica amministrazione.
Questa crescita di capacità politica e culturale trova la sua affermazione nelle dichiarazioni fatte dal Ministro Mollino il 13 gennaio 1976 alla conferenza svoltasi in sede di Parlamento su "la nuova legge per l'ordinamento regionale". Così infatti si esprimeva il Ministro Morlino: "Un particolare ringraziamento desidero rivolgere a tutti i partecipanti alla Conferenza, che hanno risposto con un entusiasmo inatteso all'appello dei promotori; e ai due relatori, professori Giannini e Benvenuti, ai quali va riconosciuto il merito di aver dedicato la loro attività di studiosi ad un tema che, nell'odierna realtà istituzionale, pu ben definirsi di importanza fondamentale.
Nel momento in cui il Governo si accinge in ossequio alla legge n. 382 del 1975, ad emanare le norme delegate per il completamento del trasferimento delle funzioni amministrative alle Regioni, è necessario il massimo apporto costruttivo anche delle Amministrazioni regionali interessate; ed è appunto su questo terreno che il Governo intende muoversi, rifiutando soluzioni unilaterali che non tengano conto della realtà in cui le norme stesse si troveranno ad operare".
Oltre questa significativa affermazione, desidero ricordare ancora a tutti noi quanto il Presidente del Consiglio on. Andreotti disse in occasione della presentazione alle Camere del programma di Governo il 4 agosto 1976. II Capo del Governo, dopo aver parlato sulla questione dell'efficienza dell'amministrazione pubblica, diceva "sotto il primo profilo si tratta da un lato di completare il decentramento regionale delle funzioni degli apparati dello Stato, come è previsto dalla legge 382 anche al fine di semplificare la struttura centrale dell'amministrazione, e dall'altro di accrescere l'operatività dell'esecutivo ed il ruolo riassuntivo del Parlamento. La fase preparatoria terminata con la relazione del gruppo di lavoro presieduto dal prof. Massimo Severo Giannini e ora all'esame delle Regioni e delle Amministrazioni centrali". Più avanti egli diceva: "insieme con il problema della riforma delle amministrazioni centrali, le due tappe più immediate sono l'esercizio della delega prevista dalla ricordata legge 382 e la complessa ed articolata trattativa con i sindacati per la risoluzione delle vertenze in corso. L'attuazione della legge delega consentirà infatti non solo di ridisegnare l'ordinamento regionale e quello degli Enti locali ma opererà in modo chiaro quello scorporo funzioni delle amministrazioni centrali e della costellazione degli Enti pubblici che porrà come necessario ed inevitabile il riordino delle organizzazioni centrali e ne darà i criteri adeguati. Si tratta di creare un'amministrazione capace di far fronte in modo diverso ai compiti che le sono stati propri, che qualitativamente non diminuiscono, e di saper tenere rapporti costruttivi con gli altri soggetti autonomi".
Egregi colleghi, quanto sinora abbiamo esposto mi pare fosse necessario per ricordare come la legge 382 del luglio 1975 indicava chiaramente i criteri cui devono ispirarsi i decreti di trasferimento delle funzioni statali.
I lavori della Commissione Giannini, costituita dal Governo, hanno operato in tal senso, e chi opera può anche avere dei limiti, tuttavia dando un contributo non indifferente, dimostrando l'impegno schiettamente politico di qualificati uomini di cultura che, senza nulla concedere ad astratte elaborazioni, hanno saputo evidenziare con i piedi per terra, il tema mai sufficientemente trattato in modo organico nel Paese del riordino complessivo dei pubblici poteri, come una condizione concretamente perseguibile per contribuire a far uscire l'Italia dalla crisi. Ecco allora perché il decreto proposto dal Governo in attuazione della 382 sul completamento dell'ordinamento regionale ha suscitato tanta apprensione e non si qualifica nello spirito di quanto espresso dalle Regioni, dal sistema delle autonomie nel suo complesso in tutti questi anni, dalle stesse dichiarazioni del Ministro Morlino e del Presidente del Consiglio prima ricordato, ossia che la legge 382 deve costituire la riforma dell'amministrazione dello Stato accentratore e l'avvio della costruzione dello Stato secondo i principi "costituzionali", vale a dire lo Stato che si basa sul sistema delle autonomie. I documenti del Convegno di Milano delle Regioni, dei Presidenti delle Giunte e dei Consigli regionali consegnati alle massime autorità del Parlamento, le risoluzioni, che ricordava Martini, dell'Upi, dell'Uncem, ci hanno illustrato ampiamente perché il decreto del Governo debba essere rifatto nello spirito della stessa legge 382 del luglio del 1975. Articoli e commenti pubblicati da giornali di tutte le tendenze politiche indicano questa necessità come indispensabile, perché, non solo non si accentui la conflittualità fra Stato, Regioni ed autonomie locali, che creerebbe ulteriore sfiducia nei cittadini verso lo Stato stesso. Occorre, quindi, che se non si vuole ripetere gli errori dei decreti di trasferimento della 281 e creare ulteriori complicazioni politiche, il Governo affidi precisi poteri e responsabilità alle Regioni ed alle istituzioni di base dello Stato secondo gli artt. 117 e 118 della Costituzione, tenendo anche in considerazione che i tempi sono mutati e che tutto il sistema delle autonomie è cresciuto.
Egregi colleghi, si è aperto dunque un grande confronto, e lo spirito con cui il mio partito partecipa a questo dibattito attorno ai problemi posti dalla 382, è quello della consapevolezza che non è in gioco la definizione di un provvedimento qualsiasi, ma la riforma stessa dell'ordinamento dello Stato. Questa affermazione non la facciamo per ripetere quanto già espresso nei documenti delle Regioni, ma per ricordare in particolare che la proposta di decreto del Governo, a proposito dell'attribuzione di nuove funzioni ai Comuni, agli Enti locali in genere e alle Comunità montane, è privo di ogni ispirazione autonomistica e riformatrice, di ogni respiro innovatore. Se noi osserviamo attentamente gli articoli in cui questa legge di Governo parla degli Enti locali vediamo che in sostanza si tratta di norme deludenti. Certo con la legge 382 i Comuni non si aspettavano che il Governo nell'esplicare la sua delega procedesse ad un riordinamento dell'amministrazione comunale e del sistema delle autonomie. Tuttavia era ed è possibile, attraverso una coerente interpretazione della Costituzione, andare, con la stessa assegnazione delle nuove funzioni previste dalla 382, nella direzione di quel processo di ricomposizione del potere locale, per il quale le stesse Regioni sono chiamate ad operare.
Questo ci fa perciò riconfermare che la 382 non deve fare della Regione un nuovo braccio dello Stato accentratore contro il sistema dei poteri locali, questo pericolo c'è, è vivo e mi pare di interpretare anche in questo senso l'intervento del collega Martini. La condizione d'essere delle Regioni sta nel fatto che le autonomie di base dello Stato hanno un preciso ruolo nazionale, perché sono istanze di rappresentanza generale, con funzioni non solo in relazione al territorio e ai servizi, ma anche nel campo dello sviluppo economico e con un ruolo primario di programmazione le cui sintesi dovranno definirsi e verificarsi in un continuo processo di dialettica democratica tra Stato e Regioni e Regioni e autonomie di base.
La scelta del Comune (ovviamente potenziato e rinnovato, nelle funzioni nei mezzi, nelle strutture e nei rapporti con gli altri Comuni ed Enti) è per noi l'istanza fondamentale dell'ordinamento delle autonomie, proprio perché Ente di rappresentanza generale, sede naturale delle funzioni amministrative, sia per conto della Regione sia dello Stato, centro naturale di organizzazione della vita civile, sociale, economica e politica delle popolazioni.
La stessa costituzione dei Comprensori esalta questa funzione nel momento in cui essi vanno ad elaborare i piani di sviluppo che la legge affida loro, per adeguarli sempre più ai compiti di programmazione e di sviluppo sociale. Abbiamo ricordato questi aspetti nella nostra assemblea regionale, perché è indispensabile operare unitariamente con lo stesso spirito costruttivo che ha caratterizzato l'azione delle Regioni nel periodo della legge 281 sino alla conquista della 382; questa volontà deve permetterci ora, attraverso i documenti espressi dalle Regioni, da questa nostra stessa consultazione, di conquistare una nuova formulazione del decreto legge governativo che sia effettivamente decentratore in senso autonomistico, quindi di rinnovamento dello Stato. E' altresì importante operare per un nuovo decreto, perché quanto sarà trasferito ai Comuni esalti la funzione dei poteri locali e definisca in termini efficaci i loro rapporti con le Regioni.
Questo è quanto noi chiediamo alla Commissione parlamentare ed al Governo, perché queste consultazioni delle Regioni siano interpretate nel loro giusto spirito ed abbiano perciò una loro validità democratica.
La nostra Regione, per quanto le compete, dovrà impegnarsi ad operare perché l'elaborazione di un nuovo articolato della delega legislativa di cui all'art. 1 della 382, che tenga conto anche dell'aspetto sopra ricordato affinché già nella 382 siano indicati quei trasferimenti di indirizzo politico-nazionali, che devono tendere alla costruzione effettiva dello Stato basato sul sistema delle autonomie.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Curci, ne ha facoltà.



CURCI Domenico

Signor Presidente, signori Consiglieri, anzitutto vorrei rilevare come con questa discussione, che in questi giorni si va svolgendo in tutti i Consigli regionali, si dà inizio a quello che può essere definito il secondo momento costituente dell'ordinamento regionale. Infatti spetta alle Regioni, oggi ancor più che nel passato, di porsi in posizione di collaborazione concreta e fattiva con il Governo centrale e con il Parlamento. Il coinvolgimento più ampio di Comuni, Province, Comunità montane e di tutti gli organismi interessati al discorso del riassetto burocratico amministrativo dello Stato, rappresenta il punto di partenza per una visione ampia e completa di tutta la complessa problematica connessa con l'attuazione delle deleghe. Le Regioni non devono sottrarsi a tale preciso dovere, ma devono adottare tutte le iniziative necessarie per acquisire cognizioni, informazioni ed implicazioni utili al definitivo confronto con il Parlamento ed il Governo. Una prima osservazione che ritengo doveroso fare nel merito dello schema dei decreti di attuazione della legge 382 e che c'è discordanza rispetto ai trasferimenti effettuati nel 1972. Perciò possiamo rinfacciare ai regionalisti ad oltranza il fatto che è prevalsa un'interpretazione restrittiva del dettato costituzionale un'interpretazione che era e rimane ancorata ad una visione centralistica dello Stato e ciò è addebitabile non solo al Governo, ma a tutte le forze politiche che lo sorreggono e quindi anche e soprattutto ai comunisti.
Questa interpretazione conferma che non si vuole fare assumere alle Regioni il ruolo costituzionalmente corretto di organi di Governo, di programmazione e di legislazione. Viene in particolare negato il ruolo che le Regioni devono essere in grado di svolgere quali protagoniste in rapporto ed in collegamento stretto con gli organi centrali dello Stato per far uscire il Paese dalla crisi. Le Regioni sono invece oggi, loro malgrado, esse stesse un fattore della crisi, basta citare esempi recenti: c'è stato anni fa a Napoli il fenomeno del colera, c'è stato Seveso e c'è il Friuli. In queste situazioni le Regioni sono state messe effettivamente in ginocchio a causa della scarsa funzionalità delle strutture dell'ordinamento regionale. Oggi le Regioni non sono in grado di funzionare adeguatamente perché le attribuzioni che hanno ricevuto sono frammentarie e l'insufficienza dell'ordinamento regionale trova le sue radici nel disordine legislativo in cui ancora ci troviamo; ad accrescere tale disordine vi è poi il gravissimo problema della pluralità dei poteri locali, mentre la Costituzione prevede quattro livelli di autorità, cioè Stato, Regioni, Province e Comuni, si e dato vita ad una serie di altri livelli, quali i Comprensori, le Comunità montane, le unità scolastiche, i Consigli di quartiere, ecc.
Come si risolve questo problema? Oggi avvertiamo qui dentro e nel dibattito che si svolge all'esterno questo ed altri interrogativi su quello che è la Regione, cioè la riprova più esatta della ragionevolezza dei dubbi che furono avanzati quando si vollero costituire in tutta fretta le Regioni senza collegare la realizzazione del nuovo istituto ad una realtà che era ancora assai diversa. Non so se è giustificato che i partiti che hanno voluto che le Regioni nascessero così male, si scambino oggi delle accuse perché le Regioni non funzionano. Tutte le difficoltà, tutti i nodi dovevano essere risolti prima di far calare nella nostra realtà statuale le Regioni affinché lo Stato delle Regioni fosse effettivamente tale e perch non si assistesse, come abbiamo assistito fino ad oggi, ad una lotta fra Regioni e Stato quasi fossero due entità diverse in una stessa realtà quasi dovesse esservi necessariamente antagonismo al posto di quello che invece avrebbe dovuto essere un discorso comune non contro lo Stato unitario, ma perché l'unita dello Stato avvenisse e fosse garantita anche dal funzionamento delle Regioni.
Questa è la visuale dalla quale noi democratici nazionali portiamo oggi il nostro contributo perché l'Ente Regione possa dare tutti i risultati di cui è capace ed è questo lo spirito con cui ci impegniamo oggi, ben conoscendo però da quali precedenti errori vengono le disfunzioni che oggi lamentiamo. Siamo pertanto disponibili a pensare di migliorare questo istituto che ormai è e rimane una realtà della nostra Italia. Ovviamente il quadro ha un suo risvolto nella capacità, in parte già dimostrata e in parte ancora da dimostrare, da parte delle Regioni di far fronte ai compiti già conferiti ed ai nuovi compiti che saranno loro dati e qui dobbiamo essere severi con noi stessi: c'è stata negli ultimi mesi una caduta di impegno, di fantasia, c'è stata una certa presunzione, una certa retorica una tendenza recessiva verso sperimentazioni organizzative qualche volta più avventate che avanzate. E' stato giustamente scritto qualche mese fa dalla stampa che sulla pista di decollo nessun aereo può correre all'infinito, o si alza in volo o si fracassa, ma non si può nemmeno continuare a dare la colpa ad altri e considerarsi vittime delle circostanze. I rapporti Stato-Regioni corrono in due sensi ed è con tale spirito che dobbiamo andare agli appuntamenti che ci attendono per conseguire l'obiettivo di fondo che è nella relazione Giannini ed è espresso nella frase "gestione sistematica e programmata delle attribuzioni spettanti alle Regioni per il territorio e per il corpo sociale". Senza queste condizioni, che giudichiamo fondamentali, il trasferimento alle Regioni delle funzioni relative a quei problemi non risolti dallo Stato rischia di far mancare il definitivo decollo all'istituzione regionale. Mi riferisco in particolare al mancato funzionamento dell'istituto della delega, alla mancanza di un quadro di riforma degli Enti locali rappresentativi, fermi alla legge comunale provinciale del 1934 all'insufficiente autonomia finanziaria. L'entità dei trasferimenti in termini finanziari dal bilancio dello Stato a quelli regionali e comunali è di appena 98 miliardi, mentre la Commissione Giannini aveva ipotizzato un trasferimento di 1,500 miliardi; in sostanza il Governo ed i partiti che lo sostengono con la non sfiducia, ed in primo luogo il Partito comunista, non hanno tenuto conto dell'elaborazione della Commissione Giannini ed hanno eluso altresì ogni contributo culturale e politico che il sistema delle autonomie ha espresso in questi ultimi anni. Sono tutti elementi negativi che pesano sulla struttura regionale e suggeriscono cautela nel momento in cui le Regioni sono chiamate ad un nuovo impegno ed a svolgere nuove funzioni. Il timore ampiamente giustificato è che il risultato ultimo non si trasformi in un sostanziale affossamento delle Regioni sovraccaricate di compiti non adempiuti e di debiti: il trasferimento dell'assistenza ospedaliera ne è un esempio. La compiuta definizione dei poteri e delle competenze della Regione accentuerà inoltre i problemi e le esigenze di riorganizzazione funzionale della struttura amministrativa della nostra Regione. Riteniamo quindi che si debbano predisporre nel frattempo le normative regionali in ordine all'organizzazione degli uffici alle procedure per la formazione degli atti amministrativi, tutte conseguenze che devono essere previste proprio in funzione ed in presenza delle nuove attribuzioni che proverranno alla nostra Regione attraverso l'applicazione della 382.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Carazzoni. Ne ha facoltà.



CARAZZONI Nino

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, a nessuno può sfuggire - e certo non vengono sottovalutate dalla nostra parte politica - l'importanza e la delicatezza, quasi diremmo la drammaticità, della vastissima problematica comportata dalla legge 22 luglio 1975, n. 382, e dallo schema di decreto del Presidente della Repubblica, che ne concerne l'attuazione.
Il lungo, approfondito ed anche tortuoso dibattito cui hanno dato vita insieme ai partiti, le categorie morali sociali e produttive, i costituzionalisti, gli studiosi e gli esperti di diritto amministrativo, ha portato alla definizione, in termini politici, di due posizioni divergenti ed anzi allo stato dei fatti radicalmente contrapposte: quella per così dire "governativa", che appunto si riconosce nelle proposte approvate il 18/2/1977 dal Consiglio dei Ministri; e quella "antigovernativa" che tuttavia - per il fatto di ricomprendervi, non sappiamo con quale e quanta coerenza anche le rappresentanze regionali della DC, partito di governo sembra più esatto definire come "regionalista", manifestatasi, questa seconda, nei convegni di Bologna del 3/4 maggio 1976; di Milano del 28/29 gennaio 1977; di Senigallia del 4 marzo 1977; e riassunta infine nel documento sottoscritto da tutti i Presidenti dei Consigli e delle Giunte regionali, presentato il 22 marzo 1977 alla Commissione interparlamentare per le questioni regionali.
A fronte delle due "tendenze" qui ricordate - tendenze divergenti e contrapposte - proponiamo di farne emergere una terza: quella che rappresenta la posizione autonoma ed insieme alternativa del MSI-DN; e che si differenzia - lo precisiamo subito, anticipando le conclusioni cui perverremo - tanto da quella burocratica e prettamente conservatrice del Governo, quanto da quella massimalista ed eccessivamente pretenziosa delle Regioni. Una posizione, la nostra, che non ci attendiamo di veder condivisa da altre forze politiche, ma che, tuttavia, comunque la si voglia giudicare, è testimonianza per la quale pretendiamo rispetto, se non considerazione, perché riflette l'impegno, anche sotto il profilo culturale, del MSI-DN d'essere presente con proprie originali e caratterizzanti impostazioni nelle realtà del momento; questa è la risposta che in termini di concretezza, in termini di realismo politico, in termini anche di vivacità intellettuale, noi opponiamo alle ribalde e mascalzonesche provocazioni dei predicatori e degli esegeti di formule aberranti quale quella dell'"arco costituzionale"; di coloro, cioè, che pretenderebbero negare - in un quadro politico di pluralismo democratico la validità, che poi diventa necessità, di una nostra presenza: quella presenza di una Destra che - al pari del Centro, al pari della Sinistra interpreta ed esprime e rappresenta le speranze ideali, i principi morali gli interessi concreti d'una parte almeno, non importa la valutazione quantitativa, dell'opinione pubblica.
Detto questo, e prima di passare ad un giudizio di merito sulla 382 intendiamo proseguire questo intervento con due osservazioni preliminari.
Rileviamo anzitutto che, anche questa volta come già avvenuto in precedenti circostanze, si è verificato, o si sta verificando, uno scontro frontale (ufficialmente ed eufemisticamente definito "confronto") tra lo Stato da una parte e le Regioni dall'altra. Il che, quantomeno dal nostro punto di vista, ripropone un gravissimo problema politico: quello del "consorzio" posto in atto dalle Regioni e configurabile come un potere di fatto, opposto a quello sovrano e generale dello Stato. Ora l'articolazione statuale su base regionale è realtà che nessuno contesta e che noi stessi noi che pur rivendichiamo orgogliosamente d'essere stati contrari allo "spezzettamento" della nazione, voluto dalle forze regionaliste - adesso accettiamo.
Ma contestabile e per noi inaccettabile - anche alla luce della grave crisi in atto nelle istituzioni - è questo "braccio di ferro" cui le Regioni si sono abituate, anzi attrezzate, e che altro non rappresenta se non la sovrapposizione a poteri legittimi e costituzionali. Rileviamo poi ed è la seconda osservazione che direttamente discende da quanto or ora detto, che proprio questa azione consorziata e verticistica degli esecutivi regionali (democristiani o socialcomunisti che siano) nella realtà è venuta a mistificare la libertà e l'autonomo potere di valutazione delle assemblee elettive. Intendiamo domandare: quale senso, quale significato, quale valore può avere questo dibattito, così come quello che, in questi giorni si sta svolgendo in altri Consigli, quando la posizione delle Regioni è ormai chiara, manifesta e soprattutto già definita e definitiva, essendo stata espressa nel documento consegnato sin dal 22 marzo scorso all'on.
Fanti? Non è forse finzione dialettica o mero adempimento formale quello di stare ora qui a discutere attorno alla 382 quando ormai si sa, attraverso le anticipate prese di posizione dei Presidenti dei Consigli e delle Giunte, che le Regioni sono andate a dichiarare "non accettabili" i contenuti del decreto governativo di attuazione della 382? Possiamo e potete, colleghi Consiglieri, sentirci o sentirvi esaltati da questo modo rozzo di intendere e di concepire la democrazia? Ecco le due osservazioni preliminari che sentivamo di dover fare e che consegniamo all'attenzione del Consiglio.
Quanto al merito della legge 382 ed al connesso schema di decreto delegato, il nostro giudizio può essere così riassunto: è stata una grande occasione che le forze di potere, sinistra inclusa, hanno avuto sottomano per finalmente procedere alla riforma dello Stato; ma che, per incapacità e per irresponsabilità, sono riuscite invece a sprecare in modo banale. Non vi è alcun compiacimento in questa nostra sottolineatura: la teoria del "tanto peggio, tanto meglio" non è mai entrata a far parte del comportamento strategico della Destra. Più semplicemente, ci sforziamo di esprimere opinioni obiettive: quali, forse, non saremmo tenuti a dare, se ponessimo mente soltanto alla faziosità, volgare e brutale, della quale il MSI-DN è poi gratificato; ma che ciò non di meno, continuiamo e continueremo a manifestare, se non altro per rispetto di noi stessi e del "nostro" modo di fare politica.
Per esempio, al di là della posizione assunta dalla parte da noi rappresentata, posizione, sia chiaro, che abbiamo condiviso senza reticenza e senza riserva - è fuor di dubbio, e non vediamo perché non dovremmo riconoscerlo! - che l'attuazione dell'ordinamento regionale è stata una importantissima carta giocata dal sistema democratico; diremmo, anzi, che è stato il solo momento "rivoluzionario", consentiteci il termine, di questo sistema, finito com'è finito: se è vero, com'è vero, che le Regioni non sono state poi capaci di soddisfare, di dare una risposta adeguata all'ansia di novità, all'esigenza di rinnovamento, alle speranze calde ed insieme rabbiose che salivano dal Paese, e che imponevano la costituzione di uno Stato nuovo. O quantomeno, perché la valutazione non abbia a sembrare troppo polemica, se ancor oggi sono, la definizione non è nostra "in bilico sul crinale", dopo sette anni non essendo ancora riuscite a conquistarsi posizione più stabile.
Allo stesso modo, per riprendere il filo del discorso, non saremo noi a nasconderci l'importanza davvero eccezionale della rivoluzione - anche in questo caso sottolineiamo la parola - che si sarebbe potuta e dovuta attuare; ma che invece, come dicevamo prima, è stata banalmente sciupata.
Qual era, e quale rimane, il problema di fondo? Quello di procedere ad un nazionale riordino del dissestato terreno amministrativo, ponendo mano al riordinamento della pubblica amministrazione ed alla riforma dei Ministeri, così da ottenere un'organica e funzionale ripartizione dei compiti - secondo l'art 117 della Costituzione ma anche attraverso lo strumento della delega di cui all'art. 118 - tra lo Stato, le Regioni e gli Enti locali. Questo si doveva fare: mettere cioè il tetto di un nuovo edificio amministrativo dello Stato sopra una società che si va evolvendo in modo disorganico e tumultuoso, e che non è più controllabile da una macchina pubblica, ormai inadeguata ed inceppata.
Per la verità, questo vasto progetto, certo non facile, certo completo ed impegnativo , era contenuto nel disegno di legge n. 114 predisposto dal Governo e presentato al Parlamento nel gennaio 1974. Avvenne però, e giova qui ricordarlo, che essendosi allora nel momento più vivo del contrasto tra Governo e Regioni, in merito ai contenuti dei decreti di trasferimento delle funzioni amministrative, la Commissione affari costituzionali del Senato introducesse nell'originario testo del disegno di legge anche una parte avente per oggetto, appunto, il trasferimento di nuove funzioni dello Stato alla competenza regionale. Si trattava dunque, questo deve essere ben precisato, di nulla più che di "una parte" compresa all'interno di un quadro razionale ed organico. Come è potuto avvenire che quella parte abbia finito col diventare "il tutto", essendo stati poi stralciati dal disegno di legge n. 114 il riordinamento della pubblica amministrazione e la riforma dei Ministeri? Proprio nessuno se lo ricorda? Bene: se dobbiamo essere noi, allora, a rinfrescare memorie, tanto la ricorderemo a noi stessi, ai Gruppi di opposizione che fingono d'esserselo dimenticato, alle forze di maggioranza che hanno tutto l'interesse a tacere, che furono proprio le sinistre, comunisti in prima fila, a pretendere e ad ottenere quello stralcio.
Ed oggi, senza che nessuno osi rimproverare loro questo atteggiamento contraddittorio, le sinistre ed i comunisti si sbracciano nella contestazione al Governo in merito ai contenuti insufficienti dello schema di decreto delegato: mentre è da dire che - mai come in questa circostanza avendo essi cambiato, ora, fronte e posizioni rispetto a prima del 20 giugno 1976, sono in contraddizione con se stessi. Colpa, dunque, del PCI e del PSI, oltreché dell'arrendevolezza democristiana, se adesso ci troviamo alle prese con una brutta legge qual è la 382, nata, come è stato detto sotto cattiva stella. Una legge che non rappresenta affatto un momento della più generale riforma dello Stato; ma che si pone invece, e maldestramente, come una semplice prosecuzione della legge finanziaria del 1970 o come un abborracciato ritocco, per più aspetti confuso indeterminato, certo disorganico e perciò anche spericolato, dei decreti del 14/15 gennaio 1972, relativi al trasferimento delle attribuzioni amministrative alle Regioni.
Una legge stralcio o residua od occasionale di un più vasto disegno intenzionalmente riformatore.
Una legge che va considerata e giudicata in negativo altro non essendo che un momento contingente e riduttivo agli effetti di quell'organico riordino della pubblica amministrazione, sia centrale che periferica, la cui drammatica urgenza è ormai generalmente avvertita. Costruito in questa ottica, il decreto delegato di attuazione della 382 non potrà essere in alcun modo strumento di efficienza amministrativa. Nella sua sostanziale contingenza, esso ripete il ritaglio a fette e fettine di attribuzioni tra Stato e Regioni, disattendendo completamente il principio, pur più volte affermato, che i trasferimenti dovessero avvenire "per settori organici".
Un solo esempio emblematico di questa assurda mentalità; un esempio che ci viene ricordato dal fatto che proprio in questi giorni, nella nostra Regione è vivo il dibattito attorno alla difesa dei beni ambientali e culturali, orbene, in questo campo le "cose" vengono attribuite alle Regioni e l'"ambiente" allo Stato. Ha ragione, a questo riguardo, "Italia Nostra" a protestare. E parimenti si legittimano le proteste di quanti vedono in questo modo di procedere il tentativo di tenere tutto fermo tutto immobile, tutto paralizzato; è riconoscimento che ci sentiamo di poter dare in piena tranquillità perché, se è vero che all'istituzione delle Regioni noi ci siamo duramente opposti, è altresì vero, ecco l'impegno anche culturale di cui parlavamo prima, che di queste nuove realtà regionali noi non possiamo adesso non tenere conto. Adesso che le Regioni ci sono, adesso che le Regioni esistono, ebbene, adesso facciamole funzionare. Ma non è risultato che potrà ottenersi, questo, se lo schema di decreto delegato della 382 non verrà opportunamente rivisto. Così pure essendo mancata finora la riforma degli Enti locali - non è pensabile ecco un altro motivo di critica allo schema di decreto - che Comuni Province e Comunità montane possano assolvere alle nuove funzioni loro attribuite. Il discorso, è chiaro, vale soprattutto per i Comuni e per le Province, già paralizzati da una grave crisi funzionale e finanziaria. Le Comunità montane per la verità, tranne la citazione "di passaggio" all'art.
3, sono invece del tutto dimenticate dal decreto delegato: e a questo proposito noi facciamo nostre, condividendole appieno, le esacerbate ancorché giustificate critiche che abbiamo sentito muovere, nel recente Convegno di Torino promosso dalla Regione, dal rappresentante dell'UNCEM.
Chiusa questa parentesi, vogliamo ricordare, tornando al punto, che lo stesso prof. Giannini, nella sua nota relazione ha scritto: "Senza la riforma di questi e ordinamenti regionali ed ordinamento dello Stato resteranno espressioni monche"; ed ha osservato che già oggi nove decimi dei Comuni sono insufficienti rispetto alla dimensione ottimale per i servizi e le attività loro attribuiti dalla legislazione in vigore; così come insufficiente per i servizi di vasta area è la maggior parte delle Province. Ecco allora che, anche sotto questo profilo, lo schema di decreto delegato in attuazione della legge 382, si qualifica soltanto come un momento di disaggregazione contingente spesso grossolano e certamente separato da un disegno organico di riforma amministrativa dello Stato.
Così ancora - passiamo ad un altro motivo critico - va pur denunciato che l'assenza di indicazioni finanziarie proporzionate alle attribuzioni sia pure disorganiche e frammentarie, dello schema di decreto presidenziale di fatto renderà inattuabili le emanande norme delegate, generando per la Regione e per gli Enti locali un'ulteriore quanto insopportabile lievitazione di spesa. Ed anche questa considerazione giustifica le più ampie riserve in ordine alla validità del provvedimento.
Un'altra critica: contestualmente alla legge 382 ed al decreto di attuazione si sarebbe dovuto, com'era pregiudiziale e com'è costituzionalmente previsto, procedere per varie materie alla revisione delle leggi sostanziali dello Stato. Non lo si è fatto. Ed anche questa è colpa grave: perché il decreto delegato finirà con il determinare così, sia per i trasferimenti di attribuzioni, sia per le deleghe, nuovi conflitti di competenze tra Stato, Regioni ed Enti locali, al tempo stesso provocando maggiore indeterminatezza delle pubbliche funzioni, con evidenti dannose conseguenze, tanto per l'interesse generale come per quello dei singoli cittadini. Giova qui ricordare, ancora una volta, a suffragio dell'osservazione, l'avvertimento del Giannini, secondo il quale "E' da ritenere che talora la revisione di leggi sostanziali si ponga addirittura con carattere di pregiudizialità rispetto a ben calibrati trasferimenti e deleghe". Il che è poi un bel epitaffio sia per la legge 382 sia per lo schema di decreto delegato, riuscito a disattendere in gran parte persino le impostazioni e le conclusioni della Commissione presieduta appunto dal prof. Giannini.
Infine, è inaccettabile che questo decreto, già di così ristretto ambito, preveda, in materia di sanità, di assistenza e d'istruzione, il rinvio alle leggi di riforma annunciate sì, ma ancora lontane ed incerte nell'attuazione. Questa lacunosa e vanificante "scelta" (anzi, "non scelta") operata mentre le Regioni, o almeno gran parte di queste, hanno dato l'avvio in modo autonomo a processi di riassetto non organici n coincidenti, minaccia di rendere ancor caotici settori di primaria importanza, quali appunto la sanità, l'assistenza e l'istruzione.
Il nostro ultimo rilievo critico allo schema di decreto delegato lo dedichiamo all'art. 73 ed all'allegata tabella B contenente l'elenco dei 33 Enti di cui è prevista - anche se non per procedimento automatico - la prossima estinzione. A prescindere dalle pur pertinenti osservazioni sull'illiberalità di un atto che è lesivo del principio associazionistico ciò che noi critichiamo non è tanto la "quantità" degli Enti da sopprimere: sappiamo tutti che l'Italia pullula di Enti inutili, superflui parassitari; per cui, semmai, il vero motivo di scandalo consiste nel fatto che se ne vogliano eliminare soltanto 33.
No, non è questo il punto. E' la "qualità" di questi Enti che scatena la nostra reazione: perché quando si parla di sopprimere l'Associazione famiglie caduti e dispersi in guerra, l'Associazione nazionale tra mutilati ed invalidi di guerra, l'Associazione mutilati ed invalidi civili l'Associazione nazionale tra mutilati ed invalidi del lavoro, l'Ente gruppo medaglie d'oro o l'Istituto Nazionale del Nastro Azzurro fra i combattenti e decorati al valor militare; o quando, sull'altro versante, cioè da parte delle Regioni, si chiede la soppressione dell'AVIS, ebbene, allora noi dobbiamo rilevare ed al tempo stesso denunciare che la scelta è politica e che, in quanto tale, non può non avere la nostra ferma opposizione.
Si tratta, infatti, di una vera insidia che colpisce milioni di cittadini di benemerite categorie morali (combattenti, decorati al valore orfani di guerra, invalidi, vittime civili) o di persone colpite da infermità (ciechi, sordomuti) o di altri ceti produttivi (artigiani piccole industrie, gente di mare): a tutti quanti noi esprimiamo qui la piena solidarietà del MSI-DN, sottolineando che si tratta di Enti pubblici opere morali, istituzioni assistenziali delle quali si rapina il patrimonio e si cancella la nobile e necessaria esistenza, con una finalità che è ben diversa e politicamente più maliziosa della necessità organica di trasferire ex art. 117 o ex art. 118 della Costituzione, funzioni amministrative statali alle Regioni ed agli Enti locali.
Signor Presidente, colleghi Consiglieri, tutto quanto siamo andati sin qui dicendo ed elencando illustra, crediamo in modo sufficientemente ampio e motivato, le ragioni per cui la nostra parte politica, nel ribadire le critiche di fondo già formulate a livello parlamentare, nei confronti della legge 382, respinge lo schema di decreto del Presidente della Repubblica che ne concerne l'attuazione; e chiede che la Commissione interparlamentare per le questioni regionali voglia esprimere un parere negativo, rimettendo nuovamente al Parlamento il problema, affinché possa venire esaminato e risolto, questa volta, in modo più organico e razionale.
E', la nostra, una posizione critica di merito che, lo ripetiamo ancora, denuncia come, per responsabilità e scelta determinante delle sinistre e per acquiescenza delle forze governative prima e dopo il 20 giugno 1976, sia stato vanificato il più vasto ed organico disegno di riforma globale della pubblica amministrazione centrale e periferica.
Una posizione critica che non accetta, anzi rifiuta, la parziale incompleta e contingente soluzione proposta dal Governo; ma che rifiuta anche, per gli stessi motivi di merito oltreché per la scarsa capacita operativa e funzionale rivelata dagli Enti regionali, la posizione massimalistica delle Regioni stesse, le quali, senza avere ancora messo a punto la loro struttura organizzativa, anzi, essendo al contrario in una fase "critica" di efficienza, tuttavia pretendono lo stesso il trasferimento integrale di funzioni, proprie, invece, della riserva statale.
Ecco: questa è la posizione originale, autonoma, alternativa del MSI DN. Posizione che avevamo anticipato in premessa e che ci auguriamo d'essere giunti a meglio definire, attraverso questo nostro intervento. E che comunque, se così non fossimo riusciti a fare, può trovare ulteriori elementi di chiarificazione e di specificazione nel documento che abbiamo predisposto e che subito consegneremo al Presidente del Consiglio, perch voglia cortesemente farlo distribuire alle altre forze politiche e metterlo in votazione al termine di questo dibattito.
Signor Presidente, colleghi Consiglieri, l'esame critico della legge 22 luglio 1971, n. 382 e dello schema di decreto delegato, ha impegnato in non leggera misura le nostre capacità, le nostre possibilità, le nostre stesse disponibilità. Si è trattato, vogliamo qui confessarlo, di fatica non lieve, anche perché, al di la delle direttive di Partito, che pur rispettiamo e seguiamo, è nostro costume renderci personalmente, meglio intimamente, convinti e coscienti della validità obiettiva delle posizioni che dobbiamo poi interpretare ed esprimere in forma pubblica ed ufficiale.
Fatica non lieve, dicevamo. Ma fatica non inutile se saremo riusciti, come confidiamo, a far diventare più chiaro nelle vostre coscienze, colleghi Consiglieri, se non nei vostri riconoscimenti esteriori, non soltanto quale sia la posizione del MSI-DN a fronte della 382 e dello schema di decreto delegato, ma anche, e soprattutto, in quale modo, cioè su quali basi di concretezza, di realismo, di critica costruttiva ed al tempo stesso alternativa, il MSI-DN intenda svolgere, all'interno di quest'aula e nelle realtà esterne, il proprio ruolo di unica, insostituibile opposizione.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Rossotto Ne ha facoltà.



ROSSOTTO Carlo Felice

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, il documento presentato dalle Regioni alla Commissione parlamentare è stato motivo di dibattito e di esame nella realtà sociale e politica del Paese. Per dibattere il documento vi sono stati gli appuntamenti di Milano del 28 e 29 gennaio e la successiva formulazione mi pare abbia definito in maniera chiara e precisa l'inadeguatezza e la reale difformità tra la portata degli 11 articoli della legge 382 del '75 e la sua attuazione secondo le linee del decreto sul quale dobbiamo esprimere le nostre osservazioni. Per la puntuale affermazione delle difformità e dell'esigenza di ritornare ad un'esatta interpretazione dello spirito della legge 382, è sufficiente il breve accenno che mi sento di effettuare. Stamattina è stato ricordato, durante il dibattito, come lo spirito della 382 sia collegato esattamente e puntualmente all'attuazione della Carta costituzionale individuando chiaramente il disegno di uno Stato delle autonomie in contrapposizione ad uno Stato accentratore. Come lentamente lo Stato delle autonomie, sorto nella realtà dalle lotte che portate avanti dal movimento cattolico e dal movimento operaio, si sono contrapposte storicamente allo stato liberale accentratore per i motivi storico-politico economico-sociali che il Paese presentava allora è cosa nota. Vorrei sottolineare come oggi sia da esaltare e da sottolineare tutta l'eredità di comprensione, di anticipazione e quindi di partecipazione alla realizzazione della Carta costituzionale del movimento liberale che aveva influito nello Stato centralizzato che si era venuto ad attuare. Stato che doveva ritrovare attraverso il potenziamento delle autonomie locali, la dignità della partecipazione dei cittadini.
Credo che il riferimento storico e politico alla figura e all'opera di Einaudi, che ha saputo cogliere, anche nella meditazione dei 20 anni di regime totalitario, l'esigenza di un rinnovamento delle strutture dello Stato, sia puntuale e fa sì che la Carta costituzionale sia puntualmente richiamata per quello che di precisa attuazione d'impegno politico e volontà di realizzazione le forze che sono rappresentate in Consiglio manifestano.
Credo che con questo dibattito occorrerà, dopo aver richiamato la validità del documento unitario predisposto dalle Regioni indipendentemente dalle colorazioni politiche che gli esecutivi delle stesse rappresentano, sottolineare quanto già emerso durante il dibattito e cioè che il documento delle Regioni va integrato con tutto quello che anche in altre occasioni abbiamo ritenuto di realizzare come Consiglio regionale, cioè la realtà delle autonomie locali, i Comuni come momento e pilastro fondamentale della rigenerazione della vita amministrativa e politica del nuovo Stato che l'autonomia esige. Indubbiamente il documento delle Regioni su questo argomento si è fatto carico dei singoli problemi.
Aderisco totalmente all'impostazione che richiede la totale trasformazione della 382, piuttosto che adeguamenti del decreto, aggiungo però che è necessario sottolineare nel documento che vorremmo presentare al termine dei lavori, l'importanza che le Regioni danno alla delega esaltando il ruolo delle autonomie che la Carta costituzionale ha riconosciuto ai Comuni e agli Enti locali e che talvolta si sono realizzate. L'esempio specifico che sovente incontriamo è quello delle Comunità montane nelle loro strutture che necessariamente devono trovare nel decreto che il Governo dovrà riemettere dopo la consultazione con le Regioni, il giusto ruolo e la giusta importanza che le esalterà nei termini che è inutile qui ripetere e che conosciamo perfettamente.
Nello stesso decreto dovranno essere compiute delle scelte e finanziate delle decisioni, non soltanto nei nostri confronti, ma nei confronti di coloro che insieme con noi hanno responsabilità dirette nel rapporto democratico di partecipazione con i cittadini e che si chiamano Comuni ed Enti locali: questo mi pare in maniera molto chiara e precisa, in un discorso che è già di per se stesso unitario sotto le angolazioni politiche diverse, è già stato evidenziato negli interventi dei colleghi a cui mi richiamo.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Calsolaro Ne ha facoltà



CALSOLARO Corrado

Signor Presidente, signori Consiglieri, la presentazione dello schema di decreto per l'attuazione della 382 ha dimostrato che resiste al livello degli organi centrali (nonostante alcune manifestazioni di buona volontà alle quali si può ascrivere - per esempio - la nomina della Commissione Giannini) la vecchia tendenza verso una visione centralistica dello Stato in netta contrapposizione ai principi costituzionali.
Lo schema ha così apertamente disatteso la totalità delle indicazioni fornite dalla Commissione, che se anche non potevano soddisfare completamente le aspirazioni delle Regioni e delle autonomie locali tuttavia costituivano un apprezzabile compromesso e una solida base di partenza per la ricerca di proposte e di soluzioni accettabili. Il testo presentato all'esame delle Regioni, pertanto, da un lato tradisce la volontà espressa dal Parlamento con il conferimento della delega al Governo, dall'altro non opera un significativo trasferimento di funzioni alle Regioni. Non solo, ma mentre cristallizza alcune situazioni in movimento, arretra persino nei confronti di attribuzioni operate con i decreti del 1972. Il Governo, che aveva compiuto - e lo abbiamo accennato una scelta giusta, affidando alla Commissione ministeriale di studio la predisposizione dei contenuti e delle proposizioni normative per l'attuazione della 382, non ha poi tenuto conto delle conclusioni della Commissione che, nel rispetto del criterio analitico delle funzioni per settori organici, aveva fornito al Governo la base necessaria per una corretta formulazione delle norme delegate.
Si è così riconfermato un orientamento inaccettabile, secondo il quale le Regioni vengono considerate Enti a fini limitati, mentre invece il ruolo di governo che ad esse deve essere affidato comporta la piena responsabilità nell'intero settore degli interessi ad esse riconosciuto dal costituente, che le ha volute come Enti che, nelle dimensioni loro proprie agiscono per il conseguimento di fini generali.
Il ruolo di governo esercitato dalla Regione deve consistere nell'attività legislativa, di programmazione, di indirizzo e di coordinamento, evitando il pericolo che il trasferimento delle funzioni porti a forme di neo-centralismo regionale, alterando il modello di Regione delineato dagli Statuti regionali, come essenziale punto di snodo della Repubblica delle autonomie. I socialisti rifiutano quindi la concezione della Regione come Ente di natura prevalentemente amministrativa, erogatore di contributi e sovvenzioni, e gestore di servizi.
La legge 382 deve fare delle Regioni dei veri e propri governi con poteri circoscritti ma pieni. Ciò è possibile solo ridisegnando la mappa della struttura della pubblica amministrazione in funzione della politica di programmazione; riducendo o ristrutturando ministeri ed enti divenuti inutili o addirittura di intralcio alla funzione decentrata (rivedendo tutti gli istituti tipici della dimensione provincialistica, come le prefetture e le intendenze); riformando la finanza regionale e locale che consenta ai Comuni e agli Enti locali di realizzare le condizioni per una effettiva autonomia; abrogando la legge comunale e provinciale sostituendola con una nuova legge quadro sull'amministrazione locale che individui un nuovo livello di governo intermedio con prevalenti funzioni di pianificazione territoriale e di programmazione economica.
Allo schema, e quindi al disegno, del Governo ci si deve opporre senza esitazioni e senza reticenze: esso non farebbe che alimentare il neo centralismo e costituirebbe il supporto di una ulteriore degenerazione dello Stato, in aperta contraddizione con quello stesso regime delle astensioni nato dalla spinta innovatrice del 20 giugno. Lo stato di disgregazione in cui versano le strutture pubbliche è una delle componenti della crisi che travaglia il Paese e che ha connotazioni politico strutturali, oltre che economiche. Essa si è evidenziata in misura macroscopica nell'incapacità dei pubblici poteri di governare, di controllare la dinamica della spesa pubblica, anche al fine di moderare il tasso d'inflazione, di assicurare livelli accettabili di efficienza della Pubblica Amministrazione, riducendo contemporaneamente gli sprechi di risorse. Se si vuole attuare una radicale inversione di tendenza è indispensabile realizzare un momento di direzione politica che, saldandosi ad una incisiva programmazione economica, sia capace di avviare lo sviluppo in una strategia globale di interventi tra i diversi livelli di Governo.
Per raggiungere questo obiettivo indispensabile inserire, in un disegno unitario, riforma economica e assetto costituzionale, due aspetti della stessa realtà che vanno affrontati unitariamente. La crisi economica non può costituire un pretesto per il rinvio della riforma dello Stato, di cui proprio la riforma dell'amministrazione locale e un momento essenziale e condizionante. La corretta e piena attuazione della 382 costituisce, al riguardo, una occasione da non perdere per una radicale trasformazione dell'amministrazione centrale che consenta la riduzione e la ristrutturazione dei ministeri e la soppressione di tutti gli apparati operanti nei settori di competenza regionale e locale.
La lotta per la riforma delle strutture di governo del Paese trae nuovo alimento dall'ormai evidente fallimento dello Stato burocratico e accentrato. La stessa attribuzione di funzioni organiche ed omogenee alle Regioni rende non ulteriormente rinviabile la riforma dell'amministrazione locale. Se infatti un rilevante decentramento di poteri, uffici e personale dal centro alle amministrazioni locali dovesse essere effettuato senza por mano ad una radicale riforma delle strutture del governo locale, queste rischierebbero, presto, di scoppiare. Le Regioni si trasformerebbero in grandi e pesanti macchine burocratiche, le Province e i Comuni vedrebbero aggravate le ragioni della loro crisi.
L'istituzione e il ruolo delle Regioni, rilievo dato alle autonomie locali e al decentramento confermano che il costituente ha voluto uno Stato pluralista fondato su livelli di governo autonomi, coordinati, ma non sovraordinati da uno Stato che persegue i fini politici espressi dalla comunità nazionale essenzialmente attraverso lo strumento della programmazione, così da consentire la collaborazione e il coordinamento tra i diversi livelli di governo. La Repubblica delle autonomie è in grado di contribuire a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese, come stabilito dall'art. 3 della Costituzione. Il comportamento del Governo è tanto più grave, sotto il profilo politico ed anche istituzionale, perché, mentre vi è estrema necessità del massimo di concordia e di unità operativa fra tutte le istituzioni che compongono il nostro Stato, vi è il rischio di aprire un conflitto tra potere centrale, le assemblee legislative regionali e gli Enti elettivi di governo locale.
Lo schema di decreto non è recuperabile, con l'innesto di alcuni emendamenti correttivi, alla logica e alla ratio della legge 382. Se si vogliono raggiungere gli obiettivi di costruzione dello Stato regionalista e delle autonomie, sui quali si è registrata una larga convergenza fra le grandi forze politiche in numerosi convegni e dibattiti, è venuto il momento dell'impegno e della coerenza politica. Il decreto non va emendato ma totalmente rifatto.
I socialisti non possono lasciare sotto silenzio questo tentativo ormai scoperto, di far passare un disegno di restaurazione neocentralistico (basti pensare alla filosofia della legge sulla riconversione industriale).
Troppo spesso alle teorie della crescita zero in economia si accompagna l'azione di mortificazione degli Enti locali e la tendenza alla marcia indietro nel completamento dell'ordinamento regionale. Nessuno vuole reclamare, attraverso la riforma della 382, un ulteriore incremento della spesa pubblica, da realizzare con la devoluzione di una maggiore aliquota di finanziamenti alle Regioni e agli Enti locali.
Il problema è invece quello, come abbiamo già rilevato, di una generale riorganizzazione della finanza pubblica e della pubblica amministrazione centrale e periferica, per garantire una migliore utilizzazione delle risorse finanziarie, una corretta priorità negli investimenti, la vitalità degli organi di governo locale, l'aderenza della loro azione alle esigenze più vive ed urgenti della realtà sociale, interrompendo la pratica degli sprechi e delle decisioni verticistiche. Per questo è importante associare al completamento dell'ordinamento regionale il rafforzamento dell'intero sistema delle autonomie mediante l'attribuzione di nuovi compiti direttamente ai Comuni, alle Province, alle Comunità montane, ai Comprensori.
Non vogliamo che questi organismi spendano di più, ma che essi abbiano i mezzi per far fronte ai compiti ad essi affidati. Ciò consentirà di fare importanti passi avanti nella direzione del contenimento e della qualificazione della spesa. Il documento unitario presentato dalle Regioni con la decisione di voler rivendicare un ruolo peculiare nella programmazione è certamente di grande importanza. Senza la riscoperta del metodo e della pratica della programmazione non si promuove la ripresa dell'economia. In questo senso recupero della programmazione e riforma del sistema regionale delle autonomie vanno di pari passo.
Le osservazioni allo schema di decreto governativo presentate dalle Regioni alla Commissione parlamentare per le questioni regionali con cui si confermano le decisioni assunte nel Convegno di Milano sono il frutto di una scelta di campo che le Regioni hanno operato e che consideriamo soddisfacenti. Esse non sviluppano un generico "cahier de doleance" ma contengono precisi riferimenti ai criteri espressi nella 382 ai fini del corretto esercizio della delega legislativa da parte del Governo e da questi ampiamente e disinvoltamente disattesi. E così l'identificazione delle materie realizzata disorganicamente, la mancata impostazione della ristrutturazione dei ministeri, il rigetto pressoché integrale delle conclusioni della Commissione Giannini, il rinvio a leggi di là da venire (come è per il caso dell'omesso trasferimento delle competenze in materia sanitaria), una interpretazione meramente letterale delle materie indicate nell'art. 117 della Costituzione ed ormai del tutto superata dalle stesse decisioni della Corte Costituzionale (come è per il caso, che rasenta il grottesco, della beneficenza a pro dei bisognosi), la porta aperta ad ogni contestazione per l'insufficiente chiarezza ed estrema genericità delle norme (alcune delle quali del tutto superflue, come quelle del capo I dei vari titoli che non fanno che riportare, con omissioni, le intitolazioni dei successivi capi del titolo), e così via.
Esprimiamo anche il nostro consenso sulla parte speciale del documento quella relativa alle singole materie, per le quali - o meglio per alcune delle quali - intendiamo fare alcune osservazioni e proposte. La II Commissione ha esaminato la materia di sua competenza contenuta nel Titolo V dello schema intitolato "Assetto ed utilizzazione del territorio".
Non intendo ovviamente rappresentare, in questa occasione, la volontà della Commissione né dar corso ad una sorta di relazione orale in qualche modo sostitutiva di quella che avrebbe potuto formarsi con la predisposizione e la discussione di un documento proprio. Né, peraltro, la Commissione aveva il compito di mettersi a riscrivere il testo normativa.
Ma mi sembra corretto informare il Consiglio di ciò: che la Commissione e le forze politiche in essa rappresentate e presenti hanno assolto il loro impegno e che saranno i singoli Consiglieri, come membri dell'Assemblea, ad esprimere le loro osservazioni. Sulla materia mi sembra opportuno rilevare o riconfermare, a nome del mio Gruppo, alcune cose. Condividiamo la proposizione contenuta nel documento di lavoro della Commissione territorio per il Convegno di Milano, ed illustrata dall'Assessore Astengo nella Commissione consiliare, sull'opportunità di sostituire al termine "urbanistica" - usato oggi di preferenza per indicare la materia oggetto di disciplina scientifica - con quello di "Tutela ed uso del suolo", già adottato nel disegno di legge regionale n 117. E ciò, evidentemente, non per ragioni nominalistiche, ma per il significato più pregnante di tale dizione comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, propositivi normativi e gestionali concernenti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo; con conseguenti effetti sul trasferimento delle funzioni amministrative che concernono l'approntamento e l'attuazione dei piani urbanistici ai due tipi e livelli dei piani territoriali e dei piani locali d'intervento.
L'enunciazione della norma dello schema richiama invece la vecchia concezione dell'urbanistica come disciplina relativa alla regolamentazione dei centri abitati, con riferimento esclusivo all'attività edilizia. Essa limita il contenuto dell'attività di pianificazione territoriale che è inerente a tutto il suolo, urbano e non urbano, edificato o edificabile e non, e che ammette l'unica eccezione per le trasformazioni connesse alle tecniche della coltivazione agricola. E contrasta di conseguenza con il principio che tutta la materia spetta alle Regioni con pienezza di poteri dovendo essere in essa ricomprese tutte le funzioni finalizzate ad un corretto uso del territorio. Per altro verso la materia dell'agricoltura viene collocata dallo schema governativo nel titolo del territorio, come se gli interventi sulla produzione agricola non fossero da individuarsi - più che nel governo del territorio - in una più coerente prospettiva dì governo dell'economia locale e quindi nel titolo dello sviluppo economico, mentre la materia dei parchi - che attiene più correttamente alla tutela e all'uso del suolo - diventa una sub-materia dell'agricoltura, e quindi non è coordinata con le istituzioni di governo del territorio a livello locale.
L'attribuzione alle Regioni della pienezza dei poteri in materia di tutela ed uso del suolo e la riserva allo Stato della potestà di indirizzo e di coordinamento - in cui è ovviamente compresa quella di fissare gli standards urbanistici ai fini della formazione dei piani urbanistici comunali - ha come conseguenza che spetta alle Regioni anche il potere di accertare la compatibilità urbanistica di ogni intervento sul territorio attuato da qualsiasi soggetto pubblico, compreso lo Stato, sia pure con procedimenti che garantiscano la rappresentanza dei diversi interessi, e con l'attribuzione al Parlamento del potere di decisione in caso di mancata intesa fra le Regioni e l'Amministrazione centrale. Le funzioni di pianificazione territoriale devono riguardare anche le opere pubbliche di competenza statale proprio per evitare che interessi e scelte di carattere settoriale prevalgano su quelli della pianificazione generale, anche se le scelte locali sull'uso del territorio non possono porsi in contrasto con le scelte di politica economica nazionale.
L'accertamento della compatibilità della realizzazione dell'opera, in sostanza, viene adempiuto dalle Regioni in relazione ai fini del governo del territorio, e non a quelli delle scelte di programmazione nazionale. Ed è proprio per un necessario coordinamento tra la politica di programmazione economica e di pianificazione territoriale che è essenziale la partecipazione delle Regioni alla formazione dei piani poliennali, per un necessario controllo delle Regioni sulle localizzazioni e per il conseguente giudizio di conformità delle opere ai piani regionali. Lo schema rovescia il principio fondamentale delle responsabilità della pianificazione del territorio attribuendo l'accertamento della conformità allo Stato, e collocando in una situazione subordinata l'organo che ha il governo del territorio, sia in ordine alla formazione del giudizio che successivamente per il caso della mancata intesa, respingendo la previsione di quel ricorso alla decisione del Parlamento, quale organo rappresentativo della comunità nazionale, che appare invece la soluzione più equa assumendo, in queste ipotesi, il contrasto un indubbio significato politico.
Riesce assai arduo comprendere l'oscuro significato della normativa che riguarda i beni ambientali e culturali, mentre la materia è chiaramente svolta nella relazione Giannini. Mi sembra di dover rilevare che una cosa sono le bellezze paesistiche, per le quali predomina il profilo urbanistico e quindi competenza della Regione alla relativa dichiarazione - altra cosa sono i beni ambientali, come gli immobili di interesse artistico storico, le ville, i giardini e così via, che appartengono alla categoria dei beni culturali, e per i quali si può prevedere una partecipazione decisoria in forma concorrente o integrativa rispetto all'intervento statale. Ma la normativa dello schema delega, e non trasferisce l'esercizio delle funzioni amministrative in materia di bellezze naturali se non per l'ipotesi in cui la protezione sia attuata mediante strumenti diversi da quelli urbanistici. Rimane così irrisolta , e per certi versi misteriosa, la risposta al quesito se i piani territoriali paesistici attribuiti alle Regioni, restino subordinati alle leggi in vigore, in ordine ai procedimenti per la individuazione delle bellezze da proteggere di una supposta riconfermata competenza dello Stato, e se a loro volta siano o meno da comprendere fra gli strumenti urbanistici.
Ci pare del tutto ovvio che il trasferimento alle Regioni della materia debba essere completato, sia pure con la riserva allo Stato di potestà d'integrazione e di interventi di salvaguardia. E' stato rilevato che per la materia dei trasporti lo schema governativo sarebbe meno arretrato rispetto ad altre materie. In effetti se si confronta lo schema con la rielaborazione normativa del seminario di Bologna i temi di rilievo sono ridotti a due. Il primo è che si riproduce praticamente la disposizione del decreto delegato del '72, per cui le linee di trasporto che congiungono località di Regioni finitime, se non si svolgono prevalentemente nel territorio di una sola Regione, sono di competenza statale il che è del tutto assurdo in quanto il sistema statale dei trasporti terrestri si esplica con il mezzo ferroviario, ed è bene invece che tutta la materia del trasporto automobilistico non venga discriminata in rapporto al limite territoriale, ma sia considerata di interesse regionale, e quindi interregionale, salvo le opportune intese fra le Regioni. Il secondo si riferisce alla delega per i servizi ferroviari in concessione "previo il loro risanamento tecnico ed economico a cura dello Stato". Questa dizione potrebbe significare il rinvio a tempi non brevi del conferimento della delega, mentre sarebbe sufficiente porre a carico del bilancio dello Stato gli oneri relativi al risanamento tecnico ed economico, delegando immediatamente le funzioni alle Regioni.
Non ci sembra invece di poter consentire sulla proposizione del seminario di porre a carico dello Stato gli oneri relativi all'esercizio di queste linee che, delegato alle Regioni, dovrà trovare in altri strumenti di programmazione nazionale e regionale del settore e finanziari, le relative risorse di gestione. Una impostazione di quest'ultimo tipo emerge a nostro avviso, dalla stessa legge quadro dei trasporti, già licenziata dalla II Commissione, ed in attesa del voto del Consiglio.
Gli art. 50 e 51 dello schema rappresentano certamente un sostanziale arretramento rispetto alle funzioni già trasferite e delegate con i decreti del 1972. Il numero 2 dell'art. 50 pone in dubbio la stessa continuità della legge regionale n. 54 del 1975 che ha dato una organizzazione unitaria agli interventi regionali in materia di opere idrauliche prevedendo, tra l'altro, la possibilità di sistemazione di una certa rilevanza sui corsi d'acqua di IV e V categoria e non classificati e sui bacini montani che, direttamente o indirettamente, influiscono sul regime dei corsi d'acqua indicati nel T.U. del 1904, richiamato dall'art. 2.
I numeri 13 e 15 dello stesso articolo 50 ed il n. 1 dell'art. 51 evidenziano la preoccupazione dello Stato di recuperare competenze in vari modi già riconosciute alle Regioni, in particolare dalla legge Merli sulla tutela delle acque dall'inquinamento. Altrettanto deludenti appaiono gli art. 62 e 63 dello schema in materia di tutela dell'ambiente dagli inquinamenti. E' intanto del tutto incomprensibile l'atteggiamento del Governo che, mentre fissa il termine iniziale di efficacia delle norme concernenti l'attuazione della delega legislativa al 1° gennaio 1978 sposta il trasferimento delle residue funzioni amministrative concernenti la tutela dell'ambiente dall'inquinamento al 1° gennaio 1979, come se le Regioni avessero una specie di incapacità organica a disciplinare la materia, proprio quando le stesse, ed in particolare la Regione Piemonte hanno già da tempo - e fin dalla I legislatura - provveduto ad approvare leggi atte a disciplinare in modo programmatico la materia.
In luogo della pignolesca descrizione delle competenze riservate allo Stato in materia di inquinamento, di cui all'art. 63, ci sembrerebbe piuttosto opportuno che lo Stato fissasse limiti di massima in materia di emissioni di fumi, di emissioni sonore e di scarichi idrici e che le Regioni potessero a loro volta definire, nel, quadro dei limiti nazionali dei valori regionali che tengano conto delle condizioni ambientali locali provocate dalle varie fonti d'inquinamento.
Per le altre previsioni dell'art. 63, come gli interventi straordinari a tutela della pubblica incolumità e la protezione dall'inquinamento radioattivo, è opportuno considerare la funzione regionale come concorrente con quella statale. Merita infine osservare che il problema dello smaltimento dei rifiuti solidi ha acquistato negli ultimi tempi una tale rilevanza e complessità che la disciplina prevista dalle leggi statali e la competenza riconosciuta ai Comuni non possono più essere ritenute idonee alla soluzione del problema. S'impone pertanto il riconoscimento della funzione propulsiva e programmatoria della Regione nei riguardi degli Enti locali, anche al fine di assicurare la possibilità di adozione di una politica tariffaria complessiva della raccolta, del trasporto e dello smaltimento che garantisca una gestione finanziaria dei Comuni uniti in Consorzi, atta a non aggravare ulteriormente i deficit dei bilanci degli Enti locali.
Mi pare di dover sottolineare, in un'occasione come questa, la dimensione grave assunta dal problema agricolo-alimentare e conseguentemente, il ruolo che possono e devono svolgere le Regioni in primo luogo, ma anche gli altri Enti locali, per contribuire alla sua soluzione. La Costituzione della Repubblica assegna alle Regioni potestà primaria legislativa e funzioni amministrative proprio nel campo dell'agricoltura e delle foreste. Con una battaglia lunga e tenace si è riusciti a conservare spazi cospicui all'attività delle Regioni in questo campo, anche nei confronti della stessa CEE, per esempio per quanto concerne l'attuazione delle direttive comunitarie sulle strutture. Le Regioni debbono, perciò, diventare le protagoniste di una nuova politica agraria, rompendo la sterile gestione centralistica che ha dimostrato, in questi anni, di non essere assolutamente in grado di assicurare lo sviluppo del settore. La grave crisi strutturale e congiunturale che ci colpisce, e che colpisce le nostre campagne, ne è la riprova.
Affermiamo quindi il carattere centrale della questione agraria per ogni prospettiva di rinnovamento economico, sociale e politico; ma una nuova politica agraria esige l'affermazione del ruolo fondamentale e primario delle Regioni le quali, attraverso l'esercizio effettivo della potestà legislativa conferita ad esse dalla Costituzione direttamente possono e debbono effettuare scelte maggiormente aderenti alla realtà. Solo le Regioni, abbandonando forme e modi del passato, possono programmare interventi organici, articolati attraverso i piani di zona, per modificare le strutture fondiarie e agrarie, ma anche quelle industriali e commerciali, creando le condizioni per uno sviluppo armonico della nostra società.
Per raggiungere questi obiettivi, oltre alla valorizzazione del piano di zona, le Regioni devono gestire tutti gli strumenti dell'incentivazione: credito agrario, informazione socio-economica, assistenza tecnica integrazione dei redditi. Il documento di Milano ricostruisce il quadro organico delle competenze regionali, e ad esso facciamo riferimento unitamente alle proposizioni normative della Commissione Giannini - per una equilibrata soluzione dei problemi concernenti il trasferimento delle funzioni relative. Siamo inoltre convinti che per una effettiva regionalizzazione della politica agraria è necessario riprendere l'azione per la democratizzazione degli Enti che operano nel settore, in primo luogo la Federconsorzi, per riguadagnare la concreta autonomia. I Consorzi agrari devono diventare gli strumenti dei quali si possono avvalere gli Enti locali e le Regioni per determinare concretamente il loro intervento nel settore agricolo.
E' ormai patrimonio culturale comune a quanti rivolgono la loro attenzione ai fatti interessanti l'agricoltura italiana che, nella stretta connessione fra politica agraria comunitaria, gioca a grave sfavore dell'economia nazionale la nostra inferiore capacità produttiva. La costante mancata considerazione delle differenze strutturali e delle diverse capacità produttive nazionali nella politica comunitaria è la causa del mancato progresso dell'agricoltura italiana. Si pone quindi con grande evidenza la necessità di reclamare con forza una profonda revisione della politica comunitaria che, basata esclusivamente sul sostegno indiscriminato dei prezzi, non solo non è riuscita fino ad ora a garantire ai produttori redditi adeguati a quelli degli altri settori di produzione, ma ha creato tensioni e crisi continue che mettono in pericolo i precari equilibri del difficile processo di integrazione europea. In altre parole, l'azione di sostegno indiscriminato dei prezzi ha favorito solo i grandi imprenditori e si traduce nella accumulazione e nello spreco di grandi quantità di eccedenze.
La linea da seguire, a nostro avviso, è di puntare prevalentemente sulla politica di ammodernamento ed adeguamento delle strutture, avendo riguardo al gravissimo fenomeno della frammentazione dell'impresa agricola mentre si sta facendo sempre più chiara l'esigenza che il mondo imprenditoriale agricolo assuma un ruolo di protagonista nell'elaborazione e nella gestione di una necessaria programmazione economica.
Il nodo che la programmazione economica in agricoltura deve affrontare è l'aumento della redditività aziendale, considerata non solo dal lato dei livelli del prezzo del prodotto, ma anche e soprattutto dal lato del valore dei costi di produzione. In questo quadro appare evidente che l'attuazione della 382 debba adeguarsi alle nuove necessità come quella di affrontare il problema del rapporto industria-distribuzione-agricoltura. Sono necessari accordi fra settore industriale e quello agricolo proprio per regolare i problemi derivanti dalla utilizzazione dei prodotti agricoli da parte dell'industria. Da ciò la necessità di disciplinare la costituzione delle associazioni dei produttori agricoli e della delega alle Regioni per il loro riconoscimento, l'istituzione di un albo regionale e la costituzione di un apposito comitato con compiti e procedure da regolarsi con legge regionale. Con tale strumento i produttori, singoli e associati, potranno essere utilizzati per produrre secondo programmi deliberati per vendere i prodotti, anche lavorati o trasformati, garantiti dalla forma dell'associazionismo.
L'attuazione della 382 dovrebbe essere l'occasione di favorire alle Regioni una normativa di principio che, nel rispetto di alcune linee di carattere generale, lasci ad esse la più ampia libertà di legiferare in materia di credito agrario, secondo le esigenze peculiari dell'agricoltura di ciascuna Regione, al fine di favorire lo sviluppo di una politica creditizia di tipo imprenditoriale e non assistenziale, e che stimoli, da un lato, l'aumento e la qualificazione della produzione agricola dall'altro il miglioramento economico e sociale delle categorie agricole.
Prevedendo in ogni Regione l'istituzione dell'Istituto regionale di credito agrario, e, nelle Regioni dove già funzionano, la loro trasformazione in Istituti regionali la cui struttura e funzionamento siano concepiti in modo da consentire un efficace intervento, di propulsione e di controllo, da parte della Regione e delle organizzazioni agricole, professionali e cooperative. E ancora, in armonia con il decentramento regionale l'unificazione di tutti i fondi di rotazione statali in un unico fondo e la sua successiva regionalizzazione; e la regionalizzazione del Fondo di solidarietà nazionale, tuttora gestito in sede ministeriale con risultati insoddisfacenti, sia per quanto riguarda i criteri applicativi sia per ci che attiene ai tempi di attuazione.
Si sono sviluppate in queste settimane, in relazione all'attuazione della 382, alcune iniziative in materia di turismo e di sport, al fine di ricercare soluzioni che consentano alle Regioni di essere messe in condizioni di operare con pienezza di poteri mediante il trasferimento delle funzioni e di poter contare sull'apporto partecipativo di tutti i settori della vita sociale per giungere ad un nuovo indirizzo di sviluppo non più a carattere episodico, ma fondati su piani regionali sostenuti da finanziamenti sufficienti e gestiti in modo diverso da quello basato sui vecchi metodi d'incentivazione di tipo assistenziale; per una riforma dell'ordinamento pubblico del turismo che consenta alle Regioni di servirsi di strumenti d'intervento più moderni ed efficaci degli attuali configurati nel coordinamento che i Comprensori operano nelle attività di programmazione promossa dagli Enti locali e dalle U.L.S.; per il sostegno promozionale all'estero collegato alla riforma dell'ENIT inteso quale sede di auto-coordinamento regionale in materia di promozione turistica.
Per il completamento dell'ordinamento regionale deve essere sostenuta la necessità della riforma in chiave regionale dell'ENIT, nel senso che pur restando ferma a livello nazionale l'esigenza di coordinamento di tutto il lavoro di promozione turistica all'estero effettuato e da programmare dalle Regioni, il coordinamento non può essere realizzato a livello delle attuali strutture. Dovrà invece essere costituito un apposito organo centrale di collegamento e di programmazione con la partecipazione degli Assessori regionali. In tale prospettiva si colloca la trasformazione dell'ENIT in organismo tecnico-operativo, quale strumento proprio dell'organo centrale di collegamento e di programmazione. La nuova classificazione alberghiera, una nuova disciplina degli impianti extra alberghieri e dell'attività delle agenzie di viaggio e delle altre attività d'intermediazione, superamento degli E.P.T. e la riforma delle aziende autonome e delle strutture periferiche del turismo per adeguarle alla nuova realtà dei Comprensori, consentiranno di fornire, nel pieno rispetto delle autonomie regionali e locali, un preciso quadro di identificazione dell'operatore pubblico del settore.
Solo attraverso la piena potestà legislativa ed amministrativa, anche a livello finanziario, le Regioni potranno svolgere appieno il loro ruolo di soggetti della programmazione economica, sostenendo le piccole e medie aziende e promuovendo lo sviluppo della cooperazione. La questione degli EPT richiama un aspetto generale dello schema, che è il modo in cui sono considerati gli enti strumentali operanti a livello locale. Lo schema non dice niente - con la sola eccezione degli ECA - circa la potestà regionale per una loro conservazione o abolizione, il riordino e le funzioni. Si cela dietro il silenzio della legge delegata, il tentativo di vincolare le Regioni ad un quadro istituzionale prefissato. E' il caso delle Camere di Commercio, degli I.A.C.P., dei patronati scolastici, e così via, per i quali le Regioni hanno formulato proposte precise ed inequivoche. Il problema, al di là di generiche assicurazioni, si pone in quanto nonostante le esplicite riserve di competenza allo Stato, si evidenzia nella esperienza maturata in occasione dell'esame da parte degli organi di governo delle leggi regionali di riordino degli organismi e delle funzioni del settore, una generale condizione di rinvio che certamente non contribuisce né al potenziamento dell'attività di governo degli organi elettivi né alla necessaria eliminazione della duplicazione delle strutture e dei settorialismi d'intervento.
Nella società contemporanea lo sport, una delle articolazioni importanti del tempo libero, è stato considerato generalmente un bene accessorio. La concezione dominante nello sport ha finito in questi trent'anni per privilegiarne gli aspetti spettacolari, per lo più finalizzati a momenti di evasione dai problemi reali del Paese, anzich evidenziare e sostenere le componenti culturali connaturate in una concezione integrale della formazione e dello sviluppo psico-fisico dell'uomo. Cosicché, nonostante la crescita della domanda di pratica sportiva, si è venuto sviluppando un sistema teso più allo sfruttamento privatistico della pratica sportiva che non diretto alla creazione di un servizio sociale per tutti i cittadini dalla prima infanzia. La stessa diffusione degli impianti, le sollecitazioni derivate dalla informazione scritta e televisiva, hanno teso a favorire lo sport spettacolo, salvo poche lodevoli eccezioni, richiamando l'attenzione sugli aspetti competitivi e professionistici delle attività sportive e sottovalutando oggettivamente quelli culturali, sanitari, sociali.
Il disinteresse dimostrato dallo Stato per una politica globale e per un disegno riformatore di tutto il settore del tempo libero e in esso dello sport, si è estrinsecato non solo nell'assenza di una politica organica di valorizzazione delle componenti sociali e culturali insite nel fenomeno sportivo, ma nella vanificazione delle indicazioni contenute nelle proposte della Commissione Giannini a proposito dello sport nella legge 382. Il tutto mentre il permanere di una vecchia delega al Coni consentiva a questo organismo pubblico di assumersi parziali ed incomplete responsabilità che competono proprio allo Stato. Lo sport nella molteplicità dei suoi indirizzi può contribuire a modificare, anche in maniera notevole, la qualità della vita; è un diritto civile che lo Stato deve garantire a tutti i cittadini creando un servizio rispondente alle esigenze nel campo delle attività motorie, nell'educazione fisica a livello scolastico e della pratica sportiva. Nel quadro di una politica di riforma (scolastica sanitaria, urbanistica), di riassetto del territorio, vengono coinvolte nella battaglia per il riconoscimento di questo diritto civile le istituzioni e le forze interessate alla realizzazione del servizio sociale nel tempo libero. Servizio che deve assolvere nello Stato delle autonomie decentrato, e nell'attuale situazione italiana, ad una duplice funzione promozionale ed occupazionale di cui si avverte soprattutto l'esigenza.
Spetta alle Regioni la responsabilità della programmazione degli interventi, nonché del coordinamento degli strumenti operativi destinati a realizzarli. Alla luce dell'esperienza acquisita sul piano legislativo e coerentemente con il dettato costituzionale, ribadito dalla Commissione Giannini, il PSI riafferma che i decreti delegati in attuazione della legge n. 382 debbono sancire in maniera netta ed inequivocabile la competenza delle Regioni ad operare anche nel settore sportivo, con il diritto a legiferare. L'attuazione democratica di un piano di sviluppo è legata al grado di partecipazione che si riesce ad assicurare ed all'esistenza di strumenti che, oltre a fissare gli obiettivi da raggiungere nelle varie fasi, agiscano da centri di coordinamento e di promozione delle iniziative.
Tali strumenti potrebbero essere i Comitati regionali ed il Comitato nazionale dello sport, nell'arco della globale riforma del settore del tempo libero.
Nei Comitati regionali dovrà essere assicurata la partecipazione della scuola, degli Enti locali, delle associazioni sportive e promozionali sportive, delle confederazioni sindacali, del Coni e delle Federazioni. Al Comitato nazionale dello sport composto in maggioranza da rappresentanti delle Regioni e formato da rappresentanti degli istituti e dalle associazioni presenti a livello nazionale e regionale, dai sindacati e dagli Enti pubblici che si occupano del settore a livello nazionale spetta il compito principale di predisporre piani pluriennali di sviluppo che pongano fine, a medio termine, agli squilibri esistenti nell'impiantistica e nelle attività motorie sportive. Il Comitato dovrà ripartire le somme destinate dallo Stato alle Regioni secondo parametri che tengano conto dei criteri fissati dalle leggi e dalla dotazione degli impianti esistenti nelle singole Regioni e nelle varie aree del Paese. Mi pare quasi inutile riconfermare la posizione dei socialisti in merito alle competenze europee delle Regioni: si tratta di argomento che il nostro Consiglio ha già largamente approfondito ed in ordine al quale la normativa prevista dallo schema non può certamente soddisfarci.
Non solo per il modo in cui regola i rapporti tra Stato e Regione per le materie trasferite, ma per non aver recepito il principio, per noi essenziale, della partecipazione delle Regioni in ordine alla definizione delle proposizioni che il nostro Governo deve assumere in sede comunitaria e all'attuazione nel nostro ordinamento delle norme e delle politiche comunitarie, soprattutto quando si consideri che numerose Regioni hanno presentato da tempo al Parlamento nazionale proposte di legge in tal senso.
Ci preoccupa infine il fatto che in una situazione quale si è creata con l'emanazione dello schema - tutto da rifare, tutto da riscrivere - le Regioni, dopo avere espresso il loro parere, non abbiano più, almeno dal punto di vista della previsione legislativa di cui all'art 8 della 382 alcuna possibilità d'intervento. Sarebbe bene che le Regioni assumessero un'iniziativa intesa a creare un collegamento con la Commissione parlamentare per le questioni regionali affinché questa, prima di esprimere il parere definitivo sulle norme delegate - nei 30 giorni ad essa assegnati dall'ultimo comma dell'art. 8 - tenga una udienza conoscitiva con le Regioni, perché anche esse siano messe in condizioni di presentare le loro definitive conclusioni.



PRESIDENTE

C'è ancora tempo per un intervento. Se il Consigliere Marchini lo desidera può prendere la parola per l'ultimo intervento della mattinata.
Consigliere Marchini, ha facoltà di parlare



MARCHINI Sergio

Penso di rispettare l'impegno da lei raccomandato nella sua comunicazione di essere estremamente breve. La brevità deriva da un debito di coerenza che mi tocca come rappresentante di una forza politica che si è opposta alla legge di delega al Governo per l'approvazione dello schema oggetto di discussione. Nei confronti delle forze politiche che hanno approvato questa legge, mi pare debba essere censurato il fatto che non si siano poste il problema se il risultato che oggi abbiamo davanti non sia il risultato di un'elaborazione insufficiente ed inadeguata della legge delega, oppure se la legge delega è inadeguata: questo ritengo sia il nodo politico su cui le forze politiche devono esprimersi. Chiaramente, come forza impegnata a far crescere la Regione nella funzione che non solo la Costituzione ma la nuova realtà del Paese le pone, non posso non condividere le considerazioni dei colleghi già intervenuti sui limiti sulle grossolanità, possiamo anche dire, che caratterizzano lo schema di legge 382.
Peraltro mi preme di ricordare che, esprimendo il suo parere negativo alla Camera, un nostro deputato ebbe a dire che invece di tentare di risolvere il problema in termini empiristici, si doveva procedere ad un disegno riformatore di carattere globale. In effetti, proprio per l'intervento svolto prima da Calsolaro, cioè per le ragioni che egli ha voluto evidenziare, che non dobbiamo lasciare correre questa occasione per fare veramente la seconda fase della vicenda regionale, ritengo indispensabile che le forze politiche esprimano in termini molto chiari e precisi cosa intendono fare. Forzare il dibattito a livello di consultazione, se così la vogliamo chiamare, fino al punto di fare saltare la delega e quindi richiedere una nuova delega con principi diversi oppure, e questa è una scelta politica, accettare il meno peggio, e di conseguenza accettare il decreto che chiaramente dovrà uscire entro il termine che ci ha indicato il Presidente. Mi pare che le forze politiche su questo problema fondamentale non si siano espresse. Pertanto condivido sottoscrivo completamente le censure di tipo analitico che il collega Calsolaro ha fatto e altre che ho avuto modo di sentire elaborate da altre Commissioni. Tutta questa mole di lavoro, proprio in relazione al problema di natura costituzionale che andiamo a mettere direi come sottolineatura su tutta questa vicenda, rimarca nella misura in cui le considerazioni di carattere analitico nostro non trovino poi una rispondenza nelle norme della legge delega ed evidentemente rischiamo di sciupare il nostro lavoro e di aggiungere altri sospetti di incostituzionalità oltre quelli che già per esempio sono presenti, tipo l'intervento sostitutivo del Consiglio dei Ministri nell'attività regionale. In questa misura esprimo un giudizio direi risoluto nei confronti di questo schema di legge che va respinto sia come conseguenza di una decisione politica che a suo tempo abbiamo respinto, sia come elaborazione di una decisione politica già inizialmente viziata, dalle note indicate dalla signora Castagnone Vaccarino soprattutto da un centralismo burocratico estremamente grossolano, di tipo reazionario e anche culturalmente non adeguato.



PRESIDENTE

Signori Consiglieri, mi pare che questa mattina abbiamo utilizzato bene il tempo che avevamo a disposizione, per cui vi sono stati ben nove interventi e la relazione introduttiva. Vi sono ancora molti Consiglieri iscritti a parlare però ritengo che concluderemo in tempo utile i nostri lavori. Credo che anche tutti i funzionari del Consiglio siano stati diligentemente impegnati a redigere i sunti degli interventi dei Consiglieri. Suggerirei l'opportunità di uno scambio di idee fra i Capigruppo alle ore 15 o 15,30, oppure anche più in là, nel corso del pomeriggio: in sostanza comincio già ad annunciare la riunione dei Capigruppo come ipotesi possibile per una conclusione, diciamo così metodologica del nostro dibattito.
Intanto riconvoco il Consiglio regionale per oggi pomeriggio alle ore 15, per riprendere il dibattito sulla 382. Direi che la seduta debba iniziare alle ore 15, come del resto era scritto nella convocazione, perch altrimenti, essendoci molti Consiglieri ancora iscritti a parlare, poi le dichiarazioni di voto e la votazione sul documento conclusivo, andremmo ad ora troppo tarda.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 13)



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