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Dettaglio seduta n.97 del 15/10/91 - Legislatura n. V - Sedute dal 6 maggio 1990 al 22 aprile 1995

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SPAGNUOLO


Argomento: Presidente della Giunta Regionale

Richiesta di informazioni da parte del Consigliere Cucco sul viaggio effettuato a Roma dal Presidente della Regione


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
La parola al Consigliere Cucco.
CUCCO Vorrei poter conoscere l'ora di rientro in aula del Presidente della Giunta: a Roma si è tenuta una riunione molto importante e vorrei esserne informato direttamente dal Presidente della Giunta e non dai giornali domani.



PRESIDENTE

Lo farò presente.


Argomento: Urbanistica (piani territoriali, piani di recupero, centri storici

Esame progetto di legge n. 98: "Modifica alla legge regionale 5 dicembre 1977, n. 56" (seguito)


PRESIDENTE

Proseguiamo la discussione generale sul disegno di legge n. 98.
La parola al Consigliere Cavallera.
CAVALLERA La disciplina di tutela ed uso del suolo indubbiamente presenta forti connessioni di natura politica ed istituzionale con problemi più generali relativi al riordino delle funzioni amministrative ed alla ridefinizione delle procedure di programmazione. In particolare, pone questioni peculiari in ordine alla, riorganizzazione degli strumenti di pianificazione e delle strutture digestione urbanistica e del territorio. Tutto ciò viene considerato in questa fase di attuazione della legislazione nazionale, ad iniziare dalla legge n. 142, sulla quale Giunta e Consiglio stanno lavorando sotto diversi aspetti. Ricordato che ogni prospettiva di evoluzione per gli anni '90 deve vedere coniugato lo sviluppo con la qualità della vita, quali sono le condizioni in cui ci troviamo da questo punto di vista? Quali sono le prospettive che si aprono per una Regione che come il Piemonte si candida ad essere uno dei poli trainanti dell'Italia proiettata in Europa? La situazione oggettivamente non è delle migliori.
La modernizzazione globale delle strutture urbane in Piemonte, pur avendo avuto un certo risveglio dopo gli anni del ristagno, non risulta ancora sufficientemente sviluppata e soprattutto si rivela inadeguata rispetto alla posizione di una società in continuo fermento. L'evoluzione del sistema attraverso l'assimilazione nel tessuto sociale delle nuove istanze che si vengono a creare esige un diverso approccio, soprattutto culturale, ai problemi del riassetto e della pianificazione del territorio.
In una società che si apre al Duemila, in un contesto di relazioni internazionali nel quale cresce sempre di più la competizione, occorre da parte della Regione una grande capacità di coordinamento a fronte di interventi complessi da realizzare soprattutto attraverso il concorso di soggetti promotori molteplici, ciascuno da integrare in un quadro di finalità comuni. In questo quadro di processi evolutivi ed alla luce della nuova riforma degli enti locali sarà di importanza cruciale attribuire agli strumenti urbanistici funzioni di indirizzo che sappiano rapportarsi correttamente nel confronti delle tendenze di trasformazione dei soggetti reali.
Dare certezze fondamentali ad un settore importante come quello della gestione del territorio, inquadrandolo dentro un sistema di riferimento preciso ma flessibile, è la risposta che l'istituzione regionale deve saper dare. E oggi, con le proposte di modifica della legge n. 56, a mio parere siamo sulla strada giusta per raggiungere questo obiettivo.
Nel corso dei lavori della II Commissione, quest'anno abbiamo avuto due importanti momenti di confronto sui temi urbanistici con l'Assessore Carletto: dapprima, quando ha esposto le linee politiche e gli orientamenti operativi in relazione alle sue deleghe e successivamente quando abbiamo esaminato il provvedimento che stiamo discutendo in questa sessione.
L'analisi dello stato della pianificazione urbanistica di livello comunale la realistica valutazione delle potenzialità e delle possibilità operative della macchina regionale, le esigenze manifestate da larga parte delle amministrazioni comunali circa una normativa troppo pesante, la volontà di snellire procedure che potrebbero penalizzare la nostra Regione nel confronto con altre, hanno indotto infatti la Giunta regionale a presentare questo disegno di legge, che apporta limitate ma significative modifiche alla vigente legge urbanistica regionale.
Questo è il presupposto di una proposta che ha il merito di essere chiara e realistica, poiché definisce meglio ruolo e funzioni della Regione e dei Comuni nel processo di pianificazione urbanistica, senza alcuna volontà di smantellare un impianto legislativo che, colmando lacune pregresse, ha avviato la prima fase della pianificazione urbanistica nella nostra Regione, raggiungendo il risultato di ridurre a circa cento su 1200 i Comuni sprovvisti di strumento urbanistico generale approvato: mentre sono circa 900 i Comuni interessati da strumento urbanistico approvato ai sensi della legge n. 56 e per circa altri 200 lo strumento urbanistico generale, già adottato dal Consiglio comunale, è in itinere presso la Regione.
Innanzitutto va respinto il tentativo di qualcuno che tende a semplificare il confronto identificando due posizioni: da un lato i fautori della legge esistente, che si pongono in trincea a difesa di alcuni principi e di una prassi ormai consolidata, dall'altro i sostenitori di questo disegno di legge, che viene definito fonte di illegittimità eccessiva discrezionalità assessorile causa di prevedibili fenomeni speculativi, in una parola un vero e proprio disastro annunciato. Mi sembra una semplificazione che se può anche essere utile al confronto, attesa la giustificazione di maggioranza o di opposizione da parte di ciascuno, non corrisponde certamente ai presupposti con i quali, ad esempio, il nostro Gruppo affronta una materia complessa qual è l'urbanistica. Innanzitutto si condivide la proposta qualificante della Giunta regionale, sostenuta dall'Assessore Carletto, di addivenire entro la legislatura alla revisione generale della disciplina urbanistica per dare attuazione alla legge n.
142, che assegna ruoli nuovi a Comuni e Province, ma soprattutto per dotare la nostra Regione di norme e procedure adeguate agli anni Duemila intendendo questo riferimento non in termini mitici, ma come obiettivo contenente tutte le esigenze di una società che sta cambiando e nella quale si sono modificate le sensibilità verso l'ambiente e la tutela e fuso del suolo. Ci si attende quindi l'apertura di un dibattito politico che partirà soprattutto dagli approfondimenti scientifici e dal confronto culturale per sottoporre a verifica metodi e strumenti fin qui adottati. Ciò allo scopo di arrivare alla proposta di una nuova normativa che darà anche piena attuazione alla legge n. 142 riguardo le Province che, nel frattempo, si saranno strutturate per esercitare nuovi compiti in materia di pianificazione territoriale.
Se questo è l'obiettivo a medio termine, credo sia perfettamente legittimo nel breve termine apportare quelle limitate modifiche che l'esperienza gestionale consiglia per ovviare a problemi di applicazione legislativa, per sburocratizzare le procedure e per acquisire alcuni principi della legge n. 47/85.
Si possono muovere tutte le critiche che si vogliono al provvedimento che certamente non affronta tutte le questioni di grande respiro politico e tecnico, fuorché definirlo "1'inizio della deregolamentazione urbanistica nella nostra Regione".
Infatti, le modifiche comprendono anche norme che stimolano i Comuni ancora inadempienti sotto il profilo urbanistico, a formare il Piano regolatore, ponendo maggiore limitazione all'attività edilizia in caso di inerzia comunale. A questo va aggiunto l'impulso dato in ambito di Assessorato all'urbanistica per smaltire le giacenze di strumenti urbanistici, che denota l'opposto di quell'atteggiamento rinunciatario che qualcuno vuole intravedere nel disegno di legge. D'altro canto, si cerca di migliorare il rapporto tra la Regione ed i Comuni in materia di approvazione degli strumenti urbanistici tendendo a determinare le condizioni per cui, nell'ambito del sistema, si riescono finalmente a rispettare i tempi fissati dalla legge. Non si può non tener conto che passatala fase della prima applicazione della legge n. 56, è possibile riconoscere maggiori spazi di autonomia ai Comuni, pur nell'ambito di fattispecie ben definite, e ciò allo scopo di facilitarne la gestione urbanistica.
Una maggiore responsabilizzazione dei Comuni nella localizzazione delle aree per infrastrutture e nella scelta di strumenti urbanistici esecutivi o delle modalità di intervento con la previsione del controllo da parte della Giunta regionale, che potrà annullare le relative deliberazioni consiliari entro un termine rigido, costituisce certamente una risposta alle attese dei Comuni.
Altro che rinuncia al ruolo istituzionale della Regione! Semmai si pu parlare di una procedura innovativa che stimolerà la funzionalità e l'efficienza di una struttura regionale che viene maggiormente responsabilizzata. Ritengo inoltre non si debbano nutrire troppi timori per una vera o presunta crescita del potere discrezionale della Giunta o dell'Assessore poiché, se nella nuova normativa vi sono accentuazioni in tal senso, è senz'altro accresciuta la trasparenza in quanto vengono suddivisi compiti e responsabilità tra i soggetti interessati al processo decisionale.
Non si deve dimenticare che non è con l'accentuazione dei passaggi burocratici, anche se riguardanti organi collegiali, che ci si garantisce da interferenze o cedimenti ad interessi particolari che proprio negli eccessi del burocratismo possono annidarsi, mentre è più facile delineare il comportamento dei singoli investiti direttamente di ruoli decisionali.
Siamo comunque nel campo delle opinioni, per cui ritengo legittimo chiedere a coloro che sono maggiormente critici rispetto ad alcune nonne contenute nel disegno di legge di attendere un congruo periodo di sperimentazione prima di dare un giudizio totalmente negativo. Sono quindi da respingere le critiche più radicali al provvedimento che non costituisce certamente il sovvertimento della normativa in atto, bensì un tentativo di rendere più dinamica una legge che, in qualche caso, è sembrata essere più un blocco indiscriminato che uno strumento selettivo di tutela del territorio e di propulsione verso un diverso modo di governare le trasformazioni urbanistiche.
Mi sembra altresì eccessivo bollare questo provvedimento come fonte di imbarbarimento del diritto, soprattutto se si tiene conto delle condizioni oggettive in cui si opera, che fanno registrare in media sette, otto anni per approvare un Piano regolatore generale.
In questo caso, di cosa parliamo? Di diritto da Paese civile? Si era arrivati alla situazione in cui qualsiasi Amministrazione comunale non era in grado di portare a termine il Piano regolatore generale durante il corso quinquennale del proprio mandato. E' normale tutto questo? Non vi sono forse i presupposti di quell'eccezionalità indicata nella relazione che la Giunta ha allegato al ddl n. 98? Credo che sarebbe stata addirittura colpevole l'inerzia della Giunta regionale, se fosse restata ferma nell'attesa messianica della revisione generale della legge n. 56, per i tempi che comporta una simile operazione.
A questo proposito, anche sulle cosiddette anticipazioni, il giudizio non può non essere favorevole, soprattutto se si esamina la questione dal punto di vista dei vari Comuni del Piemonte interessati alla materia, fuori dalle zone metropolitane, per i quali la ridefinizione della salvaguardia attiva può risolvere dei problemi. E pur vero che hanno qualche fondamento le preoccupazioni verso le conseguenze della nuova nonna nell'area metropolitana, tuttavia ritengo non vi siano sufficienti, motivi per bloccare l'approvazione di una siffatta norma.
E' fuor di dubbio che l'atteggiamento della maggioranza, in particolare del nostro Gruppo, resti quello di disponibilità al confronto, così come è avvenuto in Commissione ritengo avverrà anche in questa sede, quando si passerà all'esame dei singoli articoli e degli emendamenti.
Per quanto riguarda la questione dei Programmi pluriennali di attuazione (PPA), credo che la scelta di esonerare tutti i Comuni con popolazione inferiore a 10.000 abitanti sia da condividere. E evidente come questo strumento amministrativo venisse considerato dai Comuni non come il momento per ordinare e graduare gli interventi edilizi, coordinandoli con il finanziamento e la realizzazione delle infrastrutture, ma come un ulteriore oneroso adempimento burocratico.
Giustamente si riserva la redazione del PPA a quei casi in cui l'ampiezza demografica rende efficace e necessario un simile strumento, e questo vale anche per quei Comuni inferiori ai 10.000 abitanti che saranno individuati in sede di Piano territoriale. Anch'io metto in risalto le modifiche introdotte in Commissione relativamente al reperimento del verde in Comuni limitrofi oppure al reperimento delle superfici a parcheggio in strutture sotterranee che dovranno tener conto della salvaguardia delle aree verdi sovrastanti.
Dobbiamo altresì dare atto del confronto approfondito che si è svolto in Commissione sull'abolizione del CUR e sulla costituenda Commissione tecnica urbanistica la cui composizione è stata migliorata per accentuarne il compito di organo di consulenza della Giunta sulle pratiche più rilevanti e di più incerta valutazione.
Concludendo, ritengo che la natura e la portata delle nuove norme che stiamo discutendo non giustificano né pregiudiziali critiche apocalittiche né incauti toni trionfalistici, poiché il ddl n. 98 costituisce, per stessa ammissione dei proponenti, un provvedimento limitato. E però un primo passo nella giusta direzione ed è la dimostrazione che gli impegni programmatici si possono mantenere se si opera coerentemente, giorno per giorno, per attuare il disegno prefissato.



PORCELLANA FRANCESCO



PRESIDENTE

Ha chiesto di intervenire il Consigliere Segre. Ne ha facoltà.
SEGRE Premetto che dividerò il tempo a disposizione del mio Gruppo con il Consigliere Miglio.
Voglio semplicemente introdurre alcune riflessioni di memoria storica sulla legge n. 56, nonché sul clima e l'ambito in cui la legge era nata e successivamente, il collega Miglio interverrà sul disegno di legge n. 98.
Ho rivisto alcuni documenti, che ormai si potrebbero definire storici come la relazione originaria sulla legge n. 56.
Come si legge nell'introduzione, il lavoro che portò alla legge che s'intitola non a caso "Tutela e uso dei suolo" e quindi è un qualcosa di più complesso che una legge-quadro urbanistica, comportò un lavoro notevole per il Consiglio regionale, in quanto fu approvata a seguito di 12 sedute di dibattito in aula e di 52 sedute di Commissione.
Ci troviamo ora di fronte al disegno di legge n. 98 ed alla volontà della Giunta di modificare tale legge, facendo passare per "adeguamento circoscritto", così come si legge nella relazione di maggioranza, anche ci che in realtà cambia notevolmente l'impianto di una legge che ha segnato ai suoi tempi, il primo organico tentativo di riforma urbanistica giunto in porto.
E' ovvio che la legge dopo 14 anni di applicazione senta il bisogno di essere rivista e, perché no, modificata. Ma ciò che traspare dal disegno di legge n. 98, camuffato sotto una volontà di sveltimento delle pratiche, è di fatto - almeno questo è il nostro pensiero - lo svuotamento di alcuni principi-base della pianificazione urbanistica e territoriale più in generale.
E pur vero che dal 1977 ad oggi sono cambiati i tempi e, soprattutto quell'ambiente sociale che un tempo ruotava intorno ai grandi temi territoriali. La grande partecipazione di allora attorno a questi temi di fatto oggi non c'è più o è ridotta a minimi termini; siamo in un periodo di minore attenzione a tutto, basti vedere come esempio il dibattito intorno all'area metropolitana, tutt'altro che innescato nella società civile essendo forse appena percepito anche dagli organismi istituzionali che dovrebbero prendervi una parte più attiva.
Il disegno di legge del 1977 si poneva non solo come una legge di principi, ma soprattutto come base per un'attenta ricognizione della realtà territoriale regionale, per fornire all'operatore pubblico degli strumenti coordinati di intervento sul territorio. Si riconosceva allora qualcosa che oggi può sembrare acquisito ma che - come già più volte anche in quest'aula ho avuto occasione di affermare - in realtà non è: non lo è in questa legge, non lo è in altre, non lo è nemmeno in quella sull'area metropolitana: il territorio è una risorsa sociale preziosa, il cui impiego va severamente disciplinato.
Già nel 1977 si prendeva atto che quello che veniva consegnato alle forze di governo era un territorio devastato - e oggi lo è molto di più non solo nei suoi aspetti fisici e ambientali ma anche in quelli sociali e produttivi.
Tenendo conto di ciò, la pianificazione urbanistica non veniva più vista con il fine esclusivo di disciplinare l'assetto e l'incremento edilizio dei centri abitati, ma come riferimento coordinato ed organico per ogni trasformazione del suolo. L'obiettivo era ben esplicitato nella relazione della legge n. 56, laddove si diceva che era chiaro l'intento di infrangere, almeno negli strumenti, l'antinomia tra città e compagna, e di attribuire uguale attenzione alle diverse funzioni svolte sul territorio.
Tra questi obiettivi vi era anche l'esigenza, certamente molto più sentita allora che adesso, di adottare strumenti di partecipazione reale al processo di pianificazione e gestione del territorio, creando i necessari spazi giuridici per la discussione. Uno dei fattori che veniva individuato come pregiudizio di efficienti strumenti operativi era l'individualità dei singoli piani e il suo necessario superamento. In quest'ottica - e non solo in questa - l'eliminazione del piano di fabbricazione; veniva invece introdotto quello che oggi è fatto obbligo per Comuni di determinate dimensioni, il Piano pluriennale di attuazione, che emergeva allora come momento fondamentale di assunzione di responsabilità politica per la gestione del territorio da parte dei Comuni.
Non ho voluto far questa breve premessa solo per onore della storia che probabilmente gran parte dei presenti conoscono, e nemmeno per dire che tutto quanto contenuto nella legge n. 56 era bellissimo e che quindi che si tratta di una legge da non modificare e dibattere.
A me interessava inquadrare come era nata la legge urbanistica regionale e come, di fatto, la si , voglia modificare oggi.
Senza dilungarmi oltre circa le innovazioni alla legge n. 56 apportate dal disegno di legge n. 98, che saranno oggetto dell'intervento del collega Miglio, vorrei sottolineare come la legge fosse nata in un indubbio periodo di pensiero forte sul ruolo della pianificazione territoriale ed urbanistica. Legge che viene modificata in un momento e con un approccio di pensiero debole, in cui gli aspetti normativi e amministrativi vengono fatti prevalere sul fatto politico di essenziale importanza che risulta essere, per una Regione, avere una buona legge urbanistica. Anche per quel che riguarda gli aspetti ambientali, buona parte di essi devono passare prima o poi, attraverso uno strumento urbanistico che oltre all'enunciazione della salvaguardia ambientale come fine - cosa che troviamo ormai quasi in ogni piano - deve fornire gli strumenti operativi per una buona gestione del territorio anche sotto il punto di vista della tutela ambientale.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Miglio.
MIGLIO Dopo alcuni mesi di lavoro in sede di Commissione, il disegno di legge di modifica della legge regionale n. 56 del 1977 "Tutela, e uso del suolo" approda in quest'aula per il dibattito finale.
E' questo, a nostro avviso, il primo passo - come peraltro si legge anche nella relazione introduttiva presentata dall'Assessore in accompagnamento al disegno di legge stesso - di un progetto complessivo messo in cantiere dall'Assessore all'urbanistica e dalla Giunta, il cui obiettivo è di addivenire ad un'integrale revisione della legge-quadro e produrre un nuovo apparato normativo e strutturale della pianificazione urbanistica territoriale.
L'operazione viene giustificata facendo riferimento a due ordini di necessità: quella di ridefinire il quadro della programmazione e dei rapporti tra le Amministrazioni alla luce delle modifiche introdotte dalla legge n. 142/90 sulle autonomie locali e, in secondo luogo, quella di dare una risposta in riferimento ai nuovi concetti di "piano", che abbandonano quello di tipo comprensivo per proporre o uno strumento incidente sulla forma fisica della città e sulla qualità degli spazi urbani o, viceversa uno che sia giustificazione parziale e incompleta delle scelte di azione.
Volevo soffermarmi in primo luogo su queste questioni generali, di merito, e sulla riflessione che per sommi capi è stata introdotta anche nella replica di stamani dell'Assessore, ovvero su quello che dovrebbe essere il nuovo ruolo di piano, e nello specifico del Piano regolatore generale comunale.
Come accennato, le opzioni sono due: ridare validità a questo strumento e farne il cardine della pianificazione stessa o, viceversa, accettare l'ipotesi che il PRGC diventi una giustificazione parziale e incompleta delle scelte di azione.
Che cosa emerge? Non è chiaro innanzitutto a quale idea di pianificazione realmente si intende fare riferimento: in secondo luogo quale sarà il ruolo del Piano, così come verrà concepito e riformulato nella successiva legge di riforma complessiva della legge-quadro attualmente vigente, in terzo luogo quali saranno i rapporti futuri tra i vari strumenti.
Al contrario, da una parte possiamo rilevare un'ipotesi di scorporo da un testo unico di riflessioni interdisciplinari che si traducono, come già fatto notare stamane, in una suddivisione di due approcci estremamente significativi, quello propriamente urbanistico e quello territoriale, in due leggi diverse e separate: dall'altra si nega il risultato di un dibattito che in Italia, nell'arco di diversi anni, era riuscito a trovare nuove ipotesi anche attraverso la concretizzazione di una legge nazionale come la 431 che con forza e, guarda caso, nello stesso anno di emanazione della legge Nicolazzi (almeno così conosciuta), riproponeva un modo diverso di fare pianificazione del territorio.
In che termini? Cercando di coniugare un approccio urbanistico riferito quasi unicamente al costruito, con uno che metteva in evidenza i valori complessivi presenti sul territorio, elevato a paesaggio. Rispetto a queste questioni, credo sia importante, come ha cercato di far emergere nell'intervento precedente la collega Segre, partire dal significato iniziale della legge regionale 56 del 1977. Questa era sì una legge-quadro urbanistica, però aveva anche un chiaro riferimento a un approccio territoriale esteso a tutta la regione, per cui si poteva pervenire alla definizione degli strumenti urbanistici a livello comunale solo a seguito di una definizione degli indirizzi, delle strategie, degli obiettivi che dovevano essere identificati nel Piano territoriale regionale.
A nostro modo di vedere, questo tipo di strutturazione non deve essere lasciato inefficace, ma al contrario deve essere ripreso e rafforzato proprio con quei contenuti che la legge Galasso in un certo modo riusciva a proporre.
Quindi, rivedere il quadro della pianificazione sì, pero a partire dalla compattezza e dalla coerenza della legge-quadro urbanistica ancora vigente, al di là del fatto che la stessa - lo riconosciamo anche noi presenta vizi dovuti al periodo nel quale è stata redatta ed anche alle successive modificazioni, man mano subite dall'articolato nel suo complesso.
L'altra questione per noi importante, sempre alla luce di questo tipo di riflessioni, è che ci troveremo di fronte a un ripensamento complessivo di una legge-quadro con uno scenario profondamente mutato, che vedrà due leggi diverse, una riferita ai piani regolatori generali comunali e l'altra riferita, nel suo insieme, alla pianificazione territoriale.
La giustificazione addotta dall'Assessore questa mattina in verità mi ha molto stupito. Lui tende a sostenere il fatto che i Piani regolatori generali comunali sono atto di gestione e che quindi è legittimo scorporarli dalla pianificazione territoriale. Per me le cose non sono così, nel senso che i piani regolatori generali sono di fatto l'atto che, a livello più minuto ed effettivamente incidente sul locale, danno concretezza alle indicazioni che a livello regionale devono essere tradotte col Piano territoriale.
Noi riproponiamo con forza la ragionevole prospettiva di un miglioramento, di un rinnovamento della pianificazione. In questo senso si possono intravedere tendenze che, sotto la spinta di acquisizione delle scienze naturali, dell'ecologia, dell'archeologia, dell'antropologia nonché della geografia e della storia, identificano il territorio come il "sistema" dei sistemi, entro cui ogni trasformazione deve essere valutata per i suoi effetti immediati e nel lungo periodo, in riferimento a tutti i sottosistemi componenti.
La disciplina della pianificazione deve mettere al centro di ogni considerazione la valenza ambientale del territorio ed i valori ivi presenti, in modo da assumere le decisioni sulla base del mantenimento di quei segni manifesti che sono da una parte sede della memoria storica e dall'altra, elementi che assumono il ruolo di stabilizzatori ecologici.
La pianificazione deve attribuire al Piano un contenuto progettuale capace di considerare gli aspetti funzionali, gestionali e fisici della conservazione e trasformazione in modo integrato. Un piano deve riconoscere, prima di tutto, i caratteri qualitativi del territorio, ovvero le risorse ed i beni, per poi stabilire le modalità del loro coinvolgimento nei processi di sviluppo socio-economici, per programmare e pianificare le trasformazioni e le opere di conservazione. Dunque, non più una divaricazione tra parti eccezionali da salvaguardare in modo specifico quindi da sottrarre al degrado, dedicandovi un'attenzione particolare ed un resto da utilizzare liberamente, da edificare e consumare ma, viceversa, un territorio inteso come sistema ambientale complesso, da tutelare nel suo insieme attraverso diverse regole.
Un piano deve preliminarmente indagare e localizzare quei beni che costituiscono delle in varianti del sistema territoriale ambientale e sulla base di queste, dettare le appropriate discipline per l'uso e le condizioni per le scelte di sviluppo.
Secondo noi, questi principi valgono tanto per un Piano territoriale quanto per un Plano regolatore generale comunale e quindi non vediamo l'utilità di introdurre dei principi che tendono a identificare in questo strumento di pianificazione locale solo un ruolo di mera gestione e nel Piano territoriale invece un ruolo di proposizione, di coordinazione, di identificazione degli obiettivi e delle strategie.
Altra questione sulla quale volevamo riflettere è quella più specifica inerente il disegno di legge presentato e in discussione in questo momento in aula. La volontà è quella di razionalizzare, secondo quanto detto alcuni procedimenti burocratizzati e dilazionati nel tempo, nonché recepire alcuni principi della legge 47 del 1985, meglio conosciuta come legge Nicolazzi, o della sanatoria dell'abusivismo edilizio e relativa deregolamentazione dell'urbanistica.
La Giunta intenderebbe così accogliere le istanze di semplificazione avanzate dalle Amministrazioni locali, relative ad un'accelerazione delle procedure e snellimento dei controlli su alcuni strumenti urbanistici, in primo luogo le varianti e gli adeguamenti dei piani regolatori generali comunali, i piani particolareggiati e i programmi pluriennali di attuazione.
Per quanto riguarda questa collocazione di pensiero, a noi pare di dover rilevare quanto segue. Anche nella presentazione fatta dal Presidente della Commissione veniva detto che il disegno di legge è un adeguamento circoscritto, in quanto si limita ad adeguare alcune norme fonti di problemi applicativi ed a razionalizzare alcuni procedimenti amministrativi. Inoltre, il disegno di legge non coinvolgerebbe l'impianto legislativo nelle sue fondamenta, rispondendo a precise domande poste dalle realtà locali.
A nostro avviso, invece, questo provvedimento non è circoscritto, nel senso che non è il numero degli articoli toccati che può giustificare fuso di tale terminologia, viceversa bisogna fare un ragionamento sugli effetti che l'applicazione di un disegno di legge di trasformazione dell'attuale legge-quadro produce in concreto. Non è importante dunque il numero di articoli toccati, quanto piuttosto gli effetti conseguenti alle modifiche introdotte.
In secondo luogo, si parla di un adeguamento, riferendosi alla legge n.
42 del 1985 sul silenzio assenso, mentre non viene dovutamente considerata la nuova legge sulle autonomie locali, che potrebbe già trovare spazi significativi all'interno di questa legge-quadro. Si dice della necessità di dover razionalizzare le procedure, ma in verità vengono fatti decadere soltanto alcuni passi normativi, per liberare maggiormente le Amministrazioni locali da vincoli procedurali positivamente introdotti da Astengo al fine di meglio tutelare il territorio.
In ultimo si dice che con questo disegno di legge si accolgono le istanze poste in essere dalle realtà locali. Anche questo, secondo noi, non è del tutto vero nel senso che le posizioni non sono unitarie, ma molto più articolate (basta leggere le memorie pervenute alla Commissione); ci sono quelle che appoggiano il disegno di legge ed altre, delle associazioni ambientaliste e degli agricoltori, che presentano i rischi derivanti dall'applicazione di alcune normative che non tutelano i diritti di tutta la collettività.
Si ritiene inoltre che il disegno di legge venga assunto per la necessità di velocizzare i tempi. Secondo noi anche questo problema pu essere affrontato attraverso due ipotesi: migliorare la struttura regionale intervenendo sugli organici e sugli strumenti tecnici a disposizione e mettere a punto un Piano territoriale che diventi lo strumento di riferimento per facilitare le valutazioni in merito alla congruenza dei PRG rispetto agli indirizzi assunti dalla Regione nel suo insieme. D'altra parte il Piano territoriale diventerebbe lo strumento d'indirizzo che faciliterebbe le Amministrazioni locali nell'assunzione degli orientamenti e delle scelte che le stesse devono assumere.
Quindi, per noi la prima ipotesi valida era di predisporre questi strumenti tecnici inerenti anche all'Assessorato, in grado di abbattere i tempi di analisi dei PRG, delle varianti e degli strumenti esecutivi, senza andare necessariamente a toccare punti sì marginali, ma per noi sostanziali.
L'altra questione rientra più nel merito: le modifiche proposte dal disegno di legge, presentate come marginali e non alternative dello spirito e della logica della legge urbanistica vigente, ad una lettura più attenta rivelano un grado di incisività trasformativa tale da iniziare a destrutturare un sistema pianificatorio che, se pur con limiti dovuti in gran parte alla sua data di nascita, può ritenersi ancora valido.
La legge-quadro, infatti, rivolge una certa attenzione ai principi della salvaguardia del patrimonio naturale, antropico e dell'assetto idrogeologico del territorio; si sarebbe dovuto partire da questi punti positivi per rafforzare tale approccio, ribaltando l'usuale concezione che vede il territorio come una risorsa infinita, liberamente disponibile e che si preoccupa di gestire la crescita dell'edificato sulla base di una storia connotata dalla correlazione progresso-sviluppo illimitato.
Se si facesse una valutazione di tipo qualitativo e non quantitativo dei risultati ottenuti con i PRG comunali, il bilancio non sarebbe del tutto positivo, non tanto peri limiti della legge, quanto perle politiche delle Amministrazioni locali che non si sono contrapposte con la dovuta decisione alle tendenze distruttive, ma spesso hanno rincorso, di volta in volta, progetti posti al di fuori della programmazione pubblica ed espressione di interessi particolaristici.
Il disegno di legge non fornisce nuovi modelli normativi e pianificatori basati sul concetto dello sviluppo ecosostenibile, n rafforza l'integrazione tra l'urbanistica, la protezione ambientale e la tutela paesistica, demandando di fatto tale ricerca ad altri momenti e disegni legislativi.
Per quanto riguarda alcuni dei punti di forza di tale disegno di legge gli effetti che scaturiranno, qualora approvato senza modifiche, sono diversi. In primo luogo la Commissione tecnico urbanistica non sarà più chiamata ad esprimersi, salvo diversa decisione dell'Assessore, sulla validità dei PRGC prima che questi siano approvati dalla Giunta regionale.
Una scelta inaccettabile, perché introduce una discrezionalità che rafforza il potere dell'esecutivo e perché farebbe cadere quel filtro espressione di visioni diverse dell'urbanistica e di attenzioni al territorio ed ai beni in esso presenti, in grado di proporre modifiche agli strumenti più importanti della pianificazione locale, redatti al fine di gestire concretamente le trasformazioni.
Con tali piani, infatti, si valutano le esigenze dello sviluppo (attività produttive, insediamenti, servizi); si individuano le aree da sottoporre a difesa del suolo e tutela ambientale nonché quelle destinate all'agricoltura; si determinano le destinazioni d'uso e i tipi di intervento.
In secondo luogo viene soppressa l'attuale articolata distinzione delle varianti tra quelle imposte e volute, ed ancora, tra quelle producenti modifiche non rilevanti e quelle che cambiano nella sostanza lo stesso PRGC: sono così "appiattite verso il basso" le procedure di redazione e controllo.
Il rischio è quello di un ricorso sistematico da parte dei Comuni alle varianti, in modo da poter modificare il PRG senza avviare le complesse procedure di formazione di uno nuovo, rendendo difficile la comprensione dell'obiettivo finale che si intende raggiungere.
Dietro alle varianti, è bene ricordarlo, spesso si nascondono sottrazioni di suolo agricolo a favore di nuove edificazioni ed infrastrutturazioni legate alla speculazione immobiliare ed agli interessi del settore turistico.
Ancora, viene ampliata la rosa degli interventi che non costituiscono variante del PRGC e che quindi sono adottati con delibera del Consiglio comunale, annullabile entro 60 giorni dalla Giunta regionale dopodich scatta il silenzio-assenso. Tra gli interventi previsti vi sono adeguamenti di localizzazioni di infrastrutture di perimetri, aree sottoposte a strumento esecutivo, variazioni del tipo di strumento esecutivo, modifiche del tipo di intervento sul patrimonio edilizio esistente; unica discriminante è la "limitata entità" ovvero un parametro discrezionale diversamente interpretabile a seconda dei casi e dei soggetti.
All'opposto vi sono più di 1000 Comuni e vi è da chiedersi come potrebbe la Regione verificare la corretta interpretazione della norma (ammesso che ve ne sia una) se questi ricorressero contemporaneamente alla possibilità data.
Sugli effetti non ci soffermiamo perché riteniamo siano da tutti intuibili. Questi sono alcuni esempi concreti che meglio rivelano la filosofia di fondo del disegno di legge a cui ancora aggiungiamo il richiamo a quella norma che permette di estendere la realizzazione di interventi, tra cui l'ampliamento degli impianti industriali, anche alle revisioni e varianti del PRG nel periodo di attesa dell'approvazione regionale, cosa per noi ritenuta illegittima. Il risultato comunque sarebbe quello di trovarsi nella condizione di rifiutare le proposte avanzate dal Comune quando queste sono già realizzate. In definitiva si dà la possibilità di modificare l'assetto del territorio periodicamente, al di fuori di ogni verifica di congruità degli interventi, alterando il concetto stesso di pianificazione territoriale. Il disegno di legge è, insomma, una proposta contro l'ambiente e contro una corretta gestione del territorio alla quale ci si deve opporre proponendo quei contenuti, come la salvaguardia del paesaggio e delle risorse, che riteniamo essere irrinunciabili.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GROSSO



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Rossa.
ROSSA Signor Presidente e colleghi, desidero esprimere, come primo intervento del Gruppo socialista, l'apprezzamento per il risultato cui stiamo pervenendo con le proposte di modifica illustrate stamani nella relazione del Presidente della Il Commissione - collega Fiumara - e sottolineate dall'Assessore Carletto, responsabile dell'urbanistica.
A me sembra che con l'ampio dibattito svoltosi in Commissione si possa finalmente dire che un problema per il quale da ogni parte si avvertiva l'esigenza di un adeguamento alla nuova situazione, si sta risolvendo positivamente.
Vorrei esprimere questo apprezzamento rivendicandolo spirito e l'impegno del quale come socialisti ci sentiamo eredi. Mi riferisco alla proposta originaria Astengo, che negli anni 70 ha dato grande risposta ad uno sviluppo convulso e selvaggio, come evidenziato dai colleghi prima intervenuti.
Astengo, considerato uri uomo di primo piano nella ricerca di una politica urbanistica, ha assunto l'impegno di portare a termine una legge che è stata alla base di tutta la riorganizzazione della politica urbanistica degli ultimi 14 anni. Ed è un peccato che egli non sia più tra di noi a cogliere la dinamica dello sviluppo di questa politica, che per noi, sul piano dell'impianto resta intatta così come Astengo l'ha pensata così come il Consiglio regionale di allora l'ha approvata, pur con le necessarie modifiche apportate successivamente.
Stiamo oggi per arrivare alla conclusione di una proposta di modifica che la rende ancor più viva e vicina alla realtà.
In questa legge, a nostro parere, non c'è alcuna rilevante modifica all'impianto generale, come da qualche parte viene sottolineato. Mi sembra che gli elementi introdotti siano minimi e su alcuni punti indispensabili.
Non si tratta di modificare l'impianto; c'è un problema di adeguamento alla situazione nuova in cui oggi si è chiamati adoperare e non mi sembra di essere di fronte ad un ripensamento generale della cultura e della normativa urbanistica.
Siamo di fronte alla rivisitazione di una legge che, come è stato rilevato, ha dato grossi risultati avviando 1100 e più Comuni alla riorganizzazione urbanistica, dando un grosso impulso alla pianificazione territoriale, alla realizzazione dei Piani regolatori generali, e naturalmente, strada facendo, scontando anche alcune battute d'arresto rispetto alle quali oggi si sta lavorando per sveltirne il processo.
E' comune giudizio di tutte le parti politiche che dall'elaborazione preparazione e dichiarazione preliminare e programmatica alla realizzazione e all'adozione del Piano regolatore siano passati parecchi anni (non parlo nemmeno dei Piani intercomunali, alcuni dei quali si sono persi strada facendo) ed è comune valutazione che occorressero soluzioni più adeguate.
Questa comune convinzione è anche stata alla base della discussione in Il Commissione, discussione ricca di contributi da parte dei vari colleghi intervenuti.
Il dibattito in Commissione ha manifestato, al di là delle posizioni che ciascuno di noi andrà ad assumere, un dato di fondo sulla validità del pacchetto di proposte che l'Assessore Carletto ha presentato, rispondendo a quell'impegno di carattere programmatico che è stato alla base della formazione di questa maggioranza e di questa Giunta. Ciò è stato fatto raccogliendo lo spirito che veniva dalla precedente legislatura, durante la quale era già in atto, anche se poi non si è concretamente tradotta in normative di modifica della legge, l'idea che si dovesse andare ad una modifica di questi punti.
Le modifiche mi paiono circoscritte - perlomeno io le vedo così - che fanno salvo l'impianto generale della legge. Non vorrei che nella ricerca di qualche elemento che metta in mora la maggioranza o la Giunta si cercasse di presentare queste modifiche come lo scardinamento di un impianto che invece assolutamente non mi sembra presenti questi caratteri.
Rimane ancora da affrontare (e non so se questo Consiglio regionale sarà in grado di farlo e se ne avrà il tempo) un riesame complessivo, cosa che non abbiamo nemmeno preso in considerazione. Abbiamo ritenuto Assessore, che ci si dovesse fermare a questi punti e voglio nuovamente ribadire che il dibattito svoltosi a tale proposito in Commissione è stato ricco di contributi.
Voglio anche dare atto a nome del Gruppo Socialista del contributo venuto dai colleghi dell'opposizione, contributo che è entrato nel merito e che si è manifestato in acute osservazioni, molte delle quali sono state accolte attraverso l'attenzione, la sensibilità che i colleghi della Commissione e l'Assessore in primis hanno manifestato rispetto alla volontà di comprendere e di capire.
Questo mi sembra molto importante perché permette un passo in avanti e ha visto esprimere da parte dei Comuni e degli enti locali - anche alla luce della legge n. 142 che assegna compiti specifici alle Province - un giudizio positivo sulla sensibilità politica che la Regione sta manifestando relativamente alla politica urbanistica. In questo modo si riusciranno a verificare, nel rispetto dell'impianto, i canoni e le normative volti ad una maggior difesa ed a un uso migliore del suolo secondo una visione moderna, valutando se siamo in grado di superare le strozzature che hanno rallentato, e di molto, questo processo di ristrutturazione, facendo dire a molti amministratori che sembrava di essere di fronte ad una tela - non dico di Penelope di difficile compimento.
Queste sono le considerazioni che volevamo fare; mi pare che oggi, a molti anni di distanza, arrivino modifiche significative, smentendo quello che è un antico vezzo di questo Paese per cui, fatta la legge si pensa subito a vedere come modificarla.
Mi pare che la legge n. 56 abbia dato ampiamente prova di essere una legge valida, che ha risposto alle esigenze di riordino della politica urbanistica in Piemonte, e che a questo punto sia più che necessario cercare di dare alcuni segnali. Quindi nessuno svuotamento; e chi, più di noi, si potrebbe davvero opporre, noi che ci consideriamo gli eredi morali politici e ideali di un uomo, di una grande figura che ha dato un imprimatur a tutta la politica urbanistica nel Piemonte, come è stato Astengo? Nello stesso tempo, il disegno di legge riconosce un ruolo più significativo e importante all'autonomia dei Comuni, coinvolge 1 Comuni in alcune responsabilità specifiche, i Consigli comunali in modo particolare.
Credo che il Piemonte in questi 14 anni sia cresciuto; certo, vi sono state spinte e controspinte alle politiche urbanistiche, ma mi sembra di poter dire che negli anni è cambiata una cultura, che fino a 14 anni fa era quella del saccheggio. Piano piano è diventata una cultura che ha trovato strumenti urbanistici, come la legge 56, ed è stata una cultura che ci ha fatto capire (come quella del recupero ambientale, come quella del verde come quella dell'uso dei suoli) che è necessario - se vogliamo salvaguardare il nostro sviluppo - dare un ordine che da una parte assicuri il dato di fondo e dall'altra non mortifichi le iniziative di sviluppo. Mi sembra che questa possa essere una buona risposta alle molte domande che sono andate crescendo, una buona risposta perché mi auguro che queste modifiche si possano inserire anche in quella che è la redazione e l'approvazione di un Piano territoriale operativo e di coordinamento, che è necessario che ci diamo, perché è necessario che guardiamo anche avanti, è necessario che offriamo come Piemonte l'immagine di una Regione che si è modernizzata, che non è ferma alle forme restrittive, alle difese, ma è una Regione all'attacco e che guarda avanti. Un Piemonte che guarda avanti offrendo all'iniziativa pubblica e privata le possibilità di realizzare gli obiettivi di impegno che naturalmente vorremmo che potessero svilupparsi.
Mi pare che il legislatore della legge n. 142 ci abbia voluto offrire questi obiettivi con l'individuazione delle aree metropolitane, sulle quali è stato compiuto un grosso lavoro, ma che riteniamo debbano inserirsi in un discorso di pianificazione generale di carattere territoriale che ha i suoi supporti di fondo in quel reticolo che si è determinato nell'inaugurazione delle politiche dei piani regolatori generali che sono in corso. Era auspicabile riprendere il discorso dei piani regolatori intercomunali, che purtroppo non hanno fatto molta strada, anzi hanno deluso molto. Io invece credo che siano le forme che possano consentire, proprio alla luce della legge n. 142 e dell'unione dei Comuni, un'omogeneizzazione e una riorganizzazione del ruolo del territorio. Cerchiamo di trovare il modo di ridiffondere il gusto di un lavoro di insieme, che ci fu all'inizio, ma che poi è andato disperdendosi. Assessore, per i lunghissimi ritardi che hanno addirittura fatto perdere per strada la volontà di realizzare un lavoro ed un impegno in comune. Mi pare che questo diventi nuovamente di attualità nel momento in cui andiamo a parlare di aree metropolitane e nel momento in cui riteniamo che il rapporto sia contiguo con le Regioni a noi vicine dalla Valle d'Aosta alla Liguria alla Lombardia. Mi auguro che questo sia un primo passo che ci indica la strada per andare alla definizione di nuove proposte. Sono queste le considerazioni che volevo fare e che mi sembra si collochino in una prospettiva che favorirà l'attenzione, l'interesse, la partecipazione stessa dei Comuni e degli enti locali. Non saranno certo i tempi che presiedevano appunto al grande incontro dal quale è nata la legge n. 56, i tempi in cui le categorie e gli amministratori si muovevano con grande entusiasmo; però mi pare che sia emersa una riflessione che ha consentito di ottenere dei risultati politici. Credo che questo possa essere un ulteriore passo in avanti, possa rappresentare una risposta a qualcosa che noi vogliamo avviare in Piemonte con questo nuovo impegno. Un impegno che naturalmente abbiamo il dovere di assumere interamente e credo che troverà udienza in tutti i settori della società. Un impegno che è lineare e non consentirà l'inserimento negli interstizi di forme di conquista di spazi per usi e speculazioni di ogni sorta. Mi pare che finora questo sia rimasto fuori dalla porta, proprio perché non è nella nostra visione. Come socialisti intendiamo dare il nostro sostegno ed esprimiamo il nostro apprezzamento per lo sforzo compiuto dall'Assessorato e per l'impegno che si è assunto il Presidente della II Commissione insieme a tutti i colleghi che hanno lavorato in questa direzione. Intendiamo rinnovare tale impegno per giungere positivamente ad una conclusione, che riteniamo essere molto importante per l'ulteriore sviluppo della nostra Regione.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Rivalta.
RIVALTA Guardando quest'aula mi viene da pensare che la maggioranza avrebbe fatto bene a rinviare il tutto in sede redigente alla Commissione. In II Commissione, infatti, avremmo probabilmente evitato interventi di carattere generale che, anche se a puntate, nel corso di 15 sedute di Commissione avevamo già fatto. Siamo invece in aula Consiliare; per rispetto formale nei confronti del Consiglio, anche se in gran parte assente al dibattito ritengo sia dovere di tutti porre questioni di carattere generale dedicando la giornata domani alla discussione di aspetti più particolari.
Nell'attuale legislatura, quella di oggi - e questo avvalora il mio invito alla discussione - è la prima occasione offertaci per prendere in esame la politica urbanistica della Regione. La discussione è indotta dalla presentazione di un disegno di legge della Giunta di modifica della legge n. 56, presentata per accelerare le 'procedure di elaborazione e approvazione degli strumenti urbanistici.
E stato detto che per molti aspetti tali modifiche non siano solo opportune, ma necessarie; lo stesso non nego che sia impegno doveroso dell'Amministrazione pubblica cercare di accelerare le pratiche ed i rapporti amministrativi con i vari soggetti della comunità; si tratta per di stabilirne i fini.
Il Consigliere Rossa sosteneva - ma non condivido la sua opinione - che per questioni di contenuto e di merito il disegno di legge n. 98 non apporta sostanziali modifiche alla qualità della politica urbanistica che la Regione è impegnata per competenza a svolgere; politica che normativamente rimane sancita dalla legge n. 56, con le varie modifiche apportate e con quelle che la maggioranza apporterà nel corso della seduta.
In realtà, le modifiche riguardano un numero limitato di articoli e sotto questo profilo, si può davvero dire che il disegno di legge sfa una leggina rispetto al 100 articoli della legge n. 56. I quindici articoli del disegno di legge n. 98 rappresentano effettivamente un'entità limitata hanno però un effetto dirompente su alcuni caratteri fondamentali e qualificanti della legge n. 56. In questo senso dicevo che il Consigliere Rossa ha guardato "più al bicchiere che al contenuto"; forse, assetato di questo rapporto della maggioranza, non ha guardato bene ai contenuti! Il disegno di legge n. 98 sottende una concezione urbanistica diversa da quella della legge n. 56 introdotta 11 anni fa, che seppur con variazioni è ancora presente nel vecchio testo; concezione generale della politica urbanistica mai espressa né dalla Giunta né dal Consiglio, neppure al momento della presentazione del disegno di legge, quando senza entrare nel merito e per succinti capi la Giunta aveva espresso l'intenzione di modificare la legge n. 56.
Sarebbe stato opportuno, prima di prendere iniziative di modifica generale o parziale della legge n. 56, conoscere e discutere in Consiglio le in ordine organizzativo, funzionale, estetico, fine e a se stesso: l'urbanistica è uno strumento, e questo punto era ben chiaro al tempo del dibattito del 1977 (forse il Consigliere Marchini ed io siamo statigli unici due, fra i Consiglieri di questa sala, ad essere presenti al dibattito, e il collega forse ricorderà di aver contrastato, giustamente il merito della legge).
Credo che quel tipo di discussione fosse sostanzialmente corretto l'urbanistica è strumento non di poco conto di una determinata politica che per sua natura ha carattere orizzontale - ancorché il suolo non sia tutto piano - e riguarda quella sezione della biosfera - lo diciamo oggi nel momento in cui i problemi ambientali sono maggiormente nella coscienza di tutti - in cui l'umanità svolge il 99,9% delle proprie attività. E' una sezione della biosfera per la quale hanno rilevanza enorme le politiche urbanistiche e territoriali. Ambiente e urbanistica non sono separabili (su tale spunto tornerò in seguito).
Lo strumento urbanistico, quindi, permette di conseguire obiettivi politici non di poco conto, riguardando il 99,9% delle attività umane, lo sviluppo economico, la qualità della vita; - dal tipo di decisioni sul piano territoriale ed urbanistico si attuano condizioni più o meno favorevoli alla qualità della vita. Dall'uso strumentale della politica urbanistica nascono problemi che, in bene o in male, incidono sull'equità sociale.
Pensiamo gli effetti di una determinata politica urbanistica e territoriale sulle rendite fondiarie; credo che a nessuno sia sfuggita l'enorme ripresa della politica di ristrutturazione edilizia e di uso degli edifici del centro di Torino, come leggiamo quotidianamente sui giornali in vari avvisi e qualche volta anche in informazioni di tipo statistico ripresa sollecitata proprio dalla dinamica che la rendita ha preso.
L'assenza di una politica degli espropri e l'incertezza di politiche finanziarie che fino al recente passato avevano raccolto il risparmio spingono il risparmio al di là dei fabbisogni reali ed a rivolgersi a una condizione di mercato edilizio fuori delle norme.
Ho visto il depliant di uno stabile in ristrutturazione in via dei Mille, angolo via della Rocca: per alloggi che non fronteggiano la via, ma che stanno nell'interno dei vari cortili, si vende a L. 7.000.000 al metro quadrato; i garages in quella zona si vendono a L. 60.000.000 Ed ancora: in via Garibaldi sono stati venduti vani, in via di ristrutturazione, a L.
10.000.000 al metro quadrato.
Si stanno determinando, dunque, problemi di disuguaglianza sociale non fra i proletari e chi possiede qualcosa, ma addirittura sul sistema dei proprietari, anche in ragione di politiche urbanistiche e territoriali.
Ritengo si sia in presenza di una dinamica di ampliamento delle differenziazioni e non di consolidamento di uno stato di distribuzione di ricchezza, come quello conseguito nel passato.
Quando parliamo di urbanistica e di territorio non parliamo di cose formali, ma di cose sostanziali. La politica urbanistica territoriale ha un grande effetto strumentale sul livello culturale; sappiamo benissimo che abitare in certi rioni, in certi ghetti, ha effetti culturali pesantissimi sulla comunità. Anzi, rispetto ad un recente passato (gli ultimi due decenni) nel corso del quale determinati fenomeni erano in fase calante, si ha una ripresa di certe situazioni.
E gli effetti che ne derivano riguardano i diritti delle persone diritti che si possono affermare in base a come la città si organizza.
Inoltre, con le politiche urbanistiche territoriali siamo anche in presenza di effetti sul modo d'essere delle istituzioni, del loro livello di autonomia e delle loro competenze.
Più in generale, dalle politiche urbanistiche e territoriali dipendono il grado di socialità, da un lato, e di benessere dall'altro, che cerchiamo di dare ad una comunità; la partecipazione di questa comunità ai processi di decisione; il rapporto tra attività umane e conservazione delle risorse e dell'ambiente, di cui dicevo prima.
Per tutte le argomentazioni che ho appena elencato, e non solo, i fondamenti politici e culturali su cui si basava la legge n. 56 richiedono un aggiornamento. Non sto a richiamare gli obiettivi che si proponeva la legge. Ricorderete che Al Consigliere Marchini si richiamava ad una visione che lui diceva di sinistra. Credo che lo fosse, possiamo metterla in discussione, ma mettiamo in discussione anche quella di questa Giunta.
Quegli obiettivi sono ancora validi? Mi aspettavo un tipo di dibattito disposto a rivedere su una nuova realtà dei fatti vecchie concezioni strumentali, urbanistiche e territoriali, ma disposto anche a difendere altre concezioni di "sinistra" che, nella logica sinistra/destra, considero ancora valide, e che passano anche attraverso le politiche urbanistiche territoriali.
Sotto questo profilo, Assessore Carletto, critico e accuso questa Giunta di procedere - ormai per due legislature - muovendosi senza sapere o senza voler esprimere dove vuole andare e senza sottoporre al dibattito gli obiettivi che si propone. Non credo che questo sia il modo corretto di affrontare i problemi.
Di per sé, l'accelerazione delle procedure che l'Assessore Carletto richiamava non è obiettivo esauriente, è certo valido, ma non pu prevaricare gli obiettivi di qualità prima richiamati.
Mi spiace che la maggioranza, in Commissione, abbia deciso di chiudere la discussione e di portare questo disegno di legge in aula; ritengo fossero state poste le premesse per arrivare ad una revisione più generale e più aggiornata della legge n. 56.
Il disegno di legge 98, apparentemente presentato come "leggina" procedurale, muta di senso l'impegno urbanistico della Regione. Sotto il profilo tecnico, urbanistico e giuridico, il collega Chiezzi nel suo intervento ha fatto emergere alcuni degli aspetti di tale mutazione di senso - oltre a quelli di presunta illegittimità; osservazioni che accolgo e faccio mie.
Con l'approvazione del disegno di legge, la legge n. 56, caro Consigliere Rossa, sarà snaturata, e non rinnovata come tu dici. Per argomentare su questo, non ripetendo quanto detto dai colleghi prima intendo mettere in evidenza alcune contrapposizioni tra il disegno di legge n. 98 e i principi basilari della legge n. 56.
Credo sia bene per tutti i colleghi sapere cosa si abbandona o si è in procinto di abbandonare, soprattutto quando non viene detto quanto si vuole conseguire. Il primo elemento strutturale e fondamentale della legge n. 56 che intendo richiamare è l'unicità del processo di pianificazione. La legge aveva ed ha previsto due livelli di pianificazione: uno è quello della pianificazione territoriale, l'altro quello della pianificazione locale che si traduce nella forma dei piani urbanistici comunali e sovracomunali.
Non si trattava soltanto di aspetti formali e organizzativi della politica urbanistica; ricordo che in Giunta ci fu lunga discussione teorica e politica e, malgrado allora partecipassi molto meno ai lavori di Commissione per impegni di Giunta, so che anche in Commissione ci fu una lunga discussione che condusse alla scelta dei due livelli: pianificazione territoriale, a livello comprensoriale, e pianificazione comunale.
La Regione in quel momento rinunciò all'ipotesi di un Piano territoriale regionale, pensando alla pianificazione comprensoriale come ad un passaggio, per giungere alla pianificazione territoriale aggregando e coordinando fra di loro le pianificazioni comprensoriali.
I Comprensori - non piango su di essi, anche se mi spiace che la loro esperienza sia finita senza rinnovarsi - rappresentavano il nodo di quest'unificazione; infatti, i Comuni partecipavano alla politica di pianificazione comprensoriale - chi con procedure più rapide nell'elaborazione e con effetti più positivi, chi meno - attraverso i loro rappresentanti e i numerosi dibattiti organizzati dai Comprensori.
Anche a Torino ci fu un notevole tentativo di discussione con i vari Comuni: le riunioni nelle varie zone si sono protratte per anni.
I Comprensori, quindi, rappresentavano lo snodo di un principio di unicità in cui s'incrociavano problemi posti dai Comuni e dalla Regione nella forma della partecipazione all'elaborazione di primi schemi insieme ai Comprensori, e delle formulazioni programmatiche e socio-economiche che i Comprensori facevano.
Il principio dell'unicità era fondamentale, collega Rossa - e forse l'hai vissuto anche tu nella realtà alessandrina, nel bene e nel male.
Questo principio pervade tutta la legge n. 56. Lo stesso Piano fu chiamato "territoriale" e non "territoriale di coordinamento" come prevede la legge n. 142, perché si volle togliere il principio di un'azione verticistica verso il basso - vedo il Consigliere Marchiasi assentire: forse ricorderà quella discussione. Fu scelta la linea della programmazione e della pianificazione in un unico processo decisionale, che si snodava attraverso i Comprensori.
C'è stato un avvio di applicazione, in cui i Comprensori hanno svolto un loro lavoro, coadiuvati dall'IRES e per le parti socio-economiche da alcuni tecnici, che si è tradotto in relazioni che - certo - non erano ancora dei piani territoriali, ma ragionate formulazioni di intenti indicazioni del quadro di obiettivi che si intendono perseguire.
Ancora oggi, quando giro per il Piemonte richiamato per qualche motivo gli unici riferimenti a disposizione per conoscere alcuni dei problemi di determinate aree derivano ancora dalle documentazioni curate dagli allora Assessorati alla programmazione economica e sociale e alla pianificazione territoriale. Molti dati sono superati, ma restano l'unico riferimento della situazione - di qualche anno fa - e degli intenti che la comunità si poneva; i piani territoriali in un certo senso erano più descrittivi che cartografici.
Dall'85 in avanti tutto è stato lasciato cadere - ed indico in questo senso una frattura dal punto di vista delle responsabilità politiche regionali - e non si è fatto più nulla. Quei piani, naturalmente, non erano definitivi, anzi, erano ben lontani da una definizione compiuta, ma rappresentavano un punto di partenza.
Il discorso sull'unicità della pianificazione e sulla pianificazione territoriale cosa ha a che fare con la legge che discutiamo oggi? Molto, a mio avviso, e con questo non intendo solo rispondere all'Assessore Carletto, che stamattina ha sostenuto che la pianificazione territoriale è una cosa e la pianificazione urbanistica un'altra. Per brevità e per non perdermi nei meandri di argomentazioni teoriche .porterò un esempio. Si pensi all'art. 13, richiamato stamane anche dal collega Chiezzi. Il Comune di Torino sta approvando il progetto preliminare per una certa modifica senza trasmettere alla Regione la deliberazione programmatica. Noi non ne sappiamo nulla: abbiamo chiesto all'Assessore Carletto di poter discutere della deliberazione programmatica, non nella minuzia come potrebbe fare un Consigliere comunale, ma per gli effetti di certe scelte sul piano territoriale dell'area torinese e più in generale del Piemonte. Non senza fondamento, l'Assessore Carletto ha risposto di non conoscere la deliberazione, perlomeno formalmente, e quindi, ovviamente, di non poterla discutere.
Ebbene, una politica urbanistica comunale separata dalla pianificazione territoriale a cosa porta? Il Comune di Torino, il giorno in cui avrà superato l'acceso - anche nella maggioranza - dibattito in corso, e porterà a compimento il lungo e lento lavoro svolto, arriverà ad un progetto preliminare sulla base del quale saranno possibili interventi di completamento, secondo il progetto di legge n. 98. E gli interventi di completamento che si realizzeranno non avranno carattere e dimensione rionale o comunale, ma saranno di una portata tale da caratterizzarsi come i più forti che una politica territoriale regionale possa mettere in campo.
Sotto questo profilo, dovrebbe essere alla mente di tutti che non è possibile separare politica territoriale e politica urbanistica. Hanno sedi e momenti diversi per la loro formulazione ed elaborazione, ma devono necessariamente trovare un punto di raccordo nella responsabilità regionale competente in materia.
In questa situazione, mentre si attueranno i maggiori interventi di carattere territoriale, quelli capaci d'incidere sul futuro dell'area metropolitana, certo con effetti decrescenti man mano che ci si allontana da Torino, e sull'intera regione, noi staremo alla finestra. Per effetto della separatezza tra le responsabilità territoriali e le responsabilità urbanistiche, staremo a guardare l'attuarsi di una politica che invece dovrebbe essere unificata con quella territoriale e di responsabilità e competenza da parte della Regione.
Questo vale non solo peregrino, ma anche per Moncalieri o qualsiasi comune turistico montano. Anche quando per silenzio-assenso si consente alle varianti di limitata entità di entrare in vigore, si rompe questa unicità del processo di pianificazione come responsabilità politica e culturale.
Intanto, il concetto di limitata entità è assai peregrino. Cos'è la limitata entità per un Comune piccolo rispetto ad uno grande? Quella che è limitata entità per Torino non lo è per il Comune piccolo. Relativamente alle varianti, non ritengo necessario affermare il principio delle autorizzazioni delle stesse: non possiamo però trovarci in situazioni di continue varianti successive: si potrebbe introdurre una regola un po' rozza d'indicazione ai Comuni, in modo autorizzare delle varianti, ma non sempre.
Con il disegno di legge n. 98 introduciamo invece un regime per cui sta alla responsabilità dei Comuni definire una o cento varianti di limitata entità: essendo incerto il concetto di limitata entità, la somma di 100 e 100 varianti di limitata entità può essere molto rilevante sul piano territoriale. Non solo, la sollecitazione che deriva dall'indicazione "di limitata entità" può far pensare che il Sindaco possa ricevere il postulante al suo tavolo e, sulla base di esigenze personali o familiari (non si vuole forzatamente introdurre un elemento di giudizio moralistico) possa generare continui adattamenti allo strumento urbanistico generale per accondiscendere alle richieste che gli pervengono. Un meccanismo del genere può far degenerare il rapporto tra Amministrazione comunale e cittadinanza far prevalere processi di tipo deteriore.
Ecco allora che un principio importante come l'unicità del processo di pianificazione e del ruolo che la Regione deve assumervi, con il disegno di legge n. 98 e in parte con le varianti già operate nel passato alla legge n. 56, va saltando pericolosamente.
In questo senso, Consigliere Rossa, dicevo che si snatura la legge n.
56. Il collega, giustamente, ha richiamato alla memoria il livello culturale di Astengo: quello dell'unicità del processo di pianificazione è principio di cui era portatore, sulla base di una lunghissima esperienza in materia. Tale principio viene oggi ulteriormente messo in discussione, e secondo me in maniera pressoché letale.
Secondo elemento cui voglio richiamarmi è quello della trasparenza e della partecipazione al processo decisionale, uno degli elementi della politica introdotta con la cultura della legge n. 56. A livello di pianificazione territoriale, i Comuni, attraverso propri rappresentanti ed assemblee, partecipavano all'elaborazione delle scelte degli indirizzi di pianificazione territoriale ed alla discussione sui piani regolatori di altri Comuni prevista in sede comprensoriale; si trattava di un meccanismo di confronto, di aggregazione e di partecipazione delle istituzioni al processo di pianificazione territoriale.
E' saltato tutto quanto - e non certo per colpa dell'Assessore Carletto: i Comprensori non esistono più. Da questa stessa maggioranza nella passata legislatura, è stata introdotta l'area-programma. Le aree programma in qualche misura avrebbero potuto riprendere un discorso di confronto, di visione programmatoria e pianificata dello sviluppo di un'area e - aggiungo - di costruzione di una realtà comunitaria in contrasto alle tendenze di sbriciolamento oggi in atto.
Considero molto importante la costruzione di una coscienza comunitaria ma anche in questo senso non è stato fatto nulla: altro segno che si sta andando avanti senza recuperare momenti di partecipazione.
La stessa cosa avviene a livello locale, dal momento che non si rende più obbligatoria la delibera programmatica e se ne disconosce il significato. Si tratta di una dichiarazione di principio, non è un documento tecnico, elaborato da professionisti del settore, naturalmente può anche esservi il contributo di tecnici, ma obiettivo della legge n. 56 era l'elaborazione di una dichiarazione di principio da parte dei Consiglieri comunali, del Sindaco e della Giunta per individuare gli obiettivi dell'azione di pianificazione che intendevano promuovere.
Le deliberazioni programmatiche esposte all'Albo Pretorio a disposizione dei cittadini, rappresentavano un primo momento di partecipazione e di visione trasparente del processo di decisione dell'uso del suolo, della politica urbanistica. Qualcuno mi potrà dire "mah, tanto non erano attivate...; la gente non partecipava...". Può anche essere vero ma se vogliamo vi sia chiarezza e trasparenza nel processo urbanistico dobbiamo insistere affinché venga apportata ogni modifica necessaria ad attivare questi momenti di partecipazione.
Con il disegno di legge 98, invece, eliminiamo ogni possibilità in questo senso, ed anche il principio della trasparenza e della partecipazione, contenuto nella legge n. 56, salta.
Assessore Carletto, non ce l'ho con lei, anzi, voglio riconoscerle il grande impegno speso in questi mesi - che mi ha favorevolmente sorpreso vistala poca "professione" in materia.
L'accentuazione di potere nella persona dell'Assessore prevista dal disegno di legge, pero, rappresenta una riduzione dei possibili processi di partecipazione a livello di pianificazione territoriale.
So bene che l'Assessore eserciterà correttamente il proprio potere tuttavia, dalla lettura del disegno di legge emerge l'assunzione di ruolo di rilievo da parte dell'Assessore - che prima non aveva - e l'ampia discrezionalità in materia.
Relativamente al principio della partecipazione e della trasparenza spero che se la maggioranza approverà questo disegno di legge, l'Assessore Carletto ci metta nelle condizioni di conoscere quanto avviene in materia urbanistica e non esserne esclusi. In sostanza, spero sia proprio l'Assessore a promuovere chiarezza e trasparenza almeno nei confronti del Consiglio regionale - ma mi auguro anche nei confronti della comunità e delle sue varie articolazioni.
Terzo elemento. Non può esistere un Piano che non sia fondato su dati di conoscenza reale. La legge n. 56 era uno stimolo alla ,conoscenza.
Veniva richiesta una serie di documenti su aspetti molto diversi, alcuni anche innovativi - nel 1977 - come gli aspetti geologici, quelli che riguardano la risorsa del suolo come produzione agricola ed altri. La Regione si era dotata non solo dell'IRES, acquisendolo dalla Provincia, ma anche dell'IPLA e del CSI: inoltre, aveva incominciato ad utilizzare anche l'ESAP, attraverso quelle elaborazioni che allora era chiamati piani zonali agricoli. Si era avviato un processo di conoscenza della realtà senza la quale è impossibile qualsiasi pianificazione: dal rilevamento dei dati fisici caratteristici del sito, a quelli ambientali e socio-economici.
Per una pianificazione corretta e per dare maggior forza all'esercizio del potere di governo della Giunta e dell'Assessore - e a tutti coloro che possono intervenire nella decisione - occorre una lettura approfondita della realtà e capacità di analisi critica da cui possano emergere i problemi reali, fisici ed economici.
Ma questa conoscenza della realtà è compatibile con una politica urbanistica che non verrà più attuata tramite Piani regolatori, ma per varianti spesso di limitata portata territoriale, ma di grande significato dal punto di vista economico? Lo stimolo alla conoscenza e alla realtà si mantiene in un regime in cui le varianti di limitata portata possono essere promosse direttamente Comuni? Ritengo che salterà anche lo stimolo alla conoscenza: molti Comuni in difficoltà saranno forse indotti a promuovere variazioni di strumenti urbanistici senza i dovuti e necessari approfondimenti. La situazione genererà grosse difficoltà di valutazione per la Regione che, ingolfata da problemi più complicati e difficili, sarà indotta ad approvarli col silenzio-assenso.
Altro elemento è inerente la qualità e competenza degli strumenti di cui la Regione, e l'insieme della politica urbanistica, si dota. Quando un Comune sa che le filiere di passaggio tra le maglie della politica urbanistica possono essere molte e di basso livello qualitativo, senza il pericolo di incorrere in un contraddittorio di valutazione delle scelte compiute, l'intero sistema - dai Comuni alla Regione - rischia di esserne gradualmente dequalificato. La legge n. 56 conteneva un principio di qualità, che non si è esplicato come si pensava, riposto nel CUR: presenza di forme interdisciplinari di professionalità, richiamo alla presenza nel CUR delle sovrintendenze di altre amministrazioni dello Stato, che mi risulta partecipavano con assiduità, apportando la collaborazione contraddittoria derivante dall'essere in rappresentanza delle Ferrovie dello Stato, dell'ENEL. dell'ANAS, e così via.
Tali strumenti, a disposizione dell'Assessore, si stanno via via riducendo: la Commissione tecnica urbanistica ha tagliato questo tipo di partecipazione, che personalmente considero utile e necessaria in quanto portatrice di esperienze dirette e, nel caso di amministrazioni dello Stato, di impegno nazionale.
La prima proposta dell'Assessore Carletto era la corporativizzazione della Commissione tecnica urbanistica, con la presenza di operatori economici. Personalmente ritengo tale presenza non necessaria, così come quella degli Ordini professionali, in quanto l'Assessore è nelle condizioni di incontrare quando meglio crede soggetti economici e professionali. Il gruppo di consulenti di cui si attornia, ancorché lei abbia la discrezionalità di sentirli o meno, dovrebbe essere interpellato quale portavoce di determinati interessi presenti nella società.
Sotto questo profilo, mi pare che la Commissione tecnica urbanistica finisca con l'essere ambito di ristretti apporti culturali; temo che quanto c'è nelle intenzioni per la costituzione della Commissione tecnica urbanistica, di stimolo dell'apparato regionale verso un processo di discussione ed acquisizione di capacità critiche e culturali, e di osservazione dei Piani regolatori possa finire con l'inaridirsi. Non certo per colpa soggettiva dell'Assessore Carletto, potremmo trovarci in una situazione in cui l'Assessore, circondato dal proprio gruppetto di funzionari, dalle scarsissime relazioni con la cultura di contorno ai problemi riguardanti gli aspetti urbanistici veri e propri della disciplina, ma anche quelli sociologici ed economici, finisca col trovarsi in una situazione troppo ristretta.
Lo spirito della legge n. 56, che vedeva nell'acquisizione di dati di conoscenza reali quanto necessariamente alla base dell'elaborazione dei Piani, del processo di decisione, temo possa inaridirsi.
Vorrei che i principi basilari contenuti nel vecchio testo di legge venissero ancora tenuti in considerazione, correggendo limiti ed errori che nel passato ne hanno limitato la piena affermazione. Ma ho invece la sensazione che il disegno di legge n. 98 proceda in una direzione che ne favorisce la cancellazione; non è su questi principi che la legge n. 56 deve essere accantonata. Purtroppo, lo si fa, ed è questa una responsabilità politica e culturale che molto bonariamente e modestamente addosso ai colleghi della maggioranza ed in particolare alla Giunta e all'Assessore Carletto.
Se a qualcosa può valere la mia pur limitata esperienza regionale (limitata non perché sia stata breve, ma per l'impressione di aver fatto troppo poco rispetto a quanto si sarebbe dovuto fare) chiederei ai colleghi di prestare attenzione a questioni di peso rilevante, poiché da esse dipende il senso della politica urbanistica.
Non intendo introdurre aspetti più parziali e riguardanti il modo di atteggiarsi nei confronti di determinati problemi di una forza politica o dell'altra Credo si debbano tenere prioritariamente presenti i principi di cultura generale e non quelli settoriali. Sono parecchie le motivazioni che indurrebbero a grossi cambiamenti della legge n 56, anche strutturali. Io non sono come il collega Rossa che sostiene si debba salvare lo scheletro della legge per poi metterle la pelle e la carne che si vuole; sono perch alcuni nodi di principio presenti nella legge n. 56, che rappresentano il vero scheletro della concezione politica urbanistica, vengano salvati; sono perché si dia corpo a questi principi e non li si camuffi sotto varie maschere. Spero si passi alla discussione prima di affrontare il problema della legge sulla pianificazione territoriale.
La Regione è certamente in ritardo rispetto ai mutamenti avvenuti in questi 14 anni: la legge urbanistica raccoglieva esigenze passate e promuoveva alcuni processi per l'immediato futuro. In questi 14 anni i cambiamenti sono stati grandissimi, sul piano culturale, sociale ed economico. Secondo le tesi di un sociologo americano i cambiamenti che a metà del nostro secolo avvenivano nel corso di venticinque anni, negli ultimi decenni avvengono nel giro di cinque anni. La legge n. 56 ha 14 anni, se quell'ipotesi fosse vera, pensate a quanto è avvenuto in tre lustri! Mettiamoci allora con coraggio a pensare ad una politica per una nuova legge urbanistica, per una nuova legge di gestione del territorio mettiamoci con coraggio e ciascuno di noi dica quali pensa debbano essere oggi - gli obiettivi sociali, economici e generali della politica urbanistica regionale. Verifichiamo i livelli di percezione soggettiva dell'avvenuto cambiamento: le nostre soggettive capacità culturali, messe insieme, costituiranno la possibilità culturale della Regione di affrontare il nuovo con uno strumento urbanistico aggiornato e realmente in grado di confrontarsi su una realtà complessa. Realtà che vede il privato assai più presente e prevalente di quanto non fosse in precedenza - forse necessariamente, non ne do giudizio né politico né moralistico - e una grossa quantità di problemi da affrontare. Primo fra tutti quello della partecipazione della gente: senza un legame della la gente a decisioni soprattutto di questa portata, i partiti saranno cancellati dalla scena politica. Inoltre, i cambiamenti che stanno avvenendo, ad esempio, in ambito ambientale non possono più essere disconosciuti.
Essendo il territorio la sezione più importante della biosfera, in cui tutti operiamo, è necessario che la legge urbanistica venga rinnovata anche sotto questo profilo e che strutturalmente diventi una legge di nuova concezione, mantenendo salvi alcuni principi che per parte mia ho richiamato.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SPAGNUOLO



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Ferrara.
FERRARA Signor Presidente e colleghi Consiglieri, ho ascoltato con grandissima attenzione l'intervento del Consigliere Rivalta, nella reale convinzione di avere qualcosa da imparare da chi ha seguito da vicino ed è particolarmente competente in campo urbanistico. Così come credo che avrò da imparare dal dibattito, che si presenta importante e serio, ...nonché preoccupante, se si contano i volumi che il collega Chiezzi ha sul proprio scranno: spero che il tutto sia un elemento di arricchimento della discussione.
Al di là delle battute, quello del Consigliere Rivalta penso sia stato un intervento utile, importante e significativo, almeno per me. Intervento che ha riproposto i criteri ispiratori della L.R. n. 56, sulla quale il Partito repubblicano diede fin dell'origine giudizio non negativo, pur non facendo parte della maggioranza, ma dell'opposizione.
Non da oggi sosteniamo che la legge n. 56 ha segnato nella storia della legislazione regionale piemontese un salto di qualità culturale, in un momento in cui lo stesso concetto di pianificazione territoriale era estraneo alla cultura amministrativa regionale e locale.
Strumento attraverso il quale la grande maggioranza dei Comuni piemontesi si è dotato di un Piano regolatore che affrontasse i temi della salvaguardia del patrimonio esistente, del suo uso, del miglioramento della qualità della vita attraverso i servizi e l'organizzazione dell'ambiente e del proprio territorio, della creazione di condizioni per lo sviluppo delle attività produttive.
Tuttavia- e mi pare che su questo ci sia generale consenso - dalla sua approvazione ad oggi sono intervenuti moltissimi cambiamenti, e non tanto nel merito quanto nel metodo e nei tempi di sviluppo.
La storia avanza con progressione geometrica; e non soltanto la storia politica, ma la storia In generale, ogni aspetto della storia. Tutto si muove con maggior rapidità, ed è necessario muoversi senza ritardi rispetto a processi accelerati e fenomeni socioeconomici non con lo scopo di frenarli, ma perché siano in qualche modo indirizzati dall'ente pubblico.
Il governo del territorio è certamente una delle fondamentali attività di governo, proprio perché su questo terreno si scontrano interessi particolari che abbiamo il compito di incanalare verso il generale.
Torino è passata attraverso fasi diverse di espansione economica e di ristrutturazione industriale e si trova oggi alle porte di un momento di crisi forse più difficile dei precedenti, ma nulla è cambiato nel contesto urbanistico generale attraverso cui sono passate queste fasi, ed emerge chiaramente il grave limite della capacità di governo del territorio.
L'applicazione della legge urbanistica, al di là del merito del caso citato, ha infatti evidenziato storicamente l'incapacità di rispondere alle situazioni più complesse e soprattutto di rispondervi rapidamente e tempestivamente.
L'obiettivo che ci pare di poter cogliere nel contesto del disegno di riforma all'esame - ma forse non è il caso di parlare di riforma quanto di un parziale aggiornamento con tutte le implicazioni che questo aggiornamento comporta e di cui ci ha parlato il collega Rivalta indubbiamente condivisibile, è quello di rispondere alle esigenze di snellimento delle procedure amministrative è di riduzione dei tempi burocratici per la nascita di un qualunque strumento urbanistico.
Scelte che evidentemente comportano rischi dai quali non dobbiamo nasconderci, ma che dobbiamo controllare, e dai quali non possiamo e non dobbiamo lasciarci condizionare. Se i tempi lunghi erano in origine compensati dalla necessità di una fase di avvio della stessa cultura della pianificazione territoriale, della quale l'aspetto urbanistico è parte importante e inscindibile, per introdurla in modo uniforme e capillare in quella realtà di governo locale estremamente frammentata qual è l'assetto comunale del Piemonte, oggi ci pare che il contestuale acceleramento dei processi economici e sociali ed il superamento di quella fase consentono di chiedere più agilità e tempestività alle risposte della Regione.
Concordo con i relatori di minoranza ed i colleghi dell'opposizione che sostengono che avrebbero volentieri discusso un progetto di riforma integrale, piuttosto che vedere inseriti nuovi frammenti nel contesto di un corpo nato con impostazione diversa. Anche a nostro avviso - e credo ad avviso dello stesso Assessore - sarebbe stato preferibile un nuovo quadro generale, che dalle riforme recenti in tema di autonomia locale e di pubblica amministrazione cogliesse l'occasione per riformulare una nuova legge urbanistica, che da un lato aggiornasse la mentalità della legge n.
56 e dall'altro tenesse conto della nuova competenza attribuita alla Provincia e all'istituenda città metropolitana.
Ma una scelta di questo genere avrebbe comportato tempi lunghi e non compatibili con le necessità del momento. Occorre una seria riflessione e un serio approfondimento culturale. Sarebbe però velleitario pensare di poter fare questo approfondimento nei tempi brevi e rapidi richiesti dalle urgenze attuali.
Il Piemonte, Torino soprattutto, sta attraversando un momento di particolare delicatezza. Noi non condividiamo la visione un po' ottimistica sul futuro della nostra regione, che da qualche viene prospettata crediamo, anzi, di trovarci in presenza di una crisi grave cui occorre dare ogni necessaria risposta.
Temiamo che se non saranno assunte con urgenza alcune importanti iniziative, il futuro della nostra regione sarà di declino e di marginalizzazione. La pianificazione territoriale ed i conseguenti strumenti - urbanistici rappresentano una - e non certo l'ultima - delle leve da attivare per cercare di dare risposte concrete alle urgenti domande che la situazione pone.
E inutile nasconderlo: i problemi di Torino rappresentano gran parte dei problemi della nostra regione, e la loro soluzione doveva essere presa in considerazione già al momento dei primi aggiornamenti alla legge urbanistica. Rispetto a Torino ci sono grosse opportunità che occorre saper cogliere.
Vi sono responsabilità se oggi siamo fermi ad un Piano regolatore del 1959. Dieci anni di Giunta di sinistra non hanno consentito di andare oltre un progetto preliminare di Piano, così come sette anni di Giunte diverse non hanno permesso di andare al di là di un dibattito ancora aperto in Consiglio comunale per dotarsi di uno strumento urbanistico definitivo.
Tale la realtà nella quale muoversi; indubbiamente, si corrono dei rischi nel determinare strumenti atti ad abbreviare i tempi di iniziativa alla Pubblica Amministrazione.
Non credo che un Piano regolatore preliminare possa fare tutte e solo le scelte giuste; sicuramente vi sono questioni che dovranno essere riviste e riesaminate successivamente. Non dimentichiamo, anche se i tempi sono ristretti e viene meno un controllo forte e stringente dell'ente regionale che esiste nei Comuni la possibilità di controllo da parte dell'opposizione se esiste ancora - capace di contrastare le paure ed ipotesi negative che l'intervento di Rivalta ha messo in evidenza.
In questo senso, la legge che stiamo approvando non è certamente uno strumento decisivo e , capace di per sé di riavviare un processo economico ormai rallentato e raffreddato, se non fermo; certamente, però, si tratta di una legge capace di sburocratizzare e rendere più agile la via del governo del territorio, governo necessario per rimuovere le gravi situazioni che abbiamo di fronte.
Tutto questo non sarebbe sufficiente - lo diciamo con tranquillità - se non ci fosse l'impegno dell'Assessore, dichiarato e contenuto nella relazione e quello programmatico della Giunta ad affrontare in tempi brevi compatibilmente con la difficoltà della materia e comunque entro questa legislatura, il problema complessivo della legge urbanistica e della sua revisione. Questo, come ha detto giustamente il collega Rivalta, attraverso corretti passaggi di informazione in Consiglio regionale e con un confronto con la società e con la cultura esterna, che se vuole essere ampio e frequente deve essere chiaro e trasparente.
Non ho dubbi che l'Assessore Carletto e la Giunta nell'affrontare il problema non si sottrarranno a questo impegno.
Per parte nostra approveremo la legge, superando tutta una serie di rischi e di preoccupazioni, affinché venga al più presto ridisegnata una nuova normativa urbanistica secondo un'inversione di mentalità che, sola, è in grado di fornire soluzioni non estemporanee, ma di garanzia rispetto alle preoccupazioni sollevate dal collega Rivalta; soluzioni non di emergenza ma di metodo, adeguati alla società moderna.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marchini.
MARCHINI Non ha sbagliato chi auspicava tempi lunghi per il dibattito consiliare, ritenendo - me compreso - che il dibattito dovesse consentire un confronto sul contingente, pur senza esimerci da una riflessione di tempi lunghi: l'urbanistica, per sua natura, rispetta il concetto secondo cui l'arte è la politica dei tempi lunghi.
Non concordo sul fatto che si debba rispondere all'emergenza e ai tempi nuovi. Non è così: la politica del territorio è la politica dei tempi lunghi; era prevedibile che le forze di sinistra chiedessero un confronto e dei chiarimenti in merito alla proposta sottesa al corpo legislativo in esame, per certi versi poco comprensibile e in una qualche misura anche poco stimolante.
Cercherò di non sottrarmi a quest'esigenza di chiarezza. Ascoltando il collega Rivalta, ho calcolato la grande fortuna riservatami dalle vicende della vita e da qualche sprovveduto elettore, che mi hanno consentito di essere, se non protagonista e neppure comprimario, almeno spettatore di un lungo pezzo della storia di questa istituzione e quindi di questa Regione.
Non credo molto nella verità di quanti sostengono che bisogna stare poco nelle istituzioni, con questo giustificando la loro smania di muoversi. Grandi personaggi della nostra Torino, come il prof. Grosso hanno ritenuto che fosse qui il loro "ubi consistam", nelle istituzioni locali, così com'è stato per l'avv. Oberto. Certamente la loro ambizione non si concretizzava in titoli posposti al proprio cognome e nome, ma nel ruolo svolto nella società. E quando mi si rimprovera, seppure scherzosamente, la mia pervicace tendenza a rimanere in questo livello sostengo che essendo allievo di Grosso ed estimatore del prof. Oberto probabilmente devo a loro questa mia caratteristica.
Rispetto a certe questioni, le persone dovrebbero conservare memoria storica, se non delle istituzioni almeno dei partiti; diversamente diventa difficile comprendere i processi succedutisi e si è portati a ripetere luoghi comuni, adagiandosi sull'effimero. Alcune questioni, per prescindono dall'effimero: cerchiamo di capire quali proposizioni siano venute dalla sinistra.
La linea della Giunta è molto meno effimera e occasionale di quanto il Consigliere Rivalta non voglia farci credere, tant'è che proprio un altro rappresentante serio della sinistra, il Consigliere Chiezzi, lancia un'accusa che ritengo un riconoscimento: la legge significherebbe la prevalenza - per legge - del progetto sul piano. E' questa la chiave di volta, la chiave di lettura della natura del contendere, al di là dell'articolato. E qual è il confronto? Il collega Rivalta, a suo tempo, ha riconosciuto che questo era lo strumento di una politica, senza con ciò voler enfatizzare. Io ed altri - e mi dispiace che il Consigliere Picco non sia rimasto in aula perché avrebbe potuto portare testimonianza della vicenda- abbiamo sempre riconosciuto grande pregio alla legge urbanistica regionale in termini culturali, anche se l'abbiamo sempre combattuta e continuiamo a combatterla sul piano politico. Già nel lontano 1977 sostenemmo che la legge era superata, ma le vicende portarono Astengo (per fortuna sua, ma per sfortuna della società civile e del Piemonte) a realizzare un disegno culturale vecchio di vent'anni in termini istituzionali, legislativi e politici.
La legge urbanistica di Astengo non nasce nel 1977, ma vent'anni prima nelle conventicole dell'INU, quindi nasce datata e già superata. E che questa legge urbanistica fosse superata lo ha dimostrato la stessa sinistra che, due anni dopo l'approvazione della legge, non ha confermato Astengo alla carica di Assessore all'urbanistica.
Il rispetto per l'uomo, per lo studioso e per il ricercatore dev'essere coerente anche nei confronti delle posizioni; non si devono dire cose mai dette solo perché Astengo - per sua sfortuna - non è più tra noi. La legge era culturalmente apprezzabile perché sostanzialmente lasciava pochi spazi a eventuali vuoti ed incompletezza sistematica, in un disegno che noi non condividevamo. Disegno che richiamiamo per capire le ragioni della sua attuale inadeguatezza, dovuta non certo alla necessità di tempi decisionali più brevi: la società dell'impresa, la società in cui viviamo non è nata n quest'anno né nel 1985: c'era già.
In realtà, la legge era lo strumento di una precisa scelta politica: quella del riequilibrio del Piemonte rispetto al resto del Paese e del riequilibrio dell'area torinese rispetto al resto della Regione. Alla base vi era una filosofia che immaginava che la nostra Regione scompensasse il sistema nazionale e che la nostra Provincia, in particolare Torino scompensasse il sistema regionale; in una filosofia egualitaristica si riteneva che si trattasse di un processo da abbattere. Si era quindi impostata una politica tendente ad un riequilibrio regionale, interno a quello nazionale.
Tutto questo lo si faceva - e qui veniamo ai distinguo - utilizzando il Piano. Cos'è un Piano? Cosa lo differenzia da un progetto? Il piano è il prodotto di una cultura totalitaria dirigista, che presuppone superiorità del decisore politico rispetto agli altri soggetti; il progetto, invece riconosce la priorità del pluralismo della società nell'elaborazione della proposta; inoltre, la responsabilità della politica, della selezione, della sintesi e della risposta alle proposte è della società civile, e non del decisore politico.
Questa non è funzione di poco conto; quando Write e Le Courboisier venivano commissionati da qualcuno, essi non erano al soldo del proprio cliente, ma ne collocavano le esigenze nel modo ottimale rispetto al tempi e allo spazio.
La politica del progetto è questa: cogliere dalla società le sue esigenze, organizzarle, portarle a sintesi, a gerarchia e costruire il progetto, collocandolo secondo le esigenze della società civile - senza supporre di essere noi a decidere quali siano. Questa è la differenza rimproverata dal Consigliere Chiezzi, ma che io rivendico.
La cultura di questa maggioranza, e in particolare quella che il mio Gruppo rivendica, è quella del progetto, del pluralismo. E' Ia concezione liberale della politica in contrapposizione - e non vorrei con questo scandalizzare nessuno - a quella socialista, che ha avuto dal punto di vista dell'organizzazione un modello comunista, ma è pur sempre politica socialista. Non esiste differenza, così come non esiste il socialismo reale che si rifiuta perché si è realizzato in antitesi ad un socialismo buono ma utopico non essendo riuscito a realizzarsi.
Il socialismo è una filosofia finita e battuta, che rimane valida per la sua profonda percezione e sensibilità nei confronti dell'individuo - ma questo concetto riguarda un altro problema sul quale andremo a ragionare.
Questo era il quadro di riferimento nel quale si sono misurate le Giunte di sinistra: avere come obiettivo il riequilibrio della nostra Regione rispetto al Paese, il riequilibrio di Torino rispetto al resto della Regione. Obiettivo in funzione del quale venne portata avanti una politica rigorosa di programmazione, il cui strumento era dato dalla legge urbanistica.
Questo disegno è fallito, come d'altronde è accaduto per ogni politica da Churchill in poi. Ricordo che Churchill, in occasione del funerale Chamberlain, disse che i politici non si possono giudicare poiché operano sul momento, mentre i giudici hanno la possibilità di giudicare il giorno dopo; quindi, i politici si muovono a seconda delle pressioni delle situazioni e delle forze in campo, e non in base a schemi oggettivamente giusti o sbagliati.
Questa è una vicenda chiusa, che deve trovare da parte della maggioranza l'interpretazione adatta al nostro tempo. Se nel nostro tempo si riconosce al pluralismo della società la funzione di proposta e di rivendicazione alla politica della mediazione e della finalizzazione delle esigenze della società civile attraverso un progetto, mi pare che la maggioranza abbia enunciato in modo chiaro i suoi obiettivi.
L'attuale maggioranza non è per il congelamento del Piemonte - questo ha significato la politica delle sinistre, e forse la crisi del Piemonte risente di quell'impostazione - ma è per lo sviluppo organico ed integrato della nostra regione.
Ma rimaniamo alle questioni urbanistiche. Siamo all'ennesima riforma della legge Astengo, non perché crediamo nella stessa, ma perché la cultura e l'organizzazione del territorio prodotte da una legge di sistema come questa non è possibile smantellarle da un momento all'altro.
Occorre rendere questo sistema legislativo il più compatibile possibile con esigenze già presenti nel passato, ma oggi più percepibili di allora.
Tutto ciò riconoscendo che non è quello della legge urbanistica lo scenario sul quale ci si deve confrontare, ma quello della politica in generale tenendo in considerazione la centralità della politica urbanistica rispetto al ruolo dalla nostra Regione e dell'ente regione in generale.
Credo di aver in qualche modo risposto al quesiti posti dal Consigliere Rivalta: è evidente che quando si sceglie di immaginare la politica come un continuo confrontarsi con la società civile, è impossibile depositare documenti programmatici della durata di dieci anni, tre anni, un anno, tre mesi; si tratta invece di misurarsi giorno per giorno con le istanze della società civile, sempre accelerate dalla rivoluzione tecnologico informatica. Il decisore politico deve con coerenza di comportamenti e unicità di approccio ai problemi saper rendere comprensibile il disegno politico sotteso ad atti apparentemente slegati gli uni dagli altri.
Nessuna Regione, in una società industriale avanzata come la nostra, potrà più permettersi di disegnare scenari a tre, nove o dodici anni; l'ente Regione dovrà avere la capacità di interpretare i percorsi della società civile e cercare di finalizzare i propri interventi a tempi medi, ma con l'umiltà e la consapevolezza di una funzione progettuale e non pianificatoria.
Si tratta di una questione alla quale tutti quanti, ormai, abbiamo fatto il callo" e sulla quale non dovremmo tonnare.
Nessuno rimpiange la legge Astengo, che già allora consideravo prodotto senile (con questo non vorrei offendere Astengo, che godeva di tutta la mia stima) e che non ha potuto produrre - e qui veniamo al dunque - che frutti modesti. E frutti modesti - e per certe parti avvelenati - li ha prodotti proprio per colpa della maggioranza che la approvò.
Il Consigliere Rivalta ricorderà sicuramente le accuse durissime che Astengo muoveva al collega Simonelli, che non aveva realizzato strumenti di gestione regionale e soprattutto di monitoraggio dei Comuni, elementi considerati indispensabili per l'avvio e il completamento della legge urbanistica regionale da lui pensata. Il momento di mancata mobilitazione della cultura e dell'apparato sulla scommessa Astengo ha determinato - e qui è il dramma a mio modo di vedere sul quale dobbiamo essere attenti - un approccio in negativo nei confronti dell'urbanistica. L'urbanistica dovrebbe essere materia alla quale ci si avvicina in termini quasi di fascino e di forte interesse anche culturale e quasi sentimentale. Lo "strappo"tra ipotesi Astengo e realtà, sia strutturale che politica, ha fatto sì che l'urbanistica sia stata vista come una specie di sanzione come una specie di gulag all'interno del quale si dovevano muovere gli amministratori locali, i quali, percossi e vilipesi, dovevano comunque produrre un certo pezzo di carta e produrlo in certi termini: a nessuno interessava cosa fosse: bisognava farlo, diversamente sarebbe arrivato un nuovo diluvio universale.
Da questo, cari amici, sono provenute rendite (devo dirlo) anche di settori vicini alle forze liberali, per esempio, quelli professionali che hanno lucrato sulla questione e che adesso, diciamocelo brutalmente, ci stanno lasciando - ed è la mia vera preoccupazione - in braghe di tela. In questa logica, anziché lavorare in prospettiva si è ricercato all'interno delle pieghe della legge urbanistica ogni possibile meccanismo per soddisfare in modo il più delle volte clandestino le esigenze insopprimibili della società civile di realizzare abitazioni, aree industriali, servizi e grandi opere pubbliche, fino alla legislazione d'emergenza nazionale.
Questo è il quadro che questa legge disgraziatamente ha prodotto! Non sono così ingeneroso da immaginare che la stagnazione del Piemonte attuale sia conseguenza delle difficoltà di localizzazione di strutture di servizio, di aree produttive e comunque della mobilità dell'imprenditore sul territorio: non so se sia proprio così, sarebbe facile affermarlo come altrettanto facile sarebbe dire il contrario. Lasciamo il giudizio a chi verrà dopo di noi. A questo punto, però, si pone l'esigenza di fare chiarezza tra di noi su quanto stiamo facendo oggi.
Oggi, stiamo approvando una modifica alla legge n. 56 che la renderà la meno inadatta possibile a governare il nostro tempo, in relazione - ripeto a quanto esiste di consolidato sul territorio, nelle istituzioni, nelle formazioni professionali. Naturalmente non possiamo immaginare, con un colpo di bacchetta, di rimettere in discussione i risultati che almeno dal punto di vista cartaceo e normativo questa legge ha pure prodotto, ovvero la normalizzazione del sistema dei piani regolatori.
Il nostro problema è capire come riusciremo, con quanto cerchiamo di dire e pensare in questa sede, a rilanciare l'urbanistica e la politica territoriale come elemento centrale e giustificazione primaria dell'essere della Regione.
Ha ragione il Consigliere Rivalta. L'urbanistica, così come la conosciamo nella sua realizzazione sul territorio, è storia della politica: le città, i paesi vengono disegnati dai contrasti tra gruppi di pressione tra culture, tra ambizioni, non sono mucchi di pietre. Mi stupisce che si vadano sempre e soltanto - guarda caso - a leggere i documenti dei vincenti e mai quelli dei perdenti. Se ci pensate bene, quando visitiamo una città ci rechiamo a vedere le concretizzazioni dei ceti e dei fenomeni vincenti sarebbe altrettanto interessante imparare ad intravedere, a fronte di un palazzo sede del potere vincente, che ci sono favelas e quartieri poveri con le strade strette di coloro che hanno perso.
Immaginare che da oggi in avanti l'urbanistica non sarà più fatto politico ma fatto tecnico di accelerazione dell'approvazione dei piani regolatori, mi sembrerebbe veramente ragionare con il semplicismo di qualcuno che nel 1989 scriveva che la storia si era fermata. Nulla si ferma, tutto continua; anche l'urbanistica va avanti.
Si tratta di capire se riusciamo ad immaginare un'urbanistica che rimetta il territorio e i suoi problemi al centro della nostra attenzione in una visione completamente nuova ma, se mi consentite, con responsabilità maggiori rispetto al passato. La mobilità sul piano politico è di gran lunga aumentata e dobbiamo quindi avere la capacità di leggere e governare il nostro territorio con strumenti adatti ai nostri tempi.
E' mia convinzione che i soggetti decisori sul territori cambieranno sempre più e sempre più di frequente, e che le risorse sempre più e sempre più di frequente saranno estemporanee e non programmate in tempi lunghi.
Le decisioni FIAT di due giorni fa riguardanti la Polonia, ad esempio sono novità che produrranno conseguenze delle quali, sicuramente, non potevamo tener conto né nel vecchio Piano di sviluppo né nel prossimo difatti, nessuno esclude che nel frattempo non si creino le condizioni per la realizzazione sul nostro territorio di opzioni di segno contrario, cioè positivo.
Gli operatori economici sono portati a muoversi in uno scenario che sfugge ad ogni velleità di pianificazione e di programmazione dirigista da parte di una piccola Regione quale noi siamo nel contesto europeo. Abbiamo evidentemente l'esigenza di misurarci con la legge n. 142 e, in primo luogo, con un recupero di credibilità e di funzione dei Comuni che riteniamo, come diceva l'Assessore, Carletto, siano poi i destinatari ultimi del tradurre sul territorio i nostri disegni.
Disegno politico - a mio parere, ma credo anche della Giunta - per uno sviluppo organico integrato del nostro Piemonte, il cui risultato ultimo com'è nella storia del nostro Paese, è da lasciare alla responsabilità degli amministratori che, primi ed ultimi, sono chiamati ad interpretare e rispondere alle esigenze del proprio territorio.
Noi non ci facciamo affascinare da "Samarcanda", che continua ad accusare lo Stato; concordiamo con il Presidente della Repubblica che, in primo luogo, ci richiama al fatto che lo Stato in Sicilia è rappresentato da alcune decine di migliaia di amministratori locali.
Ben venga, allora, la mobilità della società civile, in particolare del mondo economico; la ripresa di ruolo dei Comuni contenuta nella legge n.
142; il ruolo opinabile, a mio modo di vedere anche formalmente, assunto dalla Provincia, rispetto alla quale, signor Presidente e Assessori dobbiamo essere molto attenti. Mi rifaccio alla legge n. 16, delle aree programma: queste ultime devono essere intese non come istituzione, ma come griglia di lettura delle problematiche in atto e di verifica del proprio essere sul territorio da parte della Regione: è partendo da tali questioni che, a mio modo di vedere, ci viene rimproverato di non aver verificato a fondo le potenzialità della legge oppure, al contrario, l'assoluta ingiustificazione e soppressione della stessa.
Alla Provincia è deferito un potere che viene chiamato "di pian azione urbanistica territoriale", che ritengo possa essere incanalato in un corretto processo, purché la Regione abbia capacità - come diceva il collega Rivalta - di attenta e puntuale conoscenza e monitoraggio del territorio fisico e socio-economico.
La Regione non può essere in un certo modo "espulsa" dalle Province senza una propria capacità di controdeduzione ci si ritrova ad un livello tale per cui le pressioni provenienti dal basso finiscono col non essere superabili. Com'è possibile controbattere valutazioni espresse da una certa Provincia senza conoscenza diretta dei processi in atto sul territorio e di come influiscono su di essi le iniziative della Regione? Si è chiusa una fase politica giocata di certo non sul versante piemontese ma su quello mondiale, che impone alla classe politica nel suo complesso ed a quella regionale in particolare, la capacità di non disconoscere, anzi di riprendere la centralità della Regione in ambito di politica territoriale. Uno dei frutti "verdi" della legge Astengo è stato proprio questo; il territorio è divenuto per tutti una questione della quale meno ci si occupa, meglio è. E' molto meglio occuparsi di sport o di turismo (con tutto il rispetto per il collega Cantore): per carità, non occupiamoci di territorio: queste cose sono estremamente impopolari! Spero di aver risposto esaurientemente al Consigliere Rivalta: riteniamo che per l'anno 1992 maggioranza e Giunta abbiano un loro progetto politico. Ma proprio perché non consacrabile a sacro testo, il progetto deve emergere da fatti politici coerenti, conseguenti e facilmente leggibili e trascrivibili. In questo senso, rispetto a questioni specifiche, qualche limite su alcune posizioni della maggioranza - ma ne discuteremo a tempo e luogo - va pur posto.
Concludiamo quindi in tempi stretti l'iter della legge consapevoli che i processi storici, per loro natura, hanno carica e potenziale che vanno al di là della loro portata politica. Continueremo a convivere con il "prodotto Astengo" - che ci sia piaciuto o no - non solo per quattro o cinque anni, ma per lungo periodo: la nostra generazione politica continuerà a lavorare su quanto stiamo oggi introducendo.
Dobbiamo individuare scenari appetibili rispetto ai quali, come Regione, la cultura della società civile contribuisca a far riemergere la funzione e la nobiltà che hanno sempre avuto nella storia dell'uomo urbanistica e governo del territorio.
Il timore reale vero è che la glaciazione determinata dall'infinita vicenda "legge Astengo" abbia fatto si che troppi interessi di categoria si siano radicati intorno al mattone, al cemento. Quanto diceva il collega Rivalta è abbastanza comprensibile: in una situazione in cui il mercato laddove abbia trovato spazio - non è più semplicemente "mercato", ma "esplosione del mercato", la cultura non è più leggibile. Il limite estremo della legge Astengo era di immaginare l'urbanistica come problema di ordine politico e socio-economico, cioè di distribuzione delle risorse e delle persone sul territorio, trascurando, e ne sono stupito visto che Astengo era un architetto e non un ingegnere, gli aspetti estetici e paesaggistici.
Piazza San Carlo, piazza Castello, le grandi piazze italiane: dietro a piazze, a disegni architettonici che tutto il mondo ci invidia c'è anche un consolidato culturale che ha consentito a queste città di produrre bellezza ed equilibrio. Con la legge Astengo, piazza San Carlo potrebbe anche avere stesse dimensioni, ma stili diversi sui vari lati, e magari, da qualche parte, una casa di stile svizzero. Nel disegnare qualcosa da imporre ad altri (perché una casa si impone), non mi risulta che in questa Regione ci si sia sforzati di dare risposta anche ad una generale esigenza di bellezza ed equilibrio. E' stata questione del tutto assente negli ultimi 15 anni durante i quali sono stato richiamato al piacere di assistere al lavori di quest'aula.
L'urbanistica deve anche essere capacità di disegnare una città. A Torino è presente la severità del Seicento, l'immaginazione dei Settecento l'entusiasmo e le frivolezze del primo Novecento. Immaginando un depliant per turisti relativo al nostro tempo attuale, da dare loro fra 50 anni cosa lasciamo come simbolo, come espressione del nostro pensiero estetico? Quando, in questa legislatura, ci porremo il problema di riaprire con l'esterno un confronto sull'esigenza che anche il nostro tempo veda nel territorio e nell'urbanistica un terreno di confronto tra i diversi soggetti della società civile, non dovremo tener presente solo esigenze di ordine funzionale e aspettative economiche, ma anche la voglia di fermare il presente per consegnarlo al futuro.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Cucco.
CUCCO Posso permettermi di chiederle se è stato stabilito quando il Presidente della Giunta darà comunicazioni sulla questione sanitaria?



PRESIDENTE

In chiusura di seduta. L'intenzione è di andare per "pacchetti" di interventi: conclusi tutti gli interventi vi saranno le comunicazioni relative alla sanità; domani mattina, questioni pregiudiziali e replica dell'Assessore.
CUCCO A proposito di pacchetti, signor Presidente, le chiederei di "impacchettarmi" fra dieci minuti: mi sembra infatti che il superamento dei tempi non contribuisca al miglioramento della discussione. Mi permetter Assessore, di saltare buona parte delle argomentazioni di ordine generale che intendevo sviluppare nel mio intervento, in quanto già trattate dal Consigliere Marchini. Condivido appieno le considerazioni del collega: anche a me sembra che non si sia fatta sufficiente distinzione fra urbanistica di pianificazione e urbanistica di progettualità. Gli esempi europei di realizzazione di interventi di carattere urbanistico ne sono la prova Credo che nessuna Regione europea abbia strumenti dall'iter altrettanto lungo; farraginoso e difficile nella sua concezione, e complicati quali i nostri.
Vorrei richiamarmi ad una mia pratica, che spesso mi ripropongo: il ripasso della lezione di Diritto che si fa all'Università. Infatti, non bisogna dimenticare che una legge la si verifica non sui principi, ma sulla congruità fra i mezzi che si è indicata e sul conseguimento dei fini che si è posta.
Assessore, mi deve spiegare quando mai, attraverso questa legge, siamo riusciti a perseguire il fine della conoscenza del territorio e dei relativi insediamenti: manca addirittura la cartografia! Vorrei si facesse, ad esempio, un esame analitico di tutti i documenti accompagnatori delle migliaia di Piani regolatori di città e paesi piemontesi che vi hanno provveduto, per verificarne la qualità culturale non con intento professorale, ma come verifica dell'utilizzo di questi strumenti. Penso, ad esempio, alle norme di attuazione e alle palesi disparità esistenti fra quelle di un paese e quelle di un altro: fatti importanti per l'applicazione dei Piani regolatori.
Mi domando quando mai ci sia stata piena attuazione del principio della partecipazione democratica al processo decisionale e gestionale: una delle questioni da chiarire e di cui discutere è il sistema delle osservazioni delle richieste di chiarimenti nonché tutto quel meccanismo farraginoso che passa per essere strumento di partecipazione, ma che in realtà non ha mai permesso ad alcuno di partecipare alle decisioni sul Piano regolatore.
Quanto sta accadendo con il Piano regolatore di Torino ne è la chiara dimostrazione: fardello burocratico ammantatosi di parole vicine alla democrazia, ma che con la democrazia non ha niente a che fare.
La Giunta, a mio avviso, è innanzitutto responsabile di non essere stata chiara nella presentazione di questo disegno di legge. La relazione del Consigliere Fiumara in questo senso è stata molto generica, timorosa, e attenta a non calpestare i piedi alla propria tradizione di Partito o a qualche altra presa di posizione della Regione. La Regione doveva operare in questa direzione non soltanto dal punto di vista dei principi, ma anche da quello delle scelte.
Entrerò nel merito. Le proposte presentate non sono state esplicitate se non attraverso interventi parziali; stasera o domani, con la replica dell'Assessore, spero di capire quali siano le direzioni, anche culturali nelle quali ci si sta muovendo.
Non credo, Assessore, che l'introduzione del silenzio-assenso per 1 piani particolareggiati sia una norma di deregulation accettabile nell'attuale sistema. Cosa ne è stato del "caso Grugliasco"? Vogliamo addirittura aggiungere il meccanismo del silenzio-assenso per permettere ai tanti "Grugliasco" che si potrebbero accodare di beffarsi non solo della legislazione vigente e della programmazione regionale, ma anche della legge urbanistica? Non è stato forse così? L' "esempio Grugliasco" non è la dimostrazione che, attraverso gli strumenti esistenti, alla volontà dei Comuni si può rispondere poco o per nulla? Vogliamo aggiungere il silenzio assenso anche per i Piani particolareggiati? Cosa significala variazione attuata attraverso l'art. 13, di cui peraltro il collega Marchini chiede l'abrogazione? (Vorrò sentirlo, quando interverrà, per ascoltarne le argomentazioni). Personalmente, sono convinto che occorrerebbe abrogare l'ari 13 del progetto di riforma, laddove, nel campo delle limitazioni all'attività costruttiva per i Comuni privi di strumenti urbanistici, si organizza tutto un sistema marchingegnoso per cui, in realtà, se il Comune presenta anche soltanto un progetto preliminare, può procedere con la realizzazione delle opere. Lei sa meglio di me, Assessore, che questa non è deregulation, ma aumento della confusione. Non voglia mai Dio che il Consiglio comunale approvi un Piano regolatore di tutt'altra natura: si creano conflitti di carattere giuridico e sostanziale che non capisco come si riusciranno a risolvere. Bisogna essere chiari e avere il coraggio di dire le cose come stanno.
Ho espresso la mia soddisfazione al collega Chiezzi per il suo intervento che, pur rientrando in una logica per là maggior parte non mia ritengo puntualissimo e perfettamente condivisibile sia dal punto di vista giuridico sia nel merito, vista la scelta attuata dalla Giunta di non demolire i concetti-chiave della legge, ma di lavorare "ai fianchi" per alcuni interventi parziali. Le illegittimità segnalate dal collega Chiezzi sono tutte valide; le norme che si stanno per approvare presuppongono un aumento di conflittualità fra i diversi livelli di intervento in ambito urbanistico.
C'è un'ulteriore questione, Assessore. Non credo, e per favore non datecelo a credere, che l'accelerazione delle pratiche urbanistiche sia in funzione di Comuni quali Pecetto, Trofarello o qualsiasi altro Comune del Piemonte: tali norme sono state presentate per facilitare il Comune di Torino in un iter assolutamente non condivisibile. Lei, Assessore, sa meglio di me che l'autorità metropolitana avrà l'intera competenza in ambito di pianificazione territoriale, e sa meglio di me cosa significa a livello di conflittualità fra Torino e i Comuni dell'area metropolitana quello che la Città di Torino sta cercando di risolvere. E, guarda caso, il nodo centrale di quello che si sta approvando è semplicemente una facilitazione di quanto è nella testa dei progettisti del Piano regolatore di Torino e di alcuni dei politici di questa città, con conseguenze perlomeno su tutta la provincia di Torino.
Non credo che in questa situazione noi si possa intervenire molto; il collega Rivalta sosteneva che uno dei principi fondamentali che vengono distrutti è quello dell'univocità dell'applicazione del, la legge urbanistica: univocità che peraltro non c'è mai stata. La non coesistenza dei due livelli è palese. La Regione Piemonte non ha mai fatto pianificazione territoriale; non è possibile pensare che la Regione potesse operare in questo settore senza i piani territoriali che la stessa legge considerava come assolutamente essenziali. Non c'è mai stata univocità, ma ipertrofia burocratica ed incapacità dell'ente regionale ad attuare quanto esso stesso aveva approvato.
In questa situazione, approvare una modifica di legge urbanistica che ha come unico scopo quello di facilitare l'iter discutibilissimo - e parlo di iter, non di materia del Piano - del Piano regolatore di Torino capoluogo regionale, con conseguenze perlomeno in tutta la provincia, è cosa assolutamente inaccettabile.
Per quanto mi riguarda interverrò nella discussione scegliendo articolo per articolo, se votare e come votare: e se il collega Chiezzi formalizzerà con degli ordini del giorno le questioni di illegittimità voterò a favore in quanto, giuridicamente parlando, sono tutte "centrate" .
Se la maggioranza continuerà con questa sua condotta, personalmente non parteciperò alla votazione finale del disegno di legge.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Vaglio.
VAGLIO Intervenire dopo i vari colleghi che hanno esaminato il disegno di legge n. 98 da i più svariati profili non è semplice. Come Lega non abbiamo alcuna responsabilità storica nei confronti di questa legge né intendiamo rivendicarne lo spirito, ciononostante, devo rilevare che la legge dal punto di vista tecnico - non intendo scendere nel merito - pone le Amministrazioni di fronte a difficoltà non indifferenti. In questo senso abbiamo accolto la proposta di modifica con un certo interesse, così come le prime dichiarazioni in merito dell'Assessore Carletto, che in Commissione aveva parlato di modifiche aventi lo scopo di rendere più snelle e più agevoli le procedure in ambito urbanistico.
Lamento, per contro, che da un esame approfondito avvenuto in Commissione non sono emerse né grosse novità né lo snellimento annunciato.
Piuttosto con modifiche che parrebbero sostanziali ma che sostanziali non sono, si tende a stravolgere l'intenzione del legislatore che mise mano alla legge, senza apportare alcuna filosofia alternativa nel settore della pianificazione del territorio. Concordo con i colleghi che hanno affermato che sarebbe stato preferibile un intervento di riscrittura completa della legge 56. E' inoppugnabile che una velocizzazione dei tempi di procedura avrebbe potuto essere ottenuta agendo su alcuni dei passi della legge velocizzazione che non mi pare si sia avviata con il disegno di legge n.
98.
In definitiva, riprenderò anche in questa sede le osservazioni mosse già in sede di Commissione. Riteniamo vi siano limitazioni gravi nel testo di legge proposto. La prima è data dall'assenza o, se preferite, dalla non previsione di un ente che offra assistenza tecnica ai piccoli Comuni; la seconda, che francamente ci preoccupa, è relativa alle amplissime concessioni previste per le Giunte comunali, che attraverso varianti limitate in entità potrebbero derogare assai pesantemente dai Piani regolatori Voglio ricordare, fra l'altro, che il collega Cucco limitatamente alla "modica quantità", ha sollevato un problema non da poco che potrebbe addirittura risolversi in un referendum. "Limitata" entità "modica" quantità: modica e limitata non sono numeri, e tutto quanto viene lasciato all'interpretazione dei singoli, rischiando di sollevare enormi vespai.
In ultimo, vorrei rilevare che il disegno di legge (come sottolineato ampiamente dal collega Rivalta ed altri) non consente una vera partecipazione delle minoranze all'elaborazione e all'approvazione delle varianti cui accennavo precedentemente.
Pur nella considerazione che alla legge n. 56 occorre metter mano per l'incontestabile necessità di snellimento delle procedure (gli anni passano anche per le leggi), le osservazioni addotte precedentemente ci porteranno a valutazioni di merito che ci riserviamo di fare in occasione della discussione sugli emendamenti all'articolato.
Credo emerga chiaramente che nostra la posizione è estremamente critica e che sul disegno di legge la Lega ha forti perplessità. Se il disegno di legge non verrà emendato in modo per noi opportuno, esprimeremo parere contrarlo ad una riforma che in sostanza non incide in alcun modo sull'attuale filosofia nel settore della pianificazione del territorio.



PRESIDENTE

Chiede di.intervenire il Consigliere Buzio; ne ha facoltà.
BUZIO Brevemente, alcune annotazioni di ordine pratico per evitare di riprendere tutti i passaggi di un dibattito che ha già sviluppato molti temi.
Come accaduto in sede di consultazioni, è possibile che il disegno di legge registri qualche consenso da parte delle Amministrazioni locali più per disperazione che per consapevolezza della validità del testo.
Da anni la Regione è caratterizzata da lunghissimi tempi di approvazione dei vari strumenti urbanistici; si è obiettato che larga parte del tempo perduto è da addebitare ai Comuni - e, in tal senso, c'è impegno dell'Assessorato.
Nella relazione del Consigliere Fiumara sono evidenziati gli obiettivi da perseguire: snellimento, accelerazione delle procedure, silenzio assenso, i minori obblighi per i Comuni sia in sede di revisione di varianti che in sede di PPA e di delibera programmatica, e sostituzione del CUR con la Commissione tecnica urbanistica. Qualcuno si è chiesto se l'accelerazione delle procedure non fosse ottenibile tramite una migliore organizzazione dell'Assessorato e se fosse proprio necessario modificare la legge n. 56, ignorando la legge n. 142 e disattendendo la n. 16 del 1989.
Ma a mio parere non è solo problema di lungaggine; i Comuni spesso trovano nella Pubblica Amministrazione un momento non di supporto tecnico ma di vessazione vera e propria, di chiusura. Il minor vigore programmatico richiesto da Comuni e Regione, a mio parere diminuisce sempre più il rapporto dialettico tra i due soggetti. Non si è nemmeno tentato di predisporre un meccanismo procedurale - peraltro già carente nella legge n.
56 - che offrisse un vero momento di confronto e di conciliazione diretta tra istruttore regionale e responsabilità delle scelte dell'ente locale.
L'esame resta tale e non è mai gestito attraverso un dialogo: manca la possibilità di un vero e proprio contraddittorio. Ne consegue un aumento del potere discrezionale; se è vero che sono stati annullati i Comprensori è pur vero che sul territorio regionale vi sono 45 Comunità montane, cui è riconosciuta dalla legge n. 142, se non la possibilità di attuare ed approvare strumenti urbanistici, perlomeno quella di dare indicazioni.
Le Province, oggi soggetti di programmazione e gestione, sono tutt'altro rispetto alle Province di un tempo.
Una programmazione efficace può essere perseguita solo attraverso un confronto dialettico tra enti e soggetti diversi, in modo che qualsiasi questione venga posta su piano di pari dignità.
Il collega Fiumara, nella sua introduzione, ha minimizzato il disegno di legge a momento di razionalizzazione, quasi tecnico. A mio parere invece, è una legge molto insidiosa, che segna un arretramento sul terreno del confronto democratico, e che, oltre a produrre danni all'impianto generale della legge n. 56 - impianto che, pur con la sua razionalità, è ormai superato in più parti e va, in ogni caso, corretto - ha in sé gli elementi di genericità e di illegittimità annunciati e denunciati prima.
Altra osservazione importante a farsi è relativa all'allargamento d'esonero dai PPA per i Comuni sotto i diecimila abitanti. Può essere un fatto marginale, si poteva però cogliere l'occasione per superare soglie fissate rigidamente, recuperando il principio, previsto dalla legge n. 56 della capacità insediativa residenziale teorica del PRG. Per assurdo verrebbe esonerato un Comune di 9500 abitanti con previsione di aumento a 12 mila abitanti e sarebbe incluso un altro di 10 mila con previsione di crescita a 10500.
E' necessario considerare tali determinanti situazioni, prestando attenzione alle mutate dinamiche demografiche e alle rilevanti oscillazioni della popolazione residente in zone turistiche montane che, in certi periodi aumenta di 5-6 volte.
Nella difficilissima situazione finanziaria in cui versano gli enti locali, parrebbe indispensabile che ogni Comune predisponesse il PPA perlomeno per conoscere l'ammontare degli oneri di urbanizzazione di cui potrà disporre. Non meno fondamentale sarebbe che al momento dell'approvazione delle modifiche alla legge n. 56 venissero dichiarati, in modo certo ed impegnativo per la Regione, tempi e criteri per l'individuazione dei Comuni con popolazione inferiore ai diecimila abitanti, attraverso piani territoriali che, come si è detto, non sono mai stati realizzati e sono rimasti lettera morta.
PPA utile alle Regioni, in quanto inventario delle esigenze infrastrutturali degli enti locali e per esaltarne, a valle, un ruolo attivo e programmatorio, vincolando le Regioni ad un rapporto con il bilancio, frutto di analisi seria, compiuta sul territorio. Viene meno quindi, anche l'importante aspetto di ricognizione del territorio.
Siamo di fronte alla politica dei "due tempi": l'Assessore Carletto infatti, nelle proprie dichiarazioni programmatiche annunciava una revisione generale da attuarsi in una seconda fase. Anzi, intervenendo anche il disegno di legge dell'Assessore Nerviani cui si è accennato, si può addirittura parlare di "ire tempi".
E' certa l'esigenza - senza ostruzionismo - del riesame complessivo di tutta la questione. Il tentativo della maggioranza di minimizzare la portata della legge non fa che evidenziarne l'insidiosità; il timore è, a mio parere, che i progetti di rivedere l'intera materia rimangano sulla carta e che passi invece ciò che serve.
Il disegno di legge è, obiettivamente, un colpo alla programmazione, al confronto democratico con le istituzioni e, quindi, alla dialettica tra istituzioni, momento fondamentale di un dibattito per una crescita ed un confronto vero tra Regione ed enti locali. L'Assessore ha rinviato l'intera questione a tempi successivi; tuttavia credo s'imponga, in sede di Regolamento, una produzione legislativa nuova, atta a governare il territorio e processi di profonda trasformazione. Produzione utile già nell'immediato, ma soltanto se si fosse tradotta in un allargamento della democrazia e non in un restringimento: ci auguriamo che l'approccio futuro sia migliore.
La legge n. 56, tesa anche al recupero di ritardi culturali, era improntata ad una politica dell'emergenza e dei sacrifici, nel tentativo di mettere a regime un processo sviluppatosi in modo caotico.
Ritengo che attualmente occorra un atteggiamento meno difensivo, aperto alla partecipazione nelle decisioni, occorre mettere insieme i vari soggetti: non solo operatori pubblici, ma anche soggetti privati operanti sul territorio, che attualmente, mancando di momenti d'interlocuzione devono procedere per corpi separati: enti locali da una parte, operatori economici da un'altra, associazioni ambientaliste, ecc, da un'altra ancora.
Il vero terreno di confronto doveva basarsi sul rendere gli enti locali coprotagonisti delle trasformazioni economiche, sociali, istituzionali e di organizzazione del territorio secondo logiche internazionali.
Dal disegno di legge emerge invece la velleità demagogica di rispondere alla società civile, che non può più sopportare di essere imbrigliata in lacci e lacciuoli. In realtà può determinarsi una totale subalternità degli enti locali ad un potere sempre più discrezionale, con il risultato di una mortificazione dei processi di programmazione e di confronto democratico.
C'è il rischio, attraverso il disegno di legge, che passi la logica dei progetti speciali, unica via per eliminare la programmazione e dar fiato a spinte privatistiche incontrollate, che nell'attuale povertà di risorse finanziarie regionali e degli enti locali possono determinare un ulteriore sviluppo caotico e distorto.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marino.
MARINO Dall'inizio della legislatura quello di oggi è forse Il primo momento in cui si affrontano - ed eventualmente si modificano - leggi qualificanti per la Regione Piemonte, che tutto sommato ne giustificano la vitalità e l'esistenza nel panorama degli Enti locali, panorama che in futuro verrà profondamente modificato dalle leggi di riforma delle autonomie locali.
La necessità di una gestione e pianificazione a livello regionale di alcune questioni riguardanti il territorio è cosa da non dare per scontata ma giustificata a mio parere dalle argomentazioni che sinteticamente andr enunciando.
Prima motivazione, tutto sommato abbastanza ovvia, è pianificare regionalmente le parti di territorio fra loro; in altre parole, una pianificazione di livello regionale è giustificata dalla necessità di non permettere, per quanto riguarda fuso del territorio, uno sviluppo anarchico di scelte fatte localmente.
La seconda motivazione è data dal fatto che un soggetto pianificatorio regionale è meno esposto alle pressioni, agli interessi e alle esigenze comunque presenti in ambito locale; e questo a prescindere dalle maggioranze e dalle forze politiche cui appartiene, essendo in qualche modo al di sopra di interessi contingenti locali.
Terza motivazione. Attraverso la legge n. 56 sono state possibili sedi in cui il problema della tutela e dell'uso del territorio potesse essere filtrato da due diversi punti di lettura del territorio. Banalizzando, a seconda del filtro utilizzato gli spazi territoriali naturali vengono visti come potenziali scatole vuote, da riempire o, al contrario, quali "pieni" da tutelare, risparmiare, ecc.
Alla base di questa seconda visione, che ho molto banalizzato, c'è una questione cardine che il disegno di legge rischia di far perdere di vista: il territorio, di per sé, è risorsa limitata: con modifiche del territorio non supportate da ampia analisi dei reali effetti conseguenti s'impoverisce progressivamente una risorsa già limitata.
Questo, a mio parere, ha giustificato nei decenni passati - e giustificherebbe tutt'oggi - la particolare complessità della normativa in materia di modifica del territorio - e mi riferisco, ovviamente, a scelte di tipo urbanistico. Non siamo di fronte a scelte di trasformazione di un bene del quale c'è grande abbondanza: sono risorse limitate. Nelle memorie presentate in particolare dalle principali associazioni ambientaliste (Italia Nostra, Lega ambiente, ecc.) questo concetto è ripreso ampiamente.
Si tratta di memorie assai stringate che non entrano nel merito di ogni particolare delle modifiche alla legge; apportano osservazioni di carattere generale che personalmente condivido e pongo anche all'attenzione dell'Assessore e della Giunta. Esigenze di semplificazione di alcuni aspetti della legge n. 56 non possono essere confuse, né in malafede n tanto meno, in buona fede, con strumenti di modifica di legge che portano ad uno snellimento che mi fa venire in mente quella casalinga che fece una dieta dimagrante così efficace che alla fine ne morì. Dal riconoscere una certa complessità della legge n. 56, pur con le modifiche apportate nel corso degli anni, all'eliminarne parti essenziali credo ne corra.
Ad esempio, perché non approfittare del dettato della legge n. 142, che prevede che alcuni aspetti di pianificazione territoriale vengano decentrati ad altri enti, in particolare alle Province? Quale migliore occasione della modifica della legge n. 56 per compiere lo sforzo di snellire alcune parti istruttorie, alcune delle competenze, per esempio che aveva il CUR o che avrà la Commissione tecnica urbanistica? Snellendo queste competenze, decentrandole ad altri livelli territoriali si sarebbe nello stesso tempo risposto ad un'altra esigenza, alla quale la Regione prima o poi, sarà costretta a dare una risposta: le forme di decentramento della pianificazione territoriale di competenze delle Province.
Il disegno di legge di modifica della legge n. 56 "fa finta" che tutta la riforma delle Autonomie locali prevista dalla legge n. 142 non esista: ignora l'esistenza e le conseguenze della legge. Credo non si possa accettare l'interpretazione che Giunta. Assessore, relazione del Consigliere Fiumara e alcuni interventi coane quello del Consigliere Cavallera hanno dato, avvero che la legge abbia alla base ragioni tecniche.
Si è lasciata alla discrezionalità della Giunta, o meglio dell'Assessore la possibilità - o meno - che la verifica dei Piani regolatori venga attuata dalla Commissione tecnica urbanistica. Tale fatto non è giustificabile solo da un'esigenza di snellimento: se dei Piani regolatori vengono bloccati in sede di Commissione tecnica urbanistica vuol dire che esistono problemi reali, in caso contrario il documento non viene fermato.
L'iter si blocca quando i due filtri di cui parlavo in precedenza sono costretti a confrontarsi e magari a scontrarsi fra loro.
La discrezionalità della Giunta, o meglio dell'Assessore, ha carattere fortemente autoritario. Anche se l'Assessore all'urbanistica fosse un "verde" di provata fede, considererei la norma inopportuna in quanto permette massima discrezionalità all'Assessore - ed alla forza di eventuali pressioni sull'Assessore - di decidere se un certo Piano regolatore necessita di altra sede di verifica oppure se si ferma in ambito assessorile. Questa forma di autoritarismo, di qualunque colore sia, non è accettabile.
La stesso discorso vale per l'eventuale Piano regolatore modificato che ritorna in Assessorato, e che secondo il disegno di legge n. 98 è approvato dalla Giunta senza verifica della Commissione tecnica urbanistica - posso citare, ad esempio, le revisioni alle varianti che non richiedono più deliberazione programmatica (la logica è la stessa).
Desidero inoltre citare uno scritto del Comune di Rivalta: non so chi ne sia promotore, ma mi è sembrata particolarmente interessante. In un pezzo della memoria si dice: "Sulla scorta dell'esperienza urbanistica acquisita dal Comune di Rivalta sita presente come la stesura della variante organica che il Comune ha in corso costituisca una vera e propria revisione del vigente Piano regolatore, revisione per la quale, qualora venisse accolta la modifica all'art. 17 della legge n. 56, non sarebbe più necessario presentare preventivamente la deliberazione programmatica, li che appare del tutto incomprensibile: per il Comune la presentazione della deliberazione programmatica è stata occasione importante per raccogliere documenti, formulare ipotesi e aprire il dibattito sul futuro Piano regolatore. Promuoverne l'assenza significherebbe immaginare un successivo progetto preliminare di Piano regolatore assai meno ricco di proposte e di contenuti quali il Comune ha potuto disporre nell'aprire una successiva fase di consultazione con la popolazione.
Si ritiene pertanto non solo inopportuno abolire la deliberazione programmatica in presenza di revisioni di Piano regolatore, ma si riterrebbe molto utile che alla deliberazione programmatica venissero attribuiti alcuni degli attuali contenuti del progetto preliminare.." Il mio voleva essere un esempio, non so quanto calzante ma spero chiaro, per far comprendere i rischi che si corrono: quanto detto dal collega Chiezzi nel suo intervento non credo sia un'estremizzazione della situazione.
Al di là delle eventuali questioni di incostituzionalità, credo che con il disegno di legge si attui - non so fino a che punto consapevolmente - un gravissimo intervento di bisturi su una delle poche leggi regionali che garantiscono la tutela del territorio: Non sono molte le situazioni che attualmente permettono di mantenere salda la difesa del territorio.
Termino citando la modifica più significativa, quella del CUR. Se non ho sbagliato i conti, la proposta di modifica numerica di questo organismo porta la Commissione tecnica urbanistica da 30 persone a 14. Mi chiedo come, in un organismo che può ed ha suddiviso il lavoro al proprio interno la riduzione numerica dei partecipanti possa di per se snellire le procedure sul piano tecnico. Inoltre, verificando la nuova composizione della Commissione tecnica urbanistica - che viene consultata solo qualora l'Assessore lo ritenga opportuno, ma che, ha anche compiti diversi da quelli del vecchio CUR - scopro che la modifica consiste in un ridimensionamento politico.
Ritornando ai filtri attraverso i quali può leggersi il territorio "vuoto" da riempire o "pieno" da tutelare - in questo piccolo organismo che è la Commissione tecnica urbanistica, organo consultivo che dà parere obbligatorio ma non vincolante, uno dei filtri viene sostanzialmente eliminato. Per essere chiari, all'interno del nuovo organismo, non ci sono coloro che rivendicano apertamente un ruolo di tutela del territorio.
Levarle maggioranze politiche, finché rimangono tali, hanno il diritto di governare e modificare le leggi; ma non quello di usare il bisturi.
Prevedete almeno la possibilità che vengano espresse posizioni diverse da quelle degli Assessori, della Giunta e di coloro che, attraverso pressioni inducano Assessori o Giunta a ulteriori disastri sul territorio.
CARLETTO, Assessore all'urbanistica A chi ti riferisci? MARINO Nel vecchio CUR erano previsti, ad esempio, 11 membri designati dal Consiglio regionale: nel rapporto fra maggioranza e minoranza significa sette e quattro. Nel ridimensionare a cinque componenti - se non sbaglio il rapporto diventa di tre e due. Il fatto di essere in due o in quattro non è irrilevante. Ad esempio, per parlare di Ordini, non compare l'Ordine dei geologi! Non capisco perché deve essere inserito il rappresentante del Politecnico e dell'Università di Torino, e non quello dell'Ordine dei geologi! Concludo poiché ritengo che quanto ho detto sia molto chiaro. Invito l'Assessore e la Giunta a tener presente che 1150/200 emendamenti - li ho in parte letti quasi tutti - non hanno carattere ostruzionistico. Se qualcuno voleva presentare degli emendamenti con atteggiamento di tipo ostruzionistico ne presentava tremila! Invece, la quasi totalità degli emendamenti affronta questioni di sostanza, che riguardano modifiche di fondo della legge n. 56; sono emendamenti sui quali la Giunta deve riflettere. Peraltro, sono molto meno di quel che sembra: le opposizioni parlano poco fra loro, per cui probabilmente vi saranno emendamenti identici presentati da Gruppi e Consiglieri diversi.
In realtà, quindi, gli emendamenti sono pochissimi, tutti di contenuto e riguardano, a mio parere, due aspetti. Il primo: garantire la possibilità che in ambito di leggi regionali la lettura delle trasformazioni del territorio possa essere fatto con i diversi filtri esistenti, oltre che in Consiglio regionale, nella società. Secondo: che vi sia una garanzia di percorso, nelle decisioni che riguardano le norme urbanistiche, che dia la possibilità di esprimere ed evidenziare le situazioni più gravi.
Se si taglia il CUR e si rende da un lato autoritario e dall'altro deresponsabilizzante il ruolo dell'Assessore e della Giunta, ritengo che sarebbe corretto cambiare il titolo della legge n. 56 e non chiamarla più "legge di tutela e uso dei territorio" ma "legge per lo sviluppo delle scelte urbanistiche".
Nella nuova composizione del Comitato tecnico-urbanistico è persino stata tolta la competenza della pianificazione territoriale: c'è l'Assessore delegato all'urbanistica ma, se non ho letto male, non c'è l'Assessore alla pianificazione territoriale o un suo delegato. E non si tratta di un ambientalista estremista, ma di un Assessore che insieme a quello all'urbanistica ha la sostanziale competenza sulle questioni che riguardano la pianificazione territoriale.
Inviterei la Giunta a riflettere sulla discrezionalità che dà a se stessa, o meglio, all'Assessore. L'Assessore Nerviani, potrebbe anche non partecipare a questo dibattito perché così come vengono proposte le modifiche alla legge non è particolarmente necessaria la sua presenza.
Non so come domattina si risolverà la questione degli ordini del giorno sull'eventuale incostituzionalità di vari punti della legge; ritengo vi sia la possibilità di non andare ad uno scontro pesante, ma alcune parti del disegno di legge devono essere assolutamente ritirate o perlomeno trasformate.
Abbiamo altre occasioni; a partire per esempio dal disegno di legge n.
103, per porci obiettivi di semplificazione delle norme urbanistiche senza "omicidio" del soggetto di cui si parla.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Goglio.
GOGLIO Presidente e colleghi, annuncio immediatamente il voto favorevole del mio Gruppo alla modifica di legge proposta dalla Giunta.
Lo snellimento delle procedure s'imponeva come urgente ed è quindi bene che si sia provveduto con la normativa di cui stiamo discutendo.
Sappiamo tutti quanto siano importanti gli strumenti urbanistici e quanto complessa la loro applicazione, spesso bloccata da ingranaggi burocratici che impediscono l'operatività degli strumenti medesimi.
Devo anche aggiungere che la legge n. 56, meglio nota come "legge Astengo", a suo tempo considerata di altissimo valore per i contenuti culturali riguardanti la gestione del territorio, va considerata superata dalle novità che hanno via via interessato sia le modificazioni territoriali sia le competenze statali attribuite agli enti locali. Ma va anche aggiunto - e ciò che sto per dire deve essere inteso come suggerimento più che come critica alle norme oggetto dell'attuale dibattito che l'accelerazione, lo snellimento, l'operatività degli strumenti non devono essere disgiunti da un'attenta valutazione dei fenomeni che esistono sul territorio, nella sua globalità e non soltanto riferita al caso per caso, singolo.
Spiego meglio. La cultura del territorio e l'urbanistica, che aveva visto nel prof. Astengo uno dei pionieri teorici di questa materia in Italia, è oggi il soggetto di interesse prioritario nel coordinamento di sviluppo della Regione, perché ad essa vanno ricondotte tutte le progettazioni di grandi infrastrutture, inimmaginabili al di fuori delle direttrici di Piano territoriale, in quanto interessano aspetti concreti e vitali delle Comunità dall'economia all'ambiente, dagli insediamenti urbani a quelli industriali.
Va bene attivare meccanismi di rilancio dell'edilizia e del suo indotto, ma sarebbe un arretramento culturale se la cosiddetta industria del mattone o del cemento armato veleggiasse in acque troppo autonome.
Mi fa piacere sapere che in questo momento di crisi occupazionale l'unico settore che dà segni positivi è quello edilizio, ma ciò potrebbe anche suscitare qualche perplessità se i cantieri dovessero lavorare senza lo stretto controllo della gabbia normativa. Ecco, di questo dobbiamo preoccuparci. Sì ad avviare un processo di ripresa, ma all'interno di direttive precise che evitino abusi ed eccessi.
Le nonne che ci vengono sottoposte agiscono all'interno della gabbia gabbia forse troppo stretta della "legge Astengo" come mezzo nobile, ma scollegata da un disegno globale di governabilità sul territorio. Proprio le novità che si sono sovrapposte con il trascorrere del tempo, impongono oggi più di ieri questo disegno programmatore.
Penso al nuovo Piano regolatore di Torino, alla futura costituzione dell'area metropolitana torinese e ai tanti problemi connessi all'applicazione della legge n. 142; una legge, questa, che trasformerà l'assetto territoriale della Regione. Penso in particolare all'utilizzo delle aree industriali dismesse che in Torino sommano a milioni di metri quadrati, ma che sono un fenomeno da gestire in altre realtà, seppure minori del Piemonte.
Di fronte a questo rapido e sintetico panorama non posso ignorare che la Giunta deve compiere un ulteriore sforzo per dotare la Regione di strumenti urbanistici e di pianificazione davvero efficaci, per una corretta governabilità del territorio; esigenza peraltro sottolineata dallo stesso relatore, Consigliere Fiumara, e già ripresa dai colleghi in parecchi altri interventi.



PORCELLANA FRANCESCO



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Tapparo.
TAPPARO Nel corso del dibattito, importante e significativo, è stato sottolineato che non si è sufficientemente tenuto conto del contesto storico, politico e sociale in cui si è sviluppatala legislazione regionale in materia di disciplina dell'uso del suolo. Credo vada ricordata la fase di sviluppo tumultuoso, volta alla crescita di una cultura d'innovazione gestionale della complessità socio-economica. Negli anni '60, che hanno poi segnato la cultura dei legislatori degli anni '70, dei grandi econometrici e dei grandi pianificatori (ricordiamo i premi Nobel a Timbergen ed altri famosi pianificatori), vi era la cultura della interdipendenza dei fattori della capacità di abbracciare la complessità; vi era la cultura del portare a sintesi gli interessi della società, e non essere il megafono delle singole spinte o la sommatoria aritmetica del singolo volere dell'amministratore del Comune "A", oppure dell'interesse economico particolare.
Era la cultura dell'interesse complessivo, che non è un disvalore.
Forse oggi può essere considerato un disvalore, perché certamente rende complessa la manovra e la sua capacità di muoversi, la rende meno rapida rispetto alla velocità del cambiamento; tuttavia è un valore che io, come socialista, ritengo vada tutelato ed è un valore all'interno della legge n.
56 che certamente può essere datata per certi aspetti, ma che ha un impianto importante.
Tale cultura è stata vissuta in una fase di emergenza nei confronti dell'"assalto alla diligenza" che la fase di tumultuoso sviluppo aveva determinato negli anni'60. Del resto, la produzione legislativa si determina come frutto di un processo culturale precedente, non in tempo reale.
E stata troppo nobilitata l'opposizione a questa legge, che se da un lato poteva rispondere a esigenze di operatività, dall'altro subiva una forte spinta di interessi non sempre particolarmente nobili. Questi fenomeni li conoscono tutti, basta visitare qualche nostra valle e basta vedere, secondo una cultura selvaggia che oggi in qualche modo si rivede legittimata, i condomini di stile cittadino tipo Vallette, situati in mezzo a bellissimi prati, naturale risorsa e patrimonio; figurarsi se questa visione sistemica, complessiva dell'interesse generale aveva il primato in quella fase! Questa legge ha tentato, con molti limiti e con gli adeguamenti che adesso stiamo cercando di compiere, di tener conto del bello e del brutto che poteva determinare. Oggi cerchiamo di adeguare, di vedere in qualche modo questa necessità di mutamento, però credo che non possa essere fatta Assessore, pensando di premiare una deregolamentazione selvaggia. Non è necessario portare in giro i ritratti dello zar Nicola per dare il segno degli interessi reali della società, che hanno tempi e modalità diverse da quelle che il legislatore può aver pensato. Credo sia una, cosa diversa per lo meno lo non la vivo così, e cercherò anche nel corso delle discussioni di spiegarne il motivo.
Ciò che vorrei capire dalla replica dell'Assessore è quale strategia sostiene questo adeguamento, qual è l'idea forza che ne sta alla base, che non può essere quella di portare In giro i ritratti dello zar Nicola in una "ciucca" di deregolamentazione, ma dev'essere qualcosa di più, cioè deve avere il segno di cosa sta dietro a questo processo, che certamente non è come dicevo - megafono e sommatoria di interessi frantumati.
Sfamo una società che vive una crisi di frantumazione, di corporativizzazione, dove la solidarietà e la giustizia sociale paiono quasi diventare dei disvalori. Vorrei capire se la strategia che sostiene questo disegno di adeguamento della disciplina dell'uso del suolo della regione Piemonte ha qualcosa che io spero: una volontà di visione complessiva, non di elementi di frantumazione, non di portarci nella trappola della settorializzazione, che è una zavorra, una palla al piede per il funzionamento del governo regionale, non di questo governo regionale; ma del governo regionale in quanto tale nell'ambito di queste realtà.
Credo, Assessore, che un punto vada colto e vada fatta una riflessione sullo scollegamento che si viene a determinare tra la pianificazione territoriale e la gestione urbanistica. Penso si tratti di una catena, di un processo di settorializzazione che rischia di riprodurre ciò che tante volte troviamo nelle settorializzazioni di alcune funzioni che oggi avvengono nella operatività del governo, con conseguente difficoltà di trovare i pezzi di congiunzione, le sinergie ché si devono determinare, le progettualità che si devono fare; in caso contrario, si va avanti giorno per giorno con i rattoppi, con le piccole cose.
Oggi rischiamo, provocando una scissione tra pianificazione territoriale e gestione urbanistica, di favorire l'arretramento di una necessaria cultura della progettualità che in questa regione ci deve essere. Il rischio di questa filosofia lo ritrovo anche negli insufficienti selettori, o addirittura nell'inventare selettori strani, come per esempio quello dell'elemento demografico (110.000 abitanti). Francamente è pericoloso pensare che ci siano delle famiglie territoriali che possono dividersi da un selettore demografico; persino nella individuazione della dimensione tra piccola, media e grande azienda non si usa più il selettore del numero dei dipendenti, perché è una cosa grezza. Si sa che nel campo della siderurgia una media azienda è diversa che nel campo della produzione laterizia, e che se si usa un selettore brutale demografico, evidentemente si fa violenza alle politiche industriali. E si rischia di fare anche violenza alle politiche territoriali, usando questo selettore, figlio di questa visione della settorialità, del rattoppo, della mancanza del disegno complessivo.
Non ho ragione di dubitare che domani l'Assessore mi convincerà del fatto che dietro a tutto questo c'è qualcosa di forte, c'è qualcosa di strategico. Un punto mi amareggia profondamente: questa cultura del silenzio-assenso, che non è ovviamente prodotta dai lavori della Commissione e da quello che viene prospettato, ma che in qualche modo, così come catturata e formalizzata dalla proposta, viene nobilitata.
Si modifica una legge per limiti di gestione, che non sono limiti oggettivi. Ma quante riforme, quante leggi sono fallite, perché le si sono "scassate" attraverso una non volontà - probabilmente non è questo il caso di gestione adeguata, di dare i mezzi adeguati, di impegno adeguato della funzione di governo, su una scommessa che dovrebbe essere un grande orgoglio del momento pubblico? Il silenzio-assenso è il fallimento del momento pubblico sia nella dimensione di governo che nella dimensione dell'alta burocrazia e dell'amministrazione. Credo sia la denuncia dell'impotenza del ruolo pubblico; personalmente pensavo invece che il silenzio-assenso fosse logico se conseguente aduna buona funzionalità e buona amministrazione. In caso di anomalie si apre questa possibilità, ma in una situazione in cui occorrono 8 anni per risolvere una certa questione, il silenzio-assenso è meccanismo pericoloso, in quanto apre varchi politici e amministrativi. Varchi politici dovuti ad eventuali interessi oggettivi a non forzare e a non assumere impegni forti sul piano amministrativo.
Ci possono anche essere rischi nella cultura e nella motivazione dell'alta burocrazia, che diventa determinante in questo tipo di sfida. Da un lato si rafforza il potere decisionale dell'Assessore, anche importante rispetto ad una certa dose di decisionismo, ma dall'altra si rinuncia al ruolo pieno del momento pubblico, e - ripeto - con rischi di deviazioni politiche e amministrative.
Questa discussione non è neutra e spero vivamente che domani l'Assessore non ci dimostri che stiamo solo facendo aggiustamenti tecnici.
Non è giusto mettere la sordina, perché è questo un momento importante e solenne, quindi prestiamogli l'attenzione necessaria.
Astengo, secondo me, approvando una legge piena di valori, capì che occorreva dare un segno forte. Inoltre vorrei dire al collega Marchini che Astengo non è stato bocciato per la legge che ha istituito, ma è stato bocciato perché era della sinistra socialista che, andando in forte minoranza, ha permesso a La Ganga di prendere il potere. Hai nobilitato forse una scelta.



(commenti in aula)



PRESIDENTE

Spero di non parlare di corda in casa dell'impiccato, ma questo monitoraggio e la cartografia con tutti i suoi processi erano elementi portanti.



(commenti in aula)



PRESIDENTE

Credo sia mancata convinzione e forza di gestione; non si può buttare nel "cesso" tutto, facendo un mucchio unico. Nella crisi di frantumazione e di corporativizzazione che tocca un po' tutti, esprimo la mia modesta preoccupazione per il fatto che la solidarietà e la giustizia sociale rischiano, nella società civile, di essere un disvalore.
Facciamo di questo passaggio un momento alto e solenne con il quale si dia un segnale alla collettività, non mettiamo la sordina. Del resto questa è una delle aree nella quale possiamo usare la nostra operatività come leva di politica economico-sociale: quindi, non degradiamola, ma cerchiamo di valorizzarla al massimo, facendo una grande scommessa sul ruolo del momento pubblico.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SPAGNUOLO



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Maggiorotti.
MAGGIOROTTI Essendo neofita della materia sarò breve e questo renderà felici i miei colleghi. Tuttavia non posso non porre alcuni interrogativi, che mi sono stati rivolti dalle persone che rappresento.
La maggioranza ha parlato di problemi legati alla necessità di modificare la legge n. 56 e alla necessità di dare più efficienza all'atto decisionale. Alcuni hanno detto che si sarebbe modificata la precedente cultura del saccheggio, e questo andrebbe dimostrato.
Ho sentito anche dire, però, che sono stati approvati più di mille strumenti urbanistici in questi anni: in termini qualitativi non so che dire, ma mi pare che le due affermazioni siano contraddittorie: la legge per un verso ha funzionato, per altro no.
Alcuni affermano che è necessario accelerare i tempi per non perdere il treno verso il 2000. Queste sono affermazioni a mio parere banali, perch non danno alcuna informazione e non aiutano a formarci un parere - alcuni di noi magari ce l'hanno già - sugli interessi in campo che spingono l'approvazione della legge.
Tra le righe si potrebbe leggere che si vuole far correre il treno dell'alta velocità, nel senso che si vogliono centralizzare alcune decisioni su questioni che contano e attuare grandi investimenti, lasciando più libertà ai Comuni nella gestione del territorio.
Il 2000 è alle porte: altro slogan che ritengo banale. A me resta l'interrogativo del significato di tutto questo. Témo che dietro a questa affermazione ci sia la volontà di ricordare ai vinti che sono stati vinti per cui si dice: "Guardate che il potere ce l'abbiamo noi, ce lo teniamo e ce lo gestiamo. Voi fate un po' meno opposizione, perché ha vinto la logica del profitto: tenete conto di questo".
Senza addentrarmi su questa questione - che potrebbe essere oggetto di un convegno anche interessante, ma non in questa sede - mi domando in termini tecnici che cosa stiamo decidendo. Ci stiamo dotando di uno strumento finalizzato al raggiungimento di obiettivi di sviluppo? Quali? Economici, sociali, culturali, interculturali? Quali sono gli strumenti di attuazione di questi obiettivi? O, invece, questo è un primo atto cui ne seguiranno altri: modifica del Piano di sviluppo regionale, del Piano territoriale, lo stesso Piano socio-sanitario? Questo può essere uno strumento assai pericoloso nel determinare e nel prefigurare una immagine diversa della nostra Regione. Voglio mettermi dalla parte dei cosiddetti vinti, e quindi in questo caso mi metto dalla parte delle persone disabili, che finora hanno visto non applicate le norme pur generiche che erano presenti, e lo sono tuttora, nel testo della legge n. 56.
Mi riferisco alle questioni concernenti l'eliminazione delle barriere architettoniche. Cito brevemente il contenuto di alcuni articoli.
L'art. 32, al comma 4, dice che ai fini del superamento delle barriere architettoniche al sensi del DPR 384/78 i Comuni promuovono l'introduzione di idonei elementi progettuali in particolare per quanto riguarda l'arredo urbano e l'accessibilità al pubblici servizi.
L'art. 39, all'ultimo comma, afferma che gli elaborati elencati dal precedente comma debbono inoltre contenere specifiche prescrizioni In ordine ai requisiti dell'arredo urbano anche ai fini del superamento delle barriere architettoniche.
L'art. 52, al penultimo comma, sempre della legge n. 56, dice che i proventi delle concessioni possono essere destinati ad opere dirette al superamento delle barriere architettoniche, ai sensi del DPR 384.
L'art. 87, all'ultimo comma, afferma che con i suddetti criteri ed indirizzi sono altresì definite le provvidenze progettuali esecutive da assumere per il raggiungimento di più elevati requisiti di qualità dell'ambiente edificato e non edificato, con particolare riferimento all'arredo urbano e del paesaggio nonché al fine del superamento diffuso delle barriere architettoniche.
Ci si domanda se è mancata volontà, sensibilità o cultura in chi doveva intervenire. Chi doveva programmare e promuovere e verificare l'attuazione di questi articoli, che sono la Cenerentola, credo, di tutti gli articoli di questa legge? Le conoscenze che hanno acquisito ed elaborato in questi ultimi anni le associazioni dei disabili mi consentono di dire come queste tra le numerose indicazioni fornite dalla legge, siano state le parti più disapplicate. Questa mia affermazione è dovuta al fatto che quel poco che in questo campo è stato realizzato dalla Regione nell'ultimo scorcio della passata legislatura è avvenuto tra l'altro non tanto su iniziativa dell'Assessorato all'urbanistica quanto di quello agli Enti locali che utilizzava altre capienze di bilancio.
Mi si dirà "Cosa c'entra questo discorso con i contenuti del disegno di legge n. 98?" (che in realtà si dice non affronti questioni specifiche). Io rispondo che questa questione la si può affrontare nello stesso disegno di legge, ad esempio all'art. 1, laddove si prevede la possibilità di prendere visione dei progetti preliminari. E' implicito come sia ridicolo prevedere una norma di trasparenza senza renderla effettivamente praticabile. Mi viene in mente come la maggioranza delle sedi dei servizi tecnici comunali siano inaccessibili alle persone in carrozzina. Per esempio c'entra con l'art. 2, che è oggetto del disegno di legge n. 98, laddove si parla di criteri di impostazione dei piani regolatori, senza citare in realtà tra questi criteri l'osservanza delle leggi esistenti in tema di eliminazione delle barriere architettoniche.
Sono due esempi di possibile spazio per affrontare la questione. C'è bisogno in questo campo, a mio parere, di affrontare un problema che è nei fatti irrisolto, affrontato solo saltuariamente da singole Amministrazioni comunali, senza alcuna direttiva o alcun coordinamento da parte dell'Amministrazione regionale. Ricordo che non è un problema da poco se è vero come è vero che la questione della fruibilità dell'ambiente costruito edificato e non, riguarda direttamente il 20% della popolazione percentuale in accrescimento se pensiamo al prolungarsi della sopravvivenza di persone viventi con una disabilità congenita o sopravvenuta o in relazione al prolungarsi della durata media della vita.
C'entra affrontare questo problema in sede di Consiglio regionale perché si tratta di questioni di diritto alla vita, ad una vita qualitativamente più vivibile in un contesto urbanizzato che sia non solo un contenitore arido ed imprigionante quanto un contesto interattivo che consenta lo svilupparsi delle competenze e potenzialità proprie di ciascuno.
C'entra parlare in questa sede di barriere architettoniche perché il delegificare alcuni atti, l'affidare ai Comuni decisioni inerenti la semplice possibilità e non cogenza ad utilizzare i fondi di urbanizzazione per finanziare l'eliminazione delle barriere negli edifici pubblici, come prevede d'altra parte la normativa ancora vigente, è una scelta a mio parere emarginante, così come è scelta emarginante non voler intervenire nella definizione dei regolamenti igienico-edilizi da adottarsi da parte dei Comuni, come prevedeva l'art. 87 della legge 56 già citato prima.
La scelta di un intervento è a mio parere coerente con lo spirito di questo disegno di legge, che sembra nascere da un compromesso tra istanze di gruppi di potere dominanti a livello comunale in cui si concede uno spazio ulteriore di intervento, accentrando nello stesso tempo nell'esecutivo regionale la possibilità di definire criteri e metodi di programmazione generale e decisionale, ripeto, accentrata nelle mani dell'esecutivo, di assenso rispetto alla determinazione dei criteri dei piani regolatori, lasciando comunque ai Comuni la definizione di più specifici interventi.
Ritengo che si continuerà a non decidere sulla materia dell'eliminazione delle barriere, si continuerà a non vigilare e a non investire. D'altra parte si è capito che altre sono le priorità che questa Giunta si è data. Ciò che interessa, mi sembra, è l'intervento sulle regole del gioco, sulla ridefinizione dell'equilibrio di poteri: molto meno interessa creare strumenti efficaci, rendere possibile a tutti l'esprimersi, il muoversi e soprattutto il vivere, sottolineo vivere.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bresso.
BRESSO Ho un dubbio di tipo regolamentare: sugli articoli di cui il disegno di legge n. 98 propone la modifica, solitamente parziale, possiamo proporre emendamenti anche ai commi non emendati dalla legge?



PRESIDENTE

Tecnicamente, lei può presentare emendamenti che diventano poi articoli aggiuntivi.


Argomento:

Comunicazioni del Presidente della Giunta regionale


PRESIDENTE

La parola al Presidente della Giunta Brizio per l'informativa sulla Conferenza dei Presidenti delle Regioni riguardante i problemi della sanità.
BRIZIO, Presidente della Giunta regionale Stamani era convocata, alle ore 11, la Conferenza Stato-Regioni per il parere sulla legge finanziaria da parte delle Regioni ed anche, secondo gli intendimenti delle Regioni, per le connessioni che vi sono fra la Finanziaria 1992 e la mancata copertura del deficit sanitario del 1991.
In vista di questa riunione si è tenuta alle ore 10 una Conferenza dei Presidenti, anche perché, di concerto con le altre Regioni, era stato annunciato dal Presidente di turno Biasutti che le Regioni non erano intenzionate a continuare ad andare alla Conferenza Stato-Regioni in una situazione di incomunicabilità e di notarile presa d'atto delle reciproche posizioni, ma erano favorevoli ad un confronto e una collaborazione specifica nelle soluzioni con una verifica delle compatibilità degli atteggiamenti fra Regioni e Governo, in un clima di reale collaborazione.
La Conferenza si è tenuta alle 10 e, all'unanimità, dopo ampia discussione, i Presidenti delle Regioni hanno confermato l'opinione che non fosse utile partecipare in queste condizioni, senza cioè un chiarimento col Governo sulle condizioni di funzionalità della Conferenza Stato-Regioni anche perché, per quanto riguarda il deficit del'91, non cerano fatti nuovi se non l'elevazione possibile e non ancora confermata della disponibilità del Ministero del Tesoro da 3600 miliardi a 4 100 miliardi, cifra consistente, ma, se confrontata con il nostro deficit complessivo estremamente limitata.
Questa decisione è stata presa all'unanimità, si è stabilito che il Presidente Biasutti si recasse a Palazzo Chigi a darne comunicazione presentando anche il documento predisposto dall'Ufficio di Presidenza di parere negativo sulla manovra finanziaria (oggi è la scadenza prevista dalla legge per dare il parere), in modo che non ci fosse cioè l'affermazione che le Regioni non avevano assolto al compito di fornire il parere sulla Finanziaria.
Il documento è stato preparato e comprende anche degli emendamenti alla Finanziaria; ;è sostanzialmente un documento propositivo che chiarisce le condizioni preliminari ed indispensabili per assicurare il funzionamento della Conferenza Stato-Regioni, dà il parere delle Regioni sul disegno di legge della Finanziaria '92, ne propone emendamenti, trasmessi al Ministro del bilancio ed alla Commissione con una nota sul fabbisogno di spesa del servizio sanitario nazionale '91 e sulla copertura di maggiori oneri derivanti dalla contrattazione collettiva del pubblico impiego, tocca infine - le questioni finanziarie pregresse e insolute.
E un documento abbastanza complesso (che potrà essere messo a disposizione dei Gruppi in quanto non c'è nessuna segretezza) presentato dal Presidente Biasutti alle 11 a Palazzo Chigi, portando avanti la richiesta che in questa sede i Presidenti avevano ritenuto utile fare come condizione per riprendere la partecipazione alla Conferenza Stato-Regioni come chiarimento preliminare su queste condizioni ed un incontro con il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Abbiamo avuto notizia, poiché il Sottosegretario Cristofori l'ha interpellato, che il Presidente del Consiglio dei Ministri riceverà i Presidenti delle Regioni nel corso della prossima settimana e speriamo che in quella sede si possa riaprire un discorso che al momento appare difficile.
Nel seguito della questione si è ritenuto di andare con una delegazione alle ore 15,30 alle Commissioni bilancio della Camera e del Senato che avevano previsto la consultazione di rito sulla legge Finanziaria delle Regioni. Anche in quella sede - io non ero presente perché ho ritenuto doveroso rientrare in sede per il Consiglio - è stata concordata la linea sulla quale illustrare il documento. Ho già parlato con il Presidente Biasutti per essere informato circa l'esito di questa consultazione e il Presidente mi ha detto che c'è stato un clima sostanzialmente positivo e di grande attenzione - era presente il Presidente Andreatta della Commissione del Senato - e disponibilità verbale; bisogna vedere poi quale rispondenza ci sarà nel concreto e noi, ammaestrati da quanto finora si è verificato abbiamo più di una perplessità. Tuttavia, è un ulteriore elemento di chiarezza.
Per quanto riguarda il muoversi, nel concreto, in questa fase difficile in cui manca la copertura finanziaria del '91, le Regioni stanno studiando delle proposte operative; venerdì parteciperemo ad una Commissione Tecnica (ne ho già parlato con l'Assessore Maccari) con i rappresentanti dell'Assessorato al bilancio ed alla sanità per individuare nel concreto i margini di operatività che possono essere proposti dalle Regioni.
Siamo quindi in una fase articolata. Ritengo sia stata una posizione giusta quella di mantenere, anche dopo la conclusione non brillante, per noi, del Convegno di Venezia, la posizione preliminarmente affermata di non disponibilità ad un confronto in questa fase, senza un chiarimento di fondo sulla funzionalità della Conferenza Stato-Regioni che, a nastro avviso, è diventata soltanto una presa d'atto notarile delle rispettive posizioni e non più una sede di confronto in cui le proposte delle Regioni vengono verificate nella reale compatibilità con le proposte del Governo.
Ritengo questo chiarimento fondamentale e che la posizione assunta sia stata rigorosa, ampiamente condivisa ed utile ad uno sblocco della situazione che appare difficile. Non c'è da attendersi molto, ma ci dovrebbe avvenire anche sotto il solo profilo metodologico.
Abbiamo posto inoltre il problema delle riforme che sono in atto: è già stata approvata dal Senato una delle modifiche costituzionali sulle competenze. Riteniamo ci sia il tempo per concludere questa fase nell'arco della legislatura e abbiamo anche insistito su questo terreno, almeno nella relazione che il Presidente Biasutti ha fatto illustrando i motivi per cui non partecipiamo alla Conferenza Stato-Regioni.
Questo è il quadro preciso della situazione. E' previsto per mercoledì un incontro con il Presidente del Consiglio dei Ministri e degli incontri tecnici tra le Regioni. Noi non parteciperemo neanche agli incontri tecnici con il Governo finché non sarà chiarita la questione preliminare che abbiamo posto unanimemente.
Al momento il fronte delle Regioni è abbastanza unito; naturalmente ci sono dei nervosismi perché le posizioni sono diverse da Regione a Regione soprattutto per quanto riguarda il deficit maturato in campo sanitario, ma si è mantenuta una linea di unitarietà che considero assolutamente essenziale, anche se non deve costituire un velo per il futuro nell'andare a verificare con chiarezza le posizioni di spesa che sul territorio nazionale hanno consistenza e ragioni storiche diverse e prospettive che devono richiedere una correzione.



PRESIDENTE

Ringrazio il Presidente della Giunta regionale, Brizio.


Argomento:

Annunzio interrogazioni, interpellanze, mozioni e ordini del giorno


PRESIDENTE

I testi delle interrogazioni, interpellanze, mozioni e ordini del giorno pervenute all'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale verranno allegati al processo verbale dell'adunanza in corso.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 20.10)



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